i rapporti corpo-mente spinoza

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I rapporti corpo/mente in Spinoza e la critica al «parallelismo» Chantal Jacquet Definizione del problema Anche se è costituito da un corpo e da una mente, l’uomo, in Spinoza, non è tuttavia un essere doppio composto da due entità realmente distinte. L’insieme di corpo e mente deve essere pensato come un’unità e non come una giustapposizione di due sostanze, una estesa, l’altra pensate. Infatti, per l’autore dell’Etica, «la mente e il Corpo sono un solo e stesso Individuo, che si concepisce ora sotto l’attributo del Pensiero, ora sotto quello dell’Estensione»[1]. In questo modo Spinoza respinge il dualismo, mettendo allo stesso tempo le basi per un duplice approccio alla realtà dell’essere umano, uno fisico, l’altro mentale. Ma se il corpo e la mente costituiscono un solo e medesimo essere, espresso in due maniere diverse, per comprendere chiaramente e distintamente la natura dell’uomo, rimane da chiarire come si articolino questi due modi di concepirlo, come si rapportino l’uno all’altro e come formino un’unità. In Spinoza la mente (mens) non è né una sostanza, né un ricettacolo, né una facoltà; è l’idea del corpo[2]. Il termine mens, quindi, designa unicamente la percezione, o meglio la concezione che l’uomo si fa del suo corpo – e per estensione del mondo esterno – nel mutare delle diverse affezioni che lo colgono. L’idea, infatti, si definisce come un concetto che la mente forma poiché è una cosa pensante[3]. Preferendo apertamente il termine concezione a quello di percezione, Spinoza mette l’accento sul carattere attivo e dinamico della potenza del pensiero che è all’opera nella 1

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Page 1: I Rapporti Corpo-mente Spinoza

I rapporti corpo/mente in Spinoza e la critica al «parallelismo»

Chantal Jacquet

Definizione del problema

Anche se è costituito da un corpo e da una mente, l’uomo, in Spinoza, non è tuttavia un essere doppio composto da due entità realmente distinte. L’insieme di corpo e mente deve essere pensato come un’unità e non come una giustapposizione di due sostanze, una estesa, l’altra pensate. Infatti, per l’autore dell’Etica, «la mente e il Corpo sono un solo e stesso Individuo, che si concepisce ora sotto l’attributo del Pensiero, ora sotto quello dell’Estensione»[1]. In questo modo Spinoza respinge il dualismo, mettendo allo stesso tempo le basi per un duplice approccio alla realtà dell’essere umano, uno fisico, l’altro mentale.

Ma se il corpo e la mente costituiscono un solo e medesimo essere, espresso in due maniere diverse, per comprendere chiaramente e distintamente la natura dell’uomo, rimane da chiarire come si articolino questi due modi di concepirlo, come si rapportino l’uno all’altro e come formino un’unità. In Spinoza la mente (mens) non è né una sostanza, né un ricettacolo, né una facoltà; è l’idea del corpo[2]. Il termine mens, quindi, designa unicamente la percezione, o meglio la concezione che l’uomo si fa del suo corpo – e per estensione del mondo esterno – nel mutare delle diverse affezioni che lo colgono. L’idea, infatti, si definisce come un concetto che la mente forma poiché è una cosa pensante[3]. Preferendo apertamente il termine concezione a quello di percezione, Spinoza mette l’accento sul carattere attivo e dinamico della potenza del pensiero che è all’opera nella produzione delle idee[4]. La mente, di conseguenza, è un modo di pensare il corpo, di formare un’idea di questo corpo, idea che risulta più o meno adeguata a seconda della natura chiara o confusa delle affezioni che lo modificano.

Identificando la mente con l’idea del corpo, l’autore dell’Etica fornisce delle indicazioni sulla maniera di concepire i loro rapporti. Egli invita a pensare la loro unione sul modello della relazione tra un’idea e il suo oggetto. Dopo aver stabilito, nella proposizione XIII della parte II, che «L’oggetto dell’idea che costituisce la Mente umana è il Corpo», nello scolio egli conclude infatti dicendo che «Sulla base delle cose dette, comprendiamo non soltanto che la Mente umana è unita al Corpo, ma anche cosa debba intendersi per unione della Mente e del Corpo». Ciò detto, tuttavia, la spiegazione di quale sia la natura dell’unione tra un’idea e il suo oggetto non viene semplicemente di conseguenza. Infatti, cosa vuol dire esattamente la tesi secondo cui la mente è unita al corpo come un’idea al suo oggetto?

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Per illustrare la natura di questo rapporto, Spinoza ricorre all’esempio della figura geometrica del cerchio. «il cerchio esistente in natura e l’idea del cerchio esistente, che è anche in Dio, sono una sola e stessa cosa che si esplica mediante attributi diversi» [5] Il cerchio è un modo dell’estensione che si forma a partire dalla rotazione di un segmento di cui una estremità sia fissa, l’altra mobile e che possiede la proprietà di avere dei raggi uguali; l’idea del cerchio è un modo del pensiero che si forma a partire dall’idea di un segmento, e che implica l’idea dell’eguaglianza dei raggi. Tuttavia il cerchio e l’idea del cerchio non sono due esseri distinti. Si tratta dello stesso individuo, concepito da una parte come modo dell’estensione, il cerchio, dall’altra come modo del pensiero, l’idea del cerchio. E la stessa cosa vale per tutti i corpi in natura e le idee che vi corrispondono. L’albero e l’idea di albero non sono due esseri distinti, ma rinviano a una sola e identica cosa, guardata di volta in volta come una realtà materiale e estesa, o come l’oggetto di un pensiero. Le idee del cerchio, dell’albero o del corpo umano contengono oggettivamente[6] tutto ciò che il cerchio, l’albero o il corpo umano contengono formalmente. Per Spinoza ogni cosa possiede un’essenza formale che esprime la sua realtà e un’essenza oggettiva che è l’idea di questa realtà. L’essenza oggettiva di una cosa non è niente altro che l’idea di questa cosa e si distingue dall’essenza formale che guarda alla cosa nella sua realtà materiale o nella sua forma. La mente, in quanto idea, è dunque l’essenza oggettiva del corpo; vale a dire che in qualità di oggetto del pensiero essa comprende tutto ciò che l’essenza del corpo comprende formalmente o realmente, secondo lo stesso ordine e la stessa concatenazione. Se la forma del corpo, ad esempio, entra in contatto con la presenza di Pietro e poi con quella di Paolo, la mente avrà in successione l’idea del corpo alla presenza di Pietro e poi alla presenza di Paolo. L’idea e il suo ideato sono dunque identici e indissociabili.

Tuttavia questa identità non esclude l’alterità. Anche se designano una sola e medesima cosa, concepita da un lato attraverso l’attributo dell’estensione, dall’altro attraverso quello del pensiero, il cerchio e l’idea del cerchio non sono però riducibili l’uno all’altra. Il cerchio è un modo dell’estensione, determinato unicamente dai modi dell’estensione. L’idea del cerchio è un modo del pensiero, determinato unicamente dai modi del pensiero. Quest’ultima, in quanto distinta dal suo oggetto, possiede una propria essenza formale e può a sua volta costituire l’oggetto di un’idea. È ciò che viene sottolineato nel § 27 del Trattato sull’emendazione dell’intelletto. «Una cosa è il cerchio, un’altra è l’idea del cerchio. L’idea del cerchio non è un oggetto con un centro e una circonferenza come il cerchio, e parallelamente, l’idea di un corpo non è questo stesso corpo». Proprio come il cerchio e l’idea del cerchio, il corpo e la mente sono due espressioni di una sola e medesima cosa, ma queste due espressioni non sono completamente riducibili l’una all’altra. Un’idea esprime le proprietà di un oggetto, senza per questo possedere quelle stesse proprietà. In questo contesto, il problema sta tutto nell'afferrare l’essenza di questa unione psicofisica che implica sia l’identità che la differenza tra corpo e mente, e nel determinare con precisione le sue modalità di rappresentazione.

Per farla finita con il parallelismo2

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Fondandosi sulla proposizione VII della parte II che stabilisce che «L’ordine e la connessione delle idee è lo stesso (idem est) che l’ordine e la connessione delle cose», i commentatori sono giunti ad assimilare l’identità a una forma di parallelismo tra la concatenazione delle idee e la concatenazione delle cose e a concepire l’unione psicofisica e la correlazione tra gli stati fisici e quelli mentali sulla base di questo schema, visto che la mente e il corpo sono uniti come un’idea al suo oggetto[7]. Questa dottrina, la cui paternità, come noto, è da far risalire a Leibniz[8], viene spesso presentata come espressione del pensiero dell’autore dell’Etica, anche se essa è stata di fatto introdotta retrospettivamente nel suo sistema, nel quale, espressa in questi termini, non figura affatto.

Martial Gueroult, pur sottolineando che nella proposizione VII «nel momento in cui si parla della relazione tra i due ordini si stabilisce più un’identità che non un parallelismo»[9], riprende tuttavia la formula leibniziana e deduce l’esistenza, non solo, di un parallelismo esterno all’ambito del pensiero (extra-cogitativo) che regge i rapporti tra le idee e le cose, ma anche di un parallelismo interno all’ambito del pensiero (intra-cogitativo) che comporta due forme, a seconda che esprima l’identità tra la concatenazione delle idee e quella delle cause nell’attributo del pensiero o l’identità della concatenazione delle idee prese come oggetto di altre idee, e le idee delle idee[10].

Ora, sebbene il termine «parallelismo» sia comodo da usare, nel momento in cui esprime bene l’idea di una corrispondenza tra i modi degli attributi che esclude ogni interazione e ogni forma di causalità reciproca, esso porta con sé inevitabilmente dei significati che nuocciono alla comprensione dell’unità degli attributi e alla comprensione dell’unione tra mente e corpo in Spinoza. L’assimilazione dell’identità tra l’ordine delle idee e l’ordine delle cose, tra mente e corpo, a un sistema di parallele conduce a pensare questa realtà sul modello di una serie di linee uguali e concordanti che, per definizione, non si incontrano mai. In questo modo il parallelismo extra-cogitativo si dispiega in una moltitudine di linee, di cui le prime due esprimono l’identità tra l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione dei corpi, la terza rappresenta l’identità tra l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione dei modi dell’attributo X, la quarta l’identità tra l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione dei modi dell’attributo Y, e così all’infinito. Riprodotto all’interno dell’attributo del pensiero, lo schema del parallelismo assume una forma intra-cogitativa e sistema sulle linee l’ordine e la connessione delle idee e l’ordine e la connessione delle idee delle idee, poi l’ordine e la connessione delle idee delle idee e quelli delle idee delle idee delle idee, eccetera.

Questa rappresentazione dell’ordine del reale riduce la Natura a un piano sul quale viene giustapposta una pluralità, o meglio, un’infinità di linee che non s’incontrano mai. Ma l’ordine, come mostra lo scolio della proposizione VII di Etica II, è unico: «sia che concepiamo la natura sotto l’attributo dell’Estensione, o sotto l’attributo del Pensiero, o sotto qualunque altro attributo, troveremo un solo e stesso ordine, ossia una sola e stessa connessione delle cause, troveremo cioè che le stesse cose seguono da una parte e dall’atra». Dunque la dottrina del parallelismo non ci

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restituisce l’idea di unità presente nella concezione spinoziana, poiché essa introduce una forma di dualismo e una pluralità irriducibili. Se si applica perfettamente al sistema di Leibniz per il quale «l’anima con le sue funzioni è qualcosa di distinto dalla materia»[11], essa però non è adatta a render conto dell’unione così come la intende l’autore dell’Etica. Infatti, il corpo e la mente dell’uomo, in Spinoza, non sono posti come paralleli, ma designano una sola e medesima cosa espressa in due modi diversi, come ricorda chiaramente lo scolio della proposizione XXI di Etica II. Da una parte è vero che, prolungate all’infinito, le parallele dovrebbero ricongiungersi, ma tuttavia bisogna riconoscere che un simile schema lineare non mantiene l’unità dell’individuo e la sua costituzione.

Certo, è possibile rispondere a questa obiezione facendo valere la considerazione secondo cui l’unità delle parallele è data dall’identità della loro direzione. Tuttavia questo argomento fa precipitare i sostenitori del parallelismo da Cariddi a Scilla, perché si fonda su di un presupposto del tutto contestabile secondo il quale le diverse rappresentazioni di una medesima cosa riguardata sotto ciascun attributo vanno nello stesso senso e non possono divergere da questo; il che non è sempre vero. Il caso degli errori più comuni, così come è analizzato nello scolio della proposizione XLVII di Etica II, è molto eloquente a questo proposito, poiché funge da contro-esempio che rivela le mancanze della dottrina del parallelismo e la invalida nella sua gran parte. In effetti, un solo e medesimo errore non viene rappresentato nella stessa maniera nella mente e nel corpo e testimonia di una divergenza radicale tra quello che succede nel modo del pensiero e ciò che accade nel modo dell’estensione. «La maggior parte degli errori – ci dice Spinoza – consiste soltanto in questo, che cioè non applichiamo in modo giusto i nomi alle cose. Quando, infatti, qualcuno dice che le linee che sono condotte dal centro del cerchio alla sua circonferenza sono ineguali, in verità egli per cerchio intende, almeno allora, qualcosa di altro da quel che intendono i Matematici. Così, quando gli uomini sbagliano nel fare i calcoli, essi hanno nella mente certi numeri e altri sulla carta. per cui se consideri la loro mente, essi senza dubbio non sbagliano; sembra tuttavia che essi sbaglino perché riteniamo che essi abbiano nella mente gli stessi numeri che sono sulla carta. Se così non fosse, non crederemmo che essi sbagliano; come non ho creduto che sbagliasse un tale che poco fa ho sentito gridare che il suo cortile era volato nella gallina del vicino, poiché cioè il suo pensiero mi sembrava abbastanza trasparente»[12].

Se qui non intendiamo analizzare la concezione spinoziana del vero e del falso in tutta la sua ampiezza, è tuttavia importante per il nostro obiettivo sottolineare che l’errore commesso con più frequenza consiste nella differenza tra ciò che l’uomo pensa e ciò che dice o scrive. In tutti gli esempi riportati, l'errore mostra uno scarto tra le idee e le cose, altrimenti detto tra un modo del pensiero e uno dell'estensione. In effetti le idee sono dei fenomeni mentali, mentre le parole che vengono pronunciate o stese sulla carta sono dei fenomeni fisici. «L'essenza delle parole e delle immagini è costituita soltanto dai movimenti corporei, che non implicano minimamente il concetto del pensiero».[13] Lungi dal funzionare in parallelo, la mente e il corpo di un uomo che cade in errore divergono profondamente. Dal punto di vista della mente, l'errore è in realtà una verità. «Se guardi alla loro mente – dice Spinoza – essi non si sbagliano affatto». Dal punto di vista del corpo, l'errore è una cattiva applicazione dei nomi alle cose. La mente pensa senza ingannarsi, ma il corpo

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attraverso la bocca o la mano esprime un'altra cosa. La parola non segue la mente ed è questo divorzio che porta a credere che gli uomini si sbaglino. In realtà, nessuno si sbaglia mai. Quel che accade davvero è che noi ipotizziamo che una persona si stia sbagliando, poiché prendiamo le sue parole alla lettera e attribuiamo la responsabilità di ciò che dice alla sua mente. Ma questo modo di procedere è illegittimo, perché così facendo noi trasformiamo un movimento fisico in un modo del pensiero. Quel che facciamo, cioè, è scambiare un significante per un significato. L’errore non è altro che un effetto apparente legato al fatto che il nostro orecchio non comprende attraverso i sensi ciò che la mente dell’altra persona intende chiaramente nel suo pensiero, anche se il suo corpo non riferisce la stessa cosa con la stessa chiarezza. «Da questo sono nate – conclude Spinoza – la maggior parte delle controversie, e cioè dal fatto che gli uomini non spiegano in modo corretto il loro pensiero, o interpretano male il pensiero altrui».[14] La necessità di interpretare le parole o i testi, siano essi profani o sacri, dimostra a contrario (a posteriori) che la correlazione tra corpo e mente non si fonda sulla forma semplice descritta da una sistema di linee parallele, in mancanza del quale non sarà affatto necessario scomodare delle regole fisse d’ermeneutica per decifrare i significati. Sarà invece sufficiente soffermarsi sulle sole parole per far emergere in questo stesso ambito, linearmente, i sensi e passare poi dall’ambito fisico a quello mentale.

A questo proposito, il lapsus dell’uomo che gridava che «la sua casa era volata nella gallina del vicino» è particolarmente rivelatore, poiché il corpo dice esattamente il contrario di ciò che la mente pensa, invertendo l’ordine delle cose, prova ne sia il fatto che in questo caso il parallelismo è ridotto anch’esso a battere le ali. Qui lo scarto tra corpo e mente è massimo e la loro unità non ha nulla a che vedere con un’unità stretta o gemellare. Ciò che si esprime nell’ambito del pensiero è chiaro e non ci sarà nulla di male nell’ammettere che l’uomo vuol dire che la gallina è volata nella casa del vicino.

Ciò detto, bisogna allora concludere che è il corpo che si sbaglia e che dobbiamo prendercela con il corpo, tradizionale causa dei problemi? Questa domanda non ha alcun senso nella misura in cui il vero e il falso sono delle modalità dell’idea ed esprimono qualcosa di relativo all’ambito del pensiero e non dell’estensione. In realtà il corpo, propriamente, non si sbaglia, esso esprime la stessa cosa che la mente intende, ma in un ambito diverso. In altre parole, se errore del corpo c’è stato, esso non ha fatto che rappresentare materialmente, nell’estensione, la verità che la mente ha pensato. L’inversione delle parole in rapporto alle idee è infatti il risultato di un movimento fisico che esprime la sorpresa o lo smarrimento di fronte alla vista di un uccello pesante che vola e scappa nel cortile del vicino. Essa corrisponde bene allo stato mentale che esprime e fa tutt'uno con questo, di modo che la dissonanza dell’espressione non contraddice l’unità psicofisica, ma al contrario la rivela in tutta la sua ampiezza e complessità.

Se a un primo sguardo essa sembra adatta a rendere la corrispondenza tra l'ordine delle idee e le relative affezioni del corpo, la dottrina del parallelismo rimane però estremamente riduttiva e facile da fraintendere. Essa presuppone delle omologie e delle corrispondenze biunivoche tra le idee e le cose, tra la mente e il corpo, e porta a pensare le diverse espressioni modali secondo uno schema

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lineare che si ripete identico. Salvo che per la loro posizione nello spazio le linee parallele sono simili e intercambiabili. In questo modo sembra che la Natura sia condannata a una monotonia senza fine, a un'infinita ripetizione dello stesso schema all'interno di ciascun attributo. Questa dottrina conduce a pensare l'unità come uniformità. Ora, se l'ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l'ordine e la connessione delle cose, questo non significa però che i modi d'espressione delle idee e delle cose siano strettamente identici e rivestano sempre la stessa importanza. L'idea delle parallele evoca l'idea di una corrispondenza monolitica e porta sistematicamente a cercare delle equivalenze tra i movimenti del corpo e i pensieri, a metterli sullo stesso piano. Gli stati fisici sono così correlati agli stati mentali allo stesso modo in cui un punto di una linea corrisponde a quello dell'altra secondo uno schema strettamente biunivoco. Ora, una simile associazione, non solo non è sempre significativa, ma inoltre essa non tiene conto del fatto che alcuni avvenimenti si esprimo meglio o di preferenza in uno dei due registri (fisico o mentale). Ad esempio, per capire la generosità è davvero necessario rifarsi a questo schema e descrivere le affezioni fisiche che accompagnano questa passione attiva e dilungarsi sul suo aspetto fisico? E d'altra parte, per realizzare un movimento fisico complesso come il nuoto è veramente utile avere l'idea di tutti i muscoli e di tutte le cellule che vi sono coinvolti? L'idea del parallelismo spinge a cercare una corrispondenza sistematica degli stati fisici con gli stati mentali, e viceversa. Ma se è vero che essi vanno di pari passo, è anche vero che non si esprimono necessariamente con la stessa evidenza nei due aspetti.

Se la dottrina detta «del parallelismo» può essere illuminante per il fatto che permette di concepire una corrispondenza tra corpo e mente, senza interazione né rapporto di causalità reciproca, essa non è però davvero adatta a render conto della concezione spinoziana dell'unione psicofisica, poiché offusca sia l'unità che la differenza, vale a dire la divergenza tra i modi d'espressione del pensiero e dell'estensione. In queste condizioni, tutti i discorsi che riguardano l'unione psicofisica si riducono alla giustapposizione di due monologhi che hanno una corrispondenza punto per punto, senza che mai ci sia una prevalenza di un ambito che non abbia corrispondenza nell'altro. È allora necessario ripensare la relazione tra l'idea e l'oggetto e più in generale il rapporto tra i diversi modi d'espressione della realtà in Spinoza.

Per questo è necessario abbandonare «il parallelismo» e questa stessa parola inadeguata e ambigua, questo concetto minato e confuso che non compare nel sistema di Spinoza. In effetti, per identificare la concezione spinoziana, per darle un nome, non è affatto obbligatorio adottare questo termine che porta con sé un alone di falsità; non lo è anche perché l'autore stesso dell'Etica si è assunto il compito di fornire un concetto preciso per esporre la tesi conosciuta con il nome di parallelismo. Questo concetto, che una lettura più attenta dei testi avrebbe dovuto da tempo mettere in evidenza per evitarci di perderci nei meandri del parallelismo e disinnescare i suoi effetti ingannevoli, è quello di uguaglianza. È proprio questo il termine che Spinoza utilizza per esprimere il fatto che la potenza di pensare di Dio va di pari passo con la sua potenza di agire. L'identità dell'ordine causale in tutti gli attributi e in tutti i modi che seguono da Dio è esplicitamente presentata in questo modo nel corollario della proposizione VII di Etica II. Dopo aver stabilito che l'ordine e la connessione delle idee è lo stesso che l'ordine e la connessione delle cose, Spinoza ne

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deduce che «la potenza di pensare di Dio è uguale (æqualis) alla sua attuale potenza di agire». La presenza dell'aggettivo «æqualis» non è casuale, visto che l'autore utilizza lo stesso termine nel momento in cui paragona la potenza di pensare della mente e la potenza d'agire del corpo. «Ma lo sforzo della Mente, ossia la sua potenza nel pensare è uguale e si attua simultaneamente per natura (æqualis et simul natura) con lo sforzo del Corpo»[15]. Quando Spinoza vuole spiegare che l'ordine delle idee delle affezioni nella mente va di pari passo con quello delle affezioni del corpo e costituisce una sola e medesima cosa, egli ricorre talvolta all'aggettivo æqualis, in altre occasioni all'avverbio simul[16], oppure a tutti e due insieme.

Di conseguenza, sia in Dio che nell'uomo, esiste un'equivalenza tra potenza di pensare e potenza d'agire. In Dio essa si manifesta tra l'attributo del pensiero e l'infinità degli altri attributi. Nell'uomo riguarda un modo dell'attributo del pensiero, la mente e un modo dell'attributo dell'estensione, il corpo. Essa esprime la correlazione tra l'idea e l'oggetto e significa che «qualunque cosa accada nell'oggetto dell'idea che costituisce la Mente umana deve essere percepita dalla mente umana»[17]. La teoria dell'espressione in Spinoza si regge interamente sul principio dell'uguaglianza e deve dunque essere riconsiderata alla luce di questo concetto.

A tale scopo è utile riprendere le belle analisi che Gilles Deleuze, nella seconda parte del suo Spinoza et le problème de l’expression, dedica alla dottrina del parallelismo. A dispetto delle sue precauzioni e della sua esplicita diffidenza nei confronti del termine parallelismo[18], Deleuze ricorre ancora a questo appoggio che gli impedisce di concentrarsi a fondo sulla delucidazione del concetto fondamentale di uguaglianza del quale ha però sottolineato l'importanza. Infatti egli afferma che «è l'uguaglianza degli attributi che dà al parallelismo il suo senso proprio, garantendo che la connessione è la stessa tra cose tra le quali l'ordine è il medesimo»[19]. Pur riconoscendo che, al contrario Leibniz, «Spinoza non utilizza il termine "parallelismo"», egli sostiene che «questo termine si adatta al suo sistema, perché pone l'uguaglianza dei principi da cui derivano le serie indipendenti e corrispondenti»[20]. Questo termine, tuttavia, finisce per fare da schermo, visto che ha eclissato il termine uguaglianza che è quello cui Spinoza fa espressamente riferimento, e si può dire che sia diventato (il termine parallelismo) l'asilo dell'ignoranza. Pertanto sarebbe in fine più ragionevole bandire il termine parallelismo e sostituirlo con uguaglianza. Per amor di giustizia e di correttezza, allora, restituiamo a Leibniz ciò che è di Leibniz … e a Spinoza ciò che è di Spinoza.

Definizione e natura dell'uguaglianza

Ma anche se il problema dell'unione tra mente e corpo deve essere posto in termini di uguaglianza e non di parallelismo, non si può dire che sia per questo risolto. Si tratta infatti di cogliere la natura di

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questa uguaglianza e di precisarne le modalità. In questo senso, allora, è importante rintracciare le occorrenze dell'aggettivo æqualis e del sostantivo æqualitas all'interno delle opere spinoziane e far emergere il loro preciso significato. Un compito ingrato, tuttavia, poiché la presenza di questi termini è rara e il loro significato varia da un testo all'altro. Così, ad esempio, nel Breve trattato Spinoza fa valere l'idea secondo cui «non esistono due sostanze uguali»[21], cosa che segue «dal fatto che ciascuna sostanza è perfetta nel suo genere; poiché se esistessero due sostanze uguali, una dovrebbe necessariamente limitare l'altra e di conseguenza non potrebbe essere infinita, come abbiamo invece dimostrato che è». In questo contesto, l'uguaglianza rappresenta un'identità di natura e implica l'esistenza di una pluralità di cose dello stesso genere che si limitano reciprocamente. Questa interpretazione è corroborata dall'argomentazione sviluppata da Spinoza nella prefazione alla parte II del Breve trattato, nella quale per negare all'uomo la natura di sostanza, si sostiene che «Poiché l'uomo non esiste da tutta l'eternità, poiché è limitato ed eguale ad altri uomini, egli non può essere una sostanza».[22]

È d'altra parte chiaro che non è in questo senso che Spinoza sostiene, nell'Etica, che «la potenza di pensare di Dio è uguale alla sua potenza di agire», poiché se è vero che le due potenze rappresentano una comune natura (la natura divina), è anche vero che l'una non limiterà mai l'altra, poiché entrambe sono infinite. Allo stesso modo, l'uguaglianza tra la potenza di pensare della mente e la potenza d'agire del corpo non può essere intesa come espressione di una limitazione reciproca, poiché un'idea può essere limitata solo da un'altra idea e un corpo solo da un altro corpo[23]. Del resto questo uso dell'aggettivo «uguale» per descrivere le cose della stessa natura scompare dall'Etica. Così, infatti, nella proposizione V della parte I, Spinoza non dimostra che «non esistono sostanze tra loro uguali», bensì che «in natura non si possono dare due o più sostanze della stessa natura, ossia dello stesso attributo».

Nell'Etica, all'infuori dell'uso legato al rapporto tra potenza di pensare e di agire di Dio o dell'uomo, l'aggettivo «uguale» è applicato all'anima per descrivere la sua fermezza, l'impassibilità e la costanza di fronte ai rimproveri e ai torti. Ciò emerge con chiarezza sia dal capitolo XIII della IV parte dell'Etica, dove Spinoza menziona l'esempio dei fanciulli o degli adolescenti che si rifugiano nel servizio militare, poiché «non sanno sopportare con animo equo (æquo animo) i rimproveri dei genitori», che dal capitolo XIV dove egli sostiene che dal fatto che gli uomini si organizzano in una società seguono più vantaggi che danni e conclude che «è più utile sopportare con animo equo (æquo animo) i loro torti».

Questo uso del termine per esprimere una fermezza d'animo non permette di delucidare il significato dell'uguaglianza tra potenza di pensare e potenza d'agire, se non per il fatto che mette l'accento sulla costanza e la continuità del potere dell'animo a dispetto dei mutamenti e delle differenti situazioni. Così esso indica che l'equità d'animo implica la comparazione tra due situazioni diverse, meglio opposte, e si afferma come potere di resistere e neutralizzare gli sbalzi d'umore.

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Possiamo allora dire che, in un senso generale, l'uguaglianza si adatta all'ineguaglianza tra le cose? A questo proposito è necessario sottolineare che in Spinoza quello di uguaglianza è un concetto relativo che non esclude affatto l'esistenza di un'ineguaglianza concreta. In particolare essa può essere il risultato di un'impossibilità, per gli uomini, di percepire le differenze, tenendo conto il loro statuto di modi finiti. Spinoza fa così notare, nella definizione VI di Etica IV, che «possiamo immaginare in modo distinto una distanza sia di luogo che di tempo solo fino a un certo qual limite; cioè, come di solito immaginiamo egualmente distanti da noi e come se fossero sullo stesso piano tutti quegli oggetti che distano da noi oltre duecento piedi, ossia la cui distanza dal luogo in cui siamo supera quella che immaginiamo in modo distinto; così anche immaginiamo come tutti parimenti distanti dal presente gli oggetti il cui tempo di esistenza immaginiamo sia lontano dal presente per un intervallo di tempo più lungo di quello che siamo soliti immaginare in modo distinto, e li riferiamo quasi ad un solo momento del tempo». Il carattere relativo dell'uguaglianza, tuttavia, non deve ridurla a una pura illusione, poiché la posizione delle cose nello spazio e nel tempo, nel momento in cui distanza e durata superano la portata della nostra capacità rappresentativa sono l'espressione positiva del nostro statuto di modi finiti; il tutto sempre se noi riconosciamo il nostro errore. Spinoza mostra così che le nostre diverse passioni si attenueranno in modo eguale nel momento in cui le cose che le suscitano si allontanano nel tempo, anche se noi percepiamo questo allontanamento. «Dalle cose notate alla definizione 6 di questa Parte, segue che verso gli oggetti che distano dal presente per un intervallo di tempo più lungo di quello che possiamo determinare immaginando, sebbene comprendiamo che essi distano l'uno dall'altro per un lungo intervallo di tempo, siamo tuttavia affetti in grado ugualmente moderato».[24]

Questa forma di uguaglianza legata all'abolizione delle ineguaglianze e che deriva da un'impossibilità d'immaginare al di là di un certo spazio e di un certo tempo non può essere applicata ai rapporti tra potenza di pensare e potenza di agire. Da una parte, infatti, è inconcepibile che Dio rappresenti l'uguaglianza in questa maniera, visto ch'egli non immagina affatto le cose in relazione al tempo o allo spazio, ma le concepisce così come sono espresse dagli attributi, attraverso la sua infinita capacità di intendere. Questa conclusione vale allo stesso modo per l'uomo nel momento in cui smette d'immaginare per concepire adeguatamente, visto che la sua capacità razionale è una parte dell'intelletto di Dio e percepisce le cose in atto, non in relazione con un determinato tempo e un determinato luogo, ma sub specie æternitatis. D'altra parte, nel Breve tratatto, Spinoza rifiuta l'idea di una qualsiasi ineguaglianza sia gli attributi tra loro che tra le essenze dei modi: « Tra gli attributi e tra le essenze dei modi non sussiste alcuna forma di ineguaglianza».[25] Di conseguenza è necessario distinguere l'uguaglianza immaginaria che deriva dall'incapacità d'immaginare l'ineguaglianza e l'uguaglianza realmente concepita che esclude un'ineguaglianza ontologica.

Bisogna tuttavia sottolineare che nel Trattato politico l'uguaglianza di potenza non viene pensata in termini assoluti, ma relativi, in funzione del campione che serve nel paragone.[26]. Questo fatto non implica che le cose paragonate siano identiche ed intercambiabili sia qualitativamente che

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quantitativamente. Esse possono essere differenti, cioè ineguali in alcune comparazioni ed essere tuttavia pensate come uguali a condizione che questa differenza sia trascurabile in altre comparazioni. In questo modo è chiaro che la potenza d'agire e di pensare degli uomini è molto diversa e che differisce in funzione delle diverse attitudini dei loro corpi, che quella del saggio prevale su quella dell'ignorante. Pertanto in uno Stato civile, ci dice Spinoza, «è a giusto titolo che i cittadini sono considerati uguali tra loro, poiché la potenza di ciascuno è ben poca cosa se paragonata a quella dell'intero Stato».[27] Allo stesso modo, la potenza di pensare e quella di agire sono eguali in relazione all'ordine e alla concatenazione delle cause che presiedono alalo loro esistenza, ma questa costanza non implica affatto ch'esse lo siano sempre al di fuori della correlazione necessaria tra l'essenza formale e l'essenza oggettiva.

Del resto Spinoza lascia chiaramente intendere che l'uguaglianza non deve essere confusa con l'uniformità, ma, al contrario, ch'essa può nascere dalla diversità ed essere da questa supportata. Nel capitolo XXVII di Etica IV, egli afferma che il corpo necessita di un'alimentazione variata e di un buon esercizio per essere equamente in grado di compiere tutto ciò che segue dalla sua natura. Esso non deve ridursi all'abitudine, altrimenti lo sviluppo delle sue capacità sarà ineguale, condurrà a un'ipertrofia di alcune sue parti a svantaggio dell'insieme, cosa che si accompagnerà a un'atrofia della mente che sarà in preda a idee fisse o a passioni tenaci. «Il Corpo umano, certamente, si compone di moltissime parti di natura diversa, che hanno bisogno di alimento continuo e vario affinché il Corpo sia ugualmente (æque aptum) di tutte le cose che possono seguire dalla sua natura e, conseguentemente, perché anche la Mente sia ugualmente capace (æque apta) di concepire molte cose». In questo passaggio si vede che l'uguaglianza tra la potenza d'agire del corpo e la potenza di pensare della mente mette in realtà in evidenza una parità di capacità nell'esprimere la diversità insita nella natura di ciascuno dei due.

Ciò che conta, allora, è sviluppare le ricerche a proposito dell'uguaglianza e del suo significato nel momento in cui essa esprime la natura dei rapporti tra mente e corpo. In quest'ottica è necessario rivolgere l'attenzione ai testi del Corpus nei quali l'unione di corpo e mente viene mostrata in atto; questo al fine di comprendere le diverse maniere in cui l'uguaglianza psicofisica viene declinata e per chiarire le sue tante sfaccettature. La parte III dell'Etica presenta esattamente queste caratteristiche e offre un terreno d'indagine privilegiato nella misura in cui essa analizza congiuntamente la potenza d'agire del corpo e della mente e mette in campo un tipo di discorso che si riferisce allo stesso tempo al pensiero e all'estensione, cosa che in seguito non avviene in maniera altrettanto sistematica.

Studiando la natura e l'origine delle passioni, la terza parte sistematizza un nuovo tipo d'approccio che si potrebbe chiamare misto, poiché questa parte presuppone l'unione in atto di corpo e mente guardando alle modificazioni che li riguardano entrambi. Essa analizza in maniera correlata la realtà corporea e quella mentale, nell'uomo, senza che una delle due abbia la precedenza sull'altra o ne derivi. Le passioni (affectibus), per definizione, esprimono l'unità della potenza d'agire, poiché implicano un rapporto sia con il corpo che con la mente e inducono a studiarli insieme. L'affectus

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per Spinoza designa infatti «le affezioni (affectiones) del Corpo con le quali la potenza di agire dello stesso Corpo è aumentata o diminuita, favorita (augetur) o ostacolata (coercitur) e, simultaneamente (et simul), le idee di queste affezioni»[28]. Qualunque sia il significato dell'avverbio simul, l'affetto ha sia una realtà fisica (certe affezioni del corpo) che una realtà mentale (le idee di queste affezioni). L'avverbio le tiene insieme e le ingloba allo steso tempo. L'affetto esprime la simultaneità, la contemporaneità di ciò che succede sia nella mente che nel corpo. In effetti non si dà un'affezione del corpo precedente della quale solo in seguito la mente verrebbe a conoscenza formandone un'idea. Così come la mente non produce delle affezioni fisiche, allo stesso modo il corpo non è causa delle idee. Ogni idea di interazione o di causalità reciproca è allontanata in un sol colpo. Questa corrispondenza logica e cronologica rivelata dall'avverbio «simul» è una conseguenza della natura dell'unione, così come Spinoza la concepisce. Se il corpo e la mente sono una sola e medesima cosa concepita sia sotto l'attributo dell'estensione che sotto quello del pensiero, esiste allora, necessariamente una correlazione tra i due modi d'espressione. Ciò implica che quando Spinoza utilizza il tempo verbale futuro per descrivere quel che accade nella mente[29], questo futuro non implica la successione di un'idea che verrebbe dopo un'affezione del corpo, bensì una corrispondenza. Si tratta in realtà di un'espressione che indica ciò che dobbiamo trovare come equivalente nella mente. Gli affetti si presentano dunque come delle realtà psicofisiche, di modo che attraverso l'analisi della loro natura e della loro origine, Spinoza promuove davvero un discorso misto e rompe con la logica del «tanto, quanto» che prevaleva prima per adottare quella del qui «simul».

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[1] Etica II, XXI, scolio, (le citazioni dall'Etica sono riprese nella traduzione italiana di Emilia Giancotti, Etica, dimostrata con metodo geometrico, Editori Riuniti, Roma 1988, n.d.t.).

[2] Cfr. Etica II, XIII.

[3] Cfr. Etica II, definizione II.

[4] Cfr. la spiegazione della definizione II.

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[5]Etica II, VII, scolio.

[6] Il termine «oggettivamente», preso a prestito dal lessico della scolastica, non deve essere inteso come contrario di «soggettivamente». Esso designa il fatto che una cosa è presa ad oggetto del pensiero e rimanda alla rappresentazione o concezione che la mente se ne fa. Così per Cartesio, «oggettivamente» è equivalente all’espressione «attraverso rappresentazione» e si distingue da «formalmente» che significa realmente o in atto.

Cfr. Méditation III, A. T., IX, p. 33: «Une chose est objectivement ou par représentation dans l’entendement par son idée.»; si veda allo stesso modo, p. 32.

[7] Cfr. Ethica II, XIII.

[8] Cfr. Considérations sur la doctrine d'un esprit universel (1702), § XII, Gerh., Phil. Schr., VI, p. 533 : «J'ai établi un parallélisme parfait entre ce qui se passe dans l'âme et entre ce qui arrive dans la matière, ayant montré que l'âme avec ses fonctions est quelque chose de distinct de la matière, mais que cependant elle est toujours accompagnée des organes de la matière, et qu'aussi les fonctions de l'âme sont toujours accompagnées des fonctions des organes, qui leur doivent répondre, et que cela est réciproque et le sera toujours».

[9] Spinoza, L'âme, p. 64, Aubier (t.d.r.)

[10] Ivi, p. 66 e segg.

[11] Cf. Considérations sur la doctrine d'un esprit universel (1702), § XII, Gerh., Phil. Schr., VI, p. 533.

[12] Etica II, XLVII, scolio, *traduzione modificata per eliminare un errore di sintassi.

[13] Etica II, XLIX, scolio.

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[14] Etica II, XLVII, scolio.

[15] Etica III, XXVIII, dimostrazione.

[16] Cfr. Etica III, II, scolio: «La Mente e il Corpo sono una sola e stessa cosa che viene concepita ora sotto l'attributo del Pensiero e ora sotto l'attributo dell'Estensione. Onde avviene che l'ordine ossia la concatenazione delle cose è una, sia che la natura si concepisca sotto questo o sotto quel attributo, e conseguentemente che l'ordine delle azioni e delle passioni del nostro Corpo è simultaneo per natura (simul sit natura) con l'ordine delle azioni e delle passioni della Mente».

[17] Etica II, XII.

[18] Cfr. Spinoza et le problème de l’expression, tr. it. di S. Ansaldi, Spinoza e il problema dell'espressione, Quodlibet, Macerata 1999, p. 126.

[19] Ivi, p. 127.

[20] Ibidem.

[21] I, cap. II, §6.

[22] Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene, tr. it. di F. Mignini, Japadre, L'Aquila 1986 II, pref. § 6.

[23] Cfr. Etica, I, def. II.

[24] Etica IV, X, scolio.

[25] Breve trattato su Dio, l'uomo e il suo bene, tr. it. cit., Appendice, §11.

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[26] Si tratta di ciò che emergeva già dalla spiegazione che Spinoza forniva per l'assioma IX (nono) della parte I (prima) dei Principi della filosofia di Cartesio, dove mostrava il carattere relativo dell'ineguaglianza attraverso gli esempi del paragone tra due libri e due ritratti: Se uno vede due libri scritti con la stessa grafia (possiamo supporre che uno sia opera di un insigne filosofo e l'altro di un ignorante chiacchierone) e non considera affatto il senso delle parole (vale a dire che non considera le parole in quanto immagini significanti) ma soltanto la grafia dei caratteri e il loro ordine, egli non percepirà alcun tipo di ineguaglianza che lo obblighi a ricercare due cause differenti, una per ciascuno dei due libri; al contrario gli sembreranno prodotti nello stesso modo, dalla stessa causa. Se al contrario egli presta attenzione al senso delle parole e del discorso, riscontrerà una grande ineguaglianza tra questi due libri e ne concluderà che la causa prima di uno è molto diversa da quella dell'altro».

[27] Trattato politico, tr. it. di L. Pezzillo, Laterza, Roma-Bari 1991, IX, IV.

[28] Etica III, definizione III.

[29] Cfr. in particolare Etica II, XVII : «Se il Corpo umano è affetto da un modo che implica la natura di un certo corpo esterno, la Mente umana contemplerà (contemplabitur) lo stesso corpo esterno come esistente in atto ...» e Etica II, XVIII: «Se il Corpo umano sia stato affetto una volta da due o più corpi simultaneamente, quando in seguito la Mente ne immaginerà (imaginabitur) uno, subito si ricorderà degli altri »

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