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mensile di informazione in distribuzione gratuita Ottobre 2010 LA RICCITELLI E I “SUOI” GIOVANI C’È UNA LINEA SOTTILE pag. 06 LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ pag. 10 FRANCO CHIONCHIO pag. 24 n. 66

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mensile di informazione in distribuzione gratuita

Ottobre 2010

LA RICCITELLIE I “SUOI” GIOVANI

C’È UNA LINEA SOTTILE pag. 06

LA RIFORMA DELL’UNIVERSITÀ pag. 10

FRANCOCHIONCHIO pag. 24

n. 66

SOMM

ARIO 3 Scommettiamo che...

4 Berardo Rabbuffo 5 Shop Art 6 C’è una linea sottile 8 ...e c’è una linea ancor più sottile 9 “Dammi del Leo” 10 La riforma dell’Università 11 Margherita Hack 12 Inalienabilmente vostro 14 Morbosamente Sarah 16 Il giro dell’immondo 17 Campà cent’anne 18 L’oggetto del desiderio 20 La Riccitelli e i “suoi” giovani 21 Note Linguistiche 22 Teramo culturale 23 Coldiretti informa 23 Serenità 24 Franco Chionchio 26 Il film del mese 28 Calcio 28 Dura Lex Sed Lex 30 Basket

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di BiagioCoordinatore: Maria Grazia Frattaruolo

Hanno collaborato: Mimmo Attanasii, Raffaello Betti, Giuseppina Bizzarri, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Giovanni Di Girolamo, Elvio Fortuna, Maria Grazia Frattaruolo, Carmine Goderecci, Amilcare Lauria, Bebè Martorelli, Silvio Paolini Merlo, Antonio Parnanzone, Leonardo Persia, Yuri Tomassini, Carla Trippini

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressionedi chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazionené l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche soloparziale, sia degli articoli che delle foto.

Ideazione grafica ed impaginazione: Antonio Campanella

Periodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Carlo Forti, 41/43 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. Gabriele

Organo Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Carlo Forti, 41/43 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930

Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa Bieffe - Recanati

Per la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738

Teramani è distribuito in proprio

[email protected] a

www.teramani.infoè possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

B elén Rodriguez farà parte

dell’ammucchiata del Festival di

Sanremo, una “lama a doppio filo”

(parole sue) che può spedire dritti in

paradiso o precipitarti nella polvere?

Dopo la bestemmia “contestualizzata”

del Premier, la Rai è matura per

“contestualizzare” le ammissioni sull’uso

della cocaina da parte della show-girl, la

bellona diventata celebre nel 2008 per aver

accusato Luxuria – mani a cuneo tra le cosce

– di invidiarle quello che la ex-parlamentare

prima o poi si sarebbe defalcato una volta

per sempre (Wladimiro Guadagno è transgender e non lo farebbe mai). Per

adesso però sta attraversando un periodo

critico, la permanenza in Africa per girare il

cinepattone la obbliga a lunghe astinenze

da cellulari e diavolerie tecnologiche dalle

quali è inseparabile. Sarebbe addirittura

sull’”orlo della pazzia” (anche qui parole sue).

Mamma Rai, preoccupata, fa sapere che

sta lavorando per lei, ormai il gruppone per

la volata finale verso le seratone sanremesi

sta coagulando. Dov’è l’insolito, lo “strano”

in questa vicenda da italietta tamarra che il

pomeriggio del 25 dicembre si accatasterà

nei cinema per sgolarsi l’ennesima boiata

vanziniana? Lo “strano” è che, per un

ammissione del tutto simile a proposito

di stupefacenti, Morgan del talent-trash-

show X-Factor fu piazzato, qualche mese

fa, davanti ad un plotone di esecuzione,

licenziato da Mamma Rai e poi giustiziato.

Sarebbe interessante conoscere, tra l’altro,

quale sia stato all’epoca il pensiero del

“contestualizzatore” mons. Fisichella. La

signorina, che stupidina non è, durante

un’intervista sul set africano ha anche

buttato lì che l’autentico sogno della sua vita

è avere al più presto un figlio e poi recitare

in un film di Pedro Almodovar. Tradotto:

non sono più la spericolata che slinguazza

col pentito tricologico Fabrizio Corona, non

sniffo più, ho smesso di fare gestacci e dire

parolacce in tv e ho scoperto pure il cinema

d’autore. Mi sono ripulita e mi sento pronta,

prontissima, per siglare il contratto d’oro

sanremese. n

3diYuri Tomassini

l’Editoriale

La Televisione

n. 66 • Ottobre 2010

Scommettiamo [email protected]

La nuova destra che

avanza come un

tornado ha Berlusconi

nel suo mirino. La fine

del tycoon-barzellettiere

rappresenta senza dubbio

la consacrazione di un

Futuro senza più i lacci e

laccioli di norme ad azien-

dam, ad personam, norme

insultate spesso, bypassate, violentate, deturpate, azzerate. Un Futuro

e Libertà per l’Italia. Un guizzo d’orgoglio per tanta gente delusa da una

politica fin troppo affaristica che non conserva più l’afflato vitale di una

comunità che dalla base discuta, ragioni, dissenta, proponga. Tutto è

calato dall’alto: nomine, sindaci, ordini imperiali, bolle papali. Fli ancora

non ha un suo “manifesto” anche se Berardo Rabbuffo, consigliere Pdl

alla Regione, prova a tracciare una rotta. Che inevitabilmente parte da

un piccolo regno nell’occhio del ciclone in questi giorni, nei pressi della

curva del tabaccaio.

A scanso di equivoci, come siamo messi a cognati?“Tranquillo. Vede, a Fini per

Montecarlo hanno fatto un’opera

di linciaggio come - con i dovuti pa-

ragoni – a suo tempo fecero a me

prendendo a pretesto le problema-

tiche del traffico”.

Sicché a Teramo abbiamo Il Giornale!?

“Ce ne sono alcuni che apparten-

gono a dei potentucoli locali. C’è un

giornale asservito che, senza avere Feltri al timone, ha fatto opera di

killeraggio nei miei confronti non riuscendoci: ciò spiega la mia elezione

nel listino”.

Metodo Boffo in città?“E c’è stata pure una connivenza all’interno dell’amministrazione

comunale e forse anche del Pdl. Chiodi comunque ufficialmente mi ha

sempre difeso”.

Politica in movimento

Tempi duri anche per le sedi An.“Non lo dica a me, ci ho rimesso di tasca mia qualche migliaio di euro

per pagare l’affitto di Via Oberdan fino a dicembre”.

L’ultima volta che ha parlato con il senatore Paolo Tancredi?“Molto tempo fa, in occasione della formazione della giunta. Non

condivido il modo con cui ha gestito questa provincia: la politica deve

liberare non opprimere”.

Di Zio monopolista tra un hotel, Vicolo stretto ed una Stazio-ne Sud.“Il monopolio non va mai bene, uccide la concorrenza: a Teramo trat-

tammo con una ditta di rifiuti di Sogliano sul Rubicone: avremmo avuto

uno sconto, guarda caso subito dopo Di Zio calò il prezzo pure lui”.

Venturoni?“Ce la farà”.

Il suo futuro e la sua libertà è davvero il suo Futuro e Libertà?“Guardi, sta per nascere un grande partito, uno schieramento capace di

abbracciare tutti i moderati, che si candida a governare in maniera più

adatta ai tempi in un tempo senza più ideologie”.

Del Pdl che facciamo?“Il Pdl è un grande contenitore vuoto in cui attraverso una sequela di

nominati dall’alto non esiste più una dialettica interna. Anche per gli

iscritti non è un bel periodo…”.

Beh, effettivamente lì vedo spesso in giro per il Corso.“Prima salivano

le scale, aprivano

il giornale, discu-

tevano, dicevano

tu hai sbagliato,

tu hai fatto bene,

c’era dialettica,

mentre adesso è

cambiata l’aria,

non c’è più con-

fronto”.

Che cosa si è rotto nel Popolo delle Libertà?“Non sono stato

eletto dal Pdl

ma nel listino di

Chiodi: è lui che

sostengo. In verità

io ho sempre seguito Fini e un PDL senza il cofondatore Fini per me

non ha senso”.

Che le ha detto il Presidente della Camera?“In bocca al lupo. Stiamo formando una nuova figura politica sociale,

liberale, nazionale ed europea: quando inizi un nuovo cammino sei

spaventato però se ti giri indietro giudichi spaventoso il posto in cui eri

ieri”.

Ma diciamoci la verità, non è che è andato via perché non l’hanno accontentata a dovere? Sa, capita spesso.“No, non è questo il motivo, avrei potuto avere di più dov’ero; il reale

motivo è che io faccio le cose per passione, perché credo ancora ad

una politica che ha la gente in mente. Se avessi voluto fare i miei inte-

ressi mi sarei potuto stare buono e tranquillo e attendere, io invece ho

4ott 2010

Un futuro e libertà per Rabbuffo

diMaurizioDi Biagio [email protected]

POLITIC

A

“...C’è un giornale asservito che, senza

avere Feltri al timone,ha fatto opera di killeraggio nei miei confronti non

riuscendoci...”

indossato l’elmetto e sono sceso in battaglia

perché con Fini nasce un’idea nuova su cui

tutti ci metteremo in gioco”.

Capitolo termovalorizzatore: è d’ac-cordo?“Sì, è un ottimo modo per liberarsi dei

rifiuti ma bisogna indire le gare ad evidenza

pubblica”.

Piccolo particolare.“Le gare d’appalto europee sono impre-

scindibili”.

Ma nella sua avventura non c’è perico-lo di fare il carico di scontenti Pdl?“Non è il nostro obiettivo e penso nemme-

no quello dei delusi. Fli non è un ripiego:

bisogna comprendere appieno il messaggio

che è rivoluzionario e non certamente un

discorso localistico per qualcuno che non ha

avuto spazio”.

Ma dovevate imbarcarvi Catone in quest’avventura. La base, quella in formazione, è delusa.“Al pari di altri parlamentari Catone è stato

delegato nella regione dove risiede: tuttavia

questa è ancora una logica in fieri, siamo un

progetto in evoluzione”.

Chi farà parte della compagine futu-rista?“Noi stiamo assistendo ad un cambiamento

epocale, dove si guarda ad un sistema total-

mente nuovo e dove però finora le promesse

sono state disattese. Nel Fli avremo perso-

naggi di tutti i crismi: io vorrei molti giovani,

anche se vengono da altre esperienze, Fli

non è An in sedicesimi”.

An però resta nel cuore“Sono rimasto An dentro. Io sono sempre per

il sociale, per l’ordine, per la trasparenza, tutti

principi che ho sempre cercato di applicare

nella mia vita politica. Il partito è uno stru-

mento: se questo invece diventa un discorso

autoreferenziale e verticistico che tenta ad

escludere, allora che ci stai a fare? diventa

un sistema di potere”. n

“Economia Politica” che stimola arricchisce la città della sensibilità

verso l’Arte e che di conseguenza si fa apripista nella valorizzazione

di tutte le vie del centro, non solo sotto l’aspetto commerciale ma

anche come occasione di incontro tra le persone. Tutto questo sarà

reso possibile grazie alla proficua

collaborazione tra gli artisti, gli

artigiani e i residenti della via,

generando relazioni di solidarietà e

sinergia con tutti i cittadini.

Attraverso performance che hanno

come oggetto la poesia, la musica

e la scultura, ma aperte anche ad

altre forme artistiche in genere,

quindi con la partecipazione di

artisti noti a sostegno di artisti

emergenti Art Shop ridisegna una

nuova identità della via, tanto da divenire un evento unico che ha

come protagonisti non solo artisti e

cittadini teramani ma si fa anche vetrina

per tutti coloro che, provenendo da

altre parti d’Italia, vorranno partecipare.

L’operazione Shop Art di via D’An-

nunzio che tenderà naturalmente ad

allargarsi alle Vie circostanti, come ad

esempio Via Carlo Forti, costituisce

la possibilità concreta di migliorare

la qualità della vita dei cittadini e di

conseguenza dell’intera nostra città. In occasione di Shop Art, Via

D’Annunzio viene rigorosamente chiusa al traffico per l’intera gior-

nata, proprio per consentire una tranquilla e rilassante passeggiata,

immersi nell’arte. Alcuni locali e fondaci, chiusi da troppo tempo,

saranno riaperti e utilizzati come estemporanei spazi espositivi

rallegrati dalle esibizioni di giocolieri e musicisti di strada.

In occasione dell’appuntamento di Novembre, l’atmosfera

sarà resa ancora più accattivante dall’aroma avvolgente delle

caldarroste. n

ott 2010

5Arte in stradadallaRedazione [email protected]

EVENTI Shop

ArtÈ trascorso ormai un anno

da quando, per iniziativa di

alcuni volenterosi facenti

capo a Grazia Ricci, si svol-

ge in Via D’Annunzio una inizia-

tiva che dovrebbe rappresentare

un esempio da seguire da parte di

altre Vie della nostra città.

Shop Art è una manifestazione,

ormai collaudata e consolidata,

nata da un gruppo di artisti, foto-

grafi, artigiani che hanno avuto

l’idea di ubicare il proprio studio-

laboratorio in una via intitolata

proprio a Gabriele D’Annunzio,

uno dei più grandi poeti del ‘900.

Allora perché non rafforzare

l’identità artistica di questa via?

Così è nata Via Gabriele D’An-nunzio Shop Art, con l’intento

di proporre un evento ogni primo

sabato del mese.

Si può tranquillamente considera-

re Shop Art come un evento di

Grazia Ricci

...un evento di “Economia Politica” che stimola

arricchisce la città della sensibilità verso l’Arte e che di conseguenza si fa apripista nella valorizzazione di tutte le

vie del centro...

B rutta storia quella di Sarah Scazzi, la 15enne uccisa e abusata

dallo zio ad Avetrana e il cui corpo è stato ritrovato il 7

ottobre.

Ma brutta storia anche quella di Giovanna, Michele, Giulia,

Simone e Alessandra! Brutte storie quelle di abusi, stupri, incesti e

pedofilia.

E, se pur la parola “brutta” non rende giustizia all’orrore che si consu-

ma nel sottobosco della peggior delinquenza e soprattutto all’interno

delle pareti domestiche, mi limiterò ad

usare tale termine per non cadere nel

volgare.

Adesso però mi stacco dal caso parti-

colare, da cui ho preso spunto solo per

introdurre un discorso ben più ampio, e

sposto il campo visivo all’universale, quindi

non scriverò più della povera Sarah e della

sua famiglia, nelle cui dinamiche familiari

non oserei mai addentrarmi non avendone

il diritto.

Secondo le ultime statistiche, il 70%

degli abusi sessuali sui minori avviene in

famiglia. Le violenze intrafamiliari sono

sempre esistite, anzi, forse un tempo, quando molte famiglie vivevano

in monolocali e si dormiva in 5 o in 6 nella stessa stanza, sicuramente

gli abusi erano più frequenti, solo che allora non se ne parlava. L’era

dei mass-media ha finalmente portato alla luce molto fango e ha

spinto molte vittime a denunciare i loro aguzzini.

Eppure ancora non ci siamo.

Alle soglie del Terzo Millennio abbiamo dei dati sconcertanti (70%!) e

stiamo parlando solo dei dati ufficiali. Se venissero denunciate tutte

le violenze consumate tra le mura domestiche forse la percentuale

salirebbe vertiginosamente. Ma anche volendo attenersi solo alle

stime ufficiali, esse sono comunque troppo elevate.

A malincuore bisogna riconoscere che gli orchi sono dei personaggi

presenti in tutte le epoche, passate, presenti e future. È chiaro che

di loro bisogna parlare in continuazione. Mai abbassare la guardia e

spegnere i riflettori!

In questa sede, però, mi piacerebbe accendere i fari sui complici

dell’orco.

La riflessione è d’obbligo. Se il 70% degli abusi sessuali sui mino-

ri avviene in famiglia, e se la famiglia per definizione è un nucleo

formato almeno da due o più persone, se dunque l’orco (sia esso il

padre, il fratello maggiore, lo zio, il cugino o il compagno della madre)

La televisioneSOC

IETÀ agisce all’interno di un nucleo familiare... è implicito che ci sono

delle persone che si aggirano evanescenti intorno alla vittima e al

carnefice. Individui in carne e ossa che scompaiono come fantasmi.

Esseri umani che respirano ma non emettono suoni. Bocche che si

aprono ma tacciono. Occhi che vedono ma sono chiusi. Orecchie che

sentono ma sono ovattate. In una parola... complici!Mai come in questi casi il silenzio diventa assenso.

Se il mostro agisce indisturbato e trova terreno fertile in un ambiente

familiare, è sottinteso che gli altri componenti della famiglia ne sono

complici silenziosi e omertosi. D’accordo, anche i complici avranno

paura dell’orco, oppure non vogliono rovinare l’equilibrio familiare, o

ancora si vergognano, nascondono e rinnegano una tale mostruosità.

I complici avranno, forse, anche delle attenuanti, ma non dovrebbero

mai dimenticare che sono degli adulti e che, come tali, dovrebbero

prendersi cura dei minori. Soprattutto quando questi minori sono i

propri figli!

Io mi batto sempre sul concetto di “prevenzione”, del quale avrò

sicuramente scritto in altre occasioni, ma non m’importa di essere

ripetitiva, anzi, credo che non se ne parli mai abbastanza. Sono forte-

mente convinta che uno degli aspetti della prevenzione per una sana

crescita psico-affettiva dei ragazzi è data

soprattutto dall’ascolto e dall’attenzione.

È importante ricordare che una pre-

venzione efficace parte da un contesto

educativo familiare e scolastico capace

di dare ascolto al bambino e ai suoi

bisogni, nelle differenti fasi evolutive. La

prevenzione costituisce l’elemento chiave

in tema di abuso sessuale.

Prevenire vuol dire stare un passo avanti,

significa fare in modo che questo dram-

matico evento non si verifichi mai. Signi-

fica innanzitutto favorire e potenziare le

condizioni individuali, familiari e sociali

che proteggono un bambino, ostacolando il verificarsi di un abuso.

Guardare negli occhi i nostri figli, è prevenzione. Ascoltarli, è

prevenzione. Dar voce ai loro bisogni, è prevenzione. Contenere la

loro tristezza, è prevenzione.

Riempire con l’affetto (e non

con i regali) il loro vuoto, è pre-

venzione. Prendersi cura di loro,

è prevenzione.

Altrimenti, come canta Ligabue,

“c’è una linea sottile fra tacere

e subire. C’è una linea sottile

fra star fermi e subire.

Cosa pensi di fare? Da che

parte vuoi stare?”.

Io aggiungerei: “C’è una linea

sottile fra nascondere e acconsentire. C’è una linea sottile fra fin-

gere di non vedere e favoreggiare. TU cosa pensi di fare? TU da che

parte vuoi stare?”.

Cerca di stare sempre dalla parte di tuo figlio. Perché non c’è uomo,

padre, marito, cognato o compagno che sia, che valga più della vita

di un figlio. n

6diCarlaTrippini [email protected]

ott 2010

C’è unalinea sottile

Cerca di stare sempre dalla parte di tuo figlio.

Perché non c’è uomo, padre, marito, cognato o compagno che sia, che valga più della

vita di un figlio.

Cara Titti,seduti tutti intorno alla scrivania del Tuo Direttore abbiamo deciso di scriverti...sono passati quasi due mesi da quando sei andata via ad arricchire il cielo di una luce nuova.Una luce che si è spenta nella squadra Te.Am., che ti ha visto raggiungere tanti obiettivi comuni ma anche tanti tuoi personali: la macchina, il posto fisso, la casa, quanto sono stati importanti per te questi risultati!In questi anni ti abbiamo visto crescere professionalmente con tutta la dedizione e la passione che riuscivi a mettere in tutto quello che facevi, hai sostenuto la Direzione dei Servizi in maniera impagabile fino al prestigioso traguardo del Porta a Porta.Sei stata il cuore pulsante di tutte le nostre serate di tutti i momenti aggregativi, sei stata il colore delle nostre giornate grigie... chi ha morso la vita più di te? Qual è il miglior esempio per noi costretti a continuare il percorso senza di te? Una piccola grande donna che ha trovato sempre le modalità di vivere una vita piena senza né sconti né limiti... “Niente sarà più come prima”.

Grazie Titti

I tuoi Amici della Te.Am.

... e c’è una linea ancor più sottile fra intervistare e interroga-

re. C’è una linea sottilissima fra informare e ingarbugliare.

C’è una linea ultrasottile fra documentare e spettacolarizza-

re. E, purtroppo, c’è una linea sottile come

un capello, fra... sdegnarsi e abituarsi all’orrore.

Attenzione! Noi non ce ne accorgiamo, sempre su

tutt’altre faccende affaccendati, ma lentamente e

subdolamente ci stanno instillando a piccole dosi una

droga letale. I primi sintomi sono indignazione e rac-

capriccio, poi si passa all’estasi con punte altissime

di chiacchiericcio e presunzione di giudizio, infine,

in un decrescendo di emozioni che via via vanno

smorzandosi, si stramazza al suolo affogando in un

mare di indifferenza.

Fortunatamente però, c’è l’antidoto. I problemi di tutti i giorni ci ripor-

tano alla realtà. Fino a quando non avviene un altro caso di violenza.

E allora ci spariamo di nuovo in vena ore e ore di programmi TV dove

esperti, avvocati, criminologi, psicologi, magistrati, vittime e carnefici,

tutti insieme appassionatamente, come in un grande baraccone, facen-

doci credere di avere in mano la verità, preparano una nuova miscela

esplosiva per la nostra prossima dose di “informazione”.

Per carità! L’informazione è sacrosanta. Senza di essa saremmo tutti

degli ignoranti. Ma, quando diventa poltiglia masticata per giorni dai

pescecani... allora si trasforma inevitabilmente in “disinformazione”. Ed

è proprio in quel momento che produce gravi effetti collaterali.

Immaginiamo la scena. Ogni sera un ipotetico soggetto A si sfila le

pantofole, si sdraia comodamente sul divano, aggiusta i cuscini dietro

la schiena, fa un lungo respiro per

allontanare la tensione quotidiana,

si rilassa, impugna il potere (vedi te-

lecomando) e... splash!! Una pappa

informe e oscura, ruminata per ore

da bocche diverse, esce prepoten-

temente dal nostro bel televisore al

plasma nero e lucido.

Allora il soggetto B, che nel frattem-

po si era sdraiato sull’altro divano, esordisce: «Stasera c’è un bel film

su Sky».

A lo interrompe: «Aspetta, scusa un attimo! Fammi sentire cosa dicono

su quella povera Sarah. Oddio! Lo stanno dicendo in diretta che è mor-

ta! Guarda, c’è anche la mamma in televisione. Ma come fa a rimanere

impassibile? Io però l’avevo capito che era stato lo zio!».

La televisioneSOC

IETÀ B: «Anch’io. Ma secondo

me non era da solo?

Anche a portarla in quel

pozzo... non so. E Sabrina

che ruolo ha in questa

storia?».

A: «Mah! Questa storia mi

puzza!».

Diamine! E certo che

puzza!!

Essendo una storia di abu-

so, stupro, omicidio (anzi, omicidio e poi

stupro, in quest’ordine!), pozzo, fango e

melma... già puzzava a prescindere! Fi-

guriamoci adesso, che un tale intruglio

si è mescolato a quella brodaglia che ci

propinano a tutte le ore!

In TV sembrano un branco di cani affa-

mati che rovistano nella spazzatura con la speranza di trovare l’osso

più succolento: la verità. E noi lì, a guardarli mentre si azzannano e poi

fingono di leccarsi le ferite, a tifare per l’uno o per l’altro, a preferire

“Porta a Porta” (incredibile la coincidenza con la raccolta domiciliare

dei rifiuti di Teramo Ambiente, denominata come la trasmissione di

Bruno Vespa, non credete?) a “Matrix” o viceversa.

“Matrix”, d’altra parte, «... è ovunque. È intorno a noi. Anche ades-

so, nella stanza in cui siamo. È quello che vedi quando ti affacci alla

finestra, o quando accendi il televisore. L’avverti quando vai a lavoro,

quando vai in chiesa, quando paghi le tasse. È il mondo che ti è stato

messo davanti agli occhi per nasconderti la verità». (Morpheus a Neo,

tratto da Wikipedia).

Dunque... dicevamo? Ah! La verità!

“La verità è come il vetro, che è trasparente se non è appannato. Per

nascondere quello che c’è dietro basta aprire bocca e dargli fiato!

(“Meno Male”, Simone Cristicchi). Mi piace.

D’accordo, siamo seri! Io presumo che la verità sia ciò che ognuno di

noi crede vero ma che poi, confrontato con quello che dice l’altro, risul-

ta essere falso. Che dite, mi sono incartata? D’accordo, allora diciamo

che la verità è un concetto talmente difficile da incastrare all’interno di

confini delimitati che si potrebbe tagliare la testa al toro e liquidare il

discorso con un bel... “la verità non esiste”! Punto.

Oppure si potrebbe usare una metafora, che sicuramente è più d’effet-

to. Vediamo cosa mi viene in mente... Ecco ci sono!

Cercare la verità è come cercare un assassino dentro una stanza dove

ci sono mille specchi. Tu vedi la sua immagine riflessa in mille posti, ma

non sai quale di quelle figure è reale. Però... c’è un modo per scoprire

dov’è. Basta rompere tutti gli specchi! Alla fine, necessariamente, dovrà

rimanere una sola immagine. Quella vera!

Purtroppo, però, si è fatta l’una di notte e allora B si sveglia sbadiglian-

do e allungando le gambe prima rannicchiate sul divano, urta con una

gomitata A e dice con voce soporifera: «Spegni, va, che domani ci

tocca lavorare!».

A sussulta infastidito e bofonchia: «Non puoi essere più delicato? – poi,

mentre s’infila le pantofole – Ma... alla fine, chi era l’assassino?».

B: «Boh! Tanto... domani fanno le repliche!».

Clic sul tasto rosso. E domani è un altro giorno. n

8diCarlaTrippini [email protected]

ott 2010

“l’informazione”

... e c’è una linea ancor più sottile

E, purtroppo, c’è una linea sottile come un capello,

fra... sdegnarsi e abituarsi all’orrore.

L eo Gullotta apre a Teramo la stagione di Prosa della Riccitelli.

Giubbino blu minimal, da burocrate ai tempi degli alti papaveri

di Mao. Labbra serrate, taglienti, quasi anticipatori di un improv-

viso scroscio di risata. Occhi vispi, farneticanti fino all’inverosi-

mile, due biglie impazzite che rivelano un’anima clownesca repressa

a stento. Ed è in lui, in Leo Gullotta, la possente dicotomia del saggio

che invecchia dentro un corpo profondamente da ragazzino.

Sessantacinque anni, di cui 50 tra film alla Vanzina, commedie

pierinesche e picaresche, cabaret televisivi che hanno accompagnato

due o tre generazioni tra chiappe al vento e pailette, fino ai primi

sdoganamenti di Nanni Loy, il regista iper reality che raccontava tra le

cucine di legno bianco aspra crudezza l’Italia che cresceva, e di Torna-

tore, siciliano come lui che con Baaria e Nuovo Cinema Paradiso lo ha

praticamente nominato cavaliere del lavoro. Passando per Vajont di

Martinelli, per il teatro, fino alla lunga stagione del Bagaglino, 21 anni

per raccontare la lenta agonia della prima repubblica.

“Dammi del Leo” proruppe Gullotta alla presentazione a Teramo della

pièce teatrale “Le allegre comari di Windsor” all’interno della stagione

di prosa della Riccitelli. Lo accennò per fendere quella cappa di occhi

indagatori che lo circondavano. Lo chiamavano Gullottino quand’era

più che uno scricchiolo quasi 14enne al Teatro Stabile di Catania.

Iniziò a prendere confidenza con il sacro fuoco: ultimo di sei figli, in

una famiglia semplice, è comunque cresciuto attorno a dei vari mae-

stri di vita come Salvo Randone e Turi Ferro.

Poi le luci della Capitale con il varietà. S’incupisce quando spesso gli

rammentano che lui è un attore comico, aggettivo che in Italia, al pari

dei giornalisti sportivi, incarnerebbe un sottoprodotto culturale, una

collana Harmony, una sorta di bontempone illetterato che per sbaglio

fa cose da grandi.

“Eh che Jack Lemmon negli Stati Uniti era considerato uno tonto”

sbuffa iracondo dal tavolo, “uno che è stato nel set di A qualcuno

piace caldo ma anche in quello di Missing”. L’arguta doppiezza

siciliana è cara a Gullotta tanto che apre a Pirandello, altro doppio di

un continente colmo di controsensi e doppie chiavi di lettura. “Amo le

trasformazioni” e di fatti la sua vita è una continua trasformazione tra

gli assiti scricchiolanti del teatro e le starlette col numero di telefono

incastonato negli ampi reggiseno a balconcino. Eppure in questo cam-

po come nella vita occorre tanta curiosità. Il tono di voce è impostato,

va e viene, d’arguzia, non è più quello siculo-lancinante del Bagaglino,

ma segue le onde di un solfeggio prettamente melodrammatico.

“Curiosi fino ad attapettarti sul tavolo” così conia un neologismo,

o forse stravolgendo un vocabolo che non ricorda più, come speso

capita alle nostre nonne. Su una cosa è lucidissimo: sui politici italiani

che “sono molto più comici di noi”; “in politica, la stupidità non è un

handicap” fa sue le parole di Napoleone Bonaparte.

A Teramo ha recitato in Le allegri Comari di Windsor interpretando

Falstaff. “Un’opera vivace, di luce” racconta Gullotta, quasi mediter-

ranea nel suo chiacchiericcio insistente e permaloso. Una pièce “che

alla fine non ti farà subito chiedere dov’è parcheggiata l’auto o dove

si va a mangiare la pizza, bensì ti farà godere due minuti pieni di

silenzio meditabondo”.

C’è chi gongola per i 2300 abbonati alla stagione di Prosa della Ricci-

telli. Chiaramente è il presidente Maurizio Cocciolito che in sei stagio-

ni teramane non scorge segni di débâcle, anzi “mentre nelle altre città

si assiste ad un ridimensionamento, vedi anche Il Piccolo di Milano,

qui da noi la stagione ha avuto un aumento di altri 100 abbonati”.

Teramo è una realtà che nel centro Italia, tolta ovviamente la Capitale,

dice la sua, “è sicuramente al vertice”. Unico rammarico è quel contri-

buto regionale, ritenuto da Cocciolito “fondamentale per il prosieguo”,

che quest’anno non è stato all’altezza: “Se continua così non potremo

andare avanti” è il grido d’allarme del presidente.

Leo Gullotta riprende con un cerchio d’amore: “Odio gli spigoli e gli

angoli, preferisco le forme rotonde, anche nelle persone amo le ro-

tondità, nell’essere, nell’agire, del dare”. Chiude così: “Vivi come credi.

Fai cosa ti dice il cuore …ciò che vuoi, una vita è un’opera di teatro

che non ha prove iniziali. Canta, ridi, balla, ama e vivi intensamente

ogni momento della tua vita, prima che cali il sipario e l’opera finisca

senza applausi”. Che fa se le parole sono di Charlie Chaplin. n

ott 2010

9incontri

diMaurizioDi Biagio [email protected]

EVENTI “Dammi

del Leo”

Paolo Di Vincenzo

Comunicazione, Scienza e Società

Musica dal vivo

Gli alumni raccontano

Musica dal vivo

Comunicazione: tra arte, vita e professione

Leo Gullotta

Il Preside della Facoltà

e il Direttore del Dipartimentodi Scienze della comunicazione

consegnano i libretti alle matricole

Spritz di benvenuto

...con la Riccitelli

M entre sto scrivendo la riforma dell’Università sta entrando nel

suo iter conclusivo: approvata dal Senato il 29 luglio scorso

sarà discussa prossimamente in aula. Verrà approvata così

com’è? Verrà approvata emendata? Non verrà approvata a

causa della calendarizzazione in aula?

Che la necessità di una radicale riforma del sistema universitario

pubblico statale sia ampiamente condivisa è incontrovertibile ma che

essa non risponda compiutamente alle esigenze reali e alle aspettative

attese è altresì certo. Alla vigilia della discussione in aula emerge infatti

uno stato di agitazione della docenza e dei ricercatori universitari in

aperto dissenso rispetto alla ratio del DdL 1905 meglio conosciuto come

decreto Gelmini e più in generale rispetto alle politiche economico-

finanziarie di investimento e

di decurtazione delle risorse

umane dell’università quali

vengono perseguite da anni e

il cui progressivo programmato

inasprimento insidia l’esisten-

za stessa della istituzione.

Attualmente il clima è rovente e

nonostante l’ampia discussio-

ne degli ultimi mesi in sede

parlamentare e i numerosi prov-

vedimenti emanati il disegno

di legge di riforma del sistema

universitario allo stato attuale

permane ancora connotato da

molteplici elementi di criticità.

La mobilitazione generale sta

coinvolgendo sempre più gli

atenei (più di 40 atenei, compreso l’ateneo teramano, stanno aderen-

do al rinvio della didattica e la percentuale di ricercatori che si sono

dichiarati indisponibili alla didattica ormai supera il 70%, percentuale

equivalente a circa 10000 ricercatori su 25683) contro una riforma che

penalizza l’università pubblica tagliando i fondi di finanziamento e gli

investimenti sia nella didattica che nella ricerca mettendo a rischio il

diritto allo studio e la qualità dell’istruzione universitaria, e penalizza

L’Università

altresì la figura dei ricercatori universitari non riconoscendo loro in alcun

modo le funzioni di docenza svolta ormai da anni né l’impegno profuso

a livello organizzativo né il ruolo avuto nell’ampliamento, consolidamen-

to e miglioramento dell’offerta formativa.

C’è allora da chiedersi quali finalità e quali obiettivi si sarebbe dovuti

prefiggere un intervento legislativo di radicale innovazione e riorga-

nizzazione del sistema universitario? Solo a volerne individuare alcuni

potremmo elencare l’introduzione di un sistema di valutazione che

consenta di premiare e stimolare il merito scientifico e formativo, la

revisione del sistema organizzativo e di governance degli atenei ormai

inadeguata ai tempi, la revisione dei meccanismi di reclutamento, la

reale garanzia del diritto allo studio, la riduzione del numero dei fuori

corso e il miglioramento della qualità sia della didattica sia dell’offerta

formativa erogata, una migliore collaborazione e integrazione tra il

mondo universitario e la società civile, il sostegno e la promozione della

competitività scientifica e della ricerca.

Orbene tali esigenze di profonda ri-

forma non solo non trovano compiu-

te risposte nell’impianto del ddl ma

sono ulteriormente penalizzate da

una continua contrazione delle risor-

se economiche e dalle conseguenti

limitazioni del turn-over che rendono

di fatto insostenibile non tanto lo svi-

luppo quanto la stessa sopravvivenza

del sistema universitario pubblico

statale. L’essenza dell’Università è la

ricerca e soltanto lo stanziamento di

congrui finanziamenti per lo sviluppo

di una sua seria attività consente

di promuovere un’offerta formativa

idonea a preparare adeguatamente le generazioni future.

Il legislatore italiano va invece in controtendenza per via di una contra-

zione intollerabile delle risorse economiche a sostegno sia dell’intero

sistema sia dei singoli attori che in esso operano. Tale contrazione è

ancora più intollerabile ed incomprensibile se raffrontata con quanto

stanno facendo altri Paesi europei (come ad esempio la Germania) che

contrariamente a quanto si sta facendo nel nostro Paese incrementano

considerevolmente gli investimenti pubblici in ricerca e formazione. La

contrazione delle risorse avrà effetti devastanti non solo sulle attività di

ricerca scientifica istituzionale pregiudicando ulteriormente la competi-

tività del mondo accademico rispetto al panorama internazionale e pri-

vando la società tutta di un indispensabile apporto in termini di sviluppo

tecnologico e competitivo, ma pregiudicherà tragicamente la capacità

formativa degli atenei di fatto limitando fortemente il diritto allo studio

previsto dalla Costituzione.

Quanto alle risorse umane il disegno di riforma è ancor più penalizzante

e sul piano del reclutamento di nuovi ricercatori e sul piano del ricono-

scimento dello status giuridico dei ricercatori già in servizio che sin dal

1980 aspettano un intervento normativo di definizione del loro ruolo.

Sotto il primo profilo la riforma, con l’introduzione del Ricercatore a

Tempo Determinato (siglato RTD), aggraverà ulteriormente lo stato di

precarietà delle nuove generazioni le quali, tra i vari livelli “pre-ruolo”

del Dottorato di ricerca, Assegno di Ricerca e RTD, dovrebbero mettere

in conto oltre 13 anni di precarietà istituzionalizzata prima di approdare

10ott 2010

La riforma dell’Università al traguardo?

diGiuseppina Bizzarri [email protected]

E quale riforma?

L’essenza dell’Università è la ricerca e soltanto lo stanziamento di congrui

finanziamenti per lo sviluppo di una sua

seria attività consente di promuovere un’offerta

formativa idonea a preparare adeguatamente

le generazioni future.

POLITIC

A

N on scriverò dell’astrofisica e divulgatrice scientifica Margherita

Hack, perché basta fare un clic su Google per scoprire che

ci sono circa 310.000 risultati corrispondenti al suo nome.

Non tenterò neanche di abbozzare qualcosa sulla scienziata

e ricercatrice Margherita Hack, perché Wikipedia è sicuramente più

attendibile di me. Non compilerò elenchi sull’attività politica della can-

didata alle elezioni europee del 2009 Margherita Hack. Non narrerò del

passato della sportiva ed ex campionessa di salto in lungo Margherita

Hack. E non mi addentrerò sulle scelte di vita dell’atea, animalista e

vegetariana Margherita Hack.

Perché altri saranno sicuramente più preparati di me in questi campi.

Perché ci vorrebbero pagine e pagine di inchiostro. E poi perché tutte

quelle citate sono solo categorie. Io credo che nessuna persona do-

vrebbe essere incastrata all’interno di una categoria.

Scriverò della persona Margherita Hack. Perché a me piace parlare

delle persone, dei sentimenti, delle emozioni.

Ad esempio, nello scrivere il suo nome, spesso mi sono fatta fregare

dall’emozione e ho scritto “Huck” con la “u”. Sono stata subito ripresa

dagli addetti ai lavori che, scandalizzati, mi hanno richiamato all’ordine:

«Attenta! Guarda che si scrive “Hack”, con la “a”!».

Ragazzi... spero di non aver sbagliato anche qui!

Comunque, tornando a lei, personalmente non ho ancora avuto il

piacere di conoscerla e spero di avere questo onore quando verrà a

Teramo. Però, avendo curato l’editing del libro scritto da lei a quattro

mani con il Prof. Marco Santarelli (“Diario di un incontro”, edito da

Zikkurat Edizioni&Lab), l’ho conosciuta un po’ tramite il DVD dal quale è

partita l’idea dei due autori.

Mi ha colpito la simpatia di Margherita Hack. Il suo accento fiorentino,

la sua capacità di ridere come una ragazzina, la sua dote naturale a

spiegare concetti astrusi (almeno per me, che ritengo che la matemati-

ca non sia la mia opinione!) in maniera così semplice, da farci accende-

re la lampadina in testa ed esclamare: «Adesso ho capito!!».

Mi ha colpito la meraviglia con cui parla delle stelle le quali, forse, dopo

la spiegazione scientifica perdono un po’ di magia, ma almeno abbia-

mo capito di che pasta sono fatte.

Mi ha colpito la sua umiltà, quando dice che «Divulgare aiuta di più chi

divulga che chi riceve la divulgazione. S’impara a capire quello che non

s’è capito. Nello sforzo di spiegarlo, si arriva a capirlo meglio».

Detto da un’astrofisica...

Ed è per tutto questo che attendo con ansia di stringerle la mano. n

a Teramo il 5 novembre

ott 2010

11

ad un posto fisso e depaupererà fortemente i

ranghi dell’accademia. Una siffatta prospet-

tiva infatti rischia di allontanare i giovani più

brillanti dal mondo dell’università scorag-

giandoli dall’intraprendere una “carriera” non

garantita dalla stabilità e minata fortemente

dalla mancanza di risorse che consentano, a

quanti effettivamente meritevoli, di approda-

re ad un traguardo certo e duraturo.

Per quanto riguarda invece i ricercatori con-

fermati a tempo indeterminato – ben 25683

– il disegno di legge di riforma rimuove ogni

loro aspettativa futura di avanzamento di

carriera in un contesto generale che rimane

fortemente caratterizzato da meccanismi

destinati a generare nuovo precariato. Ancora

una volta i ricercatori, pur contribuendo

in modo decisivo all’organizzazione della

didattica nell’ambito della più vasta offerta

formativa dei singoli corsi di laurea, non solo

non vedono riconosciuta la loro funzione

docente ma vengono scippati di un diritto

sacrosanto alla giusta ed oggettivamente

meritata progressione di carriera. Non

viene valutato in nessun conto il fatto che

le ultime riforme succedutesi nell’ambito

del sistema universitario con i passaggi alle

lauree triennali e lauree specialistiche o

anche magistrali sono state rese possibili

grazie al carico didattico che i ricercatori si

sono assunti in uno spirito di collaborazione

e di servizio all’istituzione senza che la legge

li obbligasse su tale versante. A causa di ciò i

ricercatori di oltre quaranta atenei, compreso

l’ateneo di Teramo, non come rivendicazione

di categoria ma nella direzione di una corret-

ta comprensione del problema del sistema

universitario in riforma hanno dichiarato la

propria indisponibilità a ricoprire incarichi

didattici aggiuntivi per l’anno accademico

2010/2011, attenendosi strettamente a

quanto previsto dall’art. 32 del DPR 382/1980,

determinando di fatto lo slittamento delle

attività di apertura dei corsi.

La mobilitazione partita inizialmente dai ricer-

catori si è poi allargata a tutte le componenti

universitarie portando a quel processo di ri-

flessione sulla riforma del sistema universita-

rio all’insegna dei valori essenziali e fondanti

quali la qualità della ricerca e dell’alta forma-

zione come patrimonio irrinunciabile delle

generazioni future. La protesta si è sempre

più ampliata ed estesa; si sono moltiplicati i

dibattiti, le assemblee, le mozioni e si è presa

consapevolezza della necessità di alzare la

voce e di dare contributi utili per i correttivi

al progetto in discussione e per avere quella

riforma che sia in linea con quanto saggia-

mente il nostro Presidente della Repubblica

ha ribadito: “..e io vorrei che fossero salvate

le spese per gli investimenti, per la ricerca e

per l’Università riconoscendo il loro carattere

prioritario”.

Che sia finalmente la volta buona? n

il personaggio

diCarla Trippini [email protected]

EVENTI Margherita

Hack

L a luna che risplende nelle tenebre, gli spiriti, lo specchio

dal responso implacabile; numeri sacri dalla forte carica

simbolica; peccati capitali, gola, lussuria, avarizia, superbia,

accidia, invidia e ira; virtù cardinali, forza, sapienza, giustizia,

temperanza assieme a quelle spirituali, fede, speranza e carità, fin

dalla notte dei tempi, incutono timore e rispetto, generando disagio

e speranza. In mancanza di salde risposte, senza verità concepi-

bili, l’arcano si trasforma in ambiguità. Sorgono forti componenti

motivazionali inconsce che portano a considerare necessaria una

certa proibizione, istituendo divieti e interdizioni, che provocano

imbarazzo, vergogna e insulti.

Così sono stati creati i tabù da infrangere nei reality show. Indignarsi

dinanzi a un programma televisivo, che manda in onda orrore & di-

sperazione come se

fosse una musichetta

dell’autoscontro

col gonzo di turno

seduto a cavalcioni

sopra la spalliera

dell’automobilina e

il mozzicone appeso

sulle labbra, fa parte

della polpetta avvele-

nata che i network ci

buttano dal video per

entrare indisturbati

in casa nostra. Poi ti dicono pure che se non ti piace la minestra che

stai guardando puoi sempre cambiare canale, invece di puntare nel

vuoto il telecomando e lo sguardo per terra.

E allora, ben vengano quelle adrenaliniche puntate della Guerra nel

Golfo; rientrare di fretta la sera per attarallarsi come un cane sul

divano, il panino freddo della mezzanotte stretto in pugno e una

birra calda, perché quelle nel frigo tua moglie te le ha già contate e

per lei la matematica non è mai stata un’opinione.

Che belli i razzi della contraerea, schizzano su nel cielo stellato di

Bagdad come stelle comete; le bombe a grappolo fanno una fonta-

nella colorata che sa tanto di Festa del Patrono de’ Noartri Paraculi,

che ce ne stiamo al calduccio, i piedi sul camino, a rivendicare la

sacralità dell’inalienabile diritto alla Cronaca vera, alla Vita in diretta,

agli Amici di Maria, a Cambio moglie, alla Talpa, alla Fattoria, alla

Sposa perfetta, ai Fatti vostri, al Verdetto finale, a Uomini e donne,

Diritto di cronacaSAT

IRA

a Chi l’ha visto?, alle liturgie di Porta a Porta e alle Confidential

Information di Emilio Fede. Diritto all’informazione che salta sempre

fuori per le corna del tuo amico, ma subito negato se vuoi sapere

di chi è una banca o se l’inceneritore dei rifiuti fa venire il cancro

a chi ci abita vicino. Vai sul 2 ché c’è la moglie di quello che hanno

fatto a pezzi il mese scorso col machete: glielo stanno rispedendo a

pacchetti con la posta celere.

Ehi tu, avvicina quel microfono, non si sentono i lamenti quando

passa il postino! Infrangere un tabù è considerata cosa ripugnante,

degna di biasimo e censura da parte della comunità. Ma visto che

resistiamo a tutto tranne che alle tentazioni, sarebbe utile tenere

bene a mente che non si vive di sola tv. Quando la sera tornate

stanchi dal lavoro, se ancora ce l’avete un lavoro, tirate una carezza

sul muso di vostra

moglie, di vostro

marito, di chi vi si

sopporta e venite

subito alle mani

rinfacciandovi tutto

quanto fin dal gior-

no del matrimonio,

del vostro incontro,

sbattendo a terra

piatti, cristalli e va-

sellame. Trascinatevi

poi sul pavimento

con una sedia senza

gommini per tutta

la cucina. Capirete

allora quanto impor-

tante sia spegnere

il televisore per

restare soli con

se stessi e con un

vicino che vi batte

i pugni sul muro

urlando per tutto il

condominio: «Fatela

finita, stronzi!». n

12diMimmoAttanasi [email protected]

ott 2010

Inalienabilmente vostroporca... Televisione

...Diritto all’informazione che salta sempre fuori per le corna del tuo amico, ma subito negato se vuoi sapere di chi è una banca o se

l’inceneritore dei rifiuti fa venire il cancro a chi ci abita vicino.

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S arah Scazzi. Un nome che non appartiene più ad una ra-

gazzina di quindici anni, ma un nome che in sé evoca mille

orrori. L’orrore di uno zio mostro, forse, di una cugina as-

sassina, forse, di una famiglia complice di segreti scabrosi e

inconfessabili, forse. Di sicuro un nome che evoca mille immagini,

mille telecamere, mille dirette tv, mille copertine, mille giornalisti,

mille opinionisti, mille salotti tv, mille teorie, tesi e opinioni.

Ed ecco allora che il direttore della Rai, Mauro Masi, interviene

invitando le reti pubbliche (dopo quasi due mesi di show!) “ad un

maggiore equilibrio nella trattazione degli ultimi casi di cronaca”.

Ed ecco allora la Palombelli che invia una lettera al Tg5 per scu-

sarsi direttamente con la povera Sarah, per tutto il circo mediatico

macabro che si è creato.

Ma Sarah Scazzi è anche altro. È il volto di mille persone che mor-

bosamente seguono la notizia, ma quale notizia? I pettegolezzi, i

sentito dire, i dettagli più intimi di

chiunque sia coinvolto anche in

modo trasversale nella vicenda.

Se è vero che da un lato esiste

un’informazione “deviatamente

morbosa”, è anche vero che

esiste un pubblico assetato di

dettagli, di immagini.

Ed ecco allora che Sarah Scazzi

diventa motivo per fare una gita

fuori porta. Dove? Ma è chiaro, ad

Avetrana.

Famiglie intere, anche con bambi-

ni al seguito, si sono recate a vedere la casa di Sarah, dove è stata

uccisa Sarah, dove è stata nascosta Sarah. Una sorta di visita mu-

seale: guarda tesoro lì è dove l’hanno strangolata; ah, ecco questo

è il pozzo; bambini state attenti a non cadere; sapete che qui ci

hanno buttato una bambina come voi? Guardate bene tutto, così

se la maestra vi fa fare il tema prendete pure un bel voto! Tesoro

hai fotografato tutto?!

Forse il Grande Fratello e tutti gli altri reality sul genere, han-

no reso lo spettatore spione, bramoso di dettagli, di vedere coi

propri occhi. Ma la casa dello zio Michele non è quella del Grande

Fratello, lì non si è consumato uno spettacolo ma un dramma vero,

un dramma che davvero ha spezzato la vita di una quindicenne.

Profondo Sud

Ma allora perché andare a vedere il pozzo dove è stato gettato il

corpicino di questa ragazzina? Che gusto se ne può trarre? Cos’è

che spinge un individuo ad Avetrana, a Cogne, ad Erba, a Perugia, a

Novi Ligure? Sinceramente non so dare una risposta.

Trovo tutto ciò un orrore nell’orrore, l’informazione a caccia di

dettagli e un pubblico affamato di essi, un circolo vizioso dal quale

difficilmente si esce, se non con un maggior rispetto del dolore, del

privato, dell’intimo, di una minore ricerca del superfluo a vantaggio

di una cronaca vera, pulita, sia da parte dei media che da parte del

pubblico.

Sarah Scazzi, un nome abusato. n

14ott 2010

Quando lo spettatore entra nel film

[email protected]

NACA

diMaria Grazia Frattaruolo

Morbosamente Sarah

Forse il Grande Fratello e tutti gli altri reality

sul genere, hanno reso lo spettatore spione,

bramoso di dettagli, di vedere coi propri occhi.

S iamo tranquilli e sereni. Sereni come il cielo prima del

fulmine; tranquilli e consapevoli delle difficoltà, dei luoghi

comuni e delle contraddizioni cui bisognerà far fronte nella

faticosa trasposizione, in chiave teatrale, di un classico

della narrativa mondiale. Rivisto e manomesso; un’anticipazione

della moderna fantascienza, un romanzo di Jules Verne. Il traslato

è ingenuo. L’allegoria non è sicuramente degna di un romanziere.

Della storia del londinese Phi-

leas Fogg e del suo cameriere

francese Passepartout, che

tentano di circumnavigare il

mondo in 80 giorni, per vince-

re una scommessa stipulata

con i soci del Reform Club,

rimarrebbe ben poca cosa, se

non l’intento di raggiungere

un fine e onorare il proprio

prestigio. In verità, anche per un quattrino

ancora da buttare nella sacca e mettersi

pure sotto le ruote della carrozza un cane

randagio per la fretta di tornare in tempo.

Il casting è mission impossible.

Interpreti improbabili per personaggi di

fantasia con l’incombenza di compiere

un miracolo: riuscire a mettere in scena

uno spettacolo di satira politica,

un’opera da tre soldi sullo smalti-

mento dei rifiuti.

“Il giro dell’immondo in 80 fiducia

nella giustizia”.

Commediola borghese degli

equivoci e brillanti trovate, in cui

lo spettatore non sta nella pelle,

intrigato dalle boutade.

L’equivoco si chiarirà in un im-

pensabile finale, più inverosimile di quelli immaginati durante un

illusorio girotondo di rivelazioni.

La lettura sociale che traspare nel testo si manifesta nei pro-

tagonisti che incarnano il potere e che hanno l’unico scopo di

mantenere la poltrona, scendendo continuamente a compromes-

si, inguaiando e peggiorando una situazione di per sé già troppo

SerenitàSAT

IRA imbarazzante. Tempi comici di

fattura leggera, come in un co-

pione di Feydeau. Uno schema

quasi da pochade. Da segnalare

la strana coppia: il famosissimo

caratterista americano e un

grande del teatro italiano. L’am-

ministratore Joe Viterelli, che

duetta con il principe del foro,

l’avvocato Franco Volpi, in una

memorabile scena dell’assurdo.

Ma per

com-

pren-

dere

meglio

la situation comedy si pensi a un Berlu-

sconi che nomina come proprio difenso-

re Antonio Di Pietro. Roba da matti! La

maggior parte della vena comica è data

dallo slapstick, il linguaggio del corpo;

dal continuo scambio d’identità

e da tante paronomasie: semplici

giochi di parole.

“L’Austria, il cuore verde d’Europa,

è piena d’inceneritori!”, tuona dal

proscenio Checco Zalone, aggiu-

standosi il cavallo dei pantaloni in

una esilarante gag. E giù risate a

crepapelle e fragorosi applausi su

in galleria a sottolineare che da

quelle parti gli unici inceneritori

attivi sono due impianti viennesi e

uno minuscolo a Wels

(http://www.inforifiuti.com/

luogoComune5.html).

La platea regala una

standig ovation a Marco

Paolini, quando questi si

esibisce in un’orazione

pubblica, un sermone

su vivibilità, traffico e

bike sharing, pedalando

sollazzoso verso il par-

cheggio a due piazze del

suo fiammante transatlantico su quattro ruote motrici. A questo

punto non vogliamo svelare altro, se non una fulminante battuta

del primo attore:

“T’avisse a crede che ‘ngh’è tutte ‘lla terre je ce vuje fa l’uje?!”.

Sorry...

Any resemblance to real events and/or to real persons, living or

dead, is purely coincidental

(Qualsiasi riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone reali, vive o

morte, è puramente casuale).

Sipario! n

16diMimmoAttanasi [email protected]

ott 2010

Il giro dell’immondoin 80 fiducia nella giustizia

Interpreti improbabili per personaggi di fantasia con l’incombenza di

compiere un miracolo: riuscire a mettere in scena

uno spettacolo di satira politica, un’opera da tre soldi sullo smaltimento

dei rifiuti.Vincent Schiavelli

Checco ZaloneJoe Viterelli

Meg Ryan

Marco Paolini

Franco Volpi

ott 2010

17La poesia

diGiovanni Di Girolamo [email protected]

SATIRA

Nu jurne da lu mèdeche Giuhuànnepe’ ’nu cunzije, ’nda se dice, jette;

e senza pêrde tempe je dicette:“I’ vulesse, dottò, campà cent’anne!A te, pirciò, te vuje addumannàpe’ ’st’ubbiettive che tiness’a fa”.

Lu mèdeche pe’ ’n’àtteme armanettetra sbalurdite, mute e senza fiate;ma pu’, pensenne ch’ère ’na truvate,ridènne divertite j’arspunnette:“Se fusse cuscì fàcele, Giuhuànne,mô tutte nû campèsseme cent’anne!”

E l’addre: “Scì, dottò, queste lu sacce;e i’ ci-ajògne pure: nda vo’ Ddije!Ma quelle che ti cerche è ’nu cunzije:diche, currêgge ’mpo’ quelle che facce,li cose che i’ sbaje a ffà, li vizieche tinghe pure, e mêtte cchiù judizie”.

Lu mèdeche s’arfìce serie, e appresse,come vulesse stâ nu ccò a lu joche,sbuttò: “Care Giuhuànne, mbè, ’nu pochelu fume t’hî lascià: pecché ggià quesse– e te lu spièghe se nn’hî mai capite! –t’accorce de dicianne e cchiù la vite”.

Giuhuànne lu ’rguardò ’mpo’ de traverse,annazzecò la cocce, e pu’ je fice:“Dicianne pe’ lu fume, tu me dice!?...’Mbè i’, dottò, chiss’anne nnì so’ perse;anze, dicesse manche ’nu minute,pecché ’ssu vizie mai lu so’ tenute”.

’Mpo’ hitticàte e ’mpo’ soprappenzìrelu mèdeche sturciò la vocche, e appressediciò: “Brave, Giuhuànne, nnì ’nu fesse!Però te diche: attente a lu bicchîjre:sbuddille spesse è grave, ca lu vinete fa ’rvintà lu fèteche farine”.

“Lu vine, dice?... – j’arspunnò Giuhuànne,nghe ’nu mezze surrise su la vocche –s’è pe’ quesse la morte a me nen tocche,

e i’ campesse pure dducent’anne:ca mai lu so’ sentite lu saporeche te’ lu vine, oppure addre liquore”.

Mezze annuiate e mezze spazientite,lu mèdeche arbijò: “Tu... giuvinottemô cchiù nen si’: pirciò da mezzanottete t’hî da cumincià ffà ’na durmite”.“Dice bbone, dottò – scì bbenedette! –ma i’nghe li hallìne vaje a llette”.

Mô quasce mpo’ lu mèdeche s’arràje,ma nghe ’nu tone affàbbele je dice:“Sapème tutte che ce fa felice’lla cose: ma pe’ scungiurà li huàjenghe ll’anne che t’hî tu, ce da iî’ piane;diche, mpo’ da li fèmmene luntane”.

E qua Giuhuànne: “Ma, dottò, che vvu’?Nghe ’ssa cose che dice, a lu passateggià poche vodde ce so’ pazzijàte,e mô è dicianne che nce joche cchiù!”E lu mèdeche: “Allore tu, Giuhuànne...ma pe’ che cazze vu’ campà cent’anne?”.

Traduzione

Vivere cent’anniUn giorno dal medico Giovanniper un consiglio [consulto], come si dice, andò; e senza perdere tempo gli disse:“Io, dottore, vorrei vivere cent’anni.A te, perciò, vorrei chiederti per quest’obiettivo cosa dovrei fare”.

Il medico per un attimo rimasetra sbalordito, muto e senza fiato;ma poi, pensando fosse una trovata [uno scherzo] ridendo divertito gli rispose:“Se fosse così facile, Giovanni,tutti noi ora camperemmo cent’anni”.

E l’altro: “Sì, dottore, questo lo so;e io ci aggiungo: come vuole Dio!Ma quello che ti chiedo è un consiglio:dico, correggere un poco quello che faccio, le cose che io sbaglio a fare, i vizi

che ho pure, e mettere più giudizio”.Il medico si rifece serio, e quindi,come volesse stare un poco al gioco, sbottò: “Caro Giovanni, ebbene, un pocoil fumo lo devi lasciare: perché già quello – e te lo spiego se non l’hai [mai] capito –ti accorcia di dieci anni e più la vita”.

Giovanni lo riosservò un po’ obliquo,dondolò la testa, e poi gli fece:“Dieci anni per il fumo, tu mi dici!?...Ebbene io, dottore, questi anni non li ho persi; anzi, direi neppure un minuto,perché questo vizio non l’ho mai avuto”.

Un po’ sconcertato [come trasalito perla risposta] e un po’ soprapensieroil medico storse la bocca, e appressodisse: “Bravo Giovanni, non sei uno stupido!Però ti dico: attento al bicchiere:vuotarlo spesso è grave, in quanto il vinoil fegato te lo fa diventare farina”.

“Il vino, dici?... – ribatté Giovanni,con un mezzo sorriso sulla bocca –se è per questo la morte me non tocca [non mi sfiora]e io vivrei pure duecento anni,poiché mai ho sentito il saporeche ha il vino, oppure altri liquori”.

Mezzo annoiato e mezzo spazientito,il medico ricominciò: “Tu un giovanottoadesso più non sei: per-ciò a mezzanotte devi cominciare a farti una dormita”.“Dici bene, dottore, – che tu sia benedetto! – ma io con le galline vado a letto[all’ora in cui si ritirano le galline]”.

Ora il dottore quasi un po’ si arrabbia,ma con un tono affabile gli dice:“Sappiamo tutti che ci fa feliciquella cosa: ma per scongiurare dei guai,con gli anni che tu hai, ci devi andare piano; dico, un po’ lontano dalle donne”.

E qua Giovanni: “Ma dottore, che vuoi? Con quella cosa che dici, nel passatogià poche volte mi ci sono divertito,ed ora sono dieci anni che non ci gioco più!” Ed il medico: “Allora tu, Giovanni...ma per che cazzo vuoi vivere cent’anni?”

Campàcent’anne

C on il termine “avorio” si indica il materiale organico che pro-

viene dai denti incisivi superiori dell’elefante. La convenzione

di Washington del 1973 per la regolamentazione del commer-

cio internazionale di specie in via di estinzione ha stabilito

precise direttive internazionali per impedire il bracconaggio e lo

sterminio degli elefanti, perciò questo materiale si avvia a diventare

il simbolo di una epoca scomparsa. La sua esportazione è vietata e

dunque, ciò che si trova legalmente

sul mercato, in realtà proviene soprat-

tutto da zanne fossili di mammuth o

da quelle d’ippopotamo, del narvalo,

del rinoceronte, del capodoglio. Può

essere prelevato legalmente da ani-

mali abbattuti

perché vecchi e

malati o morti

naturalmente,

l’avorio arriva

perciò da tutti

i paesi africani

con savane e

branchi di ele-

fanti (Tanzania,

Mozambico,

Gabon, Zaire,

Kenia, Ghana),

ma anche

dalla Birmania

e dall’India.

Qualunque sia

l’origine, l’avorio

è un materiale

che tende ad

indurire, disi-

dratarsi perché

è poroso, e a

corrodersi a

contatto con so-

stanze chimiche

anche semplici come il profumo o le creme di bellezza.

Deve essere stoccato con cautela e in buone condizioni climatiche:

aria secca, fresca e al riparo dalla luce, precauzioni che valgono

L’Oggetto del DesiderioPRE

ZIOSITÀ

anche per conservare gli oggetti e gli ornamenti ottenuti con la

sua lavorazione.

Di colore bianco crema, tendente al miele o al bruno, l’avorio si

presenta a grana finissima

con un motivo di venature

traslucide e di cerchi

concentrici, ognuno dei

quali è spesso circa un

cm e rappresenta sette

anni di vita dell’animale.

Questa caratteristica,

visibile a occhio nudo, è

ciò che distingue l’avorio

vero da ogni sua possibile

imitazione. Materiale

tenero ed elastico, può

essere intagliato e inciso

molto facilmente con tec-

niche simili a quelle della

lavorazione del legno; ogni

oggetto viene poi lucidato

con l’olio che dona una

patina lucida e gradevole,

mentre per mantenerlo

pulito è sufficiente acqua e sapone. Per la sua scarsità ha numerosi

sostituti e imitazioni: “la polvere d’avorio” si ottiene con gli scarti di

lavorazione fusi con un collante dello stesso colore, “l’avoriolina” è

un materiale plastico a base di celluloide al quale si è perfino riusciti

a dare le venature traslucide dell’avorio vero, il corozo è il seme di

una pianta africana, detto anche “avorio vegetale”. L’avorio è un

materiale amato e utilizzato fin dagli albori della civiltà, con cui sono

stati creati oggetti di ogni tipo come collane e bracciali, scettri e

spade, statuette religiose, ombrelli, scatole, intarsi per mobili, pettini

e tabacchiere. n

18diCarmine Goderecci [email protected]

ott 2010

L’Avorio

L’avorionell’età vittoriana

Igioielli che caratterizzano il lungo re-gno della Regina Vittoria in Inghilterra (1834-1901) sono generalmente denomi-

nati “sentimentali” perché, attraverso la raf-figurazione di oggetti e figure reali, vengono rappresentati simbolicamente i principali sentimenti: così il cuore rappresenta l’amore, la mano l’amicizia, il serpente l’eternità, il nodo è simbolo di unione, l’angelo della protezione divina.I pendenti, le spille, i collier, le parure e i bel-lissimi bracciali intagliati in un unico pezzo d’avorio, si ispirano anche al repertorio na-turalista, ricco di rose, fiori, foglie, grappoli d’uva, mazzi di fiori e cestini. È proprio nel tardo Ottocento che l’arte di intagliare l’avorio raggiunge l’apice della perfezione. Molto spesso questi gioielli era-no imitati usando l’osso, assai meno costoso ma che ingiallisce velocemente e non ha la stessa consistenza e lucentezza dell’avorio.

A bbiamo trascorso una intera giornata presso la sede della

Riccitelli e quello che ci ha colpiti è stata la numerosa pre-

senza di stagisti della Facoltà di Scienze della Comunicazione

dell’Università di Teramo e della Luiss di Roma che collabora-

no alla organizzazione degli spettacoli Ve ne raccontiamo l’attività.

Sono giovani, belli, pieni di entusiasmo e determinati. Sono il segno

dei tempi, interpreti vitali di una realtà ancora non contaminata dal

degrado intellettuale, portatori sani di idee, moderni, a volte un po’

geniali a volte un po’smarriti, sostenitori delle più avanzate tecnolo-

gie ma ancora indifesi di fronte alla vita e alle sue complessità. Sono

i giovani della Riccitelli, un gruppo nutrito e motivato di laureati e

laureandi protagonisti attivi di stages formativi grazie a un accordo di

convenzione con la Facoltà di Scienze della Comunicazione dell’Uni-

versità di Teramo, a cui si è di recente aggiunta Emanuela, l’ultima del

gruppo, diplomata in copy editing al corso Nuovi Giornalismi organiz-

zato dal settimanale Internazionale e dall’Università Luiss di Roma e

arrivata alla Riccitelli su richiesta di convenzione, sempre per stage

formativo, della Luiss stessa.

Gli leggi in faccia tutta l’intraprendenza dell’età, la voglia di dimostra-

re quello in cui credono ma anche di credere in quello che vogliono

Istituzioni cittadine

dimostrare. Hanno negli occhi quell’integrità e quel sano integralismo

che l’età ancora gli concede, lusso che a vent’anni ti è consentito ma

che si dovrebbe avere sempre senza timore di etichettature, quando

invece dalla dimensione del bianco e nero passi alla consapevolezza

del grigio e poi all’accettazione delle infinite sfumature di grigio.

Loro, alla Riccitelli, sono entrati come un ciclone, non conoscono

stanchezza, non si pongono limiti, non si tirano indietro, e passano dal

rispondere al telefono al ricevere gli artisti, da una conversazione in

inglese, purtroppo sempre un po’ stentata, alla macchina fotocopia-

trice, dall’organizzazione dell’evento al controllo di un posto a teatro.

Non guardano mai l’orologio, se serve arrivano molto presto e non

glielo devi mai chiedere o ricordare, lo capiscono e lo fanno, restano

ben oltre l’orario concordato, e la mattina diventa l’intera giornata,

uno spuntino veloce in una delle

stanze dove si consuma una originale

pausa pranzo che diventa momento di

incontro, di scambio, di battuta e dove

ogni argomento diventa possibile e

familiare, dal lavoro alla famiglia allo

studio, dalle prospettive alle speranze,

dalle ambizioni alle relazioni affettive

che diventano amicizia tra loro e tra

loro e gli altri della Società.

Così, si insegna loro come muo-

versi nel mondo dello spettacolo e

della comunicazione sfruttando le

competenze e le conoscenze che

hanno maturato nel corso di laurea, e loro insegnano come si può

fare cultura parlando anche il linguaggio dei giovani, come mantenere

la freschezza dei principi, come fare comunicazione sfruttando le

tecniche più aggiornate e di più immediata efficacia.

Ci si diverte, ci si diverte molto anche quando non tutto fila liscio,

quando un errore sembra compromettere il lavoro di giorni, quando

un contrattempo rallenta l’urgenza di un compito da portare a ter-

mine, quando l’obbiettivo da raggiungere ti sfugge ancora una volta

di mano. Ci si diverte, ovviamente, quando Elena si rovescia il caffè

addosso e macchia irreparabilmente il documento che ha in mano,

quando una ordinazione al bar che deve alleggerire un pomeriggio

pesante diventa senza volere la parodia della consumazione al

ristorante del film “Harry ti presento Sally”, lì nella deliziosa interpre-

tazione di Meg Ryan, qui nell’altrettanto deliziosa e ancor più indi-

menticabile performance di Danilo, ci si diverte quando si arrabbiano

e litigano tra di loro come vecchie comari e si deve trovare il modo

di addolcire il viso contratto di Maica che sembra sempre intenta in

questioni di vitale importanza.

E forse è proprio questo a fare la differenza, il senso dell’impegno,

l’assunzione di responsabilità, l’imperativo nel voler far bene senza

scuciture, e non glielo devi insegnare, scopri che loro lo sanno già

naturalmente e semmai gli devi dire ora basta è ora di andare.

Sono entrati alla Riccitelli come stagisti, sono diventati suoi compagni

di viaggio, quasi figli da accompagnare con garbata discrezione e con

l’occhio benevolo del genitore saggio. Il futuro è aperto davanti a loro,

la ricerca, difficile del lavoro, di una dimensione sociale. Una famiglia,

forse, il trasferimento in altre città, forse. E, magari, con un pezzetto

di Riccitelli nel cuore. n

20 [email protected]

ott 2010

dallaRedazione

La Riccitelli e i “suoi” giovani

Gli leggi in faccia tutta l’intraprendenza dell’età, la voglia di

dimostrare quello in cui credono ma anche di credere in quello che vogliono dimostrare.

T ra i linguaggi settoriali, quello politico è

senza dubbio, il più difficile da compren-

dere, il più complesso, il più ricco di parole

e, se talvolta cerca di essere persuasivo

per convincere il pubblico a dare ragione a chi parla, quasi sempre si

rivolge ad un uditorio scelto e ben preparato nella politica. Per portare

qualche esempio, il linguaggio politico si serve di parole e locuzioni come

monocolore, tripartito, revisionismo, aperturismo, vertice, quadro, centro,

centrismo, centralismo, centralità, carrozzone ministeriale, governo

fantoccio, cane sciolto, spinte centrifughe, scavalcamento a sinistra,

governo balneare, governo d’attesa, semestre bianco ecc.

Nella pratica, ogni parola può avere un uso politico ma, per la formazione

del vocabolario politico, ci sono delle costanti che illustrerò brevemente!

- la suffissazione in –ismo di molte parole comuni: laburismo, centri-

smo, possibilismo, frontismo, verticismo, isolazionismo ecc…;

- l’oggettivazione derivata da nomi propri: statalista o statalismo,

fanfaniano, craxiano moroteo (da Moro) ecc;

- la formazione di verbi in –izzare: sindacalizzare, liberalizzare, neu-

tralizzare, fascistizzare ecc…;

- il ricorso ai prefissi anti – contro – extra – ultra – cripto – pseudo –

super – ecc…: antiliberale, controrivoluzionario, controriformista,

extraparlamentare, criptocomunista, pseudo liberale, supernaziona-

le, ecc…;

- il ricorso ad altri lessici speciali come il lessico della geometria o

della fisica da cui sono derivate parole e locuzioni come vertice

(incontro al vertice), arco (i partiti dell’arco costituzionale), equidi-

stanza (equidistanza dei partiti estremisti), dinamica (dinamica dei

partiti) e quello militare come “politica di accerchiamento”, stato

d’assedio, tregua, franco tiratore, contromanovra, aggiramento, fare

quadrato, rettificare il tiro ecc…

Nel linguaggio politico figurano anche numerose parole tratte dalla lin-

gua latina come “referendum” che viene dal verbo referre (rispondere)

e significa “da rispondersi”,: il referendum è, infatti, un invito a pronun-

ciarsi mediante votazione su questioni di interesse nazionale; plenum

(pieno) è la riunione plenaria di organi statali o di partito; ad interim

(frattanto, nel frattempo) significa il periodo di tempo che intercorre

fra il momento in cui un soggetto cessa dall’esercizio di determinate

funzioni e il momento in cui avviene l’assunzione delle funzioni stesse

da parte di un nuovo titolare, ecc… n

ott 2010

21Note linguistiche

a cura diMaria Gabriella Di Flaviano [email protected]

«Avvocà! Voglio la separazione

sessuale da mia moglie!»

CULTUR

A

Il linguaggio politico

«Gli italiani amano la danza, ma spesso non sono disposti ad

andare in teatro per vederla». Con queste parole Robert

North, uno dei maggiori coreografi viventi, intervenendo

due anni fa a un convegno a Teramo, sottolineava un punto

dolente dell’attuale situazione della danza in Italia. Più di recente, sulla

rivista “Danza è Cultura”, organo dell’Associazione Marchigiana Scuole di

Danza, il sovrintendente del teatro di Fano ha rivolto un lungo scon-

solato appello alle scuole di danza locali affinché seguano le iniziative

che il teatro, assieme ad altre istituzioni artistiche del territorio, cerca di

promuovere nel campo della danza. Non ci vuol molto, a uno sguardo

attento, per capire quanto i due fenomeni siano strettamente correlati.

Ma partiamo dal secondo caso.

Cosa sono, nella loro quasi totalità, le nostre attuali scuole di danza priva-

te? Sono, ormai da un quindicennio, associazioni sportivo-dilettantistiche

affiliate a una serie di organismi nazionali, per lo più del tutto estranei alla

danza come tale, ovvero come forma d’arte autonoma. Queste affiliazioni

garantiscono alle associazioni una notevole gamma di agevolazioni fiscali,

divenute nel frattempo sempre più necessarie

visto il prolificare di balzelli e l’aggravio dei

costi di gestione. Fenomeno non casuale,

dovuto sia a una politica di liberalizzazione

selvaggia che a un fenomeno diffuso di com-

mistione tra pubblico e privato. Ecco dunque

coniate terminologie finora impensabili, per lo

più senza senso, come “danza sportiva”, “dan-

za atletica” e via dicendo. La subordinazione

alla categoria delle attività agonistico-motorie,

l’esplicito riferimento al mondo della pratica

amatoriale, ha di fatto provocato un’assue-

fazione generalizzata all’abbinamento automatico fra danza e svago, e

il conseguente decadimento della danza ad attività ginnica, ricreativa e

ludica. Nulla di grave, in fondo, salvo che in questo modo l’arte sparisce.

La danza “d’arte”, come si intendeva una volta la danza della grande tradi-

zione occidentale, cede il passo alla moda, al conformismo, all’esteriorità,

all’incultura. È inoltre da tempo consolidata anche a Teramo la consuetu-

dine che, per l’intero mese di giugno, si svolga la rassegna dei saggi di fine

anno delle ormai numerosissime scuole di danza e di ballo, rassegna che

temo in città molti scambino per una sorta di festival del balletto. Fatto sta

che, coinvolgendo a vario titolo familiari e amici ed essendo per lo più a

ingresso libero, in quei casi il teatro è strapieno. Che si tratti di un interesse

sincero per la danza, naturalmente, è secondario. È un problema – a dirla

tutta – che nasce da lontano, e che risale quantomeno al provincialismo

italiano d’inizio secolo, allo stagnante manierismo di coreografi umbertini

Teramo culturaleCUL

TURA come Luigi Manzotti, all’ingerenza monopolistica dell’Accademia Naziona-

le di Roma, fortemente autoritaria e poco propensa al rinnovamento, alla

reazione drastica e libertaria degli anni Ottanta, sino ad arrivare alla totale

disapparizione di oggi. Non so quanti fra i lettori abbiano preso coscienza

che la danza d’arte è letteralmente

sparita dai palinsesti televisivi italiani

da almeno vent’anni, che nessun

quotidiano nazionale ne parla più,

che le sole produzioni di danza che

richiamano l’attenzione dei media

sono quasi esclusivamente musical e

talent-show, che il maggiore dei nostri

teatri di tradizione, La Scala di Milano,

programma in media sei spettacoli di

danza l’anno contro i circa venti dei

restanti teatri d’Europa. Purtroppo,

sembra davvero di essere tornati

indietro di cinquant’anni. Come ai

tempi bui della guerra e della forzata

omologazione sociale, il neoavanspet-

tacolo spopola e detta legge. Non c’è

da stupirsi, perciò, del fatto che i talenti espatrino, che le poche compagnie

di alto profilo annaspino, che le scuole di danza siano sempre meno luoghi

di formazione e di ricerca e sempre più vivai di esibizionismo approssimati-

vo e privo di sostanza, che il pubblico sia sempre più diseducato alla danza

d’autore. Quattro anni fa, dopo lunga gestazione, nasceva il progetto per

una stagione abruzzese di danza internazionale. Non avendo precedenti,

il progetto veniva baldanzosamente presentato dal sottoscritto a L’Aquila

e sottoposto al vaglio dei dirigenti delle massime stagioni di L’Aquila,

Pescara, Teramo e Sulmona. Lucida follia, sono pronto ad ammetterlo. Ep-

pure per qualche momento la cosa si rivelò possibile, in linea con quanto

accade in regioni come l’Emilia Romagna e le Marche, che da decenni

producono e programmano spettacolo in maniera consorziata. Restò in

gara solo Teramo e di questo in fondo mi rallegrai perché, come Annino Di

Giacinto una volta mi disse, «la vera danza in Abruzzo è nata a Teramo».

Le premesse c’erano tutte e, nel 2007, il progetto veniva convintamente

abbracciato da Maurizio Cocciolito e dalla Società Riccitelli. Prendeva il

nome di Serate Liliana Merlo, e si prefiggeva lo scopo di introdurre una

nuova forma di programmazione artistica, culturalmente di spessore,

saldamente ancorata alla storia del territorio cittadino. Ottenevo l’adesione

di Elisa Guzzo Vaccarino, la più autorevole studiosa di danza del nostro

paese, e un’esclusiva nazionale con l’Hungarian National Ballet, tra le più

antiche e prestigiose compagnie del mondo. E tuttavia sia allora che l’anno

seguente, con la compagnia del Krefeld Ballettensemble in un magnifico

trittico di North, la risposta da parte del pubblico è stata modesta, poco

reattiva, oserei dire “distratta”. Insufficiente visibilità? Poca promozione?

Forse sì, o forse non solo. È capitato poi il disastro del 2009, sanitopoli,

commissariamento, terremoto, e il progetto è stato accantonato – fino

a oggi – per lasciare posto ad altre priorità, che del resto pare esistano

sempre quando si parla di cultura.

E dunque perché una stagione di danza a Teramo? Che senso potrà mai

avere? C’è già dell’altro, c’è già di simile, e a costi decisamente più con-

tenuti. E allora perché? A che scopo cambiare? Io naturalmente, avendo

vissuto al fianco di una persona come Liliana Merlo per trentacinque anni,

ho un mio perché, ma rivolgo il quesito ai lettori. Perché? n

22diSilvioPaolini Merlo [email protected]

ott 2010

Serate Liliana Merlo 2007 (foto T. D’Ambrosio)

ROBERT NORTH «Gli italiani amano la danza, ma spesso non sono disposti ad andare in teatro

per vederla»

Perché una Stagione di Danza

ott 2010

C on l’approvazione del ddl sulla competitività agroalimentare da

parte dell’aula della Camera arriva per la prima volta anche lo

stop alle pratiche commerciali sleali nella presentazione degli

alimenti per quanto riguarda la reale origine geografi ca degli

ingredienti utilizzati. Il testo prevede che l’origine degli alimenti dovrà

essere prevista obbligatoriamente in etichetta e non potrà essere

omessa anche nella comunicazione commerciale, per non indurre in

errore il consumatore. Niente più pubblicità al succo di arancia con le

immagini della Sicilia se viene utilizzato quello proveniente dal Brasile,

come purtroppo spesso avviene. O ancora, niente pubblicità alle

mozzarelle con le immagini del Golfo di Napoli se provengono dalla

Germania come è successo per quella diventata blu. Una ulteriore

novità è rappresentata dall’obbligo di menzionare la provenienza geo-

grafi ca di tutti gli ingredienti di cui viene indicato in etichetta il nome o

l’immagine, dalle merendine alla fragola ai biscotti alle mandorle fi no

alle patatine all’olio di oliva.

La quasi totalità dei cittadini considera necessario che debba essere

sempre indicato in etichetta il luogo di origine della componente agri-

cola contenuta negli alimenti e di conseguenza colmare questo ritardo

è un risultato importante nell’interesse degli imprenditori agricoli e dei

consumatori. Per l’Italia signifi ca anche valorizzare il vero Made in Italy

in una situazione in cui sugli scaffali due prosciutti su tre provengono

da maiali allevati all’estero senza una adeguata informazione, tre

cartoni di latte a lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono

stranieri mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addi-

rittura cagliate provenienti dall’estero ma nessuno lo sa perché non è

obbligatorio indicarlo in etichetta. Negli ultimi anni con la mobilitazione

a favore della trasparenza dell’informazione, la Coldiretti è riuscita a ot-

tenere l’obbligo di indicare la provenienza per carne bovina, ortofrutta

fresca, uova, miele latte fresco, pollo, passata di pomodoro, extraver-

gine di oliva ma ancora molto resta da fare e l’etichetta resta anonima

per circa la metà della spesa dai formaggi ai salumi, dalla pasta ai

succhi di frutta. Il provvedimento che dovrà ora tornare all’esame del

Senato, dove ha già ottenuto una prima approvazione, risponde anche

ai nuovi indirizzi che vengono dall’Europa dove il Parlamento all’inizio

dell’estate ha votato a favore dell’obbligo di indicare il luogo di origine/

provenienza per carne, pollame, prodotti lattiero caseari, ortofrutticoli

freschi, tra i prodotti che si compongono di un unico ingrediente (che

oltre al prodotto agricolo prevedono solo degli eccipienti come acqua,

sale, zucchero) e per quelli trasformati che hanno come ingrediente

carne, pollame e pesce.

Evidenziamo al riguardo la notizia di alcuni giorni fa relativa al ritrova-

mento di tre mozzarelle colore rosa fi nite sulla tavola di una famiglia

teramana che le aveva acquistate in un supermercato. i latticini non

erano scaduti e provenivano dalla Puglia, almeno stando all’etichetta,

e in cui l’Istituto Zooprofi lattico ha confermato la presenza di germi

cromogeni che proliferano se viene interrotta la catena del freddo. Si

auspica, quindi, che anche tale caso serva a riportare l’attenzione sul

problema della trasparenza dell’origine dei prodotti di cui la Coldiretti si

fa portavoce da anni. n

23

Made in ItalyColdiretti informa

diRaffaelloBetti Direttore Coldiretti Teramo

Arriva stop a pubblicità slealesu origine cibi

Serenità di Luigi Pardo

“Io son sereno” dice l’arrestato “io son tranquillo” aff erma l’indagato. Ma il cittadino non è tranquillo aff atto parla da solo, quasi a dar di matto.

Ma è possibile che la serenità la dia la Giudiziaria Autorità? Due sono i casi in quest’alternativa: o la Magistratura è sì cattiva dall’inventare false imputazioni per danneggiare le reputazioni e, quindi, questi poveri innocenti sono tranquilli e quasi sorridenti. Oppure son talmente consapevoli che di grandi schifezze son colpevoli, da essere sereni come il peccatore dopo l’incontro con il confessore.

Delle due l’una: decidete voi. Ma fatemi un favore: d’ora in poi è molto meglio che siate un po’ agitati piuttosto che così rasserenati.

Teramo, fi ne settembre 2010

ECONOM

IA

F ranco Chionchio, da poco allenatore della nazionale italiana di

pallamano, ricorda i tempi eroici di questo sport a Teramo.

È uno sport strano. Di sicuro lo è. Anche l’attuale allenato-

re della nazionale italiana di pallamano, Franco Chionchio, ne era

convinto quando ogni domenica dalla sua parrocchia, il Sacro Cuore,

sconfi nava sans papier giù nel campetto d’asfalto della Gammarana

alle 11 in punto per scrutare lo spirito indomito di quei ragazzacci

che giocavano a fare i pionieri. La palla piccina lurida, nera, impeciata,

non possedeva la sacralità di un pallone da calcio. E come tutti gli

esploratori che si rispettino erano costretti ad ammantarsi di un’aura

sconosciuta che suscitava meraviglia, incredulità e rispetto, nei panta-

loncini così stretti degli anni ’70, dei Kempes e dei

Cruijff, che nello scivolare ingrossavano l’immagi-

nario e le favole. In poche parole, Da Rui, Di Basilio,

Montauti, Melasecca,

Paolucci, Pacinelli,

i Tulli, Cordoni, e gli

ombrelli che come

contraerea dardeg-

giavano sul piccolo

rettangolo della

Gammarana. Chion-

chio di quel sagrato

ricorda gli aspri refoli

di olio di canfora che

rendevano molli le gambe: i giocatori di allora come

squali in mattanza erano costretti a compiere tra

la gente cerchi concentrici sempre più piccoli e

rabbiosi prima di fare capolino nell’arena che pulsava di vita propria,

tra bestemmie, minacce e sputazzi.

Quella era senza dubbio la pallamano che uno poteva immaginare

che fosse. Quella che portava Chionchio e altri otto in un vecchio e

sbuffante pulmino Mercedes al trofeo Normandia a Parigi nel ‘77, con

qualcuno che per cimelio cercava di sgraffi gnare da un chiosco una

statuetta della Tour Eiffel. Peccato che era legata con uno spago ad

altre venti e il rovinare delle ceramiche fu lacerante come l’onta della

vergogna che assalì i diciottenni teramani. Fuggirono come puledri.

D’altronde erano i tempi dei pionieri, questi, quando nello spogliatoio

del palazzetto di Ski in Norvegia, case basse di mattoncini rossi, a

pochi km da Oslo, una bionda mozzafi ato fece irruzione nella doccia

PallamanoSPO

RT dei teramani nudi come mamma li ha fatti per offrire una

rosa: racconta Chionchio che i più imbarazzati erano loro.

Lì era abitudine, come da noi scambiarsi le casacche

a fi ne partita, omaggiare così l’ospite. Il borgomastro

a fi anco della vichinga sogghignava a veder tanto

impaccio latino, così arrogante invece dinanzi a

fanciulle vestite. Quella fu per il teramano la partita di

coppa persa per una palla impeciata che bloccava i tiri

ai nostri corazzieri. Tempi eroici. Anche per un allenatore

biancorosso, un certo Mratz che, per spiare la squadra lo-

cale di un paesino belga che stava provando gli schemi a porte

chiuse nel proprio palazzetto, si improvvisò imbianchino, salendo fi n

sul al soffi tto con pennello e cappellaccio bianco, mentre di sghembo

memorizzava le alchimie. Chionchio dice che quella partita di coppa

fu vinta di quattro. Si viaggiava spesso e le gitanate erano quotidiane.

A Courmayeur qualcuno, in una tabaccheria, riuscì a impadronirsi

di un intero orologio a cucù. Ci riuscì in un battibaleno ma dovette

bissare l’incursione perché una volta tornati al pulmino si accorse che

mancava la chiavetta per dare la corda al meccanismo. “Per 30 anni

ho girato i campi d’Europa” geme l’attuale trainer della nazionale. Il

vecchio Concetto Lo Bello, presidente di Federazione, l’additò come

nemico per molto tempo solo perché alla premiazione di una Coppa

Interamnia vinta nel 1980 contro gli slavi del Partizan di Gevgegljia,

qualcuno da dietro gliene disse di tutti i colori: il fi glio poche settima-

ne prima aveva concesso un rigore inesistente al Pescara, quando un

certo Rigotto, un tizio basso e grassottello, spense le speranze bian-

corosse. Solo il gesto sventurato o forse proditorio

di Giancarlo Puritani, allora presidente della Campo

del Re, che si buttò letteralmente sull’auto di Lo Bel-

lo in fuga da Teramo, scongiurò una sospensione ad

divinis. Il siciliano fu convinto dalla bontà del gesto

e tornò sui suoi passi. “Ma è stato sempre convinto

che fossi stato io a cantargliele quattro” rimurgina

ancora Chionchio. Per giocare la sua pallamano il

teramano barattò addirittura residenza con quella

riminese, dando retta ad un tizio che gli assicurò in

Romagna casa, scuola, e non si sa che altro: però

sarebbe dovuto stare fermo sei mesi, e lui che ne

aveva soltanto 19 di anni ed era nel giro della nazio-

nale grugnì malcontento. Tornò dunque a casa. Era

adesso il 1976 al campetto della Gammarana quan-

do, anche per l’accanimento ostinato di Montauti,

fu trascinato quasi di peso per una selezione che

il trainer nazionale Vinko De Karis stava operando su una cernita di

ragazzoni teramani: lui sull’asfalto non sapeva che pesci pigliare, poi

gli dissero di tirare che lui il tiro ce l’aveva, il fi sico pure, e fu azzurro

tutta una vita. Da allora in poi passò per società come Campo del Re,

Wampum, Siracusa, Quick, Tonini, Cx orologi, Chieti, Città S.Angelo.

Ha allenato Teramo e Sassari. Dal 2000 è consigliere federale e per

cinque anni ha svolto il ruolo di team manager. Ora da settembre è

allenatore della nazionale azzurra di handball. Ma c’è tanto lavoro da

fare. Franco Chionchio non immaginava che dal 18° posto del ranking

mondiale l’Italia potesse sprofondare al 35°.

Il campetto della Gammarana è lontano, però chissà la pallamano, la

vita, è uno sport strano. n

24 [email protected]

ott 2010

Il campetto della Gammarana è lontano,

però chissàla pallamano, la vita,è uno sport strano.

diMaurizioDi Biagio

Pece e vichinghe

Mondiali Handball 1984La promozione nel gruppo B

FrancoChionchio

A cqua e aria e terra e fuoco. Acqua è aria è terra è fuoco.

Congiunzione (che, a volte, è anche separazione) e poi equi-

valenza. Il cinema dell’indian-american M. Night Shyamalan

è tutto qui. Filosofico, in linea

con la legge cosmica platonico aristo-

telica. Le quattro radici dell’universo, gli

elementi primordiali di cui sopra, fanno

del mondo, dell’esistenza e dell’uomo

un essere vivente razionale. Ogni ele-

mento naturale vive dell’altro, nessuno

può essere scisso dall’altro. Dentro e

fuori di sé.

Signs, il suo capolavoro, era la visua-

lizzazione ad alto grado mistico di una

massima indiana: “Accendi il fuoco; ti

farò vedere una bella cosa: una grande

palla di neve!”. Dal fuoco della passione

(amore, ira, dolore) si scatenavano le

luci d’inverno interiori (il ghiaccio) che

portavano un sacerdote episcopale

a rinnegare Dio e sé stesso, fino a

materializzare creature aliene terribili e

incendiarie. Terra (mondo) e aria (vita)

in subbuglio. Ma per spegnere gli alieni

niente di più semplice che l’acqua,

quarta essenza “quintessenza”. Dopodi-

ché ricomposizione necessaria: ritorno

della fede, ghiaccio sciolto, fuoco (fami-

liare) ritrovato.

Si accorsero in pochi, all’uscita del film,

addirittura da molti stroncato, dell’infini-

ta tessitura simbolico-religiosa spalmata

su uno stile controllatissimo e magistrale, per niente mainstream.

Mentre ci fu quasi una unanimità per The Village, più in leggibile

linea nel mettere in luce, con furore, una certa tendenza mondia-

Il film del meseCIN

EMA

le post-11 settembre a chiudersi dentro, a non voler varcare un

confine tutto mentale, e per via di uno stile dimesso-spettacolare

(inconfondibile) che finiva per amplificare horror e metafora. Lì si

trattava di ri-dare aria e acqua a un terreno/territorio non più irriga-

to, limite estremo di condensazione. Scura opacità, in posizione di

separazione rispetto alla brillantezza

shining di fuoco e luce. L’America

ha in parte superato quel periodo

regressivo; l’Italia berluscopica ne

sta scontando adesso l’apoteosi

putrida. Arrivi al più presto, per farci

di nuovo respirare, un flusso d’aria-

acqua-terra-fuoco!

Che il regista non fosse del tutto

compreso in queste brillanti osser-

vazioni forse inconsce ma ispirate al

claustro-mondo monade che (non)

viviamo, fu confermato da Lady in the Water, opera geniale sul

narrare post-moderno bloccato e

ripiegato su sé stesso che, per virtù di irrigazione sociale, nel film

ricomincia a scorrere. L’acqua veniva mostrata come la sostanza

primordiale da cui tutto nasce e a cui tutto ritorna, simbolo cosmo-

gonico di purificazione e rigenerazione,

che era altresì metafora del cinema,

liquido di luce. Forse davvero l’icosae-

dro platonico che, decomposto, diven-

ta un tetraedro di fuoco e due ottaedri

d’aria. Lo ha sempre saputo James

Cameron, da tirare in ballo perché ne

L’ultimo dominatore dell’aria, si

riaffaccia il concetto, ormai stranoto,

oltre che straniato, dell’avatar. Un

concetto mi(s)tico, ancora, che sta a

quest’ultimo film come stava la signora

dell’acqua al film omonimo.

Il dodicenne Aang (Noah Ringer) è

the last airbender, unico superstite

dei Nomadi dell’Aria, unico capace di

dominare tutti e quattro gli elementi,

in un mondo caratterizzato da terribili

separazioni geo-politiche tra quattro

regni rispettivamente intitolati agli

stessi. Appare tra il ghiaccio, col fuoco,

facendo esplodere l’aria, mentre Kata-

ra (Nicola Peltz), dominatrice dell’ac-

qua, giocando un po’ troppo coi suoi

poteri, che la porta a sconfinare al-di-là

dei villaggi (anche mentali) consentiti,

lo fa emergere come il dio bambino

che è.

Il fratello Sokka (James Rathbone) la

rimprovera, ma tant’è. Nel gioco dicotomico yin yang, maschile

femminile, giocoso razionale, tutto tradotto in termini adolescen-

ziali, la ri-composizione non può che avvenire trasgredendo. I

26ott 2010

L’insostenibile leggerezza dell’aria

diLeonardoPersia [email protected]

Shyamalan ricapitola il suo cinema in un extra-film

Il plot affastellato non risulta proprio adatto a un

regista dal tocco incantato e contemplativo, grande quando

deve ruotare intorno a una sola (grande) idea.

Qui fa fatica a narrare in maniera piatta e lineare,

benché densa.

ott 2010

27

conservatori del mondo, se non fossero gli

imbecilli che sono, dovrebbero essere i pri-

mi a promuovere lo scatto ultra-normativo.

E invece. Per questo nel film il paesaggio

è quello di un mondo tutto scisso perché

mai sconfinato. Imperversa, dittatoriale, in

una stagione di anomia, il Fuoco. Ha ster-

minato i Nomadi dell’Aria, adesso avanza

come un siluro destrorso verso la Tribù

dell’Acqua per privatizzarla. Ognuno per sé

e Dio (sostituito dal Potere) contro tutti in

un mondo post-global in cui non è difficile

rispecchiare il nostro.

Aang è quindi lo sguardo baby, ragazzino

per tutte le stagioni di decadenza e caos,

terreno fertile per la riapparizione dell’ava-

tar/Gesù bambino, che incorpora nel suo

sguardo a 3(000) dimensioni (archetipi e

ancestrali incorporati), il sogno di una cosa

sublime. Riunire le parti, ricominciare il re-

gno dell’Aria, riavviare il mondo. Combat-

tere il nemico. Qui sintetizzato dal principe

Zuko, figlio scon-fesso del Re del Fuoco e

l’ammiraglio Zhao, cacciati dalla Nazione

disunita dittatoriale. Poveracci che, in linea

con le attuali tendenze mondiali, credono

di riconquistare gli onori perduti, sotto-

mettendosi a chi ha fatto loro del male e

mettendosi contro chi è a favore. Contro

un salvatore. Pensare, come si dice in una

battuta (del piccolo avatar rivolto a Zuko),

che si poteva (doveva) essere amici: Le

separazioni dei regni sono anche separa-

zioni tra vittime, focolai di guerre private al

diapason di frustrazioni represse.

Il soggetto proviene da una serie cartoon

americana assai in voga (autori Michael

Dante Di Martino e Bryan Konietzko) che

risulta già, nelle ibride forme, misto di ani-me e cartone domestico USA, Oriente e

Occidente, in linea coerente con il discorso

promoter della fusione dopo la confusione.

Film commissionato, film dove Shyamalan,

sempre sor-

prendentemen-

te veloce nel

suo stile lento

e fantasmatico,

conquistatore

degli applau-

si persino di

Jacques Rivette,

deve vedersela

con la velocità-

velocità. Risul-

tando statico.

Non monta come

va di moda, dilata

anche qui la te-

nitura dell’imma-

gine; e l’azione

è soprattutto

quella interiore,

essenzializzata

nei primi piani

(ma gli attori non

sono all’altezza).

Tuttavia: strepiti, stile Chaolin e Ba Gua

Zhang, per i combattimenti di Aang, a

inquadratura unica. Però, dinamismo e

grazia latitano. Il più ingessato dei wu-xiapian, fantasy d’Oriente, al confronto

fa un figurone. Considerati i brutti e

algidi fondali da computer grafica, con il

contorno non intonato di creature fantasy,

senza il touch realmente magico (perché

artigianale) di Nel paese delle crea-ture selvagge di Spike Jonze, che era

oltretutto viscerale nel descrivere l’essere

adulto dello status infantile. Qui Shyama-

lan rinuncia all’inquietudine. Sembra che

questo mondo da brivido non gli faccia più

di tanto paura, confidando troppo nell’ava-

tar risolutore e, di riflesso, nello spettatore

teen rassicurato. Il plot affastellato non

risulta proprio adatto a un regista dal

tocco incantato e contemplativo, grande

quando deve ruotare intorno a una sola

(grande) idea. Qui fa fatica a narrare in

maniera piatta e lineare, benché densa.

Come piace alla gente.

Le stroncature stavolta sono piovute

ancora più fitte e violente. Qualcuno,

affrettandosi, ha affermato perentorio che,

a 40 anni, il regista è ormai finito. Di sicuro

si tratta di un film non proprio memorabile.

Ma fondamentale come chiave di lettura

di tutto lo Shyamalan maggiore. Ove si

consideri che pure tale sconfinamento di

stili narrativi e di forme (non

certo di visione, come si è

visto sopra) risulta coerente

con un autore che, nelle sue

creazioni, esalta l’uscita da

sé come momento supremo

di riappropriazione di ciò

che al suo interno si è se-

parato. “Division” si leggeva

nella maglietta dell’inquieto

Mel Gibson di Signs.

E certo, abbiamo un film

molto intimo, una specie di

confessione esplicita dell’uomo Shyama-

lan. Travestito da film fin troppo corrente,

ai limiti dell’anonimo. L’autore non ha

saputo divincolarsi dalle trappole di blanda

narrazione. Non ha amato i personag-

gi (incarnati da attori antipatici), né il

paesaggio, nè l’intero assunto. Forse per

tema di scontentare i fans del cartone, non

ha insistito nello sprofondare nel fuoco

brillante e risplendente, simile all’Idea di

cui diceva Plotino. Non ha voluto rendere

arché un soggetto pre-esistente, sia pure

da lui riscritto.

“E’ nel cuore che si vincono tutte le

guerre” recita una battuta, pronunciata da

una nonna, lo sguardo saggio e arcaico di

cui necessita quello giovane e ri-fondante.

Una specie di giustificazione autoriale di

un cineasta che ha voluto spostare sul

proprio operato, dal vivo - autentico 3 D,

molto più del live motion del cartone

- ciò che finora compiva per interposto

personaggio.

Per questo, nonostante tutto, questo

atipico e malriuscito Otto e mezzo

risulta simpatico. Perché, oltrepassando lo

schermo e il plot, ricongiunge gli opposti.

Naturale conseguenza di un discorso che

dall’al-di-là dello schermo finisce al-di-qua

della vita (del suo autore). E divenendo

così un film diverso e uguale, futile e

necessario. n

...nonostante tutto, questo atipico e malriuscito “Otto e mezzo” risulta simpatico.

Perché, oltrepassando lo schermo e il plot,

ricongiunge gli opposti.

S e si tiene conto di quello che comunemente viene detto “chi ben

inizia è a metà dell’opera”, il Teramo è sulla buona strada per un

altro anno vincente. Partire bene è senz’altro il modo migliore per

ambire ad obiettivi alti. Le premesse, pertanto, ci sono tutte per

sperare di riacciuffare l’agognato traguardo del professionismo. Già dalle

prime battute con il Pescara, si era visto che le cose andavano per il ver-

so giusto. Era calcio d’agosto, pur sempre un confronto con una squadra

di serie B. Il pareggio e la rete di Gambino avevano acceso l’entusiasmo.

Lo scetticismo di qualcuno, non a torto, aveva steso un leggero velo di

giustificata prudenza. Altre amichevoli con formazioni di pari grado ed

altre conferme. L’esordio in Coppa Italia è stato il momento più atteso

perché solo in quella occasione si poteva saggiare la vera consistenza

del nuovo Teramo in gare ufficiali con i tre punti in palio. Anche la Coppa

ha detto quello che si era già visto. Curiosità, scetticismo e speranza,

Calcio

sensazioni serpeggianti qua e là nelle con-

versazioni dei bar ed in altri luoghi di ritrovo.

Poi tanta voglia di ricominciare sulle gradina-

te del comunale. L’esordio in Campionato ha

finalmente rotto il lungo digiuno. Poche gare

e tante conferme è quello che aveva propo-

sto l’inizio di stagione. Venne il giorno della

prima amara sconfitta e con essa il timore di

scoprire improvvisamente una realtà diversa

da quella che si era manifestata fino a quel

momento. Da Santarcangelo a Santegidio,

il percorso della riscossa e la certezza di

essere all’altezza della situazione. Il futuro

ci dirà se il Teramo è in grado di battere la

concorrenza di Rimini, Sambenedettese, Jesina ed altre ancora. Maggio è

ancora lontano e nulla può dirsi in concreto per l’esito del verdetto finale.

E’ importante aver riportato nel nostro stadio l’interesse per il confronto

con altre città di prestigio calcistico. Era bello andare per i nostri paesi

d’Abruzzo, ma solo per gustare la buona cucina, perché il confronto cal-

cistico non era alla pari, se non per il solo numero di giocatori in campo.

Rivaleggiare, e possibilmente vincere, con città di grossa tradizione è

quello che mancava. L’avvio è promettente e tutto sembra andar bene.

Disquisire se il Teramo gioca bene o male, se quel giocatore è più adatto

o meno dell’altro in un determinato ruolo e cosi via, è il succo del vivere

il calcio la domenica e la settimana seguente. Coreografie, striscioni, cori

e spalti affollati, anche se non pieni per le dimensioni dello stadio di Pia-

no D’Accio, e il confronto con le tifoserie avversarie assiepate nell’altra

parte, sono scene non più appartenenti al passato. n

28set 2010

Il punto sul Campionato

diAntonio Parnanzone [email protected]

con il vento in poppa

SPORT

È noto che le sentenze degli organi giurisdizionali sono pronunciate

“in nome del popolo italiano”. Tale dicitura, ovviamente, non cer-

tifica una sorta di investitura politica popolare bensì, da una parte,

per indicare che la sovranità non discende più dall’alto come nello Stato

monarchico, ma appartiene al popolo; e dall’altra parte, è lecito pensare

che l’espressione introduca un criterio ermeneutico cui i giudici devono

sottostare, allorquando debbano decidere una controversia che implica

considerazioni extra – giuridiche (ad es. il carattere di osceno lesivo

del comune senso del pudore). In tale ipotesi, il giudice non dovrebbe

decidere la questione sulla base delle sue personali convinzioni, ma

facendosi reale interprete del sentimento della collettività maggior-

mente nutrito in quel momento storico. Particolare interesse assume,

in tale ordine di idee, la questione sulla risarcibilità del danno morale al

proprietario per la perdita di un animale di affezione. E’ ovvio che su tale

questione, come su tante altre, i giudici italiani sono quanto mai divisi,

benché la Cassazione sia prevalentemente orientata ad escludere la det-

ta risarcibilità. A tal proposito, va ricordata la nota decisione sul danno

esistenziale pronunciata a sezioni Riunite l’undici novembre 2008 con cui

il Giudice nomofilattico ha detto basta “alle più fantasiose e a volte risibili

prospettazioni di pregiudizi suscettivi di alterare il modo di esistere delle

persone” negando il risarcimento nelle cause cosiddette bagatellari, e

ritenendo inconcepibile qualsiasi pregiudizio (non patrimoniale) sofferto

per la perdita di un animale. Sennonché la stessa Cassazione, a dimostra-

zione di quanto si diceva sopra, con la sentenza n. 4493 del 25 febbraio

2009, ignorando completamente il proprio autorevole precedente, ha

rinfocolato le speranze degli “animalisti” decidendo positivamente per la

risarcibilità di tale tipo di danno. Con tale sentenza la Corte ha respinto il

ricorso proposto da un ambulatorio veterinario che era stato condannato

da un giudice di pace a risarcire il danno morale ad un proprietario di un

gatto che era deceduto a causa di un errore di trasfusione di sangue. Per

quel che concerne i giudici del tribunale capitolino segnaliamo due de-

cisioni contrastanti la prima del 2002 che riconosce (sentenza 17 aprile

2002) il danno non patrimoniale da perdita da animale di affezione, e la

seconda del 21 marzo 2005 lo nega. Ebbene, poiché il sentimento di cui

si discute è suscettibile di diversa sensibilità si vorrebbe in questa sede,

“in nome del popolo teramano”, indire una sorta di sondaggio diretto ai

nostri gentili e cortesi lettori per sapere se sono d’accordo sulla sentenza

che nega la risarcibilità del danno morale per la perdita dell’animale di

affezione o per la sentenza che invece la riconosca.

Per depositare la vostra “sentenza” mandate una e-mail a:

[email protected] n

Dura lex sed lexa cura di

Amilcare Lauria Elvio Fortuna

avvocati associatiIn nome del popolo...

È iniziato il Campionato Italiano di Pallacanestro serie A

2010/2011.

Il mese di settembre è trascorso velocemente anche per la

Banca Tercas Teramo, tra allenamenti intensi, amichevoli e tornei

che si sono succeduti settimana dopo settimana: la squadra rinnovata

dei 7/11, ha cercato di conoscersi meglio, trovare il giusto affiatamento,

rifinire le proprie individualità, provare e riprovare gli schemi di gioco

dettati da Andrea Capobianco e dal suo staff tecnico. Non da meno

sono stati i due preparatori atletici Claudio Mazzaufo e Domenico Fa-

ragalli che hanno “torchiato” a dovere

tutti i giocatori della rosa per tirarli a

lucido sotto la forma fisico-atletica e

farli arrivare, sufficientemente pronti,

ad affrontare un impegno difficile

come quello della prima giornata di

campionato. Non a caso per la squa-

dra, dopo le amichevoli di Lanciano

contro Scafati e di Teramo contro la

Lottomatica Roma, dopo la partecipa-

zione ai tornei di Lecce, Scafati e Porto

S. Elpidio, si era potuto notare un miglioramento progressivo tanto da

chiudere la propria preparazione precampionato con il successo al

torneo di Porto S.Giorgio. Superata in prima serata Varese e regolando

in finale, dopo una gara molto combattuta, i padroni di casa di Monte-

granaro che appena sette giorni prima si era imposta sui biancorossi

nella finale del torneo di Porto S.Elpidio, nonostante alcuni acciacchi ac-

cusati da Diener Fletcher e Shaw. In questo quadro di crescita di tutto

il gruppo si segnalano, oltre a Polonara e Martelli, anche altri giovani

BasketSPO

RT interessanti come Listwon, Di Giuseppe e Ricci che sono stati aggregati

agli allenamenti della squadra maggiore e che lo staff tecnico segue

con molta attenzione. Domenica 10 ottobre. è iniziata la nuova stagione

agonistica con l’aggiudicazione della Supercoppa Italiana tra la vincente

dello scudetto tricolore del campionato 2009/2010 Montepaschi Siena

e la vincente della Coppa Italia 2009/2010 Canadian Solar Bologna

”V“ nere. Siena, nonostante abbia rinnovato il suo gruppo sostituendo

giocatori del calibro di Mc Intere, Satò ed Eze ha trovato in McColebb,

Michelori, Aradori e Moss trascinati da un grande Stonerook ancora

la quadratura del suo cerchio, tanto da vincere l’ennesimo trofeo a

spese della squadra bolognese, anch’essa rinnovata e dove figurano i

due ex teramani Giuseppe Poeta e Valerio Amoroso. Proprio l’ex play

biancorosso è stato il protagonista principale tra le fila bolognesi nel

contrastare i senesi, coadiuvato parzialmente da Amoroso e Moraschi-

ni. Iniziativa lodevole verso i giovani del proprio settore, della Banca

Tercas Teramo Basket, lunedì 11 ottobre u.s. è partito il progetto GAT

istruire e far crescere allenatori teramani. Le lezioni sono tenute dall’al-

lenatore Andrea Capobianco e supervisore delle giovanili; Vincenzo Di

Meglio responsabile tecnico del Settore Giovanile, Marco D’Ascenzo

responsabile tecnico del minibasket e Domenico Faragalli, prepara-

tore atletico della squadra maggiore e del settore giovanile. Oramai è

tutto pronto per l’anticipo della 1ª giornata di campionato di sabato 16

ottobre 2010 al PalaScapriano con diramazione televisiva l’entusiasmo

di noi supporter biancorossi è

al punto giusto ed il riscontro si

è avuto, ancora una volta, dalla

campagna abbonamenti. L’esor-

dio contro l’Armani Jeans Milano

che appena 15 giorni fa ha fatto

soffrire, al Forum di Assago, da-

vanti a circa diecimila spettatori,

i Knicks di New York di Danilo

Gallinari e del suo allenatore ex

D’Antoni. I più in forma tra le

fila milanesi sono apparsi sia il

teramano Mordente sia il teatino

Mancinelli, poi l’esordiente nel

campionato italiano l’ucraino

Pecherov, micidiale il suo tiro.

La Banca Tercas Teramo dovrà

raddoppiare la propria concentra-

zione e la propria intensità.

Mike Hall l’ex di turno, Diener, Zoroski, Ahearn, Fletcher & compagni,

senz’altro faranno l’impossibile pur di tentare di contrastare la corazzata

milanese, siamo fiduciosi. La Banca Tercas è scesa sul parquet giocando

una gara bella, perfetta, contrastando adeguatamente una squadra com-

pleta, forte, dalla panchina lunga dove Bucchi e Valli potevano pescare a

loro piacimento. La lettura della gara è stata perfetta fino alla fine poi, nel

tempo supplementare, i nostri biancorossi sono andati in debito d’ossi-

geno, è mancata la lucidità necessaria per portare a termine un risultato

che sarebbe stato eclatante ma meritato. Nella Banca Tercas, oltre al

quintetto titolare, va segnalata l’ottima prova del giovane Polonara e di

Bosgagin, Nella squadra milanese l’abruzzese Mancinelli è stato inconte-

nibile e il vero artefice di un successo che ha fatto evitare una figuraccia

al suo allenatore Bucchi. Risultato Milano batte Teramo 89 a 83. n

30diBebèMartorelli [email protected]

ott 2010

Banca TercasTeramo Basket

La Banca Tercas è scesa sul parquet giocando una gara bella, perfetta, contrastando

adeguatamente una squadra completa, forte, dalla panchina lunga.

Foto di Michele Carrelli

Foto di Michele Carrelli

Bac

knet