il mio friuli

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Friuli Venezia Giulia Percorsi Turistico-Enogastronomici alla come riesce Una terra civilissima, ponte tra mondi e popoli percorsa un poco e pian piano con umiltà, ammirazione ed amore per raccontarne qualche scorcio.

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Friuli Venezia GiuliaPercorsi Turistico-Enogastronomici alla come riesce

Una terra civilissima, ponte tra mondi e popoli percorsa un poco e pian piano con umiltà, ammirazione ed amore per raccontarne qualche scorcio.

N.B. Alla fine di ciascun articolo, il collegamento per viusualizzare una serie di immagini e panorami.

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Il Re dei sassi

La piana dove sorge Spilimbergo, immediatamente prima delle colline è racchiusa dagli alvei del fiume Tagliamento e del torrente Meduna. E' la zona dei "magredi" (prato magro), quella costituita da residui alluvionali derivanti dal trasporto a valle di conoidi e detriti alluvionali dopo l'ultima glaciazione. La permeabilità del suolo di risulta fa sì che le acque divengano sotterraneee riemergano nella zona di Pordenone, formando le cosiddette "risorgive". L'aspetto di questa conformazione si presenta arido, sassoso con un fascino quasi da "deserto". Ed infatti, nonostante la piovosità dell'area, la permeabilità del suolo lascia filtrare l'acqua senza riuscire neppure ad inumidire la superficie.

Così era il panorama di una immensa zona compresa tra Spilimbergo, Sequals din quasi a Maniago fino al torrente Cellina e così lo rammento quando da ragazzo venivo fin qui. In particolare una immensa proprietà estesa per chilometri proprio tra Spilimbergo e Sequals apparteneva non ricordo più a chi, e questi, gran proprietario ma povero in canna, per dileggio, veniva chiamato "il re dei claps", il re dei sassi. Acqua neppure a parlarne: sotterranea e difficile da raggiungere, sassi a miliardi, vegetazione di poche varietà di piante e fiori capaci di sopravvivere in ambienti ostili, fauna tipica delle zone sassose con abbondanza di "madracs" le comuni bisce, qualche vipera ed insetti vari. Insomma, impossibile da utilizzare come terreno agricolo.Fino al 1960! La famiglia di Lisio Plozner originario della Carnia che acquistò la proprietà e, con impegno e dedizione pari a fede, passione per innovazione tecnica, disposizione al rischio e sacrifici economici durissimi, cominciò a trasformare la zona fino a renderla il paradiso enologico che è oggi. Quei medesimi 9 chilometri da Spilimbergo a Sequals compiuti in bicicletta o a piedi, percorsi oggi, rigorosamente in bicicletta, attraversano i viali di un giardino orlati da vigneti rigogliosi, frutteti che ad ogni stagione presentano un fascino diverso e sempre nuovo. Un aspetto che mi piace sottolineare è che, a partire dai Plozner, i vignaioli di queste zone privilegiano i vitigni autoctoni e, modernizzate, le tecniche di vinificazione tradizionale. Come tipico dei friulani. Non faccio pubblicità esprimo solo ammirazione per la tenacia di Plozner e di tantissimi altri uomini. E se volete averne motivazione, guardate le foto sopra e questa che è "dopo la cura":

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4 Gennaio 2008

Il Pignarul

E' la festa che si celebra a partire dalla sera del 5 gennaio e continua il 6 Gennaio, giorno dell'Epifania. E' una antica tradizione,si pensa, celtica, contaminata da riti cristiani delle origini. Questo rito-festa, presente nelle più antiche tradizioni friulane, fu oggetto di recupero a Tarcento oltre 70 anni fa e riaccese la memoria storica un pò in tutto il Friuli, sicchè la festa si celebra in ogni comune ed ogni borgo, assumendo un nome diverso. Qui nello spilimberghese si chiama la "viva". I "pignarulars" (vivars) sono gli iuomini addetti alla costituzione di gigantesche cataste di legna di forma conica, a cui si appicca il fuoco al tramonto del 5 gennaio. A tarcento, stupendo comune delle prealpi udinesi, la festa è quella emblematica, quella che fa"scuola". Preparate le cataste di legna, i giovani si recavano alla chiesa dinanzi alla quale ardeva un braciere dal quale veniva prelevato il fuoco benedetto ed accompagnavano il più vecchio del borgo ad accendere il falò. dopo di che, tutti, uomini, donne, bambini intorno al gran fuoco a cantare e libare assai copiosamente.Oggi, un pò variata, la cerimonia prevede che io giorno 6 venga accolto il "vecchio venerando" (il più anziano del borgo) designato ad accendere il grandissimo pignarul al centro del paese. Dopo di che il vecchio diventa narratore e ricorda ai bambini tutti presenti, la vicenda dell'investitura del nobile Artico di Castel Porpetto a feudatario da parte del patriarca di Aquileia avvenuta nel 1290. Dopo la narrazione, si forma un corteo che dal centro di Tarcento si inerpica sino ai ruderi del castello di Frangipane, dove è stato predisposto un altro ancor più grande pignarul cui viene dato fuoco. Ed intorno a questo fuoco, il vecchio pronuncia frasi propiziatorie e beneauguranti festosamente accolte dai presenti che ancora una volta intonano canti favoriti ed allietati da robuste sorsate di buon vino.Il rito è stato arricchito da altre manifestazioni anche in costume, ma è orpello rispetto al pignarul. Più modestamente il rito con funzioni divinatorie e propiziatorie si svolge ovunque, sicchè, nelle notti non piovose e non nebbiose, si vede la pianura e la cinta dei monti costellate da fuochi e da ogni parte giungono e si fondono echi lontani di canti e ballate.Quest'anno ha piovuto molto, pioviggina e si è alzata una nebbia piuttosto fitta, sicchè ai pignarulars non rimarrà che cantare e bagnarsi l'ugola ma senza la gioia del pignarul. Immagino saranno contenti lo

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stesso.Precisione vorrebbe che elencassi anche tantissimi altri significati che studi, presunti studi e ricerche serie e meno hanno inteso attribuire al rito. Me ne astengo perchè in molti casi si tratta di palesi masturbazioni mentali.

5 Gennaio 2008

Il Monte San Lorenzo di Maniago

A circa17/20 km da Spilimbergo verso Ovest, c'è Maniago altra ridente e graziosa cittadina friulana di circa 5000 abitanti collocata a ridosso delle prealpi e,segnatamente alle falde del monte Jouf. E' un centro di origini antiche che era lungo l'importante strada che dall'Adriatico si snodava, biforcandosi, verso le valli del Cellina, del Tagliamento, del Piave e si congiungeva con la strada che in direzione Ovest andava verso le fonti del Livenza. Già in epoca molto, molto antica sono state dimostrate presenze di attività fabbrile, poi sviluppatasi nela fabbricazione di lame, coltelli edattrezzi da taglio che ancor oggi continua alternando momenti più favorevoli a momenti difficili. Maniago è la città dei coltelli. C'è un bellissimo castello eretto intorno al 1150 sui ruderi di una torre romana e posseduto per secoli dai "signori di Maniago" ed il castello fu fortezza inespugnabile finchè, nel 1420 fu conquistato dai veneziani. E questo piccoloma fecondo centro, ha dato i natali ad ingegni interessanti quale quello di Lorenzo Selva cui si deve la costruzione del primo binocolo ma anche quello più artistico di Gianantonio Selva, architetto progettista del teatro La Fenice di Venezia.

Tra Maniago e Frisanco, verso nord-est c'è il Monte San Lorenzo, poco più di una collina con i suoi 736 m. di altitudine che è però un gioiello per la conformazione geologica, l'ambiente naturale, alcune vestigia storiche tra le quali una strada romana in molti tratti incredibilmente in stupende condizioni, una chiesetta

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intitolata a San Lorenzo e,soprattutto, a significare il valore storico-tradizionale del comprensorio, meravigliose leggende tra cui quella delle "anguane" "lis anguanis" in dialetto friulano.Già,perchè la breve distanza tra Spilmbergo e Maniago è sufficiente a marcare una certa diversità nel linguaggio. Lis anguanis erano donne con le gambe di capra. Si trasformavano solo in alcuni giorni. avevano il compito di.....Sarebbe troppo lungo raccontare tutto e quindi indico i link ai siti che varrà la pena di visitare per avere idea della bellezza dei luoghi e per avere dettagli sulla leggenda. Mi sono sentito in dovere di farlo perchè il Monte San>Lorenzo è in gravissimo pericolo: è sede di una cava dalla quale una cementeria sita in un comune vicino, estrae materiale in gran quantità ed a gran velocità sì da aver già cambiato il profilo del monte, con il rischio di deturparlo irrimediabilmente. Conosco benissimo i luoghi, conosco le leggende, mi sembra molto giusto dare una mano al comitato di cittadini che si è costituito, allarmato dal rapido deterioramento dei luoghi di cui sono molto innamorati.

Salviamo il Monte San Lorenzo con stupende foto

La leggenda de "lis anguanis" Trovo delizioso che il testo sia in lingua friulana e che ci sia la traduzione in italiano. Uno sguardo al testo in dialetto darà la sensazione di "lingua" più che di dialetto.

Cividale, Longobardia minore

Giornata bellissima in visita turistica a Cividale del Friuli, anticchissimo insediamento veneto-celtico che Giulio Cesare, intorno al 50 a.c. occupò facendone Forum Julii. Divenne capitale del prmo ducato longobardi in Italia dopo la conquista di re Alboino ed ancora assunse il toponimo di Civitas Austriae (per la prossimità ai confini) dopo la caduta dei longobardi e la conquista da parte dei Franchi sotto il regno di Carlo Magno ed ancora cadde sotto il dominio della Serenissima nel 1420 quando il nome della cittadina era oramai divenuto Cividale. Ognuno di questi eventi ha lasciato testimonianze cospicue tanto che il centro storico è una sequenza ininterrotta di palazzi, stradine, angoli, monumenti, templi, chiese che raccontano dei loto tempi. L'impronta più evidente e visibile, per me è quella longobarda. E non è un caso: la mia città d'origine, sede di un grande ducato longobardo, conserva moltissimo di longobardo compresa una cinta muraria in alcuni punti quasi intatta. Stmattina a Cividale c'era il mercato come ogni sabato da secoli e secoli, qualcuno dice sin dai tempi in cui si chiamava Forum Julii. Mi ci sono sentito come in un luogo familiare: passeggiando per le antiche vie piene di banchetti di merce, mi venivano ricordi di fanciullezza: la festa di quando, ragazzino, il mio adorato nonno mi portava con sé al mercato a far la spesa armato del suo enorme cesto di vimini. La nostra casa era prospiciente le mura longobarde e, per raggiungere il mercato bisognava entrare in una porta che era uno degli ingressi alla città longobarda, l'antica Porta Rufina e percorrere circa 50 metri di strada in lieve salita, strada intatta, lastricata a ciottoli disposti in cadenze regolari e contornata da alte mura e spalti posti a difesa di quell'accesso. Terminata la salita, lieve curva verso destra e si accedeva in una grande piazza, anch'essa lastricata a ciottoli che, credo, fosse anch'essa intatta dai tempi dei duchi longobardi. Ancor prima di giungere alla curva, esplodeva il brusio, il vocio, le grida dei venditori che decantavano la loro merce e poi, l'esplosione di tanta gente, di tanti banchetti variopinti e colorati stracolmi degli ortaggi e dei frutti raccolti quella stessa mattina e portati al mercato. Il nonno era molto conosciuto e benvoluto, tanto che nessuno si adontava se aveva i suoi "ortolani" di fiducia, e, a sua volta, lui conosceva tutti, e ad ognuno qualche domanda, ma non generica o formale: erano domande che stavano ad indicare conoscenza della persona e della famiglia, del contesto. Era interesse per quelle persone. Di fronte al mercato c'erano altri negozi tra cui la

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salumeria arcinotain tutta la città perchè il titolare,ometto piccolno e segaligno soggiornava tra chiacchiere e bevutine davanti al negozio all'interno del quale lavorava, e come lavorava! sua moglie, un donnone altissimo, dalle dimensioni enormi e dalle mani grandi come badili.

Mamma mia! Ma non ero a Cividale? Beh sì! Ma sapete, città longobarda sia l'una che l'altra, alcune similitudini architettoniche, l'atmosfera e quindi...quindi bisogna che smetta: se solo dovessi fare cenno alla miriade di personaggi simpatici, strani, originali, particolari o non so cosa, non basterebbe un blog. E mi fa piacere di ricordare tutto con molta nitidezza.

Di Cividale parlerò un'altra volta perchè è una stupenda cittadina che merita davvero di essere vista.anzi, per offrire un saggio ecco un link Visita virtuale di Cividale.

13 Gennaio 2008

Rauscedo: la più piccola delle grandi capitali economiche

A 20 km circa da Spilimbergo il paesino di Rauscedo, frazione del comune di San Giorgio della Richinvelda. Ha una collocazione del tutto particolare nella pianura friulana sita com'è vicinissimo alla confluenza del Torrente Cellina nel Torrente Meduna ad ovest e non lontano dal corso del Tagliamento ad est. Il suo territorio è il tipico territorio dei magredi sia pure modificato dall'intervento umano che, faticosissimo nell'essere realizzato pure è rispettoso dell'ambiente naturale e del paesaggio. Ed infatti, come per i magredi allo stato naturale,il paesaggio è conforme, piatto, malinconico ravvivato dal verde dellevicine colline e dall'azzurrino delle severe montagne che piùlontane si stagliano all'orizzonte. La piccolissima dimensione non ha impedito a Rauscedo di divenire una capitale mondiale, centro del mondo per il vino e le coltivazioni vitivinicole.Rauscedo è la patria delle "barbatelle" che sono piante di vite derivanti dall'inesto di vite americana con la vite europea. lacosa si rese necessaria quando, intorno alla metàdel secolo XIX la filossera si diffuse distruggendo quasi totalmente i vigneti europei. In Friuli, sono andarono irrimediabilmente persi quasi tutti i vitigni autoctoni e sopravvivono in misura ridottissima il "bacò" ed il "picolit" solo per l'amore e la passione di alcuni vitivoltori. Rauscedo è un esempio da manualedi comesi possa ben conciliare un'attività economica di livello mondiale con la sostenibilità ecologica e con la tutela ambientale e paesaggistica.

L'avventura, dicono le cronache forse un pò romanzate, cominciano nel1917 ed hanno come protagonista pionieristico Pietro d'Andrea,di professione ufficiale postale e viticultore per passione. Per inciso i suoi discendenti gestiscono una meravigliosa osteria,"il favri" come si leggesulla stupenda insegna a bandiera di ferro battuto. Ottimo cibo ed una selezione di centinaia di etichettein cantina. Ebbene, Pietro era alle prese con la guerra,il fronte era vicino, e con la filossera. Subito dopo Caporetto, la ritirata condusse verso il Piave migliaia di soldati italiani e tra essi,un sergente, un piemontese di cui non si rammenta il nome, capitò a Rauscedo e conobbe Pietro con il quale si stabilì una solida amicizia. E per fortuna il giovane sottufficiale conosceva bene la filossera e la tecnica degli innesti sicchè insegnò a Pietro tutto ciò che sapeva in argomento. Una curiosità: dopo l'innesto,le barbatelle andavano conservate al caldo.In assenzadi legna, carbone o altri sistemi,il risultato fu conseguito depositando le barbatelle nella stalla, sotto una coltre di letame.

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Da allora l'attività vivaistica si diffonde, occupa quasi tutti i terreni del circondario e quasi tutti gli abitanti e si forma una generazioni di tecnici ed esperti di valore mondiale che, in cospicuo numero si uniscono nella cooperativa che, a tutt'oggi attiva è leader mondiale del suo settore. Nè mancano aziende private che, meno grandi, purtuttavia godono di grande fama di qualità. La dimensione crescente di alcune aziende, non è andata sprecata ma ha rappresentato l'opportunità di forti investimenti per implementare la ricerca e l'innovazione in termini di miglioramenti qualitativi e di tecniche di coltivazione.

Molto di tutto questo si può apprendere andando nelle osterie, ma il "favri" èla più frequentata, dove moltissimi personaggi alla maniera friulana si incontrano e, al calore dell'osteria e dinanzi ad un buon calice di rosso, smussano la naturale riservatezza-rudezza friulana e si rivelano quali sono: affabili e cordiali. E così si può ascoltare che i vivaisti di Rauscedo parlano con la naturalezza della confidenza e dell'amicizia dei grandi personaggi del mondo del vino,coloro il cui nome è noto nel mondo per l'eccezionalità dei loro vini. Rauscedo infatti è l'incubatore di alcuni tra i più grandi e celebrati vini di tutto il mondo. Ma questo non impedisce ad imprenditori di caratura mondiale di indossare abiti da lavoro, di avere le mani dure e nodose,di parlare il dialetto e di sedersi al tavolo per godere delle conversazioni che l'osteria favorisce anche tra sconosciuti, dimostrando una volta di più quanto un buon bicchiere e la semplicità dei friulani siano ingredienti importanti dello star bene insieme in amicizia.

P.S. Solo per dare un'idea, segnalo il sito della Cooperativa Vivai di Rauscedo.

30 Gennaio 2008

Villa Manin a Passariano

Villa Manin è stato trasformata in Centro d'arte contemporanea ed ospita dei laboratori di restauro. D'estate accoglie bellissimi concerti all'aperto. Sono andato per ammirare la mostra "Hard RockWalzer" . Il nome inganna: è una mostra di opere di scultori austriaci contemporanei. Confesso la mia incapacità di capire opere come qulle inserite nelle slide ma In compenso altre slide mostrano la villa ed il parco.

La villa è sita a Passariano, frazione della cittadina di Codroipo accanto alla strada ancor oggi nota come "napoleonica". Fu costruita sul finire del 500 su progetto, pare, del Manin che fu ultimo doge di Venezia, al tramonto della potenza marinara della Serenissima che determinò il suo volgersi verso la terraferma. Palladiani sono molti richiami architettonici che Manin trasse da Federico Longhena, divulgatore dello stile palladiano e fu poi modificata come è oggi nel 700 dall'architetto

Federico Rossi. La villa nacque come sede di una fattoria, ma con una struttura centrale di rappresentanza da cui si dipartono, in perpendicolare, due strutture più basse adibite a tutte le attività di servizio e supporto alla villa ed alle attività agricole. Separata oggi da una strada, sorge un'altra struttura a porticato d forma circolare interrotta che ospitava ancora struture di servizio. La struttura è a tre piani, tutti affrescati ed è dotata di un salone centrale a tutta altezza con due balaustre simmetriche a collegare i due lati separati della casa. Nel lato est, a sx guardando la villa di

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prospetto, la grande sala che accoglie sul soffitto affreschi di Ludovico Dorigny: nel tondo centrale il "trionfo della primavera" ed in 4 ovali simmetrici le allagorie dell'amore, della gloria, della ricchezza e dell'abondanza; alle pareti in monocromo su sfondo dorato, scene di Apollo, Marte, Venere,il giudizio di Paride, Siringa e Pan. C'è anche molto altro, ma forse val la pena far parlare le immagini. Da notare che in una notte dell'agosto del 1797 qui soggiornò Napoleone che qui concluse il trattato di Campoformido, evento rilevante anche perchè sancì la fine della sotira secolare della potenza di Venezia.

Su tutto dominano l'atmosfera serena e quasi incontaminata della pianura friulana, la dolcezza dei suoni, l'ospitalità cortese e premurosa e la cura certosina con cui anche questa meraviglia umana è tenuta; la sublimazione è il passeggiare nel superbo parco francese nel quale verrebbe voglia di rimanere per sempre.

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A Cormons

Ieri gita in bicicletta a Cormons, provincia di Gorizia. La distanza, tanto per far capire lo stato delle mie gambe,è di km 58 più 58 km per il ritorno. Percorso movimentato solo da falsopiani, per fortuna, che attraversa il Friuli da ovest verso est fin quasi al confine con la Slovenia che poco dista da Cormons. L'antichità della cittadina è testimoniata dall'origine del none che era di persona o popolo, i Galli Carmones o Carmonenses ma anche dalle tracce e dai ruderi che raccontano di una storia travagliata dall'essere stata confine per l'impero romano, da continue invasioni successive alla caduta dell'impero, alle lotte tra gli austriaci ed i patriarchi di Aquileia, tra i veneziani e gli austriaci fino al passaggio all'Italia alla fine della Grande Guerra. Il territorio di Cormons comprende i ghiaioni dei 4 fiumi, Isonzo, Torre, Judrio, e Natisone e le alture del Collio in un contesto il cui microclima, associato alla qualità dei terreni, ne fanno un luogo ideale per la viticoltura ed una terra vocata ai grandi vini. Numerose sono le vestigia, le chiese arricchite da affreschi, altari e dipinti di preziosa fattura cosa che è comune a molte cittadine italiane. E di friulanissimo, c'è l'atmosfera rilassata, la cortesia, un ordine apprezzabile ma non ottusamente teutonico. Ho inserito una serie di foto per dare un'idea. Quello che mi piace raccontare riguarda "il vino della pace" prodotto dalla Cantina Produttori di Cormons. Qualcuno, nel 1983, appassionato di vino e convinto dell'affratellamento che la degustazione del vino genera, ebbe l'idea di "costruite" un vino con vitigni provenienti da tutto il mondo. L'opera è qualitativamente compiuta da tempo sicchè oggi, intorno alla sede dalla Cantina, si estende un immenso vigneto dove sono stati messi a dimora 450 vitigni diversi. Il vino che ne deriva, Il Vino della Pace, è un bianco del colore del girasole, speziato, dal sapore fruttato lievemente aromatico dal sentore asciutto e piuttosto strutturato. E'conosciuto nel mondo questo vino che nel tempo ha costituito occasione per creare eventi. Tanto per citarne uno, ogni anno l'etichetta viene creata da un artista diverso e hanno offerto il loro impegno tanti artisti da Manzù a Yoko Ono, da Sassu a Vedova, da Rotella a Rauschenberg e in ogni etichetta sono iscritti brevissimi appropriati versi i cui autori sono nomi notissimi quale Biagi, Alda Merini, Sanguineti, Mario Rigoni Stern. E non bastando,la Cantina ha creato il premio Acino d'oro attribuito a chi meglio ha operato per la diffusione del made in Italy. Nel corso della medesima manifestazione, viene presentato il vino di quell'annata e, a sancire lo spirito di fratellanza, alla manifestazione prendono parte i ragazzi del Collegio del Mondo Unito di Duino vestiti di abiti tradizionali provenienti da circa 50 paesi del mondo. E in ultimo, lungo la via intitolata al vino della Pace è stato stabilito il primato da Guinness del brindisi alla pace più numeroso del mondo: 3492 persone.

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9 Marzo 2008

Da Silimbergo alle sorgenti del Livenza ed a Caneva

Con un gruppo di amici, sabato, è stato piacevole andare in bici fino alle sorgenti del Livenza nel territorio di Polcenigo ma anche a Caneva per una passeggiata lungo l'erta che posta ale rovine del Castello di Caneva. In baso una piccola selezione di foto che renderanno l'idea dell'incanto dei luoghi meglio di qualunque descrizione. Una nota per l'atmosfera che il panorama delle sorgenti e delle risorgive del fiume Livenza offre, di magico incanto, di felice sospensione del tempo, di placidità serena favorito dalla presenza di reperti palafitticoli sparsi nella zona. Diversa ma ugualmente bella l'aria del castello cui si accede percorrendo un ripido sentiero che s'inerpica, ripido, nella macchia e nel bosco. Il colle del castello sorge ai contraforti del Cansiglio a dominare la vasta piana che si stende alla vista illuminata dal brillare delle acque lucenti del fiume Livenza. E' il castello a dominare la strada "del Patriarca" (di Aquileia) ma detta anche "del vescovo" (di Belluno) utilizzata per evitare la strada di Alemagna. Le rogini del castello si fanno risalire al 1034 all'incoronazione di Corrado II, il "salico" infeudato al Patriarca di Aquileia Popone che ordinò all'imperator di costruire il castello a tutela di quella terra dalle scorrerie degli Ungari. Fu un'opera immensa: due cinte murarie, una per le case signorili e l'altra per il borgo e le attività agricole e mercantili. Che il castello fosse sito in un luogo strategico è testimoniato dalle lotte che nel tempo coinvolsero Trevigiani, Padovani, i bellunesi del vescovo lotteculinate regolarmente con saccheggi orribili ripetutisi negli anni 1177, 1220, 1335. Quando nel '400 lazona ed il Patriarcato passarono sotto il dominio di Venezia le dispute cessarono ma non venne meno l'importanza del castello che subì un violento assalto dai Turchi nel 1499, culmne della loro penetrazione in Italia che però fu respinto. Dopo il secolo XVII il luogo perse d'importanza, fu abbandonato e il tempo lo ha ridotto come oggi si presenta.La sfacchinata è stata compensata: a casa, cena montematica ma non a broccoli per mancanza di materie prime adeguate. Ho rimediato con melanzane servite con pasta, non è mancata la parmigiana alla Mamy, il funghetto, né le melanzane ripiene al forno. Un'insalata di arance per concludere. Un merlot delle "grave", un ottimo pinot grigio delle zone del Lison ed un sorso finale di Picolit della Rocca Bernarda.Ne è assolutamente valsa la pena.

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27 Aprile 2008

I Castellieri

Molto vivo è il Friuli, non smetto di fare "scoperte" o che a me paiono tali. Mi riferisco al fiorire di studi archeologici che, a cura dell'ateneo di Udine, ha rinfocolato le attività di studio a seguiro di ritrovamento di reperti umani nell'area del Castelliere di Sedegliano. Intanto, Castelliere è una sorta di borgo fortificato, generalmente sito su alture, quindi in posizione strategica. La peculiarità dei cacellieri sta nel fatto che sono risalenti all'età del bronzo ed all'età del ferro e furono introdotti in Italia dall'Europa Centrale, ipotesi suffragata dalla techiche di costruzione adottate lì ma anche in Italia. Castellieri sono stati rivenuti in varie zone

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d'Italia ma in numero consistente in Friuli con l'aggiunta che nelle zone dell'Istria e del Carso, i castellieri erano di forma circolare per meglio adattarsi al territorio impervio. In difformità dal criterio, i castellieri costellano anche le pianure della regione caratterizzati da forma quadrangolare con ingressi aperti ai vertici e coincidenti con i punti cardinali. Non è certo a quale popolazione attribuire i castellieri:terra di confine il Friuli vide l'ingresso di Histri, Veneti, Carsi ed altre popolazioni che, chiunque fossero, divenute stanziali eressero questiborghi fortificati. Ce ne sono parecchi, alcunidivenuti invisibili perl'opera del tempo e documentati solo da reperimenti archeologici. Il Castelliere di Sedegliano ha dato nuovo impulso perchè i ritrovamenti umani, datati al 1700 avanti Cristo, vanno a modificare pesantemente la storia degli insediamenti umani della regione cosa che ha provocato grande fermento nell'ambiente accademico e non solo. Ed innovativo appare,per l'epoca di costruzione, che i castellieri di pianura fossero difesi da "aggeri" (rialzi) di terreno rinforzati da legno anzi, in alcuni casi, è stato documentato l'utilizzo di immense casseforme di legno riempite di terra e sassi. Notevoli e molto grandi i Castellieri di Muggia (Trieste), e di Prosecco (nome beneaugurante e gustoso) nei pressi di Monfalcone, importantissimo quello di Sedegliano che con quelli di Bonzicco, Savalons, Galeriano, Codroipo (Castelliere di Rividischia e Castelliere di Gradiscje sul torrenteCorno) nella piana udinese e di Palse di Porcia nei pressi di Pordenone, formano un itinerario interessante e documentato nella protostoria. E, come tipicamente friulano, notevole è lo sforzo di valorizzare questa risorsa archeologica come sta facendo il Museo archeologico del Friuli Occidentale avviando la ricostruzione del castelliere di Palse di Porcia. Ed il C.A.I.di Spilimbergo, ha organizzato una bella gita ai castellieri (che purtroppo mi son perso). Comunque alcune foto e disegni, mi auguro abbiano aiutato ad aver contezza.

30 Aprile 2008

I claps

Sassi. I "claps" sono sassi e designano una "civiltà" antica, la "civiltà dai claps" che si è sviluppata in circa 4000 anni nella pianura friulana tra il Tagliamento ed il torrente Corno. E' l'area che si stende dalle vicinanze ad ovest di Udine verso nord-ovest in direzione di Spilimbergo e comprende diversi piccoli centri quali Sedegliano, appunto, Mereto, Flaibano, Dignano, Turrida e Coderno. Paesi nei quali, in apparenza non c'era nulla come nulla c'era nelle aree intermedie se non immensi campi di mais la cui monotonia la si può interrompere solo volgendo lo sguardo verso est o nord dove si ergono le le colline, prealpi e le vette delle Alpi Carniche e delle Alpi Giulie. Ricerche, talora casuali e studi hanno contribuito ad identificare forti

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comunanze territoriali al di là della morfologia del suolo, costituite appunto dai sassi, materia prima base per le costruzioni, i Castellieri, i "valli" di pianura e le tantissime chiesette ed i mausolei funebri, le "tumbare". Terra di passaggio di tutte le invasioni barbariche provenienti da Nord e da Est, aveva maturato nei friulani la necessità di opere di difesa sia pure rudimentali ma aveva anche suscitato l'esigenza di difesa spirituale. Da questo punto di vista questa è la terra che ha dato i natali a Padre Turoldo, alla Beata Concetta Bertoli al poeta Cescutti, soprannominato Argeo ed elevato a dignità artistica da Pasolini. Ma tante sono le chiesette e le edicole sparse tra i campi e tra le acque di fiumi e canali. Ed è l'acqua, origine anche dei "claps" la madre del territorio. Antichi mulini, antiche fabbriche, un'antichissima fornace romana a Turrida (non ancora del tutto studiata). Ma oltre al lavoro, alla spiritualità la prosaica necessità di difesa delle popolazioni, oltre ai Castellieri originò i "Valli"terrapieni artificiali alti fin oltre 4 metri circondato da fossati concentrici. Sono scoperte recenti che, come altrove cennavo, stanno mettendo in discussione ipotesi oramai acquisite circa la geografia umana del nord Italia. La brevità incombe. Di fatto partendo da Spilimbergo è un percorso ciclabile ameno, di pianure e di lievi saliscendi in prossimità dei fiumi, dei torrenti e dei canali che disegnano una fitta ragnatela che racchiude terre verdissime, campi in fiore e vigneti che paiono giardini ed intorno colline e monti verdeggianti anch'essi a disegnare una cortina di fascino infinito. Sono bellissimi i monti e le valli di questa terra.Il percorso nel verde e nella storia è di circa 29 km modificabile ad libitum per riservarsi il piacere di visitare insediamenti, antiche case, borghi antichi e minuscole pievi disseminate in abbondanza nel territorio. Molta gente in bicicletta. Siamo in Friuli, quindi non mi ha tanto meravigliato incrociare un tandem di due distinti signori che trainavano un carrellino sul quale era stivata una mastodontica cesta da pic-nic ed una damigiana da 25 litri di vino: merlot, ma di quello buono! mi hanno specificato. Per evitare eccessivi ondeggiamenti sulla bici ho fatto a meno di assaggi fidandomi, un pò a malincuore, della loro parola. Non intendendo soffrire troppo, affamatissimo dai circa 65 kmm percorsi, avendo resistito coraggiosamente al richiamo di osterie e frasche dalle invitanti insegne, mi son concesso una serata friulan-principesca con regolamentari imperiali brindisi presso il ristorante dell'Hotel Belvedere nei pressi di Spilimbergo. Non lo si immaginerebbe: oltre ad un ambiente stupendo con fogolar centrale annesso, il bravissimo cuoco è una miniera di invenzioni che hanno per base reinterpretazioni della cucina del territorio realizzata esclusivamente con prodotti del territorio. Da solo varrebbe un viaggio Volendo Hotel Belvedere)

Volendo approfondire la civiltà dei "claps", Alla Scoperta della civiltà dei Claps

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15 Giugno 2008

La valle del Cellina

Il Cellina sarebbe un torrente friulano. Dico sarebbe perchè il suo percorso è assai breve e per di più, dopo circa 30 km di percorso, all'incontro con una altro quasi torrente, il Meduna, le acque di entrrambi scompaiono tra le ghiaie e scorrono sotterranee e poi, ricompaiono come acque del Meduna 30 km circa verso sud-ovest a Cordenons (vicino a Pordenone) per poi sfociare nel fiume Livenza. U'altra caratteristica che accomuna i due torrenti è che le acque di entrambi sono state imbrigliate da dighe, a Tramonti per il Meduna ed a Barcis per il Cellina. Entrambi i laghi sono collocati in zona montana, in un panorama mozzafiato. Oggi è la volta della ValCellina e del lago Aprilis, detto lago di Barcis dove, oggi sono andato in bicicletta partendo ad ora antelucana.La meta in realtà è stata Claut-Cimolais piccolissimi comuni montani nel cui territorio il Cellina ha le sorgenti. Ma andiamo con ordine. Intanto ecco una vista di Barcis e del lago da virtual earth

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Il percorso è agevole fino all'imbocco della ValCellina nei pressi di Maniago, poi la strada prende a salire con apparente levità ma in maniera decisa e tale che le gambe non troppo allenate risentono dello sforzo. La strada è stata rifatta rispetto al tracciato originario, gallerie comprese per sostituire la strettissima via scavata nella roccia che correva lungo il lato est della valle, un orrido strettissimo sormontato da pareti rocciose assai alte. La strada era chiamata di Sant'Antonio ed era in realtà un sentiero, sostituito da una strada carrabile solo negli anni 30 quando fu costruita la diga. Nella slide alcune foto recuperate della vecchia strada. E' un canyon, profondo e dalle pareti calcaree perfettamente verticali che l'acqua ha scavato nei millenni rendendolo una meraviglia della natura e tutelato, essendo questa zona Riserva naturale gestita dal Parco Dolomiti Friulane. Il percorso si snoda molto accanto al torrente le cui acque sono incredibilmente cristalline e gelide come si può avvertire accedendo ad una delle tante spiaggette ghiaiose che lo costeggiano. E' un corso d'acqua le cui rive tanti usano come spiaggia ed in alcune pozze si può fare il bagno: se si sopravvive alla temperatura gelida dell'acqua, se ne esce davvero ristorati. Il panorama è chiuso dalle pareti rocciose della forra, ma proseguendo verso Barcis, l'orizzonte comincia ad aprirsi regalando alla vista alti monti e boschi e prati incontaminati dai colori stupendi. E mi son venute in mente alcune parole di Mauro Corona (non so chi lo conosca ma ne racconterò): "in primavera siamo nuovi, siamo deboli. Giova allora sedersi in una radura, luogo magico delle selve, dove il tempo si ferma sospeso: sedersi ed aspettare". Non vedevo l'ora di realizzare il pensiero di Mauro Corona ed ho proseguito percorrendo i 4 km di galleria alla fine della quale si apre la Valle di Barcis ed il lago sulla cui riva est sorge il paese di Barcis. Superato l'abitato in località Arcola ho imboccato una stradina laterale verso ovest ed ho raggiunto l'accesso alla Foresta del Prescudin dove sorge il Palazzo Prescudin, vecchia e meravigliosa villa friuilana in un contesto fiabesco. Nel bosco si va solo a piedi. Ho lasciato la bici e mi sono addentrato nel bosco, tra larici, abeti, lecci e faggi con un sottobosco verdissimo costellato da fiori, da cespugli di mirtilli e more selvatiche in fioritura e perfino fragoline. Ho trovato una radura, mi sono disteso sull'erba soffice e....ho aspettato. Deliziosa attesa di distensione nel silenzio interrotto solo dai rumori silenziosi della natura. Il tempo incerto mi ha indotto a proseguire e quindi, rinfrancato nello spirito ho di nuovo inforcato la bici e pian piano, in salita, sono arrivato a Claut, minuscolo borgo montano. E qui, poco prima dell'abitato, il praticello lungo le rive del torrente Settimana dove da ragazzino con genitori e parenti venivamo per degli indimenticabili pic-nic. Poi però invece che a Claut sono andato a Cimolais, poco distante, dove inizia la Valle del torrente Cimolais e la zona alpina seria. Nella valle si snodano tra l'altro bellissimi sentieri di ogni tipo, dalla passeggiata, alle vie attrezzate alle palestre di arrampicata piuttosto difficili.Insomma tanto ci sarebbe da descrivere e raccontare. Mi limiterò a sottolineare solo la diversità degli abitanti di queste zone rispetto a chi abiita la pianura: non solo caratteri fisici diversi, dialetto piuttosto diverso, più stretto che faccio fatica a capire e poi anche quella ruvidezza fin spigolosa tipica dei friulani di montagna che mai però dimentica cortesia ed ospitalità.Il ritorno è stato agrevolato da 24 km di discesa con sollievo delle gambe reduci da altrettanti km di fatica e poi pianura fino a casa.PS Ho inserito due foto di una stupenda torre di roccia, Il campanile di Val Montanaia a nord-nord-est di Cimolais per dare un'idea dell'ambiente alpino delle Dolomiti friulane. Sono arrivato diverse volte alla base, ma arrampicarmi! non sono capace.

Valle del Cellina SlideShow

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20 Luglio 2008

Friuli globalizzato

San Daniele del Friuli, a 15 km a nors-est di Spilimbergo, è una cittadina deliziosa patria del celeberrimo, squisito prosciutto. Il centro storico sorge su una colle ma l'area urbanizzata si è estesa. Della cittadina dirò un'altra volta, ma voglio raccontare di questa vicenda che ha un contenuto gastronomico.

Ebbene sono uscito con una amica molto simpatica con la quale mi trovo molto bene. E' ben più giovane di me. E' una persona viva, acuta con delle connotazioni di originalità; è rigorsamente vegetariana, ed è appassionata di culture orientali. Ha e pratica una sua filosofia di vita che la rende una persona trasparente e serena. Insomma, date le sue inclinazioni dietetiche, mi pare ovvio che sia lei a decidere la meta delle nostre spedizioni e stasera ha deciso per San Daniele dove, mi diceva,c'è una pizzeria poco discosta dal centro gestita da una famiglia libanese bravissimi piaazioli. Arrivati, il proprietario, Karim, ha salutato la mia amica calorosamente, mi ha presentato a questo giovane ristoratore simpatico, sorridente e dallo sguardo molto attento ed intelligente. Seduti, Karim ci ha detto che aveva qualche pietanza di cucina libanese, ma guardava me con aria dubbiosa. Figurarsi! Sono un curioso ed assaggio di tutto e quindi gli ho detto il fatidico "faccia lei come viole". E' stato contentissmo, la mia amica pure ed abbiamo aspettato chiacchierando.Insomma, mi sono scritto i nomi delle pietanze tutte squisite, leggere, fresche. Ed ecco il menù:

fatayer bi sabanek una sorta di involtini a triangolo fatti con il pane libanese ripieno di spinaci, cipolle a julienne, noci, semmeh (che mi son dimenticato di chiedere cosa sia e non sono riuscito ad individuare cosa fosse dal sapore), limone e pepe:

tabuli una freschissima insalata fatta di pomodori, prezzemolo, cipolla, grano, cipolla tutto tagliato a pezzi molto piccoli, condita con olio e limone;

kebbi polpettine di manzo con l'impasto arricchito di grano, pinoli, cipolla, e diversi tipi di pepe; le polpettine erano guarnite con crema di melanzane;

falafel deliziose polpettine fatte con un trito di ceci, fave, prezzemolo, cipolla e spezie varie. Ad accompagnare la tarator una salsina di sesamo, limone, aglio e sale;

a concludere dei dolcetti di mandorle, noci e fichi e qualche biscotto di sesamo.

Alcune pietanze le conoscevo ed altre no. Di certo ho trovato divertente ed riginale andare in una Pizzeria nella patria del prosciutto, in una zona che più tradizionale non si può e degustare un menù libanese.

Spiegava Karim (ma le ricette rifiuta di raccontarle) che ogni tanto prepara cibi della sua terra d'origine che però non riscuotono grande successo. E così abbiamo preso il telefono della Pizzeria per ritornarci. Se tanto mi dà tanto, la sua pizza deve essere all'altezza. Una bellissima passeggiata nel centro, in una serata gradevolmente fresca ha concluso una piacevole, tranquilla serata.

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27 Luglio 2008

Mentre i ceci sono in cottura

Già, ceci in cottura e non solo ceci perchè con stasera riprendo le cene con gli amici. Il lungo tempo di cottura, mi lascia il tempo per raccontare una piacevole mattinata trascorsa a Pinzano al Tagliamento, piccolo comune lungo il corso del fiume Tagliamento. Sono andato regolarmente in bicicletta. E' un comune carino, con qualche spunto interessante, ma il motivo è stato il visitare la mostra intitolata: (in piedi a dx nella foto) Enrico Peressutti: l'uomo, l'architetto, l'artista nel centenario della nascita".

Enrico Peressutti? Chi? Beh! la risposta è semplice: uno dei padri nobili del design e dell'architettura italiana. Da Pinzano, paese di poco più di un miglioio di anime. Per chiarire meglio cito l'acronimo BBPR di Milano che sta per GianLuigi Banfi, Lodovico Barbiano di Belgiosioso, ENRICO PERESSUTTI e Ernesto Nathan Rogers. Era lo studio di Architettura che questi 4 amici fondarono nel 1932. Tanto per dare il segno della loro levatura, sono stati i progettisti della celeberrima Torre Velasca un gingillo da 106 metri di altezza costruita a Milano tra il 1956 ed il 1958 (due anni 2!!!!!!!!!!).

Peressutti nasce dunque a Pinzano dove volle ritornare per il riposo eterno che iniziò poche ore prima del terribile terremoto del 6 Maggio 1976. La sua vita pare essersi svolta in maniera predestinata: questa terra, il Friuli è terra vocata per i costruttori e per le maestranze di eccelso livello che in tutta Europa hanno lasciato il loro segno. Già nel secolo XIX operava l'impresa, grandissima per quei tempi, del Conte Giacomo Ceconi di Montececon; ma anche il padre di Enrico, Giovanni Battista, era un costruttore che operava a Craiova, in Romania come Console italiano ma imprenditore edile di mestiere. Costruì il Municipio, la sede della Prefettura ed alcuni edifici dell'università. Enrico vive a Craiova dove frequente il liceo ma torna in Italia, a Milano per seguire il corso di laurea in Architettura titolo che consegue nel 1932. Ed ' durante gli studi che conosce quelli che saranno amici e colleghi della sua intera vita, una fortunata combinazione di talenti umani e professionali. Lavorare insieme a Banfi, Belgioioso e Rogers (triestino) fu comune, immediata scelta che partorì lo Studio BBPR. Peressutti era, nel gruppo, quello più vocato al disegno ed alla fotografia, nonchè uomo in cui la pratica architettonica si combinava all'interese culturale ed intellettuale per l'archtettura che originò studi e scritti sul razionalismo italiano ed analisi dell'opera di Le Corbusier con cui intrattenne una cordiale amicizia, ma anche l'entusiasmo per il tedesco Gropius. E' diffusa opinione nella stoair dell'architettura italiana che BBPR e Peressutti furono il primo caso italiano di capacità di vedere ed interpretare l'architettura con respiro europeo. La sua attività culturale è contenuta anche negli scritti sulle prestigiose riviste Domus e Quadrante senza dimenticare numerosi allestimenti della Triennale di Milano. Di questo periodo sono i progetti edilizi di Palazzo Feltrinelli a Milano, della Colonia elioterapica di Legnaco, della villa Morpurgo di Opicina, ma di grande rilievo innovativo è il piano regolatore di Aosta. E modernissimo ancor oggi è il progetto di "casa ideale" che Peressutti presentò alla VI edizione della Triennale di Milano .

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La guerra e la dittatura fanno il loro ingresso nella vita di Peressutti e dei suoi amici: Rogers, ebreo, ripara in Svizzera, Banfi e Belgioioso sono arrestati e deportati e Peressutti finisce in Russia dove manifesta il suo interesse artistico per l'umanità attraverso le sue bellissime fotografie, racconto esplicito di sofferenze, ma di gioie, vita, modi e luoghi del vivere. Le foto sono esposte nella Sala SOMSI del Comue di Pinzano. Meriterebbero una visita.

Rientrato in Italia, Peressutti a Milano viene chiamato nel C.L.N. (Comitato di Liberazione Nazionale) . Finisce la guerra, Banfi è morto assassinato nel lager di Mauthausen e Peressutti, Belgioioso e Rogers si ritrovano ma non muta il nome del loro Studio in memoria e ad onore dell'amico assassinato ed anzi a lui dedicano il piano regolatore di Milano a cui partecipano. L'attività è intensa, ad immaginare il decentramento delle industrie, la costruzione di nuovi quartieri e centri direzionali senza che si interrompesse l'attività culturale ed artistica di Peressutti che si concretizzò nela creazione di un monumento per gli italiani assassinati nei lager nazisti, gli indimenticabili allestimenti alla Triennale tra cui quella del 1951 "La forma dell'utile" primo esempio di mostra sull'industrial design". E' anche il periodo d'oro del Peressutti intellettuale, chiamato quale docente dal MIT di Boston, dalla Princeton University ma anche dalla Yale University ma è anche il periodo nel quale Peressutti si dedica molto al design prestando la sua opera per la SOLARI , prestigiosa azienda friulana ma anche per la celeberrima ARTEMIDE .

L'esperienza della guerra e l'amico perduto sono però nel suo cuore e nella sua memoria e per questo realizza il Mauthausen Memorial ed il monumento al deportato al Castello del Pio a Carpi .

Dovrò tornare per poter comprare il catalogo, ma è un peccato che immagini delle opere di Peressutti e del BBPR si trovino solo su testi specialistici ma non su internet. Ma questo nulla toglie al valore di Peressutti, il friulano Peressutti, conosciuto solo tra gli storici dell'architettura e dagli addetti ai lavori, ma arcinoto nelle terre dove è nato a dimostrare che tra gli altri, questa terra è quella che ama, ricorda ed onora anche i suoi figli, profeti in Patria.

24 Agosto 2008

Il Friuli che non ti aspetti: mitteleuropeo e mediterraneo

Le gite enogastronomiche in Friuli sono sempre come esplorare territori nuovi sicuri di scoprire nuovi scorci di natura ed incontrare uomini e donne che è un piacere conoscere e sono quelli che con la loro opera fanno sì che la natura e l'ambiente rimangano il più possibile incontaminati.Ed il Friuli rimanga Friuli.

Ebbene ricerca di olio perchè nella Venezia Giulia sulle colline che circondano Trieste a ridosso del mare, ci sono dei bellissimi oliveti dove prosperano le olive di cultivar Tergeste . E' un fatto noto. Meno noto e per me una scoperta che anche in altre zone della regione anche quelle dove uno riterrebbe impensabile l'ulivicultura almeno a queste latitudini. Ed infatti ho beccato per caso l'azienda agricola San Rocco collocata sui Colli Orientali del Friuli, patria di grandi vini a ridosso

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delle Alpi Giulie. Dalla mappa di virtual earth si vede il comprensorio nel quale l'Azienda San Rocco è situata, bellissimo e verdissimo. Intorno i graziosissimi centri di Attimis sede di un bellissimo Museo, Faedis le frazioni di Campeglio , Raschiacco costellati di castelli (vedi anche qui) restaurati o ancora diroccati. Questa zona era lungo la strad di collegamento che da Aquileia e passando per la vicina Cividale si dirigeva verso il Norico e quindi, a cavallo del millennio i Patriarchi di Aquileia concessero a varie famiglie nobili il diritto ad edificare opere a difesa contro le invasioni berbare. Questo lembo di Friuli, vicinissimo al confine sloveno ed al confine austriaco ha oggi acquisito sicurezza, certo, ma ha conservato molte delle connotazioni di tranquillità ed amenità che lo rendono meraviglioso. Meraviglioso per i panorami, la natura, i friulani, i vini e per alcuni agricoltori che hanno ripreso l'ulivicultura che qui fioriva e prosperava anche sotto l'impero asburgico. E molti sono i lasciti culturali e comportamentali che qui sono rimasti.

Questa è anche la terra dove forte è la memoria storica: Porzus, località in un bosco poco sopra Attimis fu il teatro dell'infame strage perpetrata da assassini appartenenti ai partigiani comunisti della Garibaldi che qui operavano sotto il comando dei titini jugoslavi contro i Partigiani della Divisione Osoppo. Una delle pagine di infamia che hanno macchiato la Resistenza. Qualcuno usa termini diversi da assassinio ma l'eccidio di Porzus so di poter affermare che fu un vigliacco schifoso assassinio degno dei più turpi ed infami sgherri e dei sicari sadici e vili nazi-comunisti.

L'azienda San Rocco è di proprietà di una nota famiglia udinese, una famiglia di antica origine e di solida tradizione di cultura, buon gusto e buon vivere: possiedono da oltre 150 anni il ristorante "alla vedova" delizioso rifugio per buogustai dove sono stato mille volte ignorando che il Sig. Gianni fosse anche un viticultore. La Struttura dell'azienda che si raggiunge per una stradina interpoderale tenuta come un'autobahn tedesca e circondata da vegetazione è bellissima, situata su uno spazio alla sommità del colle e si stende con un'ala su di una vicinissima struttura rocciosa diventando un "ponte" sotto il quale passa la via d'accesso alla casa. Il panorama è bellissimo, ameno, verdissimo, disegnato da migliaia di alberi di olivo e da una grande estensione di fiorenti vigneti nei quali ci si appresta alla vendemmia. E' il microclima, spiegava il Sig. Gianni che rende quella zona ideale agli ulivi ed ha sperimentato che il cultivar che meglio si adatta alla zona è la bianchera con la tergeste e la Casaliva. L'olio è lavorato in purezza a freddo e NON filtrato, ha un colore limone giallo-verde, lievemente fruttato, a bassissima acidità e sapore nitido, appena piccante e deciso ma non troppo "oleoso". Il guaio è che accanto al frantoio il Sig. Gianni ha la cantina e le botti. Ne aveva di Tocai, di Cabernet, di Merlot, ma anche di Pinot Nero e, sentite-sentite, di Gamay Noir à Jus Blanc. Tanto per spiegarmi è il vitigno dal quale nasce il Beaujolais Nouveau. Insomma, non essendo a lui possibile ha delegato u suo amico a tirar fuori i bicchieri e botte per botte abbiamo assaggiato letteralmente di tutto con entusiasmo, grande scrupolo e senza omettere assolutamente nulla. E, più bello di tutto, quest'uomo mi raccontava della sua vita tra Italia ed Africa ma mi parlava anche delle sue passioni e dei suoi mille interessi, dalla cucina al ristorante; dal vino ai safari i cui trofei (ahimè) sono alle pareti della casa; dalle auto d'epoca di cui ha una pregevole collezione, all'olio. E tutto senza supponenza alcuna, con la semplicità, la spontaneità ospitale tipicamente friulana. A comprovarlo, un bellissimo pergolato sotto il qualre troneggiavano due grossi tavoli di solido legno con regolamentari lunghe panche tanto grandi da farmi chiedere se facessero agriturismo. "No, no, mi diceva il Sig. Gianni, è per gli amici. Sa il sabato veniamo qui..." Su uno dei terrazzi della casa erano collocate una serie di sculture lignee davvero belle e delle sedie di cui pubblico una foto. Di nuovo, come un babbeo non ho portato dietro la macchina fotografica. E' un bon vivant questo Signore e, come in genere accade, anche il suo amico è dello stesso tipo, simpatico, vivo, pieno di iniziativa e vitale.

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Mi sono riempito la macchina spendendo un bel pò di soldini, ma la mattinata l'avrei spesa comunque volentieri a chiacchierare con persone così. Perfino senza olio né vino. Comunque, se devo confessare tutto, prima di rimettermi in macchina mi son fatto più di un'ora di passeggiata per smaltire. Se non lo avessi fatto, in caso di controllo con l'etilometro, mi avrebbero portato direttamente in gattabuia senza neppure farmi scendere dall'auto.

Attimis e Faedis SldeShow

13 Settembre 2008

In bici a Palmanova del Friuli

Le pianure friulane appartenevano alla Serenissima Repubblica di Venezia dagli anni 20 del 1400, anni nei quali si serano svolti eventi importanti nei balcani in seguito alle conquiste turche. Ed i turchi per ben 7 volte avevano compiuto profonde incursioni proprio nelle pianure friulane difese in maniera insufficiente dai presidi veneziani di Osoppo, Chiusaforte, Cividale, Gradisca, Marano lagunare alcuni obsoleti, altri inadeguati a sostenere l'urto delle nuove armi da fuoco. Udine era il solo grande centro fortificato in grado di accogliere popolazioni che qui potessero rifugiarsi con i loro averi ed il cibo necessario a sopravvivere.

Nell'anno 1500 i veneziani chiamarono Leonardo da Vinci perchè potesse studiare un piano di fortificazioni nella zona di Gradisca d'Isonzo, ma laver appreso il Senato Veneziano di impoinentoi piani di conquista turchi, indusse la Repubblica alla costruzione di una immensa città fortificata in grado di resistere e di essere rifugio sicuro per le popolazioni ed i loro averi. Furono convocati, dopo Leonardo, esperti architetti e militari tra i quali spiccava Giulio Savorgnan soprintendente generale ed attivo anche nella difesa dell'isola di Candia. Da qui l'idea e la realizzazione: nel 1593 ecco la fortezza di Palmanova, concepita come una città da guerra, un'arma potente contro i turchi, una fortezza con la forma di una stella a 9 punte. Al centro delle fortificazioni, la Piazza Grande a struttura perfettamente esagonale.

La città era ed è suddivisa in "borghi" e consente ancora oggi l'accesso ad essa attaverso 3 porte chiamate Aquikeia, Udine ed Aquileia in virtù delle loro direzione. tutte e tre le porte, per via indiretta sono attribuite all'opera dell'architetto vicentino Vincenzo Scamozzi . E' interessante notare che, alla fine del '600 furono realizzate delle controporte per motivi funzionali e di miglioramento della difesa attraverso laedificazione di rivellini .

Non mi era noto, ma Palmanova è l'antesignana delle città "stellate" che, ad imitazione furono costruite in Giappone come Hakodate o Usuda, Halifax in Canada, Hellevoetsluis nei Paesi Bassi o perfino Hue in Vietnam. Ma ce ne sono altre.

Vestigia e antichi palazzi amministrativi e militari sono sparsi funzionalmente nei vari borghi. Così ad esempio installazioni militari sono verso Borgo Aquileia o Borgo Marittimo come il Deposito delle monizioni, il Corpo di Guardia con la Polveriere e la Loggia; il Palazzo del Ragionato sede del

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Tesoriere a Borgo Udine piuttosto che le fortificazioni, i quartieri seicenteschi lungo la Strada delle Milizie ed il Museo storico militare in Borgo Cividale.

Vale la pena ammirare la Piazza Grande di forma esagonale, centro allora militare ed oggi economico e sociale. Qui sorgono il Palazzo dei Provveditori, il Duomo ma notevole è osservare che da qui si dipartono 11 strade ciascuna delle quali è segnalata da una statua che raffigura un Provveditore Generale della Fortezza.

Curioso che uno dei Tesorieri di Palmanova fu Giovan Francesco Sagredo scienziato dilettante amico fraterno di Galileo con cui studiò a Padova e che Galileo inserì come protagonista nel trattato Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo.

E' un tuffo nel passato, in un contesto nel quale si gode la serenità di un'atmosfera accogliente arricchita dal silenzio mosso solo dal mormorio delle voci, come se si fosse in altri tempi. E fortissima sarebbe la sensazione se non ci fosse la presenza delle auto parcheggiate. Ma la visita al Museo Militare che si snoda in varie sedi e comprende alcune fortificazioni estese in zone senza auto, il viaggio nel tempo diventa davvero realistico. E, credo che accentui questa sensazione la Rievocazione Storica del Vessilo, im memoria della fondazione della fortezza del 1593, realizzata la seconda domenica di Luglio con sfilate e manifestazioni in costume di cui ho pescato qualche foto. Un aspetto notevole è che Palmanova da città militare si è trasformata prima in centro commerciale ed oggi in centro prevalentemente turistico, riuscendo però a non perdere le sue connotazioni architettoniche ed urbanistiche cosa che va di certo a merito ed onore degli abitanti e degli amministratori.

Una bellissima gita in bicicletta fatta nella bella e verde pianura friulana ma sempre con la cornice delle Alpi imbiancate ben evidente. Il percorso si snoda, a partire da Codroipo lungo la cosiddetta Napoleonica .

Volendo ci si può allungare fino alla vicina Aquileia, ma Palmanova una giornata abbondante la merita tutta cosa che, tra l'altro, sarebbe allietata dall'ottima enogastronomia semplice, ma gustosa e di qualità di cui si può godere. Ad esempio la bellissima trattoria Le Campane d'Oro in Borgo Udine. Non ha un sito ma è deliziosa tanto nell'aspetto quanto nella sostanza dei cibi e delle bevande. Il comprensorio è agricolo e vitivinicolo, il che assicura prelibatezza e genuinità. Ne abbiamo goduto, ma quanto al bere, con assoluta, prudente moderazione per quanto spiacevole. E già! La Napoleonica è una strada stretta e non è consigliabile che la bicicletta ondeggi di qua e di là perchè il ciclista ha un pò ecceduto con l'ottimo Tocai della zona di Aquileia. Insomma, un centinaio di chilometri tra andata e ritorno, ma pianeggianti e facili, per me faticosi ma assolutamente giustificati dalla piacevolezza della gita e della compagnia.

Palmanova Slide Show

26 Gennaio 2009

Una tavolozza di…..formaggi

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Colli verdeggianti e boscosi, prati in quota, pascoli ricchi, alpeggi sempreverdi sono gli ambienti dove le mucche e gli ovini crescono sani e beati per produrre quel latte che, declinato in mille modi diversi fa del Friuli una formaggeria. Un arabesco di sapori, stagionature, consistenze, colori, lavorazioni; ogni valle ed ogni malga, ogni casera con la sua tradizione casearia e la sua peculiarità, il suo segreto. Ma sempre le mani esperte di cura e tradizione.

La zona della Carnia ad esempio, produce formaggi con due terzi di latte scremato con affioratura naturale della panna ed un terzo di latte intero, ma si fa anche il Sot la Trape che è formaggio tipo latteria posto in vasche e ricoperto di mosti non fermentati di uve locali. Squisito, di colore vinaccia, a pasta compatta e di sapore lievemente piccante.

Ma scendendo verso le zone della Val Tramontina c'è il Formai del Cit frutto della macinatura e della lavorazione di formaggio di Latteria o Montasio. E' un formaggio da mangiare fresco. Ma nel novero non può mancare il formadi Frant che nasce con lo scopo di utilizzare i formaggi non idonei alla stagionatura. E questi residui, vengono sminuzzati, impastati, amalgamati con latte o panna e conditi con sale e pepe. Ha un intrigante sapore dolce-salato assaggiato dopo 40/50 giorni di maturazione.

Ma quello più "curioso" è il formaggio Asìno. Gli asini ed il latte d'asina non c'entrano. Il nome deriva dal comune di Vito d'Asio in Val d'Arzino ma la zona tipica di produzione oltre a Vito d'Asio comprende anche Clauzetto e, nonostante sia in pianura, Spilimbergo. Non vi tedio con il procedimento di produzione, dico solo che ad un certo punto della lavorazione questo formaggio viene posto in grandi tini che contengono le salmueries, una sorta di salamoia, una antica miscela di latte, panna d'affioramento e sale il tutto dosato secondo metodi che oramai pochi conoscono. Si ritiene che fosse un antico metodo di conservazione il bagno in questa salamoia. La peculiarità di questa salamoia è che non va mai rifatta perchè si rigenera accogliendo le successive lavorazioni. Un caseificio di Spilimbergo, Tosoni, che tra l'altro annesso al caseificio ha un negozio semplicemente delizioso, sostiene che le sue salmueries hanno più di 200 anni. Non ho motivo di dubitarne, ma poco conta perchè il suo formaggio Asìno insieme agli altri e semplicemente superbo, sia nella versione classica che a pasta morbida.

Siccome in Friuli, giustamente hanno amore e rispetto per le loro tradizioni e la cultura, hanno fatto ricerche trovando citazioni del formaggio Asino ad esempio in una pagina dell'opera Rerum Foroiuliensium nel 1659 delo storico Palladio ove si legge: “qui Asinum vocant ab Aso pago …” (che chiamavano Asìno dal paese Asio). dello storico Palladio . Del 1749 invece è il documento nel quale il vescovo di Concordia si preoccupava di assicurarsi una cospicua scorta di As'no, a dimostrare le buone abitudini curiali; e successive più frequenti citazioni sui prezzi in un documento del 1775 e d altre notizie in documenti dei primi anni del secolo XIX.

Per la verità l'argomento richiederebbe molto più spazio e tempo per dare un panorama meno frammentario, ma sul tema ci tornerò, man mano che i miei assaggi proseguono per tipologia e zone di produzione che richiedono rigorosamente pernottamento in loco. E già! perchè con il formaggio va il vino per comandamento divino e magari anche un pò di salame con l'aglio e con la faccenda dell'etilometro non vorrei essere beccato e sbattuto direttamente in gattabuia.

Di seguito, le immagini del carinissimo calendario 2006 del caseificio Tosoni, che ha come tema "le vacche ad Udine (da Gennaio a Giugno)e Spilimbergo (da Luglio a Dicembre)". A seguire alcune vedute di Monti, boschi, prati e paesi da formaggio.

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Friuli formaggiero SlideShow

31 Gennaio 2009

Profeta in Patria

Non è la prima volta che sostengo che il Friuli Venezia Giulia è una regione che cerca di valorizzare i suoi figli meritevoli ed altrettanto aviene nelle città come nei paesini. A maggior ragione questo accade se il valore ed i meriti di un uomo sono unanimemente riconosciuti non solo dal Friuli Venezia Giulia ma dalle regioni limitrove di Carinzia e di Slovenia come nel caso di Julius Kugy.

Carneade? Beh! fuori dal Friuli forse, ma se chiedete ad un appassionato di montagna e di scalate, vi racconterà parecchio di quest'uomo noto anche come il poeta delle Giulie intendendosi le Alpi Giulie.

Ma cominciamo dall'inizio. Julius Kugy nasce a Gorizia nel 1858 dall'austrico di lingua slovena Pavel e da madre goriziana. Dopo una parentesi in Carinzia, la famiglia si trasferisce a Trieste dove Julius rimarrà fino alla morte nel 1944. La famiglia Kugy è agiata, Il padre di Julius gestiva una prospera attività di importazioni-esportazioni ciò che consentì a Julius un percorso di studi fino alla laurea, ma di più gli consentì di vivere dando pieno sfogo alle sue tantissime passioni. Ed erano tante, a sottolineare che, almeno nelle classi abbienti, il cosmopolitismo, l'intellettualità, la cultura erano tutti valori consolidati e praticati. Julius Kugy già dai soggiorni in Carinzia aveva maturato una sfrenata passione per la natura e per la montagna sicchè, oltre che alla musica si dedicava alla botanica ed all'escursionismo alpinistico specie nelle Alpi Giulie, sue spose per tutta la vita.

Era un uomo perseverante Kugy. Non mollava mai. A dimostrarlo, la storia della scabiosa trenta, mitico fiore che gli fu disegnato dall'insegnante di botanica e che lui cercò per decenni nelle sue peregrinazioni fino a doversi convincere che non esisteva. Oppure la venticinquennale vicenda delo studio della via diretta per scalare il Montasio dalla parete Nord culminata il 23 Agosto del 1902 dopo una rischiosissima e sfibrante ascesa con il suo grande amico Oitzinger, una guida alpina di Camporosso.

Kugy era un fulgido esempio di mitteleuropeismo cosmopolita fatto di sensibilità e cultura, innovazione e curiosità intellettuale, modernità e valori. E mitteleuropeo suddito dell'impero asburgico Kugy lo era pienamente, tanto che a 57 anni, allo scoppio della I Guerra Mondiale si arruolò nell'esercito dove rese preziosi servigi con la sua meticolosa conoscenza delle zone di guerra montane. Si dice che Kugy fosse un uomo dal difficile carattere, forse persino un pò presuntuoso ma soprattutto un comsopolita trilingue ma innamorato dell'impero asburgico e convinto dei suoi doveri verso di esso, come tipico della cultura germanica. Quando si arruolò volontario, affidò la sua ditta ad un collaboratore e andò in guerra. Scrisse “che si sappia che, senza esitare, ho messo al servizio della patria morente il sangue e gli averi, la salute e la vita; che tenni duro, forte e fedele, finché crollò moribonda, come i leoni di bronzo feriti a morte, sul Predil e a Malborghetto. E si sappia che non fui mai nei comandi di tappa, bensì al fronte per tre anni interi senza la minima interruzione”. Ma l'asperità del carattere non gli impediva di amare la

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natura e gli animali, aveva una marmotta in giardino quasi addomesticata ed un cane, dottor Toni, che incontrò per caso nei pressi di un caffè. I suoi amici erano musicisti, sclatori, naturalisti, botanici e soci delle Società Alpinistiche dell'impero e delle alpi Giulie.

Ma questa conoscenza Kugy ce l'ha trasmessa nei suoi tanti libri: Dalla vita di un alpinista, Tricorno. Cinquecento anni di storia, La mia vita nel lavoro, per la musica, sui monti, Le Alpi Giulie attraverso le immagini e l'ultimo del 1943 Dal tempo passato.

A lui dobbbiamo anche la descrizione dei viaggi in treno compiuti tra Trieste e Travisio. La ferrovia data 1842 ed era un'opera di stupefacente ingegneria per aver superato immense difficoltà di percorso tra gallerie, ponti e arditi viadotti. Ma è un esempio da manuale di ambientalismo sia pure involontario: ogni manufatto era quasi invisibile ovvero ben inserito nei superbi panorami per esser fatto di legno e pietre trovati sul posto. Ma il treno era anche un'occasione di incontro ed un luogo ideale ove esercitare l'arte della conversazione nei lussuosi scompartimenti ammirando nel contempo i meravigliosi panorami sempre mutevoli e sempre da incanto. Su alcuni percorsi ferroviari si eseguiva musica. Perfino il prolifico Strauss scrisse Vernunggugs Zug, una polka per pianoforte apposta per l'esecuzione durante i viaggi in treno.

Molte sono le via montane e le ferrate aperte da Kugy e molto della natura e dei paesaggi delle Alèpi Giulie è stato reso noto e divulgato da questo strano personaggio che non rinnegò mai la sua matrice germanica, a costo di un pò di ostracismo che, con l'evoluzione della guerra determinò profonda avversione al nazismo ed a tutto ciò che era "germanico" seppur mai nazista. E Kugy germanico era e si sentiva. Per fortuna accade anche che si recuperi la dirittura morale di un uomo, ed i suoi meriti al di là della sua cultura. E questo per Kugy è avvenuto ed è avvenuto ad opera del Friuli Venezia Giulia, della Carinzia e della Slovenia che gli ha dedicato un francobollo. E nelle zone delle alpi Giulie, da Tarvisio a Malborghetto-Valbruna, a Caporosso oltre alla vie Kugy, la memoria di Kugy è ben viva. Ed è viva la sua memoria in ogni vero appassionato della montagna.

Ecco come mai, per una volta si è smentito il detto "nemo propheta in patria".

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1 Febbraio 2009

La giornata FAI in Friuli ed i Longobardi

Da tempo alcuni lasciti monumentali dei Longobardi sparsi in Italia, sono stati candidati presso l'UNESCO per divenire 'patrimonio dell'umanità'. I siti che accolgono i monumenti candidati, sono 6 ed uno di essi è il Tempietto Longobardo di Cividale del Friuli (N.B. Il sito consente una deliziosa visita virtuale. Quando in alto nella finestra ci compare l'avviso che il sito sta scaricando un componente Active X, cliccate SI'. IL SITO E' SICURO).

E ieri Cividale è stata la mia meta. Avevo già raccontato di Cividale ma vale la pena riparlarne per esprimere apprezzamento al FAI che oggi ha voluto includere le meraviglie di questa cittadina nella

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sua giornata, ma ancor più esprimere gratitudine a coloro che stanno impegnando il loro tempo ed il loro ingegno per ottenere che sei perle della civiltà dei Longobardi in Italia vengano dichiarate patrimonio dell'umanità. La novità è che è una candidatura in rete nel senso che geograficamente questi monumenti sono sparsi in Italia ma accomunati dala comune matrice Longobarda. Oltre a diversi Enti ed Istituzioni, si stanno spendendo molte donne, tutte facenti parte dell'Inner Wheele tra le quali (ebbene sì! sono in conflitto di interssi) la mia cara sorellina. Ma mi piace lo spirito che le anima. I dettagli del progetto, sono visibili sul sito Italia Langobardarum Leggete cosa c'è scritto nel documento di presentazione di questa iniziativa che hanno voluto chiamare Sulle orme dei Longobardi Candidatura WHL UNESCOProposta di Dichiarazione di Eccezionale Valore UniversaleI “barbari” Longobardi, dopo il loro arrivo in Italia, svolsero un ruolo fondamentale nell’età di transizione tra il mondo antico e quello medievale, periodo cruciale per la storia europea nel quale hanno avuto inizio la gran parte delle attuali nazioni.Nello scontro - incontro tra culture che si attuò sul territorio italiano dopo il loro nsediamento, i Longobardi, acquisirono e codificarono gli aspetti fondamentali della cultura tardo-antica, assicurandone la continuità e la trasmissione alla successiva età carolingia, che li rielaborò gettando le basi della cultura occidentale.Lo straordinario processo di integrazione culturale, derivante da esperienze locali e da apporti di aree mediterranee ed orientali, si può cogliere in maniera straordinaria nelle espressioni artistiche della tarda età longobarda e trova la sua massima espressione, in termini di unicità e di eccezionalità, nei monumenti di Cividale, Brescia, Castelseprio, Spoleto e Campello, Benevento.Il portato culturale longobardo si manifesta inoltre nella dimensione europea assunta dal culto micaelico a Monte Sant’Angelo nel Gargano - che influenzò la caratterizzazione e la diffusione della devozione per il santo in Occidente e definì un modello tipologico degli insediamenti santuariali per tutto il Medioevo – e nell’importante opera di trasmissione dei testi antichi, che si attuò nei monasteri fondati o rilanciati dai Longobardi.' .

Non mi rimane che proporvi le slide dei sei monumenti

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29 Marzo 2009

Friaulisch Kosakenland

Fu solo nel secolo XVII che i Cosacchi, popolazione delle zone intorno al fiume Don furono sottomessi dallo Zar di tutte le Russie. E fu questi che concesse loro le vaste regioni dove già abitavano consentendo loro di autogovernarsi, entro certi limiti. Il tutto in cambio di prestazioni militari. Si calcola che oltre 300.000 cosacchi sui 4.500.000 stimati all’inizio dell’1900 erano in armi. Allo scoppio della rivoluzione bolscevica, non come popolazione ma come individui a migliaia si arruolarono nelle truppe controrivoluzionarie e dopo la vittoria comunista, pagarono duramente con la negazione di ogni autonomia e l’assimilazione forzata.

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Credo che furono i soli nell’Europa precipitata in guerra a scegliere in gran numero di affiancarsi all’esercito nazista nelle cui file si batterono tanto decisamente che ricevettero la promessa di vedersi restituire la patria dai nazisti. Accadde nel 1943 ad opera di Alfred Rosenberg ministro nazista dei territori occupati e del Feldmaresciallo Keitel al vertice dell’esercito nazista e impegnava i nazisti a lasciar tornare i cosacchi nella loro terra o, se questo fosse stato impossibile, li impegnava ad assegnar loro un territorio dove potessero insediarsi come fosse loro. Dopo la terribile sconfitta di Stalingrado, le armate naziste cominciarono a ritirarsi verso occidente e con loro gli alleati. I cosacchi famiglie, armi e bagagli al seguito in massa si misero in viaggio verso Occidente. E ai cosacchi in ritirata, durante il percorso si aggregarono civili in fuga e profughi decisi a scampare al ritorno dei Russi. Tutta questa varia umanità peregrinò a lungo in vari paesi dell’Europa orientale. Qui comincia il percorso che ci interessa. In Friuli, occupato dai nazisti ed inglobato nel Gau Alto Adriatico

essendo stato acquisito nel Reich, era viva e forte la Resistenza dove su diversi fronti politici ma tutti contro i nazisti, italiani e jugoslavi si battevano. Il Friuli era una regione strategica per i tedeschi: dopo il Brennero la seconda porta d’accesso al Reich vitale per i rifornimenti. Ma anche porta verso i balcani. Ed accanita fu la lotta di nazisti e repubblichini contro i partigiani che però alla fine del Luglio del 1944 avevano liberato un’area di circa 2.500 kmq costituita in "Zona libera della Repubblica della Carnia e Prealpi", Stato con sede ad Ampezzo . Fu il primo episodio di zona libera, prima e più a lungo della Repubblica di Ossola . I nazisti in difficoltà di mezzi ed uomini non potevano comunque

accettare la situazione per ragioni politiche e soprattutto militari s trovarono la soluzione utilizzando i Cosacchi. Se ne sbarazzarono onorando la loro promessa ‘regalando’ loro il Friuli come patria sapendo che avrebbero contribuito a lottare contro i partigiani tenendo libera la linea di comunicazione verso il Reich. Era quello che i nazisti chiamarono Nord Italien Kosakenland. Verso la fine di Agosto del 1944 decine di convogli ferroviari scaricarono in Carnia decine di migliaia di Cosacchi con famiglie e masserizie. Ai primi 20.000 ne seguirono man mano altri sicchè nella primavera del 1945 erano oltre 40.000 con 6000 cavalli e perfino 50 cammelli oltre a famiglie, suppellettili ed armi. Gli abitanti italiani di quelle terre erano 60.000. Si può quindi immaginare il peso materiale e morale che i carnici dovettero subire di fronte ad un’ondata tanto massiccia di nuovi padroni I militari cosacchi erano inquadrati in due divisioni: una di cosacchi del Don e l’altra caucasica. Già dall’Ottobre 1944 insieme a nazisti e repubblichini presero parte alla riconquista della zona libera ed alla repressione. Era l’operazione Waldläufer che culminò con la fine della zona libera, la morte di centinaia di partigiani e violenze ed efferatezza contro la popolazione civile. Ma cominciò anche la ‘cosacchizzazione’ della Carnia. Di religione cristiano ortodossa l cosacchi del don e musulmani i caucasici, organizzarono la zona e la vita di tutti secondo le loro leggi, i loro usi ed i loro costumi. I cosacchi si installarono nelle case dei friulani della Carnia dando inizio ad una convivenza ravvicinata e forzata che in alcuni casi, come nel piccolo comune di Verzegnis ad esempio fu meno difficile che altrove. Qui infatti c’erano moltissimi dei civili che si erano aggregati ai cosacchi in ritirata. Ma non mancarono episodi di violenza, sopraffazione, ruberie e razzie. Soprattutto divenne difficile vivere per l’organizzazione che i Cosacchi posero in essere con documenti scritti in caratteri cirillici, posti di blocco, coprifuoco . Ed imposizione del loro modo di vita. Piccola notazione a margine. Nella casa paterna di Cip e Ciop erano alloggiati due Cosacchi del don che, raccontano, si comportarono correttamente.

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In Friuli comunque la Resistenza non cessò mentre gli eserciti alleati risalivano l’Italia ed i nazisti si ritiravano e nella tarda primavera del 1945 i Cosacchi cominciarono di nuovo a ritirarsi attraverso il Passo di Monte Croce Carnico giungendo al fiume Drava dove si accamparono con l’intenzione di consegnarsi agli inglesi. Il loro comandante, Generale Krasnov fidava negli inglesi che avevano appoggiato all’epoca i russi

bianchi contro i bolscevichi. Ma Krasnov ignorava gli accordi di Yalta. Era stato infatti stabilito che i prigionieri fi ogni nazionalità sarebbero stati restituiti al paese di appartenenza. E nel caso dei cosacchi questo, nel migliore dei casi significava gulag o le inumane famigerate miniere di piombo lungo il fiume Kolyma. Gli inglesi, di fatto convocarono a Spittal in Austria gli ufficiali Cosacchi e li arrestarono e poi le riconsegnarono ai russi. Ed i russi a loro volta riconsegnarono i prigionieri alleati che i nazisti avevano deportato nell’Est Europa. Stessa sorte subirono soldati e civili polacchi che furono internati nei gulag ad eccezione di alcuni che tentarono di fuggire venendo uccisi nelle acque della Drava. Circa 10.00 tra cosacchi e russi, per la maggior parte civili ed ucraini di nazionalità polacca rimase inizialmente in Friuli, furono

raccolti prima ad Udine e poi in un campo a Roma dal quale molti partirono per paesi esteri. Nel 1947 il generale Krasnov, nemico dei bolscevichi e filo zarista fuggito in Germania sin dal 1920 fu giustiziato dai russi. La lunga mano e la lunga memoria del dittatore Stalin avevano vinto. La storia è molto più complessa, come è evidente. Ho voluto darne cenno per il ricordo che casualmente Cip e Ciop ne hanno fatto. Mi piace ricordare che nel solco della grande e terribile storia accadono avvenimenti piccoli, talora poco noti o dimenticati che oggi solo i vecchi ricordano. Per fortuna di questa terra non è così. Qui, senza tante storie, tengono al loro passato, hanno cura ed amore delle loro tradizioni e non poche persone raccontano o scrivono anche delle piccole ma umanissime vicende di cui sono stati o sono protagonisti o testimoni o anche ‘solo’ studiosi Nel caso della piccola grande Storia della Carnia e del Friaulisch Kosakenland prezioso è il libro Stanitsa Tèrskaja l’illusione cosacca di una terra Gaspari Editore scritto con passione da Patrizia Deotto docente presso il dipartimento di slavistica dell’Università di Trieste. Mi piace citare anche il bellissimo ‘pezzo’ scritto da Claudio Magris ‘La maledizione dei cosaccji scritto oramai 15 anni fa sul Generale Krasnov e che vale la pena di leggere.

8 Agosto 2009