le mani di renzi sullastampatempo hanno assistito senza battere ... prende il sopravvento su una...

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delle Libertà P O L I T I C A G U I D I A P A G I N A 2 Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini: tutti populisti? E C O N O M I A C O C O A P A G I N A 4 L’Europa ha bisogno di decentramento P R I M O P I A N O D I M U C C I O A P A G I N A 3 Premier e frottole: il grande imbroglione E S T E R I S O L A A P A G I N A 5 Diplomazia a rilento: Salvatore Girone rimane in India P O L I T I C A P I L L I T T E R I A P A G I N A 3 Amministrative: Roma e Milano non sono lontane La grande battaglia per il Corriere ed il regime L a battaglia per il Corriere della Sera è appena iniziata, ma il suo esito è già definito. Nessuno dubita che il tentativo di Urbano Cairo di legare lo storico giornale alla sua te- levisione La7 sarà respinto e che la cordata alternativa guidata da An- drea Bonomi e formata da Della Valle, Unipol, Pirelli e Mediobanca conquisterà la maggioranza di Rcs ed il controllo del prestigioso quoti- diano di via Solferino. Ma che ci faranno con il Corriere della Sera gli azionisti storici della Rcs (tranne Bonomi che però ha avuto antichi rapporti con il Cor- C iò che sta accadendo in Italia in quest’ultimo periodo varca am- piamente i confini della realtà. Ab- biamo un Premier che insieme al suo ministro dell’Economia svolge il ruolo di accattone d’Europa, mendi- cando a giorni alterni la cosiddetta flessibilità, e nel contempo il suo Go- verno annuncia il varo di altri bonus e il raddoppio di alcuni di quelli già in essere, come nel caso del cosid- detto bonus bebè. Ma non basta, pure sul fronte cal- dissimo delle pensioni, in cui il si- stema più oneroso del mondo sta tornando ai livelli di insostenibilità precedenti alla Legge Fornero, la me- desima flessibilità - paroletta che per la nostra Repubblica delle banane e La Repubblica delle banane e dei bonus riere) e che nel corso di tutto questo tempo hanno assistito senza battere ciglio al declino del quotidiano... Le mani di Renzi sulla stampa dei bonus risulta più virulenta della peste - vorrebbe essere applicata a mani basse. Ovviamente in tutti i casi si tratta di pura e semplice spesa cor- rente, che nulla ha a che vedere con il rilancio strutturale dell’economia, le cui finalità appaiono nitidamente elettoralistiche. Non a caso tra poche settimane si vota in 1.363 comuni, tra cui Roma e Milano, e pur trattandosi di ele- zioni amministrative parziali, queste ultime assumono un grande valore di riferimento per il surreale referen- dum ad personam di ottobre sulle ri- forme costituzionali, fortemente voluto dal capataz di Palazzo Chigi. Ed è ovvio, pertanto, che con la posta in gioco della sopravvivenza politica di Matteo Renzi, da qui in avanti la disastrosa condizione siste- mica di un Paese devastato...

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  • delle Libertà

    POLITICA

    GUIDI A PAGINA 2

    Renzi, Berlusconi, Grillo e Salvini: tutti populisti?

    ECONOMIA

    COCO A PAGINA 4

    L’Europa ha bisogno di decentramento

    PRIMO PIANO

    DI MUCCIO A PAGINA 3

    Premier e frottole:il grande imbroglione

    ESTERI

    SOLA A PAGINA 5

    Diplomazia a rilento:Salvatore Girone rimane in India

    POLITICA

    PILLITTERI A PAGINA 3

    Amministrative:Roma e Milanonon sono lontane

    La grande battaglia per il Corriere ed il regime

    La battaglia per il Corriere dellaSera è appena iniziata, ma il suoesito è già definito. Nessuno dubitache il tentativo di Urbano Cairo dilegare lo storico giornale alla sua te-levisione La7 sarà respinto e che lacordata alternativa guidata da An-drea Bonomi e formata da DellaValle, Unipol, Pirelli e Mediobancaconquisterà la maggioranza di Rcsed il controllo del prestigioso quoti-diano di via Solferino.

    Ma che ci faranno con il Corrieredella Sera gli azionisti storici dellaRcs (tranne Bonomi che però haavuto antichi rapporti con il Cor-

    Ciò che sta accadendo in Italia inquest’ultimo periodo varca am-

    piamente i confini della realtà. Ab-biamo un Premier che insieme al suoministro dell’Economia svolge ilruolo di accattone d’Europa, mendi-cando a giorni alterni la cosiddettaflessibilità, e nel contempo il suo Go-verno annuncia il varo di altri bonuse il raddoppio di alcuni di quelli giàin essere, come nel caso del cosid-detto bonus bebè.

    Ma non basta, pure sul fronte cal-dissimo delle pensioni, in cui il si-stema più oneroso del mondo statornando ai livelli di insostenibilitàprecedenti alla Legge Fornero, la me-desima flessibilità - paroletta che perla nostra Repubblica delle banane e

    La Repubblica delle banane e dei bonus

    riere) e che nel corso di tutto questotempo hanno assistito senza battereciglio al declino del quotidiano...

    Le mani di Renzi sulla stampa

    dei bonus risulta più virulenta dellapeste - vorrebbe essere applicata amani basse. Ovviamente in tutti i casi

    si tratta di pura e semplice spesa cor-rente, che nulla ha a che vedere conil rilancio strutturale dell’economia,le cui finalità appaiono nitidamenteelettoralistiche.

    Non a caso tra poche settimane sivota in 1.363 comuni, tra cui Romae Milano, e pur trattandosi di ele-zioni amministrative parziali, questeultime assumono un grande valore diriferimento per il surreale referen-dum ad personam di ottobre sulle ri-forme costituzionali, fortementevoluto dal capataz di Palazzo Chigi.Ed è ovvio, pertanto, che con laposta in gioco della sopravvivenzapolitica di Matteo Renzi, da qui inavanti la disastrosa condizione siste-mica di un Paese devastato...

  • Nel periodo di massimo fulgoredell’era berlusconiana gli opposi-tori del Cavaliere hanno usato abbon-dantemente l’epiteto di “populista” neisuoi confronti, o meglio contro di lui,per descrivere un modo “anomalo” (sidiceva) di governare il Paese e di rivol-gersi al popolo. Oggi i populisti sem-brano dilatarsi. Sono stati inclusi nellaschiera anche Grillo, Salvini e Renzi.

    La questione merita qualche appro-fondimento, non tanto per richiamareal corretto uso un’espressione troppospesso abusata, o mal usata, quanto per-ché ingenerare nell’opinione pubblica ilconvincimento che “populismo” è sino-nimo di autoritarismo, può causare ef-fetti distorsivi per chi cerca di orientarsinella babele dei linguaggi elettorali.

    È sicuramente autoritario il populi-smo di quei governanti che immagi-nano il loro popolo come un’entitàunivoca ed indifferenziata. In questocaso, l’idea dell’unicità del popolo au-torizza, anzi impone, che il leader siauna persona sola al comando, per rap-presentare al meglio il popolo nella suaintegralità. Il popolo non è fraziona-bile, è uno. Uno deve essere anche ilcapo che lo guida. Qui siamo comple-tamente immersi un regime di tipo au-toritario, dove il governo monocefaloprende il sopravvento su una societàinesistente, svuotandola di ogni carat-

    tere di originalità (pluralità). Non èquesto il caso italiano.

    Non si può definire populista, insenso proprio, chi semplicemente saparlare all’opinione pubblica (alla suapancia) e sa farsi intendere, instau-rando, in vari modi, un rapporto im-mediato, diretto, con gli elettori.Questa è solo la regola della democra-zia rappresentativa, anche se non sem-pre “aurea”.

    Tra questi due estremi, che descri-vono opposti e inconciliabili regimipolitici, uno non democratico e l’altrodemocratico, ci sono diversi modi incui si manifestano i “populismi” no-strani, diversi e differenziati, ma maiautoritari. Sono populisti, innanzi-tutto, alcuni dogmi proclamati dalMovimento Cinque Stelle, quando ri-

    vendica il ruolo d’interprete unico e fe-dele della volontà dei “cittadini”, inuna specie d’identificazione ideale chevorrebbe far coincidere la “cittadi-nanza” con il Movimento. In questoprogetto, i parlamentari pentastellati,rifiutando il divieto del mandato im-perativo ma sottostando alla subordi-nazione a Grillo e al suo direttorio, siautoproclamano unici rappresentantidi chi li ha eletti, dichiarando di volerrispondere - salvo eccezioni - solo adessi. In questo modo esaltando la pro-pria identità, finiscono per negare ognidiversa identità di patria-nazione, mor-tificano però lo stesso ruolo del Parla-mento, un corpo estraneo rispetto alcircuito privilegiato Popolo-cittadi-nanza-M5S.

    Sono populiste anche le posizioni

    della Lega quando osteggia ogni pro-cesso migratorio. Dinanzi alla dimen-sione globale dei problemi, l’erezionedi barriere sempre più militarizzateverso l’esterno, evoca infatti diffusesensazioni popolari, protettive, sia deibeni materiali che abbiamo conse-guito, sia dei simboli della roccafortein cui vogliamo vivere (fattori identi-tari, appartenenze culturali, sentimentinazionali e territoriali).

    Anche Renzi, per l’attenzione esa-sperata che dedica nel curare l’impattodella gestione della sua azione di go-verno nei confronti degli italiani, si col-loca tra coloro che inseguonoquotidianamente un rapporto perso-nale, immediato e diretto, con il po-polo. Per questo è populista? Si puòdefinire populista in senso proprioquel sistema di governo in cui, tra ilGoverno (o il capo del Governo) e ilpopolo non c’è niente, c’è il vuoto isti-tuzionale. Il corpo elettorale elegge ilcapo, lo legittima con l’evento eletto-rale, ma esaurisce lì tutti i poteri dicontrollo e di garanzia. Non esiste, so-prattutto, oppure esiste ma è inefficace,un sistema di contrapposti poteri ingrado di frenare, correggere, sanzio-nare, contenere, circoscrivere, conta-minare l’operato del Governo.

    Un governo di questo tipo, privo dipoteri “intermedi”, per il solo fatto disottostare all’elezione popolare, nonpuò da solo connotare il sistema della

    democrazia. Questa è stata la situa-zione di tanti Paesi dell’America Latinafino a pochi anni fa. È la situazione at-tuale del Venezuela. È la costante ditanti regimi autocratici in giro per ilmondo, dove ogni magistratura, ognicorte, ogni autorità indipendente, ogniorgano di controllo di costituzionalità,di decentramento politico ed ammini-strativo, tutto, è sottoposto al potere,all’influenza, all’interferenza o alla di-pendenza dal potere esecutivo.

    Questa non è la situazione italiana,fuori da ogni demagogia. I comporta-menti di singoli uomini politici, partitie movimenti, possono essere definiti,per comodità, populisti. Questo tipo diapparente “populismo” non è però si-nonimo di autoritarismo. Da noi,anche dopo l’approvazione della re-cente riforma costituzionale, la vita delGoverno sarà sempre dipendente dallavolontà del Parlamento. La magistra-tura continuerà a godere di forme diautonomia e di autogoverno tra le piùestese al mondo. La Corte costituzio-nale continuerà a disporre di vasti po-teri correttivi dell’attività parlamentare.La sovranità popolare continuerà adesprimersi, in modi liberi ed autonomi,in tutte le regioni legislative e negli entilocali. Il referendum consentirà di san-zionare il potere legislativo. Non saràl’introduzione del Premierato della ri-forma Boschi a cambiare i caratteridella nostra democrazia.

    secondo dopoguerra fu quella di avere pro-prietari e direttori del Corriere sempre e co-munque filogovernativi.

    Si può allora pensare che l’ultima battagliadella serie riguardante la sorte del quotidianonon abbia alcuna dipendenza dalla politica? Larisposta è scontata. Così come è scontato im-maginare che l’offensiva anti-Cairo, che è uneditore puro e che ha collocato La7 in una po-sizione decisamente critica del Governo e delPremier, sia favorita dall’interesse di MatteoRenzi di continuare ad avere a via Solferinoproprietari e direttori assolutamente sensibiliai suoi interessi ed alle sue sollecitazioni.

    Ma se l'ombra renziana si consolida sulCorriere della Sera, una oscura nube si deter-mina sull’intero sistema informativo del Paese.Renzi già controlla la Rai e gode del sostegnoacritico di Sky e di quello interessato delnuovo gruppo formato da De Benedetti,Agnelli e Perrone. Con l’inserimento del Cor-riere nella sua batteria di sostenitori e fian-cheggiatori è destinato ad avere una potenzadi fuoco in grado di marginalizzare qualsiasivoce di dissenso presente nel mondo dell’in-formazione nazionale. Ma che succedequando l’informazione diventa a senso unicoin favore del Governo? La risposta è facilis-sima, nasce un regime!

    Politica

    segue dalla prima

    ...ed alla corsa verso il fallimento della sua so-cietà editrice?

    Si possono trovare molte risposte all’inter-rogativo. I componenti della cordata alterna-tiva a Cairo lasciano intendere che voglionosalvaguardare i loro investimenti evitando cheRcs vada a finire nelle mani di un editore chenon sembra avere la solidità economica ne-cessaria per reggere il peso di una impresacome quella in questione. Il ché sarà purevero. Ma non sfiora neppure il nodo che ine-vitabilmente sta al centro di qualsiasi vicendariguardi il quotidiano di maggior prestigio delPaese. Un nodo che è da sempre ed inevitabil-mente politico. Il Corriere della Sera è semprestato uno dei protagonisti principali della sto-ria nazionale degli ultimi centoventi anni.

    Senza il giornale di Albertini non ci sarebbestata la guerra in Libia del 1911, l’interventonella Prima guerra mondiale e la stessa Mar-cia su Roma. Non è un caso che la prima pre-occupazione di Benito Mussolini fu quella diconsolidarsi al potere facendo passare la pro-prietà del giornale da Albertini alla famigliaCrespi. E la cura costante di ogni governo del

    altri. Ma prima o poi il conto qualcuno ce lo por-terà.

    Renzi, Berlusconi, Grillo, Salvini, tutti populisti?

    Non guarirà mai, non guarirà più,per Matteo Renzi la voglia di tra-visare, girare la frittata, insistere sul-l’effetto illusione è più forte di lui,anzi, per certi versi è lui. Il Premier, delresto, ha fatto di questa sua caratteri-stica un cavallo di battaglia ed evi-dentemente si è circondato di personeche la condividono con lui, perché al-trimenti qualche attenuazione del fe-nomeno si sarebbe dovuta vedere. Alcontrario, non solo nulla si vede, mase possibile peggiora e non passagiorno che non si ascolti qualchenuova trionfale promessa, con un’in-terpretazione della realtà che lasciastupefatti.

    Eppure in tanti, tantissimi, abbiamocercato con ogni mezzo, dal più duro ecritico al più morbido e conciliante, difar presente al primo ministro che cosìfunziona male, specialmente in un

    Paese come il nostro che sta messocome sta messo. Tanto è vero che i ri-sultati, purtroppo negativi, si vedono,le previsioni sono regolarmente disat-tese, gli ammonimenti dell’Europa au-mentano, il disagio sociale cresce, laprotesta e la disaffezione politica dellagente è sempre più evidente.

    Dunque, siamo alle solite e anche ilrisultato del confronto con l’Unioneeuropea, per la concessione di flessibi-lità sui conti, viene annunciato comeuno straordinario successo a testimo-nianza di una salute economica ita-liana che tutto è fuorché di ferro. Nonè di ferro perché l’Europa ci ha nuo-vamente rimproverato un debitoenorme e crescente, perché la flessibi-lità concessa è minore di quella richie-sta, perché le previsioni sulla crescita,

    per l’ennesima volta, sono state ri-dotte. Come se non bastasse, ci è stataimposta la conferma delle clausole disalvaguardia (aumento Iva o equiva-lente) a garanzia dello sbilancio neiconti, che tende ad allargarsi piuttostoche a ridursi.

    Al netto di tutto ciò il risultato fi-nale è che, per il 2017, mancano al-l’appello, per far quadrare il saldo, trai dieci e i venti miliardi di Euro, a se-conda se si consideri lo scenario mi-gliore o quello peggiore. Ovviamentelo scenario, diciamo positivo, sarebbela crescita del Pil dell’uno virgola cin-que per cento, quello contrario unacrescita dell’uno per cento o qualcosameno. Insomma, comunque vada sa-remo costretti a correggere i conti conun aggiustamento che, inevitabil-

    mente, si tradurrà in maggiori entrate(tasse), o in minori uscite (tagli) e beneche vada, sia nel primo che nel se-condo caso, saranno sacrifici seppurecamuffati.

    Eppure, nonostante ciò, Governo ePremier suonano la grancassa deltrionfo, dicono a chi deve dire di farealtrettanto, sbandierano ottimismocome se questo bastasse a risolvere iguai. Per carità, gente allegra Diol’aiuta, ma che sia altrettanto chiaro,dello “state sereni” che tutto va benedi Renzi, francamente non ci fidiamopiù. Oltretutto, con l’approssimarsidelle amministrative e soprattutto delreferendum costituzionale, il livellodello “state sereni” salirà in orbita, perquesto sarà bene vigilare e non farsialludere.

    La verità è che il Paese fa una faticabestiale a riprendersi, che la crescita èun niente rispetto a quel che servi-rebbe, che lo sfascio del sistema è

    molto più profondo di quanto nonappaia. L’apparato pubblico funzionapoco e male, i servizi ai cittadini peg-giorano, i conflitti di ogni tipo au-mentano e, dulcis in fundo, gliscandali oramai sono un fiume inpiena che devasta la pazienza degli ita-liani. Ecco perché anziché fanfalucheservirebbe un po’ di pace, un po’ difiato da offrire ai cittadini. Parliamodi pace fiscale, amministrativa, buro-cratica, sociale. Ecco perché senza il ri-pristino immediato di un patto difiducia fra Stato e contribuenti, citta-dini e amministrazione, elettori e poli-tica, non c’è illusione che tenga esogno che funzioni. Da quel sogno,caro Renzi, gli italiani si sono risve-gliati da tempo e, guardandosi intornoe nelle tasche, hanno riscontrato solotasse e disservizi, cartelle e sacrifici,malapolitica e malaffare. Per questo lesue chiacchiere, come quelle di tantialtri, oramai stanno a zero.

    ...dalle tasse, dalla spesa pubblica e dai debiti nonpuò che peggiorare. Sotto l’ombrello protettivodella Banca centrale europea di Mario Draghi, ilquale ci consente di continuare a chiedere prestitia tassi ridicoli, malgrado l’inarrestabile crescitadel debito pubblico, ogni scelleratezza finanziariapuò essere commessa da chi occupa la stanza deibottoni. Soprattutto, occorre dirlo forte e chiaro,quando la cifra politica dell’attuale opposizionenon si discosta molto, se non in peggio, dallalinea dei pasti gratis sempre più perseguita dairottamatori del buon senso al potere.

    Capisco che in un Paese sempre più confuso,in cui buona parte dei cittadini-elettori sono in-dotti a pensare che sarà sempre qualcun altro apagare il conto, sostenere una linea autentica-mente liberale appare cosa molto ardua. Tutta-via, tanto a livello nazionale che locale, cideprime molto dover constatare che oramai laconcorrenza politica si basa essenzialmente sunuove e irresponsabili promesse di redistribu-zione senza soluzione di continuità. Sotto questoprofilo la politicaccia italiana, specchio fedele diun Paese fallito, vive una perenne campagna disaldi rigorosamente finanziata coi quattrini degli

    La strada sbagliata

    La grande battaglia per il Corriere ed il regime

    La Repubblica delle banane e dei bonus

  • Primo Piano

    Sono davvero diventati garantisti?Gente che aveva fatto parte delcoro di osanna alle mattanze giudi-ziari e “aperto un credito illimitato”ai magistrati e al loro partito, oracompunti recitano litanie garantiste,magari un po’ impacciate, come ca-pita a chi ha poca pratica di quelloche fa.

    E soprattutto la paura (si dice: lapaura fa novanta) del confronto elet-torale con i Cinque Stelle a determi-nare questa conversione. Ma c’èsicuramente dell’altro. Il giustizialismoè in crisi. Anche l’ultrarenziano Ce-rasa, direttore de Il Foglio, nota e sot-tolinea questa conversione improvvisaed un po’ goffa ed esprime quel sensotra il compiaciuto ed il seccato di chigarantista lo è stato, mentre quelli(quelli, soprattutto del Partito Demo-cratico, osannavano all’uso politicodella giustizia, imponendo a se stessied agli altri di ignorare ogni esorbi-tanza e prevaricazione.

    Meglio sarebbe parlare di “garan-tismo peloso” o d’occasione. Il fatto èche come in altri casi della storia, “larivoluzione mangia i suoi figli”. Edanche quella giudiziario-giustizialista.Hanno paura dei Cinque Stelle, chesono il prodotto, la caricatura del lorostesso atteggiamento nei confronti

    della scesa in campo politico dei ma-gistrati, dell’oramai lontano 1992 edella loro sudditanza parassitaria neiconfronti di questo inconfessabilepartito.

    Certo è che, mentre i Cinque Stelle,gli adoratori delle mattanze giudizia-rie, espressione di un deficit culturaleche li accende di un fanatismo auto-lesionista, quelli di Renzi e del Pd (enon solo) abituati a “godere” della di-scriminazione prodotta dal crescenteintervento della giurisdizione penale,coprono il loro disagio e le loro pre-occupazioni mettendo sotto accusal’estremismo dei grillini e ne sottoli-neano i contrasti e sperano così di ri-guadagnare terreno contro questoMovimento “uscito da una loro co-stola”.

    Ma il giustizialismo è in crisi, comedicevamo, anche per altri versi. In-tanto c’è la questione dello sciacallag-gio, prevaricatorio, ideologico edaffarista, dell’Antimafia che ha supe-rato il limite di tollerabilità ed è ve-nuto allo scoperto. Non bastano lecerimonie e i convegni ad impedireche la Sicilia tenda a spegnere e riget-tare la “rivoluzione giudiziaria”, es-sendo tra l’altro oramai dimostrata

    ampiamente l’incapacità di Renzi afar ciò ed anche la sua assoluta man-canza di volontà di “imbrigliare” ilPartito dei Magistrati e la sua inva-denza oltre che il suo atteggiamentosostanzialmente ed insaziabile ed ine-sauribile carattere eversivo.

    Ciò mentre autentici sciacalli del-l’industria antimafiosa cominciano adessere individuati ed, in qualche casoe misura, colpiti. La Sicilia è, come di-ceva Sciascia, la metafora delle situa-zioni proprie anche di altre partid’Italia. E poi ci sono i tanti casi siamministratori Pd colpiti dai magi-strati. Renzi, cui la prosopopea e lasua grande sopravalutazione di sestesso hanno fatto un brutto scherzo,aveva proclamato che il referendumcostituzionale sarebbe stato come unplebiscito sulla sua persona ed il suoruolo politico. Oggi ha capito chequesto è il modo per perderlo. E diandare davvero a casa. Magari, in-tanto è prematuro e, forse poco reali-stico, attendersi che la stessaopposizione interna del suo partito,che egli ha avvilito e spregiato più chebattuto e vinto, rialzi realmente latesta contro il personalismo renziano.Ma quantomeno velleità in tal senso

    cominciano (e continuano) a divenirereali,

    Qualcuno comincia a rendersiconto che la corruzione si vince solorendendo più semplice e realmentetrasparenti gli ingranaggi della vitaamministrativa del Paese e con unanuova selezione della classe dirigente,specie locale, che sia dotata di realicapacità tecniche, gente che il giusti-zialismo di moda tiene lontani dagliimpegni pubblici. Ma è lo stesso ren-zismo che, in buona sostanza, è il pro-dotto di decenni di politica delegataai magistrati, che è in crisi ed ha persosmalto. Il “nuovo” di Renzi cominciaad essere oggetto di insofferenza perla sua vacuità, per il suo pressapochi-smo che, mentre il Pd è assetato di po-tere e vuole diventare il partitodispensatore e regolatore, tra l’altro,delle funzioni e dello spazio per al-cune minuscole formazioni satelliti.Renzi, che voleva, in buona sostanza,fare il Napoleone, rischia di esseretravolto da un rivoluzione che non èin grado di dominare.

    Non è, però, ora e qui che vo-gliamo fare un’analisi generale dellasituazione politica italiana, in cui lacrisi del renzismo, con lo strumentale

    attacco ai Cinque Stelle, con il quale ilPd cerca quel recupero di forze e dicredibilità che, in parte, è oramai al-l’ordine del giorno. Di tale dibattersidi Renzi e dei suoi per tornare a gallaquel che oggi vogliamo esaminare è la“scoperta” del garantismo, sia pure infunzione antigrillini. È tale “funzione”a determinare, da una parte, la scarsacredibilità e la precarietà di tale at-teggiamento e, dall’altra, a far sì che,se anche almeno le tracce e le ricadutedel neogarantismo non sono destinatead essere presto cancellate ed a scom-parire, Renzi non ha la minima possi-bilità di un qualche successo in talequestione. Senza la presa d’atto espli-cita e la presa di coscienza dell’esi-stenza di un Partito dei Magistrati edelle deformazioni che esso ha otte-nuto dell’ordinamento giuridico chene hanno a dismisura aumentato ilpotere, non basta certo che Renzi dicaai magistrati “grazie, non abbiamopiù bisogno di voi, ritornate a farequel che i magistrati devono fare”, néRenzi né alcun altro possono pensaredi venir a capo del giustizialismo e dirafforzare il garantismo per tutti i cit-tadini, senza fare di ciò il pernio cen-trale della politica.

    “Garantismo peloso”, dunque. Unulteriore equivoco, se non una truffa,con il quale non si va da nessunaparte.

    Sono persino diventati garantisti

    Politicamente parlando, il PremierMatteo Renzi è un grande imbro-glione. Davvero. Sente il terreno delreferendum franargli sotto i piedi. Haincominciato con i distinguo. Non piùo con me o contro di me, ma cambia-mento contro conservazione, pro-gresso contro immobilismo, novitàcontro vecchiume, eccetera, eccetera.Se esiste qualcosa indubitabilmentestantia in politica, essa è l’imposta-zione che Renzi intende dare allacampagna in favore della sua pseudoriforma costituzionale. Quando ungovernante più chiacchierone che so-stanzioso resta a corto di argomenti,la butta in propaganda, che talvoltafunziona. E in effetti ha funzionato fi-nora. Renzi è riuscito ad infinocchiareil Senato della Repubblica inducen-

    dolo a suicidarsi non per conseguireun bene superiore, ma per ottenere unmale maggiore, quale deve conside-rarsi il “senaticchio” inventato nellasua nuova Costituzione: una carica-tura disegnata su una Carta strac-ciata. Non uno degli scopi che egli siproponeva con la sua riforma costi-tuzionale era irraggiungibile con dif-ferenti e migliori innovazioni.

    Perciò la domanda capitale è que-sta: “Perché ha scelto le peggiori?”.La risposta plausibile è una sola:“Perché egli non mira a riformare laCostituzione nell’interesse del popoloitaliano, ma nel suo specifico e perso-nale interesse”. Quale? Non certo

    quello di farsi re come Cesare o ditta-tore come Mussolini. Nessuno puòparagonare, nemmeno per spirito po-lemico, le cose piccole alle grandi, senon vuole cadere nel ridicolo. Egli,prima, si è cucita addosso una leggeelettorale su misura, confezionando-sela in anticipo; poi, ha dato manoalla Costituzione per modellarla sullalegge elettorale, cioè su se stesso.Tutto il resto è clamore, pretesto, en-fasi, vanteria, trucco, inganno.

    Ecco svelata la trama del grandeimbroglione, che, consapevole di es-sere stato scoperto e temendo la boc-ciatura del popolo, chiama a raccoltai compagni di partito e li blandisce

    dopo averli schiaffeggiati per mesi.Risparmi, no; semplificazione, no;

    sbilanciamento, invece, e accentra-mento. Il sì che Renzi invoca è un sìalle mani libere dell’uomo eletto conuna miseria di voti, la quale generamagicamente una maggioranza par-lamentare più che assoluta grazie adun premio che cresce al diminuire deivoti che lo aggiudicano. Egli ha di-mostrato di non possedere la benchéminima nozione di governo rappre-sentativo e di democrazia liberale, edi spregiare la sovranità popolare ret-tamente intesa. Un po’ troppo per ilsegretario di un partito che si autode-finisce “democratico”.

    Quindi al referendum gli italianidevono dire “No” per svelare ilgrande imbroglio e mettere alla ber-lina l’imbroglione che, si ritiri oppureno dopo, potrà comunque tornarealla politica locale, un campo dove glibastano le forze per imporsi.

    Il grande imbroglione

    Come dicevano le nostre nonne:chi si somiglia, si piglia. Perun’incredibile sequenza di accadi-menti politici, la felice massima pos-siamo applicarla anche al duoMarchini-Parisi, i due campioni chestanno correndo per tagliare il tra-guardo di primi cittadini. Non ci era-vamo accorti qui a Milano. Per tanteragioni.

    Vista infatti dai soliti provincialimilanesi, la campagna elettorale diRoma sembrava, lo diciamo al pas-sato, una delle tante kermesse comesi dice da noi superficiali, alla ro-mana, cioè nella solita salsa simpati-camente caciarona a base disuddivisioni e riunificazioni, diguerre e paci, a seconda delle ventatedel ponentino politico. Un ragiona-mento per pigrizia o per lontananza,chissà. Ma questa volta, alla super-ficialità non giudiziosa, è venuta insoccorso la sintesi dell’evento che ilnostro Diaconale ha tracciato a pro-posito delle sua intervista a Mar-chini. Riassumibile essenzialmentenella speciale, specialissima (e pernoi felicissima) scelta di Alfio Mar-chini di rimanere coi piedi ben pian-tati per terra nella sua città. Il che staa indicare che la sua opzione rinun-cia ai richiami del politichese nazio-nale, con appendici di appartenenzanella sua versione di vassallaggio probono civitatis, tenendosi invecestretta la missione più autentica diun sindaco: quella di occuparsi deiproblemi, grandi e piccoli, della pro-

    pria città. E di risolverli, of course. Qualcuno dirà che uno come

    Alfio non vola alto, che sta troppoterra terra perché timoroso o, quelche è peggio, doppiogiochista nel-l’impegnarsi col feudatario signore epadrone del potere, senza rendersiconto che le cose stanno da tutt’altraparte nel caso di Marchini, benchéqualcuno la tacci come la solita ope-razione antipartitica. In realtà le ap-parenze, come sempre, ingannano. Sifa politica e al meglio nella propriacittà soltanto quando si è capaci dirisolverne i problemi, di dare rispostecoi fatti e non con le promesse, allemolte situazioni irrisolte, lasciate ametà, dimenticate.

    Per esperienza personale, sap-piamo quanto poco contino in unacampagna amministrativa, anche di

    una grande città, mettiamo Roma oMilano, gli agganci nazionali politici,le sue ascendenze, financo le discen-denze. Certo l’importanza di colle-gamenti è addirittura ovvia, ma lastrumentalità degli stessi diventa unmust soprattutto dopo l’elezione aprimi cittadini, quando l’interventosuperiore è indispensabile ed è pres-soché inevitabile armarsi di umiltà eandare col cappello in mano dal Pre-mier di turno. Prima no. Prima, e famolto bene Marchini, viene l’attentoascolto delle necessità dei romani edè obbligatoria una trasparente gerar-chia di problematiche se si vuole chene corrispondano altrettanto traspa-renti, seppur veloci, realizzazioni.Queste e quelle non hanno una colo-razione partitica e i cittadini sono al99,9 per cento alieni dal mescolare il

    sacro col profano, dal miscelare leistanze e le emergenze (tutto è emer-genziale nella Roma “redux” da Ma-rino e non solo) con le benedizionidall’alto. Interessa infinitamente dipiù l’impegno e la fattualità di unsottopasso da sistemare, piuttostoche sbandierare l’appartenenza/sud-ditanza al detentore del potere na-zionale.

    Il romanocentrismo di Marchini ècondito di eleganza innata, giammaioscurata da nessuna abbagliante Fer-rari se è vero, come è vero, chel’abito non fa il monaco, salvo cheper i qualunquisti senza idee politi-che. Si scopre l’acqua calda nell’insi-nuare che la scelta di Marchini è dimatrice berlusconiana. A parte ilfatto che, in sua assenza, la fino adallora solitaria corsa marchiniana sa-rebbe precipitata nel bailamme di uncentrodestra spezzettato dopo l’irru-zione del duo Meloni-Salvini, manon meno vero è che l’indipendenzadi Alfio serve e servirà non solo onon soltanto per la realizzazione diambizioni legittime, fra cui la resti-tuzione di Roma alla sua “romanità”da Capitale, ma è funzionale ad undisegno politico, ancorché futuribilema non troppo, che la narrazione diStefano Parisi sta offrendo a Milano.E non stupisca la romanità di nascitadi Parisi, perché, semmai, potrebbeiscriversi nelle magiche curiosità

    della storia. Molto meno magicisono invece i segni che sta lasciandoil marchio della sua candidatura, vo-luta anche questa dal Cavaliere riu-scendo a ricomporre un quadro dialleanze impossibilitato a Roma.

    Il punto vero, e che avvicina sin-golarmente i due candidati, è la ro-manità di Marchini e la milanesità diParisi nella misura in cui il terminedell’appartenenza declinato da Parisisi riappropria di temi, parole, pro-grammi, progetti amministrativitanto strettamente connessi a Milanoda tradirne quasi un’ombra dell’an-tico leghismo bossiano lasciato allespalle dal “sovranista” Salvini. Unbagaglio, quello d’antan, col suo lo-calismo (campanilismo) sbandierato,a parole, un fare per proprio conto,purché si faccia, e senza bisognodegli altri, soprattutto di “Roma la-drona, la Lega non perdona!”. Macome sappiamo, erano solo slogan,frasi fatte, manifesti murali, writerspontidiani. La narrazione di Parisi èben altra. Ne fa aggio una storia ma-nageriale dove promesse come inno-vazione, tecnologia, modernità daapplicare alla propria città, non sonoparole, slogan, poster elettorali. Lastbut not least, i candidati delle duepiù importanti città italiane stannoiniziando un percorso che da am-mnistrativo potrà diventare politico,partendo da analoghe impostazioni,dentro un’area che sembrava orfana,desueta, in piena decadenza. Se av-verrà, sarà un gran bene. E non soloper i loro cittadini.

    Marchini e Parisi: le somiglianze

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    Economia

    David Hume (1711-1776), precur-sore dell’economia politica clas-sica, sosteneva che la frammentazionepolitica, ponendo un freno sia al po-tere che all’autorità, era un alleato delprogresso economico e civile, non unsuo nemico. Nell’antichità, città pro-spere come Tiro, Sidone, Cartagine, eGadir non avevano bisogno di riunirsiin una singola unità politica, al mas-simo era sufficiente una federazione.Lo sviluppo del Mar Egeo non si basòsu nessun impero, ma sulla decentra-lizzazione. L’accentramento porta consé il germe della disgregazione. Ateneera una superpotenza regionale maprimus inter pares e fu il suo sistemacommerciale a permettere la circola-zione delle idee che portò alle grandiscoperte dell’epoca (Pitagora, Talete).Appena fu unificata ad opera di Fi-lippo il macedone, la Grecia cominciòa perdere colpi e se il grande imperodel figlio, Alessandro, fosse durato, sa-rebbe andato incontro ad una stagna-zione commerciale e intellettualesimile a quella che aveva colpito i suoipredecessori persiani. Tuttavia, poichéalla sua morte, si decentralizzò, alcunesue parti poterono rinascere comecittà-stato indipendenti fondate suuna florida economia come, ad esem-pio, Alessandria d’Egitto. Quando ungoverno è repubblicano, decentrato elimitato, i benefici della crescita sonoevidenti.

    Quanto più i governi si espandono,tanto più hanno la tendenza a “piani-ficare” per soddisfare i propri inte-ressi. La Cina visse i suoi momentimigliori quando il Paese era fram-mentato e non unito. Mentre la cen-tralizzazione ad opera della dinastiadei Ming fu un esempio di soffoca-mento economico e di schiavitù. La ri-nascita della Cina alla fine del secoloscorso è dovuta al principio di decen-tralizzazione del governo ed a un raf-forzamento delle autonomie locali: la

    frenetica attività economica cinese ini-zia con le cosiddette township and vil-lage entreprises (imprese municipali erurali) mentre la caratteristica dell’at-tuale Cina è la debolezza del governocentralizzato.

    Nel periodo della dinastia deiMing, l’Europa fu colpita dalla pestenera ma superò questo disastro graziea città-stato indipendenti governate damercanti che ostacolarono il tentativodei proprietari terrieri di reintrodurrela schiavitù. Immaginiamoci cosa sa-rebbe successo con un governo cen-tralizzato. Fortunatamente, l’Europafu molto più difficile da unificare ri-spetto alla Cina, come scoprirono poie a proprie spese Carlo V, Luigi XIV,Napoleone e Hitler. Il risultato deiloro tentativi fu stagnazione, burocra-zia, guerra. Oggi al posto delle guerrein Europa ci sono separatismi e seces-sioni che rischiano di evolvere in rivo-luzioni. Altro che Europa dei Popoli!Il problema è sempre lo stesso. I go-verni tendono ad essere benefici al-l’inizio ed a peggiorare con il passaredel tempo, trasformandosi in nomen-klature sempre più ambiziose e paras-sitarie che si accaparrano una fettacrescente del reddito nazionale e in-terferiscono nella vita privata. Allafine la popolazione esplode. Non esi-ste prova storica del contrario.

    La teoria dei sistemi spiega, inoltre,perché organismi sempre più grandidiventano sempre più fragili ed espo-sti al rischio di imprevisti e shockesterni. Un argomento a favore del-l’Unione europea, tuttora sostenuto, èche l’allargamento la rafforzi. Maquesta convinzione è stata smentita

    dalla crisi finanziaria del 2008 e saràsmentita più clamorosamente con laprossima crisi. I Paesi al di fuori dellamoneta comune hanno retto meglioall’onda d’urto della crisi. L’accentra-mento dei poteri amplifica tutti gli er-rori. La Svizzera è sopravvissuta atutte le catastrofi storiche perché si èevoluta col decentramento decisionalein virtù del quale gli errori distribuen-dosi in modo decentrato, non si am-plificano ma si dissipano, lasciandointatto il sistema. Ma l’hubris tecno-cratica se ne infischia tanto della sto-ria che della fisica.

    La maggior parte dei Paesi pro-spera nel mondo in modo indipen-dente senza far parte di qualche potereregionale o Stato Moloch. Sembracontro-intuitivo, ma più isolati si è emeglio è. Basti pensare a Singapore re-sosi indipendente dalla Malesia nel1965 oppure a Hong Kong che ha evi-tato di farsi inghiottire dalla Cina.Nessuno di questi Paesi ha avuto bi-sogno di un super-Stati per svilupparsie, lungi dall’essere autarchici, hannoaffrontato la concorrenza globale consuccesso. È la concorrenza in tutti gliaspetti, economico, politico e fiscaleche ne assicura il benessere, che ab-batte monopoli, oligopoli e il lobbi-smo che i super-Stati fertilizzano.

    La fortuna dell’Inghilterra è statasenz’altro la sua geografia che l’haresa indipendente e prospera fino aquando non è entrata in Europa.Basta un calcolo elementare per di-mostrarlo. Le esportazioni britannichenon arrivano al 30 per cento del Pil.Di questo 30, il 40 per cento va al-l’Unione. Quindi solo il 12 per cento

    interessa l’Unione europea,mentre l’88 per cento ne è aldi fuori. Ma il 100 per centodell’economia britannica èsottoposto alle regole Ue! Nonè stato un buon affare.

    Negli ultimi mesi è statamontata una propaganda con-tro la sua uscita dall’Europa, ilfamoso Brexit, una propa-ganda minacciosa di ritorsioni e dipropositi di vendetta di una violenzainaudita che ancora una volta rivelanola natura totalitaria e antidemocraticadell’Unione. Un’interferenza inammis-sibile da parte di politici e banchiericentrali diretta a creare panico nellapopolazione affermando che il Brexit ècatastrofico per il Paese ed a minac-ciare che, con l’uscita, il Regno Unitodovrà rinegoziare tutti gli accordicommerciali. E chissenefrega, avrebberisposto Margaret Thatcher. Sarebberogli esportatori europei ad essere pena-lizzati. Devono essere i popoli a deci-dere o le nomenklature ansiose diabolire la legittimità democratica perrendere gli Stati vassalli?

    La domanda che il popolo britan-nico deve porsi è: il nostro interesseeconomico è fuori o dentro una Ueche, lottando per sopravvivere, lanciaanatemi contro i Paesi recalcitranti?Altro che Brexit, il Regno Unito do-vrebbe fare piani per prevenire il totaledisfacimento della Ue. L’Europa non èuna nazione, è un Continente, questo èil problema e non può essere gestito damaniaci della pianificazione.

    Secondo un articolo del FinancialTimes (“Eu weighs guillotine powersto freeze transfers”) del 15 maggio

    scorso la Commissione europea staconsiderando l’ipotesi di un nuovo“strumento di moratoria” che confe-rirebbe ai regolatori il potere di con-gelare i pagamenti ai titolari diobbligazioni e sospendere i ritiri dicontante per prevenire deflussi di li-quidità dalle banche. Tipica azione danomenklatura Ue: quando tutto falli-sce, la soluzione è il sequestro dei beniprivati. E i britannici dovrebbero re-stare in un contesto come questo? Vo-gliono essere dominati da unaburocrazia che gestisce a suon di leggimarziali finanziarie?

    Sappiamo come l’unione moneta-ria ha portato frantumazione econo-mica, miseria, risentimento e divisionein tutta Europa. E sappiamo purecome l’Unione europea vuole usciredalla crisi che ha creato: applicandogli stessi metodi di centralizzazionedella moneta unica a tutta l’Europa.Un super-Stato imposto con la forzanon può che replicare i disastri delpassato. Se la Ue sopravvivesse sa-rebbe in una forma di cui nessunosano di mente vorrebbe farne parte.

    p.s.: per farsi un’idea del Brexit, siguardi l’eccellente filmato Brexit theMovie (almeno i pochi minuti di in-troduzione).

    L’Europa ha bisogno di decentramentonon di governo comune

  • Esteri

    L’entusiasmo di Matteo Renzi deiprimi di maggio per la decisionedel Tribunale Arbitrale dell’Aja diautorizzare il ritorno a casa di Sal-vatore Girone, il marò sequestratodal governo indiano, era del tuttofuori luogo. Ad oggi il beau geste deigiudici internazionali è rimasto let-tera morta: Girone resta dov’è. Ecosì sarà, almeno fino a luglio pros-simo perché la Corte Suprema diNew Delhi, che avrebbe dovuto di-sporre il rilascio di Girone per uni-formarsi alle disposizioni della Cortedell’Aja, è andata in ferie.

    Evidentemente per il sistema giu-diziario indiano la libertà di un indi-viduo non è questione che meriti unosforzo lavorativo supplementare. Lagiustizia può attendere. La verità èche per New Delhi Salvatore Gironenon è un indagato in attesa di pro-cesso, ma un ostaggio. Perciò, non viè alcuna voglia di lasciarlo andare.Se ciò accadrà, dopo altri mesi disnervante melina giocata dalla magi-stratura e dalla politica del giganteasiatico, sarà solo perché l’Italia sisarà piegata a fornire ulteriori, umi-lianti, garanzie per restituirlo, in fu-turo, alle patrie galere indiane.

    Ne abbiamo viste tante dal giornodel presunto coinvolgimento dellapetroliera italiana “Enrica Lexie”nell’oscura trama dell’incidente cheavrebbe causato la morte di due se-dicenti pescatori del Kerala, ma lasquallida sceneggiata alla qualesiamo costretti ad assistere in questeore è una vergogna assoluta. Dietroil barbaro comportamento delle au-torità indiane si è condensato ditutto: guerra intestina tra bande perla conquista del potere, intrallazzi traaffaristi italiani e funzionari pubblicidi New Delhi, braccio di ferro per te-stare la propria forza sullo scenarioglobale a spese della “debole” Italia.Tutte motivazioni che nulla hanno ache fare con la verità sull’incidentenel quale potrebbero essere staticoinvolti i nostri militari.

    Sul fronte opposto, Matteo Renzi

    c’entra poco con il comportamentopusillanime dei governi italiani chedal febbraio del 2012 non hanno sa-puto, o voluto, gestire a dovere lacrisi. Tuttavia, è inaccettabile la “nar-razione” della realtà che lui distorcein base alle convenienze del mo-mento. Peggio: è odiosa. Perchégioca sulla pelle di Girone, personainnocente, che sta patendo una co-strizione moralmente ingiusta e le-galmente arbitraria. Renzi, nel suotour pugliese, ha ribadito che il Go-verno è impegnato a fare “tuttoquello che è nelle (nostre) possibilitàaffinché il rientro avvenga primapossibile, fermo restando l’amicizianei confronti del popolo e del go-verno indiano”. È una pezza a colorimalamente incollata su una toppa in-decente. Il Premier probabilmentenon è consapevole di ciò che dice.Non lo sa o finge di non saperlo, mala sua stucchevole professione d’ami-cizia rasenta l’insulto agli italiani.Non si può parlare con enfasi di unsuccesso che non ha prodotto un belnulla e, al tempo stesso, ribadire lastima per qualcuno, governo o po-polo che sia, che sta oltraggiandol’onore italiano in modo tanto sfron-tato. Passi la cautela diplomatica, mail linguaggio servile è disgustoso. Unleader di una grande nazione com’èl’Italia avrebbe dovuto dichiararel’esatto opposto. Avrebbe dovutodire senza giri di parole che, finquando Salvatore Girone sarà ille-galmente trattenuto in India, alcunsentimento di amicizia potrà alber-gare in noi verso quel popolo e quelgoverno. Avrebbe dovuto minacciaredi stigmatizzare, in tutte le sedi in-ternazionali, il comportamento delleautorità di New Delhi boicottandonegli interessi commerciali e strategici,almeno fino al ripristino delle condi-zioni di legalità palesemente vulne-rate.

    Forse è nostra la colpa di preten-dere fermezza e schiena dritta daquesto signore che si atteggia a bullo,ma resta pur sempre un vasetto dicoccio decorato da mazzi di mam-mole.

    Salvatore Girone resta in India

    Tra poco meno di duecentocin-quanta giorni Barack Obamadovrà lasciare la presidenza degliStati Uniti e traslocherà dalla CasaBianca, dove ha vissuto con la fami-glia per otto anni. Anche l’uomo piùpotente del pianeta, il Commander-in-Chief dell’esercito più forte delmondo, si starà chiedendo cosa potràfare dopo ed a soli 55 anni. C’è daimmaginare che di cose ne potrà fareancora tante.

    Per sdrammatizzare l’inevitabilechoc che l’addio alla Casa Bianca, ilprossimo 20 gennaio, provocheràanche all’attuale Potus (President ofthe United States, come è chiamato insigla dagli agenti del Servizio Se-greto), Obama ha voluto interpretarese stesso in un video ironico, che èstato poi diffuso su Facebook e Twit-ter. Nella clip, Obama riflette sul suofuturo dopo la Casa Bianca e si faconsigliare dal vicepresidente JoeBiden e dall’ex presidente della Ca-mera dei deputati, il repubblicanoJohn Boehner. Il primo pensiero diObama è che per cercare lavorodovrà muoversi in auto, ma la suapatente di guida è scaduta da anniormai e chissà se con il secondonome che si ritrova, Hussein, e con isospetti sulle sue presunte origineislamiche, gli sarà facile ottenere unnuovo documento. Poi, inevitabil-mente, il presidente “pensionato” fi-nisce per litigare con la superattivamoglie Michelle e allora al poveroBarack non resta che concedersi diguardare il film di animazione ‘‘Toy

    Story’’, sdraiato su un divano contanto di patatine fritte. Con la stessasottile ironia che lo ha contraddi-stinto negli otto anni di presidenza,Barack Obama ha salutato nel corsodi una cena anche i corrispondentidella Casa Bianca, quel “circo media-tico” che lo ha accompagnato in ogniistante della sua vita da presidente, inpatria e all’estero. Nel suo discorso,il presidente ha affermato che ormai,lui, non conta più nulla, dal mo-mento che i parlamentari repubbli-cani non gli rispondono più altelefono e persino il principino Ge-orge lo ha accolto in vestaglia du-rante la sua recente visita a Londra.Alla fine il presidente ha lasciato ca-

    dere il microfono, accompagnandolocon voce triste dalle parole “Obamaout”, come ormai fanno i cantanti fa-mosi alla fine dei loro concerti.

    Ma forse il futuro di BarackObama non è così oscuro: un famosoavvocato di Dubai, Eisa Bin Haidar,gli ha già offerto sulla sua pagina Fa-cebook un lauto contratto presso ilsuo studio legale. Il presidente ha pe-raltro lavorato a lungo come avvo-cato, dopo la sua laurea in legge adHarvard, e si è specializzato in dirittocostituzionale prima di intraprenderela carriera politica che lo ha condottoalla Casa Bianca. Nel suo pacchetto,l’avvocato Eisa ha incluso trasferi-mento e villona a Dubai per Obama

    e tutta la sua famiglia, compresiviaggi in prima classe, limousine conautista e tanti altri vantaggi.

    Fin qui nulla di strano: il problemaè che il generoso legale emiratino hapensato di assumere il pensionatoObama con l’obiettivo di farlo fami-liarizzare con i veri principi dell’Islam.Bin Haidar infatti sostiene che l’ideache l’opinione pubblica e i media sta-tunitensi hanno della religione e delmondo islamico è associata al terrori-smo e all’intolleranza, quando invecele sure del Corano insegnerebberol’opposto. Avere Obama a Dubai, inun Paese mussulmano aperto e tolle-rante, sarebbe per Eisa la migliorepromozione del “vero” Islam. Imma-giniamo che da qui a gennaio pros-simo il presidente Obama riceveràmoltissime altre proposte di lavoro epotrà così valutare con serenità l’of-ferta dell’avvocato di Dubai.

    Il futuro dopo la Casa Bianca del presidente Obama

  • Cultura

    Vi piace il teatro? Sì? Allora ilQuirino di Roma vi offre unaprogrammazione di alto livello per laprossima stagione. Il cartellone èstato illustrato dai responsabili dellanuova gestione, con un nutrito par-terre di attori, autori, registi e sceno-grafi che, a bordo platea, si sonoalternati ad illustrare le loro nuovefatiche. Due citazioni su tutte: Ga-briele Lavia, che ha presentato con lasua coinvolgente narrazione il suo:“L’uomo dal fiore in bocca”, con cuiabbiamo scoperto che esiste untempo “lineare” fatto del domani cheverrà, e un altro circolare, come ilciclo della morte e della resurrezione.E, poi, la questione dell’immortalitàdei personaggi che, al contrario degliattori (donne e uomini del lorotempo, martoriati da tutte le neces-sità materiali), restano immortali, es-sendo il riflesso di una o piùsfaccettature dell’animo umano,delle sue tensioni etiche, morali, so-ciali e spirituali. La storia ha una suapropria cronologia. Il “personaggio”gode, invece, di “immortalità”!

    Altra grande interprete delle con-traddizioni e dei peccati dell’anima èstata Liliana Cavani, che ha presen-tato la sua “Filumena Marturano”,

    rimarcando la differenza tra fare ci-nema e teatro: nel primo caso, la ver-sione finale una volta incisa restacosì per sempre; il secondo, invece,tratta e agisce una materia sempreviva, multiforme, per cui, forse, soloil titolo e il manoscritto restano fe-deli a se stessi nei secoli. Ma non gliumori, le passioni del pubblico e deiprotagonisti tutti, che sono comemateriale biologico, biodegradabile eriproducibile identicamente per unasola volta, all’atto dello svolgimentoe della successione delle scene, datoche mai una replica può essere laperfetta replicante di una precedente.Il padrone di casa Geppy Gleijesesha, per l’occasione, reso omaggio allefamiglie storiche del teatro italiano,come i De Filippo e gli Scarpetta, ri-percorrendo alcuni passaggi dellasua biografia.

    Alcune informazioni di servizio,ora. Ampio spazio viene dato a Sha-kespeare, con ben due opere tra lemaggiori: Macbeth e Amleto, ilprimo per la regia di Luca de Fusco el’interpretazione di Luca Lazzareschie Gaia Aprea, mentre il secondo è di-retto da Daniele Pecci (anche nellevesti del Principe) e interpreto daMaddalena Crippa. E, poi, un omag-gio a Brecht, con la sua opera me-morabile: “Il signor Puntila e il suo

    servo Matti” per la regia congiuntadi Ferdinando Bruni e FrancescoFrongia. A sorpresa, gli adattamenti

    teatrali di pellicole storiche come“Luci della ribalta” e “Il Sorpasso”.E non manca di certo l’allegria, come

    in “Quello che non ho”, di NeriMarcorè. E così via. Ovviamente, atutti loro i nostri migliori auguri!

    Teatro Quirino, presentato il cartellone 2016-2017

    Poche settimane orsono ricorreva iltrentesimo anniversario dell’inci-dente di Chernobyl. Contempora-neamente il gestore di una centralenucleare tedesca annunciava cheerano state rilevate infezioni multipledi malware su chiavette Usb e com-puter dell’impianto di Gundremmin-gen a 120 chilometri da Monaco. Idispositivi erano risultati infetti dadue virus: W32.Ramnit, noto fin dal2010 e Conficker, una vera celebritàche risale al 2008. Il gestore, comun-que, dichiarava che tutti i dispositivi,non essendo connessi ai sistemi cheassicuravano il funzionamento dellacentrale, non rappresentavano un ri-

    schio per l’impianto. Sorge spontaneauna prima domanda: come è possi-bile che due virus “d’epoca” abbianocolpito ancora?

    La risposta fornita è laparte più preoccupantedella questione. I due virushanno potuto diffondersi acausa di un sistema non ag-giornato dal 2008, inquanto doveva garantire ilfunzionamento di un vec-chio software per la visua-lizzazione dei dati relativiad una apparecchiatura de-stinata alla movimentazionedelle barre di combustibile

    nucleare. Perché dovremmo preoc-cuparci? La ragione è semplice:quella che si chiama compatibilitàretroattiva rappresenta uno dei ri-

    schi più gravi in materia di sicu-rezza. Uno dei problemi connessi al-l’informatica e alla sua evoluzioneiper-accelerata è legato alla neces-sità di fare in modo che i sistemi piùrecenti continuino a comunicarecon quelli più vecchi. Se così nonfosse, ogni volta che si acquisisce unsoftware più evoluto, esisterebbe unrischio di malfunzionamento del-l’intero sistema.

    Ugualmente, nessun cliente è di-sponibile a spendere milioni di europer rincorrere la tecnologia. I pro-duttori, quindi, tendono a garantirela compatibilità retroattiva con il ri-sultato finale che, anche in termini

    di sicurezza, i nuovi apparati si “ab-bassano” al livello di quelli più da-tati. Di fatto i sistemi più aggiornatifiniscono per essere esposti ai peri-coli che arrivano dal passato. Pernostra sfortuna, proprio la compati-bilità retroattiva è considerata unelemento essenziale nei sistemiScada (per esempio quelli delle cen-trali nucleari, elettriche e via di-cendo), che risultano esposti a untipo di attacco informatico moltosofisticato (tecnicamente Dow-ngrade Attack di solito basato sultentativo di trasformare una tra-smissione criptata in una in chiaro oalmeno facilmente violabile), ma lecui conseguenze potrebbe esseredrammatiche. Un computer vittimadi un virus è una cosa, un diga cheimprovvisamente si apre, un’altra.

    WEB Virus: il pericolo arriva dal passato