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9 Introduzione La didattica nella scuola primaria: prospettive di ieri e di oggi Romina Nesti Premessa Qui, nello scritto che segue, si è cercato di dare alcune infor- mazioni di base a beneficio del destinatario principale di tale volu- me: lo studente di =formazione primaria> (e di =scuola dell@in- fanzia>) che si prepara ad assimilare B criticamente e in modo creativo e responsabile B un@idea di professionalità (quella inse- gnante), difficile e complessa che reclama, oggi, più conoscen- ze/competenze e più riflessività. A partire dal piano didattico che è quello dell@organizzazione dell@atto di apprendere/insegnare (e e- ducare) alla luce dei =saperi dell@educazione> che si sono sviluppati sempre più nella ricerca e per agire in un@agenzia scolastica radi- calmente rinnovata (attraverso il curricolo, l@=offerta formativa>, l@organizzazione del proprio ambiente, fisico e sociale e strumenta- le, le pratiche di valutazione e altro ancora). Su questo piano qui di seguito si è cercato di fissare 1) una brevissima storia del suo pro- cesso trasformativo, per il ruolo sociale della scuola e per la sua maturazione culturale, fissando i nuclei più innovativi (e tutto molto di scorcio, necessariamente), soprattutto nel corso del Novecento; 2) l@idea stessa di didattica come sapere plurale, scientifico, axiologi- co e, lato sensu, politico: un sapere di saperi e di comunicazione degli stessi, in continua crescita innovativa e proprio attraverso il dialogo con le varie scienze (umane in particolare); 3) un modello di scuola primaria quale si è affermato in Italia, soprattutto nella pratica docente e anche a livello di regolamento e di leggi, che ne hanno, qui nel nostro paese (ma in accordo con processi tipici di tutto l@Occidente), cambiato l@identikit, rendendolo più complesso e più dinamico al tempo stesso. Gli operatori scolastici di oggi (i docenti) necessitano di una cultura didattica di alto profilo e di un@idea di tale sapere (teorico-

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Introduzione

La didattica nella scuola primaria: prospettive di ieri e di oggi Romina Nesti

Premessa Qui, nello scritto che segue, si è cercato di dare alcune infor-

mazioni di base a beneficio del destinatario principale di tale volu-me: lo studente di =formazione primaria> (e di =scuola dell@in-fanzia>) che si prepara ad assimilare B criticamente e in modo creativo e responsabile B un@idea di professionalità (quella inse-gnante), difficile e complessa che reclama, oggi, più conoscen-ze/competenze e più riflessività. A partire dal piano didattico che è quello dell@organizzazione dell@atto di apprendere/insegnare (e e-ducare) alla luce dei =saperi dell@educazione> che si sono sviluppati sempre più nella ricerca e per agire in un@agenzia scolastica radi-calmente rinnovata (attraverso il curricolo, l@=offerta formativa>, l@organizzazione del proprio ambiente, fisico e sociale e strumenta-le, le pratiche di valutazione e altro ancora). Su questo piano qui di seguito si è cercato di fissare 1) una brevissima storia del suo pro-cesso trasformativo, per il ruolo sociale della scuola e per la sua maturazione culturale, fissando i nuclei più innovativi (e tutto molto di scorcio, necessariamente), soprattutto nel corso del Novecento; 2) l@idea stessa di didattica come sapere plurale, scientifico, axiologi-co e, lato sensu, politico: un sapere di saperi e di comunicazione degli stessi, in continua crescita innovativa e proprio attraverso il dialogo con le varie scienze (umane in particolare); 3) un modello di scuola primaria quale si è affermato in Italia, soprattutto nella pratica docente e anche a livello di regolamento e di leggi, che ne hanno, qui nel nostro paese (ma in accordo con processi tipici di tutto l@Occidente), cambiato l@identikit, rendendolo più complesso e più dinamico al tempo stesso.

Gli operatori scolastici di oggi (i docenti) necessitano di una cultura didattica di alto profilo e di un@idea di tale sapere (teorico-

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operativo) che si ponga nettamente al crocevia di diverse esperienze storiche e di diverse teorie scientifiche, appropriandosi di tale itinera in modo più consapevole e preciso possibile, anche in una loro illu-strazione largamente introduttiva e decisamente sviluppata =a volo d@aquila>. Ma proprio per permettere, nei giovani futuri docenti, di acquisire un@idea appunto articolata e sfumata di didattica, da far propria e da far valere come proprio orientatore professionale. Ora B nella fase di formazione B e domani B in quella di esercizio pro-fessionale. In modo da garantire una professionalità consapevole, critica, costantemente aperta all@aggiornamento.

1. La lunga tradizione della didattica “formale” La didattica come =arte di insegnare> ha una storia antichissi-

ma che inizia dalla necessità di trasmettere le tecniche lavorative, attraverso le forme di apprendistato, per giungere fino al nostro tempo con le istituzioni dell@educazione/istruzione formale dove trova il centro del suo operato e della sua riflessione. In primis la scuola in tutte le sue forme. Ma come e dove nasce la scuola? La scuola, intesa come luogo =ufficiale> e istituzionalizzato volto all@apprendimento di saperi e alla trasmissione della cultura, nasce quando non è più sufficiente trasmettere e insegnare solo le tecni-che lavorative. Possiamo affermare che essa nasce, dunque, quando si evolvono le società e soprattutto quando nascono le forme di scrittura con il corollario della lettura, e poi le scritture matemati-che, e quindi quando diventa indispensabile saper leggere, scrivere e far di conto. Quando la scrittura come ci ricorda Ong modifica le forme di pensiero, il linguaggio stesso, =la scrittura, vale a dire af-fidare la parola allo spazio, amplia enormemente le potenzialità del linguaggio, ristruttura il pensiero> (Ong, 1986, p. 26). Si attiva così uno strumento talmente potente da essere visto come fonte di pote-re, =magico e segreto>, riservato a pochi eletti. A partire da queste potenzialità nuove (a cui vanno aggiunte: la divisione sociale del lavoro e la scansione tra lavoro intellettuale e lavoro manuale; lo sviluppo delle comunità umane come =città operose> B =opulente> dice Platone B; lo sviluppo, in esse, dei sistemi simbolici e delle va-rie tecniche) si hanno le prime forme di scuola e le prime riflessioni sulla didattica legata alle competenze dello scrivere, leggere e far di conto. Didattica che si definisce come insieme di tecniche =sem-plici>, riproduttive e mnemoniche, legate al saper ben scrivere e

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soprattutto ben parlare (pensiamo solo all@arte oratoria). Didattiche strumentali, non creative ma riproduttive, come ci ricorda Fornaca in relazione alla scuola nel mondo Babilonese affermando =la co-piatura e l@imitazione dei modelli prevalevano nettamente rispetto alle iniziative personali, ed erano accompagnate da un controllo molto severo dei comportamenti> (Fornaca, 1986, p. 6).

La scuola come istituzione (per pochi) esiste già nella Grecia classica come testimoniano alcuni suoi illustri esempi (non certo di insegnamento elementare) dall@Accademia di Platone al Liceo di Aristotele, alle teorizzazioni, sempre dei filosofi, in materia di edu-cazione dei bambini. Eredità raccolta in parte dai romani con il loro ludus litterarius. La scuola avrà poi una sua teorizzazione ad opera del mondo cristiano e si svilupperà per tutto il Medioevo con al centro le scuole monastiche e la nascita delle Università. Il modello didattico è comunque rigido e prescrittivo al cui centro c@è la figura del maestro.

Certo è che fino all@età contemporanea non si arriva alla rico-difica della scuola così come la conosciamo noi. Ma anche durante l@età moderna si trovano alcune luminose eccezioni promosse da personaggi che si sono posti attivamente il problema di come inse-gnare e di come fosse possibile far apprendere meglio. Non tutti coloro che hanno sviluppato queste riflessioni teoriche sono veri e propri maestri di scuola, o fondatori di scuole, ma hanno tutti dato avvio ad una riflessione sulla didattica e hanno legato il proprio nome a metodi e tecniche di insegnamento. Ed è il caso di alcuni illu-stri pensatori del Rinascimento e dell@Umanesimo, come l@italiano Vittorino Da Feltre che nella sua Casa gioiosa oltre alle materie =tradizionali> inserisce anche le arti liberali, l@educazione fisica e il gioco partendo dal presupposto che la scuola debba formare tutto il soggetto. Vittorino Da Feltre riconosce l@individualità del soggetto e la sua necessità di crescere nel rispetto del proprio sviluppo, do-sando sapientemente apprendimenti formali e informali, libertà e regole. Didatticamente non si discosta molto dalle pratiche del tempo anche se riconosce un ruolo all@imparare giocando.

Una luce significativa sull@insegnamento/apprendimento è sta-ta gettata ormai molti secoli fa da Comenio. Questo autore rivolu-zionerà completamente l@idea di scuola e di insegnamento didattico portandoli verso un significativo progresso. L@autore, infatti, darà vita sia ad un nuovo assetto dell@organizzazione scolastica sia a nuovi metodi di insegnamento. Per Comenio l@educazione è e deve essere per tutti. Egli riconosce nell@analfabetismo un vero e proprio

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problema umano e sociale. L@educazione viene vista come la strada che condurrà il soggetto a realizzare la =Via della luce>, mentre l@ignoranza è un male: portatore di violenza e odio. La pace B infat-ti B è possibile solo laddove ci sia conoscenza. Questo pensiero condurrà l@autore verso la teorizzazione della pansofia dove si af-ferma il principio secondo il quale l@educazione deve essere per tut-ti e tutto può essere insegnato, come recita il sottotitolo del suo grande trattato di didattica, Didactica magna. Trattato sull’arte u-niversale di insegnare tutto a tutti. Comenio afferma che non si può mai smettere di imparare ed apprendere e sistematizza l@edu-cazione attraverso forme di =scuola> (apprendimento e formazione) che abbracciano tutte le età della vita dall@infanzia fino alla morte. I cicli principali di scuola =ufficiale> sono quattro: scuola dell@infanzia; scuola vernacolare pubblica; scuola latina e infine le accademie.

Fondamentale risulta la scuola vernacolare pubblica: obbliga-toria che dura sei anni, con al centro l@apprendimento della lingua materna, la scrittura e la lettura. Vengono proibite le punizioni cor-porali e soprattutto =qualsiasi cosa si debba insegnare agli alunni, deve essere loro esposta e mostrata in modo chiarissimo [...] Perché tutte le cose s@imprimano più facilmente, si faccia il massimo uso dei sensi> (Comenio, 1974, p. 246). Ecco il principio didattico fon-damentale: l@esperienza, la conoscenza come scoperta attraverso i sensi e l@osservazione del mondo. Altro principio fondamentale sa-rà l@apprendimento dell@alfabeto come chiave di volta della cono-scenza e come metodo per il possesso della lingua. Il metodo alfa-betico è soprattutto connesso al metodo =iconico>, come ben si vede nel capolavoro Orbis pictus, testo che contiene un alfabeto in cui ogni lettera è legata al suono che produce rappresentata da un@immagine (è praticamente un alfabetiere), attraverso il quale il bambino viene progressivamente guidato alla conoscenza del mon-do. Tali principi saranno al centro della rivoluzione didattica co-meniana. Le tavole dell@Orbis rappresentano oggetti ma anche me-stieri, costumi; troviamo così la terra, le nuvole, il mercato, ma anche Adamo ed Eva, l@anima etc. Un@educazione allo scrivere e al leggere che si fa così anche un@educazione etica e morale.

Metodo, quello comeniano, che avrà un significato rivoluzio-nario, i cui echi caratterizzeranno buona parte della didattica della scuola primaria, fin quasi ai nostri giorni.

Il Settecento sarà un secolo particolarmente innovatore per la scuola e la didattica stessa: non possiamo ovviamente descrivere tutte le innovazioni presentate dai pensatori del tempo, ma un e-

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sempio brilla particolarmente per l@influenza che avrà nei secoli successivi. Si tratta di Jean-Jacques Rousseau, il quale, anche se non fonderà mai nessuna istituzione educativa, tanto rifletterà sui metodi per insegnare. Figura controversa e di difficile analisi ci ha lasciato alcuni principi che segneranno il pensiero pedagogico suc-cessivo. Alcuni punti del pensiero rousseauiano particolarmente ri-levanti sono: 1) non si può educare senza conoscere le peculiarità dell@infanzia, età particolare diversa da quella adulta, =la natura vuole che i fanciulli siano fanciulli prima di essere uomini. Se vo-gliamo sovvertire quest@ordine, produrremo frutti precoci, che non avranno maturità né sapore e non tarderanno a guastarsi [...]. L@in-fanzia ha modi di vedere, di pensare, di sentire esclusivamente suoi; nulla è più stolto che pretendere di sostituirli coi nostri> (Rousseau, 1994, p. 144); 2) l@educazione deve essere libera né re-pressiva né autoritaria e seguire i tempi di sviluppo del bambino; 3) l@esperienza diretta e il costante contatto con la natura (considerata buona rispetto alla società) sono i principi didattici e il metodo fondamentale per l@educazione.

Il precettore-maestro sarà poi colui che dovrà predisporre le condizioni perché avvenga l@educazione. Sarà guida quasi assoluta ma sempre =senza parere>: =Giovani educatori, io vi predico un@arte difficile: governare senza precetti e fare tutto senza far nul-la. [...] Lasciategli sempre credere di essere lui il padrone, ma siate sempre voi ad avere le redini in pugno. Non v@è soggezione tanto perfetta quanto quella che conserva l@apparenza della libertà> (Ivi, p. 190-191).

La didattica che consegue dai principi educativi di Rousseau è quella che lega l@apprendimento alla natura, alla scoperta personale (ma governata dal pedagogo) e all@educazione dei sensi. La natura è il =manuale> stesso dell@allievo, e sarà questa a guidarlo verso la conoscenza. Ma alla base vi è la motivazione e la voglia di appren-dere che il maestro dovrà riuscire a far nascere nel fanciullo, stimo-landola in varie occasioni.

L@evoluzione della società, il suo progresso e il progresso delle stesse scienze nel Settecento e nei secoli successivi arriveranno ad influenzare anche la stessa pedagogia e la didattica nonché a rivo-luzionare (grazie ad importanti eventi storici) anche il sistema sco-lastico. La pedagogia e la didattica in particolare risentiranno sem-pre più della ricerca della scienze umane e delle stesse ideologie che attraverseranno l@Europa. La ricerca di basi scientifiche con i suoi risultati metterà in luce le problematiche legate al migliora-

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mento dell@apprendimento ed, insieme, le idee di emancipazione dell@uomo guarderanno alla scuola (in particolare ad una scuola pub-blica e laica) come al centro della formazione del soggetto e del citta-dino, riconoscendogli il primario diritto all@educazione/istruzione.

Per quanto riguarda la ricerca scientifica e l@applicazione degli sviluppi delle scienze all@apprendimento un esempio importante è quello proveniente dal pensiero di Herbart, il quale fu il primo teo-rico che tenterà di dare alla pedagogia una base scientifica legando-la in maniera particolare alla psicologia, vista come la scienza che poteva illuminare i =misteri> dei processi di apprendimento e della conoscenza. Psicologia che curvata in senso pedagogico doveva fornire all@educazione i mezzi e le strategie per agire. Da questo fermento scientifico, culturale e politico prende corpo uno dei mo-vimenti che più di altri ha dato vita a importanti teorizzazioni pe-dagogiche e didattiche: il positivismo. Ma intanto un altro evento prende vita: nasce la scuola pubblica. E ciò avviene anche in Italia, nell@età del Risorgimento. Nel 1859, con un decreto legge redatto dal Ministro della Pubblica Istruzione del Regno di Sardegna, Ca-sati, viene a configurarsi la scuola italiana pubblica, laica e obbli-gatoria. Tale decreto verrà esteso a tutto il regno nel 1861. La scuo-la e l@alfabetizzazione diviene così un dovere dello Stato. Ma questi sono aspetti ben conosciuti per i quali si rimanda alla saggistica in merito. Così, però, tra Unità d@Italia e positivismo anche la didatti-ca, nel nostro paese, fa un =salto di qualità>.

Il positivismo è una corrente polimorfa e soprattutto interna-zionale che si viene ad articolare in positivismi di tipo nazionale. Suoi caratteri generali (se così si può dire) sono una fede nel pro-gresso dell@uomo e della società che può avvenire solo attraverso la scienza e la tecnica e soprattutto attraverso l@istruzione (e, infatti, molti suoi rappresentanti si occuperanno proprio di scuola). Istru-zione che deve avere una base scientifica fondata sull@osservazione e sulla conseguente formulazione di leggi. Per fare tutto questo la pedagogia non può stare da sola, ma deve fondersi con le altre scienze: dalla psicologia alla sociologia all@antropologia. Suo gran-de rappresentante fu Spencer, il quale, partendo dalle teorie del-l@ereditarietà, guardò all@educazione legandola agli stadi evolutivi del bambini, e all@influenza fondamentale dell@ambiente e della so-cietà, =il positivismo europeo nei suoi diversi indirizzi ha dato un contributo di rilievo nell@attenzione prestata al problema del meto-do proprio nelle impostazioni didattiche; un metodo che faceva ri-ferimento ai dati, ai fatti, ai fenomeni [...] veniva in modo partico-

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lare sottolineata la necessità di andare dal particolare all@universale, dal semplice al complesso> (Fornaca, p. 113). Impianto metodolo-gico-didattico innovativo, che però, semplificando, come ricorda ancora Fornaca, dette corso anche a =rigidità>: quali gli esercizi ec-cessivamente mnemonici, trasmissivi e ripetitivi.

Si arriva poi al Novecento che vedrà un@evoluzione non solo della scuola ma soprattutto delle sue pratiche didattiche, in modo ricco, dinamico, polivalente. È stato detto: il secolo della scuola (Vertecchi), ma potremmo dire anche, e con precisione, il secolo della didattica. Questo excursus sommario e veloce posto a incipit della nostre riflessione sulla didattica ne rivela: 1. la legittimazione storica; 2. La ricca evoluzione; 3. La costante funzione e per la scuola e per l@evoluzione della Società, in Occidente e nella Mo-dernità, soprattutto. E il Novecento è stato consapevole erede di questo lungo lavoro storico-teorico, connotato sempre più in senso scientifico.

2. L’attivismo, le scuole nuove: il bambino al centro dell’educa-zione

La scoperta dell@infanzia, la scuola come centro nevralgico

dell@educazione vista come motore del cambiamento, ma anche le difficili condizioni sociali dei bambini e i tassi alti di analfabetismo da combattere con una scuola per tutti e =motivante> portarono an-che alla nascita, in Europa, di scuole e esperienze legate a nuovi principi educativi. Gli =ultimi decenni dell@Ottocento e gran parte del Novecento conobbero la nascita e l@affermazione di un numero talmente significativo e diffuso di proposte ed esperienze educative e scolastiche, che si può parlare di una vera e propria mrivoluzione@ rispetto ai modelli pedagogici e didattici fino ad allora praticati> (Agosti, Franceschini, Galanti, 2009, p. 48). Rivoluzione che nasce in Inghilterra con la prima delle =Scuole Nuove> fondata da Reddie ad Abbotsholme. Ma al di là delle singole esperienze (molte e quasi tutte frutto di iniziative private) ciò che risulta interessante sono i principi-cardine dell@Attivismo. Tale movimento pedagogico mise in discussione, opponendosi fortemente, tutte le tecniche didattiche allora in uso, disegnando una scuola a misura di bambino e svilup-pando metodi didattici appunto attivi. L@attivismo si schiera contro il nozionismo, l@apprendimento passivo e mnemonico a favore del primato del fare e dell@esperienza, la messa al centro dell@allievo

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come protagonista della propria educazione. Promuove l@antiau-toritarismo, la socializzazione e la collaborazione. Affronta le que-stioni relative alla motivazione ad apprendere. Le teorie legate all@attivismo provengono dall@una e dall@altra parte dell@oceano, da una parte B quella americana B troviamo il pensiero di John Dewey e dei suoi seguaci, dall@altra B quella europea B troviamo le teoriz-zazioni di Decroly, Claparède, Freinet, Cousinet e la Montessori (per citare alcuni dei più importanti teorici e pratici dell@inno-vazione didattica).

Filosofo e teorico dell@educazione (inestimabile il suo contri-buto all@epistemologia pedagogica) è difficile sintetizzare il pensie-ro di Dewey. Egli è stato =il teorico più organico di un nuovo mo-dello di pedagogia, nutrito dalle diverse scienze dell@educazione; lo sperimentatore più critico dell@educazione nuova, che ne ha deline-ato anche le insufficienze e le deviazioni; l@intellettuale più sensibi-le al ruolo politico della pedagogia e dell@educazione, viste come chiavi-di-volta di una società democratica> (Cambi, 2005, p. 51). La sua attenzione è tutta rivolta alla società e l@educazione ha il compito di preparare e formare il soggetto a vivere in essa, ad esse-re attore consapevole, partecipante attivo nei processi democratici (cfr. Dewey, 1959). Uno dei suoi scopi sarà quello di trasformare la stessa scuola in una comunità dove esercitare il pensiero e l@azione =mediante tipi di occupazione che riflettono la vita della più grande società e permeata nel profondo dallo spirito dell@arte, della storia e della scienza> (Dewey, 1949, p. 19). Trasformazioni che metterà in atto nella scuola sperimentale annessa all@Università di Chicago, University of Chicago Elementary School, che fonda nel 1896, or-ganizzata come una vera e propria comunità guidata dal principio didattico del lavoro di gruppo, della cooperazione e dell@esperienza diretta come mezzo verso la conoscenza. Fondamentali saranno la pre-senza dei laboratori, l@esercizio della creatività e il rispetto dei tempi di apprendimento e di sviluppo. Centrale e legato all@importanza del fa-re esperienza è il concetto di lavoro manuale messo in relazione con l@apprendimento delle discipline. Ciò avveniva attraverso la messa in opera di veri e propri progetti da parte degli allievi, i qua-li, così, non ricevevano saperi preconfezionati. Fondamentale per la formazione dell@uomo non saranno solo la formazione del pensiero e lo sviluppo della conoscenza. L@uomo, infatti, raggiunge il suo equilibrio e la sua armonia grazie anche all@arte con la sua capacità di sviluppare l@immaginazione, la creatività, la fantasia. Tutta l@organiz-zazione delle attività e i contenuti disciplinari non devono essere

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mai slegati dal contesto sociale di appartenenza. Dewey assegnerà poi un posto centrale nel suo pensiero didattico-pedagogico anche all@=educazione cognitiva, cioè alla formazione dell@intelligenza at-traverso un curriculum di studi che pone a propria base la scienza> (Cambi, 2005, p. 59). Educazione scientifica che doveva avvenire proprio attraverso il metodo di ricerca delle scienze, che partiva dal fenomeno e dalla sua problematizzazione e che poi attraverso l@os-servazione e la sperimentazione dell@ipotesi giungeva fino alla veri-fica. Il metodo didattico preparato da Dewey è quello ancorato a questi principi.

Non meno importanti saranno i prosecutori del lavoro dewe-yano come Kilpatrick e il suo metodo dei progetti, Washburne e le scuole di Winnetka e la Parkhurst con il piano Dalton. Esperienze che, anche se si posero sul solco del pensiero deweyano, ne amplia-rono la portata e la riflessione lasciandoci, ognuno, un contributo originale.

L@attivismo, abbiamo detto, non si manifesta solo con Dewey e i suoi =seguaci>; importanti teorici, infatti, lasciano il segno nella didattica scolastica anche in Europa. È il caso di Decroly medico e psicopedagogista che attraverso gli studi sulla mente del bambino condurrà ad un ripensamento di tutto il metodo di insegnamento centrato, fino ad allora, sullo sviluppo di un progresso che andava dal particolare al generale. Decroly afferma che la mente del bam-bino ha una percezione generale e indistinta della realtà che lo cir-conda e che dunque l@insegnamento deve seguire un metodo globa-le dal generale al particolare (ad esempio non partire dalle singole lettere o fonemi bensì direttamente dalle parole o frasi). Metodo globale che non doveva mai isolare il bambino dall@ambiente ma porlo sempre in relazione con esso. Egli sviluppa anche la teoria dei centri di interesse: attraverso i suoi studi di carattere psicologi-co e l@osservazione dei soggetti giunge ad affermare che l@uomo e le sue azioni sono guidate da quattro bisogni fondamentali: 1) nu-trirsi; 2) proteggersi dalle intemperie; 3) difendersi dai nemici; 4) lavorare per produrre. Bisogni che devono essere appagati dai pro-cessi di apprendimento e di insegnamento che si deve organizzare attorno a questi quattro =centri>. Così Decroly ancora la didattica a principi bio-psicologici, per il tempo assai innovativi.

Il bambino con i suoi interessi e bisogni fu messo al centro dell@agire educativo anche da Claparède con la sua =scuola su mi-sura>, scientificamente pensata e programmata e sostenuta dall@e-ducazione funzionale. I principi didattico-metodologici fissati da

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Claparède, oltre a quelli già più volte ripetuti nei caratteri generali dell@attivismo, sono: la formazione di classi omogenee per consen-tire uno sviluppo dell@apprendimento altrettanto omogeneo; classi omogenee ma non rigidamente divise anzi, è importante program-mare momenti di relazione e socializzazione con la costruzione di sezioni parallele che contribuiscono allo scambio delle esperienze; l@organizzazione di esperienze mosse dagli interessi dei bambini. In Claparede vi è un grande rispetto delle differenze non solo indivi-duali dei soggetti ma anche legate agli stadi evolutivi della mente dei bambini. Sarà il fondatore dell@Istituto J.-J. Rousseau di Gine-vra che tutt@ora ha un importante ruolo di ricerca e di sperimenta-zione educativa in Europa. L@apporto di Claparède alla didattica avrà al centro fini istanze ancora psicologiche, cognitive e sociali.

Dal punto di vista dell@influenza didattica esercitata dall@Atti-vismo non si possono dimentica Freinet e Cousinet. Il primo inte-ressato a pensare e progettare una scuola per tutti (la scuola del po-polo) mise in discussione l@uso tradizionali dei manuali e dei libri di testo i quali contribuivano a bloccare la creatività e l@interesse dei bambini attraverso uno studio monotono, passivo e già sistema-tizzato a priori. Ad essi oppose il testo costruito direttamente dai bambini attraverso una riflessione sulla loro esperienza e cono-scenza guidata dal maestro; nacque così la stamperia. Freinet parti-va dal presupposto che la conoscenza e l@esperienza infantile pro-gredissero attraverso un insieme di tentativi =a tentoni> denominato tatônnement, pertanto la scuola doveva offrire ai bambini, attraver-so anche una sua organizzazione, le occasioni e le esperienze per accrescere tale conoscenza. La didattica proposta è di tipo collabo-rativo. Così come Freinet anche Cousinet insiste sul lavoro di grup-po. L@educazione da lui proposta è libera e indiretta, organizzata appunto per gruppi dove ognuno può dare il proprio contributo e ricevere sollecitazione dagli altri. Studioso di sociologia, Cousinet diede l@avvio agli importanti studi sulle dinamiche di gruppo che han-no contribuito a ripensare la didattica e l@educazione nel corso del No-vecento.

Non possiamo poi non spendere due parole per la Montessori, illustre rappresentante della pedagogia scientifica non solo italiana. Partendo dalla psicologia del bambino sviluppa un@idea di educa-zione centrata su di esso e soprattutto sulla strutturazione adeguata di un ambiente a sua misura che divenga fonte di crescita. La men-te del bambino è =assorbente>, l@educazione è autoeducazione e au-toapprendimento, che deve essere però guidata in maniera scienti-

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fica dall@adulto (ma mai in modo autoritario). L@attività didattica deve partire dallo sviluppo dei sensi (pensiamo al materiale senso-riale scientificamente pensato e predisposto). La Montessori guardava al bambino come padre dell@uomo, speranza del futuro e soprattutto di un futuro di pace. Le sue innovazioni didattiche hanno profondamen-te influenzato la scuola dell@infanzia e la scuola primaria.

Ci fermiamo qui nel nostro breve excursus sulla pedagogia e didattica dell@attivismo anche se molto altro ci sarebbe da aggiun-gere (così come da citare tanti altri personaggi). Sarà comunque l@attivismo insieme allo sviluppo delle scienze come la psicologia e la sociologia a contribuire alle innovazioni e alle riflessioni didatti-che che condurranno la scuola verso la sua identità attuale. L@Atti-vismo fu una vera =rivoluzione didattica> che ripensò tutto l@agire scolastico e ne rinnovò gli obiettivi e gli strumenti. Oggi spesso trascurato proprio nelle sue =scoperte> più significative: la centrali-tà della motivazione, il fare, la comunicazione in classe, etc.

3. Tra teorie dell’apprendimento e tecnologie dell’istruzione Dal punto di vista delle didattica e della didattica per la scuola

primaria a partire dal secondo dopoguerra si assiste =ad uno svilup-po esponenziale di modelli teorici, anche grazie alle molteplici con-taminazioni interdisciplinari e al rapido succedersi di approcci con-cettuali e proposte operative> (A. Calvani, a cura di, 2007, p. 41).

Le maggiori innovazioni novecentesche in ambito didattico provengono proprio da alcuni principali ambiti di ricerca: la psicologia dell@età evolutiva, la ricerca sui processi mentali; lo sperimentalismo; una sempre più attenta ricerca scientifica in campo educativo. In par-te lo si è visto con l@Attivismo, ma sempre più centrali saranno nel Cognitivismo. Anch@esso una ulteriore =rivoluzione didattica> e as-sai complessa e, per molti aspetti, ancora in corso.

Per quanto riguarda l@ambito della psicologia dell@età evoluti-va tre sono i nomi fondamentali da ricordare: Piaget, Vygotskij e Bruner. A Piaget dobbiamo sicuramente la messa a fuoco dei due processi fondamentali dell@apprendimento: l@assimilazione e l@ac-comodamento, oltre alle tappe dello sviluppo mentale che andranno di riflesso a codificare anche il modo di insegnare e cosa insegnare. La conoscenza per Piaget si costruisce attraverso l@esperienza in-troiettata e fatta propria dal soggetto secondo quei due processi di assimilazione e accomodamento e la strutturazione di nuovi schemi

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cognitivi. =Tutto questo aveva una chiara implicazione sul piano della progettazione e dell@organizzazione della didattica: l@insegnante poteva infatti porsi il problema di che cosa comportasse per i suoi al-lievi il dover affrontare contenuti disciplinari nuovi [...] Le trasforma-zioni delle strutture cognitive avvenivano per l@insorgenza di veri e propri conflitti> (Agosti, Franceschini, Galanti, op. cit., 106).

Vygotskij riconosce, a differenza di Piaget, il contributo che l@ambiente sociale e culturale hanno nei processi di sviluppo del sog-getto a cui lega il suo concetto di =zona di sviluppo prossimale>. Im-portanti i suoi studi sul linguaggio e quelli legati alle facoltà creative ed espressive. Lo psicologo russo consegna alla pedagogia e alla di-dattica =orizzonti decisamente nuovi, per il ruolo attribuito alle com-ponenti sociali, storiche e culturali [...] per la sottolineatura dell@im-portanza dello sviluppo potenziale [...] della correlazione tra sviluppo psicologico, socializzazione e formazione culturale> (Fornaca, p. 160).

Ed eccoci arrivati a colui che più di tutti ha modificato il pen-siero pedagogico e didattico: Jerome Bruner.

Per parlare di Bruner è necessario muoversi contemporaneamente all@interno di tre grandi paradigmi (e orientamenti) teorici: il cognitivi-smo, il costruttivismo e lo strutturalismo. Nato, soprattutto il primo, in opposizione al comportamentismo (e pensiamo solo ad uno dei suoi rappresentanti, Skinner, e alla sua teoria del rinforzo positivo) si svi-luppa in senso interdisciplinare con lo scopo di indagare la mente e i suoi processi messi in relazione all@ambiente e al contesto.

In relazione al complesso pensiero bruneriano ci soffermiamo solo su alcuni punti principali che emergono da altrettante fonda-mentali opere (impossibile sarebbe qui dare spazio a tutto il lavoro e il pensiero bruneriano). Per comprendere non solo il pensiero di Bruner ma anche il movimento che in quegli anni ripensava le que-stioni riguardanti il sistema formativo non possiamo non accennare alla Conferenze di Woods Hole nel 1959, dove pedagogisti, psico-logi e scienziati si confrontano sui temi dell@insegnamento scienti-fico ma anche dell@apprendimento, della didattica, e sulla necessa-ria riorganizzazione del sistema formativo (ritenuto ormai insuf-ficiente e obsoleto rispetto alla società industriale e tecnologica e alle sue richieste). Le riflessioni promosse in tale conferenza ver-ranno pubblicate da Bruner in un testo dal titolo The process of e-ducation che verrà stampato in Italia (nel 1964) con il titolo Dopo Dewey. Il processo di apprendimento nelle due culture. Qui, come il titolo suggerisce, viene messo in discussione il pensiero di De-wey ormai ritenuto superato, e anche, afferma Bruner, intriso di un

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=sentimentalismo> che ha idealizzato il bambino. La necessità e la funzione della scuola, afferma ancora Bruner, sono cambiate: c@è bi-sogno di formare nuovi soggetti capaci di vivere nel mondo in conti-nuo cambiamento e soprattutto =l@educazione deve contribuire allo sviluppo dei processi intellettivi e far sì che l@individuo sia capace di procedere al di là delle forme culturali del mondo a cui appartiene, di essere in grado, cioè, di innovazioni, sia pure modeste, e di crearsi un@interiore cultura personale> (Bruner, 1964, p. 15). Dobbiamo pen-sare che sono gli anni in cui si sviluppano le tecnologie informatiche, dove si assiste alla corsa nello spazio etc. La conferenza di Woods Ho-le è anche il luogo dove prenderà avvio il movimento per il curricolo, che trova una sua messa a fuoco come nuovo modello per apprendere e insegnare nel testo di Bruner Verso una teoria dell’istruzione del 1966. Qui Bruner definisce il curriculum il quale =dovrebbe implicare la padronanza di determinate capacità che a loro volta conducono all@acquisizione di capacità più elevate, al costituirsi di sequenze> (Bruner, 1976, p. 67) La didattica deve legarsi a processi di compren-sione e di scoperta ed è così che egli arriva a definire il curriculum a spirale: le discipline, afferma l@autore, non devono essere trasmesse solo per via nozionistica perchè non sono solo un insieme complesso di nozioni, bensì fonti di conoscenza e il modo per produrre ciò è quello di partire da una base di conoscenze intuitive per poi procedere verso una strutturazione più formale e complessa. Attraverso un si-stema ciclico si ritorna costantemente sui contenuti dei saperi discipli-nari producendo un arricchimento e una crescita delle conoscenze. Ma come ci ricorda nel 1964 l@uomo non ha solo una =mano destra> luogo della razionalità, dell@ordine bensì anche =una mano sinistra> che è fantasia, creatività, immaginazione. L@attività didattica non deve di-menticare questo e deve guardare allo sviluppo del soggetto nella sua complessità (cfr. Bruner, 1968).

Prima di affrontare l@ultimo punto del pensiero bruneriano dob-biamo ricordare che contemporaneamente si affermano le teorizza-zioni relative alle tecnologie dell@istruzione, al mastery learning e al movimento del curricolo.

Le tecnologie legate all@apprendimento si sviluppano in Ame-rica nel secondo dopoguerra con un duplice scopo: quello di ana-lizzare i possibili usi delle tecnologie e dei media ai fini dell@edu-cazione e quello di progettare ambienti di apprendimento di tipo tecnologico. Il primo ad occuparsi di tali problematiche è stato il già citato Skinner il quale cercò di mettere a punto macchine per svolgere esercizi di drill and practice, con la macchina che inviava

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un feedback immediato e un rinforzo positivo poi alla risposta dello studente. Dall@istruzione programmata di Skinner si arriva alle pri-me forme di computer assisted istruction: =le prime forme di CAI si basavano, infatti, sui principi del comportamentismo, special-mente i software drill and practice> (Ranieri, 2011, p. 120). Rivo-luzionerà tale situazione il cognitivismo, il quale ripensando tutto lo stile dell@apprendimento cercherà di sviluppare una tecnologia che svolga una funzione di tutor nei confronti dell@apprendimento del soggetto, stimolando e guidando la conoscenza, non limitandosi a dare semplici informazioni ma conducendo il soggetto a costruire nuove conoscenze partendo dalla risoluzione di problemi.

Un apporto importante alle tecnologie dell@istruzione proverrà anche dal costruttivismo di cui parleremo in seguito (come anche riaffronteremo il tema delle tecnologie).

Passando dunque a guardare al mastery learning, non possiamo dimenticarci della ricerca tassonomica di Bloom e delle teorie di Ga-gné e Guilford. Bloom ci ha lasciato in eredità l@apprendimento per padronanza (mastery learning); siamo sulla strada delle forme di =ap-prendimento individualizzato, ovvero adatto ai ritmi di apprendimento di ogni singolo soggetto, organizzazione e scansione dei programmi in passi e sequenze commisurate alle possibilità dell@allievo, scelta ocu-lata e controllata, ovvero sottoposta a continue verifiche e valuta-zioni, di adeguati materiali didattici, e quindi correzione continua degli errori> (Agosti, Franceschini, Galanti, 2009, p. 133). Il pro-blema che questo autore si pone è quello relativo agli obiettivi cur-ricolari e alla necessità di =regolamentare> l@apprendimento nonché di sviluppare una vera e propria teoria dell@insegnamento. Due so-no gli assunti fondamentali da cui l@autore parte: =l@assunzione che la storia del soggetto si trovi al centro del problema dell@appren-dimento scolastico> e l@ipotesi =che per ottenere un alto livello di apprendimento nei singoli soggetti e nei gruppi, si possano modifi-care sia le caratteristiche degli allievi sia quelle dell@istruzione> (Bloom, 2006, p. 46-47). Bloom crede che sia possibile organizza-re l@apprendimento partendo, così come nelle scienze, da una tassonomia degli obiettivi che si sviluppi in ordine crescente; ad esempio, per quanto riguarda l@area cognitiva individua sei obiet-tivi: conoscenza, comprensione, applicazione, analisi, sintesi e va-lutazione; mentre per quanto riguarda l@area affettiva si hanno: ri-cezione, risposta, valorizzazione, organizzazione, caratterizzazione di un valore (o di un sistema di valori); e non dimenticherà poi neppure l@area della psicomotricità.

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Guilford e Gagnè si occupano principalmente di apprendimen-to e costruiscono entrambi due modelli. Il primo sviluppa =una gri-glia tridimensionale, un parallelepipedo al cui interno vi sono cen-toventi piccoli parallelepipedi determinati dalla combinazione di cinque operazioni, quattro contenuti e sei prodotti> (Agosti, Fran-ceschini, Galanti, 2009, p. 134); le operazioni sono la valutazione, la produzione divergente, la produzione convergente, la memoria e la cognizione; i contenuti sono figurativi, semantici, simbolici, com-portamentali e i prodotti sono unità, classi, relazioni, sistemi, trasfor-mazioni e implicazioni. Attraverso l@incrocio tra questi vari elementi si ottengono le varie esperienze di apprendimento e insegnamento ed è possibile costruire curricoli. Gagné a sua volta dà vita ad un modello gerarchico di apprendimento ordinando, in maniera se-quenziale, le condizioni di apprendimento. Secondo questo autore otto sono i tipi di apprendimento: di segnali, stimolo-risposta, conca-tenazione motoria, concatenazione verbale, apprendimento di discri-minazione, apprendimento di concetti, apprendimento di regole, e in-fine soluzione di problemi. Gagnè analizza anche le fasi sequenziali secondo le quali avviene l@apprendimento: abbiamo così la fase del-la registrazione seguita dall@acquisizione dall@immagazzinamento e dal recupero. Secondo Gagnè =l@atto dell@apprendimento richiede molte preparazioni, che tutte insieme costituiscono ciò che si chia-ma istruzione> (Gagné, 1990, p. 374); nove sono queste azioni/mo-menti che l@insegnante deve compiere per far sì che l@apprendi-mento abbia luogo: 1) attivare e controllare l@attenzione; 2) infor-mare dei risultati attesi il soggetto; 3) stimolare il ricordo delle capacità prerequisite; 4)presentare gli stimoli inerenti al compito; 5) fare da guida agli apprendimenti; 6) fornire il feedback; 7) valu-tare la prestazione; 8) provvedere al transfert; 9) assicurare la riten-zione (Cfr. Gagné, 1990, pp. 354-374).

Le teorie precedentemente descritte sono importanti per la pro-grammazione dell@apprendimento e per la predisposizione dei cur-ricoli, ma la stagione del curricolo, sviluppatasi anche grazie a Bruner, inizia con il modello proposto da Tyler che aveva lo scopo di razionalizzare le procedure relative al processo educativo, curri-colo che con le parole di Pontecorvo può essere definito =organiz-zazione generale, analiticamente precisata, della trasmissione ed elaborazione culturale che si realizza in un corso di studi [...] in-sieme spesso intricato e non chiaramente esplicitato di contenuti di insegnamento, di metodi didattici, di rapporto tra insegnanti e alunni, di organizzazione istituzionale, di orario giornaliero e annuale, di si-

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stemi di valutazione interni ed esterni, di rapporti con gli sbocchi ac-cademici e personali> (Pontecorvo in AA.VV, 1978, p. 81).

Le questioni relative al curricolo e la sua evoluzione sono complesse. Le teorie e le metodologie che lo riguardano sono state (e lo sono tuttora) al centro del dibattito pedagogico, e non solo, degli ultimi cinquant@anni.

4. La didattica e la scuola nella società della conoscenza Tra la fine degli anni Ottanta e l@inizio dei Novanta vi è stata

una forte critica teorica ed operativa nei confronti delle teorie didat-tiche fin allora indiscusse, come quella dei curricoli, ad esempio. Nuove emergenze educative e sociali, il fenomeno della dispersio-ne scolastica in aumento, etc. conducono verso un ripensamento della didattica legata solo alla progettazione e alla programmazione degli interventi di stampo cognitivista che non appare più sufficien-te a garantire il processo di apprendimento tutto centrato sulla tra-smissione e costruzione dei saperi. Il ruolo stesso e le richieste che la società fa alla scuola si modificano, la scuola non deve più esse-re solo un luogo di trasmissione dei vari saperi ma deve promuove-re sì le conoscenze, ma soprattutto deve sviluppare competenze. La stessa didattica riflette su se stessa e sulla propria epistemologia, amplia i propri interessi non concentrandosi più solo sullo sviluppo di metodi e mezzi di trasmissione dei saperi ma rivolge lo sguardo alle forme comunicative e relazionali che si costruiscono all@interno dei processi educativi e punta il proprio interesse sulla stessa organizza-zione degli ambienti e dei contesti di apprendimento ritenuti come fondamentali per garantire un@alta qualità della formazione.

Al centro del tavolo della ricerca didattica troviamo dunque la comunicazione e soprattutto la relazione educativa. Ma anche le nuove esigenze della società richiedono ad essa nuove riflessioni e soluzioni formative, e dobbiamo ricordare a tal proposito la necessità, ad esempio, di pensare una didattica interculturale e un@educazione ai media.

Ritornando sulla strada bruneriana, utilizzata come filo con-duttore per raccontare cinquant@anni di evoluzione della didattica, incontriamo il costruttivismo. Qui siamo di fronte ad un movimen-to figlio di riflessioni avvenute sul piano filosofico e culturale e fi-glio soprattutto delle modificazioni sociali. Siamo negli anni Ottan-ta, vengono messe in crisi le teorie precedenti e si punta alla

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costruzione di un modello interdisciplinare di conoscere con al primo posto la =ricerca e la costruzione del significato>. Viene ri-considerata e ripensata la nozione di conoscenza che viene vista dai costruttivisti non come qualcosa di asettico bensì come qualcosa che si crea e si ricrea continuamente all@interno del contesto (socia-le e culturale) e grazie soprattutto all@esperienza. La conoscenza proviene dunque grazie alla condivisione e alla negoziazione di si-gnificati più o meno condivisi, il soggetto non è mai passivo (cfr. Von Glaserfeld, 1998). Dal punto di vista didattico il costruttivi-smo ha dato vita a modelli e sperimentazioni di vario genere come le comunità di apprendimento, lo scaffolding, il cooperative lear-ning, le metodologie legate al problem solving. Tutte hanno in co-mune la ricerca del significato e la ricerca-azione, dove il soggetto è scopritore della realtà (cfr. Bruner, 1992).

A partire poi dagli anni Novanta emergono nuove esigenze le-gate anche allo sviluppo tecnologico alla diffusione delle reti tele-matiche, dei nuovi media e soprattutto alla società della conoscenza che hanno dato vita a nuove riflessioni della didattica.

Si hanno così nella scuola di oggi nuove parole chiave da tene-re presente per lo sviluppo di una didattica che renda la scuola pri-maria un vero ambiente di apprendimento e di formazione del bambino. Alcune di queste parole arrivano a scuola anche grazie alle riforme attuate a partire dagli anni Novanta (facciamo riferi-mento ovviamente alla scuola primaria italiana).

Autonomia: con la Legge n. 59 del 15 Marzo 1997 e il DPR 275/99 prende il via l@autonomia delle istituzioni scolastiche e de-gli istituti educativi. Tale legge regala ai singoli istituti la possibili-tà di autogestirsi, autorganizzarsi e autoprogettare la formazione e soprattutto l@offerta formativa collocandosi anche come veri e pro-pri punto di riferimento sul territorio. L@autonomia della scuola non è solo =autonomia formale e burocratica. Gestionale e amministra-tiva. No: anche educativa, formativa, didattica. È un@autonomia che produce responsabilità e che sviluppa impegno cognitivo, culturale, programmatico e che reclama un suo costante controllo-di-qualità. Un@autonomia appunto non formale ma sostanziale> (Cambi, 2008, p. 81). Ed è per raggiungere un@autonomia ricca di sostanza che la scuola deve progettare il P.O.F. (Piano dell@Offerta Formativa), il quale rappresenterà la carta d@identità della scuola stessa in quanto mostrerà alla società i propri valori, le proprie scelte culturali e i metodi per promuovere la conoscenza. Ma non solo, il P.O.F. rap-presenta anche una sorta di contratto che l@istituzione-scuola stipula

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con il territorio e la società (in particolare con la famiglia). Al cen-tro del P.O.F. sta di nuovo il curricolo. Inteso non più solo come scansione degli apprendimenti e dei saperi disciplinari (dettati dall@alto attraverso i programmi ministeriali) bensì come progetta-zione in situazione che si muove tra lo sviluppo di competenze e sviluppo di capacità critico-riflessive (per un approfondimento dei temi legati al curricolo cfr. Baldacci, 2006). Altre parole-chiave si intrecciano a queste come quella di progettazione. Progettare =si-gnifica essenzialmente mettere in campo competenze intellettuali, operative, relazionali e tecnico-professionali per tradurre in inter-venti formativi intenzionali una specifica visione del mondo e dell@uomo> (Capperucci, 2008, p. 58). Seguendo ancora Capperuc-ci vediamo come la progettazione nasce dai bisogni e dall@analisi di questi per poi stabilire gli obiettivi (che si distinguono in generali-formativi e specifici) seguito dalla selezione di contenuti e poi dalla scelta delle strategie e delle tecniche didattiche per arrivare alla va-lutazione.

Emerge così anche il concetto di competenza che è ed è stato fonte di ampio dibattito, una sua definizione potrebbe essere quella che ci propone Baldacci =la competenza può essere sommariamen-te definita come la capacità di usare le proprie conoscenze e le pro-prie abilità per raggiungere un dato obiettivo [...]. In altri termini, la competenza consisterebbe nella capacità di padroneggiare (compo-nente mendogena@) una conoscenza e di utilizzarla efficacemente (componente mesogena@) in una certa gamma di situazioni> (Bal-dacci, 2003, p. 33). Ed è in virtù di questo sviluppo delle compe-tenze che si deve muovere oggi la scuola e la didattica e per fare questo deve costantemente muoversi in ambito inter e trans disci-plinare. Conclusasi l@epoca del sapere fisso unico e monolitico, e soprattutto racchiuso nei compartimenti stagni, del sapere discipli-nare, le discipline oggi devono continuamente attraversarsi o ope-rare =sconfinamenti e migrazioni interdisciplinari> (Cfr. Morin, 2000, p. 114). Ciò ha visto un rinnovamento legato alla didattica laboratoriale e all@esperienza come metodologia d@apprendimento, la riscoperta del =fare> e il lavoro di gruppo. La scuola delle com-petenze è fortemente sostenuta nelle Indicazioni per il curricolo per la scuola dell’infanzia e per il primo ciclo di istruzione. La parola d@ordine è =apprendere ad apprendere> (o imparare ad imparare).

L@aria di rinnovamento ha portato anche a pensare e progettare la scuola in un@ottica di continuità verticale e ha visto la nascita e lo sviluppo degli Istituti comprensivi, nati inizialmente per salva-

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guardare la presenza dei primi tre gradi di scuola nelle piccole isole e nei paesi montagna in seguito ai tagli finanziari e come sperimen-tazione di un nuovo modo di fare-scuola (nel 1994) si sono poi dif-fusi su tutto il territorio nazionale. I punti di forza di tale modello scolastico stanno proprio nella continuità come principio anche di-dattico, lo sviluppo di un@articolazione didattica che prevede l@uti-lizzo dei progetti e il profondo rapporto con il territorio.

Abbiamo precedentemente detto come la relazione e la comu-nicazione entrano al centro della riflessione didattica e dell@in-structional design. Vale la pena dunque spendere due parole in me-rito partendo dal presupposto che qualsiasi atto di insegnamento e di apprendimento presuppongono lo stabilirsi di una relazione edu-cativa che passa attraverso la comunicazione. La stessa classe non è semplicemente un luogo ma è un microsistema dove all@interno si stabiliscono relazioni, un sistema fatto di equilibri e disequilibri ma dove i membri sono soggetti portatori di una propria storia e realtà (fatta di interpretazioni, di cultura, di aspettative, desideri). A diffe-renza delle normali forme comunicative (che ricordiamo possono essere verbali o non verbali) la comunicazione intrisa di intenzio-nalità didattica è sia uno strumento, un mezzo ma anche un obietti-vo. Essa parte da una relazione di tipo asimmetrico (non vi è mai parità tra discente e maestro). Le forme della comunicazione didat-tica devono essere adeguate ai soggetti e soprattutto devono essere comprese e =controllate> (anche se mai completamente) da parte dell@insegnante. Non esiste mai una sola forma di comunicazione, e quella che regola la relazione educativa si gioca su più livelli: vi è la comunicazione di nozioni e concetti (comunicazione di informa-zioni), vi è quella pragmatica fatta di gesti, tono di voce, linguaggio corporeo e non verbale; e poi quella che regola tutto il processo re-lazionale, fatta di dialogo e conversazione, =la conversazione rap-presenta il versante etico della comunicazione: è individuale e sog-gettiva, ma è anche sociale e pubblica. Costruisce comunità. In classe la conversazione è un modello di vita. Attraverso le conver-sazioni scolastiche scorrono e si fissano modelli di formazione> (Boffo, 2007, p. 19). Importanti anche per la didattica gli studi sul-la pragmatica della comunicazione (cfr. Watzlawick, Beavin, Ja-ckson, 1971) che rimette al centro delle analisi della comunicazio-ne non tanto l@aspetto dell@informazione scambiata ma le forme relazionali, i comportamenti, i gesti tra e degli interlocutori, cioè tutto ciò che va sotto il nome di metacomunicazione, e che deter-mina l@interpretazione della comunicazione. Bastano solo questi

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brevi accenni per capire quanto le dinamiche comunicative possono influire sull@apprendimento e gli studi che negli anni si sono occu-pati di questo tema mettono in evidenza come le competenze co-municative degli insegnanti determinino la buona o la cattiva riu-scita dell@apprendimento, ma soprattutto determinino il clima all@interno del gruppo-classe. Torneremo in seguito sulle compo-nenti comunicative dell@insegnante.

5. Intercultura, tecnologia e media Abbiamo più volte sottolineato di come evoluzione della so-

cietà e nuovi bisogni abbiamo dato vita a riflessioni pedagogiche e didattiche che si sono via via consolidate modificando il modo di fare-scuola. Due esempi su tutti ci sembrano particolarmente signi-ficativi: la questione dell@intercultura e il rapporto tra educazione, tecnologia e media.

Intendiamo qui il termine intercultura come la possibilità di sviluppare forme di integrazione tra diverse culture in una società già multiculturale. Il termine intercultura implica un@intenzionalità progettuale, fatta di volontà di scambio, di dialogo che valorizzi ogni cultura. Presuppone l@idea e l@impegno a ricercare forme, strumenti, occasioni per sviluppare un confronto e un dialogo co-struttivo e creativo.

La problematica interculturale nasce in Italia negli ultimi ven-ticinque anni come emergenza sociale. Alla radice di questa emer-genza troviamo molteplici fenomeni, tutt@ora in atto (e non solo in Italia): la sempre più forte migrazione di popoli, la globalizzazione, il ritorno del razzismo, la crisi profonda del modello culturale eu-ropeo (Cfr. Cambi, 2001, p. 11). Nasce da tutto questo la necessità B pedagogico-formativa B non solo di accogliere e integrare sogget-ti provenienti da realtà differenti, ma di creare un uomo =nuovo>, un nuovo cittadino, in grado di affrontare e vivere la società com-plessa, dare vita ad una nuova identità ad una nuova forma mentis che sia aperto, dinamico, critico e riflessivo in grado di entrare e uscire, arricchendosi dalle varie culture, un pensiero così come lo definisce Pinto nel suo testo sull@intercultura pensiero migrante (cfr. Pinto, 2002).

Il tipo di intervento che viene messo inizialmente in atto cerca di porsi come mediatore per i problemi che nascono dall@incon-tro/scontro delle culture attraverso soprattutto pratiche sociali e

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scolastiche volte più alla =carità> all@=aiuto> che spinte da una vera e propria riflessione teorica. Si aiutano così i soggetti immigrati ad integrarsi, spesso attraverso processi di assimilazione alla cultura dominante.

A livello di normativa la parola educazione interculturale fa la sua comparsa per la prima volta nel 1990 nella Circolare Ministe-riale n. 205 del 26 Luglio 1990. Questo documento conteneva prin-cipi innovativi: forniva indicazioni importanti per l@accoglienza degli alunni immigrati e nello stesso tempo poneva il tema dell@e-ducazione interculturale per tutti. Successivamente l@educazione in-terculturale appare sempre più spesso nei documenti e negli studi pedagogici. Tra i documenti ufficiali particolarmente importante è la C. M. 73 del 23/7/1994 dal titolo Dialogo interculturale e conviven-za democratica: l’impegno progettuale della scuola. La normativa più recente indica nell@educazione interculturale lo =sfondo integratore> per il piano di offerta formativa delle singole scuole e cercato in vari modi di supportare la diffusione di materiali e progetti.

Entrando nel campo delle strategie operative, necessarie per passare dalle idee alla pratica e alla didattica sono stati delineati quattro possibili percorsi ed obiettivi: 1) attenzione alla relazione, attraverso l@attivazione nella scuola di un clima di apertura e di dia-logo; 2) attenzione ai saperi attraverso l@impegno interculturale nell@insegnamento disciplinare e interdisciplinare, e la revisione dei curricoli; 3) attenzione all@interazione e allo scambio attraverso lo svolgimento di interventi integrativi delle attività curricolari, anche con il contributo di enti e di istituzioni vari; 4) attenzione all@integrazione attraverso l@adozione di strategie mirate, in presen-za di alunni stranieri.

Già da queste brevi note possiamo vedere come nella costru-zione di un progetto interculturale è importante prendere in consi-derazione l@organizzazione del lavoro scolastico in generale e pro-muovere una curvatura interculturale dei curricoli (per tutti e non solo legata alla presenza di alunni non autoctoni).

La scuola è oggi il cantiere dove dar vita a questo pensiero migrante, a questa nuova forma di mentalità. È a scuola che fin dall@infanzia i bambini incontrano le differenze, si confrontano con mondi diversi, imparano l@interazione, la cooperazione. Certo spes-so è anche il luogo dove si sedimentano le chiusure, la svalutazione di ciò che è diverso e dei pregiudizi appresi altrove. Ma è anche il luogo dove si può combattere il razzismo attraverso lo sviluppo di una conoscenza articolata, profonda non solo folkloristica della va-

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rietà/ricchezza delle culture, imparando a vederle come risorse e valori positivi utili a tutti; attraverso la logica del decentramento che stimola l@incontro, abbatte l@etnocentrismo e l@idea che esista un@unica verità; verso il pensiero flessibile, che non spiega, inter-preta e giudica ma comprende. Andando così a creare lo spazio dell@incontro dove si darà vita a relazioni reciproche, fatte di co-municazione e di rispetto.

Nel corso del Novecento si è assistito ad uno sviluppo espo-nenziale della tecnica e delle tecnologie dell@informazione e della comunicazione, che hanno profondamente modificato la società e la quotidianità dei soggetti. Sono stati principalmente i mass-media (radio, televisione e stampa) a condurre tale rivoluzione, irradian-dosi e diffondendosi in tutti gli strati del tessuto sociale, per arriva-re poi allo sviluppo delle tecnologie digitali che oggi costituiscono una vera e propria impalcatura di sostegno nella vita quotidiana (basti pensare all@uso del cellulare o alle possibilità offerte da Internet).

Tutto ciò ha condotto all@emergere di un nuovo modo di pen-sare e lavorare, modificando la società e le sue forme di comunica-zione e conoscenza, tanto che si parla ormai di =società dell@in-formazione>, =società della conoscenza> o anche =società delle rete>. Una profonda trasformazione è stata subita dalle modalità di co-municare e interagire, come si può constatare dalle nuove forme di comunicazione virtuale. Si tratta di una modalità comunicativa che cambia nella =forma> (si pensi alla messaggistica online o via sms) e nella =sostanza> (il continuo flusso comunicativo in cui siamo immersi). La comunicazione mediata da computer, come spiega Calvani, diviene oggetto di ricerca ed è =una comunicazione forte-mente strutturata e condizionata dall@interfaccia tecnologica che, ri-spetto alla comunicazione in presenza, è più limitata sul piano dei fattori para ed extralinguistici che possono essere coinvolti nella comunicazione, ma che mguadagna@ nel carattere ubiquitario, cioè svincolato dai limiti spazio temporali, e nella maggiore flessibilità delle tecnologie d@interazione> (Calvani, 2011, p. 41).

Queste trasformazioni hanno investito anche il mondo dell@e-ducazione. Il rapporto tra tecnologie e processi formativi è ormai di lunga data così come lo è la tradizione della riflessione B non solo pedagogica B sulla televisione e i suoi effetti sull@infanzia. Più re-centi sono l@analisi relativa alla presenza e agli effetti del computer e di internet e lo studio di =oggetti> come i videogiochi o anche i cellulari.

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Storicamente, i primi esempi di impiego delle tecnologie nella formazione risalgono all@invenzione del cinema e della radio, ma bisogna arrivare agli anni @50 del secolo scorso per una riflessione più sistematica intorno all@uso delle =macchine per insegnare> di skinneriana memoria e alla nascita dell@Educational Technology. Dapprima influenzato dagli approcci di matrice comportamentista, l@Educational Technology evolve poi grazie al cognitivismo che guarda ai sistemi computazionali non solo per portare avanti le proprie analisi sulla mente ma anche per sviluppare sistemi intelli-genti (i cosiddetti sistemi esperti) in grado di svolgere una funzione di tutoraggio nei confronti degli studenti attraverso un continuo in-tercorrere di feedback. Il costruttivismo con le sue teorie sull@ap-prendimento collaborativo, considera le tecnologie, in particolare quelle di rete, come risorsa e supporto per la costruzione collabora-tiva della conoscenza. Oggi, poi, come ricorda Ranieri, si pongono nuove domande come quelle provenienti dall@ambito teorico del connettivismo: =si sta facendo strada l@idea secondo cui l@influenza delle tecnologie digitali sull@apprendimento non consista tanto nel migliorare l@apprendimento in sé stesso, quanto nel modificare il rapporto dell@individuo con la conoscenza e l@informazione> (Ra-nieri, 2011, p. 128).

Secondo alcuni autori, la presenza costante dei media e delle nuove tecnologie digitali hanno prodotto anche cambiamenti nei processi e negli stili di apprendimento delle nuove generazioni, co-sì almeno ha sostenuto Prensky, coniando il termine digital natives per identificare i soggetti che nascono e crescono circondati dal mondo digitale e i digital immigrants per coloro che cercano di vi-vere in esso, senza appartenervi fino in fondo (Prensky, 2001). Se-condo questo e altri autori, i digital natives hanno capacità cogniti-ve e necessità differenti dalle generazioni precedenti, che la scuola non sarebbe in grado di comprendere e supportare (se non dotando-si sempre più di strumenti e =saperi tecnologici>). In realtà, le ri-cerche effettuate in quest@ambito non hanno confermato pienamen-te le tesi avanzate dai fautori di queste teorie e lo stesso Prensky (per fare un nome) ha rivisto recentemente le proprie posizioni (Prensky, 2009), slegando la competenza digitale (digital wisdom, saggezza digitale) dall@essere nati o meno nei tempi del digitale; parallelamente, non si hanno risposte lineari sulle questioni riguar-danti l@impatto e gli effetti delle tecnologie sull@apprendimento: quel che è certo è che non basta la tecnologia per produrre maggio-re o migliore apprendimento (per un@analisi accurata su queste pro-

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blematiche cfr. Ranieri, 2011; per l@analisi della competenza digita-le cfr. Calvani, Fini, Ranieri, 2010).

Le tecnologie dell@informazione e della comunicazione sono entrate, dunque, nel mondo dell@istruzione, in tutti i suoi gradi e li-velli grazie anche all@entusiasmo (spesso acritico) che hanno susci-tato alla loro nascita e nei loro sviluppi (una fiducia quasi cieca nel-le loro potenzialità di cambiamento). Ad un entusiasmo =sfrenato> si è fortunatamente accostata anche un@analisi critico-riflessiva che ha dato vita alla =pedagogia dei media> (Calvani, 2011) che si oc-cupa (secondo indirizzi di ricerca teorici diversi) di condurre una costante analisi del rapporto tra media e educazione. La pedagogia dei media si occupa di tale rapporto guardandolo da più piani di-versi: 1) sul come i media influiscano sull@educazione; 2) come e dove utilizzare tali tecnologie; 3) i media come strumento educati-vo. A partire da questi presupposti si sviluppa una ricerca, che si ar-ticola su 2 livelli principali: una legata allo sviluppo della media edu-cation (che si concentra su un@analisi critica dei media, dei loro rischi, abusi etc. e sull@educare ai media); una più metodologica-didattica sull@utilizzo dei media e sull@allestimento degli ambienti di apprendi-mento (legata quindi più alle tecnologie dell@educazione).

La scuola, dunque, anche la scuola primaria, deve lavorare su questi fronti: sviluppare un@educazione ai media e un@educazione con i media (senza entusiasmi facili e inutili).

Anche la normativa scolastica riconosce l@importanza dell@e-ducazione ai e con i media, come si vede ad esempio nelle Indica-zioni per il curricolo, dove si afferma =Nella crescita delle capacità espressive giocano un ruolo importante le nuove tecnologie, il cui sviluppo rappresenta uno dei caratteri originali della società dell@informazione. Esse forniscono nuovi linguaggi multimediali per l@espressione, la costruzione e la rappresentazione delle cono-scenze, sui quali è necessario che lo studente maturi competenze specifiche> (Indicazioni per il curricolo, 2007, p. 48) e spesso ri-corrono (anche nelle indicazioni per le varie discipline) le parole: computer, media, etc. Ciò che si auspica è una conoscenza (e lo sviluppo di competenze) delle nuove tecnologie e del loro utilizzo, ma anche l@acquisizione di una riflessività critica su di esse ed è qui dunque che si ha l@esigenza di attrezzarsi =di una pedagogia e di una didattica rivolta alla critica dei media, che deve leggere la loro struttura, i loro linguaggi, il loro uso sociale, il loro ruolo formativo individuale e collettivo e deve fare di questo sapere-critico-dei-media un settore della formazione scolastica> (Cambi, a cura di, p. 2010).

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Certo è che per fare questo è necessaria una nuova formazione dei docenti, che non trascuri questo fondamentale ambito.

6. L’insegnante tra competenze, ruoli e funzioni Abbiamo visto come la scuola e la classe siano una realtà

complessa. Sono sicuramente ormai lontani B anzi lontanissimi B i tempi in cui si pensava che all@insegnante bastasse avere una buona preparazione di base per entrare in classe. La società di oggi richie-de all@insegnante di essere sempre più un mediatore culturale, sem-pre più un ponte tra il bambino (la famiglia) e la società.

Oggi l@insegnante deve essere dotato di specifiche competenze che vanno da quelle disciplinari a quelle didattiche, a quelle rela-zionali. Deve essere in grado di costruire e gestire =spazi> dove sia possibile dar vita a veri e propri processi di apprendimento. L@in-segnante deve farsi produttore di conoscenze e competenze, in quanto, come ci ricorda anche Damiano, la trasposizione didattica non può ridursi a semplice trasmissione ma è un lavoro che implica costruzione e ricodificazione dello stesso sapere disciplinare che così viene reso vivo e ricco di senso (cfr. Damiano, a cura di, 2007). Le competenze necessarie, seguendo Catarsi, possono essere riassunte in 5 grandi contenitori che vanno, interrelandosi tra di lo-ro, a formare la professionalità docente: 1) competenze culturali; 2) competenze tecnico professionali, 3) competenze metodologiche e didattiche; 4) competenze relazionali; 5) competenze riflessive (cfr. Catarsi, a cura di, 2008).

Le prime sono relative alla conoscenza del tempo che stiamo vivendo, e al contesto di vita di cui gli insegnanti fanno parte. Inol-tre è fondamentale per poter svolgere qualsiasi lavoro educativo conoscere il contesto (inteso sia in senso ampio come società sia come territorio-ambiente in cui si agisce) e la cultura di apparte-nenza (essere immersi in essa). Avere competenze culturali signifi-ca poter condividere e far vivere ai bambini la realtà che li circonda attivamente. Le seconde guardano ovviamente alla necessità di co-noscere e padroneggiare le discipline che andranno ad insegnare. Aggiungiamo anche che per non far rimane un sapere a livello e-sclusivamente trasmissivo l@insegnante dovrebbe aver chiare le basi epistemologiche delle scienze stesse (sia scientifiche sia umanisti-che), i confini, i linguaggi, le logiche, i problemi che caratterizzano le scienze e il loro rapporti con gli altri ambiti del sapere (solo così

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potremmo auspicare una vera e propria scuola inter e trans disci-plinare). Le competenze tecniche e professionali fanno riferimento alle conoscenze relative alle teorie dello sviluppo, ai modelli della mente, alle teorie dell@apprendimento, alle metodologie didattiche e alle tecnologie. Tutto ciò insomma che permette all@insegnante di comprendere i bambini e di agire nel contesto scolastico. Quelle competenze legate alle scienze dell@educazione che si sono svilup-pate e codificate nell@ultimo secolo.

Quando si parla di competenze metodologiche e didattiche non si fa riferimento solo alle tecniche e alle prassi operative ma a quel-le =strategie che sono alla base del lavoro degli insegnanti: pro-grammazione, verifica e valutazione, osservazione e documenta-zione> (Catarsi, a cura di, 2008, p. 18). Competenze queste legate non solo al lavoro in classe ma all@ambiente scuola e alle sue rela-zioni con il territorio (pensando sempre ad un sistema formativo in-tegrato). Abbiamo già più volte parlato delle competenze relaziona-li e comunicative ma dobbiamo ricordare di nuovo come la relazione che si stabilisce tra insegnante e allievo e le modalità co-municative vadano ad influenzare profondamente la qualità del-l@apprendimento (Cfr. Salzberger-Wittenberg, Williams Polacco, Osborne, 1987; Franta, Colasanti, 1991). Essere un insegnante con competenza relazionale significa saper leggere anche le reazioni emotive e affettive messe in campo dall@allievo, così come avere la consapevolezza delle proprie emozioni e sensazioni delle proprie aspettative nei confronti degli studenti (basta ricordare a tal propo-sito l@effetto pigmalione).

Non possiamo poi dimenticare che le relazioni che il docente instaura non sono solo quelle all@interno della classe ma anche quelle con le famiglia e soprattutto con i colleghi, con il dirigente etc. Esistono dunque nella pratica professionale dell@insegnante più tipologie relazionali e creare un clima relazionale positivo è fon-damentale per =star bene a scuola>.

Infine abbiamo le competenze riflessive. Queste permettono all@insegnante di rimettersi sempre in gioco pensando e ripensando il proprio operato, le proprie scelte. Sono le capacità che lo metto-no in grado di affrontare le varie (e spesso complesse) situazioni che gli si presentano nella pratica di ogni giorno, sono ciò che lo rendono capace di migliorare e di ripensare il proprio ruolo. Per comprendere tale competenza possiamo fare riferimento al lavoro di Schön sul professionista riflessivo (cfr. Schön, 1993). Semplifi-cando possiamo riassume affermando che il professionista riflessi-

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vo è colui che riflette costantemente sulle proprie azioni anche mentre le mette in atto e non solo in fasi successive. L@atteg-giamento necessario da tenere per poter essere un professionista ri-flessivo è quello di tipo euristico e soprattutto di ricerca continua. All@interno della teoria di Schön si valorizza l@esperienza passata per modificare quella presente e si fonda la conoscenza di tipo tec-nico scientifico con quella più creativa ed espressiva legata alle ar-ti. Un risvolto interessante dal punto di vista didattico è quello che implica una continua analisi delle proprie pratiche d@insegnamento messe in atto, acquisendo anche consapevolezza di ciò che viene messo in atto in maniera implicita (comportamenti, comunicazioni, stili relazionali ad esempio).

A queste competenze potremmo aggiungerne un@altra, quella deontologica (o forse meglio sarebbe chiamarla consapevolezza deontologica): l@insegnante non veicola, come abbiamo già detto più volte, solo saperi ma anche valori etici e morali. È portatore di valori e deve inoltre partecipare attivamente allo sviluppo etico e morale dei bambini stessi, valorizzando in primis il loro essere persone.

Oltre alle competenze, dobbiamo anche guardare alle funzioni che l@insegnante ha all@interno della scuola e soprattutto nella con-duzione della classe. Siamo in presenza di due livelli: al primo li-vello potremmo mettere le funzioni legate al sistema scuola, come quelle relative alla sua organizzazione e gestione, ruolo più legato alla parte burocratica e normativa. Il secondo livello è quello che lo vede impegnato nella classe e le sue funzioni sono di 1) costruttore dell@ambiente di apprendimento; 2) regista delle situazioni di ap-prendimento a cui dà vita; 3) sostenitore emotivo e affettivo dei soggetti della classe; 4) animatore: sostenitore della motivazione e sviluppatore del coinvolgimento dei bambini nelle attività.

Non possiamo poi dimenticare un aspetto fondamentale della pratica professionale dell@insegnante: la valutazione. Tema com-plesso, è stato a lungo sotto accusa in quanto legato a momenti di classificazione, etichettamento e giudizio degli allievi, strumento (come già ricordava don Milani in Lettera ad una professoressa) di selezione. Ma la valutazione se intesa in senso formativo e non se-lettivo (di controllo) ha un ruolo importante nel processo di ap-prendimento, certo se =intesa come un dispositivo di monitoraggio in grado di accompagnare l@intero processo di apprendimento, evi-denziandone i punti di forza e i punti di debolezza in vista del rag-giungimento di traguardi precedentemente determinati> (Capperuc-ci, 2010, p. 37).

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Esistono vari livelli di valutazione: quella iniziale, volta a co-noscere la reale situazione iniziale in cui si trovano gli allievi e da cui partire per svolgere l@attività didattica; poi, a seguire, abbiamo la valutazione intermedia volta a guardare se e come si sta com-piendo l@apprendimento e infine quella sommativa che viene fatta alla fine del percorso ed è volta a valutare i risultati complessivi raggiunti. Esistono molteplici modalità di valutazione dai test alle prove a risposta aperta o chiusa etc. Quello che ci preme però sot-tolineare è l@importanza di avere da parte dell@insegnante una com-petenza specifica della valutazione (e dei tipi di valutazione) così da renderla un momento non di selezione e giudizio bensì di for-mazione per se stesso e per i suoi allievi.

Tutto questo (competenze, funzioni e ruolo) conduce a quello che è stato definito l@insegnante incoraggiante che promuove una scuola dell@accoglienza (E. Catarsi, a cura di, 2002). L@insegnante incoraggiante è colui che accoglie e dà fiducia all@allievo, che con le sue azioni stimola l@interesse e la motivazione, accresce l@au-tostima e la fiducia in sé del bambino e dà a quest@ultimo sicurezza. È un insegnante autorevole ma non autoritario.

La stessa formazione degli insegnanti della scuola primaria deve svilupparsi attraverso un itinerario che coinvolge non solo l@apprendimento di competenze disciplinari (e pre-disciplinari nel caso specifico della scuola primaria) e didattico-metodologiche ma anche quelle legate all@organizzazione del sistema-scuola (e alla re-lativa normativa) e soprattutto alle modalità relazionali e comuni-cative. La professione insegnante richiede poi, sempre un continuo aggiornamento per stare al passo con i tempi e con la società in co-stante mutamento (basta pensare alla velocità con cui cambiano le tecnologie, risorse indispensabili nella scuola, ma anche l@organiz-zazione e la normativa scolastica), ma anche per poter riflettere sul proprio operato, per riuscire a gestire al meglio le difficili situazio-ni e i problemi che il lavoro quotidiano in classe pone e per fare della scuola primaria un luogo di vera e propria formazione.

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