teramani n. 111

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n. COTIGNOLA CHIAMA TERAMO BUONA O CATTIVA SCUOLA? PIAZZA KABUL pag. 4 pag. 12 pag. 16 111 Settembre 2015 mensile di informazione in distribuzione gratuita IL PIRULO INNAMORATO... SI È FINALMENTE REALIZZATO IL PIRULO INNAMORATO... SI È FINALMENTE REALIZZATO

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Freepress Teramani n. 11 di Setembre 2015

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n.

COTIGNOLACHIAMA TERAMO

BUONA O CATTIVA SCUOLA?

PIAZZAKABUL

pag. 4 pag. 12 pag. 16

111Settembre 2015

mensile di informazione in distribuzione gratuita

IL PIRULO INNAMORATO...SI È FINALMENTE REALIZZATOIL PIRULO INNAMORATO...SI È FINALMENTE REALIZZATO

l’EditorialeSO

MMAR

IOn.

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Troia e proci, gioia e fauci

Cotignola chiama Teramo. Teramo risponde?

Giorgio D’Ignazio si confessa

Il racconto dei volti, il racconto delle pietre

Cesare Battisti a Teramo. Parte seconda

Buona o cattiva scuola?

Servono regole anche per noi Prof.

I Queen, la Regina e le circolari di una Preside

Piazza Kabul

Il libro del mese

Embargo alla teramana

L’oggetto del desiderio

Musica

Festival Incontri d’Opera 2015

Dura lex sed lex

Note linguistiche

Il museo di Celano

Cinema

Calcio

Pallamano

Direttore Responsabile: Biagio TrimarelliRedattore Capo: Maurizio Di Biagio

Hanno collaborato: Domenico Attanasii, Maurizio Carbone, Maria Gabriella Del Papa, Maurizio Di Biagio, Maria Gabriella Di Flaviano, Carmine Goderecci, Maria Cristina Marroni, Piero Natale, Orbilius, Leonardo Persia, Mario Rusconi, Sergio Scacchia, Rossella Scandurra.

Gli articoli firmati sono da intendersi come libera espressione di chi scrive e non impegnano in alcun modo né la Redazione né l’Editore. Non è consentita la riproduzione, anche solo parziale, sia degli articoli che delle foto.

Impaginazione: Imago ComunicazionePeriodico Edito da “Teramani”, di Marisa Di MarcoVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930per l’Associazione Culturale Project S. GabrieleOrgano Ufficiale di informazionedell’Associazione Culturale Project S. GabrieleVia Paladini, 41 - 64100 - Teramo - Tel 0861.250930Registro stampa Tribunale di Teramo n. 1/04 del 8.1.2004Stampa: Gruppo Stampa AdriaticoPer la pubblicità: Tel. 0861 250930347.4338004 - 333.8298738Teramani è distribuito in proprio

è possibile scaricare il pdf di questo e degli altri numeri dal sito web

www.teramani.infoscriveteci a [email protected]

111diDomenicoAttanasiiTroia e proci,

gioia e fauci

P er essere una bufala fatta in casa è di sicuro

una bella insaponata di ingredienti prove-

nienti da tutti e quattro i punti cardinali messi

in fila per due tenuti per mano a pararsi il culo.

Adesso, dato per scontato che qui da noi le cose

vanno così come vanno e che se si continuerà di

questo passo finanche “l’omicidio volontario” sarà

presto derubricato in “procurata e indebita antici-

pazione di decesso” non c’è nemmeno stavolta la

scusa giusta per tentare di difendere l’indifendibile.

Ma chi ci crede che Ulisse, dopo avere combattuta

la guerra di... - e ci si trattiene a stento per non

stampare una parolaccia su un giornale - di colpo

si perde in mezzo al mare per dieci anni dopo

essersi imbattuto in un bestiario umano di per-

sonaggi da zoo. E ci manca pure la balla infantile

di un cieco, di un cantacazzate, che s’inventa di

tutto e di più come la Rai, per seminare gramigna

e zizzania in giro. Tra pecore imbecilli e ciclopi

morti di sonno, guarda caso, dov’è che Odisseo va

a trattenersi in quei due lustri? Per sette anni si

ingroppa la bellissima ninfa Calipso. Sparate le ul-

time cartucce, prende la via di casa giusto per fare

venire un infarto a quel poverino di Argo. Solo a un

cane poteva mancare uno stronzo di padrone che

lo abbandona per una Troia qualunque. Tra la realtà

e il sogno c’è sempre la nostra esistenza. A guerra

finita, Ulisse torna a casa un attimino in ritardo,

giusto in tempo per sbarazzarsi della bestiola che

alla sera gli toccava ogni volta di uscire a farle

fare il bisognino prima che quella gliela mollasse

sopra la tela. Quella coglionata da Penelope, da

fare e disfare la notte. Una barzelletta, dunque.

E non finisce qui la farsa. Il reduce, come tutti i

reduci dei Puttan Tour, anche il ritornato a Itaca si

dichiara sfiancato dalle avversità del mare, sfinito

dagli eventi, con i coglioni pieni di tutta quell’acqua

attorno. E allora, via fuori di casa a tutti quei proci

puzzolenti. Probabilmente, questa è la vera storia

di come è nato il prosciutto, come lo conosciamo

oggi. Proci nostrani provenienti da allevamenti

intensivi nella Bassa e allevati con una “passione”

che solo chi ama i prodotti autoctoni può garantire

di mettere nel proprio lavoro, nell’arte del buon

gusto. Del Made in Italy. Il prosciutto nostrano di

proci tirati su da mani esperte è apprezzato sopra

qualunque tipo di tavola conquistandosi giorno per

giorno dignità e nobiltà. Importantissima, la prove-

nienza delle carni dei proci d’allevamento. Spesso

sono nate polemiche sulla reale origine di proci

macellati e lavorati sì nel Bel Paese ma spesso

giunti da paesi extraeuropei come la Turchia, in cui

gli standard sono molto più bassi rispetto all’Italia.

Quanto alla legge europea sulle etichettature,

essa non impone l’obbligo di specificare l’origine

delle materie prime sui salumi. Una nota azienda

produttrice di salumi si è pure recata negli studi

televisivi della “Gabbia” e, nel corso della puntata,

il conduttore e giornalista Paragone ha chiesto:

“Cos’è che impedisce di scrivere il Paese di origine

dei suini?”. La risposta dei salumieri è stata assai

rasserenante: “Perché costa il 40% in più tracciare

la carne”.

La paura ci ha fatto inventare i limiti e i confini.

4n.111

Satira ma... non troppa

di

[email protected]

Barbituricie non barbari

paese che imprigiona, affranca ma

non rende liberi. Un ospedale sulla

collina sta lì come il Castello di Kafka

a separare l’aria tuonata del giungere

al mondo dall’alito vago che libera

dall’esistenza. Un sorriso lontano che

rassomiglia al mare. La promessa di

luoghi diversi. “Facis de necessitate

virtutem”. Sarebbe incomparabile

potere accostare alla “Sagra della

Ficamaschia” quella della “Cucina

ricca delle Genti di Montecarlo” e

addobbarsi la pancia, in un giorno solo,

di cibo per signorie diverse.

L’impalpabile svenevolezza

risvegliata da un manicaret-

to rende unico il piatto di

maccheroni che sazierà tut-

to il resto della nostra vita,

tutte le domeniche che

verranno, a dispetto di chi

avrebbe desiderato tanto

dileguarsi, rincorso da nota-

bili cittadini, in un sabato

d’ordinaria fragranza. Non è questione

di arretrare una stazione ferroviaria,

ma di stazioni arretrate, come la città

che le ospita.

n.b.: girare per vedere, girare per

conoscere!!!

n’idea… poi un

SMS datato 2

maggio 2011

ore 21, al Teatro

Binario, un gruppo di amici

si ritrova per condividere

un suggestivo e intrigan-

te progetto”. Così è nata

l’associazione “Cambio

Binario”. Il recupero dell’ex

capannone ferroviario di

Cotignola (RA) fa parte di un pro-

ponimento appoggiato dal Comune

riguardante la riqualificazione dell’area

del deposito merci e della sua trasfi-

gurazione in una performance teatrale.

Il proposito di reinserimento indica

la morfologia stessa dei luoghi. La

metamorfosi dell’obiettivo in energia

drammatica dallo stesso Comune di

Cotignola (Ravenna) ha suscitato molte

riflessioni. Un teatro simboleggia

uno spazio culturale pubblico per la

città. La mutazione di un ex deposito

ferroviario implica l’analisi di nuove

identità. Con lo sguardo rivolto

al teatro di idea ottocentesca

percepita alla maniera di un

brano volumetrico chiuso e

finito dentro la quarta parete

del pubblico, oppure di quello

medievale, di altre civiltà come

il teatro greco, il teatro elisa-

bettiano, si delineano luoghi

narrativi estesi, blocchi di luoghi

all’aperto e al chiuso che impli-

cano proporzioni della creatività

che si stabilisce fra la scena e il

pubblico. Per quanto riguarda il

progetto avanguardista del “Teatro bi-

nario”, gli ingredienti persistenti come

binari, vagoni, carri, depositi e piazzale

si approssimano alla valorizzazione

simile a una notazione drammaturgica

per le programmazioni teatrali ipo-

tizzate. La resistenza di una struttura

vetusta è la riminiscenza palpabile

per mezzo dell’utilizzo dei vagoni, la

caffetteria e tutti gli spazi di incontri

casuali. I grandi sono in tanti. La

voglia scappa di urlargli a tutti per

la via quanto stringe il cuore questo

“UCotignola chiama Teramo... Teramo risponde?

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ità al mio impegno nel campo sociale, esprimendo la mia più

assoluta contrarietà all’ipotesi di compartecipazione ai ticket

sanitari per le prestazioni a favore di disabili ed anziani non

autosufficienti e sottolineando la mancanza di un coordina-

mento socio sanitario, grave pecca per una regione che voglia

uscire dalla crisi e mettendo in rilievo l’assoluta necessità di

mirare al potenziamento della rete assistenziale e dell’offerta

di strutture riabilitative adeguate.

Ho affrontato il problema che riguarda le Infermiere volontarie

della Croce Rossa Italiana, presentando un’interpellanza per

comprendere le motivazioni per cui non sia mai stata fatta

chiarezza sul tema dell’equiparazione dei titoli e crediti forma-

tivi per queste figure che, pur rientrando a pieno titolo nella

sfera della prestazione dei servizi di assistenza socio-sanitaria,

ne sono state di fatto escluse.

Mi sono impegnato anche per garantire la prosecuzione del

progetto: “Verso l’autonomia: dalla riabilitazione all’abilita-

zione”, realizzato dalla Fondazione Anfass Onlus di Teramo

in convenzione con la Asl, per assicurare l’erogazione di una

forma essenziale di assistenza alle famiglie, che spesso si

trovano a dover fronteggiare spese elevate ed enormi difficoltà

dal punto di vista psicologico ed operativo perché non hanno a

disposizione gli strumenti adatti per sostenere i familiari affetti

da autismo nella quotidianità e nella delicata fase del loro

inserimento nel contesto sociale.

Mi sono interessato in particolar modo alla crisi dell’editoria

in Abruzzo, sollecitando la

convocazione di un tavolo di

approfondimento su questa

tematica, riconoscendo quanto

la crisi stia sferrando un duro

colpo al pluralismo d’opinio-

ne e d’informazione, uno dei

principi fondanti della nostra

democrazia ed evidenziando

il ruolo e l’importanza delle

testate locali, che per decenni

hanno veicolato tra le loro pa-

gine i principali eventi politici,

istituzionali, sociali e culturali,

contribuendo a forgiare il

carattere identitario ed a valorizzare le tradizioni della nostra

Regione.

In un’ottica di apertura e di sviluppo di una rete di relazioni tra

l’Abruzzo e l’estero, ho partecipato ad una missione istituzio-

nale a Tirana con lo scopo di creare una sinergica strategia di

collaborazione tra l’Albania e la nostra Regione. Credo che il

progetto della Macroregione Adriatico-Ionica rappresenti una

grande opportunità sotto il profilo politico, economico, turistico

e culturale per le regioni ed i paesi coinvolti che mirano a dar

vita ad una governance comune sui problemi condivisi e mi

auguro che l’Abruzzo sappia conquistarsi un ruolo da protago-

nista in questo ambizioso progetto.

Quest’anno, come da tradizione, ho partecipato alla cerimonia

per rinnovare il gemellaggio ventennale tra Teramo e la città

on chiederti cosa il tuo paese può fare per te,

chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”.

Questo aforisma di John Fitzgerald Kennedy

sintetizza perfettamente le motivazioni che mi

hanno spinto ad impegnarmi in politica. Nel corso di questi

anni di attività, ho maturato l’idea ed il forte convincimento

che rispondere a questo interrogativo significhi dare un senso

concreto al mio impegno, finalizzato ad esprimere le istanze

dei cittadini che hanno creduto in me e che mi hanno conferito

il mandato di rappresentarli, mantenendo sempre un occhio

vigile sul mio territorio.

Tracciare un bilancio del mio primo anno in Consiglio regionale

significa ripercorrere con la mente le tappe più significative di

questi mesi di attività.

Sono stato eletto nella circoscrizione di Teramo nel 2014 ed ho

assunto l’incarico di consi-

gliere segretario dell’Ufficio di

Presidenza con grande slancio

ed una forte motivazione,

avendo chiaro in mente fin

dall’inizio l’obiettivo di portare

avanti una opposizione basata

su una dialettica costruttiva, su

un confronto in cui ogni scelta

e decisione fosse dettata da

una logica di piena responsa-

bilità, per dare un contributo

concreto alla realizzazione di

importanti provvedimenti che

incentivino la crescita e lo

sviluppo della Regione Abruzzo e contribuire fattivamente alla

scrittura di una pagina importante della sua storia.

Ho maturato, durante l’esperienza decennale da Assessore alle

Politiche Sociali al Comune di Teramo, una grande esperienza

ed una particolare sensibilità verso le tematiche sociali. Da

sempre mi impegno per assicurare il potenziamento dei servizi

alla persona, rivolgendo una particolare attenzione ai porta-

tori di handicap, dei quali ho favorito l’inclusione nelle attività

sociali promosse sul territorio e per i quali ho riqualificato i

servizi domiciliari.

Sono riuscito a garantire l’attivazione dei servizi di “Telesoc-

corso” e “Teleassistenza” sul mio territorio, valido ausilio per la

tutela della sicurezza e della serenità degli anziani e delle loro

famiglie. Anche in consiglio regionale ho voluto dare continu-

6n.111

Giorgio D’Ignaziosi confessa

“N

Politicadalla

[email protected]

tedesca di Memmingen, che si celebra

in occasione della festa della polizia per

rafforzare lo spirito di collaborazione

tra le forze dell’ordine e garantire un

servizio ancora più efficiente per la

tutela della sicurezza dei nostri territori.

Per sollecitare l’attenzione dell’opi-

nione pubblica sul fenomeno della

ludopatia, dando continuità all’impegno

iniziato nel 2004, ho organizzato un

convegno dal titolo “Vincere al gioco o

vincere il gioco”.

La dipendenza da gioco d’azzardo è

diventata una vera e propria patologia

sociale, con risvolti preoccupanti sotto

il profilo sanitario, economico e psico-

logico. Le statistiche rivelano infatti dati

sempre più allarmanti e descrivono un

fenomeno in forte crescita, soprattutto

tra le fasce più deboli della società

come i giovani, che non hanno ancora

gli strumenti adeguati per valutare i ri-

schi e le ripercussioni derivanti dalla di-

pendenza patologica da gioco d’azzar-

do. Per questo motivo ho presentato un

progetto di legge in consiglio regionale

dal titolo:“Disposizioni per la preven-

zione, il contrasto ed il trattamento del

disturbo da gioco d’azzardo” ed intendo

portare avanti questa battaglia con

sempre maggiore determinazione .

Con il progetto di legge “Una giovane

opportunità”, ho voluto invece fornire

una risposta concreta alla necessità

di garantire una accoglienza assistita

ai giovani ospiti delle case famiglia

che, una volta compiuta la maggiore

età, sono costretti ad abbandonare le

strutture che fino a quel momento sono

state la loro casa, con conseguenze

spesso drammatiche. L’obiettivo di

questa proposta legislativa è quello di

evitare il trauma del distacco ed offrire

ai ragazzi la possibilità di proseguire

il percorso iniziato, mettendo a loro

disposizione una serie di servizi strut-

turati in rete e garantire un sostegno

fino al raggiungimento della loro piena

autonomia.

Questa una sintesi di quanto ho fatto fi-

nora. Ho in mente molti altri progetti da

realizzare, restando sempre al servizio

dei cittadini per ascoltarne i problemi,

le speranze ed i sogni senza mai inter-

rompere il filo di dialogo che mi lega

a loro e che a mio avviso rappresenta

la vera linfa vitale di chi fa politica con

passione, impegno e responsabilità,

credendoci fino in fondo.

8n.111

Il racconto dei voltiIl racconto delle pietre

I

L’opera

di

[email protected]

I salotti culturali di Civitella raccontatiin 125 chine

scorso ottobre, in uno di questi momenti,

quando sullo schermo del pc è rimasta

per un po’ una foto con lo storico Adelmo

Marino e Leandro Di Donato, protagoni-

sta principe degli incontri civitellesi, mi è

venuta la frenesia di prendere la matita per

esercitare la mano al disegno. Un esercizio

che ogni tanto faccio sia per soddisfare

una passione che ha accompagnato la mia

vita, sia per allentare la tensione di conti-

nui studi e lavori.

Su un semplice foglio bianco per schizzo,

formato A4, ho cominciato a delineare i

due amici da annoverare tra i protagonisti

della cultura teramana. Con velocità, la

fisionomia dei due “salottieri” è venuta

fuori come d’incanto, allora ho disegnato

alle loro spalle non l’interno della stanza

ma uno degli scorci di Civitella.

Dando spazio alla creatività, forse incon-

sciamente e per aumentare la difficoltà

dell’esercitazione, ho voluto rendere

coprotagonista di quell’incontro anche la

città che ospita tali eventi culturali.

I segni della matita offrono lo spazio a

sfumature graduali che favoriscono la volumetria dei volti e dei pae-

saggi ma quei pochi segni grigi iniziali che fondono magnificamente

il primo piano dei personaggi e lo sfondo urbano m’ispirano subito

una tecnica difficile ed essenziale: il tratto a china.

Quasi immediatamente ripasso lo schizzo a matita con la penna a

china.

La tavola mi soddisfa, ma quello che mi sorprende è l’idea di rac-

contare i protagonisti del salotto culturale attraverso lo scorcio di

vedute civitellesi. In seguito la cosa mi prende la mano e comincio a

ritrarre, con lo stesso principio e tecnica, anche le persone che più

frequentemente partecipano ai salotti. Quando la raccolta la faccio

partecipe, raccoglie favorevoli riscontri, così nasce l’idea di una

possibile pubblicazione che poi si è concretizzata con la cartella inti-

salotti culturali organizzati dall’associazione “Le Lunarie” a

Civitella del Tronto, da anni sono un

appuntamento per me irrinunciabile,

perché rappresentano un viaggio nella

bellezza, nella conoscenza e nel sapere

attraverso il lavoro di personalità affermate

tra poesia, letteratura, giornalismo, pittura,

fotografia, musica, antropologia, paleonto-

logia, sociologia, critica d’arte e spettacolo.

Uno spazio per il confronto, la conoscenza

e l’approfondimento di grande qualità da

condividere con uno straordinario varie-

gato gruppo di estimatori della sapienza e

della cultura, affascinati e incuriositi dalle

tematiche contemporanee.

Attratto dalla fotografia, sono diventato

il fotografo “ufficiale” dei salotti. Le mie,

però, sono foto non tanto finalizzate a

documentare l’evento, ma tendenti a

proporre l’ambiente, le luci, l’atmosfe-

ra del momento, quindi scattate senza

l’ausilio del flash e senza la ricerca della

nitidezza assoluta. L’oggetto d’attenzione

fotografica, non è stato solamente l’evento

culturale, ma anche il percorso urbano per

raggiungerlo.

Foto di scorci civitellesi e personaggi di

salotti che ogni tanto amo rivedere. Nello

Adelmo Marino e Leandro Di Donato

Dino Pepe

sono il riflesso di un’osservazione minuzio-

sa, dove la realtà è ricreata come segno di

scrittura in una mediazione d’intreccio tra

simbologia e calligrafia. Il segno e il gesto

diventano, così il mezzo per comunicare,

per indagare l’enigma del principio creativo:

un modo per “scrivere” un racconto di

persone e di luoghi amati.

Questa cartella di disegni a china, plau-

sibilmente è utile a storicizzare i cinque

anni (2010-2014) di percorso culturale e a

scoprire la forza e l’identità paesaggistica

di Civitella del Tronto, ma il vero intento è

quello di trasmettere l’entusiasmo che mi

muove per la bellezza e la cultura.

della rappresentazione.

Spazi e volumi, vuoti e pieni, volti e mura

sono figurati con una unità di stile e un

equilibrio formale per tutte le tavole.

Le linee precise e accurate del segno a chi-

na, anche se vergate con impeto e velocità,

tolata “Il racconto dei volti il racconto delle

pietre – Reportage in carta e inchiostro di

china delle iniziative culturali di Le Lunarie

di Civitella del Tronto”.

A ogni ritratto, il difficile è stato abbinare

uno sfondo cittadino plausibile, adeguato

alla luminosità e alla prospettiva dei ritratti,

capace comunque di creare una situazione

accattivante e curiosa. I segni netti della

penna a china, che non permettono nessun

ripensamento e non accettano errori, senza

la mediazione della gradualità della sfuma-

tura o la differenziazione del colore, danno

un senso astratto alla realtà che aiuta chi

osserva a crearsi un’elaborazione propria

Paola Gasman

Roberto Michilli

Davide Rondoni

9n.111

10 La storia e il tempo

14 febbraio 1915

n.111

di

[email protected]

Cesare Battisti a Teramo

cinquant’anni fa…” .

Nei passi successivi si adoperò per far emergere l’azione vessatoria

dello stato austriaco nei confronti delle etnie che ne costituivano la

popolazione. Si soffermò chiaramente sulla condizione dei 400 mila

italiani, che vivevano sul territorio trentino, evidenziando come gli

austriaci stessero artatamente operando per distruggere la ricchezza

della zona italiana a tutto vantaggio del Tirolo.

Secondo Battisti, la zona tedesca era ricca in ragione di tali scelte che

investivano

a) il campo politico/rappresentativo (”... ha provveduto agli interessi

di questa provincia … italiana unendola al Tirolo tedesco ... si che la

maggioranza dei rappresentanti alla Dieta è tenuta da 60 tedeschi

contro 30 italiani…”)

b) il campo fiscale (”…così si spiega perché il fisco colpisca senza

misericordia l’elemento italiano ... consentendo agli italiani appena il

necessario…”)

c) il campo sociale ed economico (…la zona tedesca è ricca, solcata

di strade, fornita di ferrovie … Il Trentino … è ricchissimo di acque,

che potrebbero animare elettricamente le industrie; ma il Governo

(austriaco!) non permette che stabilimenti si impiantino, perché teme

l’invasione operaia. Il Trentino sarebbe ricco di pastorizia, ma fra le

regioni montuose … e la pianura lombarda dove per secoli (mandrie)

sono discese a svernare, c’è il confine e questo impedimento fa

languire una industria importantissima. Il Trentino dunque è un povero

paese, ma povero perché soggetto all’Austria…”)

Usciva apparentemente fuori da tale quadro il porto di Trieste, ma -

sempre secondo l’oratore - il porto della città era ricco e prospero

solo per una vantaggiosa e deterministica posizione geografica e non

per l’intervento del governo austriaco

Come emerge dalle parole riportate, l’irredentismo del Battisti non

sembra associabile ad una lettura

nazionalista, tant’è che C. Gatterer

nel suo “Ritratto di un alto traditore”

lo definisce un socialista “internazio-

nalista” e pacifista, anche se allo

scoppio della guerra nel 1914 si era

fatto banditore dell’ultima guerra

risorgimentale d’Italia e della distru-

zione della pluriennale monarchia

asburgica.

In effetti nella visione politica, nella

idea del conflitto del trentino riecheg-

giava quasi il sogno mazziniano, se

la guerra veniva presentata e vissuta

come fine per la creazione degli stati

uniti d’Europa.

Le letture “postrisorgimentale” e

socialista si fondono in effetti in Battisti avendo come cardini giustizia

e libertà quali esigenze individuali e sociali irrinunciabili.

La libertà alla base della comunità democratica e giusta da lui imma-

ginata è modernamente una libertà “reciproca” e “corresponsabi-

le” - oggi diremmo inclusiva - perché la libertà dell’uno deve essere

a supporto e realizzazione della libertà del prossimo. “…la Patria

costruisce l’anello tra il singolo e l’umanità…”

esare Battisti aveva a suo tempo confermato la presenza a

Teramo all’avv. Romani con una lettera, nella quale lo invitava

ad indicare “prestissimo” il luogo della manifestazione e se

dovesse gestire l’intervento come conferenza o comizio.

In seguito (marzo 1915) provvide anche a ringraziare il sig. Luigi Bartoli

– componente del Comitato organizzatore – che gli aveva inviato un

biglietto ed il giornale che parlava in modo lusinghiero della conferen-

za tenuta presso il cinema Apollo.

“…Non loro devono ringraziare, tale dovere spetta a me che ho avuto

a Teramo accoglienze così cordiali…”

Certamente, pur abituato ad essere accolto con onore, non si aspet-

tava - una volta salito sul palco

della città - di avere il tributo

di affetto e di stima del folto

pubblico presente.

Romani presentò Battisti come

novello Prometeo capace di

accendere la scintilla e rendere

l’idea irredentista matura per

essere “amata” dagli uomini…

Comunicò alla platea che

l’oratore era importante perché

per la sua vicenda personale

portava con sé la nobiltà della

persecuzione e il desiderio mai

sopito di riscatto e di dignità.

Il Romani usò quindi tutta

la sua capacità oratoria per

sottolineare come le parole

e la presenza di Battisti non

potevano che proiettare immagini del dolore quotidiano sopportato da

una etnia e contemporaneamente essere espressione di una ancor

lontana speranza di riscatto, che la nuova Italia poteva rischiarare con

l’intervento nel conflitto.

Dalle pagine del libro di A. Scarselli: Lorand e Battisti a Teramo (1932)

sappiamo che Battisti fu costretto a chiedere… ”che gli applausi si

quietassero, per poter serenamente e freddamente discutere...”.

Nell’esordio l’oratore sottolineò energicamente come l’Austria non

fosse stata toccata come gli altri stati da processi di innovazione

“….civiltà, progresso, democrazia hanno potuto sconvolgere le condi-

zioni di tutti gli altri stati, ma hanno lasciato l’Austria intatta, com’era

C

lettere indirizzate alla moglie, descrivendo

una guerra dove i fanti sporchi e malati gli

apparivano solo carne da macello. Assegna-

to sul fronte del Monte Corno il 10 luglio

1916 a seguito di combattimenti fu preso

prigioniero dagli austriaci e condannato a

morte per impiccagione il 12 luglio dello

stesso anno.

Ma Teramo non lo aveva dimenticato.

Il popolo abruzzese nello stesso mese della

morte comunicava in un articolo che era

stata aperta una sottoscrizione per il mo-

numento in onore “…del martire glorioso,

che, con la sua smagliante conferenza qui

tenuta prima della dichiarazione di guerra,

fece fremere i cittadini teramani…”.

La nota si concludeva avvisando i cittadini

di Teramo che il Sindaco in persona avreb-

be commemorato Battisti nella seduta del

Consiglio p.v.

A Battisti per il suo eroismo venne conces-

sa la medaglia d’oro al valore militare con

questa motivazione:

“Esempio costante di fulgido valore mili-

tare, il 10 luglio 1916, dopo aver condotto

all’attacco con mirabile slancio la propria

compagnia, soprafatta dal nemico sover-

chiante, resistette con pochi Alpini fino

all’estremo, finché tra l’incerto tentativo

di salvarsi volgendo il tergo al nemico ed il

sicuro martirio, scelse il martirio. Affrontò

il capestro Austriaco con dignità e fierezza,

gridando prima di esalare l’ultimo respiro:

’’VIVA L’ITALIA’’ e infondendo con quel grido

e col proprio Sacrificio Santo, nuove ener-

gie ai combattenti”.

In questo quadro articolato, piccolo ma

significativo è risultato il “saluto” che è

stato di nuovo tributato a Battisti presso la

Sala S. Carlo a cento anni esatti dalla sua

venuta a Teramo.

Alla presenza di autorità civili e militari e

di una rappresentanza di scuole teramane

è stata ricordata sullo sfondo della prima

guerra mondiale quella giornata del 14

febbraio 1915, nel corso della quale anche

Teramo entrò emotivamente nell’univer-

so immenso e drammatico della grande

guerra.

L’associazione alpini presente alla manife-

stazione coordinata dal prof. Di Felice ha

alla fine accompagnato fino allo stabile,

dove era ubicato il cinema Apollo, i presenti

per consentire loro di “riscoprire” la lapide

commemorativa posta dalla “Democrazia

teramana” a ricordo del martirio di Cesare

Battisti .

Davanti alla lapide è stata poi officiata una

breve cerimonia con saluto militare.

Forse l’On. sarebbe stato perfino soddisfatto

di vedere realizzata attraverso la sua azione

politica nella dieta del Tirolo un rinnovamen-

to dell’Austria tale da consentire alla comu-

nità italiana migliori condizioni di vita sociale

ed economica, ma le vicende di inizio secolo

impedirono che i lunghi tempi della politica

potessero portare ad una evoluzione più

democratica dell’impero austroungarico.

La sua scelta culturalmente interessante

e collegabile per alcuni versi a prospettive

moderne (statuto speciale/autonomia,

garanzia delle minoranze etniche, suffragio

universale) non poteva certamente essere

discussa dal governo austriaco, che sporse

denuncia contro Battisti per alto tradimento

e avviò in modo riservato una istruttoria (n.

22/1914) contro il latitante “… per crimine

d’infedeltà previsto dal // 183CP e di truf-

fa…” con la dicitura “da arrestarsi”. Il Batti-

sti, già fuori dal territorio austriaco, quando

seppe di tali istruttorie cercò di difendersi,

pur nella coscienza che per vari motivi era in

corso “.. lassù nel Trentino continua feroce

ed accanita lotta contro di me…”. “...È una

caccia feroce che si fa in mille e mille modi

per prendermi pel collo” (Epist. I p.374)

Anche Giorgio Romani – pur se per ragioni

diverse – a pochi mesi dal comizio e a

distanza di un anno dal comizio di Battisti di

cui era stato il principale artefice fu sottopo-

sto ad “indagine conoscitiva“ da parte delle

forze dell’ordine.

Il Commissario di PS dell’epoca in data 19

aprile 1915 - riferisce dell’orientamento poli-

tico di Romani e ricorda che lo stesso aveva

organizzato il comizio di Cesare Battisti c/o

il cinema Apollo il 14 febbraio u.s.

Quando come sergente di fanteria in servizio

a Chieti fece domanda per essere nominato

sottotenente per poi essere inviato al fronte,

Col di Lana (nov. 15) e passo Tre Croci e

Croda d’Ancona (apr. - lug. 16) fu sottoposto

a nuova informativa per consentire il pas-

saggio di grado. Tutte le note su Romani si

concluderanno, comunque, con dichiarazioni

di stima e di affidabilità, che consentiranno

all’Avv. di Torricella di poter vestire l’unifor-

me di ufficiale.

Anche Battisti non si limitò a riscaldare

gli animi in occasione delle conferenze in

giro per l’Italia (85 conferenze tra il 14 e il

15!), ma, quando il Ministero della guerra

consentì agli irredenti di entrare nel Regio

Esercito, scelse già il 29 maggio 1915 di

vestire con orgoglio l’uniforme italiana.

Uomo di grande cultura richiestissimo dal

Comando d’armata per la sua conoscen-

za della lingua tedesca, da personaggi

emergenti come Mussolini e da vari giornali

ed editori intrigati dalle sue teorie politico

sociali, avrebbe potuto con facilità vivere la

guerra da una scrivania, ma chiese ed ot-

tenne di prestare servizio presso il 5° regg.

Alpini di Milano. Nel luglio del 15 era sul

Tonale al seguito del Comandante di com-

pagnia durante le ricognizioni. Sul fronte si

guadagnò la prima medaglia di bronzo.

Necessità economiche lo spinsero a chie-

dere di essere nominato sottotenente e la

nomina alla fine giunse seppur con molto

ritardo il 13 novembre 1915. Il nuovo fronte

a cui fu assegnato (Corno di Valle) rivelò

all’idealista Battisti la guerra delle insidie e

dei saccheggi brutali (dic. 1915).

A gennaio fu a Verona. Nel maggio 1916

provò ad avvisare senza successo il co-

mando italiano della massiccia operazione

che gli austriaci stavano preparando. La

spedizione punitiva travolse le linee italiane

e per la prima volta Battisti si sfogò in

11n.111

12 La scuola

Ai lettori l’ardua sentenza

n.111

di

[email protected] GabriellaDel Papa

Buona o Cattivascuola?

degli istituti tecnici e professionali per almeno 200 ore l’anno.

Ma ciò che appare non è mai del tutto rispondente al vero.

Vediamo in veste critica alcuni punti e i contenuti principali del

DDL.

Il grosso del provvedimento è costituito dal Piano straordi-

nario per l’assunzione dei circa 200.000 docenti, quanti sono

necessari per la messa a regime dell’organico funzionale - i

docenti, cioè, necessari al funzionamento ordinario della scuola

senza far ricorso strutturale ai precari. Si tratta di coprire tutte

le cattedre vacanti con personale di ruolo e rispondere alle esi-

genze didattiche, organizzative e progettuali del nostro sistema

formativo senza far ricorso a continue assunzioni e licenzia-

menti “stagionali” di centinaia di migliaia di docenti e personale

tecnico amministrativo. Tra i 100 mila e 150 mila precari saranno

assunti a settembre 2015, poi per le successive prese di servizio

si tornerà a selezionare i docenti solamente attraverso il tanto

auspicato e contrastato “concorso”.

1. Rafforzare l’autonomia scolastica: saranno i dirigenti a sce-

gliere i docenti.

Verranno, infatti, istituiti albi regionali, divisi in liste provinciali

e sub provinciali, da cui i dirigenti potranno attingere per l’as-

sunzione dei docenti, sulla base del curriculum e della carriera

pregressa. Nelle liste confluiranno i neoassunti e i docenti già di

ruolo, che potranno essere scelti solo a seguito di una volonta-

ria domanda di mobilità. Il dirigente potrà proporre ai docenti un

incarico su cattedra o su organico funzionale in base al curricu-

lum. La proposta potrà

essere avanzata anche

a docenti che coprono

in modo stabile una

cattedra in altra scuola.

Gli incarichi si rinnovano

ogni tre anni.

2. Potenziare la for-

mazione continua dei

docenti. Finalmente

anche in Italia è sancito il

principio della formazio-

ne continua dei docenti

che dovranno ogni anno

seguire cinquanta ore di

formazione non retribu-

ita. Tuttavia per la prima

volta nella scuola italiana

gli insegnanti potranno

anche contare su un

piccolo “portafoglio

personalizzato” per l’aggiornamento e le risorse tecnologiche:

500 euro annui a disposizione da allocare su libri, hardware,

software, corsi di formazione e/o iniziative culturali. A ciò si

aggiungono 40 milioni di euro aggiuntivi per la formazione obbli-

gatoria. Riusciranno, in realtà, a trovare tutti i soldi necessari a

fare questo o per lo meno a toglierli da altri settori per immet-

terli nella scuola?

È facile dire tutto ciò che dovrebbe essere fatto, ma il problema

arlare della “Buona Scuola” non è affatto semplice, è

un dato di fatto, ma il dibattito non è chiuso, si discute

ancora, nonostante il mondo scolastico abbia riaperto le

porte.

Sono in molti a criticare i punti del DDL, ma vediamo cosa il

governo Renzi ha redatto e cosa in realtà non funziona.

Vi espongo brevemente alcuni punti della Buona Scuola, così

come ci viene presentata e che a una prima e veloce vista

potrebbe sembrare condivisibile in toto.

1 - Mai più precari nella scuola, s’intende chiudere le graduato-

rie a esaurimento.

2 - Dal 2016 si entrerà solo per concorso, non vi dovranno esse-

re più liste d’attesa che durano decenni.

3 - Basta supplenze,

si vuole garantire alle

scuole, grazie al Piano

di assunzioni, un team

stabile di docenti.

4 - Si parla di qualità,

valutazione e merito.

5 - La scuola si aggiorna:

si parla di formazione e

di innovazione.

6 - Nella scuola ci sarà

maggiore trasparenza:

dati e profili online.

7 - Si lavorerà per sbloc-

care la scuola, con l’aiu-

to di ragazzi, presidi ed

insegnanti si cercherà di

individuare tutte quelle

procedure che gravano

sul carrozzone scuola e

si cercherà di eliminarle.

8 - La scuola sarà sempre più digitale.

9 - Per dirla con Giovenale: “Mens sana in corpore sano”. Si

porteranno Musica e Sport nella scuola primaria e più Storia

dell’Arte nelle secondarie.

10 - Si parla anche di nuove alfabetizzazioni: rafforzamento del

piano formativo per lo studio delle lingue straniere, diffusione

dello studio dei principi dell’Economia in tutte le secondarie.

11 - Alternanza Scuola-Lavoro obbligatoria negli ultimi 3 anni

P

Una novità che sta già mettendo in crisi

più di un capo d’istituto che, in caso di

assenza per malattia di qualche giorno,

si vedrà costretto a distribuire nelle

altre classi gli alunni senza docente; con

classi che diventeranno vere e proprie

bolge ingestibili.

6. Il Pft. In questi giorni, e presumibil-

mente per diverse settimane, i dirigenti

scolastici si stanno scervellando sul nuo-

vo Piano triennale dell’offerta formativa,

l’ennesimo acronimo che sostituisce

il più familiare Pof. In compagnia dei

propri collaboratori, stanno vagliando

ipotesi e operando scelte per il progetto

triennale delle attività scolastiche che

coinvolgeranno le scuole dal 2016/2017

al 2018/2019. Un compito tutt’altro

che semplice perché, contrariamente a

quanto è avvenuto in passato, oltre alle

attività sarà necessario pianificare anche

le risorse – umane e finanziarie – impor-

tanti per realizzazione

del Piano per il prossi-

mo triennio.

7. Alternanza scuo-

la-lavoro. La scuola

italiana si avvicina

al mondo del lavoro.

Quella dell’alternanza

scuola-lavoro non è

una novità assoluta.

Ma lo diventa perché

questa modalità viene

estesa come obbligo

a tutti gli alunni degli

istituti tecnici e pro-

fessionali – per 400

ore nell’ultimo triennio del percorso

scolastico – e dei licei, che dovranno

recarsi in azienda a mettere in pratica

quello che hanno imparato a scuola per

almeno 200 ore, sempre nel triennio.

Belle parole, ma perdonate la scetticità,

traducendo potrebbe anche voler dire

fornire alle aziende manodopera a basso

costo, con gli studenti inseriti nel piano

di alternanza scuola-lavoro, insomma

un altro stratagemma per legalizzare il

lavoro giovanile.

8. La carta dell’insegnante. Da quest’an-

no, ogni docente dovrebbe ricevere una

Carta elettronica con una somma di 500

euro da spendere in attività di aggiorna-

mento e formazione. Anche questa, una

novità assoluta che colma anni di richie-

ste degli insegnanti costretti a spendere

di tasca propria per

aggiornarsi. Sarà

fondamentale è eliminare il condizionale

dai discorsi, riportare tutto all’indicati-

vo, ma ad un indicativo fattivo e non di

parole al vento.

3. Si accelera nella direzione della valo-

rizzazione del merito. Restano gli scatti

di anzianità, ma sono stati confermati gli

annunciati 200 milioni di stanziamento

per premiare le capacità e il merito dei

singoli docenti. Il dirigente attribuirà gli

scatti di merito al 5% degli insegnanti,

per cui è stanziata un’apposita posta di

bilancio di 200 milioni. Non sono ancora

chiari i criteri di “premialità”, ma il DDL

prevede che dovranno essere distribuiti

in conformità a “specifici criteri” tra i

quali sono elencati, la qualità dell’inse-

gnamento, il rendimento degli alunni,

l’innovazione metodologica e didattica,

il miglioramento dell’efficienza della

scuola di appartenenza.

Abbiamo dei criteri obiettivi, reali, validi

per tutte le realtà, da

apportare con sicurez-

za e asserire che un

insegnante valga, sul

piatto della bilancia, più

di un altro? Sarebbe

ora, in effetti, che fosse

dato il giusto ricono-

scimento ai docenti

davvero competenti e

dediti alla professione,

ma non sempre questi

si configurano come

coloro impegnati in

attività aggiuntive, né

tanto meno i dirigenti

sono sempre i migliori nel giudicare e

valorizzare il corpo docenti adeguata-

mente. Pertanto legare la valutazione

dei docenti al discernimento unico dei

presidi o all’INVALSI, è cura peggiore

del male. Oltretutto, bisogna ricordare,

banalmente, che si tratta di persone

laureate che hanno acquisito un’alta

professionalità con l’esperienza diretta,

attraverso corsi e concorsi abilitan-

ti. Forse sarebbe più opportuno che

fossero ispettori esterni e imparziali a

verificare in classe l’operato dei docenti,

dopo tutto è nelle aula che si espleta

pienamente la nostra professione con e

per gli studenti.

Non sarà facile, quindi, stabilire i criteri.

Qui occorre fare un in bocca al lupo

a coloro che riusciranno a trovarne

senza che la massa si alzi in un boato di

incredulità.

4. Cosa dire del “Preside Sceriffo”? I

docenti, di ruolo da anni o neoassunti,

si sono già confrontati con la nuova

figura del preside dai poteri amplificati

prevista dalla legge 107. In molti casi,

riferiscono gli insegnanti, non si tratta di

cambiamenti formali, ma di un cambio di

atteggiamento rispetto al passato.

Anche qui bisognerà vedere cosa acca-

drà, si dovrà osservare se l’intelligenza

della persona prevarrà sulla sete di

potere.

5. Tra le novità più attese, c’è sicura-

mente l’organico di Potenziamento: un

contingente di 55mila insegnanti che

servirà alle scuole per rilanciare l’auto-

nomia scolastica e potenziare la musica

e l’educazione motoria nella primaria,

la lingua straniera e l’informatica nella

scuola secondaria di primo grado e il di-

ritto, l’economia e la storia dell’arte alle

superiori. Cosa che arriverà nelle scuole

non prima di tre mesi dal suono della

campanella. Il ministero, in base alle

richieste che perverranno entro il mese

di ottobre dalle scuole, assegnerà agli

istituti un certo numero di insegnanti,

di fatto scollegato dalla reale presenza

in classe. Per la prima volta in assoluto,

le scuole potranno contare, in media,

su cinque insegnanti in più rispetto alle

esigenze frontali, da impiegare in attività

di potenziamento, recupero, sostegno e,

in generale, in tutte le attività del Piano

dell’offerta formativa che richiederanno

risorse umane aggiuntive. Il ministero

prevede di assegnare, sempre con una

fase nazionale, questo personale alle

scuole entro il mese di novembre. Ma si

potrebbe arrivare al nuovo anno. E fino

a quando non si presenteranno a scuola,

i dirigenti scolastici non potranno

nominare supplenti per brevi periodi.

13n.111

segue a pag. 14

è infinita! E, soprattutto, che al centro

della scuola c’é il bambino, il ragazzo,

la persona ed è a lui che si dovrebbe

rendere conto di tutto.

14n.111

fatica l’anima) e quando si dovrebbero

eseguire? Tra una copertura e un’altra,

tra un’attività di vigilanza e l’altra? Non

dimentichiamo che una giornata non

possibile, con questa cifra, acquistare

libri o assistere a spettacoli teatrali e

iscriversi a master o corsi di aggiorna-

mento. Ma su questo punto il ministero

dell’Istruzione è già in ritardo perché “i

criteri e le modalità di assegnazione”

della Carta ai docenti dovevano essere

previsti in un decreto che non è ancora

pervenuto.

A questo punto vorrei proprio credere

a ciò che si legge nella “Buona scuola”,

fidarmi come se stessi nel mondo delle

favole, ma la realtà non è mai riuscita a

sovrapporsi alla finzione. Il paradiso che

ci stanno offrendo sarà reale?

Perdonate la mia perplessità. Come

si potrà far fronte a tutte le attività

elencate ed essenziali per lo svolgimen-

to del mestiere di docente (che non si

riduce solo a pontificare da una catte-

dra durante una lezione frontale e che

invece richiede molta energia e che af-

segue da pag. 13

15Scuola [email protected]

“Servono regole anche per noi prof:non rinunciare mai a giacca e cravatta”

P Il dirigente scolastico Mario Rusconi

n.111

Papere e amenità

I Queen, la Regina e le circolari di una preside

1.

[email protected]

“Certo. Quando andavo alle medie

facevo tedesco con un’insegnante molto

giovane e carina. Allora le cattedre erano

aperte e il nostro sport preferito era far

cadere la penna per guardare le gambe

della professoressa. L’abbigliamento

adeguato vale per tutti. Ma

resto dell’idea che su queste

cose ci voglia anche un po’ di

ironia”.

Per esempio?

“Quando incontro nei corridoi

un ragazzo con i bermuda ca-

lati o una ragazza con la ma-

glietta un po’ troppo aderente

me la cavo con una battuta.

“Perché non consigli a tua

madre di cambiare detersi-

vo?” in queste cose bisogna

essere un po’ scanzonati”.

reside Mario Rusconi, è giusto

vietare canottiere e minigonne

a scuola?

“Io non credo nelle circolari repres-

sive. Penso però che si debba spiegare

ai ragazzi che devono vestirsi in modo

adeguato. Altrimenti rischiano di perdere

punti quando poi andranno a sostenere

un esame all’Università o a un colloquio di

lavoro. Quello che vale per gli studenti, vale

a maggior ragione per i presidi.

Ogni anno a fine agosto, come

vice presidente dell’Associazio-

ne Nazionale Presidi, preparo

i futuri dirigenti a quello che li

aspetta. E spiego loro che de-

vono andare a scuola in giacca

e cravatta. Nel caso delle don-

ne, invece, niente minigonne”.

Vale anche per i professori?

Immaginate che un illustre giornale, trattando del Giubileo di

governo della regina Elisabetta avvenuto nel 2002, scriva che

il Gruppo dei Queen, fondato dal compianto Freddy Mercury,

chiamato a cantare, abbia intonato da Buckingham Palace il fa-

moso “God save the Queen” (“Dio salvi la

regina”). Immaginate che l’illustre giorna-

le di cui sopra abbia tradotto il titolo del

brano musicale con “Dio salvi i Queen”.

Traduzione non maccheronica, molto

di più, da teatro dell’assurdo (vogliamo

chiamare in causa Ionesco?)

2. Immaginate che un illustre giorna-

le, scrivendo di Israele abbia titolato

“Schricchiola il partito…”

3. Immaginate che un illustre giornale

abbia creduto di vedere in Piazza della

Signoria a Firenze il David di… Donatello!

4. Immaginate altre amenità del genere reperite frequentemente su quoti-

diani nazionali e locali, nonché in radio e TV (vedi la rubrica di questo sito

“Papere rosse e blu”).

Ebbene, ve la sentireste di dire che quel giornale, quella TV, quel giornali-

sta, quel titolista, indegni di rappresentare la categoria, riverberano ogget-

tivamente su tutta la categoria la loro inettitudine? No, trattandosi di una

insostenibile, improvvida generalizzazione, che – come tutte le generaliz-

zazioni improvvide – sfocia nella vanificazione dell’assunto di base.

Qualcuno si chiederà come mai il vostro Orbilius abbia sentito la necessi-

tà di correggere i compiti dei giornali.

Ben più pesante di una eventuale, improvvida generalizzazione sulla

professionalità dei giornalisti è quella apparsa recentemente su un quo-

tidiano (tra l’altro, uno di quelli di cui sopra) riguardante l’eccesso di for-

malismo, unito ad una scarsa dimestichezza con la lingua italiana, di una

preside che ha inondato con un profluvio di circolari interne i malcapitati

docenti ed impiegati della scuola da lei diretta.

Da questo singolo, quasi comico (se

non fosse gravemente antiprofes-

sionale) episodio l’illustre giornalista

dell’illustre giornale fa giungere il

lettore alla conclusione che i dirigenti

delle scuole sono di tal fatta.

E, dunque, la “Buona scuola” è di per

sé un fallimento.

Vanificazione per generalizzazione,

appunto, almeno agli occhi di Orbilius.

P.S.: Confermo che gli episodi citati nei punti 1/2/3 sono reperibili nella

rubrica “Papere rosse e blu” del sito dell’ANP di Roma, insieme a molte

altre amenità giornalistiche ivi contenute.

dalCorriere della Sera del 30/8/2015

16 Accade a Teramon.111

di

www.mauriziodibiagio.blogspot.comMaurizioDi Biagio

Piazza Kabul

per dei parcheggi in centro storico”. Allora erano pure i

tempi dei project- financing che impazzavano tra gli uffici

tecnici di Piazza Orsini, con evidente ricadute finanziare

a tutto favore degli imprenditori amici e dunque briciole

alla comunità. Ma Piazza Dante grida vendetta. Primo per

quell’arredo urbano che in origine prevedeva piante, cam-

pi da basket, panchine proprio in una metà della piazza,

chiaramente opere mai realizzate malgrado la firma di una

convenzione, ma si sa gli atti spesso sono da cornice ad

un’idea, poi gli eventi franano… Secondo la convenzione,

appunto, i 150 stalli a raso dovevano essere riconsegnati

alla collettività nel marzo del 2011, data in cui sarebbe-

ro dovuti iniziare i lavori per l’arredo urbano ma nulla di

questo è stato fatto. L’amministrazione comunale si è

mostrata ben disponibile verso la società Parking Piazza

Dante prorogando di volta in volta la data e rimodulando

il Piano economico-finanziario. “Abbiamo chiesto più volte

senza avere risposta su quali fossero, se c’era davvero

a serie di piccoli birilli spartitraffico di plastica bian-

chi e rossi, posti da mesi sopra la grata al centro del

parcheggio di Piazza Dante, rimuovibili da chiun-

que con un semplice calcio e di grandi birilli rossi

incatenati tra loro e posti a corollario dell’edificio del

Liceo Classico, sempre sopra le grate che “arieggiano” il

sottostante parcheggio, fanno sorgere una domanda: se le

grate, evidentemente precarie se segnalate ma “protette”

in maniera impropria, approssimativa e dilettantistica,

dovessero cedere sotto il peso del traffico automobili-

stico e causare danni al pedone o alle automobili, a chi

sarà attribuita la responsabilità? Su questo interrogativo

attendiamo risposta. Piazza Dante, tra l’altro, è insultata

da mille ammennicoli vari, tra invadenti garrite d’ascenso-

ri e sovra-piantumazione di segnaletica, effigia lo stato di

uno spazio storico violentato da un accordo tra pubblico

e privato, molto squilibrato a favore del secondo. La storia

di quel parcheggio nacque, anzi sopravvisse, dalle parole

dell’allora assessore comunale Enrico Mazzarelli che

giustificò l’opera perché “v’erano dei fondi da spendere

L

L’ennesima proroga in favore del privato rallenta “sine die” la riconsegna di Piazza Dante al cittadino

parcheggi: insomma tutta colpa dei

Teramani, dei nostri avi, che in quel

sito hanno realizzato opere, come

si compiono da secoli. Alla faccia

dei sondaggi compiuti nel 2005 dai

tecnici comunali proprio per evitare

che poi le ruspe inciampino in

qualche vasellame o corridoio. “Da lì

è nato tutto” dichiara Brucchi. “Nel

frattempo la società Parking Piazza

Dante è fallita e c’è stato il tempo

per trovare un concordato, insom-

ma, i libri sono andati in tribunale…

Quindi, tutta una serie di vicissi-

tudini. Si era trovato un percorso

in cui si stava cercando un nuovo

equilibrio economico-finanziario per

quanto riguarda l’intervento”. Nel

frattempo però la piazza non è

pedonalizzata, come da accordi,

come da convezione stipulata tra

le parti. “Dagli aspetti valutati –

prosegue il sindaco - abbiamo in

una prima fase condiviso il fatto

che la gestione del parcheggio

a raso fosse in parte un ristoro”.

Ovviamente D’Alberto non è con-

tento della risposta del sindaco:

“Lì c’è una chiara responsabilità e

scelta politica, perché è evidente

il modo con cui questa ammini-

strazione politicamente ha gestito

la vicenda Piazza Dante, modo

che resta incomprensibile, dimo-

strando tutto il fallimento politico

e amministrativo, perché siamo

ancora con una delibera del 2013

che proroga sine die la gestione a

raso di un parcheggio fondamen-

tale per la nostra città, senza una

scadenza, senza una possibilità

di controllare effettivamente qual

è il vantaggio economico che noi

stiamo dando al privato”.

un’analisi da parte dell’ammini-

strazione, i vantaggi che stavamo

concedendo al privato nell’ambito

della rimodulazione del piano eco-

nomico-finanziario, sia in termini

di gestione dei parcheggi che in

termini di esenzione dal pagamento

Cosap e non abbiamo avuto rispo-

sta” commenta il consigliere comu-

nale del Pd, Gianguido D’Alberto,

da tempo sentinella dello slargo

del Liceo Classico e dei Cappuc-

cini. Dice il “sannicolense” di aver

trovato negli uffici una situazione

addirittura di “totale vuoto su questa

faccenda”: se la Team è famosa per

il suo impenetrabile muro di gomma,

gli uffici tecnici farebbero sparire le

carte nei buchi neri, che poi secondo

le recentissime scoperte tanto neri

non sono. Le ultime notizie vogliono

che nell’ennesima riformulazio-

ne sia apparsa una prosecuzione

della gestione del parcheggio a raso

ancora per dieci anni! D’Alberto

prospetta anche responsabilità di

carattere erariale “perché qui ne va

di mezzo il futuro di questa piazza,

ma in cima ai pensieri c’è soprat-

tutto la risoluzione di un problema

che pesa in modo inaccettabile

per tutta l’amministrazione”. Nelle

schermaglie tra pubblico e privato

che ha contraddistinto la querelle si

pone il risarcimento di 6,6 milioni di

euro che la società aveva chiesto a

Piazza Orsini perché defraudata in

alcuni punti. L’amministratore

della società Maurizio Pier-

gallini ha sempre dichiarato

che “l’opera è stata squilibra-

ta dal punto di vista del piano

economico-finanziario, a

partire dalla procedura che è

iniziata nel 1999 ma conclu-

sasi solo nel 2010, una spesa

nel tempo eccessiva per tutti

i tipi di attività economiche”.

Inoltre, la resa dei parcheggi,

alla luce anche della crisi, “è

stata ridotta notevolmente, i

mancati introiti sono mol-

to più elevati di quanto si

pensasse: il parcheggio rende

mediamente 900-1.000-1.100

euro al giorno comunque un

introito molto al di sotto delle

prospettive”. E se a ciò si ag-

giunge il flop delle vendite dei

box auto, solo una settantina

sui 151 realizzati, Piergallini

ha sempre spinto sull’acce-

leratore chiedendo a Brucchi

un riequilibrio dei conti. Il

sindaco di Teramo parte da

lontano per avvallare in un

certo qual modo la linea dei

privati, dal ritrovamento ar-

cheologico che ha modificato

il progetto e il numero dei

17n.111

Pista di atterraggio deltaplani

Il triangolo... sexy

Check point

Check point

18n.111

De profundis

E

Il libro del mese

di

[email protected] CristinaMarroni

Di Oscar WIlde

“Two Loves” di Douglas. Wilde aveva risposto con una tale naturalez-

za da strappare “applausi sonori” dalla galleria del tribunale.

“L’Amore, che non osa dire il proprio nome in questo secolo, è un

grande affetto di un uomo più anziano per un altro più giovane, quale

vi fu fra Davide e Gionata, quale Platone mise alla stessa base della

sua filosofia, e quale si trova nei sonetti di Michelangelo e di Sha-

kespeare – quell’affetto profondo, spirituale, che non è meno puro

di quanto sia perfetto(…). È bello, è elevato, è la più nobile forma di

affetto. È intellettuale, e si dà ripetutamente fra un uomo più anziano

e uno più giovane quando l’uomo più anziano possiede intelletto e

quello più giovane ha tutta la gioia, la speranza e il fascino della vita.

Che così sia, il mondo non lo capisce. Se ne fa beffe, e a volte mette

qualcuno alla vergogna per questo”.

Nella lettera Bosie diventa l’emblema dell’amato indegno “la futilità

e la follia della nostra vita erano spesso molto stancanti per me; ci

incontravamo solo nel fango” e

lo scrittore quello dello schiavo

d’amore “la forza di volontà

costituisce la base del carattere,

e la mia volontà era completa-

mente soggetta alla tua”. Alfred

è arrogante, egoista, insensibile,

vanesio, superficiale, ingrato.

Eppure Oscar lo ama.

Infatti non c’è mai in queste

pagine pentimento per quella

relazione, semmai c’è il ram-

marico di non essere riuscito a

cambiare il ragazzo moralmente.

“Respingere le nostre esperien-

ze è arrestare il nostro sviluppo.

Rinnegare le nostre esperienze

è costringere la nostra vita alla

menzogna. È niente di meno che

rinnegare l’Anima”.

Wilde è lucidamente consapevole di essere passato “da una specie

di eternità di fama a una specie di eternità di infamia”. In carcere

sperimenta il dolore: “dietro al Dolore vi è sempre il Dolore. La

Sofferenza non porta maschera,

al contrario del Piacere”, ma ca-

pisce solo allora che “il segreto

della vita è la sofferenza”.

La lettura del “De profundis”

svela un uomo che ha superato

la contingenza e raggiunto il

piano in cui vita, letteratura e

morale sono contigui. Ci sono

momenti che sfiorano il sublime,

perché il fulcro della narrazione

è un cuore palpitante, appassio-

nato e consapevole. I contem-

poranei di Wilde intesero come

perversione quello che era un

sentimento autentico e sincero.

L’Amore infatti sopravvisse all’esperienza del carcere.

sistono personalità seducenti le cui azioni disegnano un modo

di vivere mai scontato e prevedibile. Emanano un’energia

magnetica della quale non possiamo disinteressarci: ne siamo

attratti, consci che non può darsi spiegazione finale del genio

e del dolore assoluto.

Oscar Wilde rientra tra queste, sebbene la rivista “Punch” nel 1881

commentasse il suo primo

volume di poesie come scarsa-

mente originale “Si chiama Wilde

-selvaggio- ma la sua poesia è

mansueta”. “Francoise de sym-

pathie, je suis Irlandais de race,

et les Anglais m’ont condamné

à parler la langue de Shakespe-

are” così parlava di sé Wilde a

Edmond de Goncourt.

Fra le opere di Wilde quella che

più apprezzo per la genuinità

delle parole e per il pathos è

la lunga e straordinaria lettera,

nota come “De Profundis”, che

lo scrittore indirizzò all’amato

Lord Alfred Douglas, il suo “Bo-

sie”, dal carcere di Reading.

L’opera rappresenta “uno stra-

ordinario documento umano”;

Wilde vi ha dismesso l’habitus del dandy per apparire autentico e

sincero. Leggere “De Profundis” significa entrare nell’intimità, cui il

titolo allude, inabissarsi fin dentro l’anima del poeta per riemergere

consapevoli di riconoscere ora

un cuore affranto e innamorato.

Le parole sono struggenti e

oscillano tra il rimprovero per

l’ingrato amante e per se stesso,

poiché lo scrittore ha compro-

messo la sua Arte per quella

cieca passione.

Wilde scrive la lettera nei primi

mesi del 1897, mentre sta scon-

tando in carcere la pena ai lavori

forzati per il reato di sodomia.

Durante uno dei processi il

giudice Charles Gill gli aveva

domandato di spiegare cos’era

“quell’amore che non osa

pronunciare il proprio nome”, citando proprio un verso della poesia

19Satira

di

[email protected]

Embargo alla teramana

DCe sinde o ‘nce sinde, cumbà!!!

n.111

possono definire argomenti apicali. Tale quindi è il

comunicato stampa dell’annuncio di inizio dei lavori

che serviranno a completare la pista di collegamen-

to pedonale e ciclistico tra l’Acquaviva e la Gamma-

rana. La nota esplicativa assicura che lungo l’asse

della pista, non figureranno più interferenze con le

automobili. Della serie: “Vietato sputare per terra

sugli autobus”; “Non sbottonarsi l’impermeabile

dinanzi alle fanciulle se si è sprovvisti di indumenti

intimi”; “Non fumare nelle corsie degli ospedali,

soprattutto nei reparti di pneumologia”. La ditta

appaltatrice potrebbe iniziare i lavori entro il mese

di settembre, la chiosa del comunicato stampa del

Comune. Proprio come quel celeberrimo manifesto

pubblicitario della festa patronale che annunciava

un’improbabile esibizione della band di Renzo

Arbore con l’imbarazzante avverbio “forse”. Non

da meno, a Teramo, dopo le vicissitudini legate alle

peripezie calcistiche, si è deciso attorno a una ma-

nifestazione culinaria l’embargo nei confronti delle

prelibatissime “olive ascolane”. Il rimando alla città

di Ascoli Piceno a molti è parso scontato. Così evi-

dente che, per rappresaglia e per pareggiare i conti

in tavola, qualcuno ha voluto porre veti assoluti sui

consumi di un altro piatto tradizionale. Il succulento

“Tacchino alla Canzanese”. Anche in questo caso,

l’accostamento ai natii luoghi di un presidente del

football parrebbe similmente assiomatico. Si nasce

poveri. Oppure si diventa ricchi. Spesso, si rimane

così come si è.

ue parole sulle problematiche che attual-

mente investono le politiche sociali tera-

mane quanto e non altre il taglio ai servizi

per i disabili. Un comunicato stampa tira

l’altro e per Brucchi & Misticoni la pezza diventa

come al solito più grande del buco. La cinghia biso-

gna stringerla tutti quanti e questo vale anche per

chi suo malgrado è vittima della cosiddetta “mala-

sanità”. Un termine abusato, quest’ultimo, ricusato

dall’ex presidente della Regione Abruzzo, oggi “ano-

nimo” tra gli “anonimi” dei politicamente ininfluenti

per giusta causa vista l’incapacità amministrativa

dimostrata in cinque anni e mezzo, di conseguenza

punita dall’elettorato, all’indomani delle ultime

consultazioni elettorali. Politici di levatura irrilevante

ma comunque nobili nipoti di quella “zona grigia”

che anticipò la nascita del governo Parri rimasto in

carica dal 21 giugno 1945 al 10 dicembre 1945. Un

governo di 172 giorni in quei tempi anche detto del-

la “Resistenza”. Indifeso e ignorato perfino dal PCI.

A dicembre, sempre nel 1945, nacque il governo

De Gasperi appoggiato esternamente dagli alleati

e all’interno dai partiti di massa che avrebbero

condotto dritti dritti al compromesso costituzionale

per favorire la nascita della Repubblica. Un governo

con il quale inizia l’egemonia della Democrazia

Cristiana che caratterizzerà l’intero dopoguerra

italiano. Un predominio ideologico protrattosi fino a

oggi per mezzo dei suoi discendenti metamorfosati,

dispersi in sigle e siglette partitiche. Questa è l’e-

redità dei fautori dell’attuale ridondante sedicente

meritocrazia sbandierata impudica quale feticcio

propagandistico a sostegno del ritorno a logiche

censitarie, autoritarie e oligarchiche. Immuni ai

sogni archetipici, agli incubi di un esame di scuola

da ripetere, a un water che non si trova libero.

All’angoscia sul silenzio di dio, la colpa e l’innocen-

za che si antepone all’incontrario di quella di un

dio rumoroso. E la paura che crea limiti e confini;

nei pensieri e nei sentimenti, invece assenti. Misti-

cismo convergente e parallelo come la pista ciclo

pedonale denominata “Green Way”. Questi sì che si

L’oggetto del desiderio

La navicellaS

[email protected]

di

embra derivare dalla “Nef” il nome del singolare contenitore di stovi-

glie caratteristico della tavola degli aristocratici, definita

dal XIII secolo “La Navicella”.

Apparsa dapprima nel Medioevo usata come saliera, un

contenitore nel quale il sale poteva essere chiuso scongiurando

cosi la possibilità di essere tagliato con arsenico divenendo cosi

un arma letale.

Tale contenitore era un privilegio regale, poiché il principe quale

futuro erede al trono era colui che maggiormente correva il

rischio di avvelenamenti.

Col passare dei secoli presero la forma delle navicelle contenitori più ampi e

voluminosi adibiti a contenere tutto l’equipaggiamento da tavola del signore.

Sia il contenitore ermeticamente chiuso che il suo contenuto erano di mate-

riali preziosi quali oro e argento.

Fu solo in seguito che venne inserita negli arredi liturgici attribuendole il signi-

ficato mistico di chiesa o di croce del Cristo, entrambi strumenti per accedere

al mondo superiore. Tuttavia nei dipinti e nelle documentazioni dell’epoca,

essa sembra assumere anche un’eccezione legata al suo conte-

nuto: quello dell’incenso riferito alla natura divina di Cristo quale

simbolo del suo culto.

Viceversa alla “Nef” quale contenitore da tavola, va attribuito il

valore di segnale di regalità, per cui si evince che la “Navicella”

è attributo dei santi diaconi, mentre la “Nef” quale contenitore

regale compare spesso nell’iconografia dell’Adorazione dei Magi

come segnale della Divina Regalità.

HEARTBREAKERS, un nome, un programma e… un logo em-

blematico (un cuore rosso infuocato trafitto dalla chitarra),

graficamente tra i belli della discografia di tutti i tempi! Di

solito, quando facevo incetta di vinili, al mio ritorno nono-

stante l’ora tarda, non resistevo alla tentazione di mettere

sul giradischi, almeno un ‘campione’ dell’acquisto: ricordo

vividamente la circostanza, troppo forte il richiamo della

cover e… ooops, il miracolo delle 02:00 di mattino. Allaccia-

mo le cinture, volume a tavoletta e …booom, l’emozione si

ripete anche oggi, il supporto è diverso (CD), ma il risultato è

identico. Refugee, open-track fantastica: chitarre (2) elettri-

che scintillanti e assassine, il Rifugiato Petty e, l’altro diavolo

dello strumento, l’immenso Mike Campbell, a rincorrersi

continuamente, adeguatamente sostenute dalla ritmica,

Stan Linch (batteria) e Ron Blair (basso) infine, il mago delle

tastiere (piano, organo) Benmont Tench. Il brano è straor-

dinario, ritmo, melodia, chorus… tutto quello che dovrebbe

avere una perfetta rock song, condensato in 3’ e 21”! Il CD

incalza, in Here Comes My Girl (02), emerge il lato peculiare

del gruppo: continui cambi di ritmo, suono rotondo, sapido, la

voce di Tom mai così espressiva e sofferta, incanta nel recita-

to/cantato, sostenuto dalla perfetta macchina metronomica

(bass & drums) oltre naturalmente dal muro di chitarre e

condito a dovere dalle tastiere. Un simpatico jingle annuncia

Even The Losers, perfino i perdenti, partecipano al gioco scin-

tillante della resa sonora mozzafiato, bella, corale, incalzante

come non mai, anche negli urletti della dissolvenza finale.

Cambio di ritmo non proprio evidente, è la volta di Shadows

Of A Doubt (A Complete Kid), le ombre del dubbio possono

ingenerare equivoci e/o ambiguità? Ascoltate questo brano

e i dubbi medesimi si

dipaneranno nelle note

cantate e suonate

magistralmente dagli

‘Spezzacuori’. Ancora

uno stacchetto (un flip-

per!), Century City (05),

posto a conclusione della

versione A-side in vinile,

sostenuta, incalzante,

corale, ok, città ideale del

secolo. Il piano martel-

lante introduce la traccia

n° 06, Don’t Do Me Like

That, probabilmente

interlocutoria, precede

però l’altra gemma del

disco: You Tell Me, piano

e sinistre note d’organo

si incontrano e scon-

trano con il fuoco delle

chitarre, entrano tutti gli

strumenti e, la voce di

Tom, accorata, sofferta,

la suggestione è forte,

20 Write about... the records!

2CD Deluxe Edition 2010 (Digipack). BACKSTREET/GEFFEN – Distr. UNIVERSAL

di

[email protected]

Tom Petty & The Heartbreakers “Damn TheTorpedoes”

Q

n.111

uesta volta l’annosa diatriba Vinyl vs Compact Disc,

finisce con un equo pareggio, anche se, vorrei por-

tare acqua al mulino del ‘disco nero’: 1979, in piena

esplosione Punk, nelle ‘vasche’ di uno dei local record

store (Pescara), campeggiava la cover con un tizio biondo e

smilzo, T- Shirt rossa, giacca nera e, la (bellissima) Rickenba-

ker a tracolla che, come

vedremo, nulla aveva da

spartire con il ‘fermento

innovatore’ di quegli

anni, comunque impor-

tantissimi. (Thomas Earl)

Tom PETTY, Gainsville,

FLO, 1950, nato in una

famiglia con ascendenze

Pellerossa (nativo bion-

do?), adolescente, assiste

nella sua città, al Con-

certo di Elvis PRESLEY

rimanendo ‘fulminato’

e decidendo cosa fare

nella sua vita. Esordisce

con alcuni gruppi locali,

SUNDOWNWERS, The

EPICS e soprattutto The

MUDCRUTH (formazione

che ha ricomposto re-

centemente for concerts

& records), infine, mette

a punto la ‘perfetta

macchina da guerra’: The

ni dal vivo. Infine, altra

versione (demo) di Casa

Dega e, l’alternate take

di Refugee a conclude-

re degnamente così,

com’era iniziato l’ascolto

del disco. Lo spazio è

tiranno, le battute troppe,

devo spendere però qual-

che rigo a consuntivo di

un’esperienza d’ascolto

unica ed entusiasmante,

la mia copia in vinile poi

(rigorosamente import

from USA) è incredibil-

mente immutata nel

tempo, pulita, dinamica

(ascoltata centinaia di

volte!), ogni volta l’in-

canto si ripete, il disco

va suonato ‘play-loud’

(chi può permetterselo),

il CD suona altrettando

bene, merito del lavoro

di remaster di Chris

Bellman, l’originale era di per se ecce-

zionale, prodotto dallo stesso Petty e

Jimmy Iovine, sound Engineer Shelly

Yakus, cover art Tommy Steele.

Time, Disc 1, 36:32 / Disc 2, 30:18 –

Price: 18,91 DODAX/ZORENO (Ger-

many) – NAGIRY (UK) by Amazon

NB: Il CD ha un package adegua-

to, aperture a 3 ante, comple-

tissimo di credits, photos, tutti i

testi delle songs (booklet 28 pag.)

Voto: 10!

l’impatto è memorabile,

eclatante, risultato da

sballo! Ancora il piano

indiavolato di Mr. Tench

ai blocchi di partenza di

What Are You Doin’ In My

Life? Ascoltate la song e

trovate la risposta all’in-

terrogativo ‘esistenziale’

della domanda, a corolla-

rio della risposta stessa,

l’andamento del brano,

simpatico e divertente.

3 x 3 = 9, ultimo brano

del disc 1: Lousiana Rain,

volevo rimandare la cita-

zione ma, a questo punto

non posso esimermi nel

citare i ‘favolosi’ Byrds,

qui Petty fa ancora di più,

non li imita ma, li evoca

(non è la stessa cosa),

la song è meravigliosa,

sontuosa, umbratile

come la… pioggia della

Louisiana, altro jingle introduttivo, per

arrivare nello stato del sud, si parte

dalla California, non so quanto voluto

ma, la voce sembra proprio quella

del grande Roger McGuinn, melo-

dia, ritmo, atmosfera, la suggestione

è infinita. Disc 2: il vantaggio

‘pratico’ del CD è innegabile, si parte

con Nowhere, affatto uno ‘scarto’,

classica song alla Heartbreakers, ben

cantata e suonata, Surrender ci dice

che l’arrendevolezza fa parte della vita

musicale (non solo), brano con un bel

ritornello. N° 03: Casa Dega (era un 45

giri – 12”), stupendo, inizia lentamente

poi sale, cresce notevolmente, scan-

dito magistralmente dagli strumenti

e dalla voce… arrochita quanto basta

di Tom. It’s Rainin’ Again, molto breve

e interlocutoria ci porta al set-live’, 3

brani, nell’ordine Shadows Of A Doubt

(A Complete Kid), Don’t Do Me Like

That e Somethin’ Else, un saggio della

perfetta organizzazione della band,

rodata a dovere specie nelle esecuzio-

21n.111

pianiste: Colette Sibille, Michela De Pasquale e Viviana Gasperini.

Il 28 agosto si sono ascoltate le migliori voci d’Abruzzo al “Galà

della lirica” Beatrice Fallocco soprano drammatico, Giulia Valen-

tini Soprano di Coloratura e Daniela Nineva Mezzosoprano di

origine bulgara; al termine del concerto il pubblico ha tributato

alle artiste una “standing ovation” di dieci minuti.

Dal 3 settembre il Festival si è spostato a Tortoreto lido nel

Salone parrocchiale della Chiesa di Santa Maria Assunta con

una seguitissima “La Serva padrona” di Pergolesi in costume

settecentesco che ha visto protagonisti Annalisa Di Ciccio,

serpina, Ferruccio Finetti Uberto e Chiara

Marangoni Vespone. Sabato 5 settembre

si è tenuto il recital della pianista ferrarese

Rina Cellini che ha magistralmente eseguito

un programma di brani famosi e di brani per

pianoforte composti da operisti quali Bellini

e Gioacchino Rossini.

Il 10 settembre folla e grande successo del

“Galà della Lirica” con Arie e Duetti celebri

per soprano e tenore con Annalisa Di Ciccio

e Giovanni di Deo. La rassegna chiude la

sua fase tortoretana il 12 settembre con

un Concerto dedicato a brani d’Opera ed

alla Canzone Classica Italiana con Vanessa

Santilli soprano, Benedetto Agostino Tenore

ed il basso Lorenzo Rosini. A seguire ci

saranno un appuntamento ad Ottobre il

18 ore 17 e 30 con un concerto di “enfant

prodige” del pianoforte tra i quali spicca

Angela Carradori di dieci anni vincitrice di

numerosi concorsi pianistici. La rassegna

si conclude a Nereto con due concerti il 14

ed il 22 novembre ore 17,30 Sala Allende del comune di Nereto,

in cui si esibirà il noto soprano aquilano Antonella Cesari con un

programma di arie rare del repertorio da camera e la nota flauti-

sta Vilma Campitelli che suonerà brani di compositori abruzzesi

ambedue saranno

accompagnate dal M°

Sara Torquati. Siamo

contentissimi della

grande affluenza di

pubblico avuta, cosa

che ha fatto riflette-

re gli Assessori alla

Cultura di queste

amministrazioni

che sono sempre

un po’ prevenuti nei

confronti della musica

classica ed operistica.

Info: ASSOCIAZIONE CULTURALE Ensemble Synaesthesya

Via Strada Statale 16 n 39

MARTINSICURO TE

Cell 335-6627564

EMAIL: [email protected]

Associazione culturale Ensemble

Synaesthesya di Martinsicuro (Te)

grazie al significativo sostegno della

Fondazione Tercas, torna “a vivere”

dopo tre anni di quasi totale silenzio orga-

nizzando a partire dal 6 Agosto 2015, fino

al 22 novembre 2015, la XV edizione del Fe-

stival dell’Intermezzo “INCONTRI D’OPERA

2015”. La serie di spettacoli, che ha per mo-

tivo conduttore la musica lirica operistica e

da camera, si snoderà in tre comuni diversi:

Martinsicuro, Tortoreto Lido e Nereto; la

rassegna si svolgerà in collaborazione con

la Regione Abruzzo, l’Associazione Musicale

Haydn, l’Associazione Amici di Tortoreto

l’Associazione Insieme di Tortoreto ed il

Centro Ricerche Storiche Truentum e le

Amministrazioni dei tre comuni ospitanti

l’evento.

Il festival si è aperto giovedì 6 Agosto alle

21 e 30 nell’Aula Consiliare del Comu-

ne di Martinsicuro in via A. Moro, con un concerto per viola e

pianoforte dedicato a musiche “Dal Romanticismo alla Cavalleria

Rusticana” hanno suonato Samuele Danese teramano, alla viola

ed il pianista siciliano Calogero di Liberto; il 20 aqosto è stata

la volta di una versione lirico-teatrale dell’Opera “La Traviata”

di G. Verdi. In forma

scenica, lo spettacolo

ha visto una sala gre-

mita di appassionati

dell’Opera lirica, posti

a sedere esauriti ed

applausi per dieci

minuti; i protagonisti,

Annalisa Di Ciccio

soprano, Giovanni Di

Deo Tenore, Andrea

Pistolesi Baritono, accompagnati dalla pianista Sara Torquati

hanno offerto una performance degna di grandi teatri d’opera.

Apprezzati e seguiti da un pubblico affezionato e numeroso sono

stati gli altri appuntamenti del 25 agosto con un concerto di gio-

vani artisti nella sala della musica del Museo delle Armi Antiche

con le performance del soprano Federica Giordani, del Basso

Lorenzo Rosini, del Controtenore Nikos Angelis e di tre valenti

22n.111

Incontri d’Opera 2015

L’

Festivaldalla

[email protected]

alcuni di questi non risultano esistenti sulla base

delle prove disponibili.

Il mancato raggiungimento delle prove può

dipendere: 1) dal fatto che non sono state

dedotte prove dalle parti; 2) dal fatto che sono

stati disposti o ammessi mezzi di prova che non

hanno avuto esito perché è venuta a mancare

la loro assunzione; 3) quando su quel fatto, no-

nostante l’assunzione delle prove, siano rimasti

dei dubbi che mettono in discussione l’esistenza

stessa del fatto.

Vale in ogni caso il principio logico elementare

secondo il quale nessuno può logicamente

affermare l’esistenza di un fatto se di esso non

esistono prove sufficienti.

È ovvio che per affermare l’esistenza di un

fatto si deve disporre di elementi probatori che

consentano di ritenerlo esistente; ciò costituisce

una regola di giudizio.

La decisione finale è sempre il frutto del libero

convincimento del Giudice, il quale valuterà il

materiale probatorio acquisito durante la fase

istruttoria “secondo il suo prudente apprezza-

mento” (art. 116 c.p.c.).

Ovviamente l’argomento dell’onere della prova

è molto ampio e necessita di approfondimenti

giurisprudenziali che non possono essere affron-

tati in questa sede.

art. 2697 del codice civile al 1° comma

stabilisce che “chi vuol far valere un

diritto in giudizio deve provare i fatti

che ne costituiscono il fondamento”.

L’onere della prova, in senso soggettivo, è

l’onere di provare i fatti che costituiscono il

fondamento delle pretese avanzate da una

parte nei confronti di un’altra, al fine di fornire al

Giudice gli elementi di decisione relativamente

alla questione di fatto sollevata.

Mentre in senso oggettivo consente al Giudice

di emettere in ogni caso una pronuncia di

accoglimento o di rigetto della domanda, ciò

a seconda che l’attività probatoria delle parti

abbia portato o meno ad appurare la verità dei

fatti.

L’onere della prova incombe sull’attore cioè su

chi intraprende un giudizio, il quale è tenuto,

ovviamente tramite il suo difensore, a provare i

fatti che costituiscono il fondamento del diritto

che intende far valere in giudizio e sul quale si

fonda la sua pretesa domanda.

Dall’altro lato si pone, invece, il convenuto il

quale deve eccepire cioè contestare la verità dei

fatti avanzati dall’attore; dovrà, quindi, provare

la sussistenza di altri fatti in modo tale da modi-

ficare o estinguere il diritto vantato dall’attore.

Questo significa che una volta instaurato un

giudizio, il giudice adito accerta la verità dei fatti

rilevanti per la controversia, sulla base di prove

validamente acquisite, stabilendo quali fatti

possono considerarsi veri.

Dopo l’accertamento di tali fatti, il giudice potrà

applicare la regola più appropriata per decidere

concretamente la causa instaurata, portando a

decisione la causa stessa.

È ovvio che a tale decisione si potrà arrivare

solo quando le prove, poste a fondamento della

domanda con cui è iniziato il procedimento,

risultano regolarmente acquisite e quindi risulta

dimostrata la loro esistenza.

Quando tutto ciò non si verifica possono sorgere

dei problemi, nel senso che i fatti che dovrebbe-

ro risolvere la controversia che si è instaurata o

L’onere della provaL’

23n.111

Dura Lex Sed Lex [email protected]

di

Note Linguistiche [email protected] GabriellaDi Flaviano

Termini originali del linguaggio giornalistico

I

di

l linguaggio giornalistico è forse tra i più ricchi di parole

del mestiere: Coccodrillo, Pastone, Cavallo di ritorno, Ser-

pente di mare, Soffietto, Locandina, Asterisco, Manchette,

Fuori sacco, un dizionario davvero curioso e strano che

cercherò di spiegare nel modo più semplice.

Coccodrillo è il nome che si dà a quegli articoli che si tengono

pronti, biografici o necrologi di personaggi illustri, nell’even-

tualità che essi balzino alla ribalta della cronaca o scom-

paiano. Pastone è l’articolo che riunisce insieme cronaca e

commento dei principali avvenimenti giornalieri, per lo più

politici. Cavallo di ritorno è la notizia già pubblicata che, dopo

qualche tempo, per equivoci o alterazioni di elementi viene

data come nuova e inedita. Il serpente di mare è una notizia

talmente inverosimile da sembrare frutto di pura invenzione.

Il soffietto è un breve pezzo di esortazione, di lode o di adu-

lazione. La locandina è quella composizione in corpo grosso

e incorniciata posta in rilievo in mezzo al testo. L’asterisco è

un breve pezzo per lo più non firmato, seguito da altri pezzi

analoghi contrassegnati da un asterisco e riguardanti general-

mente appunti di cronaca, notiziole, piccole polemiche, ecc…

La manchette (parola francese che significa “manichino”) è

quella composizione tipografica che sta spesso ai lati della

testata o che, circondata da fili scuri, spicca in mezzo alla

pagina. Ed eccoci infine a fuori sacco, quel dispaccio che per

maggiore celerità, non va nel sacco della corrispondenza ma

è consegnato direttamente al funzionario del vagone postale

e può essere ritirato dal destinatario all’Ufficio arrivi, prima di

essere affidato al portalettere.

rebbe ben altro tempo e attenzione. Ho trovato in una delle

sale splendidi bassorilievi del XII secolo provenienti proprio

dall’antichissima chiesa di San Pietro che insiste sui resti

dell’antica colonia romana. È un gradevole viaggio nel tempo

quello che si può vivere in questa ampia sala tra reperti lapi-

dei, frammenti di capitelli, pezzi di antichi amboni, frammenti

di scene bibliche fra cui si identifica Giona tra il grande pesce

che sta per inghiottirlo e piccole sirene vaganti, in cui l’arte

del Romanico dà il meglio di se. Una piccola sala accoglie an-

che la sezione archeologica della famosa Raccolta Torlonia di

Antichità del Fucino, di quando l’ampia zona era caratterizza-

ta dalla presenza del grande lago che

occupava l’intera piana o quasi che

si staglia sotto le falde della piccola

montagna del Salviano, propaggine

del maestoso Velino. Panorami idilliaci

tra frammenti di vita sul lago e piccole

barche di pescatori si presentano

attraverso bozzetti e dipinti. S’intu-

iscono le case dei pescatori, le ville

degli antichi Patrizi, la città di Celano

con la possente cinta muraria anche

in piccoli bassorilievi in pietra, che re-

stituiscono la vivacità di un luogo che

doveva rappresentare una notevole

importanza sulla via che dalla capitale

Roma, portava al mare Adriatico. Una

rivisitazione in chiave ideale di una

vita che aveva il giusto equilibrio tra

uomo e natura, vita e lavoro, svago e

impegno.

Ma il bello deve venire. Nella sezione

religiosa, l’arte sacra si sviluppa attra-

verso statue di Madonne con Bimbo,

Polittici con figure di Santi in estasi,

omaggi a figure di Beati in contempla-

zione, fino alla bellezza pregiata di rari

Crocifissi Processionali con preziose

pietre incastonate. Sono gioielli di

oreficeria di cui l’Abruzzo ha il suo

massimo artista in Nicola da Guardia-

elle varie incursioni museali che gli appassionati di

arte possono compiere sul territorio abruzzese, la

visita al castello dei Piccolomini di Celano e al Museo

della Marsica, rappresenta certamente uno dei mo-

menti più alti.

Eppure sono veramente pochi affezionati dell’arte a conosce-

re questo luogo, incantevole scrigno di capolavori snobbati

per mancanza di una seria promozione, oggi non insufficien-

te, oserei dire, assente completamente.

Siamo in un luogo dove la bellezza di una scena medievale

inedita completa, mirabilmente, la

fruizione di opere d’arte affascinanti.

Ciò che colpisce il cuore e rimane

nell’intimo, una volta superato il gran-

de portone, è l’ingresso nel cortile a

doppio ordine, maestoso nel suo porti-

co e con le arcate ogivali. Alzando

gli occhi si è rapiti dalla proporzione

armoniosa del loggiato superiore

scandito da colonne sottili e da archi a

tutto sesto. La luce che penetra nella

quiete dell’insieme, pare abbracciarsi

amorevolmente con il pozzo centrale

il quale evoca scene senza tempo.

È solo l’antipasto di un convito son-

tuoso.

Nel piano nobile del Castello che si

erge nel centro della cittadina un tem-

po famosa per la bellicosità dei suoi

abitanti, i Marsi, noti per la loro fero-

cia e la resistenza alla fatica oltre che

per la bravura nelle armi, si snodano

ben undici sale che corrono lungo

tutto il loggiato e ospitano le opere

d’arte del museo marsicano che, per

chi vi scrive, in gran parte sono state

piacevoli sorprese.

Ero appena tornato da un passaggio

purtroppo veloce nella zona arche-

ologica di Alba Fucens che merite-

In giro

Le sconosciute bellezze dell’arte in Abruzzo

Il museodi Celano

N

24n.111

di

http://paesaggioteramano.blogspot.itSergioScacchia

Avezzano/ A25 direzione Pescara/

uscita Aielli-Celano

Informazioni: Museo Nazionale d’Arte

Sacra della Marsica tel. 0863-792922

ORARIO VISITE CASTELLO “PICCOLO-

MINI” CELANO (AQ)

Castello: dalle ore 9,00 alle ore 19,00

(chiuso lunedì)

Mostre: dalle ore 10,00 alle ore 18,30

Biglietteria: dalle ore 10,00 alle ore

18,00

Il Castello “Piccolomini” di Celano

(AQ) è aperto ai visitatori tutti i giorni

tranne il lunedì.

Visite guidate a cura dell’Ufficio Atti-

vità didattica:

dal martedì al venerdì su prenota-

zione:

tel. e fax 0863-792922

grele, nome famoso nel mondo intero.

Veramente un peccato che grida

vendetta la cronica mancanza di pro-

mozione a questo Museo che merite-

rebbe frotte di visitatori e che invece

trovo semivuoto ogni volta che arrivo

a Celano. Sono tanti i turisti che arri-

vano in paese, magari evadendo per

qualche ora dal sole cocente dell’e-

state al mare. Mancano dei cataloghi,

mancano delle guide, poche notizie su

internet, qualche foglio ciclostilato per

alcune informazioni buttate qui e là, in

linea con la assoluta gestione dilet-

tantistica dell’apparato promozionale

della nostra Regione.

Andate a vedere il castello, è ampio,

ben tenuto, merita una visita anche

per ammirare la vallata dall’alto delle

merlature che costeggiano i cammina-

menti lungo gli spalti.

In estate ospita varie manifestazioni,

spettacoli in costume d’epoca a uso

e consumo dei turisti e di musica sia

lirica che leggera.

È un incontro con la storia, una

passeggiata attraverso i secoli, dal

medioevo ai giorni nostri da effettuare

magari con i bambini che si meraviglie-

ranno nei saloni antichi, osservando le

armi di un tempo, le raffigurazioni dei

guerrieri.

Come arrivare a Celano:

A24/A25 RM-PE uscita Aielli-Celano

da Napoli: A1 NA-RM uscita Caia-

nello/ seguire indicazioni per Sora/

25n.111

26n.111

Cinema

Il secondo film di Kivu Ruhorahoza

di

[email protected]

Siamo tutti Wazungu

U

di estasi (contemplazione assorta), in realtà stiamo precipitando

nella trance (scatenamento di body & soul).

Si penetra a spirale nelle radici-inferno del plot, in quelle soltan-

to. Nessuna narrazione tonda, sviluppata, avviluppata. Secondo

la lezione dei ’60 e ’70, compresente la molle drammaturgia a

specchio mono-riflettente d’inizio 2000. Non sono lui, ma sono lui.

Come in I Am Not Him (2013), di Tayfun Pirselimoglu, interessante

regista turco a cui il prossimo Pesaro dedicherà una personale.

Continuo intersecarsi del medesimo, che sia oggetto o azione o

personaggio, all’interno di una diversificata narrazione, ad episodi.

Pentamerone, esamerone, trimerone. Dai Taviani boccacceschi al

Garrone basiliano, fino al cine brasiliano del Ceará (gli imprescindi-

bili O animal sonhado e A misteriosa morte de Pérola, entrambi di

quest’anno). «In che Medioevo ci troviamo?» chiedeva alla madre

storica la bimba di Un film parlato (2003), opera trans-contempla-

tiva delle colonie. Il Medioevo africano ha il suo culmine nell’Otto-

cento colonialista. E il nostro film parte proprio da lì.

I tre personaggi sono immessi in altrettanti working hypotheses

di un fatto dato per vero. Based on a true story. Magari non lo è

proprio, di sicuro appare verosimile. Il che basta per farsi credere,

specie quando la vicenda risulta incredibile e inverosimile. Vagan-

do tra le epoche, non obbedendo più a leggi fisiche e psichiche,

intercambiando testo, teste (nel senso di testimone). E teste

(quelle che racchiudono il cervello): alla maniera di un etno-rac-

conto di Thomas Mann. La donna nera di cui si diceva sparisce

misteriosamente nel nulla. In un pa-

ese dell’Africa centro-orientale, non

necessariamente il Ruanda da cui

proviene il film. Siamo nell’Ottocento,

nell’oggi e, ahinoi, anche nel domani.

Tutto insieme, spazio psichico com-

preso. Lo spettatore trovi il filo che

faccia incontrare scontrare gli esseri

e non esseri della storia, gli elementi

e la mancanza di elementi.

Chi ha visto il precedente, bellissimo

esordio di Kivu Ruhorahoza, Matière

grise (2011), sa che il giovane autore,

promettentissimo, lascia tranquilla-

mente sgretolare la logica del raccon-

to come la si intende in genere. E nei

generi. Lasciando tuttavia intaccata

quella, ben più impalpabile, dell’a-

nalisi psicologica, parapsicologica,

antropo e fenomeno-logica. Cinema

replica del sogno, arcano e misterio-

so. I sogni, si sa, son desideri, e son

paure, sempre ben reconditi. Qualsi-

voglia abile ordine di strutturazione

degli stessi è destinato a franare. Per

cui occhio alla linea di fuga, possibile

logica analisi di immagini e situazioni

tutte disconnesse. Peter Greenaway

ha i numeri enciclopedici, Kivu quelli

simbolici, filosofici.

n uomo, una donna. E un altro uomo. O, meglio, un ma-

schio che segue un altro maschio e poi la femmina si pian-

ta davanti. Hawks? Ma i due signori non sono amici. Storia

gay? Piuttosto eterosessualità spinta, in cui l’opposto,

l’héteros, costituisce un’ossessione, il faccia a faccia ravvicinato

dove io (non) è (più) un altro. Un uomo è bianco e il secondo nero.

Anche la donna è africana. Più di che rivalità girardiana, comun-

que presente, si dovrebbe parlare di conflitto cromatico, culturale

e di classe. Una guerra di proiezioni. Invisibili, eppure incise nella

carne. In testa, nel corpo. E nel film.

Things of the Aimless Wanderer,

passato a Rotterdam, al Sundance,

poi premio del pubblico al Festi-

val del Cine Africano de Córdoba,

osa filmare quel che c’è ma non si

vede. Fantasmi ancestrali personali.

L’altro, la donna, il diverso, il mio non

semblable e giammai frère. Aggiun-

gendo quel che ne consegue, ciò che

continua, certo, a restare invisibile,

sia pur evidentissimo. I nostri tempi

vedono troppo, per cui non vedono

affatto. Eyes Wide Shut (e, pure qui,

sesso, maschere e strane piste).

Neppure sentono, proprio nel senso

di ascoltare. Quindi le immagini sono

radicalmente immerse nel sound che

rende tremebondi, avantgarde, tech-

no, world, deliquio lisergico sonoro

ipnotizzante invano. Note distorte e

psichedeliche che replicano l’audio di

quel corno magico e ancestrale che,

a tracollo dell’africano, tra le piante

della selva, apre il canto del capro. Ci

si dovrebbe sballare. Invece si resta

controllati. Senza riuscire ad agire

(o quasi) né a parlare (un po’), senza

trama. Certo con trauma. Il musico-

logo Marcello Piras direbbe che appa-

rentemente ci troviamo in uno stato

può accadere tra i tre? E in special modo

tra i tra? In quell’apparente breve spazio

dove si ingolfa una mole incontenibile

di cultura (non in senso di erudizione)?

Di pregiudizi, ferite, rispecchiamenti, odi

mimetici, e il così lontano così vicino: di

ieri la colonizzazione, di oggi la globalizza-

zione? Il tre viene superato,

preceduto dal pro-logo(s).

Acusticamente espresso da

quella voce narrante perfet-

tamente (ed evidentemente)

british (di Matt Ray Brown),

elemento di continuità degli

episodi. Al pari della costante

presenza attoriale di Justin

Mulikin (l’occidentale), Ra-

madhan Bizmana (l’africano),

Grace Nikuze (la donna). In

ogni caso, tutto resta aperto,

contrastante, contraddittorio.

Affinità e separazioni e

affinità rese separazioni,

sparizioni. Come negli elementi chimici

di Goethe, vedi Le affinità elettive (1809),

il razionale ancor suggestionato dall’al-

chimia, la magia, la natura. Il verde della

foresta armonizzato michelangiolesca-

mente con gli occhi azzurri dell’uomo

bianco, il wanderer del titolo. In bantu,

wazungu: perso nella giungla. Dietro lui

e con lui, l’altro vagante, dall’autoctono

sguardo scuro. Quando appare la donna,

parte un complesso gioco di sguardi. Chi

guarda chi? Chi è il vero wanderer senza

meta? Se lo fosse altrettan-

to lo spettatore? Egli pure

costretto a guardare lui che

guarda lui che guarda lei. I

tre sono nell’apocalypse now

interiore contemporanea.

Prima ipotesi del caso.

L’africano osserva a distanza

la donna seduta a un tavolo

con l’uomo bianco. Immagina

di sculacciarla, poi segue il

rivale culturale e sessuale al

bagno, ponendoglisi accanto

nell’orinatoio collettivo, luogo

di confronto, per sfidarlo

presumibilmente sul versante

delle dimensioni del pene. A casa, il nero

su Google cerca la parola cockmonster

(non monstercock: la differenza c’è!).

Significa cock-addicted. Lo sarebbe lei, il

rivale (considerato gay) o addirittura lui,

che s’illude che il cazzo possa cancellare

le classi? In un click, e

tutto il film è così, un

27n.111

Il primo lungometraggio era un dittico che

esplorava le conseguenze della violenza

african way (nello specifico, il terrificante

scontro etnico Hutu-Tutsi del 1994) sulla

psiche di due vittime, un episodio a testa.

C’erano gli scarafaggi, kafkianamente

reinventati, posti nel conflitto come i

topi durante le due guerre

mondiali. Esseri inferiori

da temere e schiacciare.

Spostamento di fantasmi, in

verità. Freud aveva profetiz-

zato l’uomo dei topi. I ratti,

dopo aver perseguitato i

soldati trincerati della Grande

guerra, finirono sugli schermi

mentali e cinematografici (la

peste di Nosferatu, 1922). I

nazi, poi, proiettarono i topi

in sé negli ebrei. E, certo, pri-

ma degli Hutu nei confronti

dei Tutsu, qualcuno aveva

già considerato gli africani

scarafaggi. Arriverà mai uno scarafaggio

risarcitore del continente nero? Come, in

occidente, arrivò un Topo(lino) disneyano?

Quello dei primi cartoon: mix di giudeo,

hobo, ex schiavo col washboard, poi pur-

troppo wasp. In Iran, arrestarono il fumet-

tista Mana Neyestani, accusato di aver

alluso agli azeri/zeri col suo scarafaggio

di carta. Attenti ai fantasmi. Esistono ec-

come. Entrano ed escono nei vostri corpi,

nelle menti di chi guarda ed è guardato.

Cambiano aspetto, segno, colore della

pelle e della religione. Sono

un doppio della discordia.

Il due si pone effettivamente

come numero di paradossale

divisione, incontro (scontro),

diaballo, diavolo. L’Inferno

come in una performance

di magia nera, giusto per

non dimenticare le roots

sovrannaturali. Quella dualità

le cultura black e subalter-

ne seppero riarmonizzare,

addomesticare, sincretizzare.

Ne riscrissero il senso. Vuoi

mettere se a dire nigger sia

un nero o un bianco, se il

termine queer lo usi un etero o un omo?

Uno-due. L’incrocio magico di Spencer

Williams e Djibril Diop Mambéty, cineasti

tettuti (riparatori), non a caso travestiti

da donna (il primo nel suo Dirty Gertie

from Harlem U.S.A., 1946, il secondo ne

Il Decamerone nero, 1972, di Vivarelli,

girato per finanziarsi Touki Bouki, 1973).

Nel precedente film di Ruhorahoza c’era

un proemio basato sui nobili tentativi di

un cineasta di dar voce e unità a quell’i-

nespresso blues dell’orrore. A sognare un

film impossibile che poi, attraverso i due

episodi, possibile lo diventava. Fuoricam-

po. Cioè in campo.

Il dittico con prologo. Adesso una triade

con premessa. Ogni verità (data dalla

struttura) ha uno scatto in avanti. O

indietro. Apre il fine ‘800 imperialista. A

mettere contemporaneamente in forse

e in chiaro il «potere del tre», il potere

della verità ufficiale, sia pure ipotetica.

Chi ha ucciso o fatto sparire la donna?

La Storia. Il passato è il colpevole, il

futuro (replica) ancor di più. Soluzione

altra del thriller, posta dinnanzi (e non

in coda) al triplice avvenimento Se Buy/

Moretti sta accanto al personaggio, Kivu

Ruhorahoza affianca ad ogni protagonista

un opposto e complementare. Accanto a

una donna, un uomo. Accanto a un nero,

un bianco. Accanto a un uomo, un altro

uomo. Accanto alla vittima, il suo altro da

sé colpevole. Non c’è pericolo di cadere

nell’asfissiante political correctness. Cosa segue a pag. 28

Inchieste nulle sul nulla? Pur tra zebre e

ippopotami. Si noti che il bianco uno e

trino è pure giornalista abroad e out of

nowhere, detentore di verità intattingibili,

altrettanto imperialistiche. L’africano,

invece, un informatore locale, che crede

di poter testimoniare, esprimersi, dire la

sua ed essere rappresentato. Non neces-

sariamente tutto è in bianco e in nero. Si

vaga smarriti in una foresta di ipotes(t)i e

narrazioni (in)finite. Rimpallo non-stop di

identità e rappresentazioni. Oltre che die-

tro la macchina da presa, entriamo altresì

dentro lo schermo. Da spettatori a registi

ad attori. Un’altra forma di immedesima-

zione, in pluri-D. Un cinema espanso, inte-

rattivo e labirintico: non se ne esce.

Cast: Justin Mullikin, Grace Nikuze, Rama-

dhan Bizimana, Eliane Umuhire, Wesley

Ruzibiza, Matt Ray Brown

Screenplay: Kivu Ruhorahoza

Cinematography (Color): Kivu Ruhorahoza

Sound: Jan Meinema, Eugene Safali

Editing: Antonio Rui Ribeiro

Music: Daniel Biro

(Rwanda / Uk, 2015)

la disinibita Julie Christie di Darling

(1965), altra donna sull’orlo del suicidio.

Archetipi.

Tutto chiaro, come sopra esposto,

eppure, e per fortuna, non siamo sicuri

di niente. Viene da chiedersi se in realtà

non sia stata la donna ad aver condotto

le (inesistenti) trame, s(e)parizione com-

presa. Per mezzo di un suicidio assertivo,

lei così bella così dolce. E magari al fem-

minicidio sarebbe il caso di opporre un

complementare desiderio di sottomissio-

ne e di morte. Inoltre. Se l’uomo bianco,

certo sempre colonialista, alimenterebbe

il suo potere non più con la propria

tracotanza di classe, piuttosto attingendo

dallo sguardo dell’altro che gli attribuisce

quella forza altrimenti venutagli meno? E

ancora. Se quell’orgoglio sessuale (e cul-

turale) del nero non fosse che l’ennesima

forma di schiavitù, un cliché castrante

invece che liberatorio (non soltanto per i

maschi di pelle nera, sia chiaro)?

E se addirittura tutte le narrazioni, come

quella over del film, fossero esattamente

il contrario: la fine di ogni narrazione?

fuoco di fila di indizi e nessun enunciato.

Lo spettatore, invece che davanti allo

schermo, si ritrova dietro la macchina da

presa. Spetta a lui organizzare, dirigere.

Girare. In bantu si dice kuzunguka, da

cui deriva l’altra parola, wazungu. Tutto

torna.

E torna pure, nel secondo episodio, den-

tro i movimenti sexy di quella donna afri-

cana che, con parrucca bionda, dopo un

party mascherato, si autoconvince della

propria modernità global, ballando dinan-

zi all’uomo bianco che fuma in poltrona.

Crede, altra illusa, che il gioco uomo/

donna, perlopiù interracial, possa essere

alla pari, in quell’amplesso a seguire da

blaxploitation. Invece, post-coitum, la

ritroviamo inscatolata, nella doccia di lui,

nudo a fare il bagno. Nel terzo, incinta,

a fare i conti con i propri sensi di colpa

matarazziani e gli dei dell’uomo bianco

a giudicarla. Si affidava alla chiesa anche

28n.111

segue da pag. 27

29n.111

Calcio [email protected]

L’ira di Campitelli

I

non lascio un cent di debito in società”.

Scatta l’applauso in una sala gremita

con gli ultrà defilati e molto freddi per la

circostanza. Tanto che alla fine del suo

intervento, il presidente avrà un incontro

appartato fuori dall’Hotel con un ultrà che

per due minuti buoni gli ha indirizzato sul

volto un dito ammonitore per tutto il tem-

po: che cosa si sono detti resta un mistero

ma è facile intuire.

Non è mancata al solito i suoi cinque minuti

di nervo scoperto con i giornalisti locali:

a suo dire le locandine (“con la D”) non

avrebbero fatto venire in città i tre attac-

canti fortissimi che recentemente aveva

contattato. Comunque il suo traguardo,

dice, restano i playoff in Lega Pro: “Questo

il mio obiettivo”. Ricorda a chi ha scritto

le frasi ingiuriose

si di lui che “io ho

cacciato di tasca

mia ben 5,6 milioni

di euro per il Tera-

mo e non l’ho fatto

pesare a nessuno,

non ci siamo fatti

un mazzo da culo

così… poi scrivono

vattene!”.

Campitelli dice di

conservare ancora

il vestito della promozione, quello tanto

sbeffeggiato nei social network, quello

biancorosso, con le B sui risvolti della

giacca: “Verrà con me per tutta la vita” è il

suo proposito… infinito, facendo presagire

che l’accompagnerà anche nel suo ultimo

viaggio. “Perché – ribadisce ancora – la B

è una cosa vinta sul campo”. “Sono stati

sette anni bellissimi e costosissimi vissuti

in maniera bellissima ma c’è qualcuno

che sta spingendo perché questa società

vada via: se c’è e ha la voglia di rilevarla

deve uscire allo scoperto” è il suo monito.

“Questi movimenti non sono corretti” è il

suo messaggio rivolto a chi lavorerebbe

nell’ombra.

“Può telefonarmi e sistemo tutto, io resterò

sempre il primo tifoso di questa squadra,

perché se la società non trova tre milioni

è default; io posso rimanere ma è una

cosa che voglio sapere entro il 23. Potrei

ripartire anche dalla Promozione, io ci sarò,

ma voglio entusiasmo da tutti quanti, dob-

biamo ripartire e tutti uniti si vince”.

l presidente Luciano Campitelli chiama

a raccolta i suoi tifosi. “Sono molto

stanco, posso anche dimettermi. Se

entro un certo lasso di tempo Teramo

mi darà una risposta è bene altrimenti per

l’amore che ho io per i colori biancorossi

potrei rimanere a fare il primo sponsor

della squadra, 400 mila euro annui assicu-

rati”. L’uomo travolto da quattro mesi in un

vortice giudiziario-sportivo senza fine vuole

un cenno dalla città biancorossa. “Voglio

entusiasmo da tutti quanti, in questo modo

potrei ripartire anche dalla Promozione,

perché io ci sarò: ora sono super-stanco e

in questo stato potrei causare danni”. Il suo

discorso non è quello del Re, ma piuttosto

quello dell’Albertone nazionale nelle vesti

dell’allenatore del Borgorosso che dalla

finestra, parafrasando Mussolini in mutan-

doni, chiama a raccolta tutto il paese.

Le corde vocali sono timbrate all’alto, la

giugulare gonfia, i momenti di commozione

negli ultimi tempi sempre più frequenti e,

ciliegina sulla torta, non mancano nem-

meno oggi le vittime sacrificali, in buona

sostanza i suoi attacchi ai giornalisti che

non si sarebbero comportati come quelli

del Resto del Carlino “che hanno portato

l’Ascoli in serie B”. “Fuori, fuori”, è la rispo-

sta immediata di

qualche tifoso. E lui,

con una forte dose

di vena teatrale,

ammansisce tutti,

da buon pontefice

allunga la mano

regale: “Questo no”

riprende.

È un Campitelli che

svaria attaccando,

scorrazzando nel

suo iperuranio fatto

di verità, mezze

verità, accuse e un futuro incerto. Inizia con

la sua famiglia e con i tributi al suo entoura-

ge, e alla sua azienda fatta di valori e di 150

famiglie. Si definisce in questa tremenda

vicenda “un pulcino spaesato” e ripercorre i

suoi “sette campionati vinti tra i dilettanti”.

Ricorda come ancora riceva 70 messaggi

al giorno di incoraggiamento ma non gli va

giù affatto quella scritta trovata dalle parti

di Canzano che recita: “Campitelli vattene”.

Epiteto non siglato.

“Vattene non l’accetto da nessuno, solo dal

signore” replica stiz-

zito. Riporta la sua

teoria degli ultimi

mesi, che in fondo

la società sia rimata

stritolata in una lotta

tra giganti, tra Figc

e Coni, e addirittura

“non ho fatto più

richiesta per la serie

B perché avremmo

creato ulteriori pro-

blemi, però abbiamo

fatto ricorso per bloccarla, ma alla fine pen-

so che non succederà nulla”. Attende il 23

per il responso del Coni ma soprattutto per

la risposta dei suoi tifosi. Lui paventa anco-

ra una costellazione infinita di possibilità:

“Quella della D è molto ridotta, può essere

ancora B, compresa la C attuale. “B,C,D, può

essere tutto”.

Con tutte le sue

energie smenti-

sce le maledette

malelingue che

volevano Campitelli

tra mille difficoltà

economiche: “Falso,

falso, falso!” urla a

perdifiato, aggiun-

gendo che finora ha

pagato due milioni

di fideiussioni, tra

C dell’anno scorso

e la B, la cui somma ancora non è tornata

indietro. “Dicono che non potrei pagare gli

stipendi: tutte cattiverie, se vado via ora

diMaurizioDi Biagio

“Potrei lasciare. Schiacciati in una lotta tra Figc e Coni”

bilancio che le costringeranno ad avere come obiettivo

la salvezza. Questo almeno al momento. La NH Teramo

esordirà in casa contro il Casalgrande mentre l’HC Team

Teramo si confronterà fuori casa con i Campioni d’Italia

del Conversano vincitori anche della Super Coppa. Per

quanto concerne invece il settore maschile, le Società

teramane ai nastri di partenza del Campionato di serie

B che inizierà nel mese di Ottobre, saranno la Lions

Teramo del presidente Angelo Limoncelli e la neonata

società New Handball Club Teramo di Franco Chionchio.

Questa nuova società, nata dalle ceneri della vecchia

Tekno Elettronica, nella trascorsa stagione ha dispu-

tato il campionato di Serie B con il nome di HC Team

Teramo. Dobbiamo aggiungere per maggiore chiarezza

che Franco Chionchio ha voluto assumere su di sé la

responsabilità dirigenziale e tecnica con la speranza

che possa riportare la pallamano teramana ai fasti che

le competono. Per cui, il dichiarato obiettivo è quello di

vincere il campionato di serie B e di portarla in A già da

questa stagione.

30n.111

Sport [email protected]

PallamanoD

dalla

opo la parentesi estiva, ripartono i campionati di

pallamano nelle varie categorie. Nella A1 femmi-

nile saranno presenti ai nastri di partenza due

società teramane: la Nuova HF Teramo condotta

dal presidente Giuseppe Candelori e dal General Mana-

ger Roberto Canzio mentre dalla panchina la squadra

sarà guidata dal riconfermato Settimio Massotti e la HC

Team Teramo neo promossa nella massima serie avendo

vinto nella trascorsa stagione il campionato di A2, della

quale a tuttora non conosciamo l’organico dirigenziale

ma sappiamo per certo che l’allenatore è il riconfermato

La Brecciosa Serafino. Per quanto concerne gli organici

delle due squadre possiamo affermare che saranno al-

quanto stringati numericamente, riteniamo per motivi di

Franco Chionchio Serafino La Brecciosa