inserto "nè con lo stato borghese, nè con le brigate rosse" - marzo 2011

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I supplemento al numero 3 - Anno III - marzo 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org Quattro (o cinque o sei, il nu- mero non conta) ragazzi di provincia inviano una busta con due proiettili alla Presi- dente della Regione, bruciano un paio di centraline elettri- che e imbrattano dei muri con scritte “eversive”. Pio- vono dal cielo le “forze spe- ciali” e la televisione (tutte le televisioni) rimbombano la minaccia del “ritorno agli anni di piombo”; anni (3, 4 decenni in verità) nei quali, secondo politici, politologi e giornalisti d’avanspettacolo l’Italia avrebbe vissuto nel terrore di attentati terroristici “rossi” (o rosso-neri se anarchici). Nell’articolo a fianco abbiamo chiarito l’estraneità, anzi l’in- compatibilità tra qualsiasi or- ganizzazione sedicente rivo- luzionaria pensata su azioni paramilitari individualistiche e l’universo del pensiero filo- sofico, scientifico e morale del comunismo. Vogliamo qui dedicare alcune brevi consi- derazioni all’uso scientifico, politicamente criminale, che viene fatto di false evocazioni emotive per creare invece emozioni reali; del parlare cioè di un “antico” terrore ine- sistente per indurne invece uno attuale e reale. Utilizze- remo dei numeri ribadendo che i dati che citeremo, come sempre, hanno fonti sicure e comunque sono verificabili da parte di chiunque lo voglia. Utilizzeremo dei numeri, in qualche modo violando un principio al quale vorremmo sempre attenerci, quello delle “ragioni” che danno “qualità” alle “quantità”, per cercare di dare con maggiore immedia- tezza il senso delle propor- zioni, ovvero delle “spropor- zioni”. Con “anni di piombo” in Italia ci si riferisce all’ora- mai circa quarantennio che va dalla prima comparsa delle Brigate Rosse torinesi e geno- vesi agli ultimi allarmi della ridicola (il termine non si rife- risce e non vuole assoluta- mente offendere i ragazzi coinvolti) cellula eversiva spo- letina. Le vittime imputabili a questo quarantennio di vio- lenza sono state circa 85 (ri- petiamo: ne sarebbe bastata una per qualificare ignobile quel fatto, anzi quel reato, ma un numero ha pur sempre un significato). Nello stesso qua- rantennio le vittime imputate alle azioni paramilitari del- l’ETA basca sono state circa 850, tra le quali lo stesso primo ministro spagnolo Car- rero Blanco. Ancora nello stesso periodo di quaranta anni le vittime della guerra in- dipendentista dell’IRA irlan- dese sono state circa 3.500 delle quali, precisano gli stessi irredentisti, 700 non combattenti. Tra le vittime “eccellenti”: il vice re dell’In- dia lord Louis Moutbatten e, salva, la primo ministro That- cher. Recentemente il Mini- stero dell’Interno italiano ha pubblicato una riclassifica- zione degli omicidi in Italia per il quindicennio 1992- 2006; complessivamente alla mafia siciliana, alla ndran- gheta calabrese, alla sacra co- rona pugliese e alla camorra campana sono stati attribuiti ben 3.000 omicidi. Se il dato viene rielaborato per l’intero quarantennio considerato nei casi precedenti appare assai verosimile la cifra di 10.000 morti diffusa da Saviano in al- cune interviste televisive. Inu- tile citarne le vittime così dette “illustri” (tutte le vittime sono illustri se ovviamente non sono della stessa “fami- glia”) dalla magistratura, alle forze dell’ordine, alla politica e alla stampa “buone”, a tanti cittadini “onesti” laici e reli- giosi. Una guerra civile, tre volte più violenta dell’irreden- tismo irlandese e dieci volte più sanguinaria di quello basco, più di 100 volte il ter- rorismo così detto rosso. Per- ché allora solo l’evocazione degli anni di piombo genera (si vuole che generi) terrore, mentre il termine mafia fini- sce non raramente a coniu- garsi con quello di “uomo d’onore”? Perché basta una sola stella a cinque punte ma- lamente schizzata su di un muro di Torino per demoniz- zare un’intera classe lavora- trice e piegare, o almeno provare a piegarla alle vo- lontà del padrone dei mezzi di produzione. Con la mafia si tratta, ai lavoratori si impone. Anni di piombo, cellule eversive, anarco-insurrezionalisti e altre pericolose imbecillità Il tema “terrorismo” è quanto mai “delicato” (ma d’altronde non lo sono stati meno diversi dei temi già trattati e che sa- ranno trattati in futuro negli inserti di questo giornale). Affrontarlo richiede pertanto una premessa ideologica, po- litica, culturale e morale estre- mamente chiara. Le due citazioni a fianco del simbolo della BR dovrebbero da sole già dare sufficiente conto di quanto l’idea stessa del terro- rismo sia estranea al pensiero comunista. Varrà di aggiun- gere che non è con Lenin, prima, e con Mao, poi, che il partito comunista (inteso come unico soggetto politico mondiale) ha sancito la sua di- stanza da ogni forma di insur- rezionalismo elitario, margi- nale e/o emarginato, escluso ed estraneo dalla lotta di classe che è il vero motore del processo che conduce alla realizzazione della società co- munista. La prima lezione in tal senso la troviamo già in Marx ed Engels, nella loro se- verissima critica alle teorie in- surrezionali mazziniane e di quella nutrita schiera di ideo- logi borghesi che nella metà dell’ottocento progettavano, attraverso velleitarie iniziative di ribellioni assolutamente minoritarie e singole azioni “bombarole” regicide, la co- struzione di una Europa re- pubblicana che avrebbe sancito (parole testuali di Marx) l’avvento di una Europa democratica con l’ “imbecillità decretata in permanenza”. L’esaurimento della spinta ri- voluzionaria del 1948 aveva aperto alla analisi dei mecca- nismi di funzionamento del nuovo sistema capitalista. E’ nel decennio seguente, nel così detto “decennio fe- condo”, che Marx ed Engels elaborano la teoria del capi- tale, ne analizzano e svelano i meccanismi di formazione e di conservazione, di presa e di gestione del potere dapprima economico e poi politico. Emerge e si definisce il con- cetto di classe, ovvero delle classi sociali create dal nuovo sistema di economia capitali- sta che stabilisce un nuovo rapporto di dominio del- l’uomo sull’uomo, basato non più sul privilegio della nascita e sulla forza delle armi, ma sulla proprietà dei mezzi di produzione. E’ sulla lotta di classe che si svolgerà la futura storia dell’umanità e l’espe- rienza del primo governo po- polare della Comune di Parigi del 1870 (profondamente av- versata da Mazzini) ne costi- tuirà la prima testimonianza; ma sarà anche la prova della immaturità di un progetto ri- voluzionario vincente e, dun- que, durissima sarà la posizione dei fondatori del comunismo scientifico av- verso il così detto “terrorismo democratico italiano” ispirato da Mazzini nella totale indif- ferenza delle classi popolari che, fallimento insurrezionale dopo fallimento, ne subiranno le conseguenze devastanti. Mazzini era un terrorista, spinto sino alla organizza- zione di attentati bombaroli regicidi, i comunisti ne hanno da subito denunciato la imbe- cillità e la pericolosità. Marx ed Engels combatterono tutta la vita contro questa conce- zione soggettivistica della po- litica, contro questa con- cezione settaria. Essi opera- rono per una rivoluzione so- ciale che avesse per prota- gonista non una minoranza che incute “terrore”, ma la classe del proletariato, la massa degli sfruttati. Scriveva Marx già nel 1851: “Ritengo che la politica di Mazzini sia fondamentalmente sbaglia- ta. Col suo insistere affinché l’Italia si metta ora in movi- mento, egli fa il gioco dell’Au- stria. D’altra parte trascura di rivolgersi a quella parte dell’Italia che è oppressa da secoli, ai contadini, e in tal modo prepara nuove riserve alla controrivoluzione. Il si- gnor Mazzini conosce sol- tanto le città con la loro nobiltà liberale e i loro cito- yen éclairés (cittadini illumi- nati). Naturalmente i bisogni materiali delle popolazioni agricole italiane dissanguate e sistematicamente snervate e incretinite come quelle ir- landesi sono troppo al di sotto del firmamento retorico dei suoi manifesti cosmopoli- tico – neocattolico – ideologici ... Per il rimanente la rivolu- zione italiana supera di gran lunga quella tedesca per la povertà di idee e l’abbon- danza di parole”. Comunismo contro terrorismo Marx contro Mazzini I Comunisti non debbono mai tagliarsi fuori dalla maggioranza del popolo e, dimenticandosi di essa, andare alla ventura capeggiando qualche minoranza avanzata; ma staranno sempre attenti a stabilire stretti legami tra gli elementi avanzati e la grande massa del popolo. Questo vuol dire pensare alla maggioranza. Noi Comunisti siamo come il seme e il popolo è come la terra. Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo, radicarci e fiorire in mezzo al popolo. MAO Gettare la sola avanguardia nella battaglia decisiva prima che tutta la classe, prima che le grandi masse abbiano preso una posizione o un appoggio diretto allavanguardia, non sarebbe soltanto una sciocchezza, ma anche un delitto. Affinché effettivamente le grandi masse dei lavoratori e degli oppressi dal capitale giungano a prendere tale posizione, la sola propaganda, la sola agitazione non basta. Per questo è necessaria lesperienza politica delle masse stesse. LENIN Nè con lo Stato borghese Nè con lo Stato borghese Nè con le Brigate Rosse Nè con le Brigate Rosse

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Mensile d'informazione politica e cultura dell'Associazione comunista "Luciana Fittaioli" con sede a Foligno (PG)

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Page 1: Inserto "Nè con lo Stato borghese, nè con le Brigate Rosse" - Marzo 2011

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supplemento al numero 3 - Anno III - marzo 2011 di Piazza del Grano - www.piazzadelgrano.org

Quattro (o cinque o sei, il nu-mero non conta) ragazzi diprovincia inviano una bustacon due proiettili alla Presi-dente della Regione, brucianoun paio di centraline elettri-che e imbrattano dei muricon scritte “eversive”. Pio-vono dal cielo le “forze spe-ciali” e la televisione (tutte letelevisioni) rimbombano laminaccia del “ritorno agli annidi piombo”; anni (3, 4 decenniin verità) nei quali, secondopolitici, politologi e giornalistid’avanspettacolo l’Italiaavrebbe vissuto nel terrore diattentati terroristici “rossi” (orosso-neri se anarchici). Nell’articolo a fianco abbiamochiarito l’estraneità, anzi l’in-compatibilità tra qualsiasi or-ganizzazione sedicente rivo-luzionaria pensata su azioniparamilitari individualistichee l’universo del pensiero filo-sofico, scientifico e moraledel comunismo. Vogliamo quidedicare alcune brevi consi-derazioni all’uso scientifico,politicamente criminale, cheviene fatto di false evocazioniemotive per creare inveceemozioni reali; del parlarecioè di un “antico” terrore ine-sistente per indurne inveceuno attuale e reale. Utilizze-remo dei numeri ribadendoche i dati che citeremo, comesempre, hanno fonti sicure ecomunque sono verificabilida parte di chiunque lo voglia.Utilizzeremo dei numeri, inqualche modo violando un

principio al quale vorremmosempre attenerci, quello delle“ragioni” che danno “qualità”alle “quantità”, per cercare didare con maggiore immedia-tezza il senso delle propor-zioni, ovvero delle “spropor-zioni”. Con “anni di piombo”in Italia ci si riferisce all’ora-mai circa quarantennio che vadalla prima comparsa delleBrigate Rosse torinesi e geno-vesi agli ultimi allarmi dellaridicola (il termine non si rife-risce e non vuole assoluta-mente offendere i ragazzicoinvolti) cellula eversiva spo-letina. Le vittime imputabili aquesto quarantennio di vio-lenza sono state circa 85 (ri-petiamo: ne sarebbe bastatauna per qualificare ignobilequel fatto, anzi quel reato, maun numero ha pur sempre unsignificato). Nello stesso qua-rantennio le vittime imputatealle azioni paramilitari del-l’ETA basca sono state circa850, tra le quali lo stessoprimo ministro spagnolo Car-rero Blanco. Ancora nellostesso periodo di quarantaanni le vittime della guerra in-dipendentista dell’IRA irlan-dese sono state circa 3.500delle quali, precisano glistessi irredentisti, 700 noncombattenti. Tra le vittime“eccellenti”: il vice re dell’In-dia lord Louis Moutbatten e,salva, la primo ministro That-cher. Recentemente il Mini-stero dell’Interno italiano hapubblicato una riclassifica-

zione degli omicidi in Italiaper il quindicennio 1992-2006; complessivamente allamafia siciliana, alla ndran-gheta calabrese, alla sacra co-rona pugliese e alla camorracampana sono stati attribuitiben 3.000 omicidi. Se il datoviene rielaborato per l’interoquarantennio considerato neicasi precedenti appare assaiverosimile la cifra di 10.000morti diffusa da Saviano in al-cune interviste televisive. Inu-tile citarne le vittime cosìdette “illustri” (tutte le vittimesono illustri se ovviamentenon sono della stessa “fami-glia”) dalla magistratura, alleforze dell’ordine, alla politicae alla stampa “buone”, a tanticittadini “onesti” laici e reli-giosi. Una guerra civile, trevolte più violenta dell’irreden-tismo irlandese e dieci voltepiù sanguinaria di quellobasco, più di 100 volte il ter-rorismo così detto rosso. Per-ché allora solo l’evocazionedegli anni di piombo genera(si vuole che generi) terrore,mentre il termine mafia fini-sce non raramente a coniu-garsi con quello di “uomod’onore”? Perché basta unasola stella a cinque punte ma-lamente schizzata su di unmuro di Torino per demoniz-zare un’intera classe lavora-trice e piegare, o almenoprovare a piegarla alle vo-lontà del padrone dei mezzidi produzione. Con la mafia sitratta, ai lavoratori si impone.

Anni di piombo, cellule eversive,anarco-insurrezionalisti e altrepericolose imbecillità

Il tema “terrorismo” è quantomai “delicato” (ma d’altrondenon lo sono stati meno diversidei temi già trattati e che sa-ranno trattati in futuro negliinserti di questo giornale). Affrontarlo richiede pertantouna premessa ideologica, po-litica, culturale e morale estre-mamente chiara. Le duecitazioni a fianco del simbolodella BR dovrebbero da solegià dare sufficiente conto diquanto l’idea stessa del terro-rismo sia estranea al pensierocomunista. Varrà di aggiun-gere che non è con Lenin,prima, e con Mao, poi, che ilpartito comunista (intesocome unico soggetto politicomondiale) ha sancito la sua di-stanza da ogni forma di insur-rezionalismo elitario, margi-nale e/o emarginato, esclusoed estraneo dalla lotta diclasse che è il vero motore delprocesso che conduce allarealizzazione della società co-munista. La prima lezione intal senso la troviamo già inMarx ed Engels, nella loro se-verissima critica alle teorie in-surrezionali mazziniane e diquella nutrita schiera di ideo-logi borghesi che nella metàdell’ottocento progettavano,attraverso velleitarie iniziativedi ribellioni assolutamenteminoritarie e singole azioni“bombarole” regicide, la co-struzione di una Europa re-pubblicana che avrebbesancito (parole testuali diMarx) l’avvento di una Europademocratica con l’ “imbecillitàdecretata in permanenza”.

L’esaurimento della spinta ri-voluzionaria del 1948 avevaaperto alla analisi dei mecca-nismi di funzionamento delnuovo sistema capitalista. E’nel decennio seguente, nelcosì detto “decennio fe-condo”, che Marx ed Engelselaborano la teoria del capi-tale, ne analizzano e svelano imeccanismi di formazione edi conservazione, di presa e digestione del potere dapprimaeconomico e poi politico.Emerge e si definisce il con-cetto di classe, ovvero delleclassi sociali create dal nuovosistema di economia capitali-sta che stabilisce un nuovorapporto di dominio del-l’uomo sull’uomo, basato nonpiù sul privilegio della nascitae sulla forza delle armi, masulla proprietà dei mezzi diproduzione. E’ sulla lotta diclasse che si svolgerà la futurastoria dell’umanità e l’espe-rienza del primo governo po-polare della Comune di Parigidel 1870 (profondamente av-versata da Mazzini) ne costi-tuirà la prima testimonianza;ma sarà anche la prova dellaimmaturità di un progetto ri-voluzionario vincente e, dun-que, durissima sarà laposizione dei fondatori delcomunismo scientifico av-verso il così detto “terrorismodemocratico italiano” ispiratoda Mazzini nella totale indif-ferenza delle classi popolariche, fallimento insurrezionaledopo fallimento, ne subirannole conseguenze devastanti.Mazzini era un terrorista,

spinto sino alla organizza-zione di attentati bombaroliregicidi, i comunisti ne hannoda subito denunciato la imbe-cillità e la pericolosità. Marxed Engels combatterono tuttala vita contro questa conce-zione soggettivistica della po-litica, contro questa con-cezione settaria. Essi opera-rono per una rivoluzione so-ciale che avesse per prota-gonista non una minoranzache incute “terrore”, ma laclasse del proletariato, lamassa degli sfruttati. ScrivevaMarx già nel 1851: “Ritengoche la politica di Mazzini siafondamentalmente sbaglia-ta. Col suo insistere affinchél’Italia si metta ora in movi-mento, egli fa il gioco dell’Au-stria. D’altra parte trascuradi rivolgersi a quella partedell’Italia che è oppressa dasecoli, ai contadini, e in talmodo prepara nuove riservealla controrivoluzione. Il si-gnor Mazzini conosce sol-tanto le città con la loronobiltà liberale e i loro cito-yen éclairés (cittadini illumi-nati). Naturalmente i bisognimateriali delle popolazioniagricole italiane dissanguatee sistematicamente snervatee incretinite come quelle ir-landesi sono troppo al disotto del firmamento retoricodei suoi manifesti cosmopoli-tico – neocattolico – ideologici... Per il rimanente la rivolu-zione italiana supera di granlunga quella tedesca per lapovertà di idee e l’abbon-danza di parole”.

Comunismo contro terrorismoMarx contro Mazzini

I Comunisti non debbono mai tagliarsi fuoridalla maggioranza del popolo e,

dimenticandosi di essa, andare alla venturacapeggiando qualche minoranza avanzata;ma staranno sempre attenti a stabilire stretti

legami tra gli elementi avanzati ela grande massa del popolo.

Questo vuol dire pensare alla maggioranza.Noi Comunisti siamo come il seme e

il popolo è come la terra.Dovunque andiamo, dobbiamo unirci al popolo,

radicarci e fiorire in mezzo al popolo.MAO

Gettare la sola avanguardia nella battagliadecisiva prima che tutta la classe, prima che

le grandi masse abbiano presouna posizione o un appoggio diretto

allavanguardia, non sarebbe soltanto unasciocchezza, ma anche un delitto.

Affinché effettivamente le grandi massedei lavoratori e degli oppressi dal capitale

giungano a prendere tale posizione, la solapropaganda, la sola agitazione non basta.

Per questo è necessaria lesperienzapolitica delle masse stesse.

LENIN

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II III

“La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ri-dere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. Auna bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse presoa danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, inpreda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che stri-deva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato,era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumoredi un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo. La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitra-gliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suonoliquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti esmarriti. Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana”

Il 1º maggio 1947, nell'imme-diato dopoguerra, si tornava afesteggiare la festa dei lavora-tori, spostata al 21 aprile du-rante il regime fascista. Circaduemila lavoratori della zonadi Piana degli Albanesi, in pre-valenza contadini, si riunirononella vallata di Portella dellaGinestra per manifestare con-tro il latifondismo, a favoredell'occupazione delle terre in-colte, e per festeggiare la vitto-ria del Blocco del Popolo nellerecenti elezioni per l'Assem-blea Regionale Siciliana, svolte-si il 20 aprile di quell'anno enelle quali la coalizione PSI -PCI aveva conquistato 29 rap-presentanti (con il 29% circadei voti) contro i soli 21 dellaDC (crollata al 20% circa). Sullagente in festa partirono dallecolline circostanti numeroseraffiche di mitra che lasciarono

sul terreno, secondo le fontiufficiali, 11 morti (9 adulti e 2bambini) e 27 feriti, di cui alcu-ni morirono in seguito per leferite riportate. La CGIL pro-clamò lo sciopero generale, ac-cusando i latifondisti sicilianidi voler “soffocare nel sanguele organizzazioni dei lavorato-ri”. Solo quattro mesi dopo siseppe che a sparare material-mente erano stati gli uominidel bandito separatista Salva-tore Giuliano, colonnello delE.V.I.S.. Il rapporto dei carabi-nieri sulla strage faceva chiara-mente riferimento a "elementireazionari in combutta con imafiosi locali". Nel 1949 Giulia-no scrisse una lettera ai giorna-li, in cui affermava lo scopo po-litico della strage. Questa tesifu smentita dall'allora ministrodegli Interni Mario Scelba. Nel1950, il bandito Giuliano fu as-

sassinato dal suo luogotenenteGaspare Pisciotta, il quale morìavvelenato in carcere quattroanni più tardi, dopo aver affer-mato di voler rivelare i nomidei mandanti della strage. At-tualmente vi sono forti dubbisul fatto che Pisciotta fossel'autore dell'omicidio. Sul mo-vente dell'eccidio furono for-mulate alcune ipotesi già all'in-domani della tragedia. Il 2maggio 1947 il ministro Scelbaintervenne all'Assemblea Co-stituente, affermando che die-tro all'episodio non vi era alcu-na finalità politica o terroristi-ca, ma che doveva essere con-siderato un fatto circoscritto eidentificò in Salvatore Giulianoe nella sua banda gli unici re-sponsabili. Il processo del1951, dapprima istruito a Pa-lermo, poi spostato a Viterboper legittima suspicione, si

concluse con la conferma diquesta tesi, con il riconosci-mento della colpevolezza diSalvatore Giuliano (morto il 5luglio 1950, ufficialmente permano del capitano Antonio Pe-renze) e con la condanna all'er-gastolo di Gaspare Pisciotta edi altri componenti la banda.Pisciotta durante il processo,oltre ad attribuirsi l'assassiniodi Giuliano, lanciò pesanti ac-cuse sui presunti mandanti po-litici della strage: “Coloro checi avevano fatto le promesse sichiamavano così: L'onorevoledeputato democristiano on.Bernardo Mattarella, l'onorevo-le deputato regionale GiacomoCusumano Geloso, il principeGiovanni Alliata di Montereale,l'onorevole monarchico Tom-maso Leone Marchesano e an-che il signor Scelba… FuronoMarchesano, il principe Alliata,

l'onorevole Mattarella a ordina-re la strage di Portella… Dopole elezioni del 18 aprile 1948,Giuliano mi ha mandato a chia-mare e ci siamo incontrati conMattarella e Cusumano; l'in-contro tra noi e i due mandantiè avvenuto in contrada Parrini,dove Giuliano ha chiesto che lepromesse fatte prima del 18aprile fossero mantenute. I duetornarono allora da Roma e cihanno fatto sapere che Scelbanon era d'accordo con loro, cheegli non voleva avere contatticon i banditi.” Una tesi più re-cente attribuisce invece la stra-ge a una coincidenza di inte-ressi tra i post-fascisti che du-rante la guerra avevano com-battuto nella Xª Flottiglia MASdi Junio Valerio Borghese, i ser-vizi segreti USA (preoccupatidell'avanzata comunista in Ita-lia) e i latifondisti siciliani.

Attacco di via Rasella ed eccidio delleFosse Ardeatine: un atto di guerra e unareazione di terrorismo

Guerre “asimmetriche” e terrorismo

7 luglio 1960, Strage di Reggio Emilia

da un articolo di Sergio Ro-

mano pubblicato sul Corriere

della sera del 5 febbraio 2009

“Come lei sa, la definizione diterrorismo è un difficile eserci-zio a cui sono stati dedicati stu-di importanti e dibattiti intermi-nabili, soprattutto alle NazioniUnite. Personalmente uso quel-la che mette l'accento sulla clan-destinità dell'organizzazione, lasegretezza e l'imprevedibilitàdell'attentato e, come nel casodel terrorismo religioso, l'usodella vita dell'attentatore comearma suprema. Nella guerra deimissili contro i territori israelia-ni queste caratteristiche non so-no presenti. Le milizie di Hamasnon sono una organizzazionesegreta e ne hanno dato la pro-va, tra l'altro, combattendo con-tro le forze armate israelianedurante le scorse settimane. Sispostano rapidamente dopo illancio del missile e cercano di

sfuggire alla rappresaglia. Maquesto è uno stile di combatti-mento comune a tutti i corpispeciali (arditi, commando, in-cursionisti, raiders, Seals) creatidalle forze armate di molti Statinel corso del Novecento. Qual-cuno potrebbe osservare, tutta-via, che i missili colpiscono cen-tri abitati e sono diretti controla popolazione civile. È vero. Mal'uso della popolazione civilecome obiettivo militare non èuna novità introdotta dai movi-menti dell'islamismo radicale. Ilfenomeno comincia con i primibombardamenti della Grandeguerra. Assume proporzionimaggiori durante la guerra ci-no-giapponese e la guerra civilespagnola. Diventa una compo-nente fondamentale della stra-tegia dei Paesi combattenti du-rante la Seconda guerra mon-diale. I bombardamenti tede-schi di Coventry, le V1 e le V2

lanciate su Londra, le bombeamericane su Milano e Romanel 1943, i bombardamenti an-glo-americani di Dresda e diAmburgo, le bombe atomichelanciate dagli Stati Uniti su Hiro-shima e Nagasaki, non si propo-nevano la distruzione di unobiettivo militare. Il loro bersa-glio era il «morale», vale a direquel valore intangibile da cui di-pende in ultima analisi la capa-cità di combattere e di resistere.Si colpiscono i civili, in altre pa-role, per piegare la loro volontào, meglio ancora, aizzarli con-tro il loro governo. Se usiamoquesto criterio, tra l'assedioisraeliano di Gaza e i missili diHamas contro Sderot e altrecittà esistono meno differenzedi quanto non appaia a primavista. Lo scopo, in ambedue i ca-si, è quello di attaccare il «fron-te interno» del nemico e crearealle sue spalle un diffuso senti-

Il 23 marzo 1944 in via Rasella aRoma alcuni partigiani deiGruppi di Azione Patriottica(GAP) attaccarono un repartodelle truppe di occupazione te-desche. Tale azione si svolsenell'ambito della lotta di libera-zione nazionale condotta con-tro il nazifascismo. L'attacco fusferrato contro un reparto dipolizia militare tedesca incorpo-rato nel comando delle SS. Seguìl'efferata rappresaglia consu-mata alle Fosse Ardeatine conl’eccidio di 335 civili italiani.L'attacco di via Rasella e l'ecci-dio delle fosse Ardeatine, sonodue degli episodi più drammati-ci e sanguinosi dell'occupazionetedesca di Roma. Con l'armisti-zio dell'8 settembre 1943 e lafuga del re e del governo, Romadivenne teatro di una battagliacontro i tedeschi nel corso dellaquale caddero 1.167 militari eoltre 120 civili italiani. Pesantiperdite soffrirono anche ai tede-schi, che però si impadronironoin breve della capitale. Romapassò nominalmente sotto il go-verno della Repubblica SocialeItaliana, ma di fatto era nellemani delle autorità militari tede-sche. I tedeschi, consapevoli delvalore politico di Roma, con lapresenza del Vaticano, tentaro-no di far fruttare propagandisti-camente la dichiarazione di"città aperta" emessa da gover-no Badoglio, mantenendo all'in-terno della cerchia cittadina re-parti di polizia militare SS-Poli-zei, nonché truppe di comandoe servizi. Lo sbarco di Anziocambiò il quadro tattico e il 22gennaio 1944, l'intera provinciadi Roma fu dichiarata "zona dioperazioni" e capo della Gesta-po di Roma, gestore dell'ordinepubblico, divenne l'ufficiale del-le SS Herbert Kappler. Kapplerpianificò frequenti rastrella-menti, arrestò numerosi sospet-ti antifascisti, organizzò in ViaTasso un centro di detenzione etortura, creò nella città un climadi terrore, più volte violando leextraterritorialità vaticane in cuiavevano trovato ospitalità centi-naia di esponenti dell'antifasci-

smo ed ebrei. Nonostante ciò iGAP, formati per la maggiorparte da partigiani del partitocomunista, attaccarono i tede-schi numerose volte continuan-do la guerra parallela e coordi-nata con lo sforzo alleato. Toccòquindi a Giorgio Amendola, rap-presentante del Partito Comuni-sta Italiano presso la giunta mi-litare del Comitato di Liberazio-ne Nazionale (CLN), organizzarel'azione partigiana. La datadell’attacco, il 23 marzo 1944,fu scelta non casualmente perfarla coincidere con il XXV anni-

versario della fondazione deiFasci Italiani di Combattimento,e avrebbe dovuto svolgersi condue azioni contemporanee: unattacco al teatro Adriano inPiazza Cavour dove i fascistiavevano programmato la com-memorazione dell’anniversarioe uno contro una formazionemilitare tedesca. Il primo attac-co venne annullato perché i te-deschi non consentirono la ma-nifestazione fascista e l’azionedei GAP si concentro sull’attac-co al reparto di polizia delle SSdenominato SS Polizei RegimentBozen, composto da 156 uomi-ni altoatesini/sudtirolesi arruo-lati nella polizia in seguito all'oc-cupazione tedesca dopo il 1º ot-tobre 1943 delle province diBolzano, Trento e Belluno, fon-damentalmente impiegati nellaguerra anti-partigiana, nella cac-

cia agli ebrei, agli antifascisti, airenitenti alla leva militare e dellavoro, ecc.; alla fine della guerramolti di loro furono processati econdannati da tribunali militariAlleati per aver compiuto crimi-ni di guerra. Numerosi partigia-ni partecipato all'azione che sisvolse dapprima con l’esplosio-ne di un ordigno collocato all’in-terno di un carrettino della net-tezza urbana e, quindi, con pi-stole e bombe a mano contro isuperstiti dell’esplosione. L’a-zione venne diretta da FrancoCalamandrei (detto Cola) e Car-

lo Salinari (detto Spartaco), adinnescare l’esplosivo fu RosarioBencivenga (detto Paolo). Nel-l'immediatezza dell'attacco ri-masero uccisi 32 militari tede-schi e 110 rimasero feriti, oltre a2 vittime civili. Dei feriti, unomorì poco dopo il ricovero,mentre era in corso la prepara-zione della rappresaglia, che fudunque calcolata in base a 33vittime germaniche. Nei giorniseguenti morirono altri 9 milita-ri feriti portando così a 42 il to-tale. Immediatamente dopo lacessazione dei combattimentiin via Rasella, i superstiti del SSPolizei Bozen iniziarono a ra-strellare la popolazione dellazona circostante, arrestandoabitanti e passanti, raccoglien-doli nel cortile del vicino Palaz-zo Barberini e quindi trasferen-doli direttamente alle Fosse Ar-

Il processo che doveva far luce sulla morte di Giusep-

pe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferrovie-

re ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità del-

la sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la

possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva cele-

brare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i

meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva

indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener,

vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione. Og-

gi come ieri - quando denunciammo apertamente

l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida[9],

e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della

Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo

Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fi-

ducia in una giustizia che non è più tale quando non

può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per

questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la

quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile,

noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza - che non ha minor le-

gittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari

torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici inde-

gni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di

coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di

riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della

legge, dello Stato, dei cittadini

13 giugno 1971 Seguono 757 firme

prima della “caduta”, era an-cora vivo ma morì durante iltrasporto all’ospedale. Solopochi anni di indagini giudi-ziarie e nel 1975 i responsabi-li della morte di Pinelli venne-ro tutti assolti: “mentre erasotto interrogatorio nellastanza del Commissario Cala-bresi, Pinelli, vistosi perduto,al grido ‘l’anarchia è morta’ sidivincolò dalla stretta degliagenti e si lanciò dalla finestracasualmente aperta”. Pinelliera innocente e questo è undato accertato indiscutibil-mente, così come lo erano tut-ti i suoi compagni anarchicilungamente perseguitati, de-tenuti e pestati anche se, for-tunatamente, almeno loro ri-masti vivi. Per denunziarequesta vergogna e questa gra-vissima offesa alla legalità ealla dignità dello Stato demo-cratico 757 politici, sindacali-sti, intellettuali, artisti e lavo-ratori d’ogni mestiere e pro-fessione firmarono già nel1971 la denuncia pubblica so-pra trascritta. Non servì so-stanzialmente a nulla, le stra-gi continuarono e continuaro-no i depistaggi, le confusioni,in una parola il “terrore”; sinoal livello politicamente piùelevato, sino alla strage di viaFani e all’esecuzione di AldoMoro. Tre anni dopo l’uccisio-ne di Giuseppe Pinelli un com-mando, che la giustizia ha ac-certato essere stato ispiratoda alcuni dirigenti storici diLotta Continua, anche se glistessi hanno sempre negato,uccise il Commissario LuigiCalabresi. Dell’assassinio diGiuseppe Pinelli s’è completa-mente persa la memoria, diquello del Commissario Cala-bresi ancora ripetutamente sene parla con toni da martirio,sino alla proposta, lungamen-te coltivata da alcune frangecattoliche, della sua beatifica-zione. Ora è assolutamentefuori discussione che nessunopuò arrogarsi il diritto di di-sporre della vita altrui, chiun-que sia questo “altrui” e qual-siasi cosa abbia commesso odi qualsiasi più tremenda in-famia si sia macchiato. Per icomunisti, che non credono inuna seconda vita, che non cre-dono che ci sia un essere im-maginario che può dare e to-gliere la vita a suo piacimento,

la vita è il bene più grande cheun essere umano può posse-dere, è il bene per eccellenza,nessuno dunque ne può di-sporre se non il suo proprieta-rio. Chi ha ucciso il Commis-sario Calabresi, chiun que es-so sia ed è forte il dubbio chesiano realmente stati gli attua-li condannati, merita comun-que il massimo del dissenso.Tuttavia non può essere di-menticato che il CommissarioLuigi Calabresi era il respon-sabile, l’autore, forse materia-le certamente solidale, dell’o-micidio di un cittadino italia-no affidato alle sue funzionidi tutore della incolumitàpubblica, e non rileva neppureprecisare che lo stesso fossemanifestamente innocente;Giuseppe Pinelli era un citta-dino nelle mani dello Stato elo Stato lo ha ucciso e poi hacoperto le proprie responsabi-lità abusando del proprio po-tere. In uno Stato diverso, inuno Stato di giustizia e lega-lità il Commissario Luigi Cala-bresi sarebbe stato condanna-to a una lunga, lunghissimadetenzione per avere ucciso,con l’aggravante massima del-le sue specifiche funzioni, uncittadino italiano, un essereumano. Con l’invito a volercomprendere correttamente itermini che ora verranno usa-ti, deve essere affermato che“è sicuramente grave se unmafioso uccide un magistrato,ma è enormemente più gravese è un magistrato a uccide unmafioso”, perché in questo ca-so si mettono in discussionele fondamenta stesse delloStato di diritto e si mina nonsolo la fiducia, ma lo stesso ri-spetto dei cittadini verso leproprie istituzioni. E anchequesto, anzi forse soprattuttola perdita di fiducia nelle isti-tuzioni è “terrore” e indurla è“terrorismo”.

Giuseppe Pinelliferroviere anarchico innocente,ucciso nei locali della questuradi Milano

deatine, assieme a un altro con-sistente numero di prigionieriforniti dal direttore delle carceridi Roma (poi linciato dalla po-polazione durante il processo alquestore di Roma). Il massacrodei rastrellati e dei prigionierivenne qualificato dalle truppe dioccupazione naziste come attodi “rappresaglia” calcolata conla percentuale di 10 civili perogni militare ucciso. Difenden-dosi dall’accusa dell’eccidioKappler affermò di avere dira-mato un comunicato con il qua-le aveva intimato ai responsabilidell’attacco di consegnarsi perevitare il massacro dei civili,avendo dato un termine di 24ore. Di questo avviso non è maistata data prova mentre è certoe provato che il massacro delleFosse Ardeatine venne compiu-to esattamente 21 ore dopo l’at-tacco di via Rasella, di nascostoe con la tecnica dell’occulta-mento immediato delle vittimeche vennero sepolte collettiva-mente con l’esplosione dellevolte della cava di tufo. La fero-cia del massacro delle Fosse Ar-deatine, una volta scoperto, hagiustificato nel tempo numero-si tentativi di addossare ai par-tigiani la responsabilità di un“legittimo atto di reazione” daparte delle truppe di occupazio-ne naziste, cercando di de-qua-lificare l’azione partigiana comeatto di terrorismo. La Cassazio-ne si è numerose volte espressasul punto sempre affermandola natura dell’attacco di via Ra-sella come atto di lotta partigia-na “considerata dalla legislazio-ne italiana quale legittima atti-vità di guerra” (Sentenza n.3053 del 19 luglio 1957, le Se-zioni Unite civili della Corte diCassazione). I GAP romani era-no dunque combattenti di unaguerra di liberazione “asimme-trica” contro truppe di occupa-zione straniere sostenute daitraditori fascisti e agevolate dal-la vigliacca fuga del re e dellasua corte. La rappresaglia delletruppe di occupazione nazisteera indubbiamente un atto diterrorismo.

mento di rabbia e paura. Gliisraeliani assediavano Gaza nel-la speranza di spingere il suopopolo alla rivolta. Hamas bom-bardava Sderot nella speranzadi provocare Israele. E ha rag-giunto il suo obiettivo. Aggiun-go un'altra considerazione.Quella di Israele contro Hamasè una guerra doppiamenteasimmetrica. È tale, anzitutto,perché i due combattenti hannoarsenali totalmente diversi e ilpiccolo non può permettersi digiocare la parte con le regole re-se possibili da armi di cui nondispone. Ed è asimmetrica, insecondo luogo, perché Israelenon riconosce all'organizzazio-ne palestinese lo statuto dicombattente legittimo. Quandoè considerato brigante il nemicotende inevitabilmente a com-portarsi come tale. Ma non è ne-cessariamente un terrorista.”

Il 12 dicembre 1969 una bom-ba scoppia nei locali dellaBanca dell’Agricoltura in Piaz-za Fontana a Milano causandola morte di 17 persone e il fe-rimento di altre 88. Poco dopouna seconda bomba inesplosaverrà rinvenuta nella sede del-la Banca Commerciale in Piaz-za della Scala sempre a Mila-no, mentre una terza esplo-derà invece a Roma nel sotter-raneo della Banca Nazionaledel Lavoro di via Veneto fe-rendo 13 persone, una quartasempre a Roma esploderà da-vanti all’Altare della Patria euna quinta all’ingresso delMuseo del Risorgimento inPiazza Venezia a Roma feren-do quattro persone. E’ l’iniziodella “strategia della tensio-ne” che in pochi anni collezio-nerà ben 144 attentati, alcunicon conseguenze enormi co-me la strage del 2 agosto 1980alla Stazione di Bologna checausò la morte di 85 personee il ferimento di oltre 200. So-no le “stragi di Stato”, quelleche non hanno mai avuto col-pevoli, ma che avevano unpreciso obiettivo che, almenoin parte, hanno realizzato, fer-mare la crescita democraticadel nostro Paese, la spinta ri-voluzionaria del ’68, la cresci-ta del Partito Comunista e delsuo sindacato operaio; forseanche preparare un colpo diStato fascista con la conniven-za di una “certa” presidenzadella Repubblica e l’avvallo e ilsostegno se non la vera e pro-pria istigazione degli StatiUniti, colpo di Stato abortitonel grottesco tentativo di Ju-nio Valerio Borghese dell’8 di-cembre 1970. Per la strage diPiazza Fontana tuttavia non vifurono dubbi per la questuradi Milano: i colpevoli erano glianarchici, uno in particolareche il Commissario Luigi Cala-bresi a capo dell’Ufficio Politi-co ben conosceva personal-mente: il ferroviere GiuseppePinelli. Pinelli venne arrestatoe portato alla Questura di Mi-lano con altri anarchici il gior-no successivo alla strage, il 13dicembre 1969. Alle ore 24 diquella stessa notte il suo co-pro cadde giù dal quarto pia-no schiantandosi sul selciatodel cortile; all’arrivo dell’am-bulanza, che risultò esserestata chiamata alcuni minuti

L'Fbi definisce il terrorismo come “atti violenti... miranti a intimidireo a coartare la popolazione civile, a influenzare la politica di un go-verno, o a interferire nella condotta di un governo”.Chi è il “terrorista”, chi invade o chi resiste?

La strage fu l'apice di un perio-do di alta tensione in tutta l'I-talia, in cui avvennero scontricon la polizia. I fatti scatenantifurono la formazione del go-verno Tambroni, monocoloredemocristiano con il determi-nante appoggio esterno delMSI, e l'avallo della scelta diGenova (città "partigiana", giàmedaglia d'oro della Resisten-za) come sede del congressodel partito missino. Le reazionid'indignazione furono molte-plici e la tensione in tutto ilpaese provocò una grande mo-bilitazione popolare. L'alloraPresidente del Consiglio, Fer-nando Tambroni, diede libertàdi aprire il fuoco in "situazionidi emergenza" ed alla fine diquelle settimane drammatichesi contarono undici morti e

centinaia di feriti. Questedrammatiche conseguenzeavrebbero costretto alle dimis-sioni il governo Tambroni. Lasera del 6 luglio la CGIL reggia-na proclamò lo sciopero citta-dino di protesta contro le vio-lenze dei giorni precedenti. Laprefettura proibì gli assembra-menti nei luoghi pubblici econcesse unicamente i 600 po-sti della Sala Verdi per lo svol-gimento del comizio. L'indo-mani il corteo di protesta eracomposto da circa 20.000 ma-nifestanti. Un gruppo di circa300 operai delle Officine Mec-caniche Reggiane decise quin-di di raccogliersi davanti almonumento ai Caduti, cantan-do canzoni di protesta. Alle16.45 del pomeriggio una cari-ca di un reparto di 350 poli-

ziotti, al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico,investì la manifestazione paci-fica. Anche i carabinieri, al co-mando del tenente colonnelloGiudici, partecipano alla cari-ca. Incalzati dalle camionette,dai getti d'acqua e dai lacrimo-geni, i manifestanti cercaronorifugio nel vicino isolato SanRocco, per poi barricarsi lette-ralmente dietro ogni sorta dioggetto trovato, seggiole, assidi legno, tavoli dei bar e ri-spondendo alle cariche conlancio di oggetti. Respinte dal-la disperata resistenza dei ma-nifestanti, le forze dell'ordineimpugnarono le armi da fuocoe cominciarono a sparare. Sulselciato della piazza caddero:Lauro Farioli (1938), operaio di22 anni, orfano di padre, spo-

sato e padre di un bambino;Ovidio Franchi (1941), operaiodi 19 anni, il più giovane deicaduti; Marino Serri (1919), pa-store di 41 anni, partigianodella 76a, primo di sei fratelli;Afro Tondelli (1924), operaiodi 36 anni, partigiano della 76aSAP, è il quinto di otto fratelli;Emilio Reverberi (1921), ope-raio di 39 anni, partigiano nel-la 144a Brigata Garibaldi eracommissario politico nel di-staccamento "G. Amendola".Furono sparati 182 colpi di mi-tra , 14 di moschetto e 39 di pi-stola , una guardia di PS di-chiarò di aver perduto 7 colpidi pistola. Sedici furono i feriti"ufficiali", ovvero quelli portatiin ospedale perché ritenuti inpericolo di vita, ma molti altripreferirono curarsi "clandesti-

namente", allo scopo di nonfarsi identificare. I fatti furonocantati in una celebre canzonedi Fausto Amodei, dal titoloPer i morti di Reggio Emilia e,più recentemente, alla base delromanzo di Paolo Nori del2006 Noi la farem vendetta. Inseguito ai fatti di Reggio Emiliain data 29 novembre 1962 laSezione Istruttoria della Corted'appello di Bologna rinviava aGiudizio il vicequestore GiulioCafari Panico per omicidio col-poso plurimo e l'agente Orlan-do Celani per omicidio. Il di-battimento venne celebratoavanti la Corte d'Assise di Mi-lano e non a Reggio Emilia; Ilvice-questore fu assolto conformula piena, per non avercommesso il fatto, mentre l'a-gente venne assolto con for-mula dubitativa.

Page 3: Inserto "Nè con lo Stato borghese, nè con le Brigate Rosse" - Marzo 2011

II III

“La vecchia credeva che fossero mortaretti e cominciò a battere le mani festosa. Rideva. Per una frazione di secondo continuò a ri-dere, allegra, dentro di sé, ma il suo sorriso si era già rattrappito in un ghigno di terrore. Un mulo cadde con il ventre all'aria. Auna bambina, all’improvviso, la piccola mascella si arrossò di sangue. La polvere si levava a spruzzi come se il vento avesse presoa danzare. C'era gente che cadeva, in silenzio, e non si alzava più. Altri scappavano urlando, come impazziti. E scappavano, inpreda al terrore, i cavalli, travolgendo uomini, donne, bambini. Poi si udì qualcosa che fischiava contro i massi. Qualcosa che stri-deva e fischiava. E ancora quel rumore di mortaretti. Un bambino cadde colpito alla spalla. Una donna, con il petto squarciato,era finita esanime sulla carcassa della sua cavalla sventrata. Il corpo di un uomo, dalla testa maciullata cadde al suolo con il rumoredi un sacco pieno di stracci. E poi quell'odore di polvere da sparo. La carneficina durò in tutto un paio di minuti. Alla fine la mitra-gliatrice tacque e un silenzio carico di paura piombò sulla piccola vallata. In lontananza il fiume Jato riprese a far udire il suo suonoliquido e leggero. E le due alture gialle di ginestre, la Pizzuta e la Cumeta, apparvero tra la polvere come angeli custodi silenti esmarriti. Era il l° maggio 1947 e a Portella della Ginestra si era appena compiuta la prima strage dell'Italia repubblicana”

Il 1º maggio 1947, nell'imme-diato dopoguerra, si tornava afesteggiare la festa dei lavora-tori, spostata al 21 aprile du-rante il regime fascista. Circaduemila lavoratori della zonadi Piana degli Albanesi, in pre-valenza contadini, si riunirononella vallata di Portella dellaGinestra per manifestare con-tro il latifondismo, a favoredell'occupazione delle terre in-colte, e per festeggiare la vitto-ria del Blocco del Popolo nellerecenti elezioni per l'Assem-blea Regionale Siciliana, svolte-si il 20 aprile di quell'anno enelle quali la coalizione PSI -PCI aveva conquistato 29 rap-presentanti (con il 29% circadei voti) contro i soli 21 dellaDC (crollata al 20% circa). Sullagente in festa partirono dallecolline circostanti numeroseraffiche di mitra che lasciarono

sul terreno, secondo le fontiufficiali, 11 morti (9 adulti e 2bambini) e 27 feriti, di cui alcu-ni morirono in seguito per leferite riportate. La CGIL pro-clamò lo sciopero generale, ac-cusando i latifondisti sicilianidi voler “soffocare nel sanguele organizzazioni dei lavorato-ri”. Solo quattro mesi dopo siseppe che a sparare material-mente erano stati gli uominidel bandito separatista Salva-tore Giuliano, colonnello delE.V.I.S.. Il rapporto dei carabi-nieri sulla strage faceva chiara-mente riferimento a "elementireazionari in combutta con imafiosi locali". Nel 1949 Giulia-no scrisse una lettera ai giorna-li, in cui affermava lo scopo po-litico della strage. Questa tesifu smentita dall'allora ministrodegli Interni Mario Scelba. Nel1950, il bandito Giuliano fu as-

sassinato dal suo luogotenenteGaspare Pisciotta, il quale morìavvelenato in carcere quattroanni più tardi, dopo aver affer-mato di voler rivelare i nomidei mandanti della strage. At-tualmente vi sono forti dubbisul fatto che Pisciotta fossel'autore dell'omicidio. Sul mo-vente dell'eccidio furono for-mulate alcune ipotesi già all'in-domani della tragedia. Il 2maggio 1947 il ministro Scelbaintervenne all'Assemblea Co-stituente, affermando che die-tro all'episodio non vi era alcu-na finalità politica o terroristi-ca, ma che doveva essere con-siderato un fatto circoscritto eidentificò in Salvatore Giulianoe nella sua banda gli unici re-sponsabili. Il processo del1951, dapprima istruito a Pa-lermo, poi spostato a Viterboper legittima suspicione, si

concluse con la conferma diquesta tesi, con il riconosci-mento della colpevolezza diSalvatore Giuliano (morto il 5luglio 1950, ufficialmente permano del capitano Antonio Pe-renze) e con la condanna all'er-gastolo di Gaspare Pisciotta edi altri componenti la banda.Pisciotta durante il processo,oltre ad attribuirsi l'assassiniodi Giuliano, lanciò pesanti ac-cuse sui presunti mandanti po-litici della strage: “Coloro checi avevano fatto le promesse sichiamavano così: L'onorevoledeputato democristiano on.Bernardo Mattarella, l'onorevo-le deputato regionale GiacomoCusumano Geloso, il principeGiovanni Alliata di Montereale,l'onorevole monarchico Tom-maso Leone Marchesano e an-che il signor Scelba… FuronoMarchesano, il principe Alliata,

l'onorevole Mattarella a ordina-re la strage di Portella… Dopole elezioni del 18 aprile 1948,Giuliano mi ha mandato a chia-mare e ci siamo incontrati conMattarella e Cusumano; l'in-contro tra noi e i due mandantiè avvenuto in contrada Parrini,dove Giuliano ha chiesto che lepromesse fatte prima del 18aprile fossero mantenute. I duetornarono allora da Roma e cihanno fatto sapere che Scelbanon era d'accordo con loro, cheegli non voleva avere contatticon i banditi.” Una tesi più re-cente attribuisce invece la stra-ge a una coincidenza di inte-ressi tra i post-fascisti che du-rante la guerra avevano com-battuto nella Xª Flottiglia MASdi Junio Valerio Borghese, i ser-vizi segreti USA (preoccupatidell'avanzata comunista in Ita-lia) e i latifondisti siciliani.

Attacco di via Rasella ed eccidio delleFosse Ardeatine: un atto di guerra e unareazione di terrorismo

Guerre “asimmetriche” e terrorismo

7 luglio 1960, Strage di Reggio Emilia

da un articolo di Sergio Ro-

mano pubblicato sul Corriere

della sera del 5 febbraio 2009

“Come lei sa, la definizione diterrorismo è un difficile eserci-zio a cui sono stati dedicati stu-di importanti e dibattiti intermi-nabili, soprattutto alle NazioniUnite. Personalmente uso quel-la che mette l'accento sulla clan-destinità dell'organizzazione, lasegretezza e l'imprevedibilitàdell'attentato e, come nel casodel terrorismo religioso, l'usodella vita dell'attentatore comearma suprema. Nella guerra deimissili contro i territori israelia-ni queste caratteristiche non so-no presenti. Le milizie di Hamasnon sono una organizzazionesegreta e ne hanno dato la pro-va, tra l'altro, combattendo con-tro le forze armate israelianedurante le scorse settimane. Sispostano rapidamente dopo illancio del missile e cercano di

sfuggire alla rappresaglia. Maquesto è uno stile di combatti-mento comune a tutti i corpispeciali (arditi, commando, in-cursionisti, raiders, Seals) creatidalle forze armate di molti Statinel corso del Novecento. Qual-cuno potrebbe osservare, tutta-via, che i missili colpiscono cen-tri abitati e sono diretti controla popolazione civile. È vero. Mal'uso della popolazione civilecome obiettivo militare non èuna novità introdotta dai movi-menti dell'islamismo radicale. Ilfenomeno comincia con i primibombardamenti della Grandeguerra. Assume proporzionimaggiori durante la guerra ci-no-giapponese e la guerra civilespagnola. Diventa una compo-nente fondamentale della stra-tegia dei Paesi combattenti du-rante la Seconda guerra mon-diale. I bombardamenti tede-schi di Coventry, le V1 e le V2

lanciate su Londra, le bombeamericane su Milano e Romanel 1943, i bombardamenti an-glo-americani di Dresda e diAmburgo, le bombe atomichelanciate dagli Stati Uniti su Hiro-shima e Nagasaki, non si propo-nevano la distruzione di unobiettivo militare. Il loro bersa-glio era il «morale», vale a direquel valore intangibile da cui di-pende in ultima analisi la capa-cità di combattere e di resistere.Si colpiscono i civili, in altre pa-role, per piegare la loro volontào, meglio ancora, aizzarli con-tro il loro governo. Se usiamoquesto criterio, tra l'assedioisraeliano di Gaza e i missili diHamas contro Sderot e altrecittà esistono meno differenzedi quanto non appaia a primavista. Lo scopo, in ambedue i ca-si, è quello di attaccare il «fron-te interno» del nemico e crearealle sue spalle un diffuso senti-

Il 23 marzo 1944 in via Rasella aRoma alcuni partigiani deiGruppi di Azione Patriottica(GAP) attaccarono un repartodelle truppe di occupazione te-desche. Tale azione si svolsenell'ambito della lotta di libera-zione nazionale condotta con-tro il nazifascismo. L'attacco fusferrato contro un reparto dipolizia militare tedesca incorpo-rato nel comando delle SS. Seguìl'efferata rappresaglia consu-mata alle Fosse Ardeatine conl’eccidio di 335 civili italiani.L'attacco di via Rasella e l'ecci-dio delle fosse Ardeatine, sonodue degli episodi più drammati-ci e sanguinosi dell'occupazionetedesca di Roma. Con l'armisti-zio dell'8 settembre 1943 e lafuga del re e del governo, Romadivenne teatro di una battagliacontro i tedeschi nel corso dellaquale caddero 1.167 militari eoltre 120 civili italiani. Pesantiperdite soffrirono anche ai tede-schi, che però si impadronironoin breve della capitale. Romapassò nominalmente sotto il go-verno della Repubblica SocialeItaliana, ma di fatto era nellemani delle autorità militari tede-sche. I tedeschi, consapevoli delvalore politico di Roma, con lapresenza del Vaticano, tentaro-no di far fruttare propagandisti-camente la dichiarazione di"città aperta" emessa da gover-no Badoglio, mantenendo all'in-terno della cerchia cittadina re-parti di polizia militare SS-Poli-zei, nonché truppe di comandoe servizi. Lo sbarco di Anziocambiò il quadro tattico e il 22gennaio 1944, l'intera provinciadi Roma fu dichiarata "zona dioperazioni" e capo della Gesta-po di Roma, gestore dell'ordinepubblico, divenne l'ufficiale del-le SS Herbert Kappler. Kapplerpianificò frequenti rastrella-menti, arrestò numerosi sospet-ti antifascisti, organizzò in ViaTasso un centro di detenzione etortura, creò nella città un climadi terrore, più volte violando leextraterritorialità vaticane in cuiavevano trovato ospitalità centi-naia di esponenti dell'antifasci-

smo ed ebrei. Nonostante ciò iGAP, formati per la maggiorparte da partigiani del partitocomunista, attaccarono i tede-schi numerose volte continuan-do la guerra parallela e coordi-nata con lo sforzo alleato. Toccòquindi a Giorgio Amendola, rap-presentante del Partito Comuni-sta Italiano presso la giunta mi-litare del Comitato di Liberazio-ne Nazionale (CLN), organizzarel'azione partigiana. La datadell’attacco, il 23 marzo 1944,fu scelta non casualmente perfarla coincidere con il XXV anni-

versario della fondazione deiFasci Italiani di Combattimento,e avrebbe dovuto svolgersi condue azioni contemporanee: unattacco al teatro Adriano inPiazza Cavour dove i fascistiavevano programmato la com-memorazione dell’anniversarioe uno contro una formazionemilitare tedesca. Il primo attac-co venne annullato perché i te-deschi non consentirono la ma-nifestazione fascista e l’azionedei GAP si concentro sull’attac-co al reparto di polizia delle SSdenominato SS Polizei RegimentBozen, composto da 156 uomi-ni altoatesini/sudtirolesi arruo-lati nella polizia in seguito all'oc-cupazione tedesca dopo il 1º ot-tobre 1943 delle province diBolzano, Trento e Belluno, fon-damentalmente impiegati nellaguerra anti-partigiana, nella cac-

cia agli ebrei, agli antifascisti, airenitenti alla leva militare e dellavoro, ecc.; alla fine della guerramolti di loro furono processati econdannati da tribunali militariAlleati per aver compiuto crimi-ni di guerra. Numerosi partigia-ni partecipato all'azione che sisvolse dapprima con l’esplosio-ne di un ordigno collocato all’in-terno di un carrettino della net-tezza urbana e, quindi, con pi-stole e bombe a mano contro isuperstiti dell’esplosione. L’a-zione venne diretta da FrancoCalamandrei (detto Cola) e Car-

lo Salinari (detto Spartaco), adinnescare l’esplosivo fu RosarioBencivenga (detto Paolo). Nel-l'immediatezza dell'attacco ri-masero uccisi 32 militari tede-schi e 110 rimasero feriti, oltre a2 vittime civili. Dei feriti, unomorì poco dopo il ricovero,mentre era in corso la prepara-zione della rappresaglia, che fudunque calcolata in base a 33vittime germaniche. Nei giorniseguenti morirono altri 9 milita-ri feriti portando così a 42 il to-tale. Immediatamente dopo lacessazione dei combattimentiin via Rasella, i superstiti del SSPolizei Bozen iniziarono a ra-strellare la popolazione dellazona circostante, arrestandoabitanti e passanti, raccoglien-doli nel cortile del vicino Palaz-zo Barberini e quindi trasferen-doli direttamente alle Fosse Ar-

Il processo che doveva far luce sulla morte di Giusep-

pe Pinelli si è arrestato davanti alla bara del ferrovie-

re ucciso senza colpa. Chi porta la responsabilità del-

la sua fine, Luigi Calabresi, ha trovato nella legge la

possibilità di ricusare il suo giudice. Chi doveva cele-

brare il giudizio, Carlo Biotti, lo ha inquinato con i

meschini calcoli di un carrierismo senile. Chi aveva

indossato la toga del patrocinio legale, Michele Lener,

vi ha nascosto le trame di una odiosa coercizione. Og-

gi come ieri - quando denunciammo apertamente

l'arbitrio calunnioso di un questore, Michele Guida[9],

e l'indegna copertura concessagli dalla Procura della

Repubblica, nelle persone di Giovanni Caizzi e Carlo

Amati - il nostro sdegno è di chi sente spegnersi la fi-

ducia in una giustizia che non è più tale quando non

può riconoscersi in essa la coscienza dei cittadini. Per

questo, per non rinunciare a tale fiducia senza la

quale morrebbe ogni possibilità di convivenza civile,

noi formuliamo a nostra volta un atto di ricusazione.

Una ricusazione di coscienza - che non ha minor le-

gittimità di quella di diritto - rivolta ai commissari

torturatori, ai magistrati persecutori, ai giudici inde-

gni. Noi chiediamo l'allontanamento dai loro uffici di

coloro che abbiamo nominato, in quanto ricusiamo di

riconoscere in loro qualsiasi rappresentanza della

legge, dello Stato, dei cittadini

13 giugno 1971 Seguono 757 firme

prima della “caduta”, era an-cora vivo ma morì durante iltrasporto all’ospedale. Solopochi anni di indagini giudi-ziarie e nel 1975 i responsabi-li della morte di Pinelli venne-ro tutti assolti: “mentre erasotto interrogatorio nellastanza del Commissario Cala-bresi, Pinelli, vistosi perduto,al grido ‘l’anarchia è morta’ sidivincolò dalla stretta degliagenti e si lanciò dalla finestracasualmente aperta”. Pinelliera innocente e questo è undato accertato indiscutibil-mente, così come lo erano tut-ti i suoi compagni anarchicilungamente perseguitati, de-tenuti e pestati anche se, for-tunatamente, almeno loro ri-masti vivi. Per denunziarequesta vergogna e questa gra-vissima offesa alla legalità ealla dignità dello Stato demo-cratico 757 politici, sindacali-sti, intellettuali, artisti e lavo-ratori d’ogni mestiere e pro-fessione firmarono già nel1971 la denuncia pubblica so-pra trascritta. Non servì so-stanzialmente a nulla, le stra-gi continuarono e continuaro-no i depistaggi, le confusioni,in una parola il “terrore”; sinoal livello politicamente piùelevato, sino alla strage di viaFani e all’esecuzione di AldoMoro. Tre anni dopo l’uccisio-ne di Giuseppe Pinelli un com-mando, che la giustizia ha ac-certato essere stato ispiratoda alcuni dirigenti storici diLotta Continua, anche se glistessi hanno sempre negato,uccise il Commissario LuigiCalabresi. Dell’assassinio diGiuseppe Pinelli s’è completa-mente persa la memoria, diquello del Commissario Cala-bresi ancora ripetutamente sene parla con toni da martirio,sino alla proposta, lungamen-te coltivata da alcune frangecattoliche, della sua beatifica-zione. Ora è assolutamentefuori discussione che nessunopuò arrogarsi il diritto di di-sporre della vita altrui, chiun-que sia questo “altrui” e qual-siasi cosa abbia commesso odi qualsiasi più tremenda in-famia si sia macchiato. Per icomunisti, che non credono inuna seconda vita, che non cre-dono che ci sia un essere im-maginario che può dare e to-gliere la vita a suo piacimento,

la vita è il bene più grande cheun essere umano può posse-dere, è il bene per eccellenza,nessuno dunque ne può di-sporre se non il suo proprieta-rio. Chi ha ucciso il Commis-sario Calabresi, chiun que es-so sia ed è forte il dubbio chesiano realmente stati gli attua-li condannati, merita comun-que il massimo del dissenso.Tuttavia non può essere di-menticato che il CommissarioLuigi Calabresi era il respon-sabile, l’autore, forse materia-le certamente solidale, dell’o-micidio di un cittadino italia-no affidato alle sue funzionidi tutore della incolumitàpubblica, e non rileva neppureprecisare che lo stesso fossemanifestamente innocente;Giuseppe Pinelli era un citta-dino nelle mani dello Stato elo Stato lo ha ucciso e poi hacoperto le proprie responsabi-lità abusando del proprio po-tere. In uno Stato diverso, inuno Stato di giustizia e lega-lità il Commissario Luigi Cala-bresi sarebbe stato condanna-to a una lunga, lunghissimadetenzione per avere ucciso,con l’aggravante massima del-le sue specifiche funzioni, uncittadino italiano, un essereumano. Con l’invito a volercomprendere correttamente itermini che ora verranno usa-ti, deve essere affermato che“è sicuramente grave se unmafioso uccide un magistrato,ma è enormemente più gravese è un magistrato a uccide unmafioso”, perché in questo ca-so si mettono in discussionele fondamenta stesse delloStato di diritto e si mina nonsolo la fiducia, ma lo stesso ri-spetto dei cittadini verso leproprie istituzioni. E anchequesto, anzi forse soprattuttola perdita di fiducia nelle isti-tuzioni è “terrore” e indurla è“terrorismo”.

Giuseppe Pinelliferroviere anarchico innocente,ucciso nei locali della questuradi Milano

deatine, assieme a un altro con-sistente numero di prigionieriforniti dal direttore delle carceridi Roma (poi linciato dalla po-polazione durante il processo alquestore di Roma). Il massacrodei rastrellati e dei prigionierivenne qualificato dalle truppe dioccupazione naziste come attodi “rappresaglia” calcolata conla percentuale di 10 civili perogni militare ucciso. Difenden-dosi dall’accusa dell’eccidioKappler affermò di avere dira-mato un comunicato con il qua-le aveva intimato ai responsabilidell’attacco di consegnarsi perevitare il massacro dei civili,avendo dato un termine di 24ore. Di questo avviso non è maistata data prova mentre è certoe provato che il massacro delleFosse Ardeatine venne compiu-to esattamente 21 ore dopo l’at-tacco di via Rasella, di nascostoe con la tecnica dell’occulta-mento immediato delle vittimeche vennero sepolte collettiva-mente con l’esplosione dellevolte della cava di tufo. La fero-cia del massacro delle Fosse Ar-deatine, una volta scoperto, hagiustificato nel tempo numero-si tentativi di addossare ai par-tigiani la responsabilità di un“legittimo atto di reazione” daparte delle truppe di occupazio-ne naziste, cercando di de-qua-lificare l’azione partigiana comeatto di terrorismo. La Cassazio-ne si è numerose volte espressasul punto sempre affermandola natura dell’attacco di via Ra-sella come atto di lotta partigia-na “considerata dalla legislazio-ne italiana quale legittima atti-vità di guerra” (Sentenza n.3053 del 19 luglio 1957, le Se-zioni Unite civili della Corte diCassazione). I GAP romani era-no dunque combattenti di unaguerra di liberazione “asimme-trica” contro truppe di occupa-zione straniere sostenute daitraditori fascisti e agevolate dal-la vigliacca fuga del re e dellasua corte. La rappresaglia delletruppe di occupazione nazisteera indubbiamente un atto diterrorismo.

mento di rabbia e paura. Gliisraeliani assediavano Gaza nel-la speranza di spingere il suopopolo alla rivolta. Hamas bom-bardava Sderot nella speranzadi provocare Israele. E ha rag-giunto il suo obiettivo. Aggiun-go un'altra considerazione.Quella di Israele contro Hamasè una guerra doppiamenteasimmetrica. È tale, anzitutto,perché i due combattenti hannoarsenali totalmente diversi e ilpiccolo non può permettersi digiocare la parte con le regole re-se possibili da armi di cui nondispone. Ed è asimmetrica, insecondo luogo, perché Israelenon riconosce all'organizzazio-ne palestinese lo statuto dicombattente legittimo. Quandoè considerato brigante il nemicotende inevitabilmente a com-portarsi come tale. Ma non è ne-cessariamente un terrorista.”

Il 12 dicembre 1969 una bom-ba scoppia nei locali dellaBanca dell’Agricoltura in Piaz-za Fontana a Milano causandola morte di 17 persone e il fe-rimento di altre 88. Poco dopouna seconda bomba inesplosaverrà rinvenuta nella sede del-la Banca Commerciale in Piaz-za della Scala sempre a Mila-no, mentre una terza esplo-derà invece a Roma nel sotter-raneo della Banca Nazionaledel Lavoro di via Veneto fe-rendo 13 persone, una quartasempre a Roma esploderà da-vanti all’Altare della Patria euna quinta all’ingresso delMuseo del Risorgimento inPiazza Venezia a Roma feren-do quattro persone. E’ l’iniziodella “strategia della tensio-ne” che in pochi anni collezio-nerà ben 144 attentati, alcunicon conseguenze enormi co-me la strage del 2 agosto 1980alla Stazione di Bologna checausò la morte di 85 personee il ferimento di oltre 200. So-no le “stragi di Stato”, quelleche non hanno mai avuto col-pevoli, ma che avevano unpreciso obiettivo che, almenoin parte, hanno realizzato, fer-mare la crescita democraticadel nostro Paese, la spinta ri-voluzionaria del ’68, la cresci-ta del Partito Comunista e delsuo sindacato operaio; forseanche preparare un colpo diStato fascista con la conniven-za di una “certa” presidenzadella Repubblica e l’avvallo e ilsostegno se non la vera e pro-pria istigazione degli StatiUniti, colpo di Stato abortitonel grottesco tentativo di Ju-nio Valerio Borghese dell’8 di-cembre 1970. Per la strage diPiazza Fontana tuttavia non vifurono dubbi per la questuradi Milano: i colpevoli erano glianarchici, uno in particolareche il Commissario Luigi Cala-bresi a capo dell’Ufficio Politi-co ben conosceva personal-mente: il ferroviere GiuseppePinelli. Pinelli venne arrestatoe portato alla Questura di Mi-lano con altri anarchici il gior-no successivo alla strage, il 13dicembre 1969. Alle ore 24 diquella stessa notte il suo co-pro cadde giù dal quarto pia-no schiantandosi sul selciatodel cortile; all’arrivo dell’am-bulanza, che risultò esserestata chiamata alcuni minuti

L'Fbi definisce il terrorismo come “atti violenti... miranti a intimidireo a coartare la popolazione civile, a influenzare la politica di un go-verno, o a interferire nella condotta di un governo”.Chi è il “terrorista”, chi invade o chi resiste?

La strage fu l'apice di un perio-do di alta tensione in tutta l'I-talia, in cui avvennero scontricon la polizia. I fatti scatenantifurono la formazione del go-verno Tambroni, monocoloredemocristiano con il determi-nante appoggio esterno delMSI, e l'avallo della scelta diGenova (città "partigiana", giàmedaglia d'oro della Resisten-za) come sede del congressodel partito missino. Le reazionid'indignazione furono molte-plici e la tensione in tutto ilpaese provocò una grande mo-bilitazione popolare. L'alloraPresidente del Consiglio, Fer-nando Tambroni, diede libertàdi aprire il fuoco in "situazionidi emergenza" ed alla fine diquelle settimane drammatichesi contarono undici morti e

centinaia di feriti. Questedrammatiche conseguenzeavrebbero costretto alle dimis-sioni il governo Tambroni. Lasera del 6 luglio la CGIL reggia-na proclamò lo sciopero citta-dino di protesta contro le vio-lenze dei giorni precedenti. Laprefettura proibì gli assembra-menti nei luoghi pubblici econcesse unicamente i 600 po-sti della Sala Verdi per lo svol-gimento del comizio. L'indo-mani il corteo di protesta eracomposto da circa 20.000 ma-nifestanti. Un gruppo di circa300 operai delle Officine Mec-caniche Reggiane decise quin-di di raccogliersi davanti almonumento ai Caduti, cantan-do canzoni di protesta. Alle16.45 del pomeriggio una cari-ca di un reparto di 350 poli-

ziotti, al comando del vice-questore Giulio Cafari Panico,investì la manifestazione paci-fica. Anche i carabinieri, al co-mando del tenente colonnelloGiudici, partecipano alla cari-ca. Incalzati dalle camionette,dai getti d'acqua e dai lacrimo-geni, i manifestanti cercaronorifugio nel vicino isolato SanRocco, per poi barricarsi lette-ralmente dietro ogni sorta dioggetto trovato, seggiole, assidi legno, tavoli dei bar e ri-spondendo alle cariche conlancio di oggetti. Respinte dal-la disperata resistenza dei ma-nifestanti, le forze dell'ordineimpugnarono le armi da fuocoe cominciarono a sparare. Sulselciato della piazza caddero:Lauro Farioli (1938), operaio di22 anni, orfano di padre, spo-

sato e padre di un bambino;Ovidio Franchi (1941), operaiodi 19 anni, il più giovane deicaduti; Marino Serri (1919), pa-store di 41 anni, partigianodella 76a, primo di sei fratelli;Afro Tondelli (1924), operaiodi 36 anni, partigiano della 76aSAP, è il quinto di otto fratelli;Emilio Reverberi (1921), ope-raio di 39 anni, partigiano nel-la 144a Brigata Garibaldi eracommissario politico nel di-staccamento "G. Amendola".Furono sparati 182 colpi di mi-tra , 14 di moschetto e 39 di pi-stola , una guardia di PS di-chiarò di aver perduto 7 colpidi pistola. Sedici furono i feriti"ufficiali", ovvero quelli portatiin ospedale perché ritenuti inpericolo di vita, ma molti altripreferirono curarsi "clandesti-

namente", allo scopo di nonfarsi identificare. I fatti furonocantati in una celebre canzonedi Fausto Amodei, dal titoloPer i morti di Reggio Emilia e,più recentemente, alla base delromanzo di Paolo Nori del2006 Noi la farem vendetta. Inseguito ai fatti di Reggio Emiliain data 29 novembre 1962 laSezione Istruttoria della Corted'appello di Bologna rinviava aGiudizio il vicequestore GiulioCafari Panico per omicidio col-poso plurimo e l'agente Orlan-do Celani per omicidio. Il di-battimento venne celebratoavanti la Corte d'Assise di Mi-lano e non a Reggio Emilia; Ilvice-questore fu assolto conformula piena, per non avercommesso il fatto, mentre l'a-gente venne assolto con for-mula dubitativa.

Page 4: Inserto "Nè con lo Stato borghese, nè con le Brigate Rosse" - Marzo 2011

Il tema “Palestina” è un tema“enorme”, non solo perchécoinvolge la storia, la vita e lastessa sopravvivenza di unintero popolo, ma anche per-ché è stato e sempre più stamostrando di essere al centrodi “giochi” geopolitici gigan-teschi e straordinariamentesuperiori al ruolo effettiva-mente svolto da quel popoloche dunque ne è, di fatto enell’indifferenza generale,ostaggio e vittima. Il tema ètroppo vasto e complesso perpretendere di trattarlo in que-ste poche righe, l’impegno èdunque di farne oggetto di unfuturo inserto interamentededicato per la cui prepara-zione invitiamo sin d’orachiunque abbia conoscenzeed esperienze in materia a vo-ler offrire il proprio contribu-to prendendo contatto con ilnostro giornale.Non possiamo tuttavia nonparlarne, almeno sommaria-mente e per un limitatoaspetto, in un inserto dedica-to al terrorismo, poiché pro-prio a quella storia e quel-l’area geopolitica è stata im-putata l’origine, circa quaran-ta anni fa, del terrorismo in-ternazionale, sulla cui falsa,distorta e strumentalizzataimmagine è stata da alcunidecenni fondata la “morale”della politica delle guerre pre-ventive del nuovo imperiali-smo americano e non solo.In verità storica, invece, il ter-rorismo non nasce affattonelle e dalle vicende delladiaspora, della repressione,della negazione della dignitàdel popolo palestinese, cheancora oggi conduce una lot-ta di liberazione intesa nellapiù tipica espressione storicadelle lotte per l’emancipazio-ne e l’autodeterminazionedei popoli oppressi.Nell’immediato secondo do-poguerra il nascente imperoUSA, sino ad allora confinato(si fa per dire) nel suo giardi-no di casa centro e sud ame-ricano, intuì l’importanzastrategica, per il dominio del-lo stesso mondo occidentale,dell’area geopolitica del me-diterraneo e del medio orien-te petrolifero. E’ da questaintuizione che nasce l’ideadella creazione dello Stato diIsraele, cioè del posiziona-mento in quell’area strategi-ca di una “enclave”, sostan-zialmente di una “base”, dicontrollo nord americano.Per l’occorrenza vennero uti-lizzati i superstiti dell’olo-causto, i più poveri e i più di-sperati ebrei in fuga da unmondo, tutto sia occidentaleche orientale, che li rifiutavae alla prima occorrenza li de-cimava. Quanto agli “indige-ni”, ai “nativi” per usare unaespressione tanto cara allacultura devastatrice nordamericana, non c’era alcunaconsiderazione, anche per-ché, nello specifico dell’areageografica denominata “Pa-lestina” (termine utilizzatoper la prima volta dall’impe-ratore Adriano dopo averesoppresso i termini Israele eGiudea), la popolazione inse-diata era di etnia diversa daquella dei più grandi e storicipaesi confinanti che, dun-que, offrirono ben poco so-stegno alla espulsione dei

“nativi” da parte dei nuoviimmigrati. Avvenne così, ne-gli anni ’50, la diaspora di unintero popolo che ancoranon aveva conquistato la suaidentità di nazione. I profu-ghi si dispersero negli staticonfinanti ove furono rin-chiusi in disumani campiprofughi, dietro la promessa,mai mantenuta, di un loro si-curo e imminente ritorno al-la terra e alle case di origine.La stessa sorte di “concen-tramento” toccò comunqueanche quelli che invece deci-

sero o comunque furono co-stretti a restare al serviziodei nuovi padroni. Alla fine degli anni ’60 il po-polo palestinese iniziò a ma-nifestare autonomamente ri-chieste di riconoscimentoidentitario e politico, ponen-do mano anche alla creazio-ne di un coordinamento uni-tario politico e militare. E’nel 1970 che il movimentodel popolo palestinese rag-giunse la sua massima forzaorganizzativa e militare, finoa mettere in discussione lasopravvivenza dello stessoregno di Giordania, paesenel quale si trovava la mag-gioranza dei profughi pale-stinesi; ma è anche in quellostesso anno che le rivendica-zioni della nazione palesti-nese vengono percepite ap-pieno come minaccia per lastabilità del progetto di colo-nizzazione USA del mediooriente petrolifero tramitel’organizzazione e la difesadello Stato di Israele. “Set-tembre nero” è il periodoche va dal settembre al no-vembre 1970 durante il qua-le: da un lato si consumòl’estremo tentativo palesti-nese della creazione di unoStato nazionale, dall’altro gliUSA per tramite degli israe-liani riuscirono a rompere ilegami di solidarietà, o quan-tomeno di tolleranza, tra gliStati occidentalizzati arabidi Giordania e Libano e leminoranze profughe dei pa-lestinesi, intervenendo conl’aviazione e l’esercito a so-stegno del governo giordanoper aiutarlo a vincere una ve-ra e propria guerra civile checosterà ad ambedue le parti

(ovviamente arabe, gli israe-liani non avranno perdite)decine di migliaia di morti.Tutto ciò si svolgeva nellatotale indifferenza del mon-do occidentale (a parte l’im-potenza del così detto bloc-co orientale anche in virtùdegli accordi di Yalta), chepure aveva sostenuto e so-steneva molte guerre di libe-razione antiamericane e an-tioccidentali in genere, pri-ma tra le quali quella delVietnam. E’ in questo conte-sto che nasce ovvero, con la

propaganda mediatica delpoi, viene fatta risalire la na-scita del terrorismo interna-zionale, con tale qualifica-zione “meta giuridica” clas-sificandosi le azioni di forteimpatto mediatico attraver-so le quali la resistenza pale-stinese tentò allora di porta-re all’attenzione del mondo ipresupposti storici, le ragio-ni giuridiche e la gravità con-tingente delle condizioni edelle aspettative del popolopalestinese.Quaranta anni di storia han-no inevitabilmente diversa-mente “modellato”, se così sipuò dire, il percorso politicoe militare della lotta di libe-razione del popolo palesti-nese che oggi, e questo lo sipuò sicuramente dire, versain condizioni economiche esociali di gran lunga peggiorie quasi senza speranza. Diquesto però ci riserviamo diparlare in un prossimo in-serto appositamente dedica-to alla Palestina. Preme quiinvece ricostruire almeno unminimo di verità storica, ri-cordano due episodi, oggidefiniti di terrorismo, che al-lora segnarono con maggio-re forza l’ingresso nella sce-na culturale e politica mon-diale del popolo palestinese,fino ad allora oscurato die-tro i “superiori” interessi(ovviamente dell’occidentecapitalista) della stabilità delbacino del Mediterraneo edel medio oriente petrolife-ro. Gli episodi concernono ildirottamento di quattro ae-rei di linea eseguito da mili-tanti del Fronte per la Libera-zione della Palestina, guida-to da George Habash, nel

IV

Palestina, dove è nato il terrorismo

Olimpiadi di MonacoBen diversa, ma solo per gliesiti finali, fu la vicenda chedue anni più tardi coinvolse,causandone la morte, alcuniatleti della squadra israelia-na alle Olimpiadi di Monacodi Baviera.Anche in qual caso, infatti, ilprogetto dei militanti palesti-nesi era quello di occuparel’attenzione pubblica mon-diale concentrata sul massi-mo evento sportivo.Va precisato che a quella so-luzione la frangia estrema

della resistenza palestineseresponsabile si risolse dopoche il Comitato Olimpicoaveva rifiutato anche solo diprendere in considerazionela richiesta formalmenteavanzata dall’organizzazio-ne palestinese di far parteci-pare una propria rappresen-tanza giovanile ai GiochiOlimpici. Questo fatto avreb-be rappresentato un ricono-scimento della identità na-zionale del popolo palestine-se e un pari riconoscimentodi legittimità giuridica allaorganizzazione che lo rap-presentava. Non ci fu neppu-re una risposta negativa: larichiesta non venne esamina-ta e basta. Il commando pale-stinese, del quale non è maistato accertato il numeroesatto, si introdusse nel Vil-laggio olimpico e sequestròun gruppo di atleti israeliani,due dei quali rimasero uccisinel tentativo di resistenza al-l’aggressione. Mentre prose-guivano regolarmente lecompetizioni sportive chevennero sospese solo moltopiù tardi, intercorse un lungonegoziato tra i palestinesi ela polizia tedesca, che accor-dò agli stessi il trasferimentocon due elicotteri in un aero-porto secondario dove liavrebbe attesi un aereo perportarli al Cairo. Quando ipalestinesi con gli ostaggigiunsero all’aeroporto si re-sero conto della trappola ecercarono di risalire sugli eli-cotteri, mentre iniziava unviolentissima sparatoria daparte della sicurezza tedescacon l’aiuto di mezzi blindati.Nel conflitto esplose uno deidue elicotteri e il bilancio fu

di diversi morti: tutti gliostaggi e una buona partedei sequestratori, quattro deiquali cercarono di fuggire euno venne persino catturatomolto più tardi lontanodall’aeroporto. La “storia uf-ficiale” ha propagandato latesi secondo cui i palestinesiavrebbero ucciso per rappre-saglia tutti gi ostaggi primadi sacrificarsi; ma in realtà ipalestinesi non si sacrificaro-no, anzi cercarono di fuggiree, non riuscendovi, si arrese-ro vivi (quelli che non eranogià caduti nello scontro afuoco), circostanza cheesclude ogni logica kamika-ze. Vero è che, forse proprioa causa della precedenteesperienza del settembre1970, era maturata una nuo-va linea di condotta antiter-roristica (così vennero quali-ficati per la prima volta icombattenti palestinesi) chenegava pregiudizialmente lapossibilità di negoziato edunque imponeva l’atto diforza per il quale, evidente-mente, la polizia tedesca nonera ancora adeguatamenteattrezzata e addestrata. Cer-to è che nell’aeroporto dellastrage erano presenti agentidel Mossad israeliano.La strage di Monaco segnauno spartiacque determinan-te per la successiva condottadel terrorismo palestinese enon solo: la consapevolezzadell’esito mortale di ogniazione comunque qualificataterroristica. E’ allora che na-sce la logica (se tale può es-sere chiamata) kamikaze. Mauna logica kamikaze nonpuò trovare sostegno solo inpur profonde e radicate con-vinzioni di impegno e sacrifi-cio politico o ideologico, oc-correrà ancora un “salto”, oc-correrà (e purtroppo arrive-rà) il supporto del fanatismoreligioso che solo, come hainsegnato l’intera storiadell’umanità, può giustifica-re il sacrificio consapevoledella vita, tanto propria chealtrui: il martirio. In questobaratro piano piano scivole-rà anche buona parte dellaresistenza palestinese, masarà un incendio che divam-perà in tutto il mondo araboe contagerà ogni luogo dellaterra ove alle ingiustizie, vereo presunte, verrà oppostauna resistenza non più ideo-logica e politica, ma la veritàassoluta del fanatismo sacri-ficale religioso.A questa folle deriva per cer-to tempo resisterà la diversacultura europea e maggior-mente quella italiana, forsegrazie proprio alla ambiguitàdel cattolicesimo romano,tanto fondamentalista al-l’estero quanto compromis-sorio in casa propria; anchese non sarà per molto. L’Italiasi opporrà alla logica ameri-cana e israeliana del massa-cro nell’episodio del dirotta-mento della Achille Lauro,ma alla fine cederà in occa-sione del rapimento di AldoMoro. Così oggi si può nego-ziare con mafia e camorraperché sono Stato nello Stato,ma non si può, non si devenegoziare con l’emarginazio-ne e la disperazione perchésono contro lo Stato, ovvia-mente contro “questo” Stato.

1970 e il sequestro, seguitodal massacro, degli atletiisraeliani alle Olimpiadi diMonaco del 1972.Dawson’s FieldIl 6 settembre 1970, due ae-rei di linea vennero dirottatida un commando del Fronteper la Liberazione della Pale-stina e fatti atterrare a Daw-son's Field, un vecchio aero-porto militare nel desertogiordano. Il dirottamento diun terzo fallì per la reazionedel personale di sicurezza abordo, che uccise uno dei di-

rottatori e catturò il secon-do, una donna. I terroristichiesero la liberazione di al-cuni prigionieri palestinesidetenuti in Svizzera e in Ger-mania dell’ovest. Il 9 settem-bre un terzo apparecchio fudirottato verso Dawson'sField, il quale nel frattempoera stato rinominato "aero-porto della Rivoluzione". InEuropa si tenne un verticetra il Primo Ministro britan-nico Edward Heath e altri ca-pi di stato europei, per per-venire alla scarcerazione deipalestinesi detenuti e con-sentire il rilascio degli ostag-gi. Sarà solamente venerdì11 settembre che la vicendaavrà termine con la libera-zione dei prigionieri palesti-nesi. La “questione” Palesti-na, ovvero del popolo pale-stinese, occupò allora percinque giorni consecutivi imedia di tutto il mondo. Ipalestinesi rilasciaronoquindi tutti i passeggeri te-nuti in ostaggio, ma non ri-consegnarono gli aerei. Inuna epocale trasmissione vi-deo, quasi in diretta in tuttoil mondo, i palestinesi feceroesplodere i tre aerei tra gridae canti di festa. Quella sera lacampana dei Lloyd di Lon-dra, che avevano assicurato ivelivoli, suonò a lungo comeera usanza per annunciaregravi sciagure; anche il cuoredella finanza era stato rag-giunto, ma nessuna vittima(tranne un dirottatore) erastata sacrificata, il messag-gio intimidatorio era rivoltoai governi, ai popoli di queglistessi governi era stata mo-strata la realtà della repres-sione del popolo palestinese.

“Se fossi nato in un campo profughi palestinese sarei certamentediventato un terrorista anch’io” (Giulio Andreotti)

Aeroporto della Rivoluzione, 13 settembre 1970, esplosione dei 3 aerei dirottati