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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, giovedì 29 novembre 2018 anno LXXI, numero 48 (3.971) Non c’è sacerdozio senza missione

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, giovedì 29 novembre 2018anno LXXI, numero 48 (3.971)

Non c’è sacerdoziosenza missione

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L’Osservatore Romanogiovedì 29 novembre 2018il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

GI O VA N N I MARIA VIAND irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

L’Unione internazionale delle superiore generali(Uisg), costituita da duemila superiore genera-li delle Congregazioni religiose femminili ditutto il mondo, che rappresentano oltre cin-quecentomila donne consacrate, esprime il suoprofondo dolore e l’indignazione per la seriedi abusi perpetrati nella Chiesa e nella societào dierna.

L’abuso di ogni sorta — sessuale, verbale,emotivo, o un uso improprio del potere all’in-terno di una relazione — lede la dignità e il sa-no sviluppo della persona che ne è vittima.Siamo accanto alle donne e agli uomini chehanno dimostrato coraggio denunciando i casidi abuso alle autorità. Condanniamo i fautoridella cultura del silenzio e dell’omertà, che siservono spesso del pretesto di “t u t e l a re ” la re-putazione di un’istituzione o che definisconotale atteggiamento “parte della propria cultu-ra”. Sosteniamo una trasparente denuncia diabuso alle autorità civili e penali, sia all’inter-

no delle congregazioni religiose sia nelle par-rocchie, diocesi o in qualsiasi spazio pubblico.

Chiediamo che ogni donna religiosa che siastata vittima di abusi denunci quanto accadutoalla superiora della propria congregazione e al-le autorità ecclesiali e civili competenti. Se laUisg riceve una denuncia di abuso, sarà pre-sente con l’ascolto e l’accompagnamento dellapersona perché abbia il coraggio di denunciarequanto vissuto alle organizzazioni competenti.

Ci impegniamo a collaborare con la Chiesae le autorità civili per aiutare le vittime di ogniforma di abuso a sanare le ferite del passatoattraverso un processo di accompagnamento edi richiesta di giustizia e a investire nella pre-venzione dell’abuso attraverso una formazionecollaborativa e programmi educativi per bam-bini, donne e uomini. Desideriamo costruirereti di solidarietà per contrastare queste situa-zioni disumanizzanti e contribuire a una nuo-va creazione nel mondo.

Contro ogniforma di abuso

#editoriale

D i c h i a ra z i o n edell’Uisg

Profonda compassioneL’appello diffuso dall’Unione internazionale dellesuperiore generali in occasione della giornatamondiale contro la violenza sulle donne costituisceuna novità per molti aspetti. Innanzi tutto, è laprima volta che all’interno della Chiesaun’istituzione femminile — e la più numerosa eimportante — si pronuncia su questo argomento,ricollegandosi così a tutte le altre che in questigiorni si sono pronunciate in proposito. Per laprima volta, poi, la voce collettiva che si alza èquella delle donne religiose, di solito silenziose.Ma il testo contiene anche un altro importanteelemento: l’invito a tutte le donne che hanno subitoo subiscono violenze a denunciare. Cioè acomportarsi in modo contrario a quello assunto

finora. La salute mentale delle vittime viene dunqueindicata come più importante dell’immagine di ogniistituzione.Le religiose possono proporre con coraggio questocomportamento perché sentono una profondacompassione per ogni vittima di abuso sessuale.Come aveva scritto Jean-Jacques Rousseau a metàSettecento, «non si compiangono mai negli altriche i mali di cui non ci si sente personalmenteesenti». Le donne sanno di essere tutte vittimep otenziali.Proprio per questo la voce delle donne, la loroesperienza, e soprattutto la loro compassione sonoindispensabili nella lotta contro gli abusi. (lucettas c a ra f f i a )

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di ANTONIOZANARDI LANDI

Di recente è uscito un libro che lascerà traccianello studio delle relazioni tra Santa Sede eItalia negli ultimi settant’anni. Oltretevere. Irapporti tra i Pontefici e i Presidenti della Repub-blica Italiana dal 1946 a oggi (Piemme) diAlessandro Acciavatti prende infatti in esamenon solo e non tanto le relazioni diplomatichee politiche tra i governi, quanto proprio quellepersonali, e talvolta private, tra i capi delloStato e i Papi, da Pio XII a Francesco.

Il volume, di oltre cinquecento pagine, èfrutto di un lavoro di ricerca sorretto da uncerto ardire, che ha consentito al giovane auto-re, già apprezzato da Giuliano Amato e daGiorgio Napolitano, di entrare in contatto conBenedetto XVI e di ottenere contributi perso-nali tanto da lui che dal suo successore.

L’interesse dell’opera potrebbe desumersigià dai contributi offerti da Joseph Ratzinger edal Pontefice, da Napolitano, dai senatoriPierferdinando Casini e Marcello Pera, nonchéda altri autori (tra cui chi scrive), con una pre-fazione di Paolo Mieli e una postfazione dellostesso Amato. Ma è la pur rapida lettura adaprire un mondo fitto di spunti e riflessioni,ma anche di emozioni, talvolta personali, nelrapporto tra i vertici dello Stato italiano equelli della Chiesa universale.

In particolare, le pagine del libro fanno ap-prezzare quanto e quanto profondamente irapporti umani possano influire su quelli tragli Stati. Il dato fa riflettere, tanto più oggi,

quando attriti e attacchi, anche personali epersino ai massimi livelli, rischiano di portareun pregiudizio gravissimo alla ricerca di solu-zioni eque, sensate e positive per le parti, siain Italia che in Europa. L’autore ha anche po-tuto prendere visione dei taccuini del presi-dente Ciampi ancora in vita, dunque primache venissero conferiti agli archivi statali, eleggere le impressioni annotate dal capo delloStato subito dopo i suoi incontri con GiovanniPaolo II e poi con Benedetto XVI.

Ma il libro contiene anche una preziosa eoriginale riflessione del Pontefice. Il Papa ri-balta la nota contrapposizione di GiovanniSpadolini tra un Tevere largo, nei momenti incui le relazioni tra Italia e Santa Sede hannoconosciuto periodi di distanziamento, e un Te-vere stretto, nei periodi in cui invece il rappor-to è stato più contiguo. Il Pontefice affermache oggi è preferibile un Tevere largo, con unaportata d’acqua maggiore che consenta la na-vigazione e gli scambi tra le due sponde. Unariflessione suggestiva, che fa capire come Fran-cesco abbia spesso un approccio innovativo eoriginale.

Le descrizioni dei rapporti tra i Pontefici e icapi dello Stato, a iniziare dalle pagine suquelli tra Enrico De Nicola e Pio XII, sono ef-ficaci e vivissime. Comprensibilmente la miaattenzione è stata attirata dai contributi di Be-nedetto XVI e di Napolitano perché, avendo ri-coperto le funzioni sia di ambasciatore d’Italiapresso la Santa Sede che di consigliere diplo-matico del presidente, avevo avuto modo diseguire lo svilupparsi di un rapporto intenso efortemente positivo. Coinvolgenti anche le pa-gine sull’inizio della presidenza di Sergio Mat-tarella, che ho avuto l’onore di accompagnarenella prima visita in Vaticano.

Come scrive Amato nella sua post-fazione,dalla lettura del libro emerge chiaro «l’a m o re ,non per tutte le istituzioni (sarebbe franca-mente troppo), ma per queste due». Istituzio-ni entrambe «che hanno saputo e sanno eser-citare la loro peculiare missione, quella di in-carnare sentimenti radicati, diffusi e non parti-giani».

O ltretevere

Francesco e il presidente Mattarellaal Quirinale (10 giugno 2017)

#ilpunto

I rapportitra i Ponteficie i presidentidella Repubblicaitalianadal 1946 a oggi

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di SA L LY AXWORTHY*

EContro le moderneschiavitù

lona è stata vittima della tratta di esseri umani.È stata presa in Albania e salvata in un paesedell’Europa occidentale, dopo essere stata ven-duta al mercato del sesso. Aveva subito abusiterribili. Aveva paura e voleva rimanere fuoridal sistema di protezione. Aveva scelto di starecon suo padre, anche se i rapporti tra loro nonerano buoni. Una mattina telefonò a suorImelda Poole, dell’istituto della Beata VergineMaria, dicendo di trovarsi per strada e che suopadre l’aveva picchiata e insultata pesantemen-te. La Renate (Religious in Europe Network-ing Against Trafficking and Exploitation), unarete di religiose impegnata contro il traffico diesseri umani e la schiavitù moderna in Europa,a cui fa capo appunto suor Imelda, è interve-nuta ed Elona è stata di nuovo salvata. Orapartecipa a un programma di riabilitazione esta ricevendo una formazione professionale.Elona è solo una delle numerose vittime dellaschiavitù moderna salvate dalle religiose intutto il mondo.

La Renate fa parte di una rete globale, laTalitha Kum [“fanciulla, alzati”, dal vangelo diM a rc o 5, 41]. Le religiose offrono rifugio, assi-stenza sanitaria e consulenza psicologica allevittime. Permettono loro di ritornare in sicu-rezza nei loro paesi d’origine o le aiutano conla formazione e tirocini volontari. Sensibilizza-no sulla schiavitù moderna attraverso incontrie film come Called to give voice to the voiceless(“Chiamate a dare voce a chi non ha voce”).Lavorano per affrontare le ragioni alla base deltraffico di persone, riducendo la povertà e so-stenendo le economie delle comunità. Fannocampagne a favore di modifiche legislative edi servizi migliori per le vittime.

Con l’intenzione di rendere omaggio al la-voro di queste religiose, suor Imelda è statainsignita del titolo di membro dell’O rdinedell’impero britannico dal principe del Galles,per i suoi sforzi volti a porre fine alla schiavitùmoderna durante una cerimonia che si è svoltaa Buckingham Palace.

Il contributo delle reti religiose alla lottacontro la schiavitù moderna è essenziale. Se-

condo l’Organizzazione internazionale del la-voro ci sono ancora oltre 40 milioni di personein schiavitù nel mondo. Molte religiose hannorisposto all’appello di Papa Francesco a pren-dersi cura degli emarginati e, in particolare, aoperare per porre fine alla tratta di esseri uma-ni e alla schiavitù moderna. Attraverso le lororeti, possono lavorare nei due paesi, quello incui le donne cadono vittime della tratta equello in cui vengono spedite, spezzando ilcircolo di disinformazione e di abuso che in-trappola chi è vulnerabile.

Anche il governo britannico, insieme ai suoipartner, è in prima linea in questo sforzo. Nel2014 Theresa May, all’epoca segretario per gliaffari interni, ha partecipato in Vaticano allancio del Gruppo Santa Marta, forum cheriunisce i capi di polizia e i rappresentanti del-la Chiesa spesso in prima linea contro la trat-ta. May ha poi introdotto il Modern SlaveryAct 2015, che ha dato alle forze dell’ordine glistrumenti di cui hanno bisogno per affrontarei crimini della schiavitù, del lavoro forzato edella tratta di esseri umani; ha inasprito lecondanne e aumentato il sostegno alle vittime.In base a questa legge le grandi aziende devo-no identificare e contrastare la schiavitù mo-derna nelle loro filiere.

La schiavitù moderna è un problema globa-le che richiede una soluzione internazionale.All’assemblea generale delle Nazioni Unite del2017, il primo ministro britannico e il segreta-rio generale delle Nazioni Unite hanno lancia-to l’invito all’azione per porre fine al lavoroforzato, alla schiavitù moderna e al traffico diesseri umani. Il documento è stato sottoscrittoda oltre 80 paesi, segno concreto dell’intento

Suor Imelda Poolem e m b rodell’O rd i n edell’i m p e robritannico

#internazionale

ogni origine sociale, quale riconoscimento pub-blico del loro particolare merito, servizio o co-raggio. Quella ora assegnata a suor ImeldaPoole è un piccolo riconoscimento per il diffici-le lavoro che lei e le sue consorelle svolgononel salvare donne come Elona. Mi congratulocon loro di tutto cuore.

*Ambasciatore del Regno Unitopresso la Santa Sede

internazionale di combatterequesta piaga. Sia il RegnoUnito sia la Santa Sede han-no sostenuto con forzal’obiettivo di sviluppo soste-nibile 8.7 per porre fine allaschiavitù moderna entro il2030.

Nel corso della storia, i so-vrani britannici hanno pre-miato quanti hanno mostratospirito di servizio, lealtà o co-raggio. Oggi la regina Elisa-betta II conferisce onorificen-ze a persone meritevoli di

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di ROBERTORIGHETTO

Scrisse Italo Calvino nelle sue citatissime Lezioniamericane, e precisamente in quella sull’esattez-za: «Alle volte mi sembra che un’epidemia pe-stilenziale abbia colpito l’umanità nella facoltàche più la caratterizza, cioè l’uso della parola».Si era nel 1985 e lo scrittore non pronunciòmai quelle conferenze perché morì poco dopo.

Ora Lamberto Maffei, già presidente del-l’Accademia nazionale dei Lincei e docente dineurobiologia alla Normale di Pisa, calca ulte-riormente la mano: «A me sembra oggi che lamalattia sia ancora più grave, in quanto laprogressiva scomparsa del linguaggio induceun rivoluzionario cambiamento della comuni-cazione interumana, e la parola sembra perde-re il suo peso conoscitivo ed emotivo» si leggenel suo Elogio della parola (il Mulino).

Lo studioso ha dedicato un breve efficacesaggio alla questione, constatando come ingiovani e bambini sia in atto, a causa dell’usosmodato dei telefonini, una drastica diminu-zione verbale.

Abituati all’uso della comunicazione digitaleper sei, sette ore al giorno, i ragazzi hannoperso l’abitudine di conversare: molto rara-mente usano i cellulari per parlare con gli ami-ci, con i quali preferiscono comunicare conbrevi messaggi, spesso solo iconici. «La tribùdella gente con la testa china» è la definizioneche i cinesi hanno dato a questa generazione,e basta fare un viaggio sull’autobus o sullametropolitana, o anche solo camminare nellestrade di una città occidentale, per constatareil fenomeno: giovani (e non solo) perenne-mente impegnati a consultare i propri telefoni-ni. Tant’è vero che una psicologa del Massa-chusetts Institute of Technology, Sherry Tur-kle, in una ricerca ha evidenziato come gliadolescenti sin da quando si svegliano guarda-no il loro cellulare in media 220 volte al gior-no, e ogni volta per quattro, cinque minuti.

Come sottolinea il linguista Luca Serianninella prefazione al libro, non si tratta certo ditornare indietro e di mettere in discussione larivoluzione digitale, che è irreversibile, ma direndersi conto che essa comporta il rischiodella chiusura in se stessi, soprattutto negli in-dividui psicologicamente più fragili come ibambini e gli adolescenti. Per Maffei l’unicarisposta possibile è tornare alla «scuola dellaparola», cioè al primato della riflessione edell’esercizio di una capacità critica che solo lascuola può dare.

Contrario al fatto che gli studenti portino inaula il telefonino ma convinto che le classidebbano dotarsi di strumenti elettronici inabi-litati a comunicare con l’esterno, il neurobiolo-go chiede agli insegnanti non di combattereun’inutile battaglia contro il ciclone digitale,ma di servirsene al meglio. «Il compito princi-pale della scuola rimane a mio avviso quello dipreparare cittadini critici oltre che informati,

consapevoli del proprio diritto a prendere laparola per esprimere il proprio pensiero in unconfronto civile con quello dei compagni» so-stiene. La scuola della parola è quella dell’emi-sfero cerebrale del linguaggio, dunque dellarazionalità e del pensiero lento, e se non la simette in pratica con coscienziosità si rischiadavvero, come sostengono alcuni studiosi, chel’impoverimento dell’uso della parola porti laspecie umana indietro di migliaia di anni,quando la parola non era ancora comparsa.

Per questo, sulla scia della filosofa america-na Martha Nussbaum, Maffei invoca un’al-

leanza tra cultura umanistica e cultura scienti-fica, che insieme devono collaborare per co-struire cittadini consapevoli e con uno sguardocritico verso la realtà, fondamento della libertàdi pensiero e di espressione. E richiama la le-zione di don Lorenzo Milani: «Finché ci saràuno che conosce duemila parole e uno che neconosce duecento, questi sarà oppresso dalprimo. La parola ci fa uguali».

Elogiodella parola

La progressivas c o m p a rs a

del linguaggioverbale

p ro v o c a t adall’uso smodato

dei cellulari

#scaffale

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da Sto ccolmaULLA GUDMUNDSON

Per centinaia di anni, il lago Siljan, il sesto lagointerno della Svezia in ordine di grandezza,nella mia provincia natale di Dalarna ha unitole piccole comunità limitrofe. Le foreste eranoprofonde, le strade pessime, attraversare le ac-que era più semplice. È per questo che Stum-snäs, il villaggio in cui è cresciuto mio padre,fino al 1687 ha fatto parte della parrocchia diLeksand, dall’altra parte del lago, e non diquella di Rättvik, sulla stessa sponda. Andarein chiesa ogni domenica era un dovere nellaDalarna rurale. E da questo, come anche dallacomoda presenza del lago Siljan, è nata la tra-dizione delle “c h i e s a b a rc h e ”, agili imbarcazio-ni sulle quali potevano trovare posto fino aventi rematori (più i passeggeri), capaci di tra-ghettare un intero piccolo villaggio sull’altrasponda per la messa domenicale.

Oggi ci sono strade asfaltate e automobili, ele chiese non sono più piene ogni domenica.Ma come i costumi tradizionali e la musica lo-cale, così anche queste barche sono ancoramolto amate e nessuno vuole che scompaianodal lago Siljan. D’estate, la domenica vengonoutilizzate per andare in chiesa e da 60-70 annici sono perfino gare per le chiesabarche!

Nel 2012 la Grändarn, vecchia barca del miovillaggio, Vikarbyn, è stata dichiarata inadattaalla navigazione. L’imbarcazione era stata co-struita nel 1955, e ai suoi remi si erano sedutetre generazioni. Questo voleva dire che pernoi la tradizione era finita?

Non poteva essere. Nel 2015 alcuni di noi sisono uniti, hanno ottenuto il sostegno delconsiglio del paese e hanno iniziato a racco-gliere fondi per una nuova barca. Il c ro w d - f u n -ding per progetti comuni è una tradizione dal-le nostre parti, che sono storicamente zona dicoltivatori diretti. L’ondata di entusiasmo ha

superato le nostre più rosee aspettative. In treanni oltre trecento persone, aziende locali, cir-coli, istituzioni e visitatori amanti di Rättvikhanno donato mezzo milione di corone svedesi(50 mila euro). La banca locale sin dall’inizioaveva stanziato 150 mila corone, il che ha aiu-tato a rendere credibile il progetto.

La gente sentiva che dare un contributo nonsignificava buttare via denaro. Abbiamo aperto

un conto Swish (un sistema di pagamento mo-bile in Svezia), fatto pubblicità nelle fiere loca-li e chiesto offerte a tutte le fondazioni che cisono venute in mente (l’Unione Europea, midispiace dirlo, si è rivelata una grande delusio-ne). Abbiamo coinvolto i media. E non è statodonato solo del denaro ma, cosa ancor più im-portante, anche venti pini di duecento anniappositamente selezionati (per una chiesabarcasi usa solo legno di primissima qualità). Ungiornale locale ci ha regalato, senza che lochiedessimo, due intere pagine di pubblicità.

A metà del progetto è arrivata la tragedia.Quando la vecchia Grändarn è stata tolta dal-la sua rimessa per fare spazio alla nuova im-barcazione, si è scoperto che la struttura era inuno stato talmente pietoso che sarebbe statoinutile ripararla. Era necessario costruire la ri-messa da zero. Nel nostro piccolo gruppo dilavoro nessuno era un costruttore, e dove po-tevamo trovare il denaro? A quel punto, con

Su una barcaper andare in chiesa

Sul lago Siljan(foto di Jan Düsing)

Un’anticatradizione svedesediventaoccasione di festaper un’i n t e racomunità

#culture

grande sollievo di tutti, il presidente emeritodel consiglio del paese si è fatto avanti comedeus ex machina. Ha costituito un gruppo spe-ciale di compaesani abili nel lavoro di falegna-meria (a Rättvik sono stati sempre tutti car-pentieri, muratori e pittori oltre che agricolto-ri, dato che le fattorie familiari erano troppopiccole per dare da vivere a tutti). E loro han-no costruito la rimessa. Il legno e la pittura

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sono stati donati, e molti abitanti del paesehanno aiutato a tinteggiarla.

Nel frattempo era stata coinvolta anche lascuola del paese. I bambini hanno dedicato lelezioni di educazione artistica del quadrimestredi primavera a realizzare colorati modelli dichiesabarche, come anche disegni e dipinti.«Avete davvero piantato un seme in questibambini», è stato il commento dell’insegnantedi educazione artistica. «Ora conoscono lechiesabarche, e ne sanno di più anche sul no-stro costume e sul nostro dialetto».

Nel frattempo la barca vera stava lentamen-te prendendo forma — e per giunta una formabella elegante — costruita dall’unico falegnameche ancora realizza chiesabarche. Vive a Solle-rön, l’isola che sta in mezzo al lago Siljan, do-ve queste barche vengono costruite da sempre.A Sollerön ci sono reperti archeologici di epo-ca vichinga.

A quei tempi, le imbarcazioni potevano na-vigare da Siljan fino al Mar Baltico. Natural-mente ci piacerebbe poter dire che esiste unatradizione cantieristica ininterrotta dalle navidei vichinghi alle nostre chiesabarche, ma pur-troppo è solo un pio desiderio...

Il 2 giugno 2018, la nostra nuova imbarca-zione è stata ritirata a Sollerön, con una pro-cessione e tanta musica, e portata a remi nellasua nuova casa a Bikarbyn. Il 17 giugno è statavarata, celebrata da musica, discorsi e bandiere(quella rosso-oro di Rättvik, quella gialloblusvedese e quella blu delle Nazioni Unite).

care e tutti che cantavano, come esige la tradi-zione, l’inno sacro svedese Härlig är jorden(bella è la terra).

L’intero percorso, dall’abbattimento deglialberi al viaggio inaugural e, è stato documen-tato da un fotografo professionista residente aVikarbyn, e le foto sono state esposte nellaCasa della cultura di Rättvik, insieme alle bar-che di fantasia realizzate dai nostri bambini.

Vikörkölla ora fa parte della vita del villag-gio. Verrà utilizzata per andare in chiesa, maanche per matrimoni, feste, gite scolastiche ecosì via. O per una tranquilla gita tra amici inuna sera d’estate, con il sole che tramonta sul-le colline blu dall’altra parte del lago.

Quindi, la prossima volta che sentite direche la Svezia è un paese totalmente moderno,privo di cultura, religione e tradizione, noncredeteci del tutto. È vero, e ne siamo fieri, manon è la verità tutta intera. Come ho avutol’onore di dire a Papa Benedetto XVI quando,durante la sua ultima udienza ai diplomaticiprima di dimettersi, mi ha fatto i complimentiper il mio bel costume antico svedese: «sì, an-che in Svezia abbiamo delle tradizioni, e miaiutano a comprendere la vostra Chiesa».

Penso che sia Papa Benedetto sia PapaFrancesco sarebbero d’accordo sul fatto che latradizione va di pari passo con il rinnovamen-to. La tradizione e la cultura sono cose vive,sono parte della storia. Ciò significa che — ameno che non vengano sfruttate per agendepolitiche — sono anche accoglienti, in crescitae in mutamento.

E la cosa divertente è che quando l’inse-gnante di educazione artistica ha chiesto aibambini di realizzare modellini di barche dagara, tutti hanno detto: «no, vogliamo andarein chiesa a remi e sposarci».

Il nome è stato scelto da una giuria tra unaserie di proposte dei bambini della scuola. Al-cuni musicisti locali hanno eseguito una spe-ciale polska (un tipo di danza), composta inonore della Vikörkölla. Nella festa di mezzaestate del 2018, proprio come programmato, laVikörkölla ha fatto il suo viaggio inauguraleper la messa nella chiesa di Rättvik, con ventiremi che hanno reso il saluto prima di attrac-

#culture

Una giovane ragazza siriana, la cui famiglia siè stabilita di recente a Vikarbyn, ha portato labandiera di Rättvik. Un bambino e una bam-bina hanno svelato il nome della nuova barca,Vikörkölla (“ragazza di Vikarbyn” nel dialettodi Rättvik) e l’hanno decorata con una bellis-sima ghirlanda; non è una buona idea sbattereuna bottiglia di spumante contro una barca dilegno.

Bambini a bordodi una “c h i e s a b a rc a ”

(foto di Jan Düsing)

Tutto il villaggio festeggiala fine dei lavori(foto di Jan Düsing)

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di CHARLESDE PECHPEYROU

ILa fabbricadel neonato

n un momento di grande intensità per il dibat-tito bioetico in Francia — al centro dell’atten-zione è la maternità surrogata — la scrittrice efilosofa francese Eliette Abécassis prende posi-zione in un saggio breve ma intenso, Bébés àv e n d re (Parigi, Robert Laffont, 2018, pagine160, euro 12). Come è possibile che il bambinosia diventato un bene di consumo? «Il neona-to — osserva l’autrice — è il nuovo oggetto damettere in mostra, da esibire, un accessorio dimoda, un accessorio di bellezza. Nell’arco diqualche anno, siamo passati dal “bambino per-sona” al “bambino re” per poi scivolare versoil “bambino accessorio”».

«All’ora delle tecnologie avanzate, dellamondializzazione e del capitalismo sfrenato —prosegue la Abécassis — il bimbo è diventatoun bene di consumo redditizio, in particolaregrazie alla maternità surrogata, una tecnica de-rivata dalla procreazione artificiale e industria-le degli animali».

E chi dice bene di consumo, dice attività lu-crativa, con le sue regole, circuiti, mercati. Inpaesi come gli Stati Uniti, la Romania, l’Indiae la Russia si sono moltiplicati i centri di ferti-lità e di riproduzione. Come tutte le industriedel settore secondario — prosegue la filosofa —a causa della mondializzazione e della concor-renza internazionale, la “fabbrica del neonato”è spesso localizzata nei paesi poveri che ven-dono il prodotto, un neonato, ai paesi più ric-chi. In questo modo, prosegue l’autrice, «nelmondo ognuno legifera secondo un’etica per-sonale, una sua concezione del diritto e dellamorale, cercando di disciplinare la contrattua-lizzazione del commercio di bambini oppuredi inserirlo in un quadro non commerciale».Tutti tentativi, in fin dei conti, per regolarizza-re un illecito e che rischiano di concludersi incatastrofi umane quando il prodotto comprato— il bambino — non corrisponde ai desideridel consumatore.

Al di là dei problemi di diritto, Eliette Abé-cassis identifica una minaccia ben più grave: lacancellazione della filiazione e la distruzionedelle madri, tappa decisiva dell’ideologiatrans-umanista, che non sopporta la carne.«La maternità surrogata è il primo passo perseparare l’uomo dalla madre, il neonato dalladonna che partorisce, per farne un uomo au-mentato, un uomo-macchina, nato da una se-lezione genetica».

Un saggio completo anche se agghiacciante,quello di Eliette Abécassis, che dà le chiavi es-senziali per valutare l’importanza capitaledell’attuale dibattito bioetico in Francia. «Ilcapitalismo medico instaura un totalitarismopiù pernicioso e più efficace di tutti gli altri:quello della schiavitù volontaria. Salviamol’uomo, siamo ancora in tempo». È questo ilgrido dell’autrice.

Un saggiodi Eliette Abécassis

#culture

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VENERDÌ 23Udienza ai presuli della Conferenza episcopaledell’Iran in visita «ad limina».

S A B AT O 24«Protagonista di un rinnovamento globale»,

il beato Giuseppe Toniolo pose «al cuore delsuo progetto la coscienza che solo un incontrotra fede e cultura potesse sottrarre la societàcontemporanea alla deriva di un materialismorecalcitrante alle ragioni dello spirito». Èquanto afferma il Pontefice nella lettera che ilsegretario di Stato, cardinale Pietro Parolin, haindirizzato a monsignor Mario Delpini, arcive-scovo di Milano e presidente dell’Istituto di

studi superiori intitolato al beato, in occasionedel convegno nazionale svoltosi all’Universitàcattolica del Sacro Cuore su «Economia e so-cietà per il bene comune».

Nello stesso giorno Francesco ha ricevuto ilpresidente della Repubblica d’Iraq, BarhamSaleh. Durante i cordiali colloqui, sono statievocati i buoni rapporti tra la Santa Sede el’Iraq e i positivi sviluppi della situazione poli-tica, rilevando l’importanza degli sforzi con-giunti, con il sostegno della comunità interna-zionale, ad affrontare le sfide del processo diriconciliazione per favorire l’unità nazionale.In tale contesto, è stata rilevata la presenzastorica dei cristiani nel paese, di cui sono parteintegrante, il significativo contributo che essiapportano alla ricostruzione del tessuto socia-le, nonché l’importanza che quanti sono staticostretti ad abbandonare le proprie terre d’ori-gine possano farvi ritorno, evidenziando la ne-cessità di garantire loro sicurezza e un postonel futuro dell’Iraq. Infine, ci si è soffermatisui diversi conflitti e le gravi crisi umanitarieche affliggono la Regione, sottolineando l’op-portunità del dialogo fra le varie componentietniche e religiose per ristabilire la fiducia e laconvivenza pacifica.

«Questo luogo di fede, di preghiera, di incontro edi dialogo ha favorito il movimento ecumenico»:

lo sottolinea Francesco nel messaggio scritto in occasionedel convegno che si è svolto a Bari, nel cinquantesimo

anniversario dell’elevazione a basilica pontificiadel tempio di San Nicola

(24 novembre)

Un viaggio artistico e metafisicoattraverso oltre sei secoli dipittura russa. Anche PapaFrancesco ha colto l’occasionedella mostra appena inaugurataal Braccio Nuovo di CarloMagno, per concedersi circaquaranta minuti di immersionenella bellezza. Il Pontefice havisitato in forma privata martedì27 l’esposizione «Pilgrimage ofRussian Art. From Dionysius toMalevich» accompagnato dalcardinale Giuseppe Bertello e dalvescovo Fernando Vérgez Alzaga,rispettivamente presidente esegretario generale delGovernatorato dello Stato dellaCittà del Vaticano, da BarbaraJatta, direttrice dei MuseiVaticani, e da Zelfira Tregulova,direttrice della Tretyakov Gallery.È proprio la celebre galleriarussa ad aver messo adisposizione la selezione dicinquantaquattro capolavori(dalle antiche icone delQuattrocento ai dipinti realistidel XIX secolo) incastonati, finoal prossimo 15 febbraio, nellasplendida cornice architettonicaberniniana che fiancheggia labasilica di San Pietro.

”Lettera

per san Nicola di Bari

Centenario della mortedi Giuseppe Toniolo

Angelusin piazza San Pietro

D OMENICA 25«Il regno di Dio si radica nei cuori, confe-

rendo a chi lo accoglie pace, libertà e pienezzadi vita». Lo ha detto il Papa all’Angelus dellasolennità di Nostro Signore Gesù Cristo redell’universo, commentando il vangelo dell’ul-tima domenica dell’anno liturgico per i fedelipresenti in piazza San Pietro.

MERCOLEDÌ 28«Desidero condividere la vostra sofferenza e

dirvi che sono vicino a voi e alle comunità cri-stiane così provate dal dolore vissuto nella fe-de in Cristo Gesù». Lo scrive Papa Francescoin una lettera inviata ai francescani Hanna Jal-louf e Louai Bsharat in risposta alla missivache i due frati minori — gli unici religiosi ri-masti tuttora nella zona di Idlib — gli avevanoindirizzato nei giorni scorsi per fargli conosce-re la loro testimonianza nella martoriata terradi Siria. «Quanta sofferenza, quanta povertà,quanto dolore di Gesù che soffre, che è pove-ro, che è cacciato via dalla sua patria» consta-ta con amarezza il Pontefice. «Questo — affer-ma — è un mistero. È il nostro mistero cristia-no. In voi e negli abitanti dell’amata Siria noivediamo Gesù sofferente». Francesco ricordain proposito che «nulla più del martirio puòsegnare il modo proprio del cristiano di parte-cipare alla storia di salvezza dell’umanità». Imartiri, infatti, «portano avanti il regno diDio, seminano cristiani per il futuro, sono lavera gloria della Chiesa e la nostra speranza».Questa testimonianza, prosegue, «è monito anon perdersi anche in mezzo alla burrasca». IlPapa riconosce che «non poche volte il maredella vita ci riserva la tempesta», ma si dicecerto che «dai marosi esistenziali giunge a noiun segno inatteso di salvezza: Maria».

#7giorniconilpapa

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«Sia gli abusi sia la loro copertura non possonoessere più tollerati»: è la ferma consapevolezzache ha spinto il Papa a convocare in Vaticanol’incontro sulla protezione dei minori nellaChiesa, in programma a febbraio. A ricordarloè il gesuita Hans Zollner, membro della Ponti-ficia commissione per la tutela dei minori, alquale Francesco ha affidato l’incarico di refe-rente del comitato organizzativo istituito in vi-sta dell’appuntamento. In questa intervista eglisottolinea la dimensione “sino dale” dell’incon-tro — a cui prenderanno parte, insieme con ilPapa, i rappresentanti dell’episcopato mondia-le, della Curia romana, dei religiosi e delle re-ligiose — e spiega che «una buona organizza-zione aiuterà a tenere insieme l’analisi, la con-sapevolezza, la vergogna, il pentimento, lapreghiera e il discernimento sulle azioni da in-traprendere e le decisioni da assumere nellagiustizia e nella verità».

Si tratta, spiega, di «un appuntamento mol-to importante per la Chiesa. È necessario pre-pararlo bene coinvolgendo da subito tutte leconferenze episcopali. Serve condividere le in-formazioni, le riflessioni, lo spirito di preghie-ra e di penitenza e le proposte di azioni con-crete. Serve condividere la consapevolezza diun cammino sinodale cum Petro et sub Petro».Come «sono importanti le consultazioni cheavremo con le vittime, con gruppi di esperti,con laici, con uomini e donne di cultura. Equesto lavoro sarà svolto in collegamento conla Pontificia commissione per la tutela dei mi-nori presieduta dal cardinale O’Malley».

Alla domanda su cosa viene fatto in concre-to in questi mesi che separano dalla riunione,il gesuita risponde che «il comitato provvederàalla preparazione sia in termini logistici sia dicontenuto, secondo le indicazioni del Pontefi-ce. Per questo, invieremo un questionario aquanti saranno invitati a partecipare. È impor-tante avere una condivisione delle esperienze,delle difficoltà, come anche delle possibili so-luzioni per affrontare questo terribile scandalo.Ci pare che anche questo modo di procedereesprima la dimensione della sinodalità evocatada Francesco».

Riguardo alla struttura dell’incontro, il sa-cerdote rivela che «è previsto un confrontoche dovrà essere il più libero e fruttuoso possi-bile» e che l’incontro «deve essere contempo-raneamente di preghiera e di riflessione, dianalisi e di proposta. Ma perché sia fruttuosoriteniamo» necessaria «una fase di consultazio-ne che avvieremo subito». Anche perché «unodei compiti del comitato è preparare una do-cumentazione di base per i partecipanti».

È inoltre prevista una stretta collaborazionecon la Pontificia commissione per la tutela deiminori. «Il fatto che io, essendone membro,sia stato chiamato a coordinare le attività delcomitato organizzativo credo dimostri proprioquesto e sottolinei, da parte del Papa, il rico-noscimento del lavoro fatto finora. Inoltre, ilcomitato si avvarrà della commissione nella fa-se consultiva, che sarà fondamentale per pre-parare in modo adeguato l’incontro di feb-braio». E all’obiezione che qualcuno parla diaspettative troppo alte, Zollner chiarisce direndersene conto «vista la gravità di uno scan-

dalo che ha scioccato e ferito tantissime perso-ne, credenti e non, in tanti paesi. E il SantoPadre, con una decisione senza precedenti haconvocato l’incontro proprio perché è consa-pevole che la tutela dei minori è una prioritàfondamentale per la Chiesa, per la sua stessamissione e non solo per la sua credibilità. Perquesto vuole che il confronto sia libero, noncondizionato, animato dalla preghiera e daquello spirito di parresia che gli sta particolar-mente a cuore».

Infine l’intervistatore fa notare come moltiepiscopati siano riunite in plenaria in questoperiodo discutendo anche di misure anti abu-si. Da qui la domanda su che spazio troveràquesto lavoro nell’incontro di febbraio. «Unospazio fondamentale — assicura il gesuita —.Se il Papa ha convocato i presidenti delle con-ferenze episcopali è proprio per ribadire quan-to creda nel valore della comunione apostoli-ca. Il Pontefice è convinto che la piaga, il “sa-

crilegio” degli abusi sia un problema che nonriguarda un singolo paese e certamente nonsolo i paesi occidentali. Che tocca tutti. Chenon riguarda solo la Chiesa, ma le realtà piùdiverse: la scuola, lo sport, la famiglia. Che ri-chiede una risposta ferma e universale, nellespecificità dei contesti e delle culture. Che cipone come credenti di fronte al mistero delmale e alla necessità di combatterlo fino infondo, senza tentennamenti».

Nessunatolleranza

In dialogocon il gesuitaHans Zollner

#intervista

Per la protezionedei minorinella Chiesa

Papa Francesco ha istituitoun comitato organizzativoper l’incontro «Laprotezione dei minori nellaChiesa», che si terrà inVaticano dal 21 al 24febbraio 2019, indicandonecome membri i cardinaliCupich, arcivescovo diChicago, e Oswald Gracias,arcivescovo di Bombay epresidente della Conferenzaepiscopale dell’India,monsignor Scicluna,arcivescovo di Malta esegretario aggiunto dellaCongregazione per ladottrina della fede, e ilgesuita Zollner, presidentedel centro per la protezionedei minori della Pontificiauniversità Gregoriana,dandogli l’incarico direferente del comitato. Allariunione, cui sarà presente ilPontefice, parteciperanno icapi delle Chiese cattolicheorientali, i superiori dellaSegreteria di Stato, i prefettidelle Congregazioni per ladottrina della fede, per leChiese orientali, per iVescovi, perl’evangelizzazione deipopoli, per il clero, per gliistituti di vita consacrata ele società di vita apostolica,e del Dicastero per i laici, lafamiglia e la vita, ipresidenti delle conferenzeepiscopali e i rappresentantidell’Unione dei superiorigenerali e dell’Unioneinternazionale dellesuperiore generali. Neilavori preparatori sarannocoinvolti, tra gli altri,Gabriella Gambino,sottosegretario per lasezione Vita, e LindaGhisoni, sottosegretario perla sezione Fedeli laici, delDicastero per i laici, lafamiglia e la vita, laPontificia commissione perla tutela dei minori e alcunevittime di abusi da parte delc l e ro .

Yoona Lee, «Dal pentimentoalla redenzione»

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L

E v a n g e l i z z a rein musica

a vostra presenza in questa Aula ha permessodi far risuonare musiche e canti che in qualchemodo sono andati al di là delle mura: avete ri-svegliato il Vaticano! È bello ascoltare le vo-stre melodie e percepire la gioia e la serietàcon cui date voce tutti insieme alla bellezzadella nostra preghiera. Ringrazio Mons. RinoFisichella per la sua creatività e per le sue pa-role e per l’iniziativa che consente di toccarecon mano le tante strade dell’evangelizzazio-ne.

Nei giorni scorsi, come sapete, si è svolto ilSinodo dei Vescovi, dedicato ai giovani, e untema che è stato trattato con interesse è statoproprio quello della musica: «Del tutto pecu-liare è l’importanza della musica, che rappre-senta un vero e proprio ambiente in cui i gio-vani sono costantemente immersi, come pureuna cultura e un linguaggio capaci di suscitareemozioni e di plasmare l’identità. Il linguaggiomusicale rappresenta anche una risorsa pasto-rale, che interpella in particolare la liturgia e ilsuo rinnovamento» (Documento finale, 47).

La vostra musica e il vostro canto sono unvero strumento di evangelizzazione nella misu-ra in cui voi vi rendete testimoni della profon-dità della Parola di Dio che tocca il cuore del-le persone, e permettete una celebrazione deisacramenti, in particolare della santa Eucari-stia, che fa percepire la bellezza del Paradiso.Non fermatevi mai in questo impegno così im-portante per la vita delle nostre comunità; inquesto modo, con il canto date voce alle emo-zioni che sono nel profondo del cuore diognuno. Nei momenti di gioia e nella tristez-za, la Chiesa è chiamata ad essere sempre vici-na alle persone, per offrire loro la compagniadella fede. Quante volte la musica e il cantopermettono di rendere questi momenti unicinella vita delle persone, perché li conservanocome un ricordo prezioso che ha segnato la lo-ro esistenza.

Il Concilio Vaticano II, realizzando il rinno-vamento della liturgia, ha ribadito che la «tra-dizione musicale della Chiesa costituisce unpatrimonio di inestimabile valore» (Cost. Sa-crosanctum Concilium, 112). È proprio così. Pen-so, in particolare, alle tante tradizioni delle no-stre comunità sparse per il mondo intero, chefanno emergere le forme più radicate nella cul-tura popolare, e che diventano anche una verapreghiera. Quella pietà popolare che sa prega-re creativamente, che sa cantare creativamente;quella pietà popolare che, come ha detto unVescovo italiano, è il “sistema immunitario”della Chiesa. E il canto porta avanti questapietà. Attraverso queste musiche e canti si dàvoce anche alla preghiera e in questo modo siforma una vera corale internazionale, doveall’unisono sale al Padre di tutti la lode e lagloria del suo popolo.

La vostra presenza, mentre fa risaltare l’in-ternazionalità dei vostri rispettivi Paesi, per-mette di cogliere l’universalità della Chiesa ele sue diverse tradizioni. Il vostro canto e lavostra musica, soprattutto nella celebrazionedell’Eucaristia, rendono evidente che siamo unsolo Corpo e cantiamo con una sola voce lanostra unica fede. Anche se parliamo linguediverse, tutti possono comprendere la musicacon cui cantiamo, la fede che professiamo e lasperanza che ci attende.

Voi studiate e vi preparate per rendere il vo-stro canto una melodia che favorisce la pre-

do di oggi, attraverso la bellezza che ancoraaffascina e rende possibile credere affidandosiall’amore del Padre.

Vi accompagno con la mia benedizione e viaffido a S. Cecilia, vostra Patrona, ma soprat-tutto vi chiedo di non dimenticarvi di pregareper me; pregare per me anche con il vostrocanto! Grazie!

ghiera e la celebrazione liturgica. Non cadete,tuttavia, nella tentazione di un protagonismoche offusca il vostro impegno, e umilia la par-tecipazione attiva del popolo alla preghiera.Per favore, non fate la “prima donna”. Siateanimatori del canto di tutta l’assemblea e nonsostituitevi a essa, privando il popolo di Diodi cantare con voi e di dare testimonianza diuna preghiera ecclesiale e comunitaria. A voltemi rattristo quando, in alcune cerimonie, sicanta tanto bene ma la gente non può cantarequelle cose... Voi che avete compreso più afondo l’importanza del canto e della musica,non svalutate le altre espressioni della spiritua-lità popolare: le feste patronali, le processioni,le danze e i canti religiosi del nostro popolosono anch’essi un vero patrimonio di religiosi-tà che merita di essere valorizzato e sostenutoperché è pur sempre un’azione dello SpiritoSanto nel cuore della Chiesa. Lo Spirito nelcanto ci aiuta ad andare avanti.

La musica, dunque, sia uno strumento diunità per rendere efficace il Vangelo nel mon-

Ai partecipantial terzo convegno

internazionaledelle corali

«La vostra musica e il vostrocanto sono un vero strumentodi evangelizzazione»:lo ha ricordato il Ponteficeai settemila partecipanti al terzoconvegno internazionaledelle corali ricevuti in udienzala mattina di sabato24 novembre nell’aula Paolo VI.(Nella foto: Mickey McGrath«Santa Cecilia»)

#francesco

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C’Due discorsi

«Nessuna finzione. Nessunamaschera». Lo haraccomandato PapaFrancesco ai seminaristidell’arcidiocesi di Agrigentonel discorso consegnato lorosabato 24 novembre.Ricevendoli nella sala delConcistoro, il Pontefice hapronunciato parole a braccio— che riportiamointegralmente a lato—consigliando però anche lalettura del testo preparato(pubblicato a pagina 14),nel quale ha riproposto lasimbologia dell’iconaevangelica dei discepoli diEmmaus, riassumibile neiverbi «camminare, ascoltare,discernere, andare».

Non c’è sacerdozio senza missione

Ai seminaristidi Agrigento

Miki de Goodaboom, «Andate in tutto il mondo»

#copertina

la. No, il vescovo è il padre, è fecondo, è quel-lo che genera la missione. Questa parola mis-sione, che ho voluto prendere, è caricata, cari-cata della volontà di Gesù, è caricata delloSpirito Santo. Per questo, mi raccomando, dalSeminario imparate a vedere nel vescovo il pa-dre che è stato posto lì per aiutarvi a crescere,ad andare avanti e per accompagnarvi nei mo-menti del vostro apostolato: nei momenti belli,nei momenti brutti, ma accompagnarvi sem-pre; nei momenti di successo, nei momentidelle sconfitte che avrete sempre nella vita,tutti... Questa è una cosa molto, molto impor-tante.

Un’altra cosa, quella della creta del vasaio.Mi è piaciuto prendere Geremia. Lui dice:quando il vaso non viene bene, il vasaio lo ri-fà. Mentre si sta facendo il vaso e c’è qualchecosa che non funziona, c’è tempo di riprende-re tutto e ricominciare; ma una volta cotto...Per favore, lasciatevi formare. Non sono capric-ci, quello che chiedono i formatori. Se nonsiete d’accordo, parlatene. Ma siate uomini,non bambini, uomini, coraggiosi, e ditelo alrettore: “Io non sono d’accordo con questo,non lo capisco”. Questo è importante, direquello che tu senti. Così si può formare la tuapersonalità, per essere davvero un vaso pienodi grazia. Ma se tu stai zitto e non dialoghi,non dici le tue difficoltà, non racconti le tueansie apostoliche e tutto quello che vuoi, unuomo zitto, una volta “cotto”, non si può cam-biare. E tutta la vita è così. È vero che a voltenon è piacevole che il vasaio intervenga in mo-do deciso, ma è per il vostro bene. Lasciateviformare, lasciatevi formare. Prima della cottu-ra, perché così sarete bravi.

E poi, altre due cose. Qual è la spiritualitàdel clero diocesano? Come diceva quel prete aireligiosi: “Io ho la spiritualità della congrega-zione religiosa che ha fondato San Pietro”. Laspiritualità del clero diocesano, qual è? È ladiocesanità. La diocesanità ha tre indirizzi, trerapporti. Il primo è il rapporto con il vescovo,ma ne ho già parlato a sufficienza. Il primorapporto: non si può essere un buon prete

diocesano senza il rapporto con il vescovo. Se-condo: il rapporto nel presbiterio. Amicizia travoi. È vero che non si può essere amico intimodi tutti, perché non siamo uguali, ma bravifratelli sì, che si vogliono bene. E qual è il se-gno che in un presbiterio c’è fratellanza, c’èfraternità? Qual è il segno? Quando non ci so-no le chiacchiere. La chiacchiera, il chiacchieric-cio è la peste del presbiterio. Se tu hai qualco-sa contro di lui, dilla in faccia. Dilla da uomoa uomo. Ma non sparlare alle spalle: questonon è da uomo! Non dico da uomo spirituale,no, non è da uomo, semplicemente. Quandonon c’è chiacchiericcio in un presbiterio, quan-do quella porta è chiusa, cosa succede? Beh,c’è un po’ di chiasso, nelle riunioni si diconole cose in faccia, “non sono d’a c c o rd o ! ”, si alzaun po’ la voce... Ma da fratelli! A casa, noifratelli litigavamo così. Ma nella verità. E poi,avere cura dei fratelli, volersi bene. “Sì, Padre,ma Lei sa, quell’altro mi è antipatico...”. Maanch’io ho tanti che mi sono antipatici e io so-no antipatico a qualcun altro, questa è una co-sa naturale della vita, ma il livello della nostraconsacrazione ci porta a un’altra cosa, ad esse-re armonici, in armonia. Questa è una graziache dovete chiedere allo Spirito Santo. Quellafrase di San Basilio — che alcuni dicono nonfosse di San Basilio — nel Trattato sullo Spiri-to Santo: “Ipse harmonia est”, Lui è l’armonia.Sembra un po’ strano, lo Spirito Santo, perchécon i carismi — perché tutti voi siete differenti— fa, diciamo così, come un disordine: tutti di-versi. Ma poi ha la potenza di fare di quel di-sordine un ordine più ricco, con tanti carismidiversi che non annullano la personalità diognuno. Lo Spirito Santo è quello che fa l’unità:l’unità nel presbiterio.

Il rapporto con il vescovo, il rapporto travoi. Segno negativo: il chiacchiericcio. Nientechiacchiericcio. Segnale positivo: dirsi le cosechiare, discutere, anche arrabbiarsi, ma questoè sano, questo è da uomini. Il chiacchiericcio èda codardi.

Il rapporto con il vescovo, il rapporto travoi, e terzo: il rapporto con il popolo di Dio.

Noi siamo chiamati dal Signore per s e r v i re ilSignore nel popolo di Dio. Anzi, siamo statit ra t t i dal popolo di Dio! Questo aiuta tanto!La memoria, quella di Amos, quando dice:“Tu sei profeta...”. Io? Quale profeta? Io sonostato preso da dietro al gregge, ero pastore...Ognuno di noi è stato tratto dal popolo diDio, è stato scelto e non dobbiamo dimentica-re da dove veniamo. Perché tante volte, quan-do dimentichiamo questo, cadiamo nel clerica-lismo e dimentichiamo il popolo dal quale sia-mo venuti. Per favore, non dimenticate lamamma, il papà, la nonna, il nonno, il villag-gio, la povertà, le difficoltà delle famiglie: nondimenticateli! Il Signore vi ha presi da lì, dalpopolo di Dio. Perché con questo, con questamemoria, saprete come p a rl a re al popolo diDio, come s e r v i re il popolo di Dio. Il sacerdo-te che viene dal popolo e non si dimentica cheviene preso dal popolo, dalla comunità cristia-na, al servizio del popolo. “Ma no, io ho di-menticato, adesso mi sento un po’ superiore atutti...”. Il clericalismo, carissimi, è la nostraperversione più brutta. Il Signore vi vuole pa-stori, pastori di popolo, non chierici di Stato.

Questa è la spiritualità [del prete diocesa-no]: il rapporto con il vescovo, il rapporto travoi e il contatto, il rapporto con il popolo diDio nella memoria — da dove vengo — e nelservizio — dove vado. E come si fa a far cre-scere questo? Con la vita spirituale. Voi aveteun padre spirituale: aprite il cuore al padrespirituale. E lui vi insegnerà come pregare, lapreghiera; come amare la Madonna...: non di-menticate questo, perché Lei è sempre vicinaalla vocazione di ognuno di voi. Il colloquiocon il padre spirituale. Che non è un ispettoredella coscienza, è uno che, a nome del vesco-vo, vi aiuta a crescere. La vita spirituale.

Grazie della visita. Ho dimenticato di por-tarvi un libretto che volevo darvi, ma l’invieròal vescovo, per ognuno di voi. E pregate perme, io pregherò per voi. Non dimenticate que-sto: la spiritualità del clero diocesano. Corag-gio!

è un discorso preparato, con l’icona dei disce-poli di Emmaus, che voi potete leggere a casatranquilli e meditare in pace. Lo consegno alRettore. Mi sentirò più a mio agio a parlareun po’ sp ontaneamente.

In quel discorso, l’ultima parola era la “mis-sione”. Mi è piaciuto quello che ha detto ilRettore sull’orizzonte dell’Albania. Perché lamissione, è vero, è una cosa che lo Spirito cispinge a uscire, uscire, sempre uscire; ma senon c’è l’orizzonte apostolico, c’è il pericolo disbagliare e uscire non per portare un messaggioma per “p a s s e g g i a re ”, cioè uscire male. Invecedi fare un cammino di forza, uscire da sé stes-si, è fare il labirinto, dove non si riesce mai atrovare una strada, o a sbagliare strada! “Co-me posso essere sicuro che la mia uscita apo-stolica sia quella che il Signore vuole, quellache il Signore vuole da me, sia nella formazio-ne sia dopo?”. C’è il vescovo! Il vescovo è co-lui che in nome di Dio dice: “Questa è la stra-da”. Tu puoi andare dal vescovo e dire: “Iosento questo”, e lui discernerà se è quella o no.Ma in definitiva chi dà la missione è il vesco-vo. Perché dico questo? Non si può vivere ilsacerdozio senza una missione. Il vescovo nondà soltanto un incarico — “occupati di questaparro cchia”, come il capo di una banca dà in-carichi agli impiegati —, no, il vescovo dà unamissione: “Santifica quella gente, porta Cristoa quella gente”. È un altro livello. Per questo èimportante il dialogo con il vescovo: qui iovolevo arrivare, al dialogo con il vescovo.

Il vescovo deve conoscervi così come siete:ognuno ha la propria personalità, il propriomodo di sentire, il proprio modo di pensare,le proprie virtù, i propri difetti... Il vescovo èpadre: è padre che aiuta a crescere, è padreche prepara per la missione. E quanto più ilvescovo conosce il prete, tanto meno ci saràpericolo di sbagliare nella missione che darà.Non si può essere un buon prete senza un dia-logo filiale con il vescovo. Questa è una cosanon negoziabile, come piace dire a qualcuno.“No, io sono un impiegato della Chiesa”. Haisbagliato. Qui c’è un vescovo, non c’è un’as-semblea dove si negozia il posto. C’è un padreche fa l’unità: così Gesù ha voluto le cose. Unpadre che fa l’unità. È bello quando Paoloscrive a Tito, a Tito che ha lasciato a Creta,per “s i s t e m a re ” le cose. E dice le virtù dei pre-sbiteri, del vescovo e dei laici, anche dei diaco-ni. Ma lascia il vescovo per s i s t e m a re : sistemarenello Spirito, che non equivale a sistemarenell’organigramma. La Chiesa non è un orga-nigramma. È vero che a volte usiamo un orga-nigramma per essere più funzionali, ma laChiesa va oltre l’organigramma, è un’altra co-sa: è la vita, la vita “sistemata” nello SpiritoSanto.

E chi è nel posto del padre? Il vescovo.Non è il padrone della ditta, il vescovo, no.Non è il padrone. Non è quello che comanda:“qui comando io”, alcuni obbediscono, altrifanno finta di obbedire e altri non fanno nul-

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Cari fratelli,vi do il benvenuto e vi ringrazio di questa visi-ta. Ringrazio in particolare il vostro Rettoreanche per le sue parole di introduzione.

Nel breve tempo di questo nostro incontrovorrei darvi alcuni spunti di riflessione perso-nale e comunitaria, e li prendo dal recente Si-nodo dei giovani.

Prima di tutto, l’icona biblica: il Vangelo deidiscepoli di Emmaus. Vorrei riconsegnarvi que-sta icona, perché ha guidato tutto il lavorodell’ultimo Sinodo e può continuare a ispirareil vostro cammino. E proprio cammino è la pri-ma parola-chiave: Gesù Risorto ci incontra nelcammino, che nello stesso tempo è la strada,cioè la realtà in cui ognuno di noi è chiamatoa vivere, ed è il percorso interiore, la via dellafede e della speranza, che conosce momenti diluce e momenti di buio. Qui, nel cammino, ilSignore ci incontra, ci ascolta e ci parla.

Prima di tutto ci ascolta. Questa è la secon-da parola-chiave: a s c o l t a re . Il nostro Dio è Pa-rola, e al tempo stesso è silenzio che ascolta.Gesù è la Parola che si è fatta ascolto, acco-glienza della nostra condizione umana. Quan-do appare accanto ai due discepoli camminacon loro ascoltandoli, e anche stimolandoli atirare fuori quello che hanno dentro, la lorosperanza e la loro delusione. Questo, nella vo-stra vita di seminario, vuol dire che al primoposto c’è il dialogo con il Signore fatto diascolto reciproco: Lui ascolta me e io ascoltoLui. Nessuna finzione. Nessuna maschera.

Questo ascolto del cuore nella preghiera cieduca ad essere persone capaci di ascoltare glialtri, a diventare se Dio vuole preti che offro-no il servizio dell’ascolto — e come ce n’è biso-gno! —; e ci educa ad essere sempre più Chiesain ascolto, comunità che sa ascoltare. Voi ades-so lo vivete specialmente a contatto coi giova-ni, incontrandoli, ascoltandoli, invitandoli adesprimersi… Ma questo vale per tutta la vitapastorale: come Gesù, la Chiesa è mandata nelmondo per ascoltare il grido dell’umanità, chespesso è un grido silenzioso, a volte represso,soffo cato.

Sul camminodi Emmaus

Cammino; ascolto; la terza parola è discerni-mento. Il seminario è luogo e tempo di discer-nimento. E questo richiede accompagnamento,come fa Gesù con i due discepoli e con tutti isuoi discepoli, in particolare i Dodici. Li ac-compagna con pazienza e con sapienza, lieduca a seguirlo nella verità, smascherando lefalse attese che essi portano nel cuore. Con ri-spetto e con decisione, come un buon amico eanche un buon medico, che a volte deve usareil bisturi. Tanti problemi che si manifestanonella vita di un prete sono dovuti a una man-canza di discernimento negli anni del semina-rio. Non tutti e non sempre, ma tanti. È nor-male, vale lo stesso per il matrimonio: certecose non affrontate prima possono diventareproblemi dopo. Gesù non finge con i due diEmmaus, non è evasivo, non aggira il proble-ma: li chiama «stolti e lenti di cuore» (Lc 24,25) perché non credono ai profeti. E apre lorola mente alle Scritture, e dopo, a tavola, apreloro gli occhi alla sua Presenza nuova, nel Se-gno del pane spezzato.

Il mistero della vocazione e del discerni-mento è un capolavoro dello Spirito Santo,che richiede la collaborazione del giovanechiamato e dell’adulto che lo accompagna.

La quarta parola, lo sappiamo, è missione; eil Sinodo dei giovani ha valorizzato molto ladimensione sinodale della missione: l’a n d a reinsieme incontro agli altri. I due di Emmaus ri-tornano insieme a Gerusalemme e soprattuttosi uniscono alla comunità apostolica che, perla potenza dello Spirito, diventa tutta missio-naria. Questa sottolineatura è importante, per-ché la tentazione di essere bravi missionari in-dividuali è sempre in agguato. Già da semina-risti si può cadere in questa tentazione: sentirsibravi perché si è brillanti nel predicare, onell’organizzare eventi, o nelle belle cerimonie,e così via. Troppo spesso la nostra impostazio-ne è stata individuale, più che collegiale, fra-terna. E così il presbiterio e la pastorale dioce-sana presentano magari splendide individualitàma poca testimonianza di comunione, di colle-gialità. Grazie a Dio si sta crescendo in que-sto, anche costretti dalla scarsità di clero, mala comunione non si fa per costrizione, biso-gna crederci ed essere docili allo Spirito.

Cari fratelli, ecco gli spunti che vi lascio,tutti contenuti nell’icona evangelica dei disce-poli di Emmaus: camminare; ascoltare; discer-nere; andare insieme. Chiedo al Signore e allaVergine Maria di accompagnarvi, vi benedicoe prego per voi. E voi, per favore, ricordatevidi pregare per me.

Il discorsop re p a ra t o

#copertina

Francis Watt, «Sulla strada versoEmmaus»

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ÈUna primaveraper la politica

con gioia che incontro tutti voi, che partecipa-te al convegno nazionale delle associazioni edei gruppi intitolati al Venerabile Giorgio LaPira. Rivolgo il mio saluto a ciascuno e ringra-zio per le sue parole il Presidente della Fonda-zione Giorgio La Pira. Auspico che il vostroincontro di studio e di riflessione possa contri-buire a far crescere, nelle comunità e nelle re-gioni italiane nelle quali siete inseriti, l’imp e-gno per lo sviluppo integrale delle persone.

In un momento in cui la complessità dellavita politica italiana e internazionale necessitadi fedeli laici e di statisti di alto spessore uma-no e cristiano per il servizio al bene comune, èimportante riscoprire Giorgio La Pira, figuraesemplare per la Chiesa e per il mondo con-temporaneo. Egli fu un entusiasta testimonedel Vangelo e un profeta dei tempi moderni; isuoi atteggiamenti erano sempre ispirati daun’ottica cristiana, mentre la sua azione eraspesso in anticipo sui tempi.

tolicesimo sociale e sempre schierata dalla par-te degli ultimi e delle fasce più fragili dellap op olazione.

Si impegnò altresì in un grande programmadi promozione della pace sociale e internazio-nale, con l’organizzazione di convegni interna-zionali “per la pace e la civiltà cristiana” e convibranti appelli contro la guerra nucleare. Perlo stesso motivo compì uno storico viaggio a

Varia e multiforme fu la sua attività di do-cente universitario, soprattutto a Firenze, maanche a Siena e Pisa. Accanto ad essa, eglidiede vita a varie opere caritative, quali la“Messa del Povero” presso San Procolo e laConferenza di San Vincenzo “Beato Angeli-co”. Dal 1936 dimorò nel convento di SanMarco, dove si diede allo studio della patristi-ca, curando anche la pubblicazione della rivi-sta Principi, in cui non mancavano critiche alfascismo. Ricercato dalla polizia di quel regi-me si rifugiò in Vaticano, dove per un periodosoggiornò nell’abitazione del Sostituto Mons.Montini, che nutriva per lui grande stima. Nel1946 fu eletto all’Assemblea Costituente, dovediede il suo contributo alla stesura della Costi-tuzione della Repubblica Italiana. Ma la suamissione al servizio del bene comune trovò ilsuo vertice nel periodo in cui fu sindaco di Fi-renze, negli anni cinquanta. La Pira assunseuna linea politica aperta alle esigenze del cat-

Il Papa ricordaLa Pira e invoca

statisti di altospessore umano

e cristiano

Francesco ha ricevuto in udienzavenerdì mattina,23 novembre, nella SalaClementina, duecento partecipantial quinto convegno nazionale«Spes contra spem», a cuiaderiscono associazioni, gruppi,circoli intitolati a Giorgio LaPira. Erano presenti, tra gli altri,i cardinali Giuseppe Betori,arcivescovo di Firenze, eGualtiero Bassetti, presidentedella Conferenza episcopaleitaliana. Nel pomeriggioi rappresentanti della fondazioneLa Pira sono stati ricevuti alQuirinale dal presidente dellaRepubblica, Sergio Mattarella.

#francesco

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Mosca nell’agosto 1959. Sempre più incisivodiventava il suo impegno politico-diplomatico:nel 1965 convocò a Firenze un simposio per lapace nel Vietnam, recandosi poi personalmen-te ad Hanoi, dove poté incontrare Ho ChiMin e Phan Van Dong.

Cari amici, vi incoraggio a mantenere vivo ea diffondere il patrimonio di azione ecclesialee sociale del Venerabile Giorgio La Pira; inparticolare la sua testimonianza integrale di fe-de, l’amore per i poveri e gli emarginati, il la-voro per la pace, l’attuazione del messaggiosociale della Chiesa e la grande fedeltà alle in-dicazioni cattoliche. Sono tutti elementi checostituiscono un valido messaggio per la Chie-sa e la società di oggi, avvalorato dall’esempla-rità dei suoi gesti e delle sue parole.

Il suo esempio è prezioso specialmente perquanti operano nel settore pubblico, i quali

sono chiamati ad essere vigilanti verso quellesituazioni negative che San Giovanni Paolo IIha definito «strutture di peccato» (cfr. Lett.enc. Sollicitudo rei socialis, 36). Esse sono lasomma di fattori che agiscono in senso contra-rio alla realizzazione del bene comune e al ri-spetto della dignità della persona. Si cede atali tentazioni quando, ad esempio, si ricercal’esclusivo profitto personale o di un gruppopiuttosto che l’interesse di tutti; quando ilclientelismo prevarica sulla giustizia; quandol’eccessivo attaccamento al potere sbarra di fat-to il ricambio generazionale e l’accesso allenuove leve. Come diceva Giorgio La Pira: «lapolitica è un impegno di umanità e di santi-tà». È quindi una via esigente di servizio e diresponsabilità per i fedeli laici, chiamati adanimare cristianamente le realtà temporali, co-me insegna il Concilio Vaticano II (cfr. Decr.sull’apostolato dei laici Apostolicam actuosita-tem, 4).

Fratelli e sorelle, l’eredità di La Pira, che cu-stodite nelle vostre diverse esperienze associa-tive, costituisce per voi come una “manciata”di talenti che il Signore vi chiede di far frutti-ficare. Vi esorto pertanto a valorizzare le virtùumane e cristiane che fanno parte del patrimo-nio ideale e anche spirituale del VenerabileGiorgio La Pira. Così potrete, nei territori incui vivete, essere operatori di pace, artefici digiustizia, testimoni di solidarietà e carità; esse-re fermento di valori evangelici nella società,specialmente nell’ambito della cultura e dellapolitica; potrete rinnovare l’entusiasmo dispendersi per gli altri, donando loro gioia esperanza. Nel suo discorso, il vostro presiden-te per due volte ha detto la parola “primave-ra”: oggi ci vuole una “primavera”. Oggi civogliono profeti di speranza, profeti di santità,che non abbiano paura di sporcarsi le mani,per lavorare e andare avanti. Oggi ci vogliono“ro n d i n i ”: siate voi.

Con questi auspici, che affido all’i n t e rc e s s i o -ne della Vergine Maria, benedico di cuore tuttivoi, i vostri cari e le vostre iniziative. E vichiedo per favore di ricordarvi di pregare perme.

Grazie!

Essere liberi oggi è un rischio ma anche una sfidache «affascina, avvince, dà coraggio, fa sognare,crea speranza». Lo afferma il Papa nelvideomessaggio inviato ai partecipanti all’ottavaedizione del festival della dottrina sociale dellaChiesa, che si è svolto a Verona dal 22 al 25novembre sul tema “Il rischio della libertà”.«Non poche volte — spiega il Pontefice — ildesiderio di libertà, che è il grande dono di Dio allasua creatura, ha assunto forme deviate, generandoguerre, ingiustizie, violazioni dei diritti umani.Come cristiani, fedeli al Vangelo e consapevoli dellaresponsabilità che abbiamo verso tutti i nostrifratelli, siamo chiamati a essere attenti e vigilantiperché “il rischio della libertà” non perda il suosignificato più alto e impegnativo. Rischiare, infatti,significa mettersi in gioco. Ed è questa la nostraprima chiamata». Perciò, «tutti insieme dobbiamoimpegnarci per eliminare ciò che priva gli uomini ele donne del tesoro della libertà. E, nello stessotempo, ritrovare il sapore di quella libertà che sacustodire la casa comune che Dio ci ha dato».E tra le tante «situazioni in cui, anche oggi, gliuomini e le donne non possono mettere a frutto lapropria libertà, non possono rischiarla» Francesco

ne sottolinea tre: l’indigenza, il dominio dellatecnologia e la riduzione dell’uomo a consumatore.La prima, commenta il Pontefice, è provocata «dagrandi ingiustizie, che continuano a essereperpetrate in tutto il mondo, anche nelle nostrecittà. È la cultura dello scarto! Se un uomo o unadonna sono ridotti ad "avanzo", non solosperimentano su di loro i frutti cattivi della libertàaltrui, ma vengono defraudati della possibilità stessadi “r i s c h i a re ” la propria libertà per se stessi,per la propria famiglia, per una vita buona,giusta e dignitosa».La seconda è «lo sviluppo tecnologico, quando nonè accompagnato da un adeguato sviluppo dellaresponsabilità, dei valori e della coscienza». Infatti«si perde così il senso del limite con la conseguenzadi non vedere le sfide epocali che abbiamo davanti»e l’«assolutizzazione della tecnica può ritorcersicontro l’uomo».Infine, terzo elemento, con «la riduzione dell’uomoa mero consumatore la libertà da “r i s c h i a re ” rimanesolo un’illusione. Infatti l’esperienza quotidianaviene segnata dalla rassegnazione, dalla sfiducia,dalla paura, dalla chiusura».

#francesco

Claudio Rossetti, «Nuovap r i m a v e ra »

Videomessaggio al festivaldella dottrina sociale

All’Unionecristianainternazionaledei dirigentidi impresa

Il valore morale edeconomico del lavoro è statoribadito da Francesco in unmessaggio inviato aipartecipanti al ventiseiesimocongresso mondialedell’Unione cristianainternazionale dei dirigentidi impresa (Uniapac),svoltosi all’universitàcattolica di Lisbona dal 22al 24 novembre. Il testooriginale in inglese è statoletto in apertura dei lavorida monsignor Bruno MarieDuffé, segretario delDicastero per il serviziodello sviluppo umanointegrale. «Sin dalle sueorigini, un’ottantina di annifa, — scrive il Pontefice — lavostra federazione hacercato di tradurre intermini economici efinanziari i principi e gliorientamenti della dottrinasociale cristiana alla luce deicambiamenti dei tempi».Del resto «il contestoodierno di globalizzazionedell’attività economica edello scambio ha incisoprofondamente sui modi divedere, gli obiettivi e lamaniera di condurre gliaffari. Per questo, prosegueil Papa, in mezzo aicomplessi cambiamenti dellasocietà, «la fedeltà allavostra vocazione e missioneesige che venga mantenutoun delicato equilibrio tral’abbracciare l’innovazione euna produzione sempre piùcompetitiva, guardando altempo stesso al progressonell’orizzonte più ampio delbene comune, della dignitàumana e del giusto usodelle risorse naturali affidatealle nostre cure. Nella vostravita professionale incontratedi frequente situazioni incui tali valori sono intensione e di conseguenzadovete prendere decisionipratiche importanti relativea investimenti e gestione».Ecco perché, concludeFrancesco, «potrebberisultare utile ricordare i treprincipi guida presenti nelVangelo e nella dottrinasociale della Chiesa: lacentralità delle singolepersone, la ricerca del benecomune e appunto il valoremorale ed economico dell a v o ro .

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LUNEDÌ 26No alla schiavitù del consumismo

Un’«ispezione nel nostro guardaroba», per ve-rificare di non avere nell’armadio più scarpe evestiti di quanto abbiamo bisogno, e tutto ciòche non ci serve darlo ai poveri: è un suggeri-mento pratico, per essere almeno «un po’ piùgenerosi», quello proposto da Francesco nellamessa del mattino. Mettendo in guardia dalla«malattia psichiatrica» del consumismo, che ciporta a spendere e comprare anche ciò chenon ci è necessario, il Papa ha invitato aquell’«austerità di vita» che «allarga il cuore».E ha ricordato che si può essere generosi conpoco, anche se si fatica ad arrivare «a fine me-se»: basterebbe comprare qualcosa per i poveriogni volta che si va a fare la spesa.

«Tante volte, nel Vangelo, Gesù fa il contra-sto fra i ricchi e i poveri» ha subito fatto pre-sente il Pontefice in riferimento al passo diLuca (21, 1-4) proposto dalla liturgia. «Pensia-mo al ricco Epulone e Lazzaro — ha detto — epensiamo a quel giovane tanto buono: era ric-co, e quella chiamata alla povertà che avevanel cuore non è riuscita ad andare avanti e sen’è andato triste: c’è un contrasto» e «il Si-gnore, con questo contrasto, disse ai suoi di-scepoli: “È molto difficile che un ricco entrinel regno dei cieli”». E così magari, ha prose-guito, «qualcuno può pensare di etichettareCristo» come un «comunista» guardando a«questa divisione». Ma «il Signore, quandodiceva queste cose, sapeva che dietro alle ric-chezze c’era sempre il cattivo spirito: il signoredel mondo». E «per questo, disse una volta:“Non si può servire due signori”».

«Anche nel Vangelo di oggi c’è un contra-sto» ha rilanciato Francesco. Gesù infatti «vi-de i ricchi che gettavano le loro offerte nel te-soro»; ma «vide anche una vedova povera, chevi gettava due monetine». E «anche questo èun contrasto» sebbene questi ricchi non siano«lo stesso del ricco Epulone». In realtà, haspiegato, essi «non sono cattivi: sembra esseregente buona, che va al tempio e dà l’offerta».Per questo «è un contrasto differente». E«qual è il messaggio di Gesù? Non è di con-danna dei ricchi che davano l’offerta». Piutto-sto «il Signore vuole dirci un’altra cosa». Delresto «sappiamo che la vedova, l’orfano e ilmigrante, lo straniero — ha detto — erano i piùpoveri di Israele». Dunque «erano un simbolodella povertà e questa donna ha dato il pocoche aveva per vivere». Proprio su questo «ilSignore ci fa riflettere: questa donna aveva lafiducia, era una donna delle beatitudini, chenel cuore forse aveva sentito e meditato tantole parole del Signore: “Non preoccupatevi perquello che mangerete, quello che berrete:guardate gli uccelli del cielo. È Dio che dà dam a n g i a re ”». Ecco «la fiducia in Dio». E così«vuole segnalare che questa donna povera siaffida al Signore ed è molto generosa: dà tuttoperché il Signore è più di tutto». In sostanza«è un invito alla generosità». E «quando noi— ha affermato il Papa — sentiamo le statisti-che della povertà nel mondo, i bambini chetutti i giorni muoiono di fame, che non hannoda mangiare, non hanno le medicine», viene

da chiedersi: «Come posso risolvere questo?».Ed «è un atteggiamento buono: nasce dallapreoccupazione di fare il bene». Ma spesso cisi domanda anche se davvero serve a qualcosa.«Sì, serve!» è la risposta: serve come «come ledue monetine della vedova». Dunque, ha insi-stito Francesco, il passo del Vangelo è «unachiamata alla generosità e la generosità è unacosa di tutti i giorni». Basta poco. In moltifanno fatica ad arrivare «a fine del mese»; ma,ha suggerito il Pontefice, «qualche monetina tiavanza? Pensa: si può essere generosi conquelle». E in proposito il Papa ha propostoqualche consiglio pratico sulle «piccole cose:facciamo, per esempio, un viaggio nelle nostrestanze, nel nostro guardaroba. Quante paia discarpe ho? Uno, due, tre, quattro, quindici,venti. Ognuno lo può dire. Un po’ troppo. Ioho conosciuto un monsignore che ne avevaquaranta. Ma se hai tante scarpe, dà la metà.Quanti vestiti uso una volta l’anno?». E que-sto è «un modo di essere generoso, di darequello che abbiamo, di condividere».

«Io ho conosciuto una signora — ha confi-dato — che quando faceva la spesa al super-mercato, sempre il dieci per cento di quelloche spendeva comprava per i poveri: dava “ladecima”». E «noi possiamo fare miracoli conla generosità delle piccole cose». Il «messag-

Le omeliedel Pontefice

Maria Cavazzini Fortini«L’obolo della vedova»

(2015, particolare)

#santamarta

Chiediamo al Signorela grazia della generosità,

che ci allarga il cuoree ci porta alla magnanimità

(@Pontifex_it)

gio del Vangelo ci fa pensare: come posso es-sere io più generoso?». Basta «un po’ di più,non tanto». E se in tanti riconoscono che ècosì, allo stesso tempo «c’è sempre la paura»di fare un passo in avanti. Inoltre «c’è un’altramalattia, che è la malattia contro la generosità:la malattia del consumismo» ha fatto presenteil Pontefice. Essa porta «sempre a comprarecose, avere». A Buenos Aires, ha raccontatoancora Francesco, «quando ci vivevo, ogni finesettimana c’era un programma di turismoshopping: si riempiva l’aereo il venerdì sera esi andava in un paese — dieci ore di volo, piùo meno — si arrivava sabato e tutto il sabato eparte della domenica nei supermercati a com-prare, e si tornava».

È davvero «una malattia grossa quella delconsumismo di oggi» ha ripetuto il Papa, ag-giungendo: «Io non dico che tutti noi faccia-mo questo, ma il consumismo, lo spendere piùdi quello di cui abbiamo bisogno, una man-canza di austerità di vita: questo è un nemicodella generosità». Perciò, ha concluso France-sco, «chiediamo questa grazia al Signore: lagenerosità che ci allarga il cuore e ci porti allamagnanimità».

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MARTEDÌ 27Tempo di mietitura

«Io finirò. Io non rimarrò eternamente. Comevorrei finire?»: ecco il pensiero che Papa Fran-cesco ha suggerito, nella messa mattutina, pro-ponendo un vero e proprio esame di coscienzasulle cose buone e su quelle da correggere nel-la nostra vita. «Quest’ultima settimana dell’an-no liturgico la Chiesa ci fa riflettere sulla fine»ha subito fatto presente il Pontefice, spiegan-do: «Sulla fine del mondo, sulla fine dellapropria vita: tutti noi finiremo, avremo una fi-ne — non siamo eterni — e anche il mondo fi-nirà». Ed «è una grazia quella che la Chiesa cioffre di pensare a questa verità perché a noinon piace pensare alla fine», tanto che spessoripetiamo: «No, ma andiamo avanti, poi ve-dremo e domani ci penseremo». Così, ha insi-

stito il Papa, «rimandiamo sempre a domaniquesto pensiero». Ma «la Chiesa vuole che al-meno una volta all’anno — in questa settimana— pensiamo alla fine».

Facendo riferimento al passo evangelico diLuca (21, 5-11), Francesco ha fatto notare che«Gesù nel Vangelo parla un po’ di una finecosmica, di distruzione del mondo e, vedendoil tempio tanto bello, dice: “guardate che ver-ranno giorni che non sarà lasciata pietra supietra”». Nella prima lettura, ha affermato ilPontefice riferendosi al brano dell’Ap o calisse(14, 14-19), «si parla della fine di ognuno dinoi, della fine del mondo, ma con la figuradella mietitura: “Getta la tua falce e mieti; ègiunta l’ora di mietere”». Perché, ha prosegui-to, «ognuno di noi ha la propria ora e dobbia-mo far vedere la qualità del nostro grano, laqualità della nostra vita». E «forse qualcunodi voi dice: “padre, non sia così tetro che que-ste cose non ci piacciono”. Ma è la verità. Al-meno una settima all’anno ne parliamo».

«È la mietitura dove ognuno di noi si in-contrerà con il Signore» ha spiegato il Papa.«Sarà un incontro — ha detto — e ognuno dinoi dirà al Signore: “Questa è la mia vita.Questo è il mio grano. Questa è la qualità del-la mia vita. Ho sbagliato?”». In realtà, ha ag-giunto, «tutti dovremmo dire questo, perchétutti sbagliamo». E poi, ha proseguito, do-vremmo dire al Signore: «Ho fatto cose buo-ne», perché «tutti facciamo cose buone e unp o’ far vedere al Signore il grano». Dunque,ha insistito ancora Francesco, «se oggi il Si-gnore chiamasse come mietitore al mio cuore,cosa direi? “Ah, non mi sono accorto, ero di-stratto”. Noi non sappiamo né il giorno nél’ora. “Ma padre, non parli così che io sonogiovane” — “Ma, guarda quanti giovani se nevanno, quanti giovani sono chiamati”. Nessu-no ha la propria vita assicurata. Ma tutti, è si-curo, avremo una fine. Quando? Dio lo sa».

«Ci farà bene in questa settimana pensarealla fine» ha ripetuto il Pontefice, invitando achiedere a se stessi: «Se il Signore mi chiamas-se oggi cosa farei? Cosa direi? Quale grano glifarei vedere?». In questa prospettiva, ha affer-mato, «il pensiero della fine ci aiuta ad andareavanti; non è un pensiero statico: è un pensie-ro che va avanti perché è portato avanti dallavirtù, dalla speranza». Insomma, ha prosegui-to, «ci sarà una fine, ma quella fine sarà un in-contro: un incontro con il Signore». È vero,ha fatto presente il Papa, «sarà un rendicontodi quello che ho fatto, ma anche sarà un in-contro di misericordia, di gioia, di felicità».

«Pensare alla fine, alla fine della creazione,alla fine della propria vita, è saggezza: i saggilo fanno» ha riconosciuto Francesco. «E così— ha ribadito — hanno quella dimensione disaggezza che fa capire la vita come è realmen-te». Suggerendo un vero e proprio esame dicoscienza, il Pontefice ha ricordato che «laChiesa ci invita, questa settimana, a doman-darci: come sarà la mia fine? Come vorrei ioche mi trovasse il Signore quando mi chiame-rà? Come vorrei io essere nel momento dellamietitura?». Dunque «un esame di coscienza»per domandarmi: «Quali cose dovrei corregge-re perché non vanno bene? Quali cose dovreiappoggiare e portare avanti perché sono buo-ne?». E «ognuno di noi ha tante cose buone».Dunque «questa settimana è per pensare aqueste cose, perché maturino e arrivino così aigiorni della mietitura con la qualità del buongrano».

«In questo pensiero noi non andiamo soli»ha assicurato Francesco, perché «c’è lo SpiritoSanto che ci aiuta a pensare a questo». Perciò«questa settimana chiediamo allo Spirito San-to la saggezza del tempo, la saggezza della fi-ne, la saggezza della risurrezione, la saggezzadell’incontro eterno con Gesù», in modo «checi faccia capire questa saggezza che è nella no-stra fede». Consapevoli che «sarà un giorno digioia l’incontro con Gesù». E allora, ha con-cluso il Papa, «preghiamo perché il Signore ciprepari e ognuno di noi, questa settimana, fi-nisca la settimana pensando alla fine: “Io fini-rò. Io non rimarrò eternamente. Come vorreif i n i re ? ”».

Bob Lawson«Il tempo della mietitura»

#santamarta

La Chiesa ci invita,questa settimana, a domandarci:

come vorrei che mi trovasse il Signorequando mi chiamerà?

(@Pontifex_it)

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Nella catechesi di oggi, che conclude il percorsosui Dieci Comandamenti, possiamo utilizzarecome tema-chiave quello dei desideri, che cipermette di ripercorrere il cammino fatto eriassumere le tappe compiute leggendo il testodel Decalogo, sempre alla luce della piena ri-velazione in Cristo.

Siamo partiti dalla gratitudine come basedella relazione di fiducia e di obbedienza:Dio, abbiamo visto, non chiede niente primadi aver dato molto di più. Egli ci invita all’ob-bedienza per riscattarci dall’inganno delle ido-latrie che tanto potere hanno su di noi. Infatti,cercare la propria realizzazione negli idoli diquesto mondo ci svuota e ci schiavizza, mentreciò che dà statura e consistenza è il rapportocon Lui che, in Cristo, ci rende figli a partiredalla sua paternità (cfr. Ef 3, 14-16).

Questo implica un processo di benedizionee di liberazione, che sono il riposo vero, au-tentico. Come dice il Salmo: «Solo in Dio ri-posa l’anima mia: da lui la mia salvezza» (Sal62, 2).

Questa vita liberata diventa accoglienza del-la nostra storia personale e ci riconcilia con ciòche, dall’infanzia al presente, abbiamo vissuto,facendoci adulti e capaci di dare il giusto pesoalle realtà e alle persone della nostra vita. Perquesta strada entriamo nella relazione con ilprossimo che, a partire dall’amore che Diomostra in Gesù Cristo, è una chiamata alla

Dio, in modo particolare attraverso i DieciComandamenti portati a compimento da Ge-sù, come Lui insegna nel “discorso della mon-tagna” (cfr. Mt 5, 17-48). Infatti, nella contem-plazione della vita descritta dal Decalogo, os-sia un’esistenza grata, libera, autentica, bene-dicente, adulta, custode e amante della vita,fedele, generosa e sincera, noi, quasi senza ac-corgercene, ci ritroviamo davanti a Cristo. IlDecalogo è la sua “radiografia”, lo descrive co-me un negativo fotografico che lascia apparireil suo volto — come nella sacra Sindone. E co-sì lo Spirito Santo feconda il nostro cuoremettendo in esso i desideri che sono un donosuo, i desideri dello Spirito. Desiderare secondolo Spirito, desiderare al ritmo dello Spirito,desiderare con la musica dello Spirito.

Guardando a Cristo vediamo la bellezza, ilbene, la verità. E lo Spirito genera una vitache, assecondando questi suoi desideri, innescain noi la speranza, la fede e l’a m o re .

Così scopriamo meglio cosa significhi che ilSignore Gesù non è venuto per abolire la leg-ge ma per dare compimento, per farla crescere,e mentre la legge secondo la carne era una se-rie di prescrizioni e di divieti, secondo lo Spi-rito questa stessa legge diventa vita (cfr. Gv 6,63; Ef 2, 15), perché non è più una norma mala carne stessa di Cristo, che ci ama, ci cerca,ci perdona, ci consola e nel suo Corpo ricom-pone la comunione con il Padre, perduta perla disobbedienza del peccato. E così la negati-

vità letteraria, la negatività nell’espressione deicomandamenti — “non rubare”, “non insulta-re ”, “non uccidere” — quel “non” si trasformain un atteggiamento positivo: amare, fare po-sto agli altri nel mio cuore, tutti desideri cheseminano positività. E questa è la pienezzadella legge che Gesù è venuto a portarci.

In Cristo, e solo in Lui, il Decalogo smettedi essere condanna (cfr. Rm 8, 1) e divental’autentica verità della vita umana, cioè deside-

Abbiamo bisognodi un cuore nuovo

Al l ’udienzag e n e ra l econcluse

le riflessionisui dieci

comandamenti

Mosè riceve i dieci comandamenti(manoscritto del IX secolo)

#catechesi

bellezza della fedeltà, della g e n e ro s i t à e dellaautenticità.

Ma per vivere così — cioè nella bellezza del-la fedeltà, della generosità e dell’autenticità —abbiamo bisogno di un cuore nuovo, inabitatodallo Spirito Santo (cfr. Ez 11, 19; 36, 26). Iomi domando: come avviene questo “trapianto”di cuore, dal cuore vecchio al cuore nuovo?Attraverso il dono di desideri nuovi (cfr. Rm 8,6); che vengono seminati in noi dalla grazia di

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Udienza con due catechesi mercoledì 28 novembrenell’aula Paolo VI. La prima l’ha tenuta il Papa suicomandamenti. La seconda, a sorpresa, l’haproposta Wenzel Wirth, un bambino argentino cheè andato a dare un bacio a Francesco propriomentre questi salutava i fedeli presenti, fermandosipoi a giocare anche con le guardie svizzere insiemecon la sorella Walkiria. E questo simpatico fuoriprogramma, improvvisato da un bambino«indisciplinatamente libero», ha detto a braccio ilPontefice in spagnolo, è una catechesi per tutti cheinvita a essere liberi davanti a Dio proprio come ipiù piccoli. Il gesto di Wenzel ha caratterizzatol’udienza generale in cui Francesco ha accolto inparticolare giovani migranti, ammalati e disabili. Unabbraccio lo ha riservato a sessanta giovaniimmigrati accolti a Treviso, Oderzo e VittorioVeneto grazie alla cooperativa “Nova facility”.«Vengono da diversi paesi dell’Africa — spiegano iresponsabili — e sono cattolici e musulmani,Partecipano insieme a un delicato percorso diintegrazione». Sulla stessa linea l’impegno dellafondazione belga “Josefa” che, hanno spiegato ipromotori a Francesco, «cerca di aiutare il dialogo,la conoscenza e la comprensione reciproca tra imigranti che arrivano e la gente che li accoglie, persuperare paure e pregiudizi».

Indisciplinatamente libero

rio di amore — qui nasce un desiderio del be-ne, di fare il bene — desiderio di gioia, deside-rio di pace, di magnanimità, di benevolenza,di bontà, di fedeltà, di mitezza, dominio di sé.Da quei “no” si passa a questo “sì”: l’atteggia-mento positivo di un cuore che si apre con laforza dello Spirito Santo.

Ecco a che cosa serve cercare Cristo nel De-calogo: a fecondare il nostro cuore perché siagravido di amore, e si apra all’opera di Dio.Quando l’uomo asseconda il desiderio di vive-re secondo Cristo, allora sta aprendo la portaalla salvezza, la quale non può che arrivare,perché Dio Padre è generoso e, come dice ilCatechismo, «ha sete che noi abbiamo sete dilui» (n. 2560).

Se sono i desideri malvagi che rovinanol’uomo (cfr. Mt 15, 18-20), lo Spirito deponenel nostro cuore i suoi santi desideri, che sonoil germe della vita nuova (cfr. 1 Gv 3, 9). Lavita nuova infatti non è il titanico sforzo peressere coerenti con una norma, ma la vita nuo-va è lo Spirito stesso di Dio che inizia a gui-darci fino ai suoi frutti, in una felice sinergiafra la nostra gioia di essere amati e la sua gioiadi amarci. Si incontrano le due gioie: la gioiadi Dio di amarci e la nostra gioia di essereamati.

Ecco cos’è il Decalogo per noi cristiani:contemplare Cristo per aprirci a ricevere il suocuore, per ricevere i suoi desideri, per ricevereil suo Santo Spirito.

Con particolare affetto il Papa ha poi salutato, unoa uno, i rappresentanti dell’associazione “Nuovitalenti speciali per l’autismo”, venuti da Verona peri dieci anni di attività a servizio dei ragazzi e delleloro famiglie. E ha incoraggiato il serviziodell’Associazione sclerosi multipla (Aism) che, dacinquant’anni, porta avanti progetti e iniziative per imalati italiani che oggi sono centodiciottomila.«Siamo qui per — spiegano — dare voce agliindifesi, per cercare di vivere con dignità nonostantequesta malattia cronica e progressivamenteinvalidante e per non sentirci soli, anzi per esigere ildiritto alla piena inclusione sociale».L’impegno dell’associazione Susan G. Komen per ledonne colpite da tumori al seno è stato presentatoal Papa con tutta l’energia di settecento “g u e r r i e re ”.Da diciassette anni, spiegano le responsabili, silavora per «promuovere la prevenzione, offriresupporto alle donne, soprattutto a quelle piùpovere, che si confrontano con la malattia,migliorare la qualità delle cure e potenziare lestrutture». Attraverso il progetto “La carovana dellap re v e n z i o n e ” la Komen «garantisce opportunitàgratuite proprio per la percezione anche nelle zonepiù disagiate, in particolare: dalle carceri ai centri diaccoglienza, dalle scuole ai conventi fino alle zonecolpite da calamità».

#catechesi

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di ANNAFOA

Come in altre città italiane, anche a Firenze ne-gli ultimi mesi del 1943 cattolici ed ebrei simossero insieme per cercare di mettere in salvogli ebrei fiorentini e gli ebrei stranieri che sitrovavano in città. Fin dalla metà di settembre,con l’inizio dell’occupazione tedesca, si eraformato un comitato ebraico di soccorso orga-nizzato dalla Delasem, la Delegazione per l’as-sistenza degli emigranti ebrei, e dal rabbinoNathan Cassuto.

Intorno al 20 settembre, negli stessi giorniin cui la comunità ebraica chiudeva la sua se-de, il comitato si rivolse, con la mediazione diGiorgio La Pira, all’arcivescovo di Firenze,cardinale Elia Dalla Costa, chiedendo l’app og-gio della curia. Il prelato aderì e fece entrarenel comitato il suo segretario, monsignor Gia-como Meneghello, e don Leto Casini, parrocodi Varlungo.

Le riunioni del comitato, ovviamente clan-destine, si tenevano nelle sedi di molte asso-ciazioni cattoliche, fra cui la stessa residenzaarcivescovile e palazzo Pucci, sede dell’AzioneCattolica. Qui il 26 novembre i nazisti feceroirruzione arrestando molti membri del comita-to, fra cui il rabbino Cassuto e don Casini,che sarà liberato alcune settimane dopo in se-guito alle veementi proteste del cardinale. Ilrabbino e gli altri ebrei arrestati furono man-dati ad Auschwitz, dove Cassuto morirà. L’at-tività del comitato proseguì, affidato per lungotempo dopo gli arresti alla sola curia, e poi dinuovo all’azione congiunta della curia e dellaDelasem. In totale, 110 ebrei italiani e 220 stra-nieri furono soccorsi, e 22 conventi ospitaronoe b re i .

Il cardinale Dalla Costa è stato riconosciutoGiusto fra le Nazioni nel 2012, don Leto Casi-ni già nel 1966. Pochi giorni fa, il 26 novem-

bre, anniversario dell’arresto del comitato nel1943, la medaglia di Giusto è stata tributatadallo Yad Vashem a una religiosa, BenedettaPompignoli, e insieme a lei a un’insegnantefiorentina, Nella Bichi, che sotto l’o ccupazioneaiutarono a salvarsi due donne ebree, Pia AjòServi e Miranda Servi, sua figlia. BenedettaPompignoli era la superiora del pensionato te-nuto dalle Suore della Sacra Famiglia, dovetrovarono rifugio alcuni ebrei, due famiglie ita-

liane e una di ebrei apolidi. Anche in questoconvento ci fu un’irruzione, questa volta aopera dei fascisti, ma i rifugiati riuscirono asalvarsi.

Sono vicende straordinarie, ma comuniall’Italia di quei mesi. Alcune resteranno se-polte nell’oblio, in mancanza di protagonistiche le abbiano raccontate e di documenti chele testimonino. Anche la vicenda di MirandaServi e di sua madre era fra quelle cadutenell’oblio, non fosse stato per una storica,Marta Baiardi, che si è imbattuta in un docu-mento che la testimoniava, e per la volontà diSara Cividali, la figlia di Miranda Servi, di tri-butare un riconoscimento a chi aveva salvatosua madre.

Ed è anche straordinaria l’immagine di quelcomitato clandestino composto di preti e rab-bini che si riuniva in arcivescovado per salvarele vite degli ebrei. Straordinaria ma non unicaperché successe altrove, a Genova, Milano, To-rino. Era una forma di dialogo, che precedevae anticipava il cambiamento conciliare o sitrattava solo di un accordo operativo di fronteal pericolo incombente? Ma anche se si trattòsolo di questo, è indubbio che ove questomancò le vittime ebree furono più numerose.A Firenze, dove pure ci furono trecento depor-tati e dove i nazisti e le bande fasciste non sifecero scrupoli di invadere i conventi, l’accor-do servì a salvare tante vite. E non è poco.

Giustetra le nazioni

#dialoghi

Il riconoscimentoa suor BenedettaPompignolie all’insegnanteNella Bichi

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di ENZOBIANCHI

P

Un’immersioneper la remissionedei peccati

9 dicembreseconda domenica

di AvventoLuca 3, 1-6

Caravaggio, «San Giovanninel deserto»

er l’evangelista Luca l’inizio dell’annuncio delVangelo si ha con la chiamata e la missione diGiovanni il Battista, che non a caso egli cipresenta già come «colui che annuncia il Van-gelo» (cfr. Luca 3, 18). Gesù, infatti, era nato aBetlemme circa trent’anni prima (cfr. Luca 3,23), ma la sua vita era stata caratterizzata dalnascondimento. Quei tre decenni restano pertutti i vangeli gli anni nascosti di Gesù, nelsenso che sappiamo che egli è stato allevato aNazaret (cfr. Luca 2, 51-52), poi è cresciuto edè diventato una persona matura: non conoscia-mo però con esattezza dove ciò sia avvenuto,anche se supponiamo che Gesù abbia trascor-so quel tempo nel deserto, quale discepolo diGiovanni.

Ecco allora il racconto solenne di Luca, cheinserisce nella storia dell’impero romano e delsacerdozio giudaico l’evento decisivo, l’inter-vento di Dio nel deserto. Vale la pena ripor-tarlo alla lettera: «Nell’anno quindicesimodell’impero di Tiberio Cesare, mentre PonzioPilato era governatore della Giudea, Erodeprincipe della Galilea, e Filippo, suo fratello,principe dell’Iturea e della Traconitide, e Lisa-nia principe dell’Abilene, sotto i sommi sacer-doti Anna e Caifa, la parola di Dio fu (venne,cadde) su Giovanni, figlio di Zaccaria, nel de-serto». Ecco l’evento decisivo: la parola di Dio“avviene” su un uomo, Giovanni, appartenentealla stirpe sacerdotale ma dimorante nel deser-to di Giuda, e lo istituisce profeta, cioè porta-parola dello stesso Signore Dio. La profeziache da cinque secoli taceva in Israele si rendedunque di nuovo presente in uomo che, resopredicatore itinerante dalla Parola, percorretutta la valle del Giordano, regione marginalesituata tra la terra santa e il deserto, per far ri-tornare a Dio il suo popolo.

Giovanni predica la conversione, ossia l’esi-genza di un mutamento di mentalità, di com-portamento e di stile di vita, e chiede che que-

sta volontà, questa decisione che può avereorigine solo nel cuore, sia accompagnata daun’azione semplice, umana: si tratta di lasciarsiimmergere (questo, alla lettera, il senso delverbo “b a t t e z z a re ”) nelle acque del fiumeGiordano. Questo atto è immagine di un affo-gamento: si va sott’acqua, si depone nell’acqua«l’uomo vecchio con i suoi comportamentimortiferi» (Colossesi 3, 9; cfr. Romani 6, 6; Efe-sini 4, 22), e si viene fatti riemergere dalle ac-que come uomini e donne in grado di «cam-minare in una vita nuova» (Romani 6, 4).Questa immersione, segno che significa un ri-cominciare, una novità, ed è compiuto pubbli-camente, davanti a tutti e davanti al profetache immerge, diventa un impegno. Non è unadelle tante abluzioni prescritte dalla Torah perriacquistare la purità perduta, ma è un attocompiuto una volta per sempre, che indicauna precisa opzione, che dovrà essere guida ecriterio di tutta la vita che verrà. Conversione,ritorno sulla strada che porta a Dio, ritorno alSignore, rivolgersi a lui: ecco ciò che questaimmersione significa, in vista della venuta delSignore e del suo giudizio (cfr. Luca 3, 7-9).

Secondo il vangelo (cfr. anche Ma rc o 1, 4) inquesto gesto è contenuta una grande novità: laremissione dei peccati da parte di Dio. Sì,

#meditazione

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quell’immersione, segno della volontà di con-versione, è strettamente legata alla remissione,al perdono dei peccati per opera di Dio. Èquesta offerta potente di perdono da parte diDio, è questo suo amore preveniente a causarela conversione, oppure è la conversione a cau-sare il suo perdono? Nessun dubbio, «è Dioche produce in noi il volere e l’operare» (cfr.Filippesi 2, 13) e che sempre ci offre, ben primache noi lo desideriamo o lo cerchiamo, il suoamore, che è misericordia infinita. Se noi pre-disponiamo tutto per ricevere questo amore, sesappiamo accoglierlo e dunque ci convertiamo,allora il dono del perdono dei peccati ci rag-giunge e opera ciò che nessuno di noi potreb-be operare: i nostri peccati, il nostro aver fattoil male è cancellato e dimenticato da Dio, checi guarda come creature irreprensibili perchéperdonate e giustificate dalla sua misericordia.Questo è il Vangelo, la buona notizia che co-mincia a risuonare tra le dune e le rocce deldeserto e il fiume Giordano, per opera di Gio-vanni. Questo è il messaggio che, dopo la pas-sione, morte e risurrezione del Signore Gesù,dovrà essere predicato a tutte le genti (cfr. Lu-ca 24, 47). Ormai questo annuncio è dato dalprecursore che è un profeta in mezzo al popo-lo, il quale accorre a lui per ascoltare la paroladi Dio annunciata dalla sua voce.

Giovanni, chiamato dalla parola di Dio “ve-nuta” su di lui come “veniva” sugli antichiprofeti (cfr. G e re m i a 1, 2; Ezechiele 1, 3), compieuna missione ben precisa, preannunciata dalprofeta Isaia (cfr. Isaia 40, 3-5): una missione,un ministero di consolazione. Non possiamoqui non fare memoria dei “monaci” della co-munità di Qumran che vivevano proprio inquella regione del deserto in cui era apparsopubblicamente Giovanni. Essi avevano appli-cato a se stessi proprio questa profezia di Isaiache chiedeva di aprire una strada nel deserto edi appianarla per la venuta del Signore, as-sumendola come fonte del loro ministero edella loro missione. Per questo erano ve-nuti nel deserto per vivere secondo lavolontà di Dio e per attendere nellapreghiera e nello studio perseverantedelle sante Scritture la venuta del suoMessia e del suo regno. Giovanni,asceta come loro nel deserto,condivide con loro la stessamissione, e il suo manifestarsiè conforme alla medesima pro-fezia di Isaia: «Com’è scritto nellibro degli oracoli del profetaIsaia, “voce che grida nel deser-to: Preparate la via del Signore,rendete dritti i suoi sentieri (...)Ogni carne vedrà la salvezza diD io”». Questa voce — Luca lo sottolinea —vuole raggiungere “ogni carne”, ogni uomo eogni donna, non solo i figli e le figlie di Israe-le, in modo che tutti possano ricevere la sal-vezza di Dio: questa infatti non è rivolta soloal popolo delle alleanze e delle benedizioni,come annunciavano gli antichi profeti, maGiovanni il Battista proclama che è una sal-vezza universale, per tutti, proprio per tutti!Dunque buona notizia «non per alcuni, né perpochi né per molti, ma per tutti», come hagridato con gioia il Papa a Firenze il 10 no-vembre 2015.

Tutto ciò avviene ai margini della terra san-ta, alle soglie del deserto, con il suo vuoto, ilsuo silenzio, la sua solitudine. Quale contrastotra la “grande” storia, che vede regnare Tibe-rio, Erode e gli altri, che registra il sommo sa-cerdozio di Anna e Caifa, e la storia di salvez-za, che si realizza in modo umile, nascosto!Niente di ciò che dà lustro al potere politico èpresente; niente di ciò che caratterizza la so-lenne liturgia sacerdotale del tempio appare:no, semplicemente un fiumiciattolo, dell’acqua

in cui immergersi, dei corpi che scendono e ri-salgono dall’acqua per azione delle braccia diun uomo, Giovanni, il quale è solo voce chenel deserto chiede una vita altra, nuova, chie-de agli uomini e alle donne di ritornare al Si-gnore e di ricominciare a vivere secondo la suavolontà. Quello di Giovanni era un battesimoin cui l’acqua era eloquente di per sé, nonoscurata o nascosta da tante pretese azioni cul-tuali: acqua, parola, corpi che sono immersi epoi riemergono, braccia che accompagnanochi discende e poi lo risollevano, piena umani-tà di quel segno-sacramento dell’immersione.È sufficiente però per molti cristiani definirlo

“battesimo”, per comprenderlo purtroppo solocome rito e non come gesto e parola, gestoche parla, parola che agisce segno efficacedell’azione del Dio vivente!

Dunque la salvezza è vicina e “ogni carne”,cioè tutta l’umanità fragile, mortale e peccatri-ce potrà vederla. Al risuonare della voce chegrida nel deserto e che annuncia la venuta delSignore, occorrerà andargli incontro e spianar-gli la via, raddrizzare i sentieri che portanoall’incontro con lui: questa è un’op erazionenecessaria nel cuore di ogni persona, che deveabbassare i monti del proprio orgoglio e dellapropria autosufficienza, deve riempire gli abis-si infernali e le disperazioni che la abitano.Nel cammino di conversione si tratta dunquedi predisporre tutto il cuore, liberando dagliostacoli che impediscono alla grazia, cioèall’amore gratuito di Dio, di operare. Solo cosìla preghiera e la vigilanza richieste nell’Avven-to diventano operanti in noi, rendendoci capa-ci di alzare lo sguardo e di andare incontrocon parrhesía al Signore che viene!

#meditazione

Antonio Rossellino, «Giovanesan Giovanni battista» (1470)

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Ieri l’Ucraina ha commemoratol’anniversario dell’Holodomor, terribile carestia

provocata dal regime sovietico che causò milionidi vittime. L’immagine è dolorosa.

La ferita del passato sia un appello per tuttiperché tali tragedie non si ripetano mai più

Preghiamo per quel caro Paesee per la pace tanto desiderata

Angelus, 25 novembre (Nina Marchenko, «I bambini dell’Holo domor»)

#controcopertina