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01 9 novembre 22 novembre 2009 Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica www.magzine.it Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse. Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse. Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere M a l ati di Carcere M a l ati di Carcere »» Obama, le elezioni in un documentari o »» Narcotraffico, le nuove rotte della coca »» Fa b rizio Gatti, giornalismo sotto copertura »» Libertà di stampa, abbasso la satira »» Urbansketcher.com, appunti di viaggio d’artista »» Obama, le elezioni in un documentari o »» Narcotraffico, le nuove rotte della coca »» Fa b rizio Gatti, giornalismo sotto copertura »» Libertà di stampa, abbasso la satira »» Urbansketcher.com, appunti di viaggio d’artista magzine

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019novembre

22novembre2009

Quindicinale di approfondimento della Scuola di giornalismo dell’Università Cattolica

www.magzine.it

Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse.

Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere

Sovraffollamento, mancanza di personale specializzato, condizioni igieniche scarse.

Il sistema penitenziario italiano è al collasso. E i casi di suicidio continuano a crescere

Malat idi C a rc e re

Malat idi C a rc e re

»» Obama, le elezioniin un documentari o

»» Narcotraffico,le nuove rotte della coca

»» Fa b rizio Gatti,g i o rnalismo sotto copert u r a

»» Libertà di stampa,a bbasso la satira

»» Urbanske t c h e r. c o m ,appunti di viaggio d’art i s t a

»» Obama, le elezioniin un documentari o

»» Narcotraffico,le nuove rotte della coca

»» Fa b rizio Gatti,g i o rnalismo sotto copert u r a

»» Libertà di stampa,a bbasso la satira

»» Urbanske t c h e r. c o m ,appunti di viaggio d’art i s t a

magzine

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MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20092

inchiesta

di Roberto Dupplicato

Nelle carc e ri italiane mancano 18 mila posti letto.S c o n t a re la pena in uno spazio igienicamente a ri s c h i oalimenta il disagio psicologico e aumenta le possibilitàdi trasmissione delle infezioni.U n ’ e m e rgenza italiana

O P O E S S E R E S T A T A A R R E S T A T A, ogni persona ha

diritto ad avvisare qualcuno e all’assistenza

legale. In carcere chi entra è registrato, fotogra-

fato e perquisito. Non si possono portare soldi,

che vanno depositati su un libretto intestato a

proprio nome con un tetto massimo di 520

euro al mese. Vanno lasciati fuori anche orolo-

gi, oggetti di valore e apparecchiature elettroniche, telefoni cellula-

ri compresi. Il detenuto può tenere solo la fede. Ai

reclusi viene fornita la biancheria per il letto, una

coperta, una saponetta, carta igienica, due piatti,

un bicchiere e le posate. È possibile acquistare

materiale al mercato interno, ad esempio il denti-

fricio, utilizzando i propri soldi. Al momento del-

l’ingresso in carcere tutti i farmaci in possesso del dete-

nuto vengono sequestrati; è quindi importante dichiarare

subito i problemi di salute o l’eventuale sieropositività, per ricevere

tempestivamente le cure o gli alimenti adeguati. Il primo incontro

con i familiari è fissato entro cinque giorni dalla convalida dell’arre-

sto previa autorizzazione del magistrato: ogni detenuto ha diritto a

sei colloqui al mese ma può chiedere carta e penna per scrivere

tutte le lettere che vuole, senza temere la censura su quello che rice-

ve o invia.

I detenuti italiani sono circa 65 mila, 20 mila in più rispetto ai

43 mila posti disponibili. Monica Pardo Cases è reclusa al car-

cere di San Vittore a Milano, è spagnola ma scrive in italiano la sua

testimonianza: «Una banale infezione o un raffreddore in carcere

possono metterci in difficoltà. Per due mesi ho dovuto combattere

per poter spostare un letto che, attaccato al muro, si bagnava

durante i giorni di pioggia perché la parete si inumidiva. La dispo-

sizione degli oggetti nelle celle è decisa dall’alto e a noi è vietato spo-

starli senza autorizzazione». Gli spazi piccoli richiedono un rispet-

to totale dell’igiene, una virtù rara quando in ogni cella si vive in sei

o sette persone. «La prevenzione in carcere - scrive un’altra detenu-

ta di San Vittore - è impraticabile, la nostra salute è minacciata con-

tinuamente. Il bagno coincide con la cucina e il tavolo è a circa un

metro dalla turca». Le condizioni di vita. È questo il problema cen-

trale della privazione della libertà. Il luogo

di detenzione prova a descriverlo Monica

Pardo Cases: «C’è un’umidità incredibile,

mura scrostate e poca luce, sembra un

cimitero nel quale buttano i fantasmi».

Passare trent’anni, due mesi o una

vita in galera per saldare il debito verso la

società è ritenuto dai reclusi una pena

ingiusta e insopportabile. Il disagio dei

primi giorni è fortissimo.

«I casi di autolesioni-

smo o i primi segni di istinti suicidi - racconta

nell’anonimato uno psichiatra che lavora in un

penitenziario lombardo - sono molto più fre-

quenti durante i primi giorni di detenzione.

Spesso non basta avere forza mentale. Per il dete-

nuto è traumatizzante vedere andare via i parenti dopo una visita».

Ogni due giorni muore un detenuto. Il 2009 è l’anno nero dei sui-

cidi: a novembre sono stati registrati 61 casi, a cui se ne aggiungo-

no dieci quotidiani di autolesionismo.

Per scoraggiare le tendenze suicide - spiega L u i g i

P a g a n o, provveditore per le carceri lombarde ed ex

direttore del carcere di San Vittore - si muove il proget-

to Dars (Detenuti a rischio suicidale), finanziato dalla

Regione e attivo dal 2004 negli istituti penitenziari di San Vittore,

Opera, Pavia, Monza, Como, Busto Arsizio e Bergamo». «Il carce-

re - spiega C o s t a n z a, detenuta al San Vittore - è un luogo così ser-

rato e blindato che è difficile evaderne anche solo col pensiero. Il

tempo è dilatato, infinito, sembra quasi non avere unità di misu-

ra. Per capire cosa voglia dire bisognerebbe provare a vivere in una

stanza per ventidue ore al giorno e uscire per due ore. Si comincia

a sentire un sottile malessere che attraversa il corpo, rende più

faticoso camminare, leggere, respirare e pensare. Il carcere è come

tale una malattia».

In Italia ci sono sei Ospedali psichiatrici giudiziari situati ad

Aversa, Napoli, Castiglione della Stiviere, Reggio Emilia,

D

A m m a l at id i e t ro les b a rre

Page 3: magzine 01

Montelupo Fiorentino e Barcellona Pozzo di Gotto. La

Commissione interministeriale Giustizia-Salute, istituita nel 2002

per studiare il riordino della medicina penitenziaria, ha avuto

come ulteriore compito quello di proporre possibili modelli inno-

vativi per la cura nei confronti di soggetti affetti da patologie psi-

chiatriche. I detenuti degli Opg sono soggetti psicotici che hanno

commesso gravi reati verso altre persone con una spiccata ten-

denza alla recidività.

Il disturbo schizofrenico paranoide è la diagnosi

più frequente, tranne ad Aversa, dove prevale al 50% il

disturbo schizo-affettivo. Molto alto è anche il numero

di coloro che soffrono di disturbi della personalità

(paranoide, antisociale, borderline). La Commissione

interministeriale ha però evidenziato la carenza di per-

sonale specializzato e l’inadeguatezza di alcune strutture: sono

edifici vecchi, con un’identità indefinita a metà strada tra l’ospe-

dale e il carcere.

Sotto il profilo psicologico e dal punto di vista igienico, la vita

quotidiana in un carcere italiano è sempre più difficile non solo per

i detenuti, ma anche per chi nei penitenziari

lavora o va a trovare i reclusi. «I problemi di

convivenza - spiega Francesco Ceraudo,

presidente dell’Associazione dei medici

penitenziari e direttore per la Toscana del

Dipartimento per la salute in carcere - accre-

scono il disagio psicologico e le possibilità di

ammalarsi di malattie come la tubercolosi

africana». Solo il 20% dei detenuti è sano, il

21% vive in condizioni di tossicodipendenza,

il 15% soffre di depressione e di altri disturbi

psicologici, mentre più di mille detenuti

hanno contratto il virus dell’Hiv.«Le condi-

zioni igieniche e sanitarie - spiega il senatore

Filippo Berselli, presidente della Seconda

Commissione Giustizia del Senato - sono

disumane e inaccettabili».

Nel nostro paese i detenuti

hanno la possibilità di tenersi

impegnati con diverse attività.

Tra queste c’è anche la creazio-

ne di riviste: ad oggi se ne contano circa 90, a fronte di 205 istituti

penitenziari. Organi informativi di varia natura nati all’interno dei

penitenziari o sostenuti da associazioni di volontariato che hanno

aiutato la circolazione della cultura tra i detenuti. Nell’istituto peni-

tenziario di Bollate nel 2005 è nato C a r t e B o l l a t e, periodico registra-

to al Tribunale di Milano che tratta anche temi importanti di intro-

spezione sulla vita dei detenuti. Ci sono articoli di commento o di

analisi sulle leggi che regolamentano la vita dentro i peni-

tenziari o evidenziano quei temi che restano quasi sempre

fuori dal circuito mediatico. Nel carcere di Padova c’è

Ristretti Orizzonti, rivista il cui nome indica i detenuti e che

cerca di interpretare i fenomeni della vita carceraria anche

attraverso il commento di persone che svolgono ruoli

medici o istituzionali. A Milano c’è il Due, net magazine del

carcere di San Vittore, che deve il proprio nome al numero civico 2

di piazza Filangieri, dove i detenuti venivano rilasciati e riacquista-

vano la libertà.

Sul sito (w w w . i l d u e . i t), graficamente ben curato, sono presen-

ti focus e storie, oltre ad una ricca serie di link che collega ad altri siti

di associazioni, onlus e gruppi di volontariato. A Roma c’è

Papillonrebibbia che tratta i temi dalle carceri con un occhio di

riguardo alla situazione dei penitenziari capitolini, dando spazio alle

ultime notizie che riguardano le carceri di tutto il mondo. La concen-

trazione di tutte queste riviste è polarizzata tra Emilia, Toscana e

Lombardia. In tre sole regioni d’Italia c’è quasi il 50 per cento degli

organi informativi interni ai penitenziari.

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 3

Tavoli a un metro dalla turcae 20 mila detenuti in esubero. Un morto ogni due giorni,dall’inizio dell’anno 61 suicidi

Per sap e rne di piùPietro Anastasia e Patrizio Gonnella

Pat rie ga l e re . Vi a ggio nell’Italia dietro le

s b a rre ( C a ro c c i ) ; Autori vari, M a l ati in car -

c e re . Analisi dello stato della salute delle

p e rsone detenute ( Franco A n g e l i ) ; J e a n -

Louis Senon, La salute mentale in carcere

( C e n t ro Scientifi c o ) .

Page 4: magzine 01

A V O L O N T À N O N G L I M A N C Ae le sue

parole hanno dato al mondo

una speranza di progresso,

tanto da ricevere il premio

Nobel per la Pace, ma ha anco-

ra molto da imparare. «Obama deve reinven-

tare la ruota e riscoprire il fuoco della politica

estera Usa - spiega John L. Hirsch, ex

ambasciatore Usa in Sierra Leone -. Il presi-

dente - spiega - dovrà riscoprire metodi di

agire tradizionali per trovare la soluzione alla

questione del Medio Oriente e nelle altre aree

di crisi».

Sono tre i punti che Hirsch, consigliere

dell’International peace institute di New York

e docente di Affari pubblici e internazionali alla

Columbia University, indica nel tracciare un

bilancio positivo dei primi nove mesi dell’am-

ministrazione Obama: apertura al dialogo,

approccio immediato alle questioni cruciali,

atteggiamento propositivo per nuove alleanze.

Esempi del nuovo corso sono l’apertura,

per la prima volta dopo trent’anni, di un dialo-

go con l’Iran e l’attivismo in Medio Oriente.

«Obama - spiega Hirsch -, come i predecessori,

appoggia la soluzione dei due Stati in Palestina

e Israele ma, diversamente, riconosce in modo

più chiaro le aspirazioni palestinesi e si dice

contrario ai nuovi insediamenti israeliani».

Anche nei rapporti con la Cina, Hirsch

vede miglioramenti e loda la linea del pragma-

tismo: «È possibile una convergenza di inte-

ressi per neutralizzare le conseguenze della

crisi, riequilibrare il commercio e ridurre l’in-

quinamento atmosferico».

Infine l’Afghanistan e quella che, come

la definisce il diplomatico, è ormai “la

guerra di Obama”. Hirsch non nega le

difficoltà ma spiega: «Ormai non c’è

più un netto confine tra pace e conflitto, ma

transizioni a lungo termine impossibili da giu-

dicare giorno per giorno. In Afghanistan -

conclude - non ci sarà un giorno della vittoria.

Ci saranno, spero, una serie di passaggi che

ridurranno le influenze negative». N o -

nostante il giudizio complessivamente positi-

vo, John L. Hirsch, c h e ha anche ricoperto

incarichi in Somalia, Pakistan, Israele e

Sudafrica, è convinto che non sia il caso di

aspettarsi miracoli dalla politica estera di

Obama: «L’amministrazione - spiega - è

ancora in fase di apprendimento, sta rianno-

dando i fili di antiche questioni per trovare

nuove risposte».

Nei recenti attentati talebani in Pakistan

le vittime sono state quasi trecento. È pos -

sibile che l’epicentro della crisi si stia spo -

stando dall’Afghanistan al Pakistan?

Il segretario di Stato Hillary Clinton a

Islamabad ha cercato di convincere il popolo

pakistano che sconfiggere i talebani è nel loro

interesse. La crisi afghana e quella pakistana

sono distinte ma legate tra loro: la frontiera tra

i due paesi è permeabile, il popolo pashtun è

sparso su entrambi i fronti. In Pakistan però il

governo è democratico e c’è la speranza che

l’esercito combatterà con più forza i talebani.

L’Iran accetta lo schema di accordo sul

nucleare raggiunto dal 5+1 a Vienna,

ma chiede rilevanti modifiche. È un

progresso o un diversivo di Teheran?

Sono i primi contatti dopo molto tempo

tra i Paesi del 5+1 e l’Iran, siamo già un passo

avanti. Se l’Iran accetterà di arricchire il pro-

prio uranio in Russia, le cose miglioreranno. Al

contrario gli Usa chiederanno al Consiglio di

sicurezza Onu nuove sanzioni all’Iran e su que-

sto i migliorati rapporti tra Usa, Russia e Cina

potrebbero favorire una convergenza.

Il presidente palestinese Abu Mazen ha

detto di non volersi ricandidare alle

elezioni di gennaio perché deluso dagli

scarsi sviluppi del processo di pace in

Medio Oriente. Sarà un problema?

Abu Mazen non è l’unico candidato credi-

bile all’interno di Fatah. I palestinesi sono

delusi da Hamas, che a Gaza non ha dato risul-

tati su servizi, economia e sicurezza.

L’economia della West Bank controllata

dall’Autorità Nazionale Palestinese, invece, è

cresciuta e così la qualità della vita. Un contra-

sto che non credo porterà Hamas alla vittoria.

La crisi azzererà i primi sviluppi su Pil,

investimenti e riforme in Africa?

La povertà di molti paesi africani limita il

loro coinvolgimento nella crisi. Sudafrica,

Ghana e Senegal possono proseguire il loro

sviluppo. I problemi veri riguardano aspetti

preesistenti: il malgoverno, l’estrazione illegale

di materie prime e le guerre in Congo, Sudan e

Somalia. Ad ogni modo, Usa e Ue dovranno

contenere le conseguenze della crisi sull’Africa.

L’era di Obama, un anno da presidente

Il presidente Usa premio Nobel per la Pace d eve guard a re al passato e dare risposte nu ove.«Saprà re i nve n t a re la ruota e ri s c o p ri re il fuoco».Un compito diffi c i l e. L’analisi John L. H i rsch

L

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20094

stati uniti

di Marco Billeci

John L.Hirsch È m e m b ro dell’International Pe a c e

Institute come consigliere per il Pro gra m m a

A f ri c a , docente alla Columbia Unive rsity e

a l l ’ U n ive rsità del Wi s c o n s i n . è Stato amba-

s c i a t o re degli Stati Uniti nella Repubblica di

S i e rra Leone dal 1995 al 1998. Ha pubb l i c a-

t o : S i e rra Leone: diamonds and the stru gg l e

for democra c y e Somalia and Operat i o n

R e s t o re Hope: reflections on peacemaking

and peacekeep i n g.

Page 5: magzine 01

fired up, ready to go!

Fired up, ready to

g o !». Carico, ma anco-

ra un po’ impacciato,

Obama tenta così di

incitare, o di convincere, le prime

ristrette folle dei suoi sostenitori.

Al termine del suo discorso

l’esperto David Axelrod, suo con-

sulente per la comunicazione, lo

corregge: «Sei stato grande, però

dovresti dire fired up, lasciare alla

gente qualche secondo in più per

ripetere e poi continuare con

ready to go». Retroscena di cam-

pagna elettorale dell’uomo che

diventerà il presidente degli Stati

Uniti: a raccontarli è il documen-

tario By the people: the election

of Barack Obama presentato il 3

novembre dall’emittente Usa

H b o. La produzione racconta la

scalata di Obama da senatore a

presidente, e lo fa da una prospet-

tiva inedita. L’obiettivo della tele-

camera non fissa il grande palco-

scenico, ma si aggira in libertà

nell’inaccessibile dietro le quinte.

E il backstage non è la sola novità

di questo documentario.

L’aspetto straordinario

riguarda l’inizio delle riprese: la

prima telecamera si accende

quando nessuno ancora ha la cer-

tezza che Obama si candiderà per

la presidenza. Lo racconta A m y

R i c e , co-direttrice della produ-

zione: «Era l’estate del 2004

quando ho ricevuto una telefona-

ta di mio fratello Andrew che mi

invitava a guardare questo giova-

ne senatore, Barack Obama, che

stava dando alcune chiavi di indi-

rizzo alla Convention democrati-

ca. Rimasi molto impressionata

da quello che Obama stava dicen-

do nel suo discorso. Era davvero

innovativo ed era come se fosse la

prima volta che un politico parla-

va alla mia generazione».

Così ad Amy Rice viene

l’idea del documentario, e contat-

ta la regista Alicia Sams per aiu-

tarla a realizzarlo. Il progetto

viene presentato alla casa cine-

matografica dell’attore E d w a r d

N o r t o n , C l a s s 5 F i l m s, che lo

approva immediatamente. Le

riprese iniziano l’11 maggio 2006,

nove mesi prima che Obama

annunci la sua corsa per la presi-

denza.

Intervistato durante la tra-

smissione televisiva C o u n t d o w n,

Norton ha affermato: «Volevamo

fare una sorta di diario politico,

eravamo interessati a guardare la

politica attraverso gli occhi di un

nuovo, giovane senatore. Con un

approccio sopra le parti e senza

l’intenzione di celebrare Obama e

il suo staff, il documentario vole-

va registrare l’esperienza a livello

emotivo, cosa significa essere per-

sone che costruiscono un pezzo di

s t o r i a » .

il progetto ha vissuto un

momento critico quando lo

staff elettorale ha iniziato a

lavorare con l’obiettivo

della Casa Bianca e l’entourage di

Obama ha chiesto di sospendere

le riprese: «Abbiamo dovuto con-

vincere Axelrod che noi non era-

vamo i media», ha rivelato

Norton. Presto però la questione

è stata risolta: «Avere iniziato a

lavorare già molti mesi prima ci

ha permesso di definire quello

che stavamo facendo e di costrui-

re un rapporto con lo staff», sot-

tolinea Amy Rice.

Il resto della storia, come

dice Amy, è nel film, che non

poteva avere migliore e impreve-

dibile finale: «Non sono mai stato

il candidato più probabile per

questo incarico - aveva detto

Obama nel suo discorso alla

nazione la notte della vittoria -.

Quando abbiamo cominciato

avevamo pochi soldi e pochi

appoggi». La campagna invece è

diventata possibile ed è stata

costruita «da quei milioni di ame-

ricani che hanno lavorato come

volontari, che hanno coordinato,

e che hanno dimostrato, più di

due secoli dopo, che un governo

del popolo, dal popolo e per il

popolo è ancora possibile. Questa

è la vostra vittoria».

Il documentariodi Amy Ricer i p e r c o r r ela campagnaelettorale delprimo presidentea f r o - a m e r i c a n onella storia degliStati Uniti

B a ra ck by the peopleIl film delle pre s i d e n z i a l i

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 5

di Carlotta Gara n c i n i

Page 6: magzine 01

L T R A F F I C O D I D R O G H E è un fenomeno

in grande espansione, anche in Italia.

Lo dicono i titoli delle prime pagine

dei giornali nell’ultimo mese:

«Traffico di droga ad Arezzo» (9 otto-

bre, I r i s p r e s s), «Scoperto un chilo di cocaina a

Cosenza» (15 ottobre, Il Sole 24 Ore), «Nuovo

traffico di droga a Roma tra vip e personaggi

dello spettacolo» (4 novembre, La Repubblica) ,

«Scoperto traffico di droga tra

l’Abruzzo e la Campania» (5 novem-

bre, Libera Informazione). Non è

una casualità. E a confermarlo è il

giornalista di R e p u b b l i c a L u c a

R a s t e l l o, esperto di narcotraffico.

Nel suo ultimo libro, Io sono il mercato,

Rastello racconta la storia di un insospettabile

marito borghese, che lascia l’Italia alla volta del

Sudamerica e diventa narcotrafficante.

U n ’ a n a l i s i originale, da un nuovo punto di

osservazione, quello del trafficante, per capire

come l’economia illegale riesca a infiltrarsi in

quella legale e a condizionarla. Rastello analiz-

za le cause dell’espansione del fenomeno, la

situazione italiana e indica quale potrebbe esse-

re un rimedio al problema.

Quando ha iniziato a interessarsi di

n a r c o t r a f f i c o ?

Questo libro è il coronamento di un lavoro

che dura da diversi anni. Diciamo dagli anni

novanta, quando ho cominciato a dirigere il

mensile N a r c o m a f i e. Anche nel mio lavoro da

giornalista mi sono sempre occupato dell’argo-

mento. Oltre a concentrarmi sulla parte dei

consumatori, nel libro ho preferito cercare di

comprendere la parte criminale, anche a livello

mondiale. Come fanno i narcotrafficanti a por-

tarne tante tonnellate in giro per il mondo? Chi

li copre e glielo permette? Come si muovono?

Che relazioni internazionali hanno? Ho scelto

di raccontare la storia di uno di loro, chiarendo

alcune questioni.

Anche in Italia è sempre all’ordine del

giorno la scoperta di narcotraffici

segreti. Qualche giorno fa in Abruzzo,

poi a Roma, ora in Campania. È u n

fenomeno in espansione?

Il narcotraffico è sempre in espansione. È

un fenomeno redditizio, perché produce ric-

chezza immediata, ed è in crescita costante da

troppi anni. Per limitarlo sono state adottate

tecniche largamente fallimentari. Anche se,

come oggi, le droghe naturali sono

in leggero calo di produzione, sono

invece in aumento le droghe sinte-

tiche, diffusissime in tutta Europa.

E anche se diminuisce la produzio-

ne, non calano i consumi, perché le

droghe vengono sempre più tagliate, lavorate,

modificate e quindi sempre vendute.

Gli Stati Uniti hanno deciso di aumen -

tare uomini e basi militari per la lotta al

narcotraffico. In Italia sono attuabili

misure di questo tipo?

In America dall’arrivo di Obama sono

aumentati di molto gli sforzi, anche economi-

ci, di lotta al traffico di droga. Ora però speria-

mo si vedano anche risultati concreti. In Italia

non ci sono nuove misure. Anche perché la

nostra organizzazione militare di lotta al nar-

cotraffico è già piuttosto efficiente. Il punto è

che non serve solo la componente militare.

E allora come si può combattere vera -

mente il narcotraffico?

Il punto è che le droghe, e in particolare

la cocaina, sono la moneta di tutti gli scambi

illeciti al mondo, inclusi i finanziamenti agli

Stati in guerra. Si è però rivelato inutile colpir-

ne la produzione. In realtà lo si è fatto, ma

sporadicamente. E quando lo si è fatto, è tor-

nato utile per ottenere una forma di consenso

immediato, ma mai per risolvere il problema

del narcotraffico alla radice. Bisognerebbe

investire in campo educativo, con politiche

sociali e insegnamenti diretti. Scoraggiando la

domanda si sconfigge il mercato della droga.

Questa sarebbe la soluzione più logica.

Insieme a interventi come l’antiriciclaggio, la

lotta ai paradisi fiscali, più controllo e traspa-

renza sulle operazioni finanziarie nazionali e

i n t e r n a z i o n a l i .

Per sap e rne di piùLuca Rastello, Io sono il mercato ( e d i-

zioni Chiare l e t t e re ) .

Le rotte della cocaina,nuove regole di mercato

G i ra alle feste della capitale, t ra i terre m o t a t id e l l ’ A q u i l a , nelle discoteche di Milano, nei bardella Campania. La cocaina non è solo la droga più consumata, ma la nu ova moneta corre n t e

I

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20096

narcotraffico

di Enrico Turcato

Page 7: magzine 01

l‘ultimo capitolo della

lotta alla ‘ndrangheta

milanese si è aperto con

17 arresti e 48 indagati.

In manette sono finiti

numerosi esponenti di famiglie

della criminalità organizzata cala-

brese e due insospettabili

imprenditori della provincia di

Milano, della ditta K r e i a m o d i

Cesano Boscone. È la storia infi-

nita della ‘ndrangheta lombarda,

che dall’hinterland sud controlla

ormai da tre decenni droga e

appalti. «La terza generazione

spuria della ‘ndrangheta milane-

se» l’ha chiamata il procuratore

capo di Milano, Manlio Minale.

«Siamo entrati in una nuova fase,

anche se le ultime generazioni

stanno cercando ancora di capire

come evolversi», spiega P i e r o

C o l a p r i c o , giornalista di L a

R e p u b b l i c a, profondo conoscito-

re del fenomeno e autore del libro

intervista al pentito calabrese

Saverio Morabito, M a n a g e r

Calibro 9.

I capi delle famiglie Papalia

e Barbaro riescono a dirige -

re gli affari da dietro le

sbarre. Chi sono i referenti a

piede libero a capo della

piramide di affari?

Anni fa intervistai Rocco

Papalia, uno dei figli del patriarca

Domenico, ritenuto uno dei capi

dell’organizzazione. Persona affa-

bile, si sforzava di dirmi che non

era il boss, a differenza di quello

che dicevano gli altri. Il suo è

l’esempio perfetto per spiegare

che la ‘ndrangheta non è tutta

uguale. In quella aspromontana i

legami familiari sono di estrema

importanza. Fai parte di

un’aristocrazia, e non hai

scelta: operi nell’associa-

zione, volente o nolen-

te. Figli, nipoti e

parenti di sangue

“devono” condurre

un certo tipo di vita

per rispetto nei confronti dei

nonni, degli zii.

Non dico che siano schiavi,

perché è chiaro che ogni affiliato

cerca di mimetizzarsi, ma questa

è tutta un’altra generazione. I

primissimi, i nonni, facevano i

classici lavori della malavita; poi

negli anni Settanta, i padri hanno

acquisito preminenza e potere

nei confronti delle altre malavite,

grazie ai sequestri in serie. E

negli anni Ottanta hanno bene

investito soldi e posizione nel

mercato dell’eroina. Adesso ci

sono i sessantenni che hanno da

amministrare i patrimoni, e i gio-

vani che dovrebbero occupare il

ruolo operativo. Ma, da un lato,

gli manca il “supporto tecnico”,

perché i parenti sono in galera;

dall’altro, si trovano spiazzati,

perché magari hanno fatto l’uni-

versità, sono entrati in contatto

con l’altro mondo, quindi non

sono propriamente parte del-

l’universo criminale. La

terza generazione è

particolarmente com-

b a t t u t a .

La magistratura riesce a

mettere a segno questi colpi

proprio grazie all’incapaci -

tà della nuova generazione

di gestire la fase operativa?

La capacità investigativa

della procura di Milano è la

migliore in Italia, ma proprio per-

ché i nuovi non sono né carne né

pesce, hanno perso l’abitudine

rispetto ai padri di controllare i

movimenti o di stare attenti ai

t e l e f o n i n i .

Eppure, se il potere di sbar -

ramento della Procura di

Milano è così imponente,

come mai la ‘ndrangheta

non ha pensato di “liberar -

si” del problema puntando

il mirino sui magistrati in

prima linea?

Sarebbe materialmente faci-

le, ma politicamente arduo, per-

ché la reazione dello Stato sareb-

be mostruosa. Inoltre a Milano

questo tipo di operazioni sono

condotte da un pool di quattro

magistrati ed è difficile isolarne

uno. Alla fine degli anni Ottanta,

le ‘ndrine portarono un lancia-

missile a Milano per usarlo in un

attentato: fortunatamente fu

intercettato dalle forze dell’ordi-

ne. Dopo le grandi stragi di

mafia, l’idea è di non smuovere

troppo l’attenzione e ottenere i

benefici attraverso altri canali.

Inoltre, il metodo di lavoro della

Procura di Milano, basato sulla

condivisione degli elementi d’in-

chiesta tra i magistrati, è una

polizza d’assicurazione sulla vita.

Se anche uno fosse colpito, gli

altri sarebbero capaci di conclu-

dere un’indagine rimasta in

s o s p e s o

Io piuttosto rivolgerei l’at-

tenzione altrove. Il sogno di que-

sta nuova generazione è la politi-

ca, magari all’inizio fiancheggian-

do qualche prestanome, poi

facendosi largo da soli. O in alter-

nativa, essere parte dell’impren-

ditoria che tratta i grandi appalti

con lo Stato.

Ricorda il film “Il Padrino”,

quando don Vito Corleone

(Marlon Brando) si ramma -

rica vedendo il figlio

Michael (Al Pacino) a capo

della famiglia, perché per

lui aveva sognato un futuro

al Senato.Vero, anche se in Italia i

mafiosi in Parlamento ce liabbiamo dagli anni ‘30. O perlo-meno, tracce di mafia.

Per sap e rne di più P i e r o C o l a p r i c o e L u c a

F a z z o,Manager calibro 9

( G a r z a n t i ) ;Davide Carlucci e

Giuseppe Caruso,La ‘ n d ra n g h e t a

comanda a Milano ( Ponte alle

G ra z i e ) ;Mario Portanova,

Giampiero Rossi e Franco

S t e f a n o n i,Mafia a Milano,E d i t o ri

ri u n i t i ;Nicola Gratteri e Antonio

N i c a s o,Fratelli di sangue,

M o n d a d o ri .

La ve c chia ’ndra n g h e t asi riprende Milano

mafie

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 7

di Ta n c redi Pa l m e r i

Page 8: magzine 01

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 20098

giornalismo

di Daniele Monaco

A B R I Z I O GA T T I è

uno di quei gior-

nalisti che dopo

aver perso una

telefonata, appe-

na può, richiama

il numero che ha trovato sul

display del telefonino, si trovasse

anche nel deserto del Sahara, alla

ricerca dei camion carichi di

immigrati irregolari, in un paese

dove i giornalisti sono perseguita-

ti e torturati.

Maestro dell’inside journa -

l i s m, Gatti si è travestito da immi-

grato, da bracciante, da addetto

alle pulizie e ha raccontato le veri-

tà nascoste e le vergogne dello

sfruttamento degli immigrati e

dell’inefficienza nell’amministra-

zione pubblica. Celebri sono le

inchieste per L ’ e s p r e s s o a

Lampedusa, nelle campagne di

Puglia, al Policilinico di Roma e

nella metro a Milano. In prima

linea anche nel terremoto

d’Abruzzo, è tornato in Africa per

il reportage L’amico Isaias, sugli

immigrati d’Eritrea.

Fabrizio Gatti, qual è lo

scoop a cui sei più affeziona -

t o ?

Il lavoro che più mi ha segnato è

stato il mese e mezzo di viaggio

sui camion attraverso il deserto

del Sahara con i clandestini verso

la Libia. Dopo un’esperienza del

genere non sei più quello di

prima. Tuttavia metto in discus-

sione il concetto di “scoop”.

Arrivare per primi è meglio, ma lo

scoop non è il fine, altrimenti il

compito del giornalista - che è pre-

visto anche dalla Costituzione - si

riduce a gol fatti e subiti. Lo scoop

a cui penso è sempre il prossimo,

quelli già fatti sono vecchi.

Cosa intendi per “il prossi -

mo scoop”?

Non sono affezionato al lavoro

che ho già fatto: fa parte del passa-

to. Chiuso un lavoro bisogna ini-

ziare a programmare il successi-

vo. In questo senso lo scoop

migliore è sempre il prossimo,

quello che ancora non è stato fatto

e su cui bisogna lavorare.

Ma sicuramente ti ricordi il

primo che hai fatto.

È del novembre ’88, collaboravo

per Il Giornale di Montanelli

dalla provincia di Mi-

lano. Un brutto

fatto di razzi-

smo, ai danni

di un nigeriano

insultato dal pa-

drone di casa che voleva

far sfondare la porta di ingres-

so dell’appartamento. All’in-

terno la moglie del nigeriano

stava morendo asfissiata per

il monossido di carbonio. Non

l’hanno potuta salvare.

Come sei arrivato su questa

n o t i z i a ?

Con un giro telefonico di nera.

L’avevamo noi de i l G i o r n a l e e il

C o r r i e r e. Ma Il Giornale

lo mise in prima pagina,

il C o r r i e r e no. Alla fine

sembrò che la notizia

fosse solo del G i o r n a l e e

giornali e tv si misero al

seguito per questa sto-

ria. Ai funerali di questa

ragazza, che aveva

meno di trenta anni,

parteciparono centinaia

di persone. Ecco, trovo

riduttivo definire tutto

questo come “scoop”,

perché spesso sono sto-

rie vissute sulla pelle della gente.

Quindi che parola useresti

al posto di scoop?

“Articolo”. Una volta che ci hai

messo il punto è un articolo come

un altro.

Dopo la pubblicazione di

questa esclusiva è cambiato

qualcosa nel tuo lavoro?

Sì, perché da ragazzo di provin-

cia cominciai ad avere turni di

sostituzione in redazione. Avevo

circa vent’anni e Giuliano

Molossi, capocronaca di

allora, mi chiese: «Vuoi

passare la tua vita a fare

il corrispondente di pro-

vincia o vuoi anche comin-

ciare a venire in redazione?».

Puoi immaginare la mia risposta.

Cosa deve avere un’inchie -

sta per colpire l’opinione

p u b b l i c a ?

Deve approfondire un argomento

che nessuno ha mai approfondito

e magari smentire una versione

ufficiale viziata da propaganda o

censura. Solo così il giornalismo

contribuisce alla libertà dei cittadi-

ni e far vedere loro come stanno

veramente le cose. Il bravo giorna-

lista si mette in gioco e racconta

dall’interno una realtà, spiegando-

la meglio di altri. Non si tratta solo

di avere per primi la notizia, ma

anche di saperla raccontare. Ad

esempio, il mio articolo comparso

a fine marzo sulla rotta dei

migranti in Sahara smentiva la

versione ufficiale degli accordi

Italia-Libia sull’immigrazione.

Quanto è d’aiuto la tecnolo -

gia a un giornalista?

Il giornalista è un comune cittadi-

no, per questo scende in strada. I

giornalisti che pensano di portare

la realtà dentro uno studio televi-

sivo rappresentano una distorsio-

F

Gat tid e n t ro i fat t i

R a c c o n t a re la re a l t à .È il compito del giorn a l i s t a ,ma non sempre è possibile farlo a viso scopert o.Alcune inchieste riescono solo sotto copert u ra .Ma ci sono precise regole e tecniche da ri s p e t t a re

Page 9: magzine 01

ne. Per il C o r r i e r e mi sono

mischiato fra i tossici andando a

comprare la droga. Senza questo

metodo conosceremmo solo la

verità che fa comodo a chi la rac-

conta. D’altro canto, oggi chiun-

que può avere ascolto attraverso

internet, che libera l’informazio-

ne dai media concentrati e costo-

si come il giornale, la tv o la radio

che hanno bisogno dell’editore o

di una complessa struttura di tra-

smissione.

Credi che l’informazione dal

basso fatta dai cittadini

possa in qualche modo

sostituirsi all’informazione

dei grandi media?

Molti blogger prendono le notizie

dai giornali o da altri mezzi tradi-

zionali. Se ci fossero solo blog nes-

suno potrebbe spendere un mese

e mezzo della sua vita in mezzo ai

clandestini, nel deserto, rischian-

do la pelle. Come in una piazza

parleremmo di noi stessi senza

contatti con la realtà. Nella storia

dell’informazione i cittadini han-

no delegato ai giornalisti il compi-

to di andare a vedere e racconta-

re, ma li possono richiamare al

compito di rispettare, approfon-

dire e verificare i fatti. Ciò non

toglie che la conoscenza la dà chi

ha accertato un fatto e il blog non

riesce a farlo. Anche se alcuni blog

d’informazione non hanno niente

da invidiare a giornali e tv. Inoltre

internet può giocare sulla potenza

della multimedialità con costi

decisamente più

bassi rispetto a

radio e tv.

Un giornalista

che viene della

carta stampata

può fare un buon prodotto

con la telecamera?

Fotografare e descrivere la scena

con una piccola digitale è una

grandissima comodità. Perché

non rendere partecipe il lettore

dandogli le immagini raccolte

con quel bloc notes? Se poi l’in-

tenzione è di fare “buone” imma-

gini, il discorso è diverso. Il con-

fronto tra pellicola e digitale è lo

stesso fra un vinile e un mp3: la

velocità e la comodità del suppor-

to e della fruizione vincono sulla

qualità di resa del suono o delle

immagini. Il mio lavoro in Niger

avrà tante lacune documentari-

stiche e cinematografiche, ma i

lettori possono vedere con i loro

occhi quello che ho visto io. Al

mio ritorno ho lavorato per una

settimana al testo per il giornale e

al video per il sito. In “Policlinico

degli orrori” ho usato le immagini

come bloc notes ma anche per

difendere il mio lavoro da smen-

tite, querele e richieste di risarci-

mento danni.

Quali sono i limiti dell’inside

j o u r n a l i s m ?

Se un giornalista lo imposta come

metodo esclusivo è una deforma-

zione. Vedere un fenomeno da

vicino ti impedisce di avere un

quadro d’insieme. In antropolo-

gia però esiste l’osservazione par-

tecipante. Se sai che in un certo

posto avvengono delle violazioni

o dei reati e il clan o lo Stato ti

impediscono di verificare, come

fai? All’ufficio stampa del

Policlinico non avrei visto nulla. Il

lavoro è stato possibile sotto

copertura. Cosa avrei visto suo-

nando il campanello?

Cosa manca al giornalismo

i t a l i a n o ?

Forse troppi

giornalisti pen-

sano alla carrie-

ra personale. In

funzione di una

promozione o di

uno spazio televisivo molti sono

disponibili a tutto, ma in questo

modo tradiscono la missione di

raccontare la realtà ai cittadini. la

conseguenza di questo atteggia-

mento è una generale mancanza

di coraggio del giornalismo e la

tendenza a inginocchiarsi davanti

all’autorità e al potere. Sarà una

lacuna strutturale o di mentalità,

ma è anche il risultato di interessi

personalistici. Ma noi giornalisti

abbiamo un giuramento verso la

Costituzione italiana.

Un consiglio a chi comincia

questo lavoro?

Accettare di partire anche dalla

cronaca, dal giro di nera. Non

essere presuntuosi e non conside-

rare il giro di nera l’ultimo lavoro

della redazione, perché può uscir-

ne un articolo da prima pagina o

un pezzo da venti righe. Fare cro-

naca il più a lungo possibile. Che

si faccia il lavoro a Baghdad o in

periferia di Milano, lo strumento,

“l’abc”, non cambia. Cambiano i

rischi, ma non lo strumento: la

curiosità, la verifica, le domande

che si fanno e un buon paio di

scarpe per camminare. Anzi, a

volte si cammina anche a piedi

n u d i .

Per sap e rne di piùFabrizio Gatti, Viki che

v o l eva andare a scuola ( e d i z i o n i

Fa bb ri ) , B i l a l .Vi a gg i a re , l av o ra re ,

m o ri re da clandestini, ( e d i z i o n i

B u r ) .

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 9

Non sono un tipo che si affezionaai lavori che ha fatto: fanno partedel passato. Per me conta soltanto il prossimo, lo scoop che verrà

Page 10: magzine 01

’O P P I O D E I P O P O L I i n

Russia non è più la

religione, ma la

televisione. «Oggi

l’opinione pubbli-

ca russa si forma con la televisio-

ne - spiega Boris Dubin, socio-

logo del centro L e v a d a, polo

indipendente di analisi politica e

sociale -. I palinsesti sono orga-

nizzati per trattare il meno possi-

bile gli affari di Stato. Così si rive-

la un intento politico: rendere gli

spettatori dei robot passivi». Un

processo che negli anni ‘90 ha

travolto la Russia come diversi

paesi dell’Occidente: uomini

delle istituzioni che sfumano la

loro identità politica trasforman-

dosi in personaggi da spettacolo

e intrattenimento. Un fenomeno

che Walter Benjamin definiva

“estetizzazione della politica”.

«Il problema - sottolinea

Dolgin, che è anche animatore

del sito P o l i t . r u, riferimento per

le coscienze democratiche russe -

è che nel nostro Paese non esisto-

no consuetudini democratiche

capaci di ridimensionare questa

deriva. Il governo utilizza un

autoritarismo soft: esistono le

opposizioni ma non sono diffu-

se». Il risultato? «Anche se le

cose vanno a rotoli - continua

Dolgin - raramente l’opinione

pubblica reagisce contro le per-

sonalità più importanti. Putin e

Medvedev sembrano trascende-

re i problemi del Paese. Da noi è

sempre stato così: la colpa è dei

boiardi, non dello Zar».

I giornali nazionali, letti

sempre meno e costantemente

monitorati dal governo, perdono

terreno nei confronti delle gaz-

zette locali, fogli agili e legati ai

fatti. È più facile, per la stampa

regionale, raccontare le distorsio-

ni della burocrazia che, sul terri-

torio, guida l’ardua transizione

dal passato sovietico al futuro

globalizzato. Internet, in Russia,

è diffuso meno che altrove: solo il

25% della popolazione può acce-

dere al web, mentre in Italia la

percentuale è del 50.

«In rete e fra i blog si muove

un’elite frammentata ma consa-

pevole - aggiunge Boris Dubin -.

Recentemente, nelle aule della

Duma, si è discusso di limitare la

trasparenza del web con inter-

venti che ricordano le norme

cinesi, ma finora questo spettro è

stato agitato senza risvolti con-

creti». Il presidente Dimitri

Medvedev cura un sito persona-

le. Dal suo canale online, qualche

mese fa, è partito un importante

messaggio di condanna al passa-

to stalinista. Un intervento rivol-

to alla parte progressista dell’opi-

nione pubblica che in tv non è

stato trasmesso.

La grande maggioranza dei

cittadini russi, nonostante tutto,

conserva un sentimento positivo

riguardo la guerra patriottica di

Stalin. Questo episodio rivela

l’importanza cruciale della multi-

medialità anche nel futuro del

giornalismo in Russia.

L

M a ro c c o,vita duraper la sat i ra fra n c e s e

Come la tvha uccisola stampain Russia

libertà di stampa

le Monde e El Pais n o n

sono più graditi in

Marocco, a causa di due

vignette satiriche che, a

detta del ministro e por-

tavoce del governo marocchino

Khalid Naciri, «attenterebbero

alla dignità dell’istituzione

monarchica». Le copie del quoti-

diano francese con la vignetta

incriminata sono state bloccate

all’aeroporto giovedì 22 ottobre e

la distribuzione del giornale è

stata interdetta per i tre giorni

seguenti. Il disegno del vignetti-

sta francese Jean Plantu r a f f i-

gura una caricatura che allude al

re Mohammed VI. Il vignettista

denuncia a sua volta il processo

in corso contro il collega maroc-

chino Khalid Gueddar, che «ha

osato ritrarre la famiglia reale

marocchina» e precisamente il

cugino de re Moulai Ismail. Il

caso riguarda una caricatura

apparsa alla fine di settembre sul

quotidiano Akhbar Al Youm, che

aveva spinto Rabat a decidere la

chiusura provvisoria del giornale.

Ora è la volta di El Pais, colpevo-

le di aver ripreso le vignette in un

articolo sulla libertà di stampa ed

espressione in Marocco.

Domenica 25 ottobre le copie

dell’edizione locale del quotidia-

no spagnolo sono rimaste nelle

stive dell’aereo. «Non abbiamo

nulla contro El Pais e Le Monde

- assicura Naciri -, ma non per-

mettiamo attentati alla monar-

chia. Non si obbliga nessuno ad

amare questo paese ma almeno

a rispettarlo». Nell’ottobre del-

l’anno scorso Rabat ha sottoscrit-

to un accordo con l’Unione

Europea in cui si impegna a

rispettare i diritti democratici in

materia, ma non è la prima volta

che in Marocco la libertà di

stampa ed espressione sono

messe in ombra. Da questa esta-

te infatti le autorità marocchine

si dimostrano più severe nei con-

fronti della libera stampa. Il 26

ottobre sono stati condannati Ali

Anouzla, direttore del quotidiano

Al Jarida Al Oula, e la giornalista

Bouchra Eddou per aver com-

mentato un comunicato della

famiglia reale che informava di

un problema di salute del re

Mohammed VI. Le pene sono

poi state convertite in sanzioni

pecuniarie. La svolta autoritaria

della monarchia marocchina è

oggetto di critiche dalla

Federazione delle associazione

dei periodici spagnoli (Fape), che

ha condannato la censura nei

confronti di El Pais, consideran-

do «deprecabile l’atteggiamento

censore del ministero della

Comunicazione marocchina» e

avvertendo del «pericolo di

minacce al pluralismo dell’infor-

mazione in Marocco». L’Unione

Europea ha ricordato che il man-

tenimento del primato del

Marocco tra i paesi arabi nel

campo della libertà di stampa è

condizione essenziale per conser-

vare i buoni legami diplomatici e

che le «preoccupanti violazioni

in questo campo potrebbero

incidere negativamente sui rap-

porti bilaterali».

«Non possiamopermettere che siattenti alla dignità d e l l ’ i s t i t u z i o n emonarchica». Così il protavocedel governo ha giustificatoil sequestrodelle vignetteche non piacevanoa Mohammed VI

di Gregorio Ro m e o

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 200910

di Fabrizio Aurilia

Page 11: magzine 01

I N A, v e r s a n t e

s e t t e n t r i o n a-

le, monti

Taihang. A

ovest si di-

stende l’altopiano dello Shan-

xi, provincia stretta fra i rilie-

vi e la grande muraglia, terri-

torio arido e colmo di carbo-

ne. Negli ultimi anni le minie-

re sono proliferate, rendendo

l’area fra le più inquinate del

paese. Chi scende verso i gia-

cimenti, da queste parti, non

sa con certezza se tornerà

i n d i e t r o .

Sono innumerevoli gli

incidenti, spesso occultati dal

governo e dalle corporation,

che colpiscono quotidiana-

mente gli operai. Una riuscita

inchiesta di Abel Ségrétin,

giornalista free lance francese

da oltre otto anni in Cina, ha

acceso i riflettori su uno dei

segreti del “miracolo asiati-

co”. La sua indagine, condot-

ta insieme al fotografo Sa-

muel Bollendorff, è il primo

web documentary mai rea-

l i z z a t o .

La storia, disponibile online

su d o c l a b . v o y a g e a u b o u t d u -

c h a r b o n . c o m, coinvolge di-

rettamente lo spettatore at-

traverso una costruzione in-

tegrata che ricorda i videoga-

mes punta e clicca. L’utente

sceglie chi intervistare, che

domande fare, dove muover-

si attraverso le immagini e le

esperienze degli autori.

Journey to the end of

c o a l, prodotto dalla francese

H o n k y t o n k, è il primo repor-

tage interamente realizzato

per una piattaforma multi-

mediale. Abel Ségrétin rac-

conta così il progetto.

Perché avete deciso di

utilizzare questo tipo di

p i a t t a f o r m a ?

L’inchiesta era pensata per la

carta stampata, la narrazione

fotografica e la radio, ma

dopo aver incontrato Arnaud

Dressen, responsabile della

casa di produzione H o n k y

t o n k, è nata l’idea di presen-

tare l’intero materiale

in formato multime-

diale.

Gli episodi rac -

contati sono del

tutto fedeli alla vostra

esperienza in Cina?

Ogni scena del “viaggio” è

basata su fatti reali. L’unico

adattamento è stato fatto per

poter ricomporre in un’unica

avventura di due giorni quel-

lo che io e Samuel Bollendorff

abbiamo vissuto in diverse

settimane nello Shanxi. Que-

sta è la forza del nostro lavo-

ro: non è un gioco, ma gior-

nalismo in una veste nuova.

Quali sono i vantaggi

delle piattaforme multi -

mediali in relazione agli

altri media?

Innanzitutto la possibilità di

utilizzare gli strumenti offerti

da internet e della tecnologia.

Un altro vantaggio è quello di

coinvolgere gli spettatori. A

una generazione abituata a

cliccare e fare zapping questo

format dà la possibilità di

diventare parte stessa del rac-

conto. Determinante è anche

la relazione col tempo.

Journey to the end of coal

(Viaggio alla fine del carbo -

n e ) dura circa venti minuti:

troppo se comparato con gli

altri prodotti presenti sul

web. Il metodo interattivo ci

ha permesso invece di narra-

re in profondità i fatti senza

annoiare gli spettatori.

Pensa che questo tipo di

reportage possa sosti -

tuire il giornalismo tra -

d i z i o n a l e ?

No, sono format

diversi che coesisto-

no: il web doc è solo

una nuova possibili-

tà, né mi-gliore né peggiore

delle altre.

Esistono altri esempi

notevoli di giornalismo

multimediale reperibili

o n l i n e ?

Credo che Journey to the end

of coal sia il primo caso nel

suo genere. Finora sono stati

ideati diversi progetti multi-

mediali, in Italia F r o m z e r o . i t ,

dedicato al dramma del ter-

remoto che ha colpito

l’Aquila: l’utente può selezio-

nare le scene e seguire un

personaggio, ma non c’è vera

interazione. Il prodotto più

simile al nostro è T a n a t h o -

r a m a, dove lo spettatore in-

terpreta una personaggio

morto. Ma non è vero giorna-

l i s m o .

L a pagina H i s t o r y, sul sito

C r o s s o v e r l a b s . o r g, non supera le

quindici righe. Ma il progetto,

nato in Gran Bretagna nel 2007, è subito

diventato un punto di riferimento nel

campo dei media digitali, puntando, in

nome della multimedialità, sull’intera-

zione fra creativi, esperti di mercato e

autori di piattaforme web. La base è a

Sheffield, South Yorkshire, terra di accia-

io e università. A novembre, a margine

delle Giornate europee dell’audiovisivo

di Torino, è circolata l’ipotesi di portere i

laboratori anche in Italia. C r o s s o v e r l a b s

segna una svolta nel metodo di lavoro:

senza intenti preimpostati, vengono riu-

nite allo stesso tavolo figure professionali

diverse e, sotto la guida di alcuni m e n -

t o r s, i partecipanti ai seminari elaborano

progetti digitali e ragionano sulla loro

sostenibilità economica. Prima di diven-

tare direttore creativo di C r o s s o v e r l a b s,

Frank Boydè stato lo “sherpa” che ha

introdotto queste nuove metodologie in

Inghilterra. Fondatore, allo scadere degli

anni ’80, dell’Arts Technology Centre, ha

lavorato nell’ambito della cultura e del-

l’educazione applicate ai new media.

Puntando sul progresso multimediale

del b r o a d c a s t i n g, ha contribuito a posi-

zionare Bbc fra le i network più aggior-

nati del pianeta. Ora, dalla cabina di

regia di C r o s s o v e r s, Boyd vuole far gira-

re la sua esperienza. La prossima tappa è

la Svezia, dove a gennaio venti autori del

pianeta audiovisivo si riuniranno per

creare nuovi progetti digtali.

Per sap e rne di piùw w w . c r o s s o v e r l a b r s . o r g

H o n k y t o n k ,il doc è sul web

L’inchiesta “ J o u rn ey to the end of coal” ha fattoil giro del mondo. C o s t ruita come un gioco i n t e ra t t ivo, p o rta il nav i g a t o re nella Cina pro f o n d a

C

multimedia

C ro s s over Lab s,S h e ffield cap i t a l e

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 2009 11

di Gregorio Romeo

di Gregorio Ro m e o

Per sap e rne di piùw w w . h o n k y t o n k . f r

Page 12: magzine 01

A C C O N T A R E i l

mondo, un dise-

gno alla volta. È

la folle idea dello

spagnolo G a b i

C a m p a n a r i o, disegnatore e

giornalista di stanza a Seattle,

che poco più di un anno fa ha

creato u r b a n s k e t c h e r s . c o m, net-

work di artisti di tutto il mondo

che fotografano, disegnandole, le

città dove vivono o dove si trova-

no durante i loro viaggi. Un rac-

coglitore di immagini che in un

anno è cresciuto sorprendente-

mente. Tra la Casa Batllò di

Barcellona, primo disegno pub-

blicato l’1 novembre 2008, e l’ul-

timo post troviamo cento corri-

spondenti distribuiti su quattro

continenti, più di 3.500 post nel

blog da 56 Paesi diversi, quasi 20

mila disegni sul corrispettivo

gruppo F l i c k r. Chiare ed essen-

ziali, le regole del gruppo sono

esposte nel Manifesto ufficiale.

Disegnare sul posto, catturando

lo spazio e il tempo, interni o

esterni non fa differenza.

Raccontare luoghi comuni, le

città dove gli artisti vivono o

quelle che li ospitano per brevi

permanenze, immortalare eventi

o abitudini quotidiane. Creare

una rete tra gli artisti e condivi-

dere i disegni sul web. Basta un

click quindi per sorvolare i tetti di

Liegi, affacciarsi dai belvedere di

Lisbona o perdersi tra le stradine

dell’Alfama, il suo quartiere più

antico, o ancora scorgere tra il

fumo delle caldarroste i colori di

un autunno catanese. Quattro i

corrispondenti dall’Italia, due

donne italiane, un ecuadoregno e

uno spagnolo, che contribuisco-

no in maniera organica alla cre-

scita del network inviando

immagini di Roma, Bologna,

Napoli e Catania. A questi si

aggiungono altri semplici mem-

bri della comunità che collabora-

no saltuariamente da Torino,

Firenze, Treviso, Milano,

Livorno, Alghero. Le città più

disegnate sono Lisbona, Londra

e Madrid, con quattro corrispon-

denti ciascuna. New York racco-

glie dieci collaboratori fissi e più

di duecento immagini.

Collaborare con u r b a n s k e t c h e r s

è facile. Per prima cosa è neces-

sario condividere online i propri

disegni, creando un blog o un

profilo F l i c k r. La tappa successi-

va è inviare al network i dati per-

sonali e i link alle immagini. Si

entra così a far parte della lista

della comunità, visibile sul porta-

le. Visti gli ottimi risultati rag-

giunti, il progetto guarda avanti.

Nei prossimi mesi il gruppo si

trasformerà in associazione no-

profit per promuovere il valore

artistico, narrativo ed educativo

del reportage disegnato. In can-

tiere anche una pubblicazione

annuale e incontri internazionali.

Di s eg n atori 2. 0U r b a n s k e t c h e rs.com è un sito che raccoglie re p o rtage disegnati da artisti sparsi ai quattro angolidel pianeta. Un modo dive rso per ra c c o n t a re comecambia lo spazio urbano che viviamo ogni giorn o

Rivista quindicinale re a l i z z a t a

dal Master in Giorn a l i s m o

dell’Università Cattolica.

© 2009 - Università Cattolica

del Sacro Cuore

D I R E T T O R EMatteo Scanni

C O O R D I N A T O R ILaura Silvia Battaglia,

O rnella Sinigaglia

R E D A Z I O N EFabrizio Aurilia, Giuditta

Avellina, Chiara Av e s a n i ,

L o renzo Bagnoli, Va l e r i o

Bassan, Marco Billeci, Raff a e l e

Buscemi, Salvo Catalano,

Francesco Cremonesi, Giulia

Dedionigi, Tiziana De Giorgio,

Viviana D’Introno, Fabio Di

To d a ro, Tatiana Donno, Robert o

Dupplicato, Fabio Forlano,

Carlotta Garancini, Ivica

Graziani, Andrea Legni,

Floriana Liuni, Cristina Lonigro ,

P i e rfrancesco Loreto, Alessia

Lucchese, Daniela Maggi,

Paolo Massa, Daniele Monaco,

Michela Nana, Ambra Notari,

Ta n c redi Palmeri, Cinzia Petito,

Simona Peverelli, Gre g o r i o

Romeo, Alessia Scurati, Luigi

S e renelli, Alessandro Socini,

A n d rea To r rente, Enrico Tu rc a t o ,

R o b e rto Usai, Cesare Zanotto,

Vesna Zujovic

A M M I N I S T R A Z I O N EUniversità Cattolica

del Sacro Cuore

largo Gemelli, 1

20123 - Milano

tel. 0272342802

fax 0272342881

m a g z i n e m a g a z i n e @ g m a i l . c o m

PR O G E T T O G R A F I C O

Matteo Scanni

SE R V I C E P R O V I D E R

w w w. u n i c a t t . i t

Autorizzazione del Tribunale

di Milano n. 81 del 20 febbraio 2009

in rete

di Salvo Catalano

MAGZINE 1 | 9 novembre - 22 novembre 200912

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