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1 Il tuo volto io cerco Venite e vedrete! Incontrare gesu’, diventare dei suoi! 2.3

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Il tuo volto io cerco

Venite e vedrete! Incontrare gesu’, diventare dei suoi! 2.3

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Realizzato dalla commissione 17-19enni - CPG Editing Meme Pro Manoscritto

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L’intera opera:

1.1 LA CASA SULLA ROCCIA Cerco fatti di Vangelo Schede per incontrare una Chiesa che crede e per sporcarsi le mani insieme

1.1.1 Li amò sino alla fine, nella vita quotidiana 1.1.2 Si cinse un’asciugatoio, nel mondo della solidarietà 1.1.3 Fatelo anche voi, nella vita parrocchiale 1.2 LA CASA SULLA ROCCIA

Vangelo da Vivere (2007) 1.2.1 Ne costituì dodici, proposte per esperienze di vita comunitaria 1.2.2 Stare con Lui, proposte di momenti di preghiera e di educazione alla preghiera 1.2.3 Per mandarli, proposte di formazione alla testimonianza e al servizio di animazione 2.1 IL TUO VOLTO IO CERCO

Che cercate? Credere? E in cosa? 2.1.1 Almeno credo! In chi e in cosa credono i giovani oggi 2.1.2 C’e’ qualcosa che conta veramente? L’influenza del relativismo culturale oggi 2.1.3 Un posto nel mondo. L’identità personale e trascendenza oggi 2.1.4 Quale uomo? L’immagine di Dio e dell’uomo nelle religioni 2.2 IL TUO VOLTO IO CERCO Maestro dove abiti? Da una fede ricevuta…alla fede in Gesù 2.2.1 Credere oggi: in questa età, in questo tempo 2.2.2 Io ti battezzo: Dalla fede ricevuta alla fede scelta 2.2.3 Il caso Gesù : la storia e le interpretazioni 2.3 IL TUO VOLTO IO CERCO

Venite e vedrete! Incontrare Gesù, diventare dei suoi! 2.3.1 Un tipo così: l’umanità di Gesù 2.3.2 Con un suo segreto: Gesù e il Padre 2.3.3 Con le sue idee: il senso della Vita 2.3.4 Con un suo stile: …in concreto 2.3.5 Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù 2.3.6 Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto 3.1 VIVERE DA FIGLI

Figli del Padre, riscopriamo la vita, riscoprendo il Padre Nostro (2007) 3.2 VIVERE DA FIGLI

Uno Spirito da figli, mossi dentro dallo Spirito (2007) 4.1 IL SALE DELLA TERRA,

Sussidio personale per seguire Gesù con il Vangelo secondo Marco 4.2 COMPAGNI DI VIAGGIO, sussidio personale per un cammino spirituale

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Venite e vedrete! Incontrare Gesu’, diventare dei suoi!

2.3 L’ incontro con Gesù non chiede di mettere da parte i nostri desideri, anzi li provoca: «Che cercate?». Gesù annuncia un mondo nuovo, il suo regno: egli annuncia, oggi, che il regno di Dio è presente, inaugura un nuovo rapporto tra Dio e gli uomini, manifesta da parte di Dio un'inaudita volontà dì perdono e dì riconciliazione, propone un'alleanza dì amicizia e dì vita con lu. L’invito è ora a conoscere più a fondo la proposta di Gesù, a conoscere più da vicino lui stesso come persona. Scopriremo così che sì può cambiare questo mondo e che vivere come Gesù non solo è possibile, ma riempie di senso. Il suo messaggio e la sua vita sono qualcosa che possono ancora interessarci? Ha detto parole per gente d'altri tempi, ha fatto miracoli per qualche fortunato, è stato osannato e poi ripudiato. In che misura tutto ciò ci riguarda? «Venite e vedrete», ha detto Gesù ai due discepoli e ripete oggi a noi. Fare esperienza di lui significa poter scoprire che i nostri desideri non sono pretese, ma possibilità, alle quali è già promessa, in lui, realizzazione. (Catechismo dei giovani 2, p. 45) Gesù. Ok, ma cosa significa essere cristiani? Cosa comporta? Questo sussidio vuole aiutarti a entrare nell’intimità di Gesù e nelle scelte di coloro che, da 2000 anni a questa parte, hanno deciso di essere dei suoi. Un’avventura affascinante, di grande portata. Di certo un incontro di quelli che non può lasciarti indifferenti! Dopo essere entrati in maniera diretta, nel sussidio precedente, dentro la vicenda di Gesù e dentro le fonti della fede cristiana, in questo sussidio prediligeremo l’approccio esistenziale all’incontro con Cristo. Cercheremo di mettere in luce gli aspetti originali dell’insegnamento e della prassi di Gesù, così come i testimoni della sua vita hanno potuto sperimentare.

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Venite: ci avvicineremo a Gesù, alla sua intimità e profondità interiore Vedrete: come l’incontro con Lui è capace di cambiare la vita. Un approccio che non pretende di essere esaustivo e totalizzante, ma che permetta di cogliere la rilevanza della scelta cristiana nella vita di tutti i giorni. 1. Ogni scheda sarà introdotta da un “ouverture”:

una pennellata che permetta di intuire il lineamento del volto di Gesù che sarà tratteggiato nella scheda

2. Ci sarà poi una sorta di “introduzione metodologica”, che aiuta a capire come è stato scelto e come poter usare i passi del vangelo che sono proposti.

La sequenza pedagogica scelta nelle attività proposte e parte delle riflessioni bibliche, sono direttamente ispirate alla fortunata collana di sussidi diocesani per la catechesi degli adulti (per il permesso dell’utilizzazione dei quali ringraziamo l’ufficio catechistico diocesano), opportunamente adattate alle esigenze dei ragazzi. L’evangelista Giovanni annota che i due discepoli “andarono dunque e videro dove abitava e si fermarono presso di lui”. Tre verbi che vorremmo diventassero i “tre momenti” di ogni scheda che sarà proposta: 3. Andarono, proiezione “fase proiettiva”:

la dimensione esperienziale ed evocativa. In base al tema indicato dalla scheda stessa, i ragazzi sono invitati, attraverso proposte di vario tipo, ad esprimere il loro pensare, sentire, vivere. Scopo di questa fase è far emergere gli “impliciti”, ovvero gli schemi mentali ed esistenziali che normalmente funzionano nella vita dei ragazzi.

4. Videro, “analisi”: la dimensione contemplativa dell’entrare nella

Parola. È l’approfondimento di un brano evangelico che mette a fuoco l’originalità di Gesù, della sua prassi e del suo insegnamento. L’essenziale è porre i ragazzi in contatto con l’unicità e originalità degli schemi di Gesù, lasciarsi illuminare dal Vangelo, per intuire le esigenze e le possibilità diverse di vita, che comunque il Vangelo è capace di suscitare.

5. Si fermarono, “riappropriazione”: la novità di vita che nasce

dallo stare con il Signore. È una proposta che permette di far diventare vita vissuta le fasi precedenti, volta a far cogliere la novità cristiana possibile a partire da essa. È la fase più delicata ed entusiasmante: cercare, mostrare e trovare le novità concrete che il Signore risorto rende possibili nella vita di ciascuno.

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Cercasi Gesù Quali “segreti” di Gesù proveremo a penetrare? La vita stessa di Gesù diventa lo “schema” di riferimento del sussidio, che propone sei sottolineature, e per ciascuna di esse diversi temi e brani evangelici di riferimento: 2.3.1 Un tipo così: l’umanità di Gesù

La notizia sconvolgente della fede cristiana è l’Incarnazione: “Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo, ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato” (Gaudium et Spes 22); guarderemo, quindi, alcuni aspetti tipici dell’essere uomo, così come Gesù li ha vissuti.

2.3.2 Con un suo segreto: Gesù e il Padre ’originalità della predicazione di Gesù era basata sulla sua stessa esperienza personale: il sentirsi profondamente figlio di un Dio che è Padre; un Padre tenero, misericordioso, paziente, longanime, che guarda agli uomini non come servi che devono obbedire, ma come figli amati.

2.3.3 Con le sue idee: il senso della vita Gesù ha insegnato, con discorsi e soprattutto con parabole: ha cercato di mostrare il vero senso della vita davanti a una generazione che l’aveva smarrita; ha predicato, ha ammonito, soprattutto ha interrogato e aiutato a trovare le risposte nel cuore di un Dio che è amore.

2.3.4 con un suo stile: …in concreto Ha chiamato dei discepoli a sé e li ha invitati a seguirlo, indicando loro, chiaramente, le esigenze radicali e nuove implicazioni di grande importanza. Si è fatto maestro per indicare i valori e l’etica nuova che nascono dall’accoglienza del Regno di Dio.

2.3.5 Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù Ha incontrato persone, accogliendole per quello che erano, mostrando loro l’amore di Dio, rendendo possibili svolte di quelle…”che ti rovesciano come un calzino”

2.3.6 Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto Il Padre lo ha risuscitato: la sconfitta della morte è stata sconfitta. Gesù è ancora vivo, posso incontrarlo ancora, tutto ciò che Gesù ha detto e fatto è vero, le sue parole e i suoi gesti sono ancora efficaci.

Al termine del sussidio troverete una traccia di celebrazione.

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Un tipo così: L’umanità di Gesù

2.3.1 Ouverture “Con l'incarnazione il Figlio di Dio si è unito, in certo modo, ad ogni uomo. Ha lavorato con mani d'uomo, ha pensato con intelligenza d'uomo, ha agito con volontà d'uomo, ha amato con cuore d'uomo. Nascendo da Maria vergine, egli si è fatto veramente uno di noi, in tutto simile a noi fuorché il peccato” (Gaudium et Spes 22). Dal Vangelo secondo Giovanni

In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era in principio presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui, e senza di lui niente è stato fatto di tutto ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l'hanno accolta…. E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi; e noi vedemmo la sua gloria, gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità.

L’errore oggi più diffuso è affermare l'umanità di Gesù e negarne invece la divinità, ma anche l'errore contrario non è meno grave. La divinità di Gesù si è manifestata a noi proprio attraverso la sua umanità. «Chi ha visto me ha visto il Padre», dice Gesù a Filippo (Gv 14,9). Filippo vede un uomo in carne ed ossa che parla in aramaico, con l'accento della Galilea: ma è quell'uomo che egli deve scorgere la presenza del Padre. Non si può rispondere alla domanda su chi è Gesù, se non si incontra anzitutto il suo modo concreto di essere uomo. A rivelarlo come inviato da Dio potevano bastare i miracoli, ma per rivelare la novità inaspettata del suo essere Figlio di Dio occorreva la precisa vicenda umana che egli ha vissuto, senza dire che conoscere Gesù nella sua umanità, significa conoscere un progetto di umanità: come l'uomo deve essere per corrispondere al piano di Dio, come deve vivere per essere in mezzo ai propri fratelli la trasparenza di Dio. Gesù è la verità di Dio e dell'uomo. (Catechismo dei Giovani 2, pag 109)

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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica 457 Il Verbo si è fatto carne per salvarci riconciliandoci con Dio: è Dio « che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati » (1 Gv 4,10). « Il Padre ha mandato il suo Figlio come salvatore del mondo » (1 Gv 4,14). « Egli è apparso per togliere i peccati » (1 Gv 3,5): 458 Il Verbo si è fatto carne perché noi così conoscessimo l'amore di Dio: « In questo si è manifestato l'amore di Dio per noi: Dio ha mandato il suo unigenito Figlio nel mondo perché noi avessimo la vita per lui » (1 Gv 4,9). « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna » (Gv 3,16). 459 Il Verbo si è fatto carne per essere nostro modello di santità: « Prendete il mio giogo su di voi e imparate da me... » (Mt 11,29). « Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo di me » (Gv 14,6). E il Padre, sul monte della trasfigurazione, comanda: «Ascoltatelo » (Mc 9,7). In realtà, egli è il modello delle beatitudini e la norma della Legge nuova: « Amatevi gli uni gli altri come io vi ho amati» (Gv 15,12). Questo amore implica l'effettiva offerta di se stessi alla sua sequela. 460 Il Verbo si è fatto carne perché diventassimo « partecipi della natura divina » (2 Pt 1,4): « Infatti, questo è il motivo per cui il Verbo si è fatto uomo, e il Figlio di Dio, Figlio dell'uomo: perché l'uomo, entrando in comunione con il Verbo e ricevendo così la filiazione divina, diventasse figlio di Dio ». « Infatti il Figlio di Dio si è fatto uomo per farci Dio ». L'unigenito [...] Figlio di Dio, volendo che noi fossimo partecipi della sua divinità, assunse la nostra natura, affinché, fatto uomo, facesse gli uomini dei ». Introduzione metodologica Questa serie di incontri ha come obbiettivo quello di dare una panoramica di Gesù, dei suoi tratti più umani. Nel vedere come Dio ha voluto farsi uomo, scorgere nella sua vita sentimenti, emozioni, situazioni che ogni persona si trova a vivere. Il filo conduttore che lega questi incontri è la creazione di un album fotografico, in cui vengono messi a confronto alcuni tratti umani di Gesù e gli stessi tratti vissuti dai ragazzi. La scelta dell’album risponde all’esigenza di creare qualcosa di concreto su cui i ragazzi possono lavorare; due sono le chiavi di lettura che questa metodologia mette in luce: o Il fatto che Gesù è unico, ma dice a ciascuno di noi qualcosa di personale e soggettivo (di

fianco alla pagina dell’album che parla di Gesù, i ragazzi attaccheranno foto e scriveranno commenti personali)

o I tratti umani che si è scelto di mettere in luce sono: NASCITA ED INFANZIA – TENTAZIONI – SENTIMENTI – VOCAZIONE. Come si può notare questi tratti partono da un fatto storico e oggettivo vissuto da ciascuno (la propria nascita) fino ad arrivare alla presa di coscienza che è necessario interrogarsi sulla propria vocazione, passando attraverso l’analisi dei sentimenti che ognuno vive.

Il compito dell’animatore sarà quello di procurare un album fotografico vuoto e di preparare per ogni incontro la facciata di sinistra (quella che riguarda Gesù) con il titolo dell’incontro, un’immagine e tratti dei brani di Vangelo di riferimento. La facciata di destra sarà invece completata al gruppo, secondo le istruzioni riportate per ogni incontro.

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Fase proiettiva

I giardini dell’eden Di Alessandro d’Alatri – Medusa, 1998

Apre l’intera tappa la visione del film “I giardini dell’Eden”, che aiuterà ad entrare nell’argomento, dando una visione

generale della vita di Gesù e della sua umanità. Soggetto: In Galilea, il piccolo Jeousha si prepara ad affrontare il momento più importante nella vita di un adolescente, ossia il Bar Mitzwah, il rito di ingresso nel mondo degli adulti. Si reca così a Gerusalemme, accompagnato da altre famiglie del suo villaggio e dal cugino e coetaneo Johannan. Nel tempio, Jeousha impressiona i saggi per la sua sensibilità ed intelligenza e poi, a contatto con la vita convulsa della città, ha modo di fare esperienze e conoscere meglio le persone e i loro problemi. Crescendo, lavora con i fratelli nella bottega da carpentiere del padre Joseph, ma il lavoro non riesce a coinvolgerlo completamente. Morto il padre, decide di abbandonare il villaggio e di mettersi di nuovo in viaggio alla volta di Gerusalemme e di altri luoghi, dove ha modo di verificare di persona le situazioni di scontentezza della popolazione nei confronti dei soldati romani. Lo avvicinano alcuni zeloti, che stanno organizzando azioni di ribellione, ma rifiuta l'uso che essi fanno della violenza e di nuovo parte, mettendosi a seguito dei carovanieri che battono le piste dei mercati nelle province più lontane. Nel corso di questi viaggi si mescola a costumi, religioni e filosofie diverse, a fronte delle quali sente giunto il momento di trasmettere agli altri il bagaglio di conoscenze e di esperienze finora acquisito. Chiama a seguirlo alcuni uomini e con loro si mette in movimento per portare a tutte le genti un messaggio di rispetto e di amore reciproco tra tutti gli esseri umani. Valutazione Pastorale: Il regista D'Alatri racconta come Gesù, accanto a suo padre Giuseppe e a Maria, sua madre, abbia potuto imparare a pregare, abbia appreso la storia del suo popolo e sia cresciuto "in sapienza, età e grazia". Portando sullo schermo un periodo non raccontato dai Vangeli, D'Alatri cerca di capire che cosa potrebbe essere successo negli anni della formazione di Gesù, quelli nei quali anche lui ha vissuto il tempo della crescita. Avviandosi verso l'età adulta, Gesù affronta la vita come un impegnativo cammino che lo preparerà alla missione della predicazione alle genti. Il regista é rimasto affascinato dal delicato e complesso problema della coscienza umana di Gesù. Va ricordato a riguardo che il regista non ha inteso affrontare il problema propriamente cristologico del rapporto tra natura umana e natura divina nella persona di Gesù; ciò comporta qualche motivo di non chiarezza, in quanto la figura umana di Gesù possiede, sì grande dignità morale, ma non quella assoluta originalità e singolarità che lascia trasparire, come nei Vangeli, il mistero della sua Persona. Il film non si ispira ad alcun testo biblico, é una sceneggiatura originale che D'Alatri ha scritto con la collaborazione dello scrittore ebreo Miro Silvera e che parte dalla sua comprensione personale del mistero di Dio incarnato, all'interno di un pregevole lavoro di ricostruzione del contesto storico-culturale. L'autore dimostra una voglia sincera di ricostruire un'immagine di Gesù non diversa o stravolta, in grado di parlare all'uomo distratto e spesso confuso di fine Millennio. Il film, a causa della complessità della tematica cristologica toccata, risulta di taglio problematico e tuttavia é da valutare come raccomandabile per la nobiltà del soggetto e la sensibilità con cui esso viene trattato. Si presta per dibattiti, tenendo peraltro ben presente il limite cristologico (e concretamente anche storico) sopra ricordato.

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Facendo attenzione a… Questa storia non-ufficiale di Gesù Cristo ha un andamento da “romanzo di formazione”, che evoca fortissime analogie con la storia del principe Siddharta. Gesù passa dalla visione delle sofferenze umane (donne lapidate, violenze dei legionari romani, bambine vendute, stragi di predoni) per giungere a predicare la pace e l'amore; apprezza oltremodo la saggezza e concepisce i giardini dell'Eden in cui gli umani devono rendersi degni di entrare. L’ottica New Age, pesantemente sottolineata dalla colonna musicale, con cui Jeoshua viene osservato, correndo, a tratti, il rischio di appiattirne la figura storica in quella di un serafico pacifista-ecologista mosso da una fede ultraterrena, è evidente e, certamente, fa di questo film un tradimento rispetto al progetto comunicativo proprio dei testi evangelici. L’idea comunque di cogliere come Gesù percepiva la sua identità personale, resta una necessità irrinunciabile per la fede cristiana e per questo il film merita attenzione. D’altro canto anche il magistero della chiesa ha ribadito la rilevanza del tema, in una nota del 1986 della Commissione Teologica Internazionale in cui si sottolinea come Gesù ebbe sempre una coscienza di sé unica, anche se è da pensare che l'avesse nello sviluppo di un processo psicologico umano normale; parimenti la sua missione di salvezza, si veniva concretamente realizzando secondo la volontà del Padre che gli si rivelava nei fatti umani quotidiani e alla quale si sentiva sempre “ obbediente”.

Per la discussione in gruppo Questo film presenta un Gesù molto umano: bambino con le sue domande, adolescente con i suoi sogni, giovane con le sue ricerche. Ti ha sorpreso? Lo pensavi così? Alcune frasi di Gesù: "Il viaggio più lungo è quello dentro noi stessi"; "Dammi la forza di capire"; "Vieni con me per cambiare il mondo" potrebbero essere frasi di qualche personaggio storico famoso (filosofo, pensatore o scrittore?) o di qualche cantante di oggi. Cosa, secondo te, rende queste affermazioni "cristiane", cioè proprie di Cristo?

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A. Nascita ed infanzia: (Lc 2, 1-20 / Lc 2, 39-40) ANALISI Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione o Luca è l’evangelista che più estesamente racconta la nascita di Gesù. o L’intera narrazione è racchiusa in tre movimenti, il fatto (2,1-7), l’annuncio (2,8-14),

l’accoglienza (2,15-20). È una sequenza aperta: i pastori, che hanno ricevuto e accolto l’annuncio, a loro volta raccontano. Così l’evento cristiano cammina nella storia, contemporaneo a ogni generazione.

o La nascita di Gesù avviene in un preciso contesto storico e geografico, in condizioni particolari di fragilità, precarietà e povertà.

o Fin dalla nascita, Gesù e la sua famiglia sperimentano l’amarezza del rifiuto. o Le prime persone ad accogliere Gesù sono semplici ed umili pastori spinti dalla fede in un

segno. o Il racconto dello smarrimento e del ritrovamento di Gesù è inquadrato da due brevi

descrizioni della vita della famiglia di Nazareth (2,40.50); potrebbe dunque sembrare un semplice episodio di vita familiare, invece il suo significato va ben oltre. Finora altri hanno rivelato chi è Gesù (l’angelo, i pastori, Elisabetta, Simeone), ma adesso è Gesù che rivela se stesso.

o Gesù crescendo in sapienza, età e grazia, scopre se stesso, apre il suo cuore e accoglie il progetto di Dio sulla sua vita.

Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita dei ragazzi con il Vangelo o Ogni nascita è una grande storia: un desiderio, una scoperta, un annuncio che pian piano

si estende ad altre persone, un’attesa fatta di sogni, progetti e preoccupazioni. Fino ad arrivare alla nascita, gustare il calore di una famiglia e l’amore dei genitori. Ogni singola vita avrebbe il diritto di percorrere questa meravigliosa strada; purtroppo difficoltà, paure e ingiustizie impediscono alla Vita di essere amata e accettata per quello che è. Assisto anch’io nella mia società ad un atteggiamento di poco rispetto per il valore della vita? Nel mio piccolo so gustarmi la “nascita” di un progetto? So portare a fine un impegno per avere dei risultati?

o Come la nascita di Gesù si colloca in un particolare contesto storico e geografico, anch’io sono chiamato a vivere la mia esistenza tra la mia gente, in famiglia, negli ambienti che frequento. Proprio in questi luoghi, a volte, si vivono situazioni di povertà e fragilità materiale, ma anche e soprattutto spirituale. Come mi pongo d’innanzi a tali realtà? Spesso si sogna di fare cose grandi, ma nel mio piccolo, nella mia famiglia, tra i miei amici, potrei sanare qualche povertà?

o Capita a volte che d’innanzi ad una proposta, ad un piccolo o grande cambiamento di vita, rispondiamo con un rifiuto, perché risulta più comodo e facile percorrere le strade conosciute e non accettare alternative più impegnative…ed io di fronte ad una proposta

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come rispondo? Ponderato e convinto, oppure subito, sull’onda dell’entusiasmo, oppure rimango conforme alla mia compagnia…Ho il coraggio di fare scelte che vanno anche contro corrente?

o Accogliere l’altro per quello che è ci richiede la fatica di uscire da noi stessi e donare un po’ del nostro tempo; quest’accogliere riguarda anche un accettare noi stessi con la stessa umiltà dei pastori. Mi regalo del tempo per me, per stare in silenzio con me stesso e pensare a quello che ho e non solo a quello che mi manca? So valorizzare i miei pregi ed accettare i miei limiti?

o Crescere implica un rispettare tempi e tappe ben definite per raggiungere un equilibrio fisico, psichico e spirituale. Quali sono le restrizioni che più mi danno fastidio?da parte di chi le ricevo? Sono in grado di rispettare me stesso, i cambiamenti del mio corpo?

RIAPPROPRIAZIONE Foto e immagini

I ragazzi sono invitati a pensare ad un momento particolarmente significativo in cui si è scoperto il valore della vita, un evento che ci ha cambiati dentro, che può essere: un campo scuola, un incontro, un’esperienza di gruppo, un invito, una scelta coraggiosa, un gran litigata con i genitori su permessi e limiti,... Gli animatori portano al gruppo alcune riviste; su queste i ragazzi cercheranno un’immagine, una foto che rappresenta tale momento, un momento di rinascita. Una volta scelta ed attaccata l’immagine ognuno scrive due righe per motivarla e spiegarla.

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B. Tentazioni: Lc 4, 1-12

ANALISI Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione o Gesù ha vissuto un momento di prova nel deserto, isolato dagli altri e messo a duro

confronto con le tentazioni nel corpo e nello spirito. o Per due volte il diavolo si rivolge a Gesù dicendogli «se sei figlio di Dio». Gesù esprime il

suo essere figlio nell’obbedienza e nella dedizione, Satana nel poter usufruire della poten-za di Dio a piacimento e per la propria gloria. «Se sei Figlio di Dio, dimostralo», questa è la sfida di Satana e Gesù lo dimostra attraverso il suo modo di essere figlio.

o Nel brano c’è la sua sorprendente conclusione: «Il diavolo si allontanò da Lui per ritornare nel tempo fissato»; dunque la prova non è un episodio chiuso, ma aperto: fino all’ultima tentazione nel Getzemani, Gesù supera le prove nella preghiera e nel più completo e fiducioso abbandono nelle mani del Padre, rifiutando ciò che il tentatore gli aveva proposto sin dall’inizio.

o Satana mette alla prova Gesù con tre tentazioni: piacere, possedere e potere. Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita dei ragazzi con il Vangelo o In tutte le nostre vite incontriamo piccole e grandi prove e, a volte, ci si sentiamo come in

un deserto, soli, provati nel corpo e nello spirito; tutto acquista un’altra prospettiva, se questi momenti non vengono visti come ostacolo o impedimento, ma come occasioni per crescere, maturare e conoscere meglio sé stessi.

o Ognuno di noi ha un suo personale modo di reagire a prove e difficoltà. So confrontarmi con qualcuno per vedere se il mio modo è quello più appropriato? Ho il coraggio di chiedere aiuto quando serve?

o Spesso l’essere cristiani, frequentare il gruppo e l’ambiente parrocchiale ci porta a sentirci “a posto”, immuni da tentazioni e dal rischio di seguire il male; la nostra appartenenza a Gesù si dimostra, invece, nell’essere consapevoli dell’esistenza del male e nel rispondere alle tentazioni con scelte coraggiose. Il famoso, e ormai vecchio, esame di coscienza ci dona un valido aiuto: quello di non lasciar correre, di essere giustamente esigenti verso noi stessi per crescere, valorizzando la nostra persona e non perdere per strada preziosi talenti. Che atteggiamento ho verso questa forma di preghiera?

o Nel superare una difficoltà se ne esce sicuramente diversi, trasformati. La prova, nel bene e nel male, fa maturare e crescere, basta avere il coraggio di affrontarla. So leggere gli errori e le difficoltà come opportunità di crescita, oppure per me sono pesi a volte tanto pesanti da portare?

o L’essere figli di Dio ci porta ad affrontare le fatiche con un’ottica diversa: quella di non essere soli e di non dover portare tutto sulle nostre spalle, ma affidarci al Signore con la preghiera, che non è solo un S.O.S., ma un dialogo intimo e continuo; aprirsi a chi ci sta accanto e condividere le nostre fatiche o, comunque, portarle insieme, può dare un po’ di pace e serenità.

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È difficile avere confidenza con una persona se non si coltiva un rapporto personale e costante…così è anche con Gesù. Che tempi do alla mia preghiera? È per me un appuntamento importante, oppure, un’ancora di salvataggio nei momenti critici?

o Piacere, possedere e potere sono tentazioni molto attuali anche nei nostri giorni. Il piacere, una via facile e breve per raggiungere una felicità, che dura poco; il possedere, non essere mai sazi delle cose materiali e vivere con gli altri rapporti che non rispettano il valore delle altre persone, la loro dignità e libertà; il potere, la volontà di gestire e programmare la propria vita, senza considerare un progetto più grande. Riassumendo, il PIACERE tenta la sfera dei sentimenti, il POSSEDERE quella delle cose materiali e delle relazioni, il POTERE quella del programmare la propria vita. Ho la forza, l’intelligenza e il coraggio di parlare e confrontarmi con una guida spirituale, una persona adulta e matura anche su momenti di debolezza e forti tentazioni? Quali sono le mie tentazioni e miei punti deboli? So chiamarli per nome ed ho il coraggio di affrontarli?

RIAPPROPRIAZIONE Testimonianza

Gli animatori cercano di contattare una persona disponibile a raccontare momenti personali di crisi e difficoltà, dalle quali il protagonista ha tratto preziosi insegnamenti. La persona che racconta la propria esperienza porterà un’immagine da inserire nell’album, che rappresenti il momento cruciale della su crisi; ogni ragazzo scrive sull’album riflessioni relative alla testimonianza ascoltata: in cosa si rivedono, cosa li ha colpiti, che insegnamenti traggono.

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C. I sentimenti (Gv 2, 1-12; Gv 11,1-44) ANALISI Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione o Gesù è una persona che ama stare in compagnia; viene infatti invitato alle nozze assieme

ai suoi amici e a sua madre. o È un invitato attento alle necessità degli altri e cerca di fare in modo che non manchi

nulla, perché quest’incontro sia vera festa. o Gesù è una persona che ha legami personali, il Vangelo infatti ci riporta che voleva molto

bene a Marta, Maria e Lazzaro. o La notizia della malattia di Lazzaro non lo lascia indifferente, anzi gli fa sospendere ciò

che sta facendo ed affrontare il pericolo di un viaggio per andare da lui. o Gesù arriva ad esprimere i suoi sentimenti con il pianto, in modo pienamente umano.

Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita dei ragazzi con il Vangelo o Tutti noi amiamo la compagnia degli altri, dei nostri amici; non tutte le compagnie ci

portano a rapporti veri e sinceri, alcune sono infatti basate solo sui propri interessi, sul puro divertimento e non ci fanno crescere.

o I veri legami, quelli profondi, richiedono un personale investimento: sono sempre fatti da un dare e un ricevere reciproco. Una prospettiva egocentrica ci impedisce di vedere i bisogni dell’altro, mentre non pensare sempre a noi stessi ci rende più attenti e solidali.

o A volte la vera amicizia richiede anche scelte e rinunce, per compiere le quali è necessario uscire da se stessi per andare verso l’altro.

o Per quanto gli altri siano attenti e premurosi, ci sono cose che spesso teniamo solo per noi e ci fanno male: i sentimenti sono parte di noi e ci rappresentano. Per questo è importante imparare ad esprimerli, sia quelli positivi, che quelli negativi e magari trovare le persone più adatte con cui parlarne e confrontarsi. Quando si parla di sentimenti ci vuole però il massimo rispetto e riservatezza, perché anche una parola detta superficialmente può ferire l’altro. Dove sto investendo i miei sentimenti? In veri rapporti costruttivi, o facili e futili emozioni? Voler bene significa volere il bene dell’altro: vivo i miei legami con egoismo o con l’attenzione rivolta all’altro? Creo unione tra le persone che vivono con me, portando allegria e spunti positivi, oppure alimento contrasti e legami non sinceri?

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RIAPPROPRIAZIONE Una serata in compagnia La metodologia scelta per quest’aspetto è quella di organizzare una serata tra amici: ognuno si impegna ad invitare un amico, non necessariamente del gruppo parrocchiale, ma qualcuno che si frequenta a scuola, nell’ambito sportivo o al bar. L’album momentaneamente resta vuoto, perché l’animatore si impegna a fare una foto di gruppo durante la serata e ad attaccarla sull’album all’inizio dell’incontro successivo; brevemente i ragazzi scrivono e raccontano i sentimenti sperimentati nelle loro amicizie.

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D. La vocazione (Lc 2, 41-50; Mt 3, 13-17)

ANALISI Aspetti del Vangelo da sottolineare durante la discussione

o Gesù a 12 anni sente l’esigenza di cercare la propria strada; si stacca dai genitori e rimane da solo nel Tempio, seduto in mezzo ai dottori.

Questa sua scelta suscita nei genitori preoccupazione e incomprensione. o Davanti all’angoscia dei genitori, Gesù intuisce che c’è qualcosa di più profondo; il

disegno non è ancora per lui chiaro, ma sente che c’è un progetto che va oltre l’essere figlio di Giuseppe e Maria, una vocazione a cui deve rispondere in prima persona.

o Nonostante questo Gesù fa maturare il disegno, che Dio ha per lui, nel suo cuore, vivendo con la propria famiglia, nel rispetto della stessa.

o Gesù procede nella sua strada di uomo e incontra lungo il cammino segni e persone che lo aiutano a capire la sua vera identità: si mette in fila per farsi battezzare e riceve la prima approvazione del Padre sulla sua identità e sul suo modo di essere messia; Gesù, infatti, non pretende di essere superiore, ma vive accanto e insieme agli uomini.

Aspetti di vita quotidiana, che devono emergere dal confronto della vita dei ragazzi con il Vangelo o Ogni persona ad un certo punto sente il bisogno di capire e trovare la propria strada;

questi momenti di ricerca possono portare a vivere contrasti con la famiglia, i genitori che vedono ancora i propri figli come indifesi e piccoli. È importante trovare il giusto equilibrio tra la ricerca personale e l’ascolto fiducioso dei consigli di chi ci ama e che, per esperienza, riesce a vedere un po’ più in là. È facile e comodo affermare di non essere capiti, ma io sono veramente disposto e aperto al dialogo? C’è qualcuno di cui mi fido e con il quale parlo liberamente?

o Il progetto che Dio ha su di noi deve trovare tempi e spazi di maturazione, momenti ed esperienze di silenzio e di ascolto anche di un’altra volontà, che non sia solo la nostra. Oltre alla messa domenicale, quali altri appuntamenti personali e di comunità ho con il Signore? Il silenzio mi fa paura, crea in me disagio? Se sì come mai?

o Lungo il cammino di ognuno ci sono segni e persone che possono rivelarsi importanti per

il nostro discernimento vocazionale. Mi metto in gioco? Di fronte a questi segni mi metto in discussione, o vado avanti indifferente per la mia strada?

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RIAPPROPRIAZIONE Per le strade della città Per fare nostro questo incontro sarebbe importante organizzare un’uscita in cui i ragazzi sperimentano la ricerca di una via. I ragazzi sono divisi a gruppetti e lasciati in punti diversi della città; con l’aiuto di una cartina devono raggiungere ad un’ora stabilita un punto segnato sulla mappa che li raggruppa e dove l’animatore li attende. Una volta giunti, ogni gruppo racconta la propria avventura e incolla sull’album la propria cartina, scrivendo gioie e dolori dell’esperienza. (esempio: chiedere informazioni, sbagliare strada, incontrare persone strade, non sapere dove andare...)

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Con un suo segreto: Gesù e il Padre

2.3.2 Ouverture Gesù è il Figlio di Dio. Straordinario, difficile da immaginare per la nostra piccola realtà. Eppure è così. Il bello è, però, che lui stesso ce lo rivela, ce lo spiega, lo manifesta e così facendo apre le nostre menti e i nostri cuori a questa realtà ineffabile. A poco a poco, seguendo i suoi gesti e le sue parole su questa terra, comprendiamo, facciamo nostra questa sua realtà e capiamo che proprio di questo abbiamo bisogno: della vicinanza di Dio, di un Dio che è Padre e che ci tratta da figli. Gesù è l’Unigenito, ma in lui riceviamo l’adozione a figli: diventiamo tutti figli di Dio, non più semplici creature e nemmeno semplici servi. Figli, creature desiderate e amate; come primo di molti fratelli, Gesù ci racconta del Padre, desidera farcelo conoscere, con la sua identificazione piena, fino alle ultime conseguenze; con la volontà del Padre, Gesù stesso è manifestazione del suo amore: “chi vede me vede il Padre” (Gv 14, 9), dice ai discepoli durante l’Ultima Cena. San Giovanni, nel prologo al suo vangelo, lo spiega così: “Dio nessuno lo ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato” (Gv 1, 18). Il rapporto tra il Padre e il Figlio è così stretto che talvolta è il Padre stesso a rivelarsi in maniera misteriosa e straordinaria, come nel Battesimo sulle rive del Giordano o sul monte Tabor, ma questo accade poche volte. Più spesso Gesù ci parla del Padre, rivelandoci il Suo volto invisibile e dandoci notizie sul rapporto d’amore eterno che li lega e che vogliono estendere anche a noi. Non è lo straordinario che interessa loro, non vogliono stupirci, ma entrare in confidenza con noi, accoglierci nella vita divina, per questo il desiderio di Gesù, di farci conoscere il Padre, è troppo grande per essere taciuto e così lui stesso si fa narratore della giustizia e dell’amore di Dio, utilizzando le parabole per facilitarci la comprensione. Attraverso racconti semplici e concreti ce lo presenta, ci fa entrare in confidenza con Dio, descrive il suo grande desiderio di amare l’uomo. Se vogliamo conoscere Dio, dobbiamo affidarci a Gesù, perché lui lo conosce meglio di chiunque altro: “nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare” (Mt 11, 27). Matteo 11, 25-27 In quel tempo Gesù disse: «Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.

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Sotto questa densa e significativa parola di Gesù si può cogliere tutta l'intimità esistente tra lui e Dio, suo Padre; questi ha trasmesso a Gesù la rivelazione di se stesso, cosicché egli lo conosce nel modo unico con cui un figlio conosce pienamente il proprio padre. In forza di questa relazione profonda di conoscenza e di amore Gesù può rivelare Dio agli uomini. (Catechismo dei giovani 2, p. 123) Introduzione metodologica Le Parabole: Cosa e perché Gesù inizia a parlare in parabole per tentare di spiegare in modo nuovo, attraverso immagini e racconti coinvolgenti il suo messaggio, così da far superare le resistenze che incontra negli uditori. La parabola, infatti, porta l'uditore non più all'impatto diretto con la realtà annunciata — questo sembra scatenare più reazioni che consensi — ma lo conduce a ripercorrere l'esperienza lì evocata, attraverso le immagini e i racconti. Chi ascolta, non sentendosi investito direttamente dal messaggio di Gesù, si lascia coinvolgere in una realtà apparentemente «altra» rispetto a quella della propria situazione e, una volta coinvolto dentro il racconto parabolico, sarà portato a considerare i differenti punti di vista in esso espressi, a trasporre quella situazione immaginaria nella situazione attuale del confronto con il messaggio di Gesù. Possiamo indicare così le funzioni di questi racconti. o La prima funzione è di far percepire agli uditori che il regno di Dio è una storia: in essa si

narra il rapporto tra l'iniziativa di Dio e la risposta dell'uomo. Il regno di Dio non è un insieme di concetti, di idee, ma è storia di relazioni, di incontro: si decide e si realizza in una successione di possibilità, tentativi, cadute, rilanci.

o La seconda funzione è di argomentare e convincere. L'annuncio diretto pone di fronte a una scelta obbligata: o ti converti, o non ti converti; la parabola arricchisce la situazione e l'appello, sviluppandoli attraverso esperienze di vita, immagini che argomentano e tengono presente il punto di vista di chi è in difficoltà. Nell'argomentare proprio delle parabole vanno tenuti presenti due focali: il punto di vista degli uditori e il punto di vista di Gesù. La dinamica del racconto si sviluppa sempre nell'incontro dialettico tra queste due posizioni.

o La terza funzione è di portare l'uditore ad attingere all'esperienza concreta. La parabola parte dall'osservazione attenta che Gesù fa della vita del suo tempo; in essa egli è capace di cogliere i significati più profondi che alludono alla realtà del Regno. Talora Gesù propone esperienze di vita che escono dalla normalità constatabile e nelle quali ci si ritrova con fatica: queste riflettono l'esperienza unica, esclusiva di Gesù e del suo rapporto con il Padre (il Padre nella parabola del figlio prodigo; il padrone nella parabola degli operai della vigna che da a tutti gratuitamente la stessa paga: non sono figure facilmente rinvenibili nell'esperienza comune). Questa singolarità che si incontra nelle figure delle parabole è eco della singolarità propria dell'esperienza di Gesù: stile, scelte, azioni concrete nelle quali lascia trasparire la singolare comprensione che egli ha di Dio come Padre suo.

(Parabole di Vita, p. 10-12)

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Tre parabole Vengono proposte tre parabole significative, attraverso le quali Gesù presenta alcuni tratti del volto del Padre; o Il padre misericordioso: il volto di un Dio che fa festa quando ritrovi te stesso o Il padrone della vigna: il volto di un Dio che dona tutto a tutti indistintamente o La semente e la zizzania: il volto di un Dio che ha fiducia e che quindi sa attendere

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A. Un Padre che…ti vuole te stesso Fase proiettiva Proposta 1 La parabola del figlio prodigo o del padre misericordioso, tutti la conoscono... L’attività proposta è quella di far coniare ai ragazzi, senza leggere il testo della parabola, solo facendo ricorso a quanto ricordano, un nuovo titolo della parabola stessa, un titolo che evidenzi il loro punto di vista. Ad esempio: ”parabola del padre tonto“ o “parabola del fratello invidioso” ecc.., la scelta del titolo darà luogo ad una discussione tra i ragazzi che li agevolerà verso la fase successiva di “approfondimento della parola”. Proposta 2 Dividere i ragazzi in gruppi di due, all’interno della coppia ciascuno descriverà al compagno, il rapporto padre-figlio ideale, che ha sempre sognato. In gruppo ciascuno riporta quanto raccontato dal proprio compagno; i modelli che ne usciranno saranno uno spunto interessante che avvierà al fase successiva di “approfondimento della parola”. Proposta 3 L’animatore presenta al gruppo il seguente caso: “Andrea ha 18 anni e frequenta il quarto anno della scuola superiore; ha abbandonato gli studi e se ne è andato di casa prendendo con sé, oltre ai suoi risparmi, anche qualche centinaio di euro trovati in casa; qualche tempo dopo si ripresenta a casa, mentre il resto della famiglia è seduto a tavola per la cena”. L’animatore invita poi i ragazzi a mettere in bocca ai personaggi una frase giusta e una sbagliata. Nome Frase Giusta Frase Sbagliata Andrea

Mamma

Papà

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Proposta 4 Visione di un film:

o “Nel nome del Padre” o “Pinocchio”.

Nel nome del Padre

Di Jim Sheridan – Universal – 1993 Soggetto: In Irlanda, il giovane Gerry Conlon, coinvolto in una guerriglia urbana con gli inglesi e con l'IRA, si trasferisce in Inghilterra con l'amico Paul Hill che, arrestato per un attentato ad un pub, sottoposto a violente pressioni, suo malgrado lo denuncia. Gerry, maltrattato per sette giorni dalla polizia, che minaccia di uccidergli il padre Giuseppe, firma una falsa dichiarazione che coinvolge anche due hippie della comune, nella quale si era rifugiato con Hill, Paddy Armstrong e Carole Richardson. La polizia arresta poi la zia Annie ed il padre per favoreggiamento. Dopo un processo iniquo, orchestrato dall'ispettore Robert Dixon, che ha coordinato arresti e interrogatori preliminari, tutti vengono condannati. Dopo 15 anni Gerry e il padre, che dividono la cella, scoprono il vero attentatore, Joseph McAndrew. La polizia non ha voluto riaprire il processo, e Giuseppe, tramite l'avvocatessa Gareth Pierce, cerca di dimostrare la verità, ma la cagionevole salute lo stronca ed il figlio, che in carcere ha imparato ad apprezzarne le qualità umane e morali, raccoglie l'eredità del padre. Per un fortuito equivoco l’avvocatessa, che sta consultando col controllo di Dixon il fascicolo di Giuseppe, riesce a prendere visione di quello di Gerry, e trova le prove occultate da Dixon al processo, ossìa la cruciale testimonianza di un barbone irlandese, Charlie Burke, che ha incontrato Gerry e Paul in un parco londinese la notte dell'attentato, la cui esistenza è stata sempre negata dagli inquirenti, e che avrebbe scagionato tutti gli imputati ed i loro presunti complici. Nel processo che segue, ottenuto anche grazie al vasto movimento d'opinione pubblica, sorto attorno al clamoroso caso, emerge la verità e tutti vengono liberati. Valutazione Pastorale: Film documento, film d'azione, film politico, film di sentimenti e di passioni violente dove odio e sdegno, ira e frustrazione per i diritti calpestati, ansia di verità, dignità dell'uomo, miseria e grandezza morale vengono scolpiti con segno denso e serrato da Jim Sheridan, qui al meglio delle sue grandi qualità di regista. Si pensi alla straordinaria sequenza iniziale della fuga dei tre ladruncoli per le viuzze di Belfast, nel mezzo degli scontri tra civili e polizia, o ai giornali in fiamme che i detenuti lasciano cadere nel cortile per celebrare la morte del compagno Giuseppe; o ai dialoghi, straordinari per tensione interpretativa e densità psicologica e morale tra padre e figlio in carcere. Non si riesce a trovare una sequenza, un fotogramma che in questo film non sia funzionale alla vicenda narrata: qui lo spettatore viene coinvolto dallo straordinario ritmo narrativo, che la memorabile interpretazione di Day-Lewis e Postlethwaite evidenzia egregiamente, per immedesimarsi nella vicenda dall'inizio alla fine, senza soluzioni di continuità. Altro punto a favore del film è la cura meticolosa dei dettagli, sia nella sceneggiatura che nelle figure di contorno: zia Annie, la comune hippie, le scene del carcere, l'agente che nutre un gabbiano nel cortile mentre Giuseppe lo osserva dalla sua cella, lo scambio di sguardi tra Gerry e Dixon al processo d'appello. Film verità su un problema, quello della giustizia, che costituisce una delle più dibattute questioni di questi anni di piombo.

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PINOCCHIO Di Roberto Benigni – Buena Vista, 2002

Soggetto: Dopo aver messo a soqquadro le piccole strade del paese, un tronco si ferma davanti ad un portone. È la modesta casa del falegname Geppetto che, superata la sorpresa, prende il tronco, comincia a lavorarlo e ne ricava un burattino cui dà il nome di Pinocchio. Appena comincia a muoversi, Pinocchio si dimostra sfrenato, vivacissimo, intrattabile. Il babbo vende la propria giacca per comprargli l'Abbecedario per mandarlo a scuola, ma Pinocchio lo cede in cambio di un biglietto per entrare nel teatro dei burattini. Mostrando all'aria aperta ben 5 zecchini, viene preso di mira dal Gatto e dalla Volpe, che lo raggirano con la promessa di portarlo nel Paese dei Barbagianni dove i soldi crescono dalla terra. Catturato dalle guardie e condannato a cinque anni, in carcere incontra Lucignolo, con il quale fa amicizia. Uscito in seguito ad una amnistia, fa il proposito di diventare buono, riprova ad andare a scuola ma qui si accende una rissa e il ragazzo Eugenio muore colpito da una pietra. Tornato in galera, Pinocchio scappa, vorrebbe ubbidire ai moniti della Fata Turchina, ma vede di nuovo Lucignolo e si fa convincere ad andare con lui nel Paese dei Balocchi. Qui, finito il momento dei divertimenti, la mattina dopo i due si svegliano e si accorgono che stanno per trasformarsi in somari. Sfuggito dal circo, il ciuchino Pinocchio cade in acqua ed é mangiato dalla balena. Nel ventre del cetaceo ritrova il babbo Geppetto e gli promette che in futuro farà il bravo bambino; allora si mette a lavorare, aiuta il padre a tornare in salute, infine riesce a diventare un ragazzo come gli altri con abiti adatti alla sua età. Eccolo di nuovo dirigersi verso la scuola. Il ragazzo entra, ma l'ombra di Pinocchio resta fuori, guarda e poi torna indietro. Valutazione Pastorale: È probabile che un po' di Pinocchio abbia sempre abitato nella finzione narrativa (nei film, negli spettacoli televisivi, in quelli teatrali) ideata e vissuta fino ad oggi da Roberto Benigni, ma sottolineare che si tratta di un incontro annunciato rischia di togliere smalto alla novità della realizzazione: Pinocchio è uscito dalla penna di Carlo Collodi nel 1883, oltre cento anni prima di questa ulteriore versione in immagini, quando ormai il rapporto cinema/letteratura ha creato imprevedibili e spesso velleitari stravolgimenti della pagina scritta. Benigni evita di percorrere questa strada. La fiaba resta il punto centrale, il motore della vicenda, il suo polmone carico di ansie e di timori. La fiaba si rivolge ai più piccoli e deve sentirli vicini per mostrare loro tutti i pericoli che li aspettano nella vita. Pinocchio vuole dire al babbo che gli vuole tanto bene, ma capita qualcosa che lo attira di più, e allora sbaglia, viene ripreso, dice bugie, piange, promette di non cascarci più, combina un altro guaio, ricomincia. È un viaggio di formazione, quello del burattino, attraverso le intemperie dell'esistenza e fino all'età più grande. Una favola senza tempo, che Benigni non cambia, ma nemmeno piega a banali riferimenti contemporanei, anzi mantiene con decisione sul livello del sogno. La realizzazione ha momenti di alta forza visiva, il lavoro del compianto scenografo Danilo Donati crea uno scoppiettante caleidoscopio di colori, suoni, intrecci tra persone e oggetti. Il ritmo affabulante diventa la cronaca timida e commossa delle peripezie di un indifeso burattino pallido, ingenuo, stralunato. Il Pinocchio di Benigni non ha paura di mettere in primo piano i propri difetti più che i pregi, non si propone come un rifugio nella memoria di un tempo migliore, ma come la voglia di recuperare il coraggio della fantasia. Sorretto dalle presenze di robusti attori di contorno, Benigni aderisce a Pinocchio e ne tira fuori la piccola verità che da lui proviene: la

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ricerca di affetti, la voglia di riscatto, il senso di una rinnovata armonia. Quello che arriva in chiusura non è il lieto fine col bene che vince sul male ma, di più, è la voglia di credere che possa essere davvero così. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come positivo, accettabile e poetico per il prevalere delle ragioni del cuore su quelle della mente. Analisi Commento a Luca (15, 11-32) Il capitolo 15 del Vangelo di Luca individua i destinatari delle parabole di Gesù: ”Si avvicinavano a lui tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: costui riceve i peccatori e mangia con loro.” È proprio dalla disponibilità e dall’accoglienza mostrata dalle persone di cattiva reputazione nei confronti di Gesù e dalla reazione negativa che i suoi gesti suscitano negli scribi e nei farisei fedeli alla parola di Dio e alla legge che scaturiscono le tre parabole della misericordia: la pecora perduta e ritrovata (Lc 15, 4-7), la dramma perduta e ritrovata (Lc 15, 8-10) e il racconto del padre e dei due figli (Lc 15, 11-32). Questi tre racconti presentano la gioia che deriva dal ritrovare ciò che era stato perduto, ma hanno un andamento progressivo, sia per quanto riguarda l’oggetto del rinvenimento (la pecora, la dramma, il figlio), sia per l’espressione (perduto/ritrovato, morto/ritornato in vita). La parabola del Padre misericordioso è divisibile in due parti riguardanti il figlio minore e il figlio maggiore, collegate dal ritornello: “Questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. È chiaro d’altra parte che il vero protagonista è il padre: è attorno a lui che si snodano i due percorsi diversi dei figli. Il percorso del figlio minore inizia con la decisione di allontanarsi dalla sua casa con i beni che gli sarebbero spettati in eredità, ma solo dopo la morte del padre, secondo gli statuti giuridici del tempo: il padre poteva infatti dividere l’eredità tra i figli finché era ancora in vita conservandone l’usufrutto, ma i beni restavano non alienabili fino alla sua morte; Anche per questo risulta strana la reazione del padre che subisce silenziosamente questa “sconfitta”. Il racconto prosegue con il degrado progressivo del figlio: conduce una vita immorale, sperpera le ricchezze e si riduce a lavorare da un pagano, divenendo così impuro per la mentalità giudaica del tempo, tanto da non poter più partecipare alla comunità religiosa. Trovandosi a pascolare i porci, considerati animali impuri, e raggiunto il culmine del degrado sia economico, sia morale e religioso, che culturale e fisico, il giovane “rientra in se stesso” ed inizia una conversione interiore ed esteriore; questo “rientrato in se stesso” non è un vero atto di conversione: egli decide di tornare solo per un calcolo dettato dal bisogno (“Quanti mercenari in casa di mio padre hanno pane in abbondanza, e io qui muoio di fame”); inoltre egli riconosce di non poter più essere accettato come figlio e decide così di presentarsi come servo, per avere almeno qualcosa da mangiare. Ora ritorna improvvisa la figura del padre, che vede il figlio quando era ancora lontano, evidenziando così che egli, con la sua fiducia e con al sua speranza, era sempre presente anche nell’assenza del figlio. La sua reazione e la corsa verso il figlio, sicuramente, ha suscitato sconcerto negli ascoltatori perché per un ebreo il correre è un gesto poco dignitoso soprattutto per una persona di una certa età (“Un uomo si conosce nella dignità del suo procedere” Proverbi), Così , come all’inizio del racconto il padre aveva ignorato ogni buon senso, ora ignora tutte le convenzioni sociali. La simbologia del racconto è importante: la veste migliore, in oriente, si concede alla persona più importante della casa, l’anello è lo strumento con cui sigillavano i contratti (il padre reintegra il figlio tra i suoi beni), e i calzari erano il segno degli uomini liberi (il padre ridona al figlio la piena libertà).

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La festa finale e l’accostamento dei termini “morte – vita”, esprimono infine tutta la gioia del padre. Questo atteggiamento imprevisto del padre può scatenare un cambiamento nel figlio minore, anche se non è detto che questo avvenga (Padre misericordioso). Inizia ora il percorso del figlio maggiore, che era rimasto fedele e adesso decide di stare fuori casa per esprimere il suo dissenso e la sua rabbia, la sua risposta al padre che con pazienza lo esorta ad entrare; la frase: “Io ti servo da tanti anni e non ho mai trasgredito un tuo comando” ci rivela che egli pensava alla sua relazione col padre come quella di un servo con il padrone; la risposta del padre, però, rivela pienamente la relazione che vuole instaurare con entrambi i figli: ”Figlio tu sei sempre con me”, definisce così un rapporto di amore inserito nella libertà, che comporta la comunione totale dei beni “Tutte le cose mie sono anche tue”. La parabola resta incompiuta non rivelando la reazione del figlio minore e del figlio maggiore, perché essa vuole essere un appello all’ascoltatore affinché si apra all’accoglienza e decida quale atteggiamento seguire. Il messaggio di Gesù Gesù sa che gli scribi e i farisei consideravano i pubblicani e i peccatori pubblici senza dignità umana, degradati a tutti i livelli e gli stessi peccatori si sentono irrimediabilmente impuri e lontani da Dio: per questo egli vuole mostrare agli ascoltatori che Dio considera sempre suo figlio ogni uomo, anche se peccatore, proprio come succede nella parabola. Gesù presenta innanzitutto ai farisei e agli scribi un’immagine singolare di Dio: o è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero; o è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie

sempre le persone pronte a cambiare; o è un Dio che perdona senza condizioni, nella massima gratuità. Gesù invita quindi i farisei a non giudicare e stigmatizzare le persone e li invita, non a una conversione morale, ma a una nuova visione di Dio: essi devono comprendere che valgono non per quello che fanno, ma per il fatto che sono amati da Dio; anche i pubblicani sono invitati, non a una immediata conversione morale, ma a comprendere l’amore gratuito di Dio, che deve servire come molla per decidersi ad una vita moralmente corretta, non come servi ma per riconoscenza, cioè come figli. I significati per la nostra vita Un’interpretazione moralistica di questo testo “non bisogna fare come il figlio minore e neppure come il figlio maggiore, ma come il padre” toglie alla parabola il suo significato profondo perché riporta l’accento sul nostro fare, mentre Dio ci ama per ciò che siamo per lui, cioè suoi figli. La consapevolezza che Dio ci ama per quello che siamo deve essere per noi stimolo ad andare incontro con fiducia anche a chi ha sbagliato e a chi a perso il gusto della vita. Inoltre questa consapevolezza deve manifestarsi nella gioia nella fiducia e nella speranza con cui affrontiamo ogni situazione, perché sappiamo che Dio ci ama incondizionatamente e perdona gratuitamente: solo vivendo con questo entusiasmo e ottimismo saremo veri testimoni.

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Proposta 1 Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32 Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema, ma tenendo ben presente che l’obiettivo è quello di analizzare i tipi di rapporti che intercorrono tra i personaggi e che la figura di Dio che Gesù ci descrive è: o un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero; o un Dio presente e fedele, anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie

sempre le persone pronte a cambiare; o un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità. Proposta 2 Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32 Ogni componente del gruppo dovrà esprimere con un disegno su un cartellone, la figura del padre della parabola e spiegare quanto rappresentato. Ad esempio:”ho disegnato un cuore grande che rappresenta la grande misericordia del padre”, oppure “ho disegnato una bilancia che pende da una parte, perché secondo me è stato ingiusto” ecc. Alla fine l’animatore esporrà la figura del padre vista dai ragazzi, dopo la lettura della parabola, riassumendo quanto riportato sul cartellone con le relative motivazioni; qualora non fossero emersi durante l’attività, esporrà ai ragazzi i tre principali messaggi che Gesù ci trasmette con questa parabola: o è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero; o è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie

sempre le persone pronte a cambiare; o è un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità. Proposta 3 Lettura della parabola dal Vangelo di Luca. 15,11-32 con il metodo del dialogo muto: è come un dialogo “normale” solo che, anziché parlare, ogni cosa che un componente del gruppo deve dire la scrive, animatore compreso. L’animatore invita i ragazzi a riportare su un cartellone i loro commenti e le loro riflessioni sulla parabola; è opportuno che venga posta particolare attenzione alla figura del padre, anche se non necessariamente fin dall’inizio dell’attività. Ovviamente i ragazzi hanno “carta bianca”, ma l’animatore deve avere ben chiaro l’obiettivo, cioè far emergere, anche nella discussione che seguirà l’attività, una figura di padre con le seguenti caratteristiche: o è un Dio che ama nella libertà e che accetta di essere amato solo in un rapporto libero; o è un Dio presente e fedele anche nell’assenza più ostinata dell’uomo e che accoglie

sempre le persone pronte a cambiare; o è un Dio che perdona senza condizioni nella massima gratuità.

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Proposta 4 PROCESSO ALLA PARABOLA: si divide il gruppo in tre sottogruppi, ciascuno dei quali impersona i protagonisti della Parabola (il padre, il figlio maggiore e il figlio minore) esponendo agli altri le ragioni del proprio comportamento e accusandoli per gli errori commessi; eventualmente si possono individuare all’interno dei gruppi dei testimoni (i porcari, il padrone dei porci, i servi del padre...) e farli deporre a favore o sfavore di uno o dell’altro personaggio. L’animatore, o se possibile un sacerdote, rappresenterà la corte e trarrà le conclusioni: il messaggio che deve emergere e che l’intento di Gesù, non è tanto quello di entrare nella dinamica familiare, ma piuttosto di fare festa per un figlio che si converte e, pertanto, il processo non sussiste, è finto e si smonta da solo. Riappropriazione Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a riscoprire il volto paterno di Dio e di rivalutare la relazione filiale che va vissuta nella libertà. Si è visto che la parabola è un invito a cambiare l’immagine che abbiamo di noi stessi, figli di un padre misericordioso e non servi del padrone che ci dà da mangiare. Nel vivere la nostra fede ci poniamo in atteggiamento “servile” o “filiale”, ovvero essa è per noi un peso da portare per tradizione, o un contratto (servire fedelmente per avere un capretto), o è piuttosto riconoscenza per una festa continuamente ricevuta (“tu sei sempre con me e tutto quello che è mio è tuo”). L’animatore può invitare i ragazzi a simulare il seguente gioco di ruolo nelle rispettive parti: immaginiamo di essere stati invitati alla festa per il figlio minore; il padre, non essendo riuscito a far entrare in casa il maggiore, ci chiede di uscire per convincerlo: che discorso faremmo al figlio maggiore arrabbiato? In alternativa si possono incontrare persone significative, possibilmente della comunità, che hanno vissuto momenti difficili o di forte tensione, specie nell’ambito familiare, che poi si sono trasformati in festa allo stesso modo con cui il Padre fa festa per il figlio che ritorna (ad esempio un figlio che prende la strada della droga o dell’alcol e che poi si riesce a recuperare).

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B. Un Padre che da tutto…a tutti FASE PROIETTIVA Proposta 1 Commentare in gruppo il brano riportato di seguito, lasciare che i ragazzi completino l’ultima frase e cercare insieme altre situazioni analoghe da commentare che si possono verificare durante la vita quotidiana. La rappresentativa calcistica del liceo “A. Manzoni” è arrivata al primo posto nel torneo che si svolge annualmente tra istituti superiori. Tutta la squadra viene invitata per la premiazione sull’enorme podio allestito appositamente per l’occasione e addobbato con i colori della scuola. Il preside del liceo si congratula personalmente con ciascun giocatore man mano che “Miss liceo” consegna loro fiori, medaglia e bacini sulle guance, tra l’entusiasmo generale degli altri compagni e l’amarezza di coloro che non hanno vinto. Concluse le formalità della premiazione tutta la squadra festeggia con cori e danze; ad un certo punto Mirko, il bomber della squadra, si rivolge a Pietro, Franco e Aldo, panchinari che stanno saltando e cantando con tutti gli altri compagni di squadra: “Voi tre avete poco da cantare e sfoggiare medaglie: messi insieme non avrete giocato neanche 15 minuti!!” Giacomo, il portiere, ha sentito tutto e si rivolge a Mirko dicendo:

Proposta 2 Si può introdurre l’argomento attraverso l’ascolto e il commento del testo della canzone “Una vita da mediano” di Luciano Ligabue, nella quale il mediano è come l’ “operaio della prima ora” che non vede riconosciuti (dai tifosi, dalla stampa…) i propri sforzi (“una vita da mediano…passata recuperar palloni, ché il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco), mentre la punta è come l’ “operaio della sera” che magari non fa niente per 90 minuti, ma riceve sul piede il pallone del gol decisivo, con conseguente ovazione dei tifosi ed elogi della stampa…); anche il mediano, però, alla fine vince i mondiali insieme a tutta la squadra e, quindi, ha anche lui la più grande delle ricompense.

UNA VITA DA MEDIANO L. Ligabue

Una vita da mediano a recuperar palloni Nato senza i piedi buoni, lavorare sui polmoni. Una vita da mediano, con dei compiti precisi A coprire certe zone, a giocare generosi Lì, sempre lì, lì nel mezzo finché cen’hai stai lì

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Una vita da mediano, da chi segna sempre poco Che il pallone devi darlo a chi finalizza il gioco. Una vita da mediano, che natura non ti ha dato Ma lo spunto della punta, vede il 10 che peccato Lì, sempre lì, lì nel mezzo, finché cen’hai stai lì Stai lì, sempre lì, lì nel mezzo Finché cen’hai, finché cen’hai, stai lì Una vita da mediano, da uno che si brucia presto Perché quando hai dato troppo Devi andare e fare posto. Una vita da mediano, lavorando come Oriali, anni di fatica e botte e vinci casomai i mondiali. analisi Commento alla parabola “Gli operai della Vigna” (Mt 20, 1-16) In questo racconto Gesù ci parla della giustizia di Dio. Si tratta di una domanda che non interessa solo il nostro rapporto personale con il Dio, ma anche tutte le nostre relazioni con gli altri, se è vero che vogliamo vivere appieno la nostra filiazione divina assomigliando il più possibile al Padre. All’epoca di Gesù, e nella regione in cui viveva, era abituale per il padrone di una vigna prendere a giornata degli operai durante il periodo della vendemmia, cercandoli sulla piazza del villaggio, dove essi attendevano di essere chiamati al lavoro. Il padrone assumeva il numero di persone di cui aveva bisogno e concordava subito la paga giornaliera, in base ad una giornata lavorativa suddivisa in dodici ore, dall’alba al tramonto, quindi circa dalle sei del mattino alle sei di sera. La ricerca degli operai avveniva una sola volta al giorno, di regola al mattino, perciò la parabola raccontata da Gesù, che parla invece di numerose chiamate fatte in orari diversi, si discosta in parte dalle consuetudini, senza comunque divenire inverosimile, dato che possiamo ipotizzare il verificarsi di condizioni straordinarie che possono giustificare la necessità di un’ulteriore ricerca di manodopera in un momento successivo. È opportuno precisare che la paga stabilita con gli operai assunti alla prima ora corrisponde a quella in uso al tempo: un denaro corrisponde al sostentamento di una famiglia per un giorno. La paga veniva distribuita subito, la sera stessa, esattamente come racconta Gesù. La parabola raccontata da Gesù si può dividere in due parti: la chiamata (a partire dal v. 1) e il rendiconto della sera (a partire dal v. 8). La prima parte è costituita dalle diverse chiamate al lavoro e dalla contrattazione del salario. Non essendo specificato un motivo speciale che giustifichi le numerose chiamate, come ad esempio un temporale improvviso e quindi la fretta di raccogliere i frutti prima che il maltempo li distrugga, non possiamo attribuire questo fatto anomalo ad una particolare necessità del padrone, ma esclusivamente alla sua volontà. Questo è molto importante per comprendere la parabola, perché nel caso di un improvviso ed estremo bisogno di manodopera sarebbe giustificato il fatto che alla fine il padrone dia a tutti la stessa paga: infatti quando si ha una grande necessità si è disposti a pagare anche più del dovuto, ma il comportamento del padrone non è motivato da un bisogno impellente, perciò la domanda sul perché di queste chiamate ad ore diverse rimane aperta e genera stupore, amplificato dall’accento posto sul grande divario esistente tra gli operai della prima ora e quelli

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dell’ultima ora. La stessa cifra pattuita, specificata chiaramente al primo appello, viene successivamente sostituita da espressioni allusive e generiche come «quello che è giusto». L’ascoltatore dà per scontato che la somma venga via via modificata in base al numero delle ore lavorate. La seconda parte della parabola inizia con il padrone che incarica il suo amministratore di distribuire il salario partendo da coloro che sono stati chiamati per ultimi. In questo modo, i primi assistono a tutta la scena e hanno il tempo di fare il confronto tra le loro prestazioni e quelle degli altri operai. Il loro disappunto è grande e trova espressione nel dialogo finale, nel quale emergono due punti di vista diversi. Si tratta del punto focale del racconto, il momento in cui Gesù mette a confronto la sua visione della giustizia divina con quella di chi lo ascolta. Il punto di vista di Gesù coincide con quello del padrone della vigna, il quale dapprima chiarisce che non c’è ingiustizia nel suo comportamento, perché ha dato quanto pattuito e in seguito rende manifesto che la misura dell’agire del padrone non sta nella corrispondenza alle prestazioni degli operai, ma nella libertà con cui lui stesso dispone di sé e delle proprie ricchezze nei loro confronti: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio?». Non si tratta però di un padrone tiranno e capriccioso, ma di uno che agisce con liberalità secondo la ricchezza della sua condizione, che gli permette di dare con sovrabbondanza, senza calcolo. Il messaggio di Gesù Questa parabola ci presenta di nuovo l’atteggiamento di incondizionata accoglienza del Dio di cui Gesù ci mostra il volto. La sua disponibilità nei confronti degli uomini è caratterizzata da gratuità, generosità e sovrabbondanza di amore, e non è mai vincolata dalle prestazioni che essi gli rendono. Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno. Per l’ottica farisaica questo comportamento rappresenta uno sconvolgimento dell’ordine costituito della giustizia. La causa di questo scandalo non è però altro che la bontà del padrone, qualità infinita che non può essere disapprovata. La giustizia divina non prende le mosse dai meriti degli uomini, ma dall’infinita bontà di Dio che, in assoluta gratuità, dà all’uomo ciò di cui ha bisogno, esortandolo al contempo a fare altrettanto, a vivere a sua volta relazioni di gratuità. È questa la caratteristica del regno di Dio, che si compie nei termini di un dono d’amore smisurato e gratuito, che fa saltare qualsiasi ottica di retribuzione, di legalismo e moralismo. Cercare di piacere a Dio contando esclusivamente sui propri sforzi, sulle proprie idee, sui propri metodi si rivela quindi un procedere limitato, condizionato dall’idea di doversi guadagnare l’amore di un Dio, che invece ama per primo, spontaneamente e in modo gratuito. È da questo amore originale e spontaneo che traiamo la forza e il modello del vero agire morale, che solo edifica davvero il regno di Dio tra gli uomini, liberando le relazioni umane da rapporti di concorrenza, di confronto e di invidia. Tutto ciò è espresso dalla domanda del padrone della vigna «Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?»: gli operai della prima ora non sanno gioire della bontà del padrone, di cui loro stessi sono oggetto e di cui hanno vitale bisogno, e per il dono ricevuto dai loro compagni dell’ultima ora, che sono destinatari di un dono ricco in generosità. La cattiveria dei primi nasce dal fatto che la loro attenzione è orientata con invidia al confronto con i fratelli, anziché rivolgersi al padrone e alla sua bontà. Dio si dona totalmente, incondizionatamente e non richiesto: all’animo buono questo dona gioia, mentre provoca reazioni di risentimento in chi non sa gioire della generosità di Dio.

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I significati per la nostra vita Un peso, una misura. È la sintesi della nostra idea di giustizia. Se io faccio di più, merito di più; normale, è giusto. Chi fa tanto merita tanto, chi fa poco merita poco. Ognuno, in fondo, raccoglie quel che semina. È questione di responsabilità personale. Ed è giusto che si veda la differenza. Che ne penso io? Cosa capita a me? Il padrone della vigna, immagine di Dio Padre, si rivela subito come uno che sa incontrare gli uomini. Ancora di più: lui non si stanca di andare a cercarli e non va in luoghi dove già stanno lavorando: si reca là dove sa che gli uomini non stanno combinando nulla, dove sono soli, dove nessuno ancora li ha cercati. A chi si è fatto attendere più a lungo, consegna la paga per primo. Forse perché “c’è più gioia in cielo per un peccatore convertito che per novantanove giusti che non hanno bisogno di conversione” (Lc 15,7). Questo Dio è un Padre che ama e che non dimentica mai i suoi figli, nemmeno quando sono lontani. Il Padre rivelato da Gesù ama incondizionatamente tutti e ciascuno. È dall’amore che ha origine la sua giustizia. Ciò che gli importa è entrare in comunione con l’uomo, che i suoi figli gli si avvicinino e conoscano il suo amore, che compiano dei passi verso di lui. Nel chiedere giustizia, ci dimentichiamo spesso che essa ha senso solo se è accompagnata dall’amore, dalla comprensione, dal perdono. Al contrario del padrone della vigna, ci dimentichiamo della dimensione relazionale della società: non è una gara in cui ognuno gareggia solo per se stesso per essere il migliore. Piuttosto si tratta di realizzare quella che Giovanni Paolo II chiamava “la famiglia umana”. Questa parabola ci esorta ad esaminare la nostra idea della giustizia di Dio. Ce ne facciamo un’idea osservando come guardiamo ai nostri fratelli: sappiamo gioire del bene che Dio concede a chi ci sta vicino? Desideriamo addirittura cooperare a questo bene degli altri anziché misurarlo con il metro? Sappiamo trovare consolazione nel rapporto personale con lui, in ciò che lui promette a noi, o facciamo confronti e ci lamentiamo? Crediamo davvero che la vicinanza con Dio è il bene più grande per noi e per gli altri? Ci impegniamo per guadagnarla per noi e per chi ci sta vicino, sapendo che non si tratta di una ricompensa per gli sforzi umani, ma innanzitutto di un dono gratuito e spontaneo? Uscire da un’interpretazione legalistica e moralistica della giustizia divina, che non fa altro che creare rapporti concorrenziali tra noi e gli altri, è possibile guardando a Dio e alla sua giustizia, conoscendolo di più attraverso la vita di Gesù. Inoltre è importante scoprire l’azione ispiratrice dello Spirito Santo, che guida la vita della Chiesa e di ciascun cristiano in ogni tempo e che rappresenta il dono gratuito che Dio fa di se stesso. La vita della Chiesa ha da sempre al suo centro i sacramenti: ricevere con frequenza e con gratitudine soprattutto il sacramento della riconciliazione e l’Eucaristia ci aiuta a fare esperienza ogni giorno di un Dio che si dona generosamente e totalmente, a prescindere dal punto in cui si trova il nostro cammino di santità. Partire dall’amore gratuito di Dio, dal dono che riceviamo, è il primo passo per lasciarci permeare da esso, per averlo sempre presente nelle nostre relazioni con gli altri e per diventare quindi dei testimoni autentici dell’amore che abbiamo ricevuto e che siamo chiamati a diffondere intorno a noi. È opportuno anche “imparare le persone”: conoscere le esperienze di santità che hanno manifestato nella storia la possibilità dell’unione del cuore dell’uomo con il cuore di Dio. Metterci alla scuola di queste figure e di tutte quelle che rendono attuale anche oggi questa imitazione della gratuità divina ci aiuta ad intraprendere un cammino personale fatto di piccoli passi: riconoscere la grandezza altrui; saper dare e ricevere un perdono incondizionato; accogliere gli imprevisti e le sconfitte come occasioni per vivere all’altezza dell’amore di Dio, senza perdere la fiducia in Lui, in noi stessi e negli altri; rimanere fedeli agli impegni presi anche se non riceviamo una gratificazione immediata; perseverare nella vita interiore anche nei momenti di aridità.

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Proposta 1 Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema, ma tenendo ben presente che l’obiettivo è quello di porre l’attenzione soprattutto sul fatto che Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno.

Proposta 2 Dopo la lettura della parabola, sottoporre ai ragazzi le domande di seguito riportate, commentare insieme le risposte, arrivando a porre l’attenzione sul messaggio principale di questa parabola: Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno. o Come si sono sentiti, secondo te, gli operai della prima ora? o Come si sono sentiti, secondo te, gli operai della sera? o Qual è la mentalità degli operai della prima ora, come vedono la vita? Come considerano

il mondo? o Qual è la mentalità del padrone della vigna? Qual è il senso profondo del rimprovero

finale? Proposta 3 Dopo la lettura della parabola, l’animatore inviterà i ragazzi, usando l’immaginazione, a continuare la parabola rispondendo alle domande sotto riportate. Alla fine dell’incontro l’animatore riassumerà in breve quanto emerso durante l’attività di approfondimento e porterà l’attenzione sul messaggio principale di questa parabola: Dio Padre non conosce contabilità, né limiti, né riserve o condizioni. Il suo amore è assoluto, abbraccia l’intera umanità e si posa con atteggiamento di predilezione su ciascuno. o Cosa avranno raccontato gli “operai della sera” alle proprie famiglie? o A che ora si saranno presentati gli “operai della sera”, il giorno seguente? o Cosa avranno raccontato alle proprie famiglie gli “operai del mattino”? o Cosa si sentiranno rispondere dalle proprie famiglie gli “operai del mattino”? o A che ora si presenteranno il giorno seguente gli “operai del mattino”? o Come avrà commentato presso la propria famiglia, i fatti accaduti, il padrone della vigna? o Che criterio di reclutamento utilizzerà il padrone della vigna il giorno seguente? o Che criterio di paga adotterà il padrone della vigna il giorno seguente?

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RIAPPROPRIAZIONE Quello della gratuità è l’atteggiamento costante che Dio ha nei nostri confronti. Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a sperimentare l’inaspettata gratuità di Dio, che ogni giorno ci dona pienamente se stesso, e trasformarla in quotidiana gratuità nella nostra vita. L’animatore può invitare i ragazzi a riflettere sulle emozioni provate in qualche particolare momento della loro vita (a scuola, in famiglia, tra amici…), dove per un gesto, un favore disinteressato, sono stati ricompensati spropositatamente (non necessariamente in termini economici). Si porrà particolare attenzione su come ogni gesto di gratuità che compiamo ci offra una profonda possibilità di realizzazione, liberi dall’ansia del risultato e della ricompensa; tale tipo di atteggiamento inoltre favorisce uno stile di relazione con gli altri che permette di sperimentare possibilità di cambiamento. Si possono invitare i ragazzi all’incontro con persone (preferibilmente della loro comunità, meglio se conosciute e stimate) che coltivano attivamente, impegnati in gruppi, associazioni ecc… l’aspetto della gratuità.

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C. Un Padre che ha sempre fiducia FASE PROIETTIVA Proposta 1

DEAD MAN WALKING Di Tim Robbins – RCS, 1995

Soggetto: Il giovane Matthew Poncelet, condannato a morte in Louisiana, scrive alla suora Helen Prejean per avere colloqui ed assistenza in carcere. Con l'amico Carl Vitello, ora all'ergastolo, il giovane ha ucciso una notte due fidanzati che si erano appartati in un bosco. Vitello, avendo tanto denaro, ha potuto scampare con validi avvocati alla pena capitale, mentre Matthew è stato condannato a morte; con l'approvazione dei suoi superiori, suor Helen (che svolge i propri compiti in un centro di servizi sociali) si appresta all’insolita missione. Matthew è un tipo fra il bullesco e lo sprezzante, ma in realtà è disperato, e dopo qualche contatto la suora entra in crisi. Tuttavia, visita la madre del detenuto, Lucille Poncelet (con altri figli minorenni a carico cui provvedere), per raccogliere notizie ed elementi sull'infanzia del giovane, che ora ha contro l'opinione pubblica, la stampa e la televisione, oltre che i comitati favorevoli alla pena di morte. La minoranza invece, contraria alla barbarie delle esecuzioni in carcere, lotta invano. Nel frattempo viene ingaggiato un solerte difensore, vengono attivati gli ultimi strumenti giuridici utilizzabili, tra i quali la domanda di grazia al Governatore dello Stato, che la negherà. Suor Helen contatta i familiari delle due vittime: Earl Delacroix per il ragazzo Walter, Clyde e Mary Beth Percy per la figlia Hope, violentata e straziata prima dell'assassinio. Costoro non comprendono come la suora "difenda" un criminale, e loro non accettano l'idea del perdono. Malgrado lo scarsissimo tempo residuo, Matthew ha qualche cedimento: le parole della sua assistente spirituale e la Bibbia che essa gli ha dato cominciano ad avere effetto, mentre le visite e l'evidente stato di angoscia e di crisi della suora aprono spiragli nel suo cuore. Suor Helen ottiene di poter assistere all'esecuzione, perché lui la vuole vicina: alla vigilia, fra le prime lacrime, le confessa che lei soltanto ha dimostrato di volergli bene. Già legato al lettuccio per essere sottoposto all’iniezione letale, secondo le norme in vigore per l'esecuzione, le ultime parole di Matthew sono una richiesta di perdono ai parenti presenti, la confessione della propria delittuosa complicità e la dichiarazione di affetto a quella suora, che tende fino alla morte la mano verso di lui. Valutazione Pastorale: Il film propone il problema della liceità della pena capitale; il duplice strazio dei parenti delle vittime, l'impegno tenace, ma anche la crisi di suor Helen; la personalità spavalda, ma anche fragile, fino al pentimento ed alle lacrime del condannato prima della morte. La pietà di suor Helen fa da valido e disperato contrappeso all’inevitabile impietosità dei particolari operativi. Tratto dal libro di Helen Prejean, e da una personale esperienza di tale religiosa, il film è una "vigilia di morte", che l'omicida e la sua assistente spirituale vivono insieme, tra mille ostacoli (l'approccio è insolito: le reazioni altrui per altri orrendamente morti; l'impatto del massacro e del successivo adempimento di giustizia e le regole dettate da leggi e procedure). È altrettanto doveroso rilevare la prestazione e l'affiatamento dei due interpreti: Susan Sarandon impegnata in un ruolo arduo, con sensibilità e smarrimenti, ma altresì con coraggio e bagliori

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di speranza; Sean Penn, da prima terrorizzato, poi passato attraverso il pentimento a quella Verità evangelica che lo farà libero. La lunga scena dell'esecuzione è, tuttavia, nella sua scansione realistica, assai gelida. Proposta 2 L’animatore presenta al gruppo il seguente caso (opportunamente adattato): «Dopo un cammino di due anni in preparazione alla cresima, il gruppo di catechisti, radunato dal parroco, discute animatamente sul caso di due ragazzi che hanno partecipato agli incontri di catechismo solo in modo molto discontinuo. Il papà del primo, che non si è mai fatto vedere in due anni, esige che il figlio riceva la cresima come tutti e la stessa cosa chiede la madre del secondo, che vive separata dal marito. La discussione tra i catechisti è molto animata e si formano sostanzialmente due gruppi: quello formato da coloro che non ritengono opportuno che i due ragazzi ricevano la cresima in quanto impreparati, e quello formato da coloro che vogliono che i ragazzi siano comunque ammessi al sacramento, considerate le situazioni familiari e il fatto che l’anno seguente ci si ritroverebbe ancora allo stesso punto; anche il parroco è indeciso sulla decisione da prendere». L’animatore formula le seguenti domande: che soluzione daremmo a questo caso così frequente? Ci vengono in mente situazioni analoghe? Proposta 3 Commentare insieme ai ragazzi un fatto grave di cronaca, dal quale nasca spontanea la domanda:”ma perché Dio permette questo?” analisi Commento alla parabola della semente e della zizzania (Mt. 13,24-30) Non sono poche le volte in cui desidereremmo che Dio facesse giustizia una volta per tutte, che ripagasse ciascuno con la sua stessa moneta: ai buoni onore e felicità, a chi non è degno del suo regno punizione e allontanamento. Abbiamo bisogno di conferme alle nostre buone opere, di una chiara distinzione tra bene e male. Gesù ci mostra invece un Dio che, instancabilmente, si fa incontro ad ogni uomo, un Dio paziente che perdona, che offre a ciascuno nuove occasioni per cambiare e maturare. È un Dio che ogni volta “fa nuove tutte le cose”: guarda e ama ciascuno senza tenere conto degli errori passati. L’immagine della semina viene usata più volte da Gesù. In questo particolare racconto, nel campo del padrone crescono due tipi di piante. La possibilità che il raccolto fosse minacciato da erbacce nocive corrisponde ad una realtà familiare alla seminagione nella Palestina del tempo di Gesù. La pianta di cui si parla qui è probabilmente il loglio, un’erba molto simile al frumento, dal quale si può distinguere solo al momento della crescita della spiga. I contadini erano soliti strapparla appena diventava riconoscibile: si tratta di un’operazione che compivano in fretta e a più riprese, in modo da evitare che il loglio compromettesse la crescita del grano o proliferasse sull’intera superficie coltivata. Stranamente, il padrone del campo di cui parla la parabola non permette che i contadini intervengano per strappare la zizzania, benché essa sia già chiaramente riconoscibile. Al

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contrario, egli ordina loro di lasciare che le due piante crescano insieme fino all’ora della mietitura. Come abbiamo visto, alla buona semina del padrone se ne sovrappone un’altra, fatta ad opera del nemico che sparge di notte il suo seme nocivo. Appena i contadini riconoscono la zizzania, si rivolgono al padrone del campo, chiedendogli conto della bontà del seme da lui sparso: «Non hai seminato un buon seme? Da dove dunque viene la zizzania?». Il padrone spiega che il responsabile della presenza dell’erbaccia è un nemico; allora i contadini propongono di intervenire con la prassi abituale: strappare la zizzania. Per loro è chiaro che la zizzania non può stare insieme al buon grano. L’anomalia del racconto emerge dalla risposta che ricevono dal padrone: «No, perché non succeda che, cogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l’una e l’altro crescano insieme fino alla mietitura». La tensione della parabola, e insieme il nucleo del messaggio che Gesù vuole comunicare, sta tutta in queste due prospettive contrapposte, quella dei contadini e quella del padrone.

Il messaggio di Gesù Per coloro che ascoltavano il racconto di Gesù, la mietitura ricordava l’immagine biblica che rappresentava il momento del giudizio finale di Dio sul mondo. Questa immagine poneva il problema della convivenza del bene e del male. La risposta del padrone indica una nuova posizione nei confronti di questo problema: non è opportuno cercare di eliminare il male dal mondo prima del giudizio divino, perché l’uomo non è in grado di valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e non sa discernere correttamente i confini del bene e del male. Una distinzione e un intervento radicali potrebbero compromettere anche il bene esistente. La separazione e il giudizio tra bene e male spettano solo a Dio, che è il sommo bene e conosce il cuore degli uomini. Dio stesso ha stabilito un momento opportuno per il giudizio: l’uomo non può anticiparlo, ma può godere del tempo dell’attesa per crescere, maturare e progredire nel cammino della propria vita. L’attesa è il tempo propizio per la conversione da zizzania in buon grano. L’attesa messianica dell’epoca di Gesù era caratterizzata dal desiderio di un liberatore terreno, che portasse una giustizia solo umana. La comunità vagheggiata dai diversi movimenti religiosi, come gli esseni, seguiva ideali rigidi di purezza dalla quale chiunque non facesse parte del gruppo era escluso; anche i farisei, sebbene a partire da diverse prospettive, conservavano l'idea di costituire una comunità di puri, gli unici che conoscevano e osservavano scrupolosamente la Legge di Mosè, perciò si mantenevano a distanza dagli altri, ritenuti a vario titolo peccatori. La situazione in cui si trova ad insegnare Gesù, quindi, è ricca i tensioni sociali che tendono a distinguere tra osservanti e trasgressori, buoni e cattivi. Ed è proprio in questa situazione che Gesù annuncia l'avvento del regno di Dio nella sua stessa persona, un regno e una persona che aprono le porte ai peccatori, offrendo sempre nuove occasioni di riconciliazione (Gesù è venuto per i peccatori, come il medico si occupa dei malati). I contadini ricevono scandalo dalla zizzania, arrivano quasi a dubitare del padrone stesso. Volonterosi più che mai, si offrono di sradicarla subito: sarà un lavoro duro, ma va fatto – pensano. Il padrone invece garantisce la bontà del suo seme e spiega che la zizzania è opera del nemico; inaspettatamente, inoltre, si affretta ad impedire ai servi di sradicarla. È un padrone che non perde tempo a lamentarsi del male, ma tiene sempre l’attenzione fissa sul bene. Per amore del buon grano tollera la zizzania; e sa attendere: verrà il momento della mietitura e allora tutto sarà chiarito, il buon grano raccolto, la zizzania bruciata. Gesù lascia capire che non è ancora giunto il momento del giudizio: quello attuale è il tempo dell'attesa e della pazienza di Dio, che offre a tutti gli uomini, anche ai più lontani da lui,

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continue occasioni di conversione. In questo si vede che la pazienza di Dio non è passiva, non abbandona l'uomo alle sue scelte, ma gli si fa incontro continuamente, va in cerca di lui, lo chiama e lo attira a sé, incontrandolo nelle situazioni della sua vita. I significati per la nostra vita

Il bene e il male coesistono e spesso, troppo spesso, si confondono. È già difficile distinguere il bene dal male, ma capire perché Dio non fermi subito la mano dei malfattori è quasi impossibile. Quante volte abbiamo desiderato un segno, un riconoscimento delle nostre buone azioni che ci distingua da chi attorno a noi imbroglia, mente, boicotta, rovina? Scegliere il bene già di per sé non è facile, spesso è scomodo… e il più delle volte sembra pagare meno delle cattive azioni. Proviamo a pensare se questo ci è capitato nella nostra vita: a scuola, nel gruppo di amici, addirittura in famiglia. Allarghiamo gli orizzonti e pensiamo alla società intera. Vale la pena perseverare nel bene? Perché scegliere il bene anziché il male? Se Dio ci insegna a fare il bene, perché non ferma chi fa il male? Ci sarà mai una ricompensa? Gesù non dice che non dobbiamo accorgerci del male, ma che dobbiamo concedere a noi stessi e agli altri sempre nuove possibilità di cambiamento. Il tempo in cui viviamo ci è stato donato proprio come occasione per trasformare la zizzania in buon grano; è nelle nostre scelte di oggi che stiamo dicendo chi vogliamo essere di fronte a Dio: persone aperte o chiuse all'amore di Dio, alla comunione con lui e, di conseguenza, con gli altri. Questo non è il tempo del giudizio, né per noi, né per gli altri, ma è tempo di salvezza, in cui possiamo accogliere gli appelli che la nostra vita e la società in cui viviamo ci rivolgono. Il buon grano non può trasformare la zizzania in altro grano, ma Gesù spiega ai discepoli che “seme buono sono i figli del regno”; e le persone possono cambiare: gli uomini possono convertire altri uomini, svelare loro il mistero di un Dio che è amore. Sappiamo avere nella nostra vita la speranza del padrone del campo? Sappiamo attendere? Come semente buona, sappiamo stare in mezzo alla vastità del campo del mondo senza perderci o corromperci? Sappiamo testimoniare la bontà del seme dal quale siamo stati creati? Se Dio è paziente con il peccatore, noi, creati a sua immagine e somiglianza, dobbiamo assomigliargli anche in questo: nell'essere pazienti con noi stessi e con gli altri, senza smettere di offrire possibilità di cominciare una nuova vita. La pazienza di Dio, che impariamo a conoscere nel rapporto personale con Lui, diventa fonte e modello della nostra pazienza. Nella prima omelia del suo pontificato, Benedetto XVI osservava che “noi soffriamo per la pazienza di Dio e nondimeno abbiamo tutti bisogno della sua pazienza”. Ricordiamo di essere i primi ad aver bisogno della pazienza di Dio? Siamo sicuri che il nostro buon seme non si sia corrotto, siamo ancora grano buono? Oppure cominciamo ad assomigliare alla zizzania? La speranza del padrone del campo è per tutti, per noi e per gli altri. È necessario non disperare mai, saper confidare nella pazienza e nella speranza di Dio, che ci aspetta sempre, come il più amorevole dei padri. E naturalmente metterci d’impegno perché il buon seme non vada sprecato e perché il padrone del campo, alla mietitura, sia contento di noi e della nostra vita feconda. Questa pazienza, fatta ad immagine di quella divina, si concretizza nell'avere il coraggio di non fuggire davanti ai nostri difetti, ma anche nel non scoraggiarci di fronte alle sconfitte. La comprensione delle diverse situazioni è il primo passo da fare, insieme alla fiducia nell'aiuto di Dio e nelle possibilità, nostre e degli altri, di cambiamento. Inoltre dobbiamo mantenere vivo in noi e in chi ci sta accanto un amore appassionato per la vita, per tutti gli uomini e per le realtà buone del nostro mondo. Tutto questo ci aiuterà ad avere il coraggio e la forza di cominciare e ricominciare sempre, anche dopo la caduta più dolorosa.

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Proposta 1 Dopo la lettura della parabola, l’animatore dovrà guidare una discussione di gruppo facendo attenzione che la discussione non vada troppo fuori tema ma tenendo ben presente che l’obiettivo è quello di porre l’attenzione in modo particolare sulla pazienza di Dio (nella parabola, il padrone) che è diversa da quella degli uomini (nella parabola, i servi): Dio semina sempre il buon seme e la presenza dell’erbaccia è dovuta alla responsabilità di un nemico; Inoltre l’uomo non è in grado di valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e non sa distinguere compiutamente dove sta il bene e dove sta il male: il pericolo di una cernita radicale potrebbe essere quello di rovinare il bene esistente, mentre la separazione tra bene e male è una prerogativa che spetta solo a Dio. Proposta 2 Dividere i ragazzi in tre gruppi: gruppo 1 rappresenta i servi della parabola, il gruppo 2 il padrone, il gruppo 3 la gente che ascolta Gesù. I gruppi 1 e 2 si riuniscono per cercare argomentazioni valide che difendano la loro posizione, mentre il gruppo 3 pensa a delle domande da sottoporre ai gruppi 1 e 2. L’animatore da la parola in modo alternato ai gruppi 1 e 2, mentre il gruppo 3 interviene con le domande destinate a destabilizzare le argomentazioni dei due gruppi. L’animatore infine riassume gli interrogativi emersi e invita ad approfondire la parabola con l’obiettivo di evidenziare la specifica pazienza di Dio e che solo Dio può giudicare il bene ed il male. Proposta 3 Suddividere il gruppo di ragazzi in sottogruppi di 3-4 persone. Ciascun sottogruppo dovrà inventarsi una storia verosimile sulla falsa riga della parabola, ambientandola ai nostri giorni, ma con lo stesso messaggio di fondo. Alla fine dell’attività, verranno lette e commentate le storie dei ragazzi; l’animatore avrà il compito di individuare quelle che hanno mantenuto invariato il messaggio di Gesù: la pazienza di Dio (nella parabola, il padrone) che è diversa da quella degli uomini (nella parabola, i servi); Dio semina sempre il buon seme e la presenza dell’erbaccia è dovuta alla responsabilità di un nemico; inoltre l’uomo non è in grado di valutare fino in fondo le situazioni e il cuore delle persone e non sa distinguere compiutamente dove sta il bene e dove sta il male: il pericolo di una cernita radicale potrebbe essere quello di rovinare il bene esistente, mentre la separazione tra bene e male è una prerogativa che spetta solo a Dio. RIAPPROPRIAZIONE Finalità di questa fase è aiutare i ragazzi a sperimentare la presenza di un Dio che accompagna e attende la maturazione delle persone e degli eventi con paterna pazienza e ad esercitare la pazienza attiva di Dio (perché offre continuamente agli uomini delle provocazioni/occasioni affinché si convertano) nei confronti di sè e degli altri. L’animatore può invitare i ragazzi a riflettere sulla pazienza che loro hanno nei confronti degli altri, ma anche nei confronti di se stessi: come ci poniamo di fronte ai nostri limiti e ai nostri sbagli (anche ripetuti). L’animatore può qui porre l’attenzione sulla pazienza dei genitori, che sono comunque uomini, per fare immaginare la più grande pazienza di Dio Padre. Si possono invitare i ragazzi a condividere delle esperienze positive (a scuola, in famiglia, tra amici) in cui il saper attendere l’evolversi degli eventi e delle coscienze ha portato buoni frutti.

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Con le sue idee: il senso della vita

2.3.3 OUVERTURE Luca 9,24-25 Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà, ma chi perderà la propria vita per me, la salverà. Che giova all'uomo guadagnare il mondo intero, se poi si perde o rovina se stesso? Certamente la vita di Gesù, come la conosciamo a partire dai Vangeli, è stata una vita buona, bella e beata, ma va confessato che nella tradizione cristiana se ne è colta soprattutto la “bontà”, mentre non si è quasi mai meditato sulla bellezza e sulla felicità di questa esistenza. L’esito della croce, di fatto, ha assorbito quasi tutta l’attenzione e ha fatto ritenere inconciliabili con una visione di bellezza e felicità l’impegno radicale, le prove, la fatica, le sofferenze, il supplizio della croce. Sì, una vita buona perché segnata dalla logica dell’amore, e quindi capace di mostrare Gesù mite e umile di cuore, misericordioso verso tutti, pronto a incontrare nell’amore il prossimo, gli altri, gli ultimi. La vita di Gesù non è stata solo buona, è stata anche “bella”: una vita umanamente bella; è stata la vita di un uomo povero, certo, ma sempre una vita dignitosa, mai toccata dalla miseria; vita di un uomo abitato dal desiderio costante di testimoniare Dio come Padre, ma mai scaduta a livello di militanza febbrile; una vita impegnata, sì, in cui c’era la possibilità di cogliere la bellezza della natura, degli uomini, degli eventi quotidiani. Gesù non ha vissuto isolato, ha sempre cercato e attuato una profonda comunione: conduceva una vita in comune con fratelli e sorelle che lo seguivano, e l’esperienza affettiva che viveva con loro era così intensa da giungere a chiamarli “amici”; con alcuni di loro il rapporto era ancora più profondo, come testimonia quello personalissimo con il discepolo amato. Gesù aveva amici veri, cari al suo cuore, come Marta, Maria e Lazzaro, persone amate presso cui sostare, riposarsi e ristorarsi, vivendo l’avventura di chi conosce lo scambio dell’amore fraterno. Gesù aveva il tempo di fermarsi per pensare, per contemplare la natura, il ritmo delle stagioni, i mestieri del suo tempo. Nelle sue parole si discerne una sapienza umana profonda e convincente, sapienza assunta anche dalla molteplice e variegata saggezza. Gesù ebbe anche una vita beata, felice, anche se certo non di una felicità mondana, perché la vita di Gesù è stata una vita ricolma di “senso”, anzi, di senso del senso: infatti, solo chi conosce una ragione per cui vale la pena dare la vita, conosce anche una ragione per cui vale la pena vivere; Gesù questa ragione l’aveva. Più volte ha affermato di voler dare la vita per i fratelli, gli amici, gli altri: questo dava senso alla sua vita, rendendola una missione in piena obbedienza amorosa al Padre; così, nella pienezza di senso che viene dall’amore, anche la croce poteva essere accolta con serenità. Non Pilato è stato un uomo felice, pur con tutto il

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suo potere; non Erode è stato un uomo felice, con tutta la sua voracità... Gesù invece, pur salendo in croce, pur patendo una morte ignominiosa, lo ha fatto nella libertà e per amore. Sì, davvero esistenza beata, quella di Gesù: vita impregnata della felicità di chi conosce il senso della vita e degli eventi, di chi trasale di gioia per l’esperienza quotidiana della presenza amorosa di Dio e dell’amore che è possibile vivere con gli altri uomini... Vita buona, bella e beata, dunque vita esemplare per noi cristiani, perché vita umanissima, liberamente e amorosamente assunta da colui che, essendo Dio, si è fatto uomo in un’esistenza reale e quotidiana come la nostra. Ancora oggi molti cristiani si negano la comprensione di questa verità leggendo la vita di Gesù a partire dalla croce: ma non è la croce che ha reso grande Gesù, è Gesù che ha dato significato alla croce! (Enzo Bianchi) INTRODUZIONE METODOLOGICA Cerchiamo di seguire in questa scheda un metodo “parabolico”, nel senso che prediligiamo o nella fase proiettiva con proposte particolarmente evocative,

come film e canzoni (che permettono di parlare di sé, parlando di loro) o nella riappropriazione con domande dirette, che introducano a riprendere in maniera

esistenziale i significati della Parola, e testimonianze, che altro non sono che conseguenze vive della parola ascoltata

Brani di Vangelo proposti. Vengono proposte due parabole e un incontro:

o la parabola dei talenti: la vita è un credito che ti è stato fatto, il suo senso è “sdebitarsi”, “restituendo” le ricchezze ricevute

o la parabola del ricco stolto e l’invito all’abbandono alla Provvidenza: il senso della vita è avere alcune certezza cui affidarsi; davanti all’incertezza, il rischio di investire sulla previdenza senza fondarsi sulla Provvidenza

o l’incontro di Gesù con Marta e Maria: il senso della vita è trovare l’essenziale senza perdersi nell’accessorio

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A. Gratis, ma senza sconti Premessa L’obiettivo per qui viene analizzata la parabola dei talenti è far capire ai ragazzi i seguenti punti chiave: 1. L’uomo non è padrone della propria vita e dei propri “talenti”, si è solo amministratori; 2. Dio fa credito a tutti, nel senso che si fida di tutti (a tutti vengono consegnati i talenti); 3. Ciascuno è chiamato a restituire i talenti, dovremmo spiegare come abbiamo usato la

nostra vita (il primo talento in assoluto). Fase proiettiva

La Linea d'Ombra Lorenzo Cherubini

La linea d'ombra la nebbia che io vedo a me davanti per la prima volta nella vita mia mi trovo a saper quello che lascio e a non saper immaginar quello che trovo mi offrono un incarico di responsabilità portare questa nave verso una rotta che nessuno sa è la mia età a mezz'aria in questa condizione di stabilità precaria ipnotizzato dalle pale di un ventilatore sul soffitto mi giro e mi rigiro sul mio letto mi muovo col passo pesante in questa stanza umida di un porto che non ricordo il nome il fondo del caffè confonde il dove e il come e per la prima volta so cos'è la nostalgia la commozione nel mio bagaglio panni sporchi di navigazione per ogni strappo un porto per ogni porto in testa una canzone è dolce stare in mare quando son gli altri a far la direzione senza preoccupazione soltanto fare ciò che c'è da fare e cullati dall'onda notturna sognare la mamma... il mare. Mi offrono un incarico di responsabilità mi hanno detto che una nave c'ha bisogno di un comandante mi hanno detto che la paga è interessante che il carico è segreto ed importante il pensiero della responsabilità si è fatto grosso è come dover saltare al di là di un fosso che mi divide dai tempi spensierati di un passato che è passato saltare verso il tempo indefinito dell'essere adulto di fronte a me la nebbia mi nasconde la risposta alla mia paura cosa sarò dove mi condurrà la mia natura? La faccia di mio padre prende forma sullo specchio lui giovane io vecchio le sue parole che rimbombano dentro al mio orecchio "la vita non è facile ci vuole sacrificio

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un giorno te ne accorgerai e mi dirai se ho ragione" arriva il giorno in cui bisogna prendere una decisione e adesso è questo giorno di monsone col vento che non ha una direzione guardando il cielo un senso di oppressione ma è la mia età dove si sa come si era e non si sa dove si va, cosa ci sarà che responsabilità si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto e attraverso questo vetro vedo il mondo come una scacchiera dove ogni mossa che io faccio può cambiare la partita intera ed ho paura di essere mangiato ed ho paura pure di mangiare mi perdo nelle letture, i libri dello zen ed il vangelo l'astrologia che mi racconta il cielo galleggio alla ricerca di un me stesso con il quale poter dialogare ma questa linea d'ombra non me la fa incontrare. Mi offrono un incarico di responsabilità non so cos'è il coraggio se prendere e mollare tutto se scegliere la fuga od affrontare questa realtà difficile da interpretare ma bella da esplorare provare a immaginare cosa sarò quando avrò attraversato il mare portato questo carico importante a destinazione dove sarò al riparo dal prossimo monsone mi offrono un incarico di responsabilità domani andrò giù al porto e gli dirò che sono pronto a partire getterò i bagagli in mare studierò le carte e aspetterò di sapere per dove si parte quando si parte e quando passerà il monsone dirò levate l'ancora diritta avanti tutta questa è la rotta questa è la direzione questa è la decisione. Se possibile, far ascoltare al gruppo la canzone di Jovannotti e dare a ciascuno una copia del testo. Successivamente i ragazzi devono evidenziare nel testo le frasi che ritengono importanti per ricostruire il percorso e definire qual è la più significativa. Capire che figura è il comandante e ipotizzare quali dovrebbero essere le caratteristiche di un buon comandante. Cercare di far partire una discussione sul fatto se qualche volta nella loro vita si sono sentiti capitani di una nave, in che occasione e perché! Come ultima tappa, ogni ragazzo deve mettersi nei panni della persona a qui viene chiesto l’incarico di portare la nave dall’altra parte del mare, come ci si relazione in tale situazione? Per l’animatore L’obiettivo dell’incontro è far capire che a ciascuno nella vita viene consegnata una nave (talenti) è che il nostro compito è quello di farla approdare dall’altra parte della riva (Paradiso), in questo tragitto noi dobbiamo mettere tutto noi stessi (talenti). oppure

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I diari della motocicletta di Walter Salles – 20th Century Fox - 2004

Soggetto: Il 4 gennaio 1949 due giovani amici (il 29enne biologo Alberto Granado e il 22enne Ernesto Guevara studente in medicina) partono da Buenos Aires su una vecchia moto del 1939. Il loro obiettivo é compiere un viaggio di circa 8000 chilometri in 4 mesi, attraverso il continente sudamericano. Dopo una sosta nella residenza di Chicina, ragazza innamorata di Ernesto, i due si addentrano verso il nord. Più volte la moto, chiamata 'la poderosa', incappa in incidenti e subisce danni. Entrati in Cile, passati in una zona sommersa dalla neve e dal freddo, arrivati a quasi 3000 chilometri, la moto si ferma definitivamente, e i due devono proseguire con l'autostop. Passata Valparaiso, attraversano il deserto del Cile, incontrano e parlano con alcuni indios derubati della terra e costretti ad accettare lavori pesanti. Arrivano in Perù, visitano Cuzco, l'antica capitale, sono di fronte al Machu Pichu: hanno percorso circa 7000 chilometri. Da Lima, grazie all'intervento del dott.Pesce, si trasferiscono in traghetto all'isola di S.Pablo, dove c'è un ospedale per lebbrosi e altri malati gravi gestito da suore. Qui rimangono a lavorare, riscuotendo la fiducia e la stima dei pazienti. Alla fine del periodo Ernesto, durante il suo compleanno, fa un discorso sulla necessità di un'America unita dal Messico in giù. Arrivati in Colombia i due amici si dividono. Alberto accetta un offerta di lavoro a Caracas. Ernesto torna a Buenos Aires per laurearsi. Si impegnano a rivedersi presto. Siamo a luglio del 1952. Valutazione Pastorale: Le didascalie conclusive si incaricano di ricordarci che Ernesto e Alberto si rividero quando il primo, diventato il "Che", chiamò il secondo a lavorare a Cuba. Ernesto Guevara, come è noto, fu ucciso in un agguato in Colombia nel 1967, mentre Alberto vive ancora oggi a L'Avana. Se queste informazioni ci mettono di fronte a discorsi di tipo più decisamente ideologico-politico, in ordine ai forti sommovimenti sociali che hanno caratterizzato in quegli anni tutta l'immensa area sudamericana, le due ore della vicenda hanno invece il pregio di lasciarsi andare (e di coinvolgerci) in un viaggio che da geografico diventa di conoscenza, di ricerca di identità, di formazione: un viaggio che mette insieme la scoperta degli altri e quella di sé stessi. Nella parte iniziale (fino alla permanenza da Chichina) e in quella finale (con il saluto all'aeroporto e il montaggio sui volti scavati degli abitanti), Salles infonde nelle immagini il brivido dell'incoscienza in un percorso ignoto e la tenerezza della condivisione di dolori e gioie con gli altri esseri umani, la voglia di restituire dignità a chi se l'è vista togliere con la forza. Gli ideali, l'amicizia, l'utopia: il diario scandisce la percezione di queste sensazioni che vibrano nella mente e nel cuore. Quello che é successo dopo lo racconteranno altri. Qui si parla di un termometro delle emozioni che la regia fa battere con una convenzionalità narrativa, decisa e provocatoria. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come accettabile, realistico e adatto a dibattiti. Utilizzo del film: Questo film si presta all’argomento, non per l’esemplarità cristiana dei personaggi o perché sottolinei una radice evangelica delle motivazioni, quanto perché sottolinea la maturazione umana dei due giovani protagonisti nella voglia di spendere la vita secondo ideali importanti. Interessante poi, per come metta in evidenza il significato “iniziatico” del viaggio che compiono i protagonisti, segno della necessità di dedicarsi seriamente a un percorso di conoscenza di sé e della realtà.

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analisi Analisi della Parabola dei talenti (Mt. 25, 14-30) Accanto al messaggio essenziale della vigilanza per tenersi pronti alla venuta del Signore, in questa parabola, emerge un motivo complementare, quello dell'impegno per far fruttare i doni ricevuti da Dio, un tema che sta particolarmente a cuore al primo evangelista (cf. 7,21-27; 21,41.43). Gesù raccomanda la vigilanza, ma non passiva. Il discepolo deve impegnarsi in modo operoso per accrescere il capitale affidatogli da Dio; forse, rispetto alla parabola del servo fedele e infedele (24,45ss.), qui si accentua la dimensione creativa e personale dell'impegno cristiano, per portare frutti più abbondanti, con particolare riferimento a quanti hanno delle responsabilità nella chiesa; per Matteo è il Cristo risorto che ha affidato il tesoro del regno ai discepoli: ad essi ne domanderà conto nel ritorno finale, quale giudice degli ultimi tempi. Per estensione la parabola è stata applicata ad ogni cristiano, che durante il tempo della chiesa deve corrispondere con fedeltà attiva alla chiamata divina. La parabola diventa metafora del senso della vita secondo la visione di Gesù, secondo la quale: o Dio è il “padrone della vita” e affida all’uomo di amministrare questo capitale, ricordandosi

sempre che sarà chiamato a renderne conto o Emerge l’immagine di un Dio che ha fiducia dell’uomo, e l’immagine della vita umana

come impresa affascinante di esercizio della responsabilità o Gli anni della vita che uno si trova tra le mani e che percepisce di dover gestire, sono un

credito che gli è stato fatto o La vita è fatta per “restituire il credito”, diventiamo noi stessi persone capaci di sdebitarsi

facendo a nostra volta credito agli altri, ovvero dando fiducia o Il fine della vita è vivere orientati alla sua fine: il fine è rispondere alla fiducia che ci è stata

data, valorizzando i nostri doni a servizio della crescita del Regno L’analisi delle risposte: che risposta dare alla vita? Un talento, pari a 34 chili di oro, valeva 6.000 denari, corrispondenti ad altrettante giornate lavorative: le somme affidate sono quindi di un valore notevolissimo; il bene della vita, il dono del regno di Dio, sono beni inestimabili, per i quali è coinvolta la responsabilità umana in una maniera tale che appare sconvolgente la fiducia di Dio nei confronti dell’uomo. Quali tipi di risposta sono allora possibili al credito che ci è stato fatto? Il Vangelo evidenzia fondamentalmente due risposte:

o la riposta di chi ha paura di rischiare un bene così grande e sotterra il bene, senza nulla perdere, ma senza nulla ottenere: la “resa dei conti” comunque arriverà…

o la risposta di chi butta tutto se stesso in questo grande rischio

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Riappropriazione Discussione del tema iniziale alla luce del vangelo Introduzione dell’attività da parte di una persona invitata a portare la propria esperienza di vita; da questo incontro dovrà risultare come la persona invitata pensa di dover restituire i talenti ricevuti; in secondo luogo, altrettanto importante, come ha fatto a capire, vivendo la vita di tutti i giorni, che tutto quello che ha è frutto di un qualcosa che ha ricevuto in gestione. La persona invitata non deve rispondere a delle caratteristiche precise: chiunque dovrebbe essere in grado di capire quali sono i talenti che ha a disposizione; di particolare interesse, potrebbe essere l’invito rivolto ad una persona anziana, in quanto il bagaglio di esperienze che ha fatto nella vita può aver dato chiarezza dei talenti che ha dovuto amministrare e, forse, il concetto della restituzione lo vive più da vicino. La stessa cosa potrebbe funzionare invitando a parlare della propria vita un animatore, oppure un ragazzo conosciuto in parrocchia; anche loro dovrebbero aver interiorizzato bene il concetto della gratuità della vita ricevuta. Al termine della testimonianza si può introdurre un dialogo con i ragazzi, ponendo loro alcune delle seguenti domande Domande da porre ai ragazzi o Anche a te il “Padrone” ha lasciato dei talenti da amministrare: cosa ne fai delle tue

capacità? Dove impegni le tue energie migliori? o L’impegno nasce dalla consapevolezza che il “Padrone” si fida di te e ti affida un mondo

da costruire e trasformare, una barca da traghettare sull’altra sponda, davanti al quale non puoi rimanere indifferente. Qual è il tuo rapporto con il mondo in cui vivi? Impegno o disimpegno? Responsabilità o leggerezza? Senti che Dio si fida di te?

o Dio dona i suoi talenti a tutti e non chiede nulla di più di quello che puoi dare. Sei consapevole dei doni che ti ha dato? Lo sai che poi, anche tu, dovrai restituirli? Cosa significa per te il dover restituire i doni?

o Nelle tue scelte di vita (lavoro, università) hai pensato che quello che farai dovrai restituirlo perché non tuo. Non è facile pensare in questi termini, ha senso per te? …o è privo di significato? Perché?

o Uno dei doni che il “Padrone” di ha dato è quello della fede. Sei consapevole di avere il grande compito di mostrare il volto di Dio ai tuoi compagni?

o Se non ti impegnerai il mondo continuerà ad andare sempre per la sua strada e ti lascerà indietro. Hai valutato mai cos’hai da perdere e da guadagnare?

Nel caso ci fossero dei problemi ad invitare un testimone l’attività, ovviamente, potrà essere sviluppata unicamente con l’utilizzo delle domande.

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B. Cercare l’essenziale Fase proiettiva

Maghi e Viaggiatori Khyentse Norbu – Mondo home entertainment, 2004

Soggetto: Insofferente ai ritmi di vita del luogo monastico, Dondup, giovane funzionario del Buthan, chiede ed ottiene un permesso di andare in città per la festa religiosa annuale. Il suo obiettivo, in realtà, è quello di imbarcarsi per gli Stati Uniti, luogo di tutti i sogni di vita. Qualcosa però non funziona: persa la corriera, Dondop si trova a cercare passaggi di fortuna in compagnia, prima di un contadino, poi di un monaco e di un padre con la giovane figlia. Il gruppetto procede a fatica, facendo lunghi tratti a piedi, fermandosi per mangiare e per dormire. In questi frangenti il monaco comincia ad intrattenere gli altri con uno strano racconto: due fratelli, uno grande costretto a seguire lezioni di magia che non lo interessano, un’adolescente attratto dagli studi e impossibilitato a seguirli. Il fratello più grande un giorno crede di vedere un bel cavallo, vi sale sopra, si fa trascinare verso la foresta, presso l’abitazione isolata di un monaco e della sua donna. Ospitato, il giovane vorrebbe andare via ma la donna lo attrae, lo lusinga e i due diventano amanti al punto da progettare l'eliminazione del vecchio. Qui il ragazzo si sveglia, si ritrova con il fratello piccolo e con lui torna a casa. Il racconto ha risvegliato l'attenzione di Dondup. Ora il funzionario non è più così sicuro di volere andare negli Stati Uniti anzi, salendo su un camion con il monaco, saluta con calore la ragazza da poco conosciuta, consapevole che prima di allontanarsi è giusto conoscere meglio ciò che ci circonda. Valutazione Pastorale: Lascia sempre piacevolmente sorpresi la capacità del cinema orientale di affrontare grandi temi attraverso racconti di estrema semplicità e immagini piane e mai superflue. Le due storie ad incastro che costruiscono il copione si fondono a dettare i tempi di un 'road movie', insieme poetico e denso di notazioni importanti. Il viaggio che Dondup non fa è sostituito da un altro che non era previsto e che diventa un percorso di recupero di un’identità. Viaggio e sogno, dunque, affiancati nel realismo di una cornice ambientale in cui la maestosità del paesaggio diventa a sua volta protagonista e insieme nella favola di un racconto immaginato, ma visto come possibile. Fama di riconosciuta importanza e già regista del fortunato "La coppa", Norbu costruisce una storia di palpitante resa visiva, scandita dall'assenza di tempi e dall’indicazione di tenersi il più possibile lontani dalle passioni. Metafora della ricerca di una felicità che é magari momentanea, ma diventa pienezza di armonia tra Terra e Cielo. Dal punto di vista pastorale, il film è da valutare come raccomandabile, senz'altro problematico e adatto per dibattiti. Utilizzo del film: aiutare i ragazzi a mettere a fuoco l’importanza delle vere priorità, in una società come la nostra che rischia sempre di proiettarci fuori di noi oppure Proponiamo il gioco “Avventura nello spazio”, per aiutare i ragazzi a riflettere sull’importanza di scegliere e di avere delle motivazioni che spingono a dare un ordine di importanza alle cose.

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Consegna Consideratevi membro dell'equipaggio di un'astronave. II programma originale di volo prevedeva un appuntamento tra la vostra astronave e l’astronave madre, in un punto prestabilito della superficie illuminata della luna. Purtroppo, a causa di un improvviso guasto, il vostro veicolo ha dovuto compiere un atterraggio d'emergenza e siete scesi a 50 km dalla località in cui si trova la seconda astronave. Nella manovra l'astronave ha subito danni irreparabili, buona parte del materiale di bordo è andata distrutta ed alcuni membri dell'equipaggio sono rimasti feriti. Di seguito troverete l'elenco delle 15 apparecchiature che sono rimaste intatte, e parte di questo materiale deve essere scelta per affrontare i 50 km di percorso che vi separano dall'astronave madre. Dovete quindi stabilire un ordine d'importanza per ciascuna voce, ponendo accanto ad ognuna un numero da 1 a 15 secondo l'importanza che le attribuite. Indicherete pertanto con il numero 1 l'apparecchiatura che considerate assolutamente indispensabile, e con il numero 15 quella che ritenete la meno importante di tutte. Nel fare le vostre scelte considerate ogni volta attentamente le conoscenze che avete dell’ambiente lunare. Buon viaggio e buona fortuna.

OGGETTI ORDINE Individuale Di gruppo NASA Scatola di fiammiferi

Alimento concentrato

Seta per paracadute

2 pistole calibro 45

Cassa di latte in polvere (disidratato)

2 bombole di ossigeno da 100 litri

Elemento riscaldante portatile

50 metri di fune di nylon

Mappa stellare della costellazione lunare

Canotto (autogonfiabile)

Bussola magnetica

50 litri di acqua

Razzi chimici di segnalazione

Cassetta di pronto soccorso con farmaci

Apparecchio radio ricetrasmittente

TOTALE

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Soluzione

OGGETTI ORDINE SPIEGAZIONI Scatola di fiammiferi 15 Non c’è ossigeno

Alimento concentrato 4 Si può vivere un certo tempo senza cibo

Seta per paracadute 8 Trasporto

2 pistole calibro 45 10 Uso per propulsione

Cassa di latte in polvere (disidratato)

12 L’acqua è necessaria per bere

2 bombole di ossigeno da 100 litri

1 Non c’è ossigeno sulla luna

Elemento riscaldante portatile 13 Il lato illuminato della luna è caldo

50 metri di fune di nylon 6 Per viaggiare su terreno accidentato

Mappa stellare della costellazione lunare

3 Necessaria per la navigazione

Canotto (autogonfiabile) 9 Ha un certo valore per il riparo e il trasporto

Bussola magnetica 14 Il campo magnetico lunare è diverso da quello terrestre

50 litri di acqua 2 Non si può vivere a lungo senza acqua

Razzi chimici di segnalazione 11 Non c’è ossigeno

Cassetta di pronto soccorso con farmaci

7 Potrebbe essere necessaria

Apparecchio radio ricetrasmittente

5 Comunicazione

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analisi Pre-analisi Marta e Maria (Lc 10, 38-42) A) Lettura del brano.

B) L'animatore invita i partecipanti a rispondere personalmente alle seguenti domande: o guardando le due protagoniste del brano, con chi ti sembra più naturale immedesimarti?

Perché? o Nella vita quotidiana, come cristiano, quanto è importante il servizio e la carità rispetto il

silenzio e l'ascolto?

Dopo questo momento personale, i partecipanti sono invitati a confrontarsi con le loro risposte a coppie. Si esprime il contenuto del dialogo a due e si riassume il lavoro fatto.

C) L'animatore consegna un foglio con il parallelo degli atteggiamenti di Marta e di Maria e invita a compilare la griglia. Negli atteggiamenti delle due protagoniste rileviamo ciò che potrebbe essere positivo e ciò che potrebbe essere negativo.

+ - Marta era occupata nei servizi

Maria, sedutasi ai piedi del Signore, ascoltava la sua Parola

La parola di Gesù: “di una sola cosa c'è bisogno” verso quali atteggiamenti ci orienta? Approfondimento sul testo (Lc. 10, 38-42) Marta e Maria ci sono presentate nei Vangeli solo da Luca e Giovanni e ce le fanno conoscere come sorelle... Giovanni addirittura le ricorda sorelle anche di Lazzaro e fa di questa famiglia uno dei punti di riferimento (e di accoglienza) di Gesù e dei suoi discepoli a Betania, non lontano da Gerusalemme. Anche se Giovanni non é molto coerente nel riportare gli episodi che riguardano queste sorelle, per noi é importante il fatto che l'Evangelista le cita sempre insieme. Marta e Maria, dunque, non si dividono... né si debbono contrapporre: sono due figure che ‘viaggiano in coppia’ ed insieme costituiscono addirittura un ‘punto di riferimento’ per lo stesso Gesù.

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Il brano di Luca che ci fa conoscere queste sorelle é ben costruito e ci permette di immaginare bene la scena: Marta che corre a sistemare la casa (Gesù non viaggiava da solo! Il gruppo dei discepoli e delle donne era di almeno 30 elementi...) e Maria che fa gli `onori di casa' intrattenendosi con l'Ospite... dando, anzi, importanza all'Ospite! Il piccolo diverbio tanto famoso é determinato dal fatto che, forse, essendo presente anche Lazzaro (il terzo fratello) sarebbe stato conveniente che fosse lui ad intrattenere Gesù: da uomo ad uomo... il posto delle donne in Israele era ben diverso. Caratterizziamo bene le due sorelle: Marta é una donna di senso pratico, conosciuta da tutti in paese e tale che figura lei, in un qualche modo, la capo-famiglia: é Marta che accoglie Gesù nella "sua casa"! E continua ad essere Marta che si dà da fare per organizzare al meglio l'ospitalità del Maestro. Sarebbe tuttavia riduttivo ed ingiusto pensare a Marta come ad una donna superficiale, preoccupata solo alle cose materiali; é Marta infatti che corre incontro a Gesù (Gv 11,20) e lo riconosce come il Figlio di Dio (Gv 11, 27) professando la sua fede in Lui e nella risurrezione dei morti. Maria appare caratterizzata nei Vangeli da un atteggiamento più riflessivo e molto più emotivo; sembra più incline all'ascolto che alla parola, ma non manca neppure d'iniziativa: vedi l'unzione dei piedi di Gesù (Gv 12, 3). La sua figura é caratteristica e “coerente” nei due Vangeli che la nominano: ha un atteggiamento di assoluta ammirazione e devozione per Gesù verso il quale non usa alcuna “misura”... suscitando scandalo, prima nella sorella e poi nei discepoli (Gv 12). Il suo stare accovacciata ai piedi di Gesù per ascoltarlo ne fa una figura emblematica dei Vangeli: un vero “simbolo”. Il messaggio di Gesù Il brano evangelico ci trasmette chiaramente l’insegnamento di Gesù. Egli non vuole contrapporre le due sorelle (immagini della vita attiva e di quella contemplativa), quanto piuttosto aiutare gli ascoltatori a capire che nella logica del regno di Dio esiste una gerarchia: “cercate prima il regno di Dio…”. L’ascolto di Gesù, della sua parola, l’essere suo discepoli viene prima di tutto. Gesù non rimprovera marta perché si dà da fare; la mette in guardia dall’affanno; l’ansia per le cose da fare, per il voler fare sempre tutto, bene, perfettamente, è un pericolo: perché rischia di far pensare che siano più importanti i preparativi che l’ospite! L’atteggiamento del credente è allora quello di chi, mettendo al primo posto l’ascolto di Gesù, l’essere suo discepolo, sa mettere tutte le altre cose in ordine pur di preservare tale priorità. Discepolo di Gesù è non tanto colui che vuol difendersi dall’ansia e starsene tranquillo; è colui che non antepone nulla all’ascolto della Parola, al punto anche di non fare certe cose che pure sono importante. Discepolo diventa allora chi vive con la fiducia che l’efficacia e il senso della vita dipende dalla sequela del Signore, non dal proprio darsi da fare. Ma se messo al giusto posto, anche lo spendersi generoso assume il grandissimo valore che gli affida il Vangelo stesso nella parabole el Buon samaritano che precede immediatamente l’episodio di Marta e Maria

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riappropriazione Come può essere assicurata la priorità dell'ascolto dentro una vita che ha le sue esigenze e che lascia poco spazio per la calma e il silenzio? Proponiamo di prendere in mano il sussidio sul vangelo di Marco e di proporre una sorta di “ascolto personale di gruppo”: per un tempo che gli animatori decideranno (per es. tutti i giorni di una settimana) prendersi l’impegno ognuno per conto proprio di meditare il vangelo. Confrontarsi poi nell’incontro successivo per vedere come l’ascolto della Parola cercato a ogni costo, ha influito sul modo di vivere le proprie giornate.

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C. Fidarsi di chi? Premessa L’obiettivo per cui viene analizzata la parabola del ricco stolto e l’abbandono alla Provvidenza secondo il capitolo 12 del Vangelo di Luca, è far capire ai ragazzi quali sono le vere sicurezze della vita, quali sono i giusti percorsi da intraprendere per riuscire a raggiungerle, e per arrivare a definire, al termine del percorso, che solo vivendo in Dio si più raggiungere la sola vera sicurezza. Fase proiettiva

Samarcanda Roberto Vecchioni

C'era una grande festa nella capitale, perché la guerra era finita. I soldati erano tornati tutti a casa e avevano gettato le divise. Per la strada si ballava e si beveva vino, i musicanti suonavano senza interruzione. Era primavera e le donne potevano, dopo tanti anni, riabbracciare i loro uomini. All'alba furono spenti i falò e fu proprio allora che tra la folla, per un momento, a un soldato parve di vedere una donna vestita di nero che lo guardava con occhi cattivi. Ridere ridere ridere ancora ora la guerra paura non fa, brucian le divise dentro il fuoco la sera, brucia nella gola vino a sazietà musica di tamburelli fino all'aurora il soldato che tutta la notte ballò vide tra la folla quella nera Signora vide che cercava lui e si spaventò. "Salvami, salvami grande sovrano fammi fuggire, fuggire di qua alla parata lei mi stava vicino e mi guardava con malignità" "Dategli, dategli un animale, figlio del lampo, degno di un re presto, più presto perché possa scappare dategli la bestia più veloce che c'è". "Corri cavallo, corri ti prego fino a Samarcanda io ti guiderò non ti fermare, vola ti prego corri come il vento che mi salverò... oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh".

Fiumi poi campi poi l'alba era viola, bianche le torri che infine toccò, ma c'era tra la folla quella nera Signora e stanco di fuggire la sua testa chinò "Eri tra la gente nella capitale so che mi guardavi con malignità son scappato in mezzo ai grilli e alle cicale son scappato via ma ti ritrovo qua!" "Sbagli, ti inganni, ti sbagli soldato io non ti guardavo con malignità, era solamente uno sguardo stupito, cosa ci facevi l'altro ieri là? T'aspettavo qui per oggi a Samarcanda eri lontanissimo due giorni fa, ho temuto che per aspettar la banda non facessi in tempo ad arrivare qua". Non è poi così lontano Samarcanda, corri cavallo, corri di là... ho cantato insieme a te tutta la notte corri come il vento che ci arriverà. "Oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh cavallo, oh oh".

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Se possibile, far ascoltare al gruppo la canzone e dare a ciascuno una copia del testo. Proseguire l’attività chiedendo ai ragazzi di analizzare il testo della canzone nella sua interezza ed esprimerne un parere. Fatto questo, soffermarsi sui personaggi protagonisti del testo e capire il loro ruolo nella vicenda, in ordine: soldato, nera signora, grande sovrano, cavallo; Alla fine dell’analisi bisogna far percepire al gruppo (se non c’è già arrivato da solo) che: o il soldato rappresenta tutti noi nel percorrere la strada della vita, far capire che davanti al

pericolo della morte lui ha cercato rifugio in qualcosa che non poteva dare piena sicurezza, infatti pur scappando è andato incontro al proprio destino, la nera signora;

o la nera signora rappresenta la morte, la morte terrena, non perché è la morte si deve scappare ed avere paura, se si vive nella sicurezza non si deve scappare ma affrontarla con serenità. In senso più lato può rappresentare anche il peccato, le tentazioni, come si fa fuggire dal peccato?

o il Grande sovrano rappresenta il potere temporale, il potere che noi cerchiamo per raggiungere le nostre sicurezze, quelle sicurezze che però non sono in grado di dare serenità, non sono in grado di dare quella serenità sufficiente per affrontare la nera signora;

o il cavallo rappresentano i vari mezzi che utilizziamo per cercare la nostra sicurezza terrena, primo tra tutti il denaro, ma non solo quello. Anche tutto il denaro del mondo, che può essere paragonato alla bestia più veloce che c’è, non può sottrarci dal destino definitivo della morte, o fuggire dal peccato; serve dell’altro.

Durante tutta l’attività è auspicabile rifarsi sempre ai pareri iniziali dei ragazzi per arrivare all’analisi ultima con dei passaggi logici e non perché raccontata dall’animatore. Come conclusione dell’attività a possibile, non obbligatorio, leggere come preghiera finale la parabola del ricco stolto Luca (12, 13-21), per creare il legame e introdurre l’attività all’incontro successivo. oppure

E SE DOMANI Di Giovanni La Parola – Medusa, 2006

Soggetto: Un mattina a Bologna Mimì entra in banca e, armato di pistola, comincia a tenere sotto minaccia dipendenti e clienti. L'avvocato Matteo, suo grande amico, arriva sul posto e, mentre lo invita a calmarsi, racconta la sua vita precedente. Innamoratissimo di Ketti, Mimì le è rimasto accanto anche quando il marito di lei, Giovanni, é improvvisamente deceduto. Anzi l'ha aiutata ad aprire una boutique e per questo si è indebitato fino al collo. Il disperato assalto alla banca per avere i soldi finisce male. Mimì finisce in carcere per evasione fiscale. Otto mesi dopo, Matteo lo va a trovare e i due parlano di felicità. Poi si abbracciano. Valutazione pastorale: I titoli di coda informano su quello che é successo dopo le immagini conclusive. Il soggetto é infatti tratto da un racconto, a sua volta però ispirato da una storia vera, quella del caso Gargano. Su queste premesse, lo sceneggiatore Francesco Piccolo costruisce un copione

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che la coppia da Iene Paolo e Luca si incarica di animare e rendere vivace, grazie alla perfetta alchimia interpretativa raggiunta in anni di televisione. Gli ingredienti funzionano quasi tutti e il risultato é una commedia da vecchio stile italiano: ossia brillante e comica ma anche amara e pensosa. Il finale affidato all'ottimismo resta digeribile per misura e sensibilità. La canzone di Mina più volte ripetuta é una scelta di pregio, e l'insieme ha quell'aria trasognata di un certo realismo 'rosa' che scava nel quotidiani, elenca il bello e il brutto e non pretende di risolvere ogni problema. Un film gradevole che, dal punto di vista pastorale, é da valutare come accettabile, e nell'insieme semplice. oppure Attività Bendare i ragazzi e raccontare un’uscita di gruppo con il motorino o con l’automobile. Ad un certo punto l’incidente stradale, le sirene, l’ambulanza, la corsa in ospedale, la sala operatoria, un uomo col camice bianco che ti parla…non è il chirurgo, ma è san Pietro. Appena capisci cosa è successo e dove ti trovi, ti getti in ginocchio davanti a lui e lo supplichi: “Sono troppo giovane per morire, ho ancora troppe cose da fare. Devo ancora…”. Ok, adesso convinci san Pietro a darti una seconda possibilità e a farti tornare sulla Terra. Scrivi con sincerità cosa ti resta ancora da fare, perché e per chi vorresti vivere ancora, cosa vorresti realizzare, chi devi ancora perdonare… analisi Analisi del vangelo secondo luca (12, 13-34) Previdenza o provvidenza? Ma è proprio un dilemma? Un uomo della folla chiede a Gesù di pronunciarsi su una questione di eredità: “Maestro, dì a mio fratello di dividere con me l'eredità» (12,13), ma Gesù si rifiuta di rispondere: «Chi mi ha costituito mediatore sopra di voi?» (12,14). Non è l'unico caso in cui Gesù si comporta a questo modo, direi anzi che è il caso più frequente. Non risponde alla domanda che gli viene posta, ma mette in questione la domanda stessa. Gli uomini vorrebbero trascinare il vangelo nelle loro questioni e non si accorgono che esso invece va alla radice e le sconvolge tutte come, appunto, nel nostro passo. Due fratelli litigano per la divisione di un'eredità: chi dei due ha ragione? Chi ha torto? Sta di fatto che ambedue sono vittime della stessa illusione, ed è questa la radice cattiva che deve essere messa a nudo e strappata: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni avidità, perché se anche uno è nell'abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che possiede» (12,15). Ecco la stortura di fondo che guida la vita di ambedue i fratelli e li spinge a litigare. Gesù non parla semplicemente di possesso, ma di desiderio smodato (pleonexia). Non è la ricerca del necessario che è sbagliata, ma l'egoistico e sciocco desiderio di possedere sempre di più e l'illusione di trovare in questo possesso la propria sicurezza; si noti, poi, che in gioco è la «vita» senza altre determinazioni, la vita semplicemente, la vita in tutta la sua ampiezza. L'insegnamento di Gesù non riguarda soltanto la vita del mondo futuro, ma anche la vita nel tempo presente.

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L'insegnamento di Gesù è già chiaro da queste parole. Tuttavia egli vi insiste, illustrandolo con una parabola, nella quale si parla di un uomo «ricco» e «stolto». Perché stolto? Il vocabolo adoperato (afrori) indica un uomo senza testa, imprudente e non avveduto. Ciò che è avvedutezza secondo il mondo, può essere stupidità per il vangelo. La parabola riprende, illustrandolo, un detto sapienziale (Sir 11,18-19): «C'è chi arricchisce a forza di cure e di avarizia, ed ecco la sua ricompensa; quando dirà: “finalmente ho trovato riposo, ora godrò in pace i miei beni”, non sa quanto gli rimane: dovrà lasciare tutto ad altri e morire. Sembra proprio che Gesù abbia trasformato in parabola questa intuizione che viene da tutta la tradizione sapienziale. La battuta finale («Quello che hai preparato di chi sarà?») è una tipica domanda sapienziale, ironica e amara al tempo stesso. Sottolinea ancora la stupidità di chi pensa di mettere al sicuro la vita accumulando. È una battuta che si legge anche nel libro di Qohelet (1,2), un libro disincantato che cerca di liberare l'uomo dalle sue troppe illusioni. La parabola di Gesù non si limita a constatare la vanità delle cose e non intende semplicemente disincantare l'uomo, liberandolo dal fascino del possesso, ma indica più profondamente la via vera della liberazione: «Così è di chi accumula tesori per sé e non arricchisce per Dio». Dunque è il per sé che è errato e deve essere sostituito da un altro orientamento (per Dio), ma che significa in concreto arricchire «per Dio»? Nel greco l'espressione è un moto a luogo «verso Dio» ed indica perciò una direzione; dunque non si tratta di arricchire a vantaggio di Dio, ma di usare i beni secondo una logica da Lui voluta. L'evangelista si è preoccupato di rendere concreta la conclusione della parabola, e per questo ha situato qui alcuni insegnamenti del Signore (12,22) allo scopo, appunto, di esemplificare il significato di quel «per Dio». I suggerimenti sono almeno tre: o Il primo è di sottrarsi alla tentazione dell'affanno, dell'ansia, come se tutto dipendesse da

noi. Si tratta di una vera mancanza di fede, nella quale anche il discepolo - già indicato con l'espressione «gente di poca fede» (12,28) - può facilmente incorrere. Nella ricerca della «sicurezza», il discepolo deve essere consapevole di «avere un Padre che conosce i suoi bisogni» (12,30). L'atteggiamento ansioso appartiene ai pagani, non ai discepoli.

o Il secondo suggerimento è di cercare anzitutto il Regno di Dio (12,31); se si pone al primo posto il Regno, resta spazio anche per le altre cose; se, invece, si mettono al primo posto le altre cose, queste soffocano lo spazio del Regno. La fiducia nel Padre apre la possibilità per una vita serena, che permette di godere dei beni che Egli ha profuso nel mondo. Una vita affannata accumula le cose, ma non le gode.

o Il terzo suggerimento lo si trova qualche riga più avanti (12,33): «Vendete le cose che possedete e usate il ricavato per soccorrere i poveri». Il retto uso dei beni deve fare spazio alla solidarietà. E così il «per Dio» trova la sua concretezza nel «per gli altri».

(Bruno Maggioni) Riappropriazione Introduzione dell’attività da parte di una persona invitata a portare la propria esperienza di vita; da questo incontro dovrà risultare cos’è la ricchezza per un cristiano. La persona invitata non deve rispondere a delle caratteristiche precise. Chiunque dovrebbe essere in grado di testimoniare nella sua vita cos’è la vera ricchezza. Forse, di particolare interesse, potrebbe essere l’invito rivolto ad un imprenditore in quanto nello stereotipo generale lui è ricco anche “di cose di questo mondo”. Anche l’invito di una persona che ha fatto voto di povertà può testimoniare in cosa trova la “vera ricchezza”. Potrebbero essere individuate nelle parrocchie delle famiglie che visibilmente affidano la loro vita alla provvidenza divina; al termine della testimonianza si può introdurre un dialogo con i ragazzi ponendogli alcune delle seguenti domande.

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Domande da porre ai ragazzi o Il vocabolario della lingua italiana, definisce l’aggettivo “ricco” in questo modo: “Ricco:

detto di persona che possiede denaro e beni materiali in misura superiore al necessario, che abbonda, che è ben fornito, abbiente, danaroso, facoltoso”. La definizione è in linea con ciò che intende la parabola del ricco stolto?

o Dato per scontato che le risorse materiali indiscutibilmente servono, in che cosa consiste, per il cristiano, l’essere ricchi, la ricchezza autentica? Esistono beni e ricchezze stabili, sulle quali si possa veramente contare che, accumulate, non ci saranno più tolte e che veramente fruttino?

o Che cos’è che può rendere veramente ricca la creatura umana? o La persona ricca che abbiamo analizzato è proprio lontana dal nostro modo di pensare

normale? Controlliamo il suo comportamento e verifichiamolo con il nostro. Probabilmente nessuno può dire che non sia legittimo pretendere il dovuto, ma è altrettanto sbagliato pretenderne di più; inoltre, cosa molto più importante, il ricco stolto non aveva scrupolo alcuno nello sfruttare la religione, ovvero lo stesso Gesù, per ottenere quel che voleva. Forse vedendo la situazione in quest’ultima ottica anche noi potremmo rispecchiarci. Quante volte abbiamo preteso qualcosa da Gesù?

o È da sottolineare che Gesù accoglie comunque la provocazione della persona e trasforma la situazione in occasione per offrigli una possibilità di riscossa: vuole fargli prendere coscienza del vero problema che ha, ovvero, mentre l’uomo crede di servire i propri interessi, in realtà si comporta da persona miope e stupida, perché sta trascurando un interesse prioritario: il rapporto con Dio, il vivere secondo la sua volontà. Che priorità stai dando alla tua vita? Sei sicuro che il rapporto con Dio è assolutamente prioritario? Se sì, bene. Nel caso non lo fosse, vivi la situazione come un problema o ci passi sopra tranquillamente?

In conclusione, essere ricchi davanti a Dio vuol dire essere ricchi di “buone opere”, “essere generosi nel donare”, “pronti a dare” come conseguenza dell’aver accolto nella vita la Grazie di Dio in Gesù Cristo. oppure Proporre la lettura della storia qui proposta, come verifica e rilancio del tema affrontato Il castello nel Cielo In uno stesso villaggio nel Nord della Francia, molto tempo fa, vivevano un povero e un ricco. Il ricco se la spassava e non pensava alla morte; il povero, invece, sperava a volte che nell'aldilà potesse andargli meglio, dato che sulla terra conduceva una vita dura. La morte non fa alcuna differenza fra ricchi e poveri, sicché avvenne che i due morirono nel medesimo giorno. Si incontrarono sulla via del Cielo e procedettero in silenzio, fianco a fianco. Il ricco era grasso e faceva una gran fatica a salire: per tutta la sua vita non aveva mai dovuto percorrere a piedi sentieri così ripidi, sapeva soltanto incitare il cavallo. Così avanzava, piano piano, ed era tutto un bagno di sudore; il povero, invece, era magro, agile e saliva rapidamente, perché era abituato a camminare in salita, perciò giunse per primo alla porta del Cielo. Non osò tuttavia bussare e si sedette a lato del portone pensando fra se e se: «Aspetterò il ricco, il quale avrà certamente il coraggio di bussare».

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Passò molto tempo prima che il ricco arrivasse alla porta del Cielo. Bussò ma, poiché nessuno venne ad aprire, andò in collera, imprecò ed urlò. Sferrò pugni contro la porta e la colpì addirittura con una pedata. A sentire quel frastuono san Pietro si affrettò ad aprire; Vedendo che fuori c'erano il povero e il ricco, puntò il dito verso il secondo e disse: «Ah, ti conosco bene! Sei quello che poc'anzi ha fatto un pandemonio e non sa nemmeno attendere che gli si apra!». A quelle parole, il ricco arrossì violentemente e stette per riprendere ad urlare, quando lo sguardo severo di san Pietro lo raggelò e si pentì della propria impudenza. San Pietro disse, rivolto ad entrambi: «Passate in sala d'aspetto, poi si vedrà». I due entrarono in un atrio spazioso con molte porte e con panche addossate alle pareti. San Pietro parlò di nuovo: «Riposatevi un po' dopo la lunga camminata, ma approfittate del tempo, prima che io ritorni, per pensare a come intendete sistemarvi quassù. Ditemi come desiderate che sia questa vita, ma ricordate: tutto sarà come vorrete voi; dunque, riflettete bene prima di parlare, poiché dopo, se avete dimenticato qualcosa, sarà troppo tardi». Tenuto il discorso, san Pietro se ne andò. Ricomparve dopo parecchio tempo e chiese: «Avete riflettuto bene? Ditemi i vostri desideri!». Per primo, naturalmente, si fece avanti ricco e con aria prepotente, esclamò: «Datemi un sontuoso castello d'oro zecchino, quale nemmeno l'imperatore possiede! Poi portatemi ogni giorno i miei cibi preferiti: carbonara, arrosto di cinghiale, insalata fresca e infine torta al cioccolato; da bere, vino Barolo e non scordate il caffè! Mi serve anche un trono d'oro rivestito di seta, sul quale mi possa sedere tutti i giorni; poi voglio leggere il giornale ogni mattina, perché non posso non sapere che cosa succede sulla terra». San Pietro guardò il ricco con aria di commiserazione e disse: «Non desidera nient'altro?». «Oh, sì», proruppe il ricco. «Per poco mi dimenticavo della cosa più importante: ho bisogno naturalmente di denaro, di molto denaro, casse e forzieri pieni. E lingotti d'oro... perché non so come sono i cambi quassù!». «Avrai tutto», disse san Pietro. «Seguimi!». Ciò detto, aprì una delle tante porte dell'atrio e introdusse il ricco in un castello splendido, dove ogni cosa era proprio come lui aveva desiderato, anzi, anche meglio…E così il ricco si sedette sul trono, assaggiò le vivande più prelibate, lesse il giornale, contò i soldi, provò i gioielli e si sentì felice e soddisfatto, sennonché san Pietro tirò il pesante catenaccio di ferro della porta del castello e se ne andò. Trascorsero tre anni, poi ne trascorsero sette e infine dodici…e ne passarono altri venti, altri cinquanta, finché furono cento. Dopo tutto questo tempo, il ricco si era ormai annoiato del castello e dei cibi, del trono e del denaro; era molto che non leggeva più il giornale, poiché quel che succedeva sulla terra non lo interessava più: non poteva farvi ritorno e tutti coloro che aveva conosciuto erano morti da un pezzo; anche dei mucchi di soldi non sapeva che farsene, non avendo nulla da comperare, i cibi non lo soddisfacevano più e neanche il castello gli procurava qualche gioia: se ne stava seduto triste sul trono e si lagnava, ma nessuno udiva i suoi lamenti. Alla fine, trascorsi mille anni, il catenaccio del portone del castello si aprì e san Pietro entrò: «Come ti trovi qui?», chiese. Gli occhi del ricco, scintillanti di rabbia, dardeggiarono il santo: «E hai il coraggio di chiedermi come mi trovo in questo miserabile castello? Com'è possibile resistere mille anni chiusi qui dentro? Non viene mai nessuno a darti un'occhiata. Sono tutte fandonie quelle che raccontate sul vostro Paradiso e sulla beatitudine eterna! Sono fandonie bell'e buone!». All'udire il suo sfogo, san Pietro lo guardò stupito e disse: «Credevi forse di essere in Cielo? Oh, no, tu sei all'inferno! Sei tu stesso che hai desiderato di finire qui». «Impossibile, questo non è l'inferno! Dove sono, dimmi, i diavoli con le forche? Dove sono le tenaglie arroventate? E il fuoco, dov'è?».

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San Pietro rispose: «Accadeva ai vecchi tempi; allora i peccatori venivano arsi vivi o bolliti nelle caldaie dei diavoli. Sono pratiche cadute in disuso, ma, credimi, tu ti trovi davvero all'inferno!». Allora il ricco scoppiò a piangere e singhiozzò rumorosamente, ma san Pietro tirò un'altra volta il catenaccio e si allontanò. Trascorsero cent'anni e altri cento e cento ancora... Il tempo non passava mai per il ricco, trascorreva con una esasperante lentezza che sulla terra nessuno riesce a immaginare. Quando fu completato un nuovo millennio, san Pietro aprì il catenaccio di ferro ed entrò. «Ah, san Pietro, quanto ti ho aspettato! Devo rimanere qui per tutta l'eternità? Ma quanto dura l'eternità?». «L'eternità ha inizio quando sono trascorsi diecimila anni». Il ricco pianse amaramente; San Pietro contò le lacrime e, visto il suo cuore tenero, si impietosì e gli disse: «Su in soffitta c'è una stanzetta. Il tetto ha un buco e da lì, se ti appoggi sulle punte dei piedi, puoi vedere un pezzetto di cielo». San Pietro lo condusse in quella cameretta e il ricco, sollevandosi sulla punta dei piedi, vide le stelle in tutto il loro splendore, vide gli angeli e i santi, vide la gloria di Dio. «Dimmi », proruppe ad un tratto, «chi è quello che siede vicino a Dio? Oh, come mi piacerebbe essere al suo posto!». San Pietro rispose: «È il povero che è venuto qui insieme a te; quando gli chiesi che cosa desiderasse, mi disse che voleva soltanto stare il più possibile vicino a Dio e il suo desiderio venne esaudito come lo fu il tuo». Dette quelle parole, san Pietro se ne andò, ma il ricco non se ne accorse neppure. Passarono altri mille anni e poi altri mille. Il ricco è sempre là nella cameretta a guardare il cielo attraverso il foro del tetto, sollevandosi sulle punte dei piedi.

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Con un suo stile: …in concreto

2.3.4 OUVERTURE Matteo 5, 13-16 Voi siete il sale della terra; ma se il sale perdesse il sapore, con che cosa lo si potrà render salato? A null'altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini. Voi siete la luce del mondo; non può restare nascosta una città collocata sopra un monte, né si accende una lucerna per metterla sotto il moggio, ma sopra il lucerniere, perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli. Nel contesto attuale di secolarizzazione, in cui molti dei nostri contemporanei pensano e vivono come se Dio non esistesse o sono attratti da forme di religiosità irrazionali, è necessario che proprio voi, cari giovani, riaffermiate che la fede è una decisione personale che impegna tutta l'esistenza. Il Vangelo sia il grande criterio che guida le scelte e gli orientamenti della vostra vita! Diventerete così missionari con i gesti e le parole e, dovunque lavoriate e viviate, sarete segni dell'amore di Dio, testimoni credibili della presenza amorosa di Cristo. Non dimenticate: "Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio" (Mt 5,15)! Come il sale dà sapore al cibo e la luce illumina le tenebre, così la santità dà senso pieno alla vita, rendendola riflesso della gloria di Dio. Quanti santi, anche tra i giovani, annovera la storia della Chiesa! Nel loro amore per Dio hanno fatto risplendere le proprie virtù eroiche al cospetto del mondo, diventando modelli di vita che la Chiesa ha additato all'imitazione di tutti. (Dal messaggio di Giovanni Paolo II per la XVII GMG)

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INTRODUZIONE METODOLOGICA Gesù maestro, il suo stile di vita nel vangelo di Matteo Analizziamo il messaggio di Gesù e cerchiamo di analizzare il suo stile attraverso la lettura del Vangelo di Matteo. Nella storia del cristianesimo, il Vangelo di Matteo, è stato senz’altro il vangelo più popolare, più letto e commentato e, anche se quello di Marco è considerato il primo in origine cronologico, l’opera di Matteo rimane una presenza capitale all’interno della Chiesa, che la propone spesso nella liturgia e nella catechesi. Nella composizione dei singoli vangeli, ogni evangelista ha una sua prospettiva, segue un suo progetto, disegna un suo ritratto della figura di Cristo, risponde alle esigenze della comunità cui indirizza il suo racconto. Per Matteo si pensa a destinatari di origine ebraica convertiti al cristianesimo, legati alle loro radici, ma spesso in tensione con gli ambienti da cui provenivano. Si spiega, così, la ricchezza delle citazioni, delle allusioni e dei rimandi all’Antico Testamento nel vangelo di Matteo. La tradizione unanime della Chiesa antica attribuisce il primo vangelo a Matteo, chiamato anche Levi, l’apostolo che Gesù chiamò al suo seguito, distogliendolo dalla professione di pubblicano, cioè di esattore delle imposte (9, 9-13). Matteo è molto interessato alla dottrina di Gesù. I discorsi sono più numerosi e più ampi degli altri Vangeli. La stessa disposizione della materia sembra seguire un ordine didattico, che fa perno a cinque grandi discorsi: quello della montagna, quello missionario, il discorso in parabole, quello ecclesiale e quello escatologico. Nonostante questo innegabile interesse per la dottrina di Gesù, Matteo non vuole assolutamente ridurre il Vangelo a una dottrina. Egli è ben consapevole che il Vangelo è innanzitutto una persona e una storia; ecco perché, dietro la struttura letteraria che fa perno sui cinque discorsi, è visibile la storia di Gesù, identica al racconto di Marco: dalla Galilea alla Giudea, dal battesimo nel Giordano alla passione/risurrezione. Matteo unisce sapientemente racconto e catechesi, storia e dottrina: la dottrina nasce dalla storia di Gesù, la illustra e la commenta. Dire che la catechesi di Matteo spiega una storia, significa affermare che il suo Vangelo è in primo luogo cristologico. L’unico protagonista è Gesù, e il primo intento dell’evangelista è di mostrarci il significato salvifico della sua persona e della sua parola. Gesù è il Maestro, il nuovo Mosè superiore all’antico, il profeta portatore della parola di Dio ultima e definitiva. In tal modo il giudaesimo è invitato a superarsi perché la parola ultima non è quella di Mosè, né la tradizione dei padri, ma la parola di Gesù. Il Vangelo di Matteo è anche sensibile alla Chiesa e Matteo è l’unico evangelista che mette in bocca a Gesù la parola “ecclesia” (16,18 e 18,17), ma, soprattutto, è ecclesiale perché i temi che tratta sono scelti in base alle esigenze della comunità. Le antitesi Gesù maestro, insegna il suo stile di vita, quello per i discepoli di ieri e di oggi attraverso le antitesi. Nelle antitesi del discorso della montagna, le ultime tre, viene contrapposta l’interpretazione delle Legge, propria degli scribi, alla proclamazione che Gesù fa del nuovo spirito evangelico. Di fornte alle esigenze profonde che Gesù pone rispetto all’interpretazioni di scribi e farisei, Gesù non vuole aggiungere altre condizioni alla Legge, ma offre un nuovo principio d’agire morale che renda possibile vivere ciò che il senso morale della legge indica. La condizione nuova è detta nella conclusione al v. 5,48 delle antitesi “Siate voi dunque perfetti come è perfetto il Padre vostro celeste”.

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A. …Senza tanti giri di parole! FASE PROIETTIVA Le parole di Gesù invitano i discepoli a stabilire relazioni vere, basate sulla fiducia e l’amore, come risposta ad un Dio che per primo si è fiduciosamente rivolto a noi. Ogni parola deve essere la più completa possibile, deve parlare di loro. L’invito di Gesù è:

Attività I ragazzi devono riscoprire il senso delle parole, facendo proprio l’invito di Gesù ad una parola vera, profonda e trasparente. Scrivere il proprio nome su un foglio e ad ogni lettera far corrispondere un aggettivo, in modo da tracciare un profilo con poche e significative parole. Per ognuna di queste raccontare al gruppo come vengono vissute nella mia vita. Spesso si è abituati a chiacchierare e a descriversi in maniera esagerata! Qui si recupera il valore di ogni definizione; sarebbe opportuno fornire ai ragazzi un dizionario di lingua italiana e un dizionario di sinonimi e contrari. Ecco un esempio: FRANCESCA (nome del ragazzo/a). Questo semplice gioco permette ai ragazzi di recuperare il valore delle parole, di fare una discussione magari più ridotta del solito ma più vera e genuina in cui non si spreca nulla.

PAROLE Veracità Sobrietà

Non chiacchiere Le parole modificano la realtà possono essere schiaffi o

carezze

F: fiduciosaR: ragione A: aspettativeN: negligenzaC: curiosità E: esperienzeS: sicurezza C: celebrità A: ansia

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analisi Testo (IV° antitesi) (Mt 5, 33-37) Il testo si presenta difficile da comprendere, i termini e i confronti di cui parla il brano non fanno parte della nostra vita, parlare di giuramenti oggi non ha particolare valore. Matteo ci pone di fronte a una serie di antitesi (5, 21-48), che toccano diversi punti della legge, scelti evidentemente tra i molti possibili. Non è una scelta fatta a caso: tre riguardano il comportamento verso il prossimo (e tutti e tre mettono in luce la carità); due il comportamento sessuale e il matrimonio; uno il giuramento. Matteo non vuole indicarci delle leggi precise da mutare, quanto piuttosto un modo diverso di leggere la Scrittura e di scoprirne la volontà di Dio: diciamo un modo diverso di elaborare la morale. Qui sta un punto fondamentale dell’etica evangelica: non può mai essere fondata in modo legalistico, perché nessuna legge promulgata può regolare l’impegno di tutta una vita. Fondamento nuovo dell’agire cristiano non è la legge, ma lo stesso agire di Dio, che accogliamo e facciamo nostro per farlo diventare mentalità che orienta il nostro agire. Occorre una corretta visione di Dio e del suo disegno di salvezza, un modo corretto di leggere le Scritture; sta qui la contrapposizione fra Gesù e gli scribi. Come i profeti che l’hanno preceduto, anche Gesù si è sforzato di recuperare il centro della volontà di Dio, cioè il primato della carità. Tutto deve essere letto alla luce di questo centro, e tutto deve essere valutato in base ad esso. In questo senso l’affermazione più importante la troviamo al v. 48: “Siate perfetti come il Padre vostro celeste”. Inoltrandoci in questa antitesi scopriamo che Gesù fa riferimento all’indicazione di non dire falsa testimonianza e di adempiere di fronte a Dio il proprio giuramento; Gesù contrappone il divieto assoluto di non giurare affatto: la novità è proprio questa proibizione. Esso si comprende sullo sfondo religioso proprio della cultura giudaica in cui il ricorso al giuramento era un’abitudine. La proibizione del giuramento va inquadrato nel contesto dell’annuncio di Gesù sulla definitiva salvezza di Dio: chi si apre a tale prospettiva vive una condizione nuova in cui gli è possibile essere veritiero senza bisogno di giurare la propria parola su una autorità superiore; il maestro presenta poi una casistica delle forme di giuramento sottoponendo anche queste al suo divieto. Tra i rabbini era abitudine presentare giuramenti camuffati, nei quali, non chiamavano in causa direttamente Dio e si sentivano svincolati. Dopo aver ricordato queste limitazioni, Gesù arriva alla parola propositiva “sì, sì”; “no, no”; il di più viene dal maligno. L’essere chiamati alla veracità (che risponde al vero; non falso, non ingannevole) delle parole dice l’esigenza profonda dell’amore, perché la veracità delle parole esprime la prima e fondamentale condizione del fidarsi e dell’entrare in relazione autenticamente umana con l’altro, come rapporto di amore; da qui il significato di essere uomini di parole trasparenti, veraci, per fondare un rapporto unico con Dio e con gli altri uomini. Gesù indica lo stile di vita dell’amore anche nella comunicazione moderna, dove la trasparenza diventa l’elemento chiave; chi si dispone fiduciosamente davanti a Dio-Padre non può che disporsi alla piena sincerità e veracità della propria vita. Attività Gli animatori devono organizzare una scenetta in cui il brano del vangelo viene solo letto alla fine. I genitori simuleranno due scene: nella prima una tavola pronta per la cena in cui marito e moglie litigano aspramente, usando termini forti ma non volgari “Non sei la moglie che mi aspettavo” “Sei un marito spregevole” “I figli da te non li vorrei” “Meglio soli che male accompagnati”.

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Silenzio a seguire per leggere il vangelo. Seconda scena: gli animatori propongono una situazione di amicizia tra compagni di classe, due ragazzi si aiutano nello studio e evidenziano con le parole il loro affetto “Aiutarti è un piacere, insieme ci divertiamo”; “Dopo lo studio potremmo fare un giro insieme”. Silenzio a seguire per leggere il vangelo. I testi non sono di facile comprensione ed è meglio che siano letti con calma e più volte, affinché i ragazzi possano meglio interiorizzarli. Ora i ragazzi provano ad esprimersi sul vangelo anche alla luce delle scenette proposte; alcune provocazioni. Che senso avevano le immagini? E le parole? Parole che ferivano o che guarivano? Come uso le parole nella mia vita? E nelle mie relazioni uso le parole o i gesti? Cosa vuol dire Gesù con la frase il vostro parlare sia sì, si; no, no? Proviamo a raccontarci con quali persone riesco ad instaurare relazioni genuine? RIAPPROPIAZIONE Ora i ragazzi hanno scoperto una nuova pagina del vangelo e una nuova indicazione per la loro vita, prima di andare a casa devono trasformare in gruppo la prima scena della famiglia. Da un litigio che ferisce ad una discussione che costruisce soluzioni serie e concrete. Questo lavoro deve essere svolto con cura, perché ripropone concretamente ciò che sarà il loro impegno per il futuro; misurare, non solo i gesti, ma anche le parole che usano nella giornata. Gli animatori a fine incontro, come stimolo per il futuro, consegneranno loro un cartoncino colorato con la frase “La vostra parola sia: sì, sì; no, no”. Le dimensioni possono essere quelle di un segnalibro o di un piccolo ricordino da mettere nel portafoglio che tenga viva in loro l’esperienza appresa dal brano di Matteo.

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B. La forza della non-violenza FASE PROIETTIVA Per entrare nel vangelo mettiamo a disposizione del gruppo una serie di foto che parlino di violenza ( macchine bruciate, zone di guerra, bambini sofferenti), purtroppo sui giornali ne trovate di ogni genere. Accanto alle foto ritagli di giornale con i titoli da dove avete ricavato le foto. Gli articoli i ragazzi non li devono leggere perché l’attività per loro è proprio questa: ricostruire un articolo/ storia attraverso foto e titolo, non devono però raccontare ciò che sanno di quell’argomento bensì essere loro stessi costruttori di pace. Attraverso le loro parole devono creare soluzioni possibili a quei conflitti, alle situazioni di violenza e disagio. Possono farlo in gruppetti così avranno modo di confrontarsi insieme al termine. Il vangelo lo riceveranno solo alla fine dei lavori per confrontarlo con in testi. ANaLISI Testo (V° antitesi) (Mt. 5, 38-42) Gesù abolisce l'antica, ferrea legge del taglione ( cfr. Es 21, 23-25. cfr. Lv 24, 19-20. cfr. Dt 19, 18-21), sostituendola con la legge evangelica della generosità, che non tradisce, ma supera la giustizia. Ci troviamo di fronte ad un codice giuridico molto arcaico, che aveva lo scopo etico-giuridico di regolare il dilagare della violenza, eliminando il costume del farsi giustizia da soli. Ciò è possibile se alla violenza si oppone non tanto la moderazione, ma piuttosto un atteggiamento di segno contrario, come presentarsi disarmati di fronte all’aggressore. Non opporsi al malvagio e avere con esso un atteggiamento non violento costringe l’aggressore a rinunciare alla sua mentalità, così da introdurlo in un’ottica di riconciliazione. La non-violenza non si limita alla non-reazione, ma punta ben oltre: cambiare la mentalità del violento fino ad avviarlo ad una prassi di riconciliazione, facendogli sperimentare la forza dell’amore e del perdono. La prima esemplificazione trova esempio in una situazione di rissa dove può accadere che uno colpisca un altro, un manrovescio è un’offesa grave, sia per la carica, sia per il suo significato infamante. Il secondo esempio è ambientato in tribunale, dove qualcuno minaccia di ricorrere al giudice per pretendere il risarcimento di un danno o la restituzione di un pegno. SI chiede ad un povero di cedere il mantello, sua unica protezione contro le intemperie, e Gesù invita a cedere anche quest’ultimo elemento. Il Terzo si riferisce alla condizione della Palestina durante l’occupazione romana; il caso rappresenta la situazione in cui i soldati romani, non conoscendo la zona in cui devono muoversi, costringono qualcuno del paese a far loro da guardia e lo obbligano a mettersi a disposizione: una pretesa violenta e infamante che costringe a collaborare con l’invasore. La novità assoluta proposta da Gesù è l’etica del rispondere con una sovrabbondanza di bene al male subito, nelle diverse forme che può assumere, da quella dell’aggressione fisica a quella di un aiuto non dovuto. È un invito alla non violenza che non è remissività, ma nonviolenza attiva. Un’etica dell’amore che giunge ad amare il nemico, nella convinzione profonda che presentarsi di fronte all’altro disarmati, indifesi e nudi, è la risorsa più alta per cambiare mentalità e vincere la violenza nella sua stessa radice, nel cuore dell’aggressore. L’impegno non è dunque la teorizzazione di una possibile prassi non violenta, ma è piuttosto la formazione di uomini nuovi e non solo utopici sognatori, ma veri costruttori di pace.

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riappropriazione Attività Un animatore aiuterà nella lettura e nell’amalgamare i contenuti di ragazzi e vangelo. Su un cartellone si scrivono tutte le eventuali soluzioni tratte dai ragazzi e accanto la sintesi dell’insegnamento di Gesù; siamo completamente immersi nel vangelo e Gesù indica la strada della nonviolenza. Ora ci mettiamo sparsi nella sala, distanti uno dall’altro, nel silenzio più assoluto, magari in chiesa con gli occhi chiusi. I ragazzi si tolgono gli orologi e mettono il loro corpo nella posizione più comoda, in modo da distendere la mente. L’animatore nel silenzio più assoluto farà partire un cd con due musiche: la prima con rumori che ricordino la guerra, il dolore, la sofferenza, la violenza, la seconda che ricordi, invece, la pace, la serenità, la gioia, l’armonia. Brani di sola musica, magari poco conosciuti e senza parole. Per i primi cinque minuti nessuno dovrebbe parlare; al segnale dell’animatore i ragazzi, uno alla volta, parleranno di una loro esperienza che li ha segnati negativamente, in cui si sono sentiti vittime della violenza, ma che sono riusciti a superare grazie alla nonviolenza, grazie alla forza dell’amore. Un momento di vera intimità nel gruppo che ritrova la forza prorompente dell’amore contro le difficoltà della vita. Da dove vuoi iniziare a disarmare il tuo cuore e le tue mani? I ragazzi hanno parlato di loro e hanno parlato del vangelo. Ora potrebbero farsi portatori nel mondo della pace, dell’amore e degli atteggiamenti propositivi. o Realizzare insieme, con il dash o con la pasta pane, degli oggetti che ricordino la pace, la

colomba, due mani che si stringono, la bandiera della pace, un cuore, la croce per poi donarli ad una persona cara. L’attività serve per costruire materialmente un pensiero per una persona cara e per farsi costruttori, anche concreti, di pace.

o Penso a una situazione conflittuale della mia vita e a quale gesto non violento potrei porre in atto

o Incontrare testimoni di perdono e di scelte di non violenza o Il seguente articolo tratto da Avvenire del 27 novembre 2005, relativo a un fatto di cronaca

successo a Valeggio «Perdono chi mi ha ucciso il figlio» L’anziano padre: non cortei di protesta, ma aiuti per i bambini poveri dell’Africa Scende copiosa la neve su Castellaro Lagusello, poche decine di case nella campagna mantovana. E i fiocchi sembrano voler coprire il dramma che questo tranquillo borgo sta vivendo da qualche giorno: un giovane padre di famiglia ucciso a coltellate da un uomo che non conosceva, forse vittima di un attacco di gelosia. Ma nella tragedia che, improvvisa e atroce, si è abbattuta su una tranquilla famiglia, un uomo allarga il suo cuore a parole di pace e di perdono. Schermendosi con fare discreto: «Non ingigantisca le cose, la prego: ce ne sono centinaia di persone che fanno come me, migliaia». Chissà. È vero però che mercoledì scorso Giancarlo Malfer ha perso il figlio Stefano sotto i colpi - ritengono le forze dell'ordine - di un immigrato marocchino, geloso che il giovane Malfer (barista in una località a pochi chilometri da casa) avesse instaurato una sana amicizia con la sua ex convivente, dipendente del locale gestito dal 37enne mantovano.

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E sul dramma è calata, immediata, l'ombra della coloritura politica: la Lega Nord ha indetto per domani sera una fiaccolata di protesta contro la violenza dell'immigrazione clandestina: «Dobbiamo prenderlo e deve pagarla cara», hanno tuonato i leghisti, riferendosi al presunto assassino. Ma dalla sua casa, circondato dall'affetto dei suoi cari, papà Malfer parla un altro linguaggio. Usa parole che sembrano suonare paradossalmente fuori luogo, il 70enne pensionato cui un destino crudele ha strappato l'amato figliolo. Parla di fede cristiana, di Dio e di perdono, di poveri e di preghiera. E gli si spalanca il cuore, generoso, raccontando della sua Africa, il continente disperato che al signor Giancarlo ha insegnato a non odiare e il cui ricordo lo sta aiutando a vincere la rabbia che, inevitabile, gli sale da dentro. Già, perché l'ex artigiano - un'azienda in proprio per la rifinitura della gomma - un grande amore lo ha per l'Africa, dove l'amicizia con dei cugini della moglie, là missionari, lo conduce da quindici anni: «Dovevo andarci a breve», si scalda. «Il 5 dicembre avevo il vaccino per la febbre gialla. Loro non volevano - dice indicando i cognati -: dicevano che era troppo pericoloso, visto quanto mi era successo». Perché tre anni fa Giancarlo era stato lì lì per passare dall'altra parte: «Una brutta polmonite, poi la malaria; insomma, sono grato al Padreterno che mi ha lasciato arrivare fino a qui. E poi mi ha messo alla prova», dice mentre la voce gli si strozza e gli occhi si alzano alla ricerca di un crocifisso. Ricorda l'Africa, il papà senza più figliolo, e da là trae la forza di non cedere alla disperazione: «Come fai a odiare quando hai visto la povertà, bimbi che la sera ci sono e la mattina dopo sono morti?», chiede candido. «Solo la fede mi dà la forza per affrontare quanto mi è successo. Chiedo a Dio di non farmi perdere la fede, se no cosa mi resta?». Altrimenti dove è possibile trovare la forza di non cedere a minacciose rivendicazioni settarie, e invece credere che solo il perdono è la risposta saggia al dramma subito? «Il cervello mi dice che non devo odiare. Perché dal cuore ti sale una rabbia, una rabbia che …», allarga le braccia il pensionato credente. Che si rifà a un celebre passaggio di Giovanni Paolo II per attraversare il deserto in cui si è trovato: la cognata prende un foglietto, sopra c'è scritto quanto il defunto Papa scrisse nel messaggio per la giornata mondiale della pace del 2002: «Non c'è pace senza giustizia, non c'è giustizia senza perdono». «Glielo dico al Signore: scusa se mi viene rabbia», prosegue lui. «E prendo questo foglietto; gli chiedo la forza di andare avanti, per i miei due nipotini che ora sono soli. Hanno 9 anni e mezzo». E un genitore che non c'è più: «Era lui che mi insegnava tutto questo, che quando mi irritavo mi diceva: dai, papà, ragiona un po', stai calmo. Io glielo continuo a dire: Signore, mantienimi la fede. Se la perdo, come farò ad andare avanti, a sopportare tutto questo? Me lo dica lei…". Nel silenzio il filo della memoria del padre distrutto torna alla sua Africa, ai «più poveri dei poveri»: «Mio papà e mia mamma mi hanno sempre educato a fare qualcosa per quelli che sono nel bisogno; e così tutta la mia famiglia. In ditta abbiamo assunto extracomunitari, se avevano necessità di trovare lavoro. Poi mi piaceva andare giù, in Centrafrica, a insegnare un mestiere, a costruire con loro ospedali, scavare pozzi». E sullo stesso foglietto una frase lascia intuire la fede granitica di quest'uomo: «L'odio non è vinto che dall'amore. Le tenebre non possono essere fugate che dalla luce». Continua ad imbiancarsi, Castellaro, mentre un padre senza la sua creatura accende di speranza il buio che lo attanaglia. (Lorenzo Fazzini)

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C. L’isola dei “Vergognosi” Ovvero, dove si fa di tutto per non essere visti FASE PROIETTIVA 1) Il testo è un invito per i discepoli ad operare il bene in assoluta gratuità,

con l’unica esigenza di essere fedeli a Dio, che conosce il cuore dell’uomo. I ragazzi, attraverso questa pagina, dovranno scoprire l’importanza di un agire gratuito, che non spetti ricompense dagli uomini. In questa prima fase i ragazzi, senza aver letto il brano del vangelo, in cerchio parleranno delle “opere di bene” che nella loro vita compiono. Si potranno confrontare e avere come guida queste domande: cosa faccio nella mia vita per aiutare gli altri? Sono vicino ai comandamenti del Signore? Vivo la mia giornata con atteggiamenti positivi? Mi attendo per ogni mia azione una ricompensa? Su un cartellone verranno tracciate due colonne: nella prima le azioni che i giovani fanno, nella seconda la ricompensa che si aspettano.

2) Proporre una escursione o gita di gruppo, possibilmente in montagna, o comunque in un posto dove sia possibile chiacchierare camminando, e dove magari ci siano alcuni ostacoli e difficoltà da superare. A ciascun ragazzo verrà consegnato segretamente su un biglietto il nome di un altro ragazzo, di cui dovrà diventare segretamente l’angelo custode. Ciò significa che dovrà avere delle cure o attenzioni particolari, ma con spontaneità e assolutamente senza farlo vedere. Al termine della giornata, ciascuno dovrà cercare di dire chi è stato secondo lui il suo angelo custode. Scopo del gioco è far cogliere il significato, la bellezza e l’importanza del fare le cose nel segreto.

3) Sempre con la stessa tecnica del biglietto segreto, consegnare a ognuno una persona per la quale procurare un regalo: poco importa il valore, ma chi deve procurarlo, dovrà ingegnarsi per trovare qualcosa di originale e di gradito alla persona indicata; rimanendo anonima, la sua scelta non potrà essere giudicata da nessuno. Il gioco allora metterà in evidenza se: Fai le cose bene per essere apprezzato Visto che nessuno può giudicarti, te ne infischi

Analisi Matteo 6, 1-6 Si legge insieme il brano del Vangelo e l’animatore chiede ai ragazzi di indicare la frase che più li ha colpiti poi spiega il brano, puntando e sfruttando anche le riflessioni che nella fase proiettiva sono emersa dai ragazzi. Sempre sullo stesso cartellone, i ragazzi scriveranno gli atteggiamenti dei farisei e la ricompensa, quella cioè di essere riconosciuti solo dagli uomini, mentre seguiranno gli atteggiamenti proposti da Gesù. I ragazzi non dovranno solo ascoltare l’approfondimento, ma integrarlo con le proprie intuizioni e idee. Agire nella gratuità, ecco cosa indica Gesù ai suoi discepoli attraverso questo brano del Vangelo. È significativo che Cristo non tanto chiama all’elemosina, alla preghiera e al digiuno,

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quanto indica come bisogna compiere queste opere di pietà: “Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli” (Mt 6, 1). Vi è in queste parole un incoraggiamento all’elemosina, alla preghiera e al digiuno, ma prima di tutto vi è un appello a compiere tali opere “nel segreto“, dinanzi al Padre. “E il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà” (Mt 6, 4). Nel Vangelo il termine giustizia, non è riferito ai rapporti sociali che si vivono tra gli uomini, quanto piuttosto alla piena attuazione della volontà di Dio nella propria vita. La giustizia è così, l’essere e il porsi in un atteggiamento di accoglienza e non di sottomissione, che è l’origine fedele a Dio. Gesù orienta con queste parole al compimento di opere che non sono strettamente regolate da comandi, piuttosto da una vita che vuole essere gradita a Dio; questo attraverso le tre azioni che al tempo di Gesù costituivano l’ideale della pietà e della religiosità: l’elemosina, la preghiera e il digiuno. Ciascuno dei tre esempi sottende la contrapposizione tra due diversi modi di vivere la stessa esigenza. La prima modalità – che viene considerata non buona dal Vangelo – è bene espressa con immagini vivaci, fare l’elemosina suonando la tromba o assumere durante il digiuno un’aria malinconica. Il riferimento è perfetto, perché coincide con le consuetudini di quel tempo tra i farisei, che pregavano in modo tale che venissero sentiti, tanto che arrivavano al punto di pregare negli angoli delle strade dove potevano essere osservati da tutti. La modalità di praticare le “buone opere” viene qui marcata di ipocrisia, perché tanta ostentazione e vanagloria per essere visibili non corrisponde alla profondità del cuore, tanto che Matteo sottolinea che, coloro che osservano tali atteggiamenti “hanno già ricevuto la loro ricompensa”, anche se dagli uomini e non da Dio. Accanto a questo modello, quello proposto dal Signore: “tu invece cerca di usare altre modalità se vuoi essere ricompensato da Dio”, viene messo in luce attraverso degli esempi concreti: “non sappia la sinistra cosa fa la tua destra”; lo stesso vale per la preghiera “raccogliti nella stanza interna della casa”. Questo nuovo modo di praticare le opere si può sintetizzare nella segretezza, nella non ostentazione, perché solo il Padre lo possa vedere, ciò che preoccupa il credente non devono essere i giudizi, o i pareri degli uomini, bensì quelli di Dio che conosce il cuore dell’uomo. Nel Vangelo di Matteo bisogna inoltre sottolineare che la ricompensa, per Dio, è sempre libera e gratuita e che Dio stesso la offre come dono. Tale gratuità stabilisce tra gli uomini una condizione totalmente nuova che supera il criterio di una giustizia solo retributiva, per la quale ricevo quanto io ho prodotto. In questa pagina del Vangelo, infine, il dono di Dio trova accoglienza nell’impegno del discepolo ad accettare il dono e a porsi fiducioso tra le mani del Padre; il Signore non ricompenserà i suoi discepoli sulla base della quantità delle opere, perché il dono di “entrare nel regno dei cieli” è un dono non equiparabile a prestazioni umane. Il brano apre le porte a due significati: il primo, a livello personale, è un invito ad interrogarsi sulla propria fede e la propria moralità: “trovo nell’amore di Dio la profonda motivazione per la mia vita”; il secondo, interrogativo, è per tutta la comunità cristiana che non deve agire per ottenere o sperare in una ricompensa, ma per diventare strumento per la parola di Dio. Sobrietà, austerità, astinenza dai cibi sembrano anacronistici in questa società, che fa del benessere e della sazietà il proprio vanto, ma è proprio questa sazietà che rischia di renderci insensibili agli appelli di Dio e alle necessità dei fratelli. Per il cristiano il digiuno non è prodezza ascetica, ma è segno della disponibilità al Signore e alla sua Parola, è l’alternativa ad essere sempre “riempiti” di nuovi bisogni e nuove insoddisfazioni. Prendere le distanze dalle cose futili significa ricercare l’essenziale: affidarsi umilmente al Signore, creare spazi di risonanza alla voce dello Spirito.

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RIAPPROPIAZIONE I ragazzi dovrebbero aver intuito la grande novità del Vangelo, la scelta di compiere un’azione senza aspettarsi una ricompensa e soprattutto scegliere di affidarsi al Padre; per questo sarebbe importante che il gruppo dedicasse alcune ore per un servizio, magari proprio all’interno della propria parrocchia o in qualche associazione del vicinato. Spesso si capisce meglio un concetto vivendolo e sperimentandolo, quale gioia può unire un gruppo nel fare una scelta di servizio insieme. Sarebbe indispensabile fare una breve riflessione anche dopo questa attività, per vedere quali insegnamenti hanno realmente acquisito. La finalità di questa proposta è di condurre l’adulto a passare da una morale strettamente legata ai precetti e alla legge ad una esigenza etica, lasciandosi coinvolgere dall’amore di Dio. Quel che più conta non è quanto diamo, né se il nostro nome comparirà in cima all’elenco dei benefattori, così tutti sapranno quanto siamo stati bravi; è il nostro cuore che deve iniziare a cambiare, a vedere le necessità di chi ci sta attorno, di coloro che spesso non hanno niente a che vedere con i soldi, (e così crollano le eventuali obiezioni “ma io sono studente, non lavoro ancora, non ho soldi miei...”) ma hanno bisogno di un po’ del nostro tempo, della nostra attenzione, delle nostre capacità.

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Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù 2.3.5

OUVERTURE Dalla lettera di san Paolo ai Filippesi (3, 7-14) 7 Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. 8 Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9 e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede. 10 E questo perché io possa conoscere lui, la potenza della sua risurrezione, la partecipazione alle sue sofferenze, diventandogli conforme nella morte, 11 con la speranza di giungere alla risurrezione dai morti. 12 Non però che io abbia già conquistato il premio o sia ormai arrivato alla perfezione; solo mi sforzo di correre per conquistarlo, perché anch'io sono stato conquistato da Gesù Cristo. 13 Fratelli, io non ritengo ancora di esservi giunto, questo soltanto so: dimentico del passato e proteso verso il futuro, 14 corro verso la mèta per arrivare al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù. L’incontro con Gesù cambia la vita, la rende nuova. Può accadere che una persona, incontrando Gesù, non abbia il coraggio di fidarsi totalmente di Lui e se ne vada via triste (Le 18,18-23), oppure riconosca in lui quella novità che da un significato profondo alla vita (Lc 19,1-10). II Nuovo Testamento è unanime nel sottolineare che un tratto fondamentale dell'uomo convertito, animato dallo Spirito, è l'esperienza della novità. La comunione con Cristo e l'accoglienza dello Spirito conducono ad una vita nuova. Scrive san Paolo ai cristiani di Corinto: «Se uno è in Cristo è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco, ne sono nate di nuove» (2 Cor 5,17) E ai cristiani di Colossi: «Vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le sue azioni e avete rivestito il nuovo; ci si rinnova, per una piena conoscenza, ad immagine del suo Creatore» (Col 3,9-10). La novità dello Spirito raggiunge il nucleo più profondo della persona, ristrutturandolo e rinnovandolo dall'interno (Rm 6,4). I primi cristiani sentivano la novità di questo nuovo orientamento in modo così vivace da esprimerlo con le immagini della risurrezione, della creazione, della rinascita, del risveglio. Queste immagini sottolineano una sorta di passaggio dalla morte alla vita, dalla schiavitù alla libertà, dal chiuso dell'egoismo e dell'indifferenza agli spazi aperti della carità. (Catechismo dei giovani 2, p. 202)

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INTRODUZIONE METODOLOGICA Abbiamo incontrato Gesù — dal sussidio CAT Un incontro può trasformare una vita. I Vangeli sono globalmente la testimonianza di persone che nell'incontro con il Signore Gesù hanno visto la loro esistenza rigenerata, ri-orientata e salvata. Alcune narrazioni in particolare sembrano mettere a fuoco con più precisione la storia di questi incontri con Gesù. Talora sono storie di personaggi minori che appaiono e scompaiono come meteore nella trama evangelica. Di loro non sappiamo nulla di quanto era prima e di ciò che avvenne successivamente al loro incontro con Gesù. Abbiamo solo poche righe che ci testimoniano con vivacità il loro incontro con il Signore e la svolta decisiva che esso ha impresso alla loro vita. Poche righe condensano però percorsi che sono capaci di illuminare continuamente esperienze, che si sono realizzate in noi o che stanno davanti a noi come possibilità aperte; per questo questi incontri diventano una sorta di paradigma di ciò che ancora oggi l’incontro con il Signore è capace di mettere in movimento. L’invito, allora, è ad accostare questi brani evangelici, facendo immedesimare i ragazzi con i personaggi stessi, perché possano sperimentare lo stesso fascino e la stessa forza di trasformazione che l’incontro con Gesù dona. Anche oggi! o Bartimeo, che da cieco, mendicante e fermo sulla strada, passa a vedere e a seguire

Gesù o Zaccheo, che da ladro, uomo “di piccola statura”, diventa grande nella generosità di

cuore o La peccatrice perdonata, che da “venditrice” d’amore, diventa sovrabbondante

nella gratuità

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A. Bartimeo: Vedere la luce Quante volte Gesù durante il suo peregrinare ha incontrato delle persone che gli chiedevano di vedere…non si è trattato solamente di ciechi, ma anche di persone che volevano illuminare, vedere la propria vita sotto un altro punto di vista. Il racconto di Bartimeo diventa anche una controfigura positiva rispetto ad altre figure incontrate nel Vangelo. Come non ricordare il “giovane ricco” al quale viene fatto l’invito “va, vendi i tuoi beni e poi vieni e seguimi”; questi se ne era andato triste. Bartimeo è proprio il contrappunto di questa risposta negativa: egli che non è ricco ma mendicante, in condizione di estrema indigenza, è disponibile a lasciare anche l’ultima cosa che ha, il suo mantello, per poter seguire Gesù. Obiettivo: Cercare di passare da una fede statica ad una in cammino con la figura di Cristo, risultato di uno sguardo nuovo sulla vita offerto dall’incontro con Lui. FASE PROIETTIVA Cerchiamo di far entrare i ragazzi nel contesto del brano scegliendo tra le proposte qui descritte: Proposta 1 Dall’oculista : prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica Viene scelto un ragazzo con gli occhiali e viene simulata una visita oculistica. Nel caso tutti i ragazzi avessero una vista da falco, trovate qualche stratagemma per “annebbiare la vista”- allontanate il cartellone con le lettere da leggere, coprite un occhio, usate lenti colorate, abbassate la luce, scrivete lettere minuscole… Viene perciò eseguito il classico controllo della vista attraverso la lettura delle lettere alfabetiche su un cartellone che avrete preparato precedentemente. Il cartellone ovviamente dovrà essere difficile da leggere, perché scritto in piccolissimo,oppure sbavato o rovinato. Torturate a piacere il “paziente” chiedendogli di leggere tutto il cartellone, ma ogni tanto dategli la possibilità di chiedere un aiutino con la frase “cosa vuoi che ti faccia?” (frase usata da Gesù nel brano del vangelo che leggerete in seguito). Il ragazzo chiederà di riavere gli occhiali, di togliere la benda, di accendere la luce o di avvicinare il cartellone. Una volta che il tabellone verrà “letto” a sufficienza riunite tutto il gruppo. Ora chiedete il perché non riusciva a leggere il tabellone. L’obiettivo è quello di far notare che senza le “richieste di aiuto” la lettura del cartellone sarebbe stata impossibile. Ma alla fine potete creare un piccolo colpo di scena! Infatti mostrando di nuovo il cartellone utilizzato in precedenza farete notare che all’interno dello stesso era presente una frase nascosta (una frase del vangelo-“rabbunì, che io riabbia la vista”,oppure “e subito riacquistò la vista…”) che nessuno ha notato perché spesso non si guarda nel profondo delle cose. La frase deve essere nascosta ad hoc, magari scrivendola al contrario, in senso antiorario o che si possa leggere solo in maniera concentrica o ad spirale. Magari si potrebbe far vedere la frase nascosta dopo la spiegazione del vangelo, sarebbe più ad effetto. Si procede ora alla lettura del brano del vangelo e all’analisi del testo.

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Proposta 2 Poniamo ai ragazzi una domanda diretta; è il metodo più classico In questo caso risulta necessario leggere il brano prima di attuare questa metodologia. L’animatore invita i ragazzi a rispondere personalmente alla seguente domanda: “Che cosa vuoi che ti faccia? Nella situazione che stiamo vivendo, che risposta daremmo oggi a questa domanda di Gesù?” Dopo un momento personale, i ragazzi sono invitati a confrontarsi con i vicini o con l’intero gruppo. Viene riassunto ciò che è emerso e viene perciò ora proposta l’analisi del vangelo per capire veramente che cosa ha chiesto Bartimeo a Gesù. ANALISI Pre-analisi L’animatore, dopo la lettura del vangelo, consegna la scheda in allegato e invita a compilare la griglia. Il lavoro viene fatto in gruppetti; dopo di ciò viene fatta una condivisione del lavoro dei gruppi. Si può preparare uno o più cartelloni con un riassunto del lavoro fatto. Un animatore fa la sintesi e sottolinea i significati emersi e gli interrogati che il testo ha generato. Alla fine, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione precedente) spiega il brano, tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro pre-analisi. È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito.

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ATTEGGIAMENTI DI BARTIMEO

IL MIO ATTEGGIAMENTO

È modello di fede coraggiosa, sa resistere di fronte alle difficoltà, egli continua a credere e ad invocare, anche quando gli altri tentano di metterlo a tacere

Si lascia donare una vista nuova, nel suo consegnarsi a Gesù. Chiede una fede più matura, più adulta.

La sua è una risposta immediata, che non esita a liberarsi da tutto ciò che impedisce l’incontro con Gesù

È l’uomo che, acquistato lo sguardo della fede, decide di seguire Gesù

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Analisi del testo Il testo risulta strutturato per tappe successive, che evidenziano lo sviluppo del racconto, evidenziando il cambiamento tra la situazione iniziale e quella finale. o All’inizio c’è una distanza fisica tra Gesù e Bartimeo. Il primo è in movimento, esce da

Gerico, mentre il secondo se ne sta in disparte, seduto a lato sulla strada. Sembra impossibile un contatto tra i due.

o Nel secondo momento si sottolinea lo sforzo del cieco per entrare in contatto con Lui: ”Figlio di Davide Abbi pietà di me!”; ripetuto nonostante il muro di persone (le difficoltà) che lo volevano zittire.

o Il terzo momento: l’incontro con Gesù; ciò è dovuto, sia per la volontà del Cristo (si ferma), sia per le invocazioni del cieco.

o Nel quarto momento si instaura un dialogo personale significativo: la domanda di Gesù, la risposta di Bartimeo e la frase che illumina e dona significato a tutto il brano:”Va la tua fede ti ha salvato!”.

o Adesso il cieco cambia radicalmente la sua situazione, da posizione statica si ritrova a seguire Gesù.

o Dalla struttura si evidenzia il cambiamento più radicale:

SITUAZIONE INIZIALE SITUAZIONE FINALE Sedeva a lato della strada Segue il Cristo,è sulla strada

Cieco Vede La fede ha ridonato al cieco la vista, ha risolto il suo stato di immobilità, lo ha strappato dalla sua situazione di emarginazione ed esclusione e lo ha coinvolto nel cammino di Gesù. “E vennero a Gerico. E mentre egli usciva da Gerico”: Gesù continua a camminare verso Gerusalemme:il cammino di Gesù quindi sta arrivando verso la sua meta. “Il figlio di Timeo, Bartimeo”: Un cieco,immobile, seduto, incapace di muoversi per la sua cecità, collocato a lato della strada, fuori percorso. La situazione di cecità veniva vista non solo come condizione di povertà, ma anche come il risultato di una condizione di peccato: segno di una maledizione divina. “E avendo udito che è Gesù il nazareno”: Il cieco cerca un incontro con Gesù, intuisce che c’è qualcosa che va al di là dell’essenza umana. A questo punto la sua ricerca si esplicita in una preghiera che è confessione di fede e richiesta di salvezza. “Figlio di Davide Gesù, abbi pietà di me”: Per due volte egli grida. In questo grido sentiamo con quanta forza e fede cerchi di superare le persone accanto a lui che cercano di farlo tacere. Chiamare Gesù “il figlio di Davide” significa riconoscere il Messia . Bartimeo mostra così di credere che Gesù è il Messia. “E fermatosi Gesù disse”: Di fronte alla fede-invocazione di questo cieco, Gesù interrompe il cammino per ascoltare la supplica.

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“Chiamatelo!”: Gesù si rivolge a coloro che lo circondavano e che erano stati un ostacolo tra Lui e il cieco, perché si facciano intermediari (partecipi) alla chiamata. “E chiamano il cieco dicendogli: confida, svegliati, chiama te”: La risposta di Gesù è: fermarsi, chiamare e coinvolgere in questa azione di chiamata anche quelli che prima si erano opposti alla preghiera di supplica del cieco. Ora sembra Gesù, colui che cerca il contatto. “E quegli gettato il mantello, balzato su, venne da Gesù”: Questa è la risposta alla chiamata. Ci sono due cose importanti da notare.

o La prima: “Balzato su”: Il cieco prende forza per vincere la propria i immobilità e balzare in piedi. Il verbo esprime l’immediatezza della risposta ( come quel “subito lo seguirono” che contraddistingue la risposte dei primi discepoli).

o La seconda: “Getta via il suo mantello”: Il cieco si libera così da tutto ciò che ha e che sembra essere necessario per la sua vita. Il mantello nell’Antico Testamento rappresenta l’unica ricchezza per difendere la propria vita (ovvero dal freddo). “E rispondendogli Gesù disse: che cosa vuoi che ti faccia?”: Gesù vuole controllare nel profondo dell’animo le motivazioni vere di tale richiesta. La richiesta parrebbe inutile, ma Lui sa che c’è un altro tipo di desiderio all’interno del cieco: oltre a riavere la vista desidera essere “illuminato”. “Rabbonì,che io riabbia la vista”: Nel vangelo di Marco la fede è delineata proprio come un vedere. Infatti, quando Gesù rimprovera coloro che non credono dice “avete gli occhi e non vedete”. Questo cieco non chiede solo la vista fisica ma anche una maturazione, un’apertura profonda alla vista della fede. “Va, la tua fede ti ha salvato”: Gesù ne è convinto, il suo desiderio è profondo. Non solo lo guarisce, ma ne cambia l’orizzonte della vita. “E subito vide e lo seguiva”: Il cieco non se ne va, ma lo segue. Seguire è il verbo che indica tipicamente il discepolato. “Sulla strada”: Non è una strada qualsiasi, ma la strada che lo porta a Gerusalemme, ovvero la resurrezione. RIAPPROPRIAZIONE Viene consegnata ora la scheda in allegato, che dovrà essere compilata personalmente. Al termine di questo momento ci potrà essere una condivisione nel gruppo se non è numeroso, oppure in gruppetti

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Alla ricerca del cammino di fede di Bartimeo Scrivete in parallelo sulle due colonne le azioni di Bartimeo (espresse dai verbi) e le tappe del suo cammino di fede. Dite cosa vi colpisce e cercate di indicare quali significati cominciano ad apparire

Le azioni di Bartimeo

Il suo cammino di fede

• • • • •

• • • • •

Per concludere fate seguire una breve discussione sull’ultima domanda. Rimarcare il fatto che la vera difficoltà non è quella di “acquistare” una nuova vista sulla nostra vita, ma molto spesso ciò che fa paura è il pensiero di dover dare una svolta alla propria vita. Alla luce della discussione si può proporre ai ragazzi alcuni atteggiamenti di apertura alla luce. 1. Proporre di leggere il vangelo a casa, oppure ritagliare 5 minuti durante l’orario del gruppo

per leggerlo assieme. 2. Dare il compito durante la settimana di guardare nel profondo le cose, avere più

attenzione delle richieste degli altri, dei famigliari, dei compagni di scuola e lavoro, per poterlo poi di nuovo raccontare durante l’incontro successivo.

3. Chiedere loro di poter spogliarsi delle cose inutili (il mantello) per poter seguire Gesù da uomini liberi: liberarsi dalla schiavitù del cellulare, della moda e delle aspettative che gli altri hanno su di noi.

4. Sarebbe molto bello proporre anche una celebrazione sulla luce. L’idea è quella di paragonare il passaggio tra la cecità interiore, alla nuova vista donata da cristo, con il passaggio dalle tenebre (la chiesa senza luce, appena rischiarata) ad una situazione di luce piena (candele, un faretto che illumina l’Eucaristia o il vangelo)

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B. Zaccheo: la fede che si apre alla solidarietà Molte volte ci sentiamo inadatti nell’accogliere il Signore. Ci sentiamo peccatori, troppo piccoli e miseri per incontrarlo. A Gesù non importa la nostra condizione, la nostra piccolezza. Ciò che gli importa è il nostro desiderio di cercarlo, vederlo, di poterlo ospitare dentro casa nostra. Zaccheo, un ricco pubblicano, desidera talmente tanto vedere il Cristo che sale su un sicomoro, trasformando il suo desiderio in una decisione: cambiare la sua vita, donarsi al prossimo. Obiettivo: 1. Far capire che la fede è una ricerca di Dio, un desiderio di Lui, che si può aprire ad una

scelta di solidarietà (atteggiamento di Zaccheo) 2. Educare ad uno sguardo sugli altri, che passi dal pregiudizio alla fiducia, per una

relazione che arricchisce tutti (atteggiamento presente anche in Gesù) In entrambi gli atteggiamenti c’è una apertura alla solidarietà. o Zaccheo, dopo l’incontro con Gesù, sceglie di cambiare il proprio stile di vita, si pone dal

punto di vista dei poveri e di chi subisce ingiustizia; per tal motivo impegna i suoi beni e le sue energie nella solidarietà.

o Gesù supera i pregiudizi delle persone che mormorano per quel suo incontro con un peccatore, offre la sua fiducia e chiede ospitalità: vuole entrare nella casa, nel suo modo di vivere. Si offre come risposta alla ricerca di Zaccheo.

FASE PROIETTIVA Facciamo entrare i ragazzi nel contesto del brano scegliendo tra le proposte seguenti: Proposta 1 Alla festa: prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica. L’idea è quella di creare l’atmosfera di una piccola festicciola (la classica festa dei 18 anni). Si divide il gruppo in coppie formate da una ragazza ed un ragazzo e si chiederà loro di inscenare (tipicamente al ragazzo) una tattica di “abbordaggio”, ovvero dovrà cercare di conoscere la ragazza. Le situazioni che si verranno a creare saranno molteplici; una buona idea potrebbe essere anche quella di far recitare ai restanti ragazzi che osservano la scena, la parte della compagnia che giudica la situazione. Lo scopo è quello di notare come le persone desiderino in maniera diversa conoscere la persona dell’altro sesso. Alcuni saranno molto appassionati nel farlo, altri nient’affatto, in alcuni casi la ragazza non avrà nessuna intenzione di conoscere il “pretendente” e non è detto che gli rivolga addirittura la parola; affinché ci sia un incontro ci vuole, da una parte, il

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desiderio e la volontà di conoscere la persona (di salire sul sicomoro), mentre dall’altra ci vuole un atteggiamento di accoglienza, che non si cura magari delle dicerie che le altre persone dicono attorno. Dopo un po’ di scenette, fate elencare loro le varie situazioni, facendo notare i pregiudizi ed i commenti che si erano sentiti, e la maniera con cui ci si è relazionato. Proposta 2 Vu cumprà!?! Prima di far leggere il vangelo proponiamo questa dinamica. Si può dividere il gruppo in piccoli gruppetti e chiedere loro di scrivere in cartelloni gli atteggiamenti e i pensieri che hanno nei confronti di queste situazioni. o Il marocchino che suona alla porta per vendere biancheria. o Un ragazzo di colore che occupa il sedile di un autobus o Lo sfigato della classe che ti chiede di studiare assieme o La ragazza che non ha dei jeans alla moda, e non ha il fisico da miss, o ecc… Dopo 10-15 minuti si raccolgono i cartelloni e si evidenziano i luoghi comuni e i pregiudizi che abbiamo nei confronti del prossimo, che ci impediscono un rapporto di fiducia e solidarietà. Si procede ora alla lettura del brano del vangelo e all’analisi del testo. Proposta 3 Domanda diretta: leggere il brano prima di attuare questa metodologia. L’animatore invita i ragazzi, divisi in gruppi, a rispondere alle seguenti domande: o “Che significato può avere nella nostra esperienza il fatto di auto-invitarsi a casa di un

altro?” o “Che cosa può aver motivato Zaccheo a scendere in fretta e ad ospitare con gioia Gesù?”

Su queste due domande si stabilisce un dialogo nel gruppo e l’animatore riassume quanto emerge. Alla fine, se sono emersi degli interrogativi sul brano, l’animatore li richiama.

analisi Pre-analisi Metodo 1 La pre-analisi del testo viene fatta in gruppo, se di piccole dimensioni, o in più gruppi di 8-10 persone, nel caso il gruppo fosse numeroso. L’animatore, dopo la lettura del vangelo, consegna la scheda con le due colonne delle attese di Zaccheo e delle risposte di Gesù, e invita ognuno a compilarlo personalmente.

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Per il lavoro di gruppo 1. Personalmente: ognuno compila il foglio rileggendo attentamente il brano 2. In gruppo: confrontate i risultati ed arrivate a uno schema comune 3. “Che cosa ci fa pensare questo parallelo”. L’animatore pone questa domanda per far

emergere alcuni significati del brano

Attese di Zaccheo Risposte di Gesù • • • • • •

• • • • • •

In un secondo tempo i partecipanti confrontano i risultati e arrivano ad una griglia comune; infine l’animatore invita il gruppo a rispondere alla domanda: “Cosa ci fa pensare questo parallelo?” L’animatore aiuta in questo modo a far emergere alcuni significati del brano, fa la sintesi e sottolinea i significati emersi e gli interrogativi che il testo ha generato. Alla fine di ciò, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione precedente) spiega il brano (fa l’analisi vera e propria), tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro pre-analisi. È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito. Metodo 2 L’animatore, dopo aver fatto leggere il vangelo, lo divide in due parti, in modo tale che si evidenzino da una parte le azioni compiute da Zaccheo, dall’altra quelle di Gesù. Verranno perciò formati due gruppi che analizzeranno le azioni, i comportamenti, le difficoltà dei due personaggi nell’instaurare una relazione. Si può seguire un percorso di analisi di questo tipo

o Situazione iniziale o Difficoltà dell’incontro o Momento (azione) decisivo o Cambiamento avvenuto o Situazione finale

I due gruppi presenteranno l’analisi fatta all’altro gruppo ed un animatore fa la sintesi e sottolinea i significati emersi e gli interrogativi che il testo ha generato. Alla fine di ciò, un animatore esperto (che ha letto la spiegazione) spiega il brano (fa l’analisi vera e propria), tenendo presenti gli interrogativi del gruppo e il risultato delle loro pre-analisi. È bene far seguire alla spiegazione un breve dibattito.

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Analisi del Testo Il testo presenta una struttura a due tempi: il desiderio dell’incontro e l’incontro. o La prima parte vede come unico protagonista Zaccheo: abbiamo la sua presentazione

con alcune informazioni (il nome, è capo dei pubblicani, è ricco), gli ostacoli rappresentati dalla folla e dalla sua bassa statura; infine si nota il suo profondo desiderio di vedere Gesù.

o La seconda parte presenta l’incontro tra Gesù e Zaccheo. Nel testo si notano due significati del verbo “venire”. Il primo per indicare l’avvicinamento di Gesù a Zaccheo, il secondo nella frase finale del vangelo “il Figlio dell'uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”. Si svela così la vera missione di Gesù.

o Segue a queste due fasi l’iniziativa di Zaccheo, il cambiamento della vita dopo l’incontro con Gesù, l’apertura alla solidarietà attraversa le promesse di ridare i beni ai poveri e di ristabilire la giustizia.

“Entrato in Gerico, attraversava la città”: Siamo ormai alla fine di un viaggio, che ha lo scopo di presentare le istruzioni della vita cristiana e le conseguenze sulla vita del discepolo. L’incontro sembrerebbe casuale, ma si tratta invece di un Kairos (occasione favorevole offerta da Dio). Questo verrà sottolineato nella seconda parte: questa non è una casualità, ma un disegno di Dio. “Ed ecco un uomo…”: Emerge in questa occasione “speciale” un uomo, di cui sappiamo il nome, ma che viene definito come un ricco pubblicano. I pubblicani erano considerati dei peccatori, nonché dei traditori, essendo essi al servizio dei Romani per la riscossione delle tasse. Zaccheo ne è perfino il capo; in più la sua ricchezza viene vista come un impedimento per la sua salvezza, la ricchezza chiude in se stessi . “Cercava di vedere quale fosse Gesù”: Zaccheo ha centrato l’obiettivo: vuole vedere Gesù. Anche in questo caso il verbo vedere ha un significato più profondo. Vuole capire chi è, vuole capire il mistero della sua persona “Ma non gli riusciva a causa della folla”: A questo desiderio di conoscenza si oppone la folla. Un impedimento esterno. Deve cercare di uscire dal senso comune, le opinioni e il “si dice”, per una ricerca del tutto personale. “Poiché era piccolo di statura” : Il secondo impedimento viene dall’interno, un limite personale. “Allora corse in avanti e, per poterlo vedere, salì su un sicomoro”: Nonostante tutte le difficoltà, Zaccheo vuole vedere Gesù. Questa volontà di superare gli ostacoli accentua la finalità del suo desiderio, che ha come oggetto la persona di Gesù. Zaccheo brama di vedere Gesù. “Quando giunse sul luogo, Gesù..”: L’attenzione si sposta ora su Gesù: ora è Gesù che si muove; ciò vuol dire che ciascuno di noi può desiderare, cercare Gesù e superare tutti gli ostacoli che si frappongono tra noi e Lui, ma alla fine è Gesù che ci incontra e ci rivolge lo sguardo. “Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”: Gesù formula un imperativo e ne da la motivazione. La parola “oggi” ha un significato non temporale, ma sottolinea che la sua salvezza avviene con la presenza del Cristo, che è lì,

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ora, vicino a lui; anche la parola “devo” ha un significato particolare, indica l’obbedienza al progetto del padre, al volere di Dio. Perciò Gesù chiede a Zaccheo l’obbedienza al Padre. “In fretta scese e lo accolse pieno di gioia”: Zaccheo è pronto all’invito, e lo accoglie con gioia, la gioia comunicata all’uomo dalla presenza del Salvatore. Questo avvenimento viene però commentato dalla folla in modo negativo, essendo considerato un peccatore. Gesù deve vincere anche questo pregiudizio della gente. “Ma Zaccheo, alzatosi, disse al Signore”: Adesso Zaccheo parla a Gesù in maniera diversa, è avvenuta una trasformazione: riconosce in Lui il risorto; si è sentito accolto ed ha accettato l’invito di Gesù con gioia, accogliendo in tal modo la presenza del salvatore. “Ecco, io o la metà dei miei beni ai poveri…”: La conversione di Zaccheo riguarda anche la sua condizione economica: all’inizio la ricchezza era vista come un impedimento alla salvezza; ora la conversione passa anche per la concretezza di aprirsi alla solidarietà ed alla giustizia. La conversione ha comportato tre passaggi:

1. L’incontro vero, profondo. Un accogliersi a vicenda tra Gesù e Zaccheo. 2. Il cambiamento di mentalità, di sguardo sulla realtà. Zaccheo passa dal guardare la

vita da parte degli oppressori e dei ricchi, a guardarla dalla parte di chi è povero e sfruttato.

3. La concretezza della decisione: impiegare i propri beni ed energie. “Oggi la salvezza è entrata in questa casa”: Gesù sottolinea l’avvenuta conversione, attraverso di Lui. “Perché anch’egli è il figlio di Abramo”: Zaccheo per una libera scelta decide di essere figlio di Abramo, di entrare nel popolo di Dio, di sperimentare la realizzazione delle promesse di Dio. Passa dalla qualifica di “capo dei pubblicani ricco” a quella di “figlio di Abramo”. “Il Figlio dell’uomo infatti è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto”: Gesù si rende conto della sua missione, ne diventa sempre più consapevole, prende coscienza di se stesso. riappropriazione Si divide il gruppo in piccoli gruppetti di 2-3 persone. Ciascuno di questi gruppi si deve immaginare come la storia di Zaccheo o Gesù sarebbe cambiata se non fossero accadute certe situazioni. Nella scheda vengono proposti vari scenari, si può scegliere di farli fare tutti a ciascun gruppetto, o dividerli in base alle esigenze. Cosa sarebbe successo se…

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Gesù non fosse passato per Gerico Zaccheo non avesse desiderato vedere Gesù Zaccheo non fosse salito sul Sicomoro Gesù non gli avesse rivolto lo sguardo Zaccheo non avesse avuto voglia di scendere dall’albero Gesù avesse avuto paura dei pregiudizi della folla Gesù non si fosse autoinvitato Zaccheo avesse accolto malvolentieri Gesù a casa propria Zaccheo non avesse restituito il maltolto Gesù non obbedisse ad un progetto divino Altro……

Una volta compilata la scheda viene esposta all’assemblea, cercando anche di motivare le scelte fatte.

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Si possono poi riassumere i vari cambiamenti di scenario in un cartellone. Un animatore potrebbe poi fare notare che tali situazioni possono capitare nella vita di un ragazzo.

o Si potrebbe sottolineare che ciascuno di noi in certi momenti non desidera così tanto di vedere Gesù.

o Spesso ci piangiamo addosso per le nostre piccolezze e non saliamo sul “sicomoro” sentendoci inadatti.

o I pregiudizi che noi abbiamo e che ci circondano ci impediscono di essere liberi di aprirci.

o Certe volte capiamo l’importanza di dover cambiare stile di vita, ma questo rimane a livello teorico.

o Non riusciamo a fare il primo passo per aprirci agli altri o Ecc…

Da qui potrebbe seguire una piccola discussione sul cammino che si dovrebbe fare per poter lasciarsi cambiare la vita da Cristo. Per aiutare la discussione si può utilizzare la tabella sottostante. Zaccheo e noi

Il cammino di Zaccheo Il nostro cammino Zaccheo è in una situazione di ricerca… Come possiamo metterci in ricerca oggi?

Che cosa desideriamo veramente? Per essere fedele alla sua ricerca deve superare degli ostacoli..

Quali sono gli ostacoli che noi giovani abbiamo che ci impediscono un incontro con Gesù? (fattori esterni ed interni)

La situazione di ricerca giunge a una scoperta insperata, perché Gesù stesso interviene (lo sguardo, si invita a casa sua…)

In che maniera Gesù si può far vedere ad un Giovane? Come fa a invitarsi a casa tua?

Frutto dell’incontro è una duplice conversione: di sguardo: 1. Egli abbandona il suo punto di vista e si pone dal punto di vista dei poveri e di chi subisce l’ingiustizia. 2. Di decisione: si impegna con le sue energie e i suoi mezzi per solidarietà.

In che modo possiamo cambiare il nostro punto di vista su di noi e sui pregiudizi? In che cosa e come noi giovani ci possiamo “spendere” per il prossimo?

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C. La peccatrice perdonata: Ti amo come sei Fase proiettiva Proposta 1 Vizi e virtù Proponiamo la lettura di questo articolo di giornale, per affrontare coi ragazzi la discussione sul teme delle aspettative degli altri: La tavola scatena più sensi di colpa del letto. Almeno a guardare i risultati di un'indagine della rivista Rizla psicosomatica secondo la quale mettere le corna al partner procura meno rimorsi di una grande abbuffata. Spendere troppi soldi, esagerare a tavola, non prendersi cura del proprio aspetto: sono questi i peccati che oggi fanno maggiormente sentire in colpa gli italiani. Più ancora che tradire il marito o la moglie o non interessarsi agli altri. Insomma, la geografia dei sette peccati capitali sembra un po' diversa da quella dei tempi di Dante Alighieri anche se 8 italiani su 10 - secondo la ricerca condotta su un migliaio di italiani tra i 25 e i 55 anni - soffrono, in maniera più o meno grave, di senso di colpa. Un "disturbo" che colpisce decisamente più gli uomini (44%) che le donne (33%). Tra i fattori che inducono a provare rimorso per gli sbagli o le cattive azioni commesse, i precetti religiosi sono un elemento non decisivo (7%). Più importante il giudizio delle persone care (32%), la disapprovazione sociale in genere (24%), o il rendersi conto da sé di non essere stati all'altezza della situazione (18%). Sentirsi in colpa oggi significa sicuramente provare rimorso (29%), o vergogna (22%); accorgersi di essere deboli (17%), non sapersi accettare (9%) o ancora sentirsi inadeguati (6%). Ad avere sensi di colpa in ambito amoroso sono, a sorpresa più gli uomini (uno su tre, 32%) che le donne (19%, meno di una su cinque) che, al contrario, sembrano soffrire di più per peccati legati alla vita sociale in genere (34%) o alla famiglia in senso lato (23%). Ma ecco la lista dei sette peccati capitali del 2006: innanzitutto eccedere col cibo, argomento molto sentito soprattutto dopo i periodi festivi; poi, spendere senza freni; al terzo posto in classifica c'é l'aver trascurato figli e famiglia. Ne sono vittima, in particolar modo quei quarantenni che, oberati dal troppo lavoro o eterni adolescenti, dimenticano i loro doveri di partner o genitore. Altri sensi di colpa frequenti sono, nell'ordine, quello di deludere o tradire le aspettative degli amici, di non essersi impegnati abbastanza o addirittura di aver fallito in ambito lavorativo, o di non curarsi abbastanza del proprio aspetto fisico. In fondo alla lista, solo al settimo posto, il tradimento del partner. Ma come affrontano i sensi di colpa gli italiani? Uno su tre (32%) preferisce non pensarci e dimenticare in fretta, mentre gli altri si dividono fra coloro che cercano in qualche maniera di rimediare (23%), coloro che cercano di mettersi a posto la coscienza facendo qualcosa per gli altri (15%), quei pochi (11%) che cercano di farsi perdonare e, infine, quelli che cercano di essere un po' più indulgenti verso se stessi (6%) e, perché no, ricominciare da capo.

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Domande per la discussione: 1. ti capita di sentirti in colpa? 2. In base a cosa ti senti in colpa? 3. Ti è capitato di fare delle cose per ottenere qualcosa in cambio? O solo perché altri se le

aspettavano da te?

Proposta 2 Il giudizio finale A causa di un incidente del pullman su cui i ragazzi stavano andando in gita sulla neve, …si ritrovano tutti al cospetto di san Pietro. Sono in sala di “attesa di giudizio”, e ognuno cerca di preparare la propria presentazione e arringa difensiva. Per facilitare questa presentazione, forniamo due semplici elenchi possibili cui attingere motivi di difesa e di giustificazione, tratti dalla tradizione cristiana: le opere di misericordia da una parte e i vizi capitali dall’altra. Le sette opere di misericordia corporale

1. Dar da mangiare agli affamati 2. Dar da bere agli assetati 3. Vestire gli ignudi 4. Alloggiare i pellegrini 5. Visitare gli infermi 6. Visitare i carcerati 7. Seppellire i morti

Le sette opere di misericordia spirituale

1. Consigliare i dubbiosi 2. Insegnare agli ignoranti 3. Ammonire i peccatori 4. Consolare gli afflitti 5. Perdonare le offese 6. Sopportare pazientemente le persone moleste 7. Pregare Dio per i vivi e per i morti.

I sette peccati capitali

1. Ira 2. Ingordigia 3. Avarizia 4. Invidia 5. Lussuria 6. Accidia 7. Superbia

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Proposta 3 Così ti vorrei Partendo dalla lettura della pagina proposta, tratta dal romanzo di Fabio Volo “Un posto nel mondo”, riflettere sul peso che hanno nella vita le aspettative degli altri. Troppo bravi! Cinzia, per esempio, è l'immagine perfetta della donna isterica. L'altro giorno l'ho incontrata, era insieme con suo marito Fabrizio. Dopo tanto tempo che provavano ad avere un figlio finalmente c'erano riusciti. Matteo. «Matteo saluta... Matteo fai vedere quanti anni hai... Matteo fai sentire bene come ti chiami... mat-te-o! Fai vedere come fai l'indiano, augh, augh, augh... Come fa il cane, Matteo? E il gatto, Matteo? Matteo fai vedere come balli... Matteo vieni qua... Matteo vai là...» Dopo un quarto d'ora ho cercato di dare di nascosto dei soldi a Matteo per comprarsi del crack. Era questo che intendeva Federico quando aveva detto a Francesca che la famiglia non può essere un sogno, ma qualcuno con cui condividerlo. Cinzia e Fabrizio non hanno nient'altro. Quando Matteo sarà un po' più grande, probabilmente faranno un altro figlio. È il cibo con cui si nutrono, è la cosa che gli da l'illusione di non aver fallito. Soprattutto Cinzia come persona non esiste, non è mai esistita. Prima attaccata alla mamma, poi al papa, poi a Fabrizio, e adesso "Matteo, Matteo, Matteo"; e alla fine, da vecchia, ai suoi acciacchi. Prima brava figlia, poi brava moglie e adesso brava mamma. Sono quelli che ti vedono come il loro bambino anche quando hai quarant'anni. Non lo hanno lasciato in pace un attimo 'sto povero Matteo. E chissà che sofferenza se poi non sarà come loro lo vogliono. Sono quelli che tentano di far fare ai figli quello che volevano fare loro senza però riuscirci. Io non so che padre sarò ma, Alice, ti prometto che cercherò di darti un padre felice, e che se tu sarai felice oppure no dipenderà molto da te, ma io farò tutto il possibile per crearti intorno un mondo gentile, delicato, divertente affinché tu senta sempre il desiderio e la voglia di partecipare, di essere coinvolta e tranquilla. Analisi Luca 7, 36-50 o Il problema della vita è quello di riconoscerla come un dono d’amore e non come un

debito da estinguere. o Simone il fariseo si ritiene giusto, perché crede di non dover nulla a Dio: ciò che Dio gli ha

dato, lui lo ha meritato con una condotta irreprensibile e ora presume di non avere alcun debito.

o Nella sua casa – immagine di come anche la chiesa può diventare –, alla sua tavola, trasformata per la presenza di Gesù in mensa eucaristica, dove Dio dona se stesso

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gratuitamente, la venuta della meretrice che vende per denaro il suo amore, mostra al giusto il suo peccato profondo: quello di non saper lasciarsi amare gratuitamente.

o La parabola dei due debitori mette in gioco Simone e noi tutti con la prostituta capovolgendo i ruoli. La presunzione di poter restituire ciò che Dio ha dato, sotto forma di prestazioni di vario tipo, in modo da pareggiare il conto con Lui, è la prostituzione religiosa.

o Ogni uomo, è debitore a Dio di tutto: della vita stessa! Il "giusto" è incapace di accogliere il dono come dono: istintivamente lo

considera un debito da pagare con le buone azioni. Non accettare la condizione di debitori, necessariamente tali, perché incapaci

di rendere quanto ci è dato, è il vero peccato che ci conduce ad una vita fuori dalla gioia e dell'amore, tutti tesi a ripagare e meritare.

o A Dio, al quale tutto dobbiamo, e che tutto si dà per dono, è possibile solo corrispondere con un amore gratuito.

Il cristiano altri non è che colui che accoglie l’amore gratuito che Dio ha nei suoi confronti

È colui che non accampa meriti per giustificarsi, perché sa che è giusto davanti a Dio non per la sua perfezione (che non c’è), ma per l’amore gratuito che Dio ha per lui

La prostituta che ha molto peccato, e alla quale molto è stato perdonato, di fronte all'immenso debito ha la consapevolezza di poter offrire solo la povertà del suo amore.

Quest'amore per Gesù, proprio del peccatore perdonato, è il cristianesimo, la fede cristiana che diventa vita.

o Simone esprime disprezzo nei confronti della donna. È una prostituta: dà il suo amore non gratuitamente; per averlo bisogna

pagarlo o Lui stesso poi, tratta Dio da prostituta:

pensa che Dio non ami gratuitamente; pensa che il suo amore vada meritato e cerca di comprarlo con la sua perfezione religiosa

o In sintesi il brano mette in luce i due atteggiamenti che si contrappongono alla logica gratuita dell’amore di Dio:

la donna, la prostituta: l’amore venduto Simone, “il cliente di Dio”: l’amore comprato

Su tutti Gesù, l’amore donato gratuitamente: il perdono! Riappropriazione Proponiamo una riappropriazione personale, nella quale ogni ragazzo faccia un’analisi di verifica dei propri atteggiamenti nei confronti degli altri; sarà invitato cioè a mettere a fuoco quando, nella sua vita: Compra: faccio le cose, vivo le relazioni per essere apprezzato, stimato, approvato dagli altri? Vende: faccio le cose in base al guadagno che ne ricavo? Dopo “l’esame di coscienza”, proponiamo di leggere la riflessione “Amami come sei”. Provare a scrivere

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o il proprio personale “Amami come sei” scritto da Gesù per te, dove vieni descritto amato nella concretezza del tuo modo di essere

o il proprio “Ti amo come sei”, scritto da te e rivolto alle persone che ti sono care Amami così come sei Conosco la tua miseria, le lotte e le tribolazioni della tua anima, le deficienze e le infermità del tuo corpo; so la tua viltà, i tuoi peccati, e ti dico lo stesso: Dammi il tuo cuore, amami come sei... Se aspetti di essere un angelo per abbandonarti all'amore, non amerai mai. Anche se sei vile nella pratica della virtù e del dovere, se ricadi spesso in quelle colpe che vorresti non commettere più, non ti permetto di non amarmi. Amami come sei. In ogni istante e in qualunque situazione tu sia, nel fervore o nell'aridità, nella fedeltà o nell'infedeltà, amami... come sei... voglio l'amore del tuo povero cuore; se aspetti di essere perfetto, non mi amerai mai. Non potrei forse fare di ogni granello di sabbia un serafino radioso di purezza, di nobiltà e di amore? Non sono io l'Onnipotente? E se mi piace lasciare nel nulla quegli esseri meravigliosi e preferire il povero amore del tuo cuore, non sono io padrone del mio amore? Figlio mio, lascia che ti ami, voglio il tuo cuore. Certo voglio col tempo trasformarti, ma per ora ti amo come sei... e desidero che tu faccia lo stesso; io voglio vedere dai bassifondi della miseria salire l'amore. Amo in te anche la tua debolezza, amo l'amore dei poveri e dei miserabili; voglio che dai cenci salga continuamente un gran grido: Gesù ti amo. Voglio unicamente il canto del tuo cuore, non ho bisogno né della tua scienza, né del tuo talento. Una cosa sola mi importa, di vederti lavorare con amore. Non sono le tue virtù che desidero; se te ne dessi, sei così debole che alimenterebbero il tuo amor proprio; non ti preoccupare di questo. Avrei potuto destinarti a grandi cose; no, sarai il servo inutile; ti prenderò persino il poco che hai... perché ti ho creato soltanto per l'amore. Oggi sto alla porta del tuo cuore come un mendicante, io il Re dei Re! Busso e aspetto; affrettati ad aprirmi. Non allargare la tua miseria; se tu conoscessi perfettamente la tua indigenza, moriresti di dolore. Ciò che mi ferirebbe il cuore sarebbe di vederti dubitare di me e mancare di fiducia. Voglio che tu pensi a me ogni ora del giorno e della notte; voglio che tu faccia anche l'azione più insignificante soltanto per amore. Conto su di te per darmi gioia... Non ti preoccupare di non possedere virtù; ti darò le mie. Quando dovrai soffrire, ti darò la forza. Mi hai dato l'amore, ti darò di poter amare al di là di quanto puoi sognare... Ma ricordati... Amami come sei... Ti ho dato mia Madre: fa passare, fa passare tutto dal suo Cuore così puro. Qualunque cosa accade, non aspettare di essere santo per abbandonarti all'amore, non mi ameresti mai... Va... (Mons. Lebrun)

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Dicono sia vivo! Incontrare il Risorto 2.3.6

OUVERTURE Prima lettera ai Corinzi (15, 1-22) 1 Vi rendo noto, fratelli, il vangelo che vi ho annunziato e che voi avete ricevuto, nel quale restate saldi, 2 e dal quale anche ricevete la salvezza, se lo mantenete in quella forma in cui ve l'ho annunziato. Altrimenti, avreste creduto invano! 3 Vi ho trasmesso dunque, anzitutto, quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, 4 fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, 5 e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. 6 In seguito apparve a più di cinquecento fratelli in una sola volta: la maggior parte di essi vive ancora, mentre alcuni sono morti. 7 Inoltre apparve a Giacomo, e quindi a tutti gli apostoli. 8 Ultimo fra tutti apparve anche a me come a un aborto. 9 Io infatti sono l'infimo degli apostoli, e non sono degno neppure di essere chiamato apostolo, perché ho perseguitato la Chiesa di Dio. 10 Per grazia di Dio però sono quello che sono, e la sua grazia in me non è stata vana; anzi ho faticato più di tutti loro, non io però, ma la grazia di Dio che è con me. 11 Pertanto, sia io che loro, così predichiamo e così avete creduto. 12 Ora, se si predica che Cristo è risuscitato dai morti, come possono dire alcuni tra voi che non esiste risurrezione dei morti? 13 Se non esiste risurrezione dai morti, neanche Cristo è risuscitato! 14 Ma se Cristo non è risuscitato, allora è vana la nostra predicazione ed è vana anche la vostra fede. 15 Noi, poi, risultiamo falsi testimoni di Dio, perché contro Dio abbiamo testimoniato che egli ha risuscitato Cristo, mentre non lo ha risuscitato, se è vero che i morti non risorgono. 16 Se infatti i morti non risorgono, neanche Cristo è risorto; 17 ma se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati. 18 E anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. 19 Se poi noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini. 20 Ora, invece, Cristo è risuscitato dai morti, primizia di coloro che sono morti. 21 Poiché se a causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti; 22 e come tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita in Cristo. Si può smarrire per diversi motivi il senso di vivere o la speranza, perché spesso la vita promette e non mantiene, delude e in ogni caso è segnata dalla morte, oppure se ne constata che lo sforzo di liberazione è costantemente contraddetto dal peccato. Si direbbe che il male riesca ad annullare lo stesso disegno di Dio e vanifichi ogni sforzo di liberazione dell'uomo; in più, veniamo a contatto con una storia dominata da falsi valori e da idolatrie. Comprendere il significato pasquale della croce vuol dire leggere con occhi nuovi e pieni di speranza tutte le esperienze umane che costituiscono, lo si voi glia o no, la trama della nostra vita. Gesù risorto apre l'intera umanità ad una vita nuova, che è vittoria sul peccato e partecipazione alla vita di lui, il Figlio unigenito. Cristo risuscitato è principio e sorgente della nostra risurrezione futura. (Catechismo dei Giovani 2, p. 172)

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INRODUZIONE METODOLOGICA Non è una scheda vera e propria come le altre. È la proposta di una verifica, ma di una verifica non teorica. È una verifica di come questo percorso abbia fatto nascere la voglia di una vita diversa! Dopo la lettura del testo degli Atti degli apostoli, proponiamo la lettura dell’articolo di Messori e poi una “verifica” esistenziale del percorso alla luce delle domande proposte “Se vuoi…” Epilogo: se tu vuoi…non restare a guardare il cielo

L’avventura continua Atti degli apostoli (1, 1-11) 1 Nel mio primo libro ho già trattato, o Teòfilo, di tutto quello che Gesù fece e insegnò dal principio 2 fino al giorno in cui, dopo aver dato istruzioni agli apostoli che si era scelti nello Spirito Santo, egli fu assunto in cielo. 3 Egli si mostrò ad essi vivo, dopo la sua passione, con molte prove, apparendo loro per quaranta giorni e parlando del regno di Dio. 4 Mentre si trovava a tavola con essi, ordinò loro di non allontanarsi da Gerusalemme, ma di attendere che si adempisse la promessa del Padre «quella, disse, che voi avete udito da me: 5 Giovanni ha battezzato con acqua, voi invece sarete battezzati in Spirito Santo, fra non molti giorni». 6 Così venutisi a trovare insieme gli domandarono: «Signore, è questo il tempo in cui ricostituirai il regno di Israele?». 7 Ma egli rispose: «Non spetta a voi conoscere i tempi e i momenti che il Padre ha riservato alla sua scelta, 8 ma avrete forza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi e mi sarete testimoni a Gerusalemme, in tutta la Giudea e la Samaria e fino agli estremi confini della terra». 9 Detto questo, fu elevato in alto sotto i loro occhi e una nube lo sottrasse al loro sguardo. 10 E poiché essi stavano fissando il cielo mentre egli se n'andava, ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero: 11 «Uomini di Galilea, perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che è stato di tra voi assunto fino al cielo, tornerà un giorno allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo». E se fosse vero che quel giorno è risorto? Vittorio Messori - Corriere della Sera 31/03/2002 Se Cristo non è risorto, è vana la vostra fede e anche quelli che sono morti in Cristo sono perduti. Se abbiamo avuto speranza in Lui soltanto in questa vita, noi siamo da compiangere più di tutti gli uomini». Così il celebre memento di Paolo alla comunità di Corinto. Non a caso la Pasqua è al centro del calendario cristiano: tutta la fede è in bilico sul sepolcro di Gerusalemme. L'intero edificio cristiano si affloscerebbe come le torri di Manhattan, se venissero meno le fondamenta, cioè

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la convinzione che da quella tomba, il terzo giorno, il crocifisso è uscito, trasfigurato dalla luce della risurrezione. Il cristianesimo non è uno schema ideologico, indipendente dai fatti concreti. E', invece, l'annuncio di un preciso evento storico: «Quel Gesù finito sulla croce vergognosa degli schiavi, sepolto in una tomba prestatagli per carità, da lì è uscito, avendo vinto la morte e mostrando così di essere il Messia annunciato dai profeti di Israele». Non a caso vangelo significa «notizia», la «notizia buona» per eccellenza: informa, in effetti, che è avvenuto qualcosa che ci riguarda direttamente, perché quel Risorto ci ha aperto la strada alla vita immortale. Da qui la forza, ma anche la vulnerabilità, del cristianesimo: dubitare della verità storica di quel fatto significa congedarsi dalla fede. Se davvero gli storici potessero convincerci che l'evento di Pasqua è soltanto un mito, una leggenda, un'illusione, sarebbe la fine per le Chiese cristiane, checché ne dicano certi teologi attuali, che vorrebbero svincolare la fede dai dati della storia. E checché ne dicano certe «sapienze» new age , interessate al cosmico e allergiche alla cronaca. Questa è la semplice (e, in fondo, drammatica) realtà: se il sepolcro di Giuseppe di Arimatea è restato sigillato o si è vuotato solo perché il cadavere è stato asportato dai discepoli, il vangelo è declassato da Parola di Dio a curiosa testimonianza della letteratura popolare giudeo-ellenistica. Poiché la fede non è una proposta intellettuale da esaminare con asettica oggettività, ma è una realtà che interpella ciascuno nel profondo, occorre parlare, qui, in prima persona. Per quanto costi, qui dire «io» è necessario. Dirò allora che, per me, sarebbe particolarmente ipocrita fingere compassata neutralità. E' da più di trent'anni che - riflettendo sulle ragioni della fede - altro non faccio che investigare proprio sulla verità dell'evento pasquale. Ad esso ho dedicato alcuni grossi libri, ma ogni altra cosa che ho scritto si interrogava, in fondo, sulla possibilità di accettare quel fondamento della fede. Oggi, nella domenica che è la madre di ogni altra domenica, è con emozione particolare che, nel Credo , reciterò con chi mi è accanto il versetto su cui tutto si basa: «... morì e fu sepolto e il terzo giorno è risuscitato, secondo le Scritture». Naturalmente non sono pochi coloro che mi chiedono come possa prendere sul serio un'affermazione del genere un uomo che ha fatto qualche studio, che non ha dato segni visibili di squilibrio mentale, che ha mostrato persino di non essere privo di un normale senso critico. Non mi sorprendo. Anzi, comprendo bene una perplessità che è stata anche la mia. Ancora adesso, non c'è messa in cui, giunti al Credo , non mi interroghi: insomma, ci credo davvero? Ma sì, lo dico chiaro, con l'umiltà di chi sa bene di non averne alcun merito; con il timore di chi sa di «portare tesori in vasi di creta»; con la consapevolezza dolorosa di chi misura la distanza tra la sua fede e la sua vita. Ma sì, oserò dirlo: alla pari di chiunque si dica cristiano, sono convinto che ciò che i vangeli riferiscono coincide con ciò che è avvenuto, che Gesù era davvero morto e che davvero è uscito vivo dal sepolcro, passando poi quaranta giorni con i discepoli prima di ascendere al Cielo. Sono anch'io tra gli stravaganti che condividono una certezza che sembra ormai minoritaria: la Pasqua non commemora un mito, ma ricorda un fatto. Per tentare di motivare una simile convinzione, esistono, lo sanno tutti, enormi biblioteche. Ma come rispondere a chi, brutalmente, volesse costringere a una sintesi estrema? Messo con le spalle al muro, ciascun credente avrebbe le sue risposte. Quanto a me, azzarderei innanzitutto la «prova della vita». All'inizio del vangelo di Giovanni, a chi gli chiede chi sia, Gesù non annuncia un «manifesto» ideologico ma replica, pragmatico: «Venite e vedrete».

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Come può confermare chiunque abbia accettato l'invito, andargli dietro può significare la scoperta di una luce che riverbera significato su ogni circostanza dell'esistenza. Per questo non c'è quotidianità di credente che non sia attraversata, almeno a lampi, dalla gioia di chi intuisce il senso di ciò che altrimenti resta dolorosamente inesplicabile; e dalla gioia di chi scopre di essere amato, perdonato, atteso in un'eternità che - solo che lo si voglia - può essere infinitamente felice. Come il moto si prova, semplicemente, camminando, la verità del vangelo la si constata, altrettanto semplicemente, vivendolo: la profondità insondabile di un insegnamento espresso con parole tanto elementari non ha verifica migliore di quella della vita. E' a questa «prova» esistenziale che faceva riferimento Paolo constatando: «Io so in Chi ho creduto». Sempre su questo piano di concretezza, non ho dimenticato quanto mi disse una volta il cardinal Ratzinger: «Non c'è argomento apologetico più efficace della santità e dell'arte: la bellezza delle anime e la bellezza delle cose che la fede ha plasmato, senza interruzioni, da ormai venti secoli. Sta lì, mi creda, la forza misteriosa del Risorto». Ma a queste che, pascalianamente, chiamerei «ragioni del cuore», aggiungerei, com'è ovvio, quelle «ragioni della ragione» sulle quali ho appuntato soprattutto la ricerca. Come ridurre all'osso le infinite argomentazioni che, pagina dopo pagina, ho cercato di accumulare? Potrei ricordare che la storicità sostanziale dei testi del Nuovo Testamento sta riemergendo alla grande, anche grazie a nuove scoperte archeologiche, dopo due secoli di critica distruttiva. Anacronistico, oggi, è un Alfred Loisy, per il quale nulla nel vangelo era «vero» tranne le sue note, più che un Giuseppe Ricciotti, l'abate biblista che scrisse una «vita di Gesù» per dimostrare come quei testi reggano al martello dell'incredulità. Potrei, come in un poliziesco anglosassone, passare in rassegna tutte le possibili risposte alla domanda: «Se escludiamo l'ipotesi dei credenti, che cos'altro può essere successo, a Gerusalemme, quel 9 di aprile del 793 dalla fondazione di Roma, l'anno 30 secondo il calendario cristiano?». Potrei farlo, arrivando alla conclusione imprevista che, alla fine, la cosa più ragionevole potrebbe essere l'accettazione di un mistero che travalica la ragione, pur senza contraddirla. Potrei ricordare che, a differenza di ogni altro fondatore di religione, «Gesù, dall'inizio della storia, è annunciato o adorato»: l'anomalia del cristianesimo è, infatti, l'essere l'accettazione di un Messia fondata sul preannuncio di quello stesso Messia. L'albero cristiano non poggia sul vuoto, ma ha le sue profonde radici nell'antico Israele. Potrei mostrare come le stesse traversie che marchiano la storia della Chiesa possano, paradossalmente, mostrare in filigrana la presenza e l'assistenza dello spirito del Risorto. Potrei spingermi persino a vagliare la straordinaria riserva di miracoloso che da sempre accompagna la marcia della fede nella storia e che solo il pregiudizio può rifiutare a priori. Questo potrei fare. E questo, del resto, da sempre ho cercato di fare. Senza, peraltro, illudermi di convincere tutti. Quale che sia la quantità e la qualità delle ragioni messe in campo, sempre il credente cozzerà contro l'incredulità. Un motivo per dubitare della forza delle argomentazioni della fede? Al contrario, un motivo di conferma: tutti, a Gerusalemme, hanno visto il Crocifisso, ma solo i discepoli hanno visto il Risorto. La tutela della libertà dell'uomo è affidata al chiaroscuro in cui Gesù ha avvolto la sua Pasqua, concedendo (per dirla con il solito Pascal) «abbastanza luce per credere», ma lasciando «abbastanza ombra per potere dubitare». Il bagliore di oggi può illuminare la strada, ma soltanto per chi sia disponibile a farsene guidare. Cuore del vangelo non è un autoritario «tu devi». Bensì, un affettuoso «se tu vuoi»

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Se tu vuoi:

o Da duemila anni una speranza , quella di Gesù, abita la storia: quale speranza nuova abita la tua vita alla luce del percorso vissuto quest’anno?

o La proposta cristiana: senti che fa per te? o Cosa ha fatto maturare il cammino “Il tuo volto io cerco”?

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Celebrazione Il tuo volto, Signore, io cerco

«Non è forse Cristo il segreto della vera libertà e della gioia profonda del cuore? Non è Cristo l’amico supremo e insieme l’educatore di ogni autentica amicizia? Se ai giovani Cristo è presentato col suo vero volto, essi lo sentono come una risposta convincente e sono capaci di accoglierne il messaggio, anche se esigente e segnato dalla Croce». (Giovanni Paolo II) P = presidente; 1G-2G-3G = guide 1L-2L-3L = lettori T = tutti 1G. Per essere maggiormente consapevoli di stare alla presenza del Signore, ci raccogliamo, allontanando dalla mente ciò che ci distrae, chiudiamo gli occhi, restiamo in silenzio, regoliamo il nostro respiro… Nel nome del Padre… P. Invochiamo ora lo Spirito Santo, affinché ci conceda di aprirci e abbandonarci alla profondità del mistero di Cristo, alla contemplazione del suo Volto Santo e Glorioso: «saremo simili a Lui perché lo vedremo così come Egli è » (1Gv 3, 2). Canto: Spirito di Dio Durante il canto di invocazione dello Spirito Santo viene accesa una lampada e posto accanto un Vangelo e un foglio con la scritta: «Lampada ai miei passi è la tua Parola». Preghiamo P. Insegnaci, Signore, a cercarti e mostrati quando ti cerchiamo. Non possiamo cercarti se tu non ce lo insegni, né trovarti se non ti mostri. Che ognuno di noi ti cerchi desiderandoti e ti desideri cercandoti; che ti trovi amandoti e ti ami trovandoti.

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Primo momento

Il volto cercato Dal Libro dell’Esodo (33, 18-23) P. Mosè disse al Signore Dio: «Mostrami la tua Gloria!». Rispose: «Farò passare davanti a te tutto il mio splendore e proclamerò il mio nome: Signore, davanti a te. Farò grazia a chi vorrò far grazia e avrò misericordia di chi vorrò aver misericordia». Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun uomo può vedermi e restare vivo». Aggiunse il Signore: «Ecco un luogo vicino a me. Tu starai sopra la rupe: quando passerà la mia Gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la mano finché sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non lo si può vedere». Dal Salmo 27 1L. Il Signore è mia luce e mia salvezza, di chi avrò paura? * Il Signore è difesa della mia vita, di chi avrò timore? 2L. Quando mi assalgono i malvagi per straziarmi la carne, * sono essi, avversari e nemici, a inciampare e cadere. 1L. Se contro di me si accampa un esercito, il mio cuore non teme; * se contro di me divampa la battaglia, anche allora ho fiducia. 2L. Una cosa ho chiesto al Signore, questa sola io cerco: * abitare nella casa del Signore tutti i giorni della mia vita, * per gustare la dolcezza del Signore ed ammirare il suo santuario. 1L. Egli mi offre un luogo di rifugio nel giorno della sventura. * Mi nasconde nel segreto della sua dimora, mi solleva sulla rupe. 2L. E ora rialzo la testa sui nemici che mi circondano; * immolerò nella sua casa sacrifici d’esultanza, inni di gioia canterò al Signore. 1L. Ascolta, Signore, la mia voce. * Io grido: abbi pietà di me! Rispondimi. Di te ha detto il mio cuore: «Cercate il suo volto»; * il tuo volto, Signore, io cerco. 2L. Non nascondermi il tuo volto, non respingere con ira il tuo servo. * Sei tu il mio aiuto, non lasciarmi, non abbandonarmi, Dio della mia salvezza. 1L. Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, * ma il Signore mi ha raccolto. Mostrami, Signore, la tua via, * guidami sul retto cammino, a causa dei miei nemici. 2L. Non espormi alla brama dei miei avversari; * contro di me sono insorti falsi testimoni che spirano violenza. 1L. Sono certo di contemplare la bontà del Signore * nella terra dei viventi. Spera nel Signore, sii forte, * si rinfranchi il tuo cuore e spera nel Signore.

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Un giovane scopre il dipinto di Gesù 1G Cristo apre gli occhi e cerca il tuo volto per fissarti, amarti… Momento di preghiera silenziosa Ti cerco Signore tutte quelle volte che... Preghiera responsoriale 1G Preghiamo assieme e diciamo: Ti preghiamo, o Signore. – Volgi lo sguardo al nostro cuore poiché nelle tue mani è la nostra vita. – Alimenta in noi il desiderio di cercare la tua presenza divina e salvifica. – Dacci occhi di fede, un cuore ricco di speranza che trovi in te rifugio e attinga da te la forza. – Aiutaci a comprendere la nuova aurora che sorge dalla luce del tuo Volto Santo e Glorioso.

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Secondo momento

Il volto trovato Canto Dal Cantico dei cantici (5, 2-6, 3) 2G Io dormo, ma il mio cuore veglia. Un rumore! È il mio diletto che bussa: «Aprimi, sorella mia, mia amica, mia colomba, perfetta mia; perché il mio capo è bagnato di rugiada, i miei riccioli di gocce notturne». «Mi sono tolta la veste; come indossarla ancora? Mi sono lavata i piedi; come ancora sporcarli?». Il mio diletto ha messo la mano nello spiraglio e un fremito mi ha sconvolta. Mi sono alzata per aprire al mio diletto e le mie mani stillavano mirra, fluiva mirra dalle mie dita sulla maniglia del chiavistello. Ho aperto allora al mio diletto, ma il mio diletto già se n’era andato, era scomparso. Io venni meno, per la sua scomparsa. L’ho cercato, ma non l’ho trovato, l’ho chiamato, ma non m’ha risposto. Mi han trovato le guardie che perlustrano la città; mi han percosso, mi hanno ferito, mi han tolto il mantello le guardie delle mura. Io vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, se trovate il mio diletto, che cosa gli racconterete? Che sono malata d’amore! T Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, o tu, la più bella fra le donne? Che ha il tuo diletto di diverso da un altro, perché così ci scongiuri? 2G Il mio diletto è bianco e vermiglio, riconoscibile fra mille e mille. Il suo capo è oro, oro puro, i suoi riccioli grappoli di palma, neri come il corvo. I suoi occhi, come colombe su ruscelli di acqua; i suoi denti bagnati nel latte, posti in un castone. Le sue guance, come aiuole di balsamo, aiuole di erbe profumate; le sue labbra sono gigli, che stillano fluida mirra. Le sue mani sono anelli d’oro, incastonati di gemme di Tarsis. Il suo petto è tutto d’avorio, tempestato di zaffiri. Le sue gambe, colonne di alabastro, posate su basi d’oro puro. Il suo aspetto è quello del Libano, magnifico come i cedri. Dolcezza è il suo palato; egli è tutto delizie! Questo è il mio diletto, questo è il mio amico, o figlie di Gerusalemme. T Dov’è andato il tuo diletto, o bella fra le donne? Dove si è recato il tuo diletto, perché noi lo possiamo cercare con te? 2G Il mio diletto era sceso nel suo giardino fra le aiuole del balsamo a pascolare il gregge nei giardini e a cogliere gigli. Io sono per il mio diletto e il mio diletto è per me. Un giovane porta una pianta di fiori ai piedi dell’immagine di Gesù.

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Dal Vangelo di Giovanni (1, 35-39) P Il giorno dopo Giovanni stava ancora là con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, vedendo che lo seguivano, disse: «Che cercate?». Gli risposero: «Rabbì (che significa maestro), dove abiti?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove abitava e quel giorno si fermarono presso di lui; erano circa le quattro del pomeriggio. 1G L’incontro: Gesù ci invita a stare presso di Lui. Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa Canto: Jesus Christ you are my life Preghiera responsoriale 1G Preghiamo assieme e diciamo: Ti ringraziamo, o Signore. – Per tutte le volte che con il tuo sguardo misericordioso spezzi i nostri peccati e ci rendi nuovi in Te e liberi all’amore. – Per quando, come Francesco, ci inondi della dolce tua presenza e ti degni di visitare la nostra anima ricolmandola del tuo amore divino. – Perché ci hai rivelato il mistero del tuo essere vero Dio e vero Uomo e ci riveli il Volto del Padre. – Perché ogni uomo, nonostante il peccato, può rivelarci il tuo volto.

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Terzo momento

Il volto umano Canto Dalla Lettera agli Ebrei (4, 14-16) 3 G 14 Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato i cieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. 15 Infatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infermità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso il peccato. Vengono lette alcune frasi tratte dai brani di Vangelo che hanno accompagnato gli incontri sull’umanità di Gesù; ogni frase è accompagnata da un breve commento e da un segno posto sull’altare. “Troverete un bambino avvolto in fasce e deposto in una mangiatoia” OGGETTO: un fiocco azzurro COMMENTO: Il fiocco azzurro è segno di una vita che nasce, un’attesa carica di aspettative e grandi progetti. “e veniva portato dallo Spirito nel deserto e tentato per quaranta giorni dal diavolo” OGGETTO: un vaso di terra secca COMMENTO: la terra secca rappresenta i nostri deserti, momenti in cui a causa di errori o scelte sbagliate ci troviamo soli e assetati; quindi più vulnerabili. “Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli” OGGETTO: un regalo, una bottiglia di vino COMMENTO: il vino e un dono sono segni di amicizia e di festa. “Gesù scoppiò in pianto” OGGETTO: foto COMMENTO: la foto rappresenta il ricordo di un dolore, di una perdita difficile da accettare e da capire. “Perché mi cercavate? Non sapevate che è necessario che io sia nelle cose di mio Padre” OGGETTO: atlante stradale COMMENTO: l’atlante è segno della volontà di ciascuno di cercare e seguire la propria strada. Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa

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Momento personale Viene consegnato ad ogni ragazzo il cartoncino dove, nella parte bianca, vengono annotati alcuni aspetti del proprio essere in cui si riscopre un po’ dell’umanità di Gesù. Anche lui come noi è stato atteso, ha gioito, sofferto e ha cercato la propria strada. Alcuni spunti per la riflessione personale: o Ripensando agli ultimi incontri di gruppo, quali sono le caratteristiche di Gesù che ritrovo

anche nel mio vissuto? o Questo Gesù mi risulta così estraneo come spesso si tende a pensare o alla fine posso

considerarlo come una persona che magari in tempi e modi diversi ha vissuto le mie stesse emozioni, difficoltà, esperienze, ecc?

o Guardandomi allo specchio forse qualcosa di me non mi piace molto…posso trovare in Gesù un esempio ed uno spunto per migliorarmi e crescere?

I ragazzi, terminato questo momento personale, consegnano all’animatore il proprio cartoncino dove sono state scritte le proprie riflessioni; l’animatore unirà i cartoncini dal lato opposto (precedentemente numerati!!), in modo tale da far emergere l’immagine del volto di Gesù. Con questo segno deve emergere come nelle nostre umanità ritroviamo un po’ di Gesù (anche materialmente si può notare questo passaggio: ogni cartoncino è solo una parte dell’immagine di Gesù!). Solo facendo comunità, facendo chiesa è possibile scoprirne la totalità. Preghiera da recitare insieme terminato il puzzle: Sei tu l’immagine di Dio, opera originale, unica, irripetibile! Creato diverso dagli altri. Pezzo unico, firmato, col Suo marchio impresso sul tuo volto. Immagine d'arte, vivente, pronto a ricevere e donare amore. Lo specchio sei tu, il Volto che si intravede è il Suo, se noi non lo offuschiamo. Il suo amore ci ha posti nel mondo, per mostrare a tutti il Suo volto accogliente. Ricevere e donare, accogliere e mostrare agli altri la Sua immagine: questo il nostro compito. Il tuo volto, la tua storia, volto che racconta di te: gli anni trascorsi, l’amore ricevuto… i volti cari, delle persone che sempre ti accompagnano, volti che esprimono vita e dono.

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Quarto momento

Il volto di Gesu, nel volto di ogni uomo Dal Vangelo di Matteo (25, 31-40) P Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me. Un giovane porta un grembiule ai piedi di Gesù. Dagli scritti di Santa Chiara 3L E poiché questa visione di lui è splendore dell’eterna gloria, chiarore della luce perenne e specchio senza macchia, ogni giorno porta l’anima tua, o regina, sposa di Gesù Cristo, in questo specchio e scruta in esso continuamente il tuo volto, perché tu possa così adornarti tutta all’interno e all’esterno, vestita e circondata di varietà, e sii parimenti adorna con i fiori e sposa carissima del sommo Re. In questo specchio, poi rifulgono la beata povertà, la santa umiltà e l’ineffabile carità; e questo tu potrai contemplare, con la grazia di Dio, diffuso su tutta la superficie dello specchio. Mira, in alto, la povertà di Colui che fu deposto nel presepe e avvolto in poveri pannicelli. O mirabile umiltà e povertà che dà stupore! II Re degli angeli, il Signore del cielo e della terra, è adagiato in una mangiatoia! Vedi poi, al centro dello specchio, la santa umiltà, e insieme ancora la beata povertà, le fatiche e pene senza numero ch’Egli sostenne per la redenzione del genere umano. E, in basso, contempla l’ineffabile carità per la quale volle patire sul legno della croce e su di essa morire della morte più infamante. Perciò è lo stesso specchio che, dall’alto del legno della croce, rivolge ai passanti la sua voce perché si fermino a meditare: o voi tutti, che sulla strada passate, fermatevi a vedere se esiste un dolore simile al mio; e rispondiamo, dico a Lui che chiama e geme, ad una voce e con un solo cuore: non mi abbandonerà mai il ricordo di te e si struggerà in me l’anima mia.

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1G Dio può tutto ma sceglie di servirsi delle tue mani per lavorare nel mondo. Cristo cammina sulle strade di oggi a fianco dei suoi discepoli e si manifesta attraverso di loro agli uomini. Breve riflessione seguita da un momento di preghiera silenziosa Preghiera responsoriale 1G Preghiamo assieme e diciamo:

Perdonaci, o Signore. – Per avere tante volte considerato l’uomo, fatto a tua immagine e somiglianza, solo nel suo aspetto di utilità, di bellezza, di capacità. – Per non esserci chinati verso chi giace in necessità fisiche e spirituali, per non aver riconosciuto il tuo volto nei nostri fratelli sofferenti ed emarginati. – Donaci il coraggio di andare tra i “lebbrosi” del nostro tempo e di usare con essi misericordia affinché ogni uomo possa avere la gioia di sentirsi amato. Conclusione Viene consegnato ad ogni ragazzo uno specchietto, con dietro attaccata una preghiera Suggeriamo questa: Dove sei? Dove sei? Non vedo il Tuo volto. Eppure ci sei. I Tuoi raggi rimbalzano in mille direzioni. Sei la Presenza nascosta. Tu mi penetri, mi avvolgi, mi ami. Fa' di me una viva trasparenza del Tuo essere e del Tuo amore. (Ignacio Larranaga)

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Il parroco o chi guida la veglia augura a ciascuno di saper trovare sempre tempo per guardarsi dentro e alla luce della parola di Dio saper ritrovare o scoprire in noi un po’ dell’umanità di Gesù. Padre nostro Preghiamo O santissimo Padre nostro, si faccia luminosa in noi la conoscenza di te, affinché possiamo conoscere l’ampiezza dei tuoi benefici, l’estensione delle tue promesse, la sublimità della tua maestà e la profondità dei tuoi giudizi, perché tu regni in noi per mezzo della grazia e ci faccia giungere nel tuo regno, ove la visione di te è senza veli, l’amore di te è perfetto, la comunione di te è beata, il godimento di te senza fine. Per Cristo nostro Signore. Benedizione

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INDICE

Il tuo volto io cerco venite e vedrete! Incontrare gesu’,

diventare dei suoi! 2.3

Pag.

o Introduzione 05 Scheda 1: Un tipo così 2.3.1 08

A. Nascita e infanzia 12 B. Tentazioni 14 C. I sentimenti 16 D. La vocazione 18

Scheda 2: Con un suo segreto 2.3.2 20

A. Un padre che ti vuole…te stesso! 23 B. Un padre che da tutto…a tutti! 30 C. Un padre che ha sempre fiducia 36

Scheda 3: Con le sue idee: il senso della vita 2.3.3 41

A. Gratis, ma senza sconti 43 B. Cercare l’essenziale 48 C. Fidarsi di chi? 54

Scheda 4: Con un suo stile: in concreto 2.3.4 61

A. Senza tanti giri di parole 63 B. La forza della non-violenza 66 C. L’isola dei “vergognosi” 69

Scheda 5: Mi ha cambiato la vita: incontri con Gesù 2.3.5 72

A. Bartimeo: vedere la luce 74 B. Zaccheo: La fede che si apre alla solidarietà 80 C. La peccatrice perdonata: ti amo come sei 87

Scheda 6: Dicono sia vivo! Incontrare il risorto 2.3.6 92

o Epilogo: non restare a guardare il cielo 93 Celebrazione 97 I film indicati li potrete trovare, con la forma del prestito gratuito, presso il Centro di Pastorale Giovanile a Settimo di Pescantina (Vr) o presso la Domus Pacis a Legnago (Vr)

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Appunti:

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