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1 Manuale minimo di economia politica dell’immaginario Contributo a una critica dell’economia politica di Pasquale Stanziale 1- Note di viaggio Indicazioni di percorso 2- Slittamenti progressivi del desiderio Il desiderio da Hegel a Lacan passando per Platone e Kojève 3- Lo spettacolo e la coscienza del re La società dello spettacolo nell’economia dell’Immaginario 4- Scenari immaginari Dallo statuto dell’Immaginario alla fiction economy 5- Fantasmagorie dell’oscuro oggetto I Registri del soggetto, l’economia e la merce 6- Affetti collaterali Soggetti e consumatori nell’epoca del biocapitalismo

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Manuale minimo di economia politica dell’immaginario Contributo a una critica dell’economia politica di Pasquale Stanziale

1- Note di viaggio Indicazioni di percorso 2- Slittamenti progressivi del desiderio Il desiderio da Hegel a Lacan passando per Platone e Kojève 3- Lo spettacolo e la coscienza del re La società dello spettacolo nell’economia dell’Immaginario 4- Scenari immaginari Dallo statuto dell’Immaginario alla fiction economy 5- Fantasmagorie dell’oscuro oggetto I Registri del soggetto, l’economia e la merce 6- Affetti collaterali Soggetti e consumatori nell’epoca del biocapitalismo

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ISBN 978-88-906569-0-3

Questo volume è soggetto a copyleft. Tutti possono utilizzarlo e diffonderlo, per intero o in parte,

gratuitamente e senza scopo di lucro.

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1 Note di viaggio 1.1 Le note che seguono sono la continuazione di nostre precedenti ricerche (P.Stanziale 1998) attraverso cui individuammo nell’economia politica dell’immaginario un ambito critico di grande rilevanza filosofica e politica pertinente ad un contesto culturale che vede coinvolte la filosofia, l’economia politica, l’estetica come economia (F. Carmagnola 2006) e la psicoanalisi di massa . Partimmo da un bilancio critico del concetto debordiano di società dello spettacolo (G. Debord 2002) richiamandone il background artistico-filosofico, esaminandone il ruolo filosofico e politico e verificandone, nel quadro dello sviluppo capitalistico, la validità delle intuizioni e delle profezie, ma anche evidenziandone i limiti (P. Stanziale 2008 2009) In questo percorso riscontrammo che le narrazioni situazioniste risultavano attuali e inattuali malgrado i molteplici tentativi liquidatori e le strumentali rimozioni poste in atto negli ultimi decenni. Le teorizzazioni situazioniste presentavano consapevolezze e spunti critici connessi strategicamente con una critica dell’economia politica di cui l’economia dell’immaginario è visibilmente un fondamento funzionale. 1.2 Ci è sembrato quindi utile cercare di strutturare un approccio/itinerario relativo a quest’area dell’economia dell’immaginario anche per ciò che riguarda i suoi risvolti propriamente economici e politici. Ciò come complemento a quella critica dell’immaginario dell’economia (A. Marino 2008 2009 2010), con i suoi miti, le sue contraddizioni e le sue realtà devastanti. 1.3 Punto di partenza non può non essere il desiderio umano con le sue caratterizzazioni, le sue dinamiche, con la serie delle sue concettualizzazioni da cui abbiamo estrapolato un segmento che ci è sembrato particolarmente funzionale al contesto delle nostre note. Abbiamo quindi riconsiderato la debordiana società dello spettacolo come successiva tappa imprescindibile nella prospettiva di un’economia politica dell’immaginario. La parte centrale di questo lavoro cerca di focalizzare una specie di modello interpretativo dei rapporti tra l’economia dell’immaginario e l’Ordine simbolico o Grande Altro attraverso le teorie di J. Lacan e S. Žižek. L’ultima parte esamina in modo sintomale i risvolti economici, politici e sociali dell’economia dell’immaginario in relazione ad alcune tendenze del capitalismo contemporaneo, prendendo in carico la dimensione mediale ed alcuni aspetti delle strategie connesse con quella che F. Carmagnola (2006) chiama fiction economy. 2 Slittamenti progressivi del desiderio

2.1 Il termine desiderio corrisponde al latino cupiditas e al greco έπιθυμία relativi al significato generale di appetizione, ovvero il principio che muove l’uomo all’azione, ma anche, in una seconda accezione, l’appetizione di ciò che è piacevole.

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Ma desiderio è anche riferibile al latino antico de-siderare, ciò che implica uno sguardo intenso verso qualcosa di lontano e attraente. In Aristotele abbiamo il desiderio come órexis che richiama il tendersi, lo sporgersi. Agostino intende il desiderio come amor, qualcosa da cui non si può sfuggire essendo proprio dell’essere umano. In Spinoza il desiderio è connesso, nell’Etica, alla tristezza relativa alla mancanza della cosa che amiamo. Spinoza inoltre definisce il desiderio come essenza dell'uomo e quindi come fondamento dell'antropologia: il desiderio è la proiezione dell'individuo verso gli oggetti, e non la «mancanza» dell'oggetto (E. Balibar 1988:102). Riscontriamo già in questa sintesi una serie di definizioni del desiderio abbastanza significative nella loro pluralità e nelle loro convergenze: spunti teorici che troveremo, variamente articolati, nelle teorie di cui ci occuperemo. 2.2 È nella lettura della Fenomenologia dello Spirito di Hegel operata da A. Kojève negli anni ’30 a Parigi che troviamo quelle caratterizzazioni del concetto di desiderio che saranno variamente sviluppate nella filosofia francese (e non solo) successivamente e che faranno parlare, non senza qualche polemica, di temperie hegejeviana (S. Benvenuto 2006). Per quanto ci riguarda riteniamo che l’Introduzione alla lettura di Hegel di A. Kojève (1996) rappresenti, per il quadro che intendiamo delineare, un inevitabile e produttivo punto di partenza. In questa Introduzione troviamo una dialettica del desiderio risultante dalla Fenomenologia dello Spirito letta e commentata come un’antropologia filosofica. Troviamo in Hegel che il desiderio è proprio dell’autocoscienza che come tale si desidera negli oggetti dei quali deve «sperimentare dolorosamente la loro ‘indipendenza’ dato che può soddisfare il proprio desiderio solo attraverso la loro mediazione» (G.W.F. Hegel ed. 1973:189). Proseguendo su questo percorso Kojève sottolinea il fatto che il desiderio umano – antropogeno- è fondamentalmente desiderio di riconoscimento.

«esso [desiderio umano] differisce dunque dal Desiderio animale .... per il fatto che si dirige non verso un oggetto reale, “positivo”, dato, ma verso un altro Desiderio. Così, per esempio, nel rapporto tra l'uomo e la donna, il Desiderio è umano unicamente se l'uno non desidera il corpo bensì il desiderio dell'altro, se vuole “possedere” - o “assimilare” il Desiderio assunto come tale, se cioè vuole essere “desiderato”, “amato” o, meglio ancora, “riconosciuto” nel suo valore umano, nella sua realtà di individuo umano. Parimenti, il Desiderio che si dirige verso un oggetto naturale è umano soltanto nella misura in cui e “mediato” dal Desiderio di un altro che si dirige sullo stesso oggetto: è umano desiderare ciò che gli altri desiderano, perché lo desiderano. Cosi, un oggetto perfettamente inutile dal punto di vista biologico (come una decorazione o il vessillo dei nemico) può essere desiderato perché è oggetto di altri desideri. Un tale Desiderio non può che essere un Desiderio umano, e la realtà umana come realtà diversa da quella animale si crea solo mediante l'azione che soddisfa tali Desideri: la storia umana è la storia dei desideri desiderati» (A. Kojève 1996:20) (corsivi miei).

E quindi in questa dialettica del desiderio troviamo che

«All'opposto della conoscenza, che mantiene l'uomo in una quiete passiva, il desiderio lo tiene in-quieto e lo spinge all'azione. Essendo nata dal Desiderio, l'azione tende a soddisfarlo, e può farlo solo mediante la “ negazione “, la distruzione o, per lo meno, la trasformazione dell'oggetto desiderato: per soddisfare la fame, ad esempio, occorre distruggere o, in ogni caso, trasformare il nutrimento. Pertanto, ogni azione è “negatrice”. Lungi dal lasciare il dato così com'è, l'azione lo distrugge; se non nel suo essere, almeno nella sua forma data. E, in rapporto al dato, ogni “negatività-negatrice” è necessariamente attiva. Ma l'azione negatrice non è puramente distruttiva. Infatti, se l'azione che nasce dal Desiderio, per soddisfarlo, distrugge una realtà oggettiva, al suo posto essa crea, in e mediante questa stessa distruzione, una realtà soggettiva. [...] In generale, l'Io del Desiderio è un vuoto che riceve un contenuto positivo reale solo dall'azione negatrice che soddisfa il Desiderio, distruggendo, trasformando e “assimilando” il non-Io desiderato. Il contenuto positivo dell'Io,

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costituito dalla negazione, è una funzione del contenuto positivo del non-Io negato» (A. Kojève 1996:18) (corsivi miei).

Judith Butler poi, così scrive del rapporto tra tempo e desiderio nella lettura kojèviana di Hegel:

«Il desiderio è un nulla che è essenzialmente temporalizzato: un “nulla rivelato” o un “vuoto irreale” che vuole essere riempito e che, attraverso tale desiderio, crea un futuro temporale. Con “tempo”, Kojève intende il tempo vissuto, l'esperienza del tempo condizionato dal modo con cui gli agenti creano, attraverso le loro speranze, paure e memorie, un'esperienza specifica del futuro, del presente e del passato. L'esperienza del desiderio, in particolare, fa emergere l'avvenire (futurity) «il moto generato dall'Avvenire è il moto generato dal desiderio» (A. Kojève 1996:457). In linea con il suo rifiuto dell'”essere naturale” considerato irrilevante per la coscienza umana, Kojève abbandona il tempo naturale a favore di una temporalità umana essenzialmente strutturata dal desiderio e dalla tensione al suo soddisfacimento. Il desiderio insoddisfatto è un'assenza che circoscrive il tipo di presenza per mezzo della quale esso potrebbe abbandonare se stesso in quanto assenza. Nella misura in cui il desiderio postula se stesso come vacuità determinata, ossia come vuoto di un qualche specifico oggetto o Altro, è esso stesso una sorta di presenza; esso è “la presenza di un'assenza”; in effetti, tale assenza “sa” ciò che manca. Si tratta di quel sapere tacito che è 1'anticipazione. L'anticipazione della soddisfazione da origine all'esperienza concreta dell'avvenire. Il desiderio rivela, quindi, l'essenziale temporalità degli esseri umani» (J. Butler 2009:80).

Kojève poi, attraverso una serie di torsioni dei concetti hegeliani, visti in chiave antropologico-heideggeriana, struttura un nucleo teorico che troverà vari sviluppi e articolazioni nella filosofia francese del ‘900, particolarmente in Bataille che riterrà la vera lezione di Kojève consistente nel fatto che «l’uomo diviene sempre “altro”. L’ animale che differisce di continuo da se stesso [...] il desiderio come perenne desiderio di altra cosa». (G. Bataille 1988 in M. Borch-Jacobsen 1999:93). In Kojève il desiderio, infine, è ciò crea il soggetto attraverso le sue istanze, il desiderio non viene dopo il soggetto ma lo precede determinando le modalità dell’essere del soggetto stesso. Vale a dire che il desiderio è intenzionale ed è in tale campo che prende forma l’identità del soggetto. L’intenzionalità del desiderio- come intenzionalità della coscienza (riferimento d’obbligo e F. Brentano 1874 ed. 2009)- muove sempre in un confronto con la realtà sociale. In questo confronto emerge un soggetto che, come rileva J. Butler 2009:75), non è ciò che è ma diviene ciò che non è, anticipando la concezione sartriana dell’in sé e del per sé. 2.3 Jacques Lacan, facendo propria la lezione kojèviana fa del desiderio uno dei fondamenti della sua teoria psicoanalitica (e della relativa clinica). Sinteticamente ne indichiamo qui di seguito alcuni punti (J. Lacan 1958-59 1974 1978 1982) ripresi con una certa continuità da vari studiosi di quest’area. 2.3.a- Nel percorso della coscienza infelice troviamo anzitutto la originaria mancanza-a-essere del soggetto che trova nel complemento materno la soddisfazione del suo bisogno primario.

2.3.a.a «..il desiderio è una mancanza generata dal tempo precedente che serve a rispondere alla mancanza suscitata dal tempo conseguente ..» (J. Lacan 1979:122) (corsivi miei).

2.3.b- Al successivo stadio pulsionale è connesso il vettore del desiderio orientato verso oggetti e sostituti. 2.3.c- Il desiderio quindi si produce nell’al-di-là e nell’al-di-qua della domanda che lo anima dispiegandosi nel luogo dell’Altro (Ordine simbolico). Esso non è riducibile, come tensione continua, all’automatismo dei bisogni.

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2.3.d- Il desiderio è dell’Altro: non siamo noi il soggetto che desidera, ma è l’Altro a desiderare, e questo Altro è l’inconscio con le sue strategie.

2.3.d-a «Il desiderio dell’uomo è il desiderio dell’Altro, in cui dell è la determinazione che i grammatici chiamano soggettiva, ciò che egli desidera in quanto Altro (e che costituisce la vera portata della passione umana). Ecco perché la questione dell’Altro, che ritorna al soggetto dal posto dove questi ne attende un oracolo, nella formazione di un Che vuoi? è quella che meglio lo conduce alla strada del proprio desiderio» (J. Lacan 1979:135).

Ma il desiderio umano è anche, come abbiamo visto (vedi punto 2.2), desiderio del desiderio dell’altro nel senso che vuole essere ciò che all’altro manca, la causa del suo desiderio. Il desiderio sembra, così, preso in una specie di doppio vincolo batesoniano, abbiamo cioè, da una parte, il soggetto con l’Altro che desidera per lui e, dall’altra, il soggetto in rapporto con l’altro del «Cosa vogliono gli altri da me? Cosa vedono in me? Cosa sono io per quegli altri?» (S. Žižek 2009:98), ovvero quell’area che R. Girard (1965 1999) definisce del desiderio mimetico. 2.3.e- Il desiderio è una metonimia. 2.3.f- Il desiderio è la metonimia della mancanza-a-essere. 2.3.g- Il desiderio è pertinente al fantasma secondo l’algoritmo S/ <> a (‘S/’ indica il soggetto barrato, il punzone ‘<>’ è il desiderio, ‘a’ è l’oggetto del desiderio detto anche ‘oggetto piccolo a’- il punzone si legge ‘desiderio di’ e si legge in entrambi i sensi).

Il fantasma per Lacan è ciò che tiene per il soggetto il posto del reale (J. Lacan 1974), esso è il motore della realtà psichica e il desiderio stesso è supportato dal fantasma di cui una parte è nell’Altro (Ordine simbolico). Il fantasma lacaniano è irriducibile all’immaginazione ma ne costituisce un effetto, esso è una immagine posta in funzione nella struttura significante e marca con la sua presenza la risposta del soggetto alla domanda.

2.3.h- Il desiderio si avvita in una dinamica senza fine sul bordo di un vuoto che è propulsore e costitutivo del soggetto. 2.3.i- Il desiderio, in relazione all’oggetto, è preso in una dialettica della negazione (vedi anche punto 2.2), ovvero

«nel quadro della teoria lacaniana il desiderio non può avere in realtà alcun oggetto, pena non essere più ciò che è: la negatività pura e semplice di un soggetto che si desidera nei suoi oggetti (Hegel) e che può farlo solo negandosi di continuo in essi, negandoli via via come ciò che egli non è -un “oggetto dato” (Kojève), una cosa “in-sé” (Sartre). È dunque escluso che il soggetto-desiderio abbia la benché minima relazione con un oggetto (la famosa “relazione d'oggetto” dei post-freudiani (Sem. IV, sedute del 21 e 28 novembre 1956), poiché l'oggetto, lungi dall'essere ciò con cui entra in un rapporto di complementarità o di armonia, è invece ciò che egli stesso è “non essendo!” In tal senso, l'oggetto è sempre un “fallito”» (J. Lacan 1983:58 in M. Borch-Jacobsen 1999:242).

2.3.l- Il desiderio umano è pur sempre teso alla ricerca di senso e tende a congiungere natura e cultura avendo quello sfondo di ambiguità con la latenza inquietante del perturbante freudiano (F. Ciaramelli 1994) ovvero l’unheimliche, il nucleo di ciò che coniuga in maniera inquietante lo spaventoso e il familiare. 2.3.m- Il desiderio non si appaga come il bisogno, di un oggetto, ma si radica nell’immaginario del soggetto (J. M. Palmier 1972). 2.3.n- Rispetto al desiderio la posizione di G. Deleuze si colloca criticamente all’incrocio di due direttrici, da una parte Deleuze insiste sull’errore di far derivare il desiderio dalla mancanza, da un’altra parte pone in evidenza la natura sovraindividuale del desiderio nel senso che il soggetto desiderante è sempre preso in un campo di desideri, all’interno di un

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flusso collettivo di desideri. Deleuze pone sotto accusa quell’area filosofico-psicoanalitica che tratta del desiderio partendo dalla mancanza ritenendo che in tal modo non si tiene conto della autentica natura del desiderio il quale si colloca nella dimensione dell’eccesso divenendo una forza produttiva e creativa.

«Ci si obietta che sottraendo il desiderio alla mancanza e alla legge, non si potrà ottenere altro che uno stato di natura, un desiderio realizzato naturalmente e spontaneamente. Noi diciamo esattamente il contrario: non esiste desiderio se non all’interno del costruire o dell’operare. Non si può afferrare o concepire un desiderio al di fuori di una determinata costruzione, su di un piano che non sia preesistente, ma che deve esso stesso essere costruito. Che ciascuno, gruppo o individuo, costruisca il piano immanente dove condurre la sua vita ed i suoi progetti è la sola cosa che conta. Al di fuori di queste condizioni, viene infatti a mancare qualcosa, ma si tratta precisamente delle condizioni che rendono il desiderio possibile» (G. Deleuze 1996:59).

Ma il desiderio, per Deleuze, in ogni caso cambia, esso è soggetto storicamente al mutamento e tende a strutturarsi sempre come combinazione, concatenazione di desiderio.

«Finora si è parlato di desiderio astrattamente perché si è isolato un oggetto che si suppone essere l’oggetto del desiderio, e allora si può dire ‘desidero una donna, desidero partire per un viaggio…’ E noi dicevamo [Deleuze e Guattari] una cosa semplice: non si desidera mai veramente qualcuno o qualcosa. Si desidera sempre un ‘insieme’.[…] Quando una donna dice ‘desidero un vestito’ è evidente che non lo desidera in astratto. Lo desidera nel suo contesto, nella sua organizzazione di vita. Il desiderio è non solo in relazione a un paesaggio, ma a delle persone, i suoi amici, la sua professione. Non si desidera mai qualcosa di isolato. Ma ancora, non desidero neanche un insieme, desidero in un insieme. In altri termini non c’è desiderio che non scorra in un concatenamento. […] Desiderare è costruire un concatenamento, costruire un insieme. L’insieme di una gonna, di un raggio di sole…di una strada, il concatenamento di un paesaggio, di un colore. Ecco cos’è il desiderio. E costruire un concatenamento significa costruire una regione. Concatenare. Il concatenamento è un fenomeno fisico, è come una differenza. Perché accada qualsiasi evento c’è bisogno di una differenza di potenziale e ci vogliono due livelli, bisogna essere in due, allora accade qualcosa. Un lampo o un ruscelletto e siamo nel dominio del desiderio. Un desiderio è costruire. Tutti passiamo il nostro tempo a costruire. Per me quando qualcuno dice ‘desidero la tal cosa’ significa che sta costruendo un concatenamento. Il desiderio non è nient’altro» (G. Deleuze 1996b:111).

2.4 Questa sommaria perimetrazione del desiderio umano, nella sua dialettica, nella sua ambiguità di fondo, nel suo rapporto con l’oggetto, il fatto che l’oggetto è desiderato per la sua soggettivazione, che è sempre fallito, che andrebbe a collocarsi nel luogo della mancanza dell’altro: tutto ciò già indica che il desiderio umano produce e può essere prodotto. A questo punto è già possibile affermare che il desiderio, alla luce delle teorie marginaliste- e attraverso il concetto di economia libidinale di Lyotard (1978) (vedi punto 5.6.3)- si inquadra come partecipe del movimento economico, dato che il desiderio è nello stesso tempo una componente del circuito economico e un drive per l’Immaginario. Conseguenza di ciò è la soggettivizzazione del valore a misura di desiderio: ciò che comporta la valorizzazione economica degli aspetti immateriali, immaginari, simbolici. (F. Carmagnola 2006). 2.5 Vogliamo occuparci in questa parte di quanto scrive Carmagnola (2006:119) nel paragrafo “Le irrisolvibili ambiguità del desiderio” in cui vengono individuati in modo articolato aspetti del desiderio che riteniamo particolarmente significativi.

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2.5.a- L’economia dei beni simbolici o dell' immaginario è da intendersi certamente come economia del desiderio. 2.5.b- Il divenire economico del desiderio come desiderio “dell’altro” presenta una serie di scansioni: - “desiderio di essere desiderato” (dall’altro); - “desiderio di essere come l’altro”; - “desiderio infinito di altro... che nessun oggetto è in grado di colmare”; - relativo al desiderio feticista abbiamo il desiderio ricorsivo, “desiderio come desiderio di desiderio” (corsivi miei). Carmagnola ) così riassume questa sua linea teorica:

«L’economia del desiderio oggi è la piena integrazione della pulsione al circuito allargato della valorizzazione. Essa pare raggiungere, al suo estremo, un risultato paradossale: suscita e incrementa il desiderio, in modo tale che la sua stessa vuotezza finisce per devitalizzarlo, trasformandolo in nulla» (F. Carmagnola 2006:124).

E aggiunge che

«quando il desiderio diventa desiderio di nulla finisce per uccidere se stesso nella noia e nell’angoscia della pura coazione. Più che desiderare il nulla, il vuoto simbolico della brand, si finisce a non desiderare più nulla. Il carattere ricorsivo e vuoto del desiderio diventa comportamento nichilistico» (F. Carmagnola 2006:126).

Carmagnola a questo punto evidenzia schematicamente quattro possibilità: - (1- Presenza) l’oggetto del desiderio è « trascendente e oscuro.. è promessa di felicità»; - (2- Assenza) il desiderio si avvita «nella ripetizione vuota e autoreferenziale»; - (3- Eccedenza) il desiderio diviene «pulsione antropologica all’eccesso» (i riferimenti sono Bataille e Sade); - (4- Funzionalità) il desiderio «è tutto interno al circuito economico, il suo oggetto è immanente al mercato» (il riferimento è S. Kinsella – 2008- della serie I love shopping) (F. Carmagnola 2006:127).

Sull’asse 2 – 4 Carmagnola (2006:127) individua il «terreno di espansione del nichilismo» e sull’asse 1 – 2 «il terreno dell’utopia».

2.5.c- - Il nichilismo come tragico sfondo culturale, esito del disincanto del mondo, si staglia sullo sfondo di un disagio che si è accentuato in questi ultimi anni contribuendo a far emergere le contraddizioni del sistema globale con le sue paure calcolate e le sue felicità fantasmatiche. Un’epoca delle passioni tristi (M. Benasayag G. Schmit 2004 e U. Galimberti 2008) in cui il futuro-promessa è stato sostituito dal futuro-minaccia per cui il desiderio tende a bloccarsi in un presente in cui la libido narcisistica prevale sulla libido oggettuale in una diffusa, dominante insicurezza. In tale spazio hanno certamente buon gioco la regressione feticistica nel campo di un immaginario appositamente prodotto.

Questo oscillare del desiderio tra un nichilismo legato alla sua vuotezza e un’utopia che che «ne fa il motore di una dinamica simile alle forze produttive» produce un squilibrio che per Carmagnola (cit.) consente al desiderio di sfuggire (marxianamente) «alla legge dell’equivalenza». Prende forma così una dinamica che comprende sia l’irriducibilità del desiderio al bisogno sia l’irriducibilità del desiderio alla domanda. Questa dinamica emerge in una prospettiva psicoanalitica nella quale il desiderio «cerca di imporsi senza tener conto del linguaggio e dell’inconscio dell’altro ed esige un riconoscimento assoluto» (corsivi miei) (J. Laplanche J. B. Pontalis 1968 in Carmagnola 2006:129).

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Aggiungiamo che, sempre in ambito psicoanalitico, il desiderio (Begierde) è pur sempre legato alle leggi del processo primario e trova la sua soddisfazione in riproduzioni allucinatorie connesse all’identità di percezione. Esso non consiste in una relazione con un oggetto reale ma, per Lacan, sorge come scarto tra il bisogno e la domanda (punto 2.3.c) ed è connesso, come abbiamo visto, al fantasma. 2.6 Il desiderio non è una cosa semplice scrive Lacan ripreso poi da F. Carmagnola (2007) che sviluppa ulteriormente una serie di serrate analisi del problema individuando nell’ágalma quella nozione particolare che emerge originariamente nel Simposio platonico quando Alcibiade espone la sua verità rivelando il suo desiderio per Socrate, ovvero non per il sileno Socrate ma per il tesoro, l’entità fantasmatica che Socrate ha in sé. Questa nozione trova una sua propria accezione produttiva in Lacan che

«di fatto ha inventato ágalma, lo ha messo all’ordine del giorno per noi.. […] è Lacan a fargli fare una torsione verso il vuoto, a farne il segno dell’incessante desiderio, a consegnarcelo come emblema di quel soggetto moderno contrassegnato dalla mancanza costitutiva e strutturale» (corsivi miei). (F. Carmagnola 2007:19)

Ágalma in Lacan

«è quell’oggetto che il soggetto crede essere la mira del suo desiderio, e dove porta all’estremo il misconoscimento dell’oggetto come causa del desiderio» (J. Lacan 2006:41).

Ma Ágalma è un termine polisemico e Carmagnola ne declina i vari significati seguendo Lacan:

.apparizione, fantasma, oggetto che introduce nel soggetto […] un vacillamento- .ornamento, parure- .oggetto prezioso- .oggetto non-oggetto- .richiamo, trucco, oggetto insolito- .oggetto parziale- .incarnazione immaginaria del soggetto-

.punto di apparizione non iconico, non rappresentativo del divino-reale- .oggetto noyau (F. Carmagnola 2007:33)

Ágalma come oggetto parziale si presenta naturalmente come entità privilegiata dato che la sua parzialità costituisce ciò che nutre la vettorialità del desiderio nella sua forte caratterizzazione immaginaria, ma che è pertinente ad un Reale (vedi punto 4.7). Connesso con questo significato troviamo ágalma come incarnazione immaginaria del soggetto il quale in tale incarnazioni trova una serie di figurazioni tra le quali il suo essere marcato dalla lacaniana mancanza-a-essere. L’ultima significazione, oggetto noyau, invece, indica sia una connessione col desiderio sia tutto ciò che va dall’inconscio al soggetto e che si sottrae alla coscienza condensandosi proprio in ágalma. Una prima conclusione di Carmagnola è che ágalma si colloca in una duplice dinamica: da una parte abbiamo forme di spiazzamento, da un’altra abbiamo la tensione verso forme di valorizzazione: dinamiche articolate tra l’immaginario e il reale (vedi punto 4.3.1). Risulta già abbastanza evidente, a questo punto, come ágalma sia strettamente in rapporto con l’universo della merce, rapporto di cui ci occuperemo più avanti.

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3 Lo spettacolo e la coscienza del re

3.1 Ci occuperemo ora dell’ambito filosofico-politico della Società dello Spettacolo di G. Debord, un’area che molti autori che oggi si occupano di economia dell’immaginario evitano di attraversare, come abbiamo già accennato, per varie ragioni ma che rimane, a nostro avviso, una riferimento importante per una serie di motivi di cui vogliamo accennarne alcuni. -La società dello spettacolo costituisce lo sfondo sul quale, ieri come oggi, prendono forma le dinamiche e i processi relativi al desiderio, al consumo delle immagini, all’immaginario ed alla fiction economy. -Gran parte di quello che è successo sulla scena sociale, politica, comunicativa ed anche urbanistica degli ultimi cinquant’anni era profeticamente presente nelle intuizioni di Debord e dei suoi amici situazionisti come opportunamente ha sostenuto Agamben (1988) -Come abbiamo già scritto (P. Stanziale 2008) la storia ha dato alle domande debordiane, risposte invertite in relazione alle ideologie connesse con lo sviluppo capitalistitico per cui l’apparato critico debordiano viene usato contro Debord stesso (G. Debord 2002). -Per Debord «Lo spettacolo è il momento in cui la merce è pervenuta all’occupazione totale della vita sociale» (G. Debord 2002:58). -La società dello spettacolo, nella sua ideologia di fondo, si presenta come quell’Ordine (l’Immaginario) in grado di generare consenso collettivo (S. Žižek 2004). -La società dello spettacolo trova una sua modalità di lettura nell’intenderla come come il trionfo dell’immaginario simbolizzato a misura di simbolico (vedi punto 4.7) . 3.2 La società dello spettacolo (SdS) di Debord rappresenta inconfutabilmente un punto di non ritorno nell’ambito di una teoria critica della società, critica, nel senso che sarà sempre della Sds che occorrerà tener conto per comprendere correttamente le strategie di autoriproduzione e accumulazione capitalistiche. Proposte di analisi come quelle contenute nei concetti di accesso rifkiniano, di new economy, di alienazione biotecnologica, di economia finzionale, viste in una loro collocazione critica, non possono non essere ricondotte alle concezioni di fondo della Sds, unitamente alle analisi di R. Vaneigem e degli altri situazionisti ortodossi e non. La Sds corrisponde, ad una fase storica di ristrutturazione del capitale - nella seconda metà del ‘900 - che consolida talune strategie di dominio nell’ambito produttivo e dà origine a nuove direttrici di consumo relative al passaggio all’avere e al baudrillardiano simulare. Per Debord,

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inoltre, il divenire immagine del capitale si realizza nella metamorfosi della merce che tende a perdere il suo valore d'uso acquistando valore a partire dall'immaginario sociale. 3.3 È possibile inoltre verificare come vi sia una corrispondenza tra elementi teorici debordiani ed alcuni significativi ambiti analitici contemporanei. In particolare la distinzione debordiana tra società in cui lo spettacolo si presenta concentrato, diffuso o integrato (Sds e Commentari del 1997) viene, per molti aspetti ad avere un riscontro con le fasi dello sviluppo del capitalismo dei consumi esaminate da Lipovetsky (2007) ovvero: 1) la fase della nascita dei mercati di massa, 2) la fase del ciclo storico che inizia negli anni ’50 caratterizzata dalle società del consumo di massa- e che richiama ampiamente lo spettacolare diffuso debordiano, 3) la fase infine che va oltre lo standing ed è caratterizzata dai consumi emotivi ed è pertinente alla organizzazione economica post-fordista e al turbo-consumerismo, segnando il destino felice dell’ homo consumericus. Questa terza fase corrisponde, per moltissimi aspetti a quella dello spettacolo integrato nel suo senso ultimo, quando la spettacolarità

«si è mescolata ad ogni realtà…. perché l’esperienza pratica del compimento sfrenato della volontà della ragione mercantile mostra, rapidamente e senza eccezioni, che il divenir-mondo della falsificazione era (è) anche un divenir-falsificazione del mondo» (G. Debord 1997:194).

3.4 Le 72 tesi dei primi tre capitoli della Sds tracciano un percorso organico, partendo dal concetto di separazione - che riprende in una prospettiva innovativa sia il concetto di alienazione (sulla linea Hegel, Feuerbach, Marx) che il concetto di scissione (del Lukàcs della Teoria del romanzo) - per giungere al concetto di falsa unità che informa di sé tutta la realtà spettacolare. La separazione che si compie per Debord (con riferimento anche all’eccesso di metafisica lukàcsiano) sembra portare a compimento quel processo di scissione tra il soggetto e se stesso originato dalla rottura dell’unità presente nel mondo greco. 3.5 Debord tratta del dominio proprio di una società che è dello spettacolo in cui «all’affermazione dell’apparire corrisponde una separazione dalla vita» (G. Debord 2002:64). Lo spettacolo, quindi, si fa rapporto sociale e visualizza in modo totalizzante e pervasivo il suo essere capitale. Sono presenti in questi assunti del primo capitolo rielaborazioni tratte dal giovane Marx, quando scrive dell’alienazione nella società borghese, mentre il secondo capitolo riprende il concetto di feticismo della merce sulla linea Marx-Lukàcs. Debord afferma che il predominio dello spettacolo si attua attraverso l’occupazione della vita sociale da parte della merce. A ciò corrisponde la vittoria del valore di scambio sul valore d’uso in una società che sancisce la vittoria dell’economia autonoma. Ma è nel rapporto tra economia e società che Debord individua una possibile forma di riscatto là dove, infine, l’economia finirebbe col dipendere pur sempre dalla società e dalla lotta di classe. Parafrasando Freud, Debord afferma che l’Io deve situarsi là dove c’era l’es economico e, politicamente, che «il desiderio della coscienza e la coscienza del desiderio» costituiscono un unico progetto mirante all’abolizione delle classi (G. Debord 2002:155). 3.6 È inevitabile, a questo punto, affrontare quell’importante nodo teorico riguardante il rapporto indissolubile tra economia, spettacolo e immaginario. Nodo borromeo che si fa struttura

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divenendo un nucleo dialettico in grado di articolare in modo evolutivo le intuizioni debordiane. Questa struttura traduce fondamentalmente il significato e il significante della merce ovvero l’immagine-merce, il feticcio-merce, ovvero fascinazione, illusione, scambio, consumo. Ciò in una fase di evoluzione strutturale dell’economia verso una evidente ed affermata sua autonomia che può essere ben correlata alle marxiane due astrazioni/alienazioni (A. Jappe 1999) ovvero lo Stato e il Denaro riguardanti il divenire membro di una comunità e l’accesso al mondo del lavoro. L’ipostatizzazione di queste astrazioni/alienazioni si concreta nello spettacolo da intendersi come ideologia materializzata (G. Debord 2002 cit.), ambito che vedremo in seguito in una prospettiva diversa. Questi riferimenti che attualizzano, attraverso Debord, le istanze del giovane Marx vengono riaffermate- come giustamente sottolinea Jappe - nel Capitale che individua nell’astrazione la forma-merce dell’economia moderna. 3.7 Come nota, poi, M. Pezzella (1996:78) il potere economico richiama immediatamente un immaginario inseparabile dal desiderio (come vedremo in seguito), un immaginario che va oltre il valore d’uso realizzando il valore di scambio. Si tratta qui di individuare «l’economia nella sua cultura» (W. Benjamin 1986:595 in Pezzella 1996:79) che mostra come economia e immaginario siano termini legati da un indissolubile legame funzionale nell’ambito di quella economia libidinale di cui parla Lyotard (1978) in cui il dispositivo pulsionale si mobilità rispondendo alle sollecitazioni feticistiche della merce (vedi punto 5.6.3). Per quanto riguarda lo spettacolo esso non è una sovrastruttura - nel tradizionale linguaggio marxista - e neanche una simulazione (J. Baudrillard 1979). Esso, nel contesto della Sds, è allo stesso tempo: una figurazione dell'immaginario (la fantasy/fiction žižekiana), una tecnica di produzione e un motore della circolazione del capitale. 3.8 Versante di articolazione di questa struttura, e costituente importante di essa è, ancora una volta, il desiderio. Lacan che scrive che

«lo sfruttamento del desiderio è la grande invenzione del discorso del capitalista, perché dopotutto bisogna indicarlo col proprio nome. Devo dire che è un marchingegno maledettamente riuscito» (1974:513).

Il desiderio nei situazionisti ha una ruolo centrale. Lo troviamo variamente concettualizzato sia in Debord che in Vaneigem il quale struttura una vera e propria antropologia del desiderio (P. Stanziale 2004), risvolto inevitabile di una soggettività radicale (R. Vaneigem 1994 2004). 3.9 Nel terzo capitolo della Sds Debord mostra come nella sua unità fittizia, lo spettacolo tenda a mascherare le contraddizioni e le lacerazioni della società e dei poteri che la dominano. La banalizzazione, la vedette specializzata nel vissuto apparente, le finte lotte spettacolari: tutto ciò rappresenta un artificiale che traduce nello spettacolare la falsificazione della vita sociale. Uno spettacolare che si presenta sullo scenario globale come concentrato o diffuso a seconda della miseria che smentisce o mantiene (troviamo qui già delineato, anche se su un piano diverso, quanto emerge dalla dialettica RSI di cui ci occupiamo nei Capitoli 4 e 5).

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3.10 Per quanto riguarda le risposte invertite alle domande debordiane troviamo che queste sono fatte proprie dal marketing di aziende (Negozi Hollister ecc. - M. D’Ambrosio 2008), la deriva debordiana è sperimentata e istituzionalizzata da Facoltà di Architettura romane e torinesi ed è presente in alcuni format TV nei quali vengono costruite situazioni emozionanti da attraversare. Il gruppo Luther Blisset (oggi Wu Ming), anche, ha fatto la sua parte (P. Stanziale 1998) con le relative denigrazioni e con critiche di cui qualcuna, a nostro avviso, fondata. Che dire poi di quel gigantesco dètournement pervasivo che prende il nome di postmoderno, figurazioni che assemblano stili precedenti secondo un progetto ludico, partecipando ad uno spettacolo globale, ad un immenso “simulacro immaginifico” (F. Jameson 1994) tra stereotipizzazioni e nostalgie.

3.11 La narrazione situazionista ebbe indubbiamente successo (G. Debord G. Sanguinetti 1999 P. Virno 1999 P. Stanziale 2008) ma la sua spinta si infranse contro la massiccia affermazione del dominio capitalista in espansione, vittoria e sconfitta dunque- come affermato da molti- ma anche lo stabilizzarsi di un nucleo di teoria critica di riferimento come tappa importante di un itinerario che, partito da lontano, deve essere ripreso e organicamente integrato con nuovi e più incisivi strumenti di analisi a fronte di scenari contemporanei stagliati sullo sfondo di reticoli schizoidi in cui il soggetto è frammentato, risucchiato tra forme di estetizzazione di massa e mercificazioni edonistiche, tra godimenti autoritari, esaltazioni narcisistiche ed esplosioni nichilistiche. Il tutto costituendo le nuove frontiere dello spettacolo che tende in modo sempre più pressante a saturare quella totalità che R. Vaneigem (1994) in Banalità di base (Tesi 24) intende come «la realtà oggettiva nel cui movimento la soggettività può inserirsi sotto forma di realizzazione» e «là dove non vi è realizzazione vi è lo spettacolo».

3.12 Il concetto di società dello spettacolo rappresenta indubbiamente un riduttore di complessità contribuendo ad un comprensione critica dell’universo socio-politico attuale. Questo perché lo spettacolo- come abbiamo già visto- ha assunto un valore strutturale con tutto ciò che ne deriva sia per l’economia del soggetto che per l’ambito sociale e politico. Il passaggio dalla società post-industriale alla società del dominio spettacolare ha avuto una duplice conseguenza: l’emergere di una diversa strategia di potere basata su parametri, che sono andati a modificare vari ambiti tra cui quelli biologici, politici e comunicativi, e il fatto che tutto questo è avvenuto nel cuore stesso del sociale che il potere ha potuto ristrutturare secondo i sui nuovi indirizzi. Lo spettacolare integrato debordiano è stato il risultato di questo stato di cose, riuscendo ad imporsi in modo autonomo e articolato divenendo una funzione vitale costitutiva della volontà individuale.

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3.13

Secondo J-L Nancy (2001), infine, la critica dell’attuale globalizzazione capitalistica, passa per la critica del radicalismo filosofico situazionista alla società dello spettacolo, intesa (quest’ultima) come il compimento della

«mercificazione generale dei feticci […] con la produzione e il consumo di beni materiali e simbolici (tra cui, in primo luogo, l’ordinamento del diritto democratico) che hanno tutti il carattere d’immagine, d’inganno o di sembiante» (J-L. Nancy 2001:98).

La società dello spettacolo è, in ultima analisi, quella «che porta a compimento pieno l’alienazione, grazie ad un’appropriazione immaginaria dell’appropriazione reale. Il segreto dell’inganno è questo: l’appropriazione reale non è altro che una libera immaginazione creatrice di sé, indissolubilmente individuale e collettiva ma la merce spettacolare, in tutte le sue forme, non è a sua volta altro che un immaginario venduto al posto di questa immaginazione autentica» (J-L. Nancy 2001:121).

Nancy partendo da queste analisi ritiene che la critica situazionista sia inficiata dalla metafisica dicotomia tra una verità dell’essere vs una fallace apparenza:

«il limite della critica situazionista consisterebbe nel non aver compreso appieno ciò che rendeva manifesto, ossia la costitutiva dimensione simbolico-spettacolare del legame sociale […] la questione [è quella] di capire se lo spettacolo non sia, in un modo o nell’altro, una dimensione costitutiva della società: in altri termini, se ciò che chiamiamo il legame sociale possa essere pensato al di fuori di un ordine simbolico e se quest’ultimo possa a sua volta essere concepito al di fuori di un registro dell’immaginazione o della figurazione, che sembrerebbe necessario, a questo punto, ripensare daccapo […] può darsi che il fenomeno dello spettacolo generalizzato, con la dimensione, diciamo tele-mondiale, che non soltanto lo accompagna, ma che gli è consustanziale, riveli tutt’altro, se ci sforziamo di decifrarlo altrimenti» (J-L. Nancy 2001:132).

Ci sembra opportuno a questo punto considerare che: -effettivamente è necessario ripensare il rapporto tra legame sociale e ordine simbolico; -se in linea di principio vi possono essere fondamenti validi per una critica al situazionismo ciò non toglie che lo spettacolismo nelle società occidentali tende sempre più ad estremizzarsi giungendo alla negazione e ed allo sfruttamento spettacolare del soggetto attraverso forme sempre più esasperate di espropriazione, come in certa spettacolarità mediale; in tale ambito il con-essere e la com-parizione di cui parla Nancy nel suo Essere singolare plurale (2001) divengono partecipi di una omologazione generalizzata che elude ogni autenticità; -certamente l’ontologia della com-parizione è da considerarsi il primo e fondamentale passo di un pensiero critico rinnovato ma bisogna fare ancora i conti con tutta una serie di modalità attraverso cui la società dello spettacolo partecipa a forme evidenti di patologia nella dimensione dell’essere sociale. E in questo ambito di valutazioni ci sembra pertinente citare Robert Kurz

«[Le idee di Debord] sono perfino più attuali che mai. Debord, nel suo tempo, tenne in vista principalmente il mezzo spettacolare televisivo constatando uno sviluppo del moderno feticismo giunto a un grado di accumulazione del capitale in cui esso diventa immagine e sostituisce interamente il mondo sensoriale con una selezione delle immagini. Ciò naturalmente non si riferisce solo alla semplice tecnologia mediale ma a una nuova qualità della sussunzione reale al capitale (Marx), una sussunzione non solo dei processi di produzione, ma della totalità della vita e della totalità dell'esperienza, a una feticizzazione di tutte le relazioni fino all'intimità, come [sopra] ho già suggerito, come soggezione di tutte le sfere della vita alla astrazione reale del valore e come liberazione dell'individuo astratto. A ciò corrisponde una medializzazione del quotidiano in cui i mezzi tecnici di comunicazione non si autonomizzano per sé, ma nel loro carattere inscritto nella merce e, in un certo modo, duplicano il feticismo della forma merce. Questo sviluppo si è drammaticamente intensificato con le nuove tecnologie della comunicazione della terza rivoluzione industriale. Ora, non si tratta appena di cruda tecnica, ma di una virtualizzazione generale del mondo della vita, come si può vedere nell'onnipresenza del telemobile, SMS etc. e soprattutto di Internet. Ciò va di pari passo con la virtualità del nuovo capitalismo finanziario, che si è staccato dall'accumulazione reale del capitale, come fenomeno di crisi. Nel virtualismo del

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pensiero postmoderno, tutto questo processo fu ideologizzato e parzialmente compreso male come emancipazione. Ma non é altro se non un'espressione della crisi del soggetto, nella quale si riproduce come fenomeno della coscienza il limite interno del moderno sistema produttore di merci» (2006).

3.14 Un esito pervasivo della società dello spettacolo riscontrabile nelle società avanzate, infine, è quello che Vanni Codeluppi (2011:91) chiama spectacle/performance paradigm. Uno stato in cui nei soggetti non esiste più nessuna separazione tra la dimensione pubblica e quella privata. Nelle tendenze delle società performative (N. Abercrombie B. Longhurst 1998) abbiamo che

«la vita sociale viene percepita da parte di molti soggetti come una continua rappresentazione» (V. Codeluppi 2011:92).

Si tratta di una diffusa sindrome da audience ovvero il sentirsi continuamente sotto l’occhio di telecamere o parte di uno spettacolo. Ciò con le implicazioni linguistiche (stereotipi comunicativi) e di immagine conseguenti. Un’interconnessione continua, ormai costitutiva della quotidianità. La società dello spettacolo diviene quindi società dell’audience in cui «si guarda e si è guardati» (V. Codeluppi 2011:92), una società in cui tutti si sentono attori ed in cui una preoccupazione prevalente è quella del come mostrarsi nei social-network. Per Abercrombie e Longhurst (1988:86) questa audience si presenta in modo semplice (faccia a faccia, incontri politici ecc.), di massa (mediale) o diffusa. Quest’ultima sta ad indicare la continua consapevolezza di un ruolo nelle persone, il sentirsi sempre, nella vita quotidiana parte di un’audience indipendentemente dalla partecipazione mediatica. L’audience diffusa è visibile attraverso cinque modelli: il consumer, il fan, il cultist, l’enthusiast ed il pretty producer. Si parte da un basso livello di competenze mediatiche che tendono poi ad aumentare con il passaggio da un modello a quello successivo (V. Codeluppi 1011:93). Abbiamo inoltre che: - nella sindrome da audience è abbastanza evidente la componente narcisistica (vedi punti 4.1.a e 6.5); - le ricerche suddette completano integrano ed aggiornano quanto aveva scritto negli anni ’50 Erving Goffman sulla vita quotidiana come rappresentazione (E. Goffman ed. 2005); - vista alla luce delle analisi lacaniane la sindrome da audience conferma il potente ruolo del grande Altro nella formazione dell’Io (vedi punto 4.1.b) e nella sua direttività nelle dinamiche dell’Immaginario, ovvero quella alienazione strutturante (P. Stanziale 1995:117) relativa alla seconda spaltung (la prima spaltung - alienazione strutturale - si ha nel processo di distinzione tra sé e sé – soggetto > linguaggio) riguardante la costruzione della ’Io che diviene personaggio (delineazione di una propria narrazione nell’ambito della catena significante - linguaggio > ricostruzione nel linguaggio). -secondo un approccio costruzionista (M. Sorice 2005:167 – V. Codeluppi 2011:94) gli individui tendono a formare la loro identità percependosi come audience, in tal modo integrano l’esperienza vissuta riorganizzando continuamente il proprio sé con materiali espressivi e narrazioni diverse. Tale approccio non ci convince pienamente là dove derive identitarie sono originate e risucchiate dal grande Altro verso forme di godimento smarrito senza efficaci elaborazioni di ancoraggio soggettive (vedi punto 4.3.5.b). 4 Scenari immaginari

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4.1 L’Immaginario in Lacan è presente a vari livelli nelle sue teorizzazioni. Per quanto ci riguarda esamineremo quelle teorizzazioni che assumono un interesse particolare per il nostro percorso. 4.1.a- Vediamo anzitutto che l’Immaginario è connesso con la fase dello specchio attraverso cui si definisce nel rapporto narcisistico tra il soggetto e il suo Io. Quindi l’immaginario è l’ambito in cui il soggetto stabilisce una relazione (duale) con l’ immagine di un proprio simile, relazione come attrazione erotica, tensione aggressiva (aspetto intersoggettivo) (J. Laplanche J. B. Pontalis 1968).

Il narcisismo è direttamente collegato alle dinamiche dello società dello spettacolo, ma è anche il portato dei vari ambiti del marketing. Il narcisista, come scrive Pezzella (1996) è il soggetto che, nell’apparire debordiano, è il più adeguato ad essere risucchiato dalla “fantasmagoria delle merci” (W. Benjamin 1986) e dalle loro euforiche offerte di possibilità e di metamorfosi. Si tratta di un Io indebolito che presenta un risvolto aggressivo proprio della psiche narcisista (J. Lacan 1974). Il narcisista è il soggetto dell’esperienza degradata e ipotrofica sul piano del reale, colui in cui prevale la visione rispetto all’azione e alla riflessione. Il suo mondo è quello in cui la restrizione dell’autonomia soggettiva si accompagna alla progressiva perdita del principio di realtà (M. Pezzella 1996:85,103).

4.1.b- Abbiamo poi lo schema L (J. Lacan 1974:50) relativo alla dialettica dell’intersoggettività, schema che riteniamo particolarmente interessante dato che: -viene individuata una oggettivazione immaginaria del soggetto, -prende forma il ruolo del grande Altro o Ordine simbolico.

In questa schematizzazione (che abbiamo integrato con varie specificazioni) il soggetto nel suo originario desiderio si rivolge agli oggetti rappresentati da petit a ma questo suo desiderio senza fine è dell’ordine dell’impossibilità (relativa al Reale punto 4.4), conseguentemente instaura una relazione immaginaria con sostituti dell’oggetto del desiderio (a1) attraverso i quali struttura il suo Io ovvero il Moi alienato come metonimia

S/ Soggetto barrato Mancanza a essere (Es)

a’ (ltro) – oggetto “petit a” Oggetto del desiderio REALE Desiderio ($ <> a) Godimento

A 1 Sostituti dell’oggetto del desiderio Io (moi)

Grande Altro Ordine Simbolico Ordine dei significanti La legge Il potere

(Estetica Politica Economia Media Ecc.)

Relazione Immaginaria

Inconscio

Schema L

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del desiderio. Chi dirige il gioco, però, è l’Altro assoluto dell’Ordine simbolico che lo domina e definisce il soggetto dal lato dell’Io e dal lato dell’inconscio (l’inconscio del soggetto è il discorso dell’Altro) (J. Lacan 1974:842). E questo in una processualità senza fine.

In questa teoria sono già chiaramente presenti elementi relativi a una economia dell’immaginario che si fa politica nella misura in cui il desiderio umano viene manipolato e il soggetto si presenta con un Io spossessato dalle realtà di dominio dal potere/ordine Simbolico/grande Altro.

La concezione di Žižek del grande Altro ha come riferimento sia il Simbolico lacaniano che la dialettica del Geist hegeliano. Il grande Altro, oltre a rappresentare il potere nelle sue varie forme, è anche l’insieme delle convenzioni che si danno, ma comprende anche la “trasgressione intrinseca” relativa alla legge non scritta che costituisce il lato osceno del potere e della legge stessa (S. Žižek 1999) (vedi punto 4.5.e). 4.2 In effetti qui già siamo nel pieno dello statuto dell’Immaginario. Il passo successivo è certamente quello più importante dato che riguarda il lacaniano nodo borromeo che unisce i tre Registri, le tre dimensioni essenziali del campo psicoanalitico: l’Immaginario, il Simbolico e il Reale (RSI), registri che richiamano lo schema L (vedi punto 4.1.b) e che si inquadrano organicamente nello schema R (J. Lacan 1974:549).

Schema R

Si tratta della struttura del soggetto relativamente ai registri del Simbolico, dell'Immaginario e del Reale. Nel quadrato vi è una terna simbolica, una terna immaginaria ed il quadrangolo del reale. Il triangolo del simbolico occupa metà del quadrato perché è strutturante. La linea tratteggiata vale per l'immaginario. Il triangolo dell'immaginario è basato sulla relazione duale dell'Io con l'Altro (narcisismo, proiezione ecc.), avente come vertice O (phi), il fallo, oggetto immaginario di identificazione col proprio essere (vivente). Il campo del simbolico presenta le tre funzioni di: ideale dell'Io, con cui il soggetto si reperisce nel registro del simbolico, del significante dell'oggetto M, del Nome-del-Padre nel luogo dell'Altro A. La linea I M raddoppia il rapporto del soggetto con l'oggetto del desiderio mediante la catena significante, rapporto che, nell'algebra lacaniana verrà ad essere scritto S/ <> a (in cui sono legati il soggetto barrato, il desiderio e l'oggetto a- il punzone <> indica il desiderio, come abbiamo già visto). Rilevante è il fatto che il campo del reale è inquadrato e mantenuto dalla relazione immaginaria e dal rapporto simbolico (P. Stanziale 2001).

4.3 La teoria lacaniana RSI è stata- ed è- oggetto di approfondimenti e di torsioni. In particolare questa teoria rappresenta un passaggio obbligato oggi per l’estetica e la critica d’arte che attraverso la rilettura hegeliana delle teorie lacaniane da parte di S. Žižek hanno trovato ampie articolazioni analitiche per quanto riguarda, sul loro versante, l’economia dell’immaginario. Non possiamo, così, non riferirci alla linea Lacan-Žižek e quindi alle letture della RSI da parte di vari autori nel cercare di delineare uno statuto dell’immaginario con la sua

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economia connessa al desiderio che è, come abbiamo accennato in precedenza, radicato in esso e di cui è un drive che lo anima e lo orienta (F. Carmagnola 2006). 4.3.1 Estrapoliano dal contesto delle teorie lacaniane (J. Lacan 1974 1982), relativamente all’Immaginario, che: -esso è la struttura dell’Io (Moi), -la funzione immaginaria è subordinata alle determinazioni del Simbolico, -l’Immaginario e il Simbolico si distinguono in funzione delle loro relazioni col Reale, -la funzione immaginaria presiede all’investimento narcisistico dell’oggetto. Per quanto riguarda il Simbolico (che Lacan mutua dall’antropologia strutturale di C. Lévi-Strauss): -esso è costituente per il soggetto, -esso non copre e spiega tutto, - esso annoda e snoda l’Immaginario col Reale (J. Lacan 1974). E quindi il Reale è l’impossibile, esso sussiste al di fuori della simbolizzazione, è l’inconscio in quanto indicibile. Il Reale è il luogo che accoglie ciò che è rifiutato dal Simbolico ed è connesso col godimento (jouissance) (S. Žižek 2004)

4.3.2- Non è possibile escludere, poi, dal quadro che stiamo delineando il contributo importante offerto dalla psicoanalisi lacaniana all’economia dell’immaginario con il concetto di godimento. Questa jouissance riguarda ciò che va al di là del principio del piacere ed è connessa con il Reale lacaniano. Questo perché l’approccio psicoanalitico all’ideologia di dominio- nei suoi rapporti con la cultura di massa- si presenta abbastanza esplicativo nella direzione di una visione politica dell’immaginario contemporaneo connesso con l’universo spettacolare (M. Senaldi 2008).

4.3.2.a- Il concetto di godimento trova la sua centralità in Žižek (2001 2004) che lo intende, con riferimento alla psicoanalisi lacaniana (Lust im Unlust), come oscuro supplemento superegoico, come dato proprio dell’ideologia, riscontrabile come la segreta oscenità presente nell’esercizio del potere- e delle relative forme di linguaggio, nei risvolti della cultura di massa e, quindi, nell’ambito dello spettacolare contemporaneo. Tenendo presente quanto scrive Žižek:

Immaginario

Simbolico Reale

Godimento

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«quand’è che io incontro l’altro nel Reale del suo essere… solo quando incontro l’altro nel suo momento di jouissance, cioè quando scopro in lui/lei un piccolo dettaglio- un gesto compulsivo, una eccessiva espressione del volto, un tic- che segnala l’intensità della realtà della sua jouissance ...l’incontro con il Reale è sempre traumatico, c’è qualcosa perfino di minimamente osceno in esso» (S. Žižek 1999:32)

ecco che, seguendo la metodologia žižekiana, troviamo, ad esempio, come il potere spettacolista televisivo si tradisca come godimento nel ghigno-sorriso involontario che appare in alcuni momenti-clou spettacolari sul volto di una ideatrice-conduttrice di format d’intrattenimento pomeridiani. Personaggio proprio della videocrazia contemporanea, esperta nell’organizzare artificiali cortocircuiti emozionali tra persone e nella spettacolarizzazione di continui outing di adolescenti che saranno famosi. Questo emergere del godimento, nella teoria lacaniana dei quattro discorsi (J. Lacan 1982 M. Recalcati 1995) (vedi punto 4.3.3), è proprio del discorso del maître in cui un significante-padrone (la presentatrice iscritta nell’ordine simbolico come espressione del potere) agendo nell’alterità spettacolare (espressione di un sapere), rimuove sia la produzione di godimento (objet petit a)- che però affiora- che la sua verità di soggetto barrato (mancanza a essere). Questa dinamica introduce la dimensione del godimento nella dimensione mediocratica della società dello spettacolo ma anche apre, in Žižek, al rapporto tra cultura di massa e Ordine Simbolico. Sullo sfondo della società dello spettacolo tale rapporto si presenta nel quadro di una complessa processualità nella quale la cultura di massa rappresenta l’immaginario del Simbolico che, nel suo farsi godimento, tradisce il Reale del Simbolico mostrandone le oscenità di fondo (S. Žižek 1999). Il godimento allora, come reale del Simbolico rivela l’altro lato di questo, le modalità di mascheramento del suo vuoto costitutivo (vedi punto 4.8).

4.3.2.b- S. Žižek (1999) nota anche, riferendosi a Lacan (1983), come nell’epoca attuale si verifichi una inversione nella struttura superegoica freudiana per cui se prima l’individuo era portato a reprimere il piacere e il godimento nel rispettare le leggi del sociale, l’attuale soggetto post-storico è all’inverso condannato all’eccesso, a dover godere. Il super-io non solo pone divieti ma costringe anche al godimento: «Niente costringe qualcuno a godere, tranne il super-io. Il super-io è l’imperativo del godimento -Godi!» (J. Lacan 1983:85).

4.3.3- A completamento di questa parte relativa al godimento non possiamo non richiamarci alla lacaniana teoria dei quattro discorsi (J. Lacan 1982) accennando al discorso della civiltà e del capitalista (J. Lacan 19878:40) tralasciando i discorsi dell’isterico, dell’università e dell’analista.

La teoria dei quattro discorsi è un classico della psicoanalisi lacaniana. Premesso che il discorso- sulla linea Althusser-Lacan- è una determinazione dell’ordine simbolico, abbiamo con questa teoria l’inclusione del soggetto nella struttura. Si stabiliscono quindi rapporti tra significante e godimento e tra simbolico e reale: tutto secondo i principi di una topica, di una dinamica e di una economia in quanto c’e, come direbbe Lacan, della produzione, di un più-di-godimento (collegabile ad un plusvalore) (M. Recalcati 1995). Premesso che nel matema lacaniano dei discorsi i posti sono:

e che

S1 = significante padrone, S2 = il sapere, S/ = soggetto barrato (mancanza-a-essere), a = oggetto “piccolo a”, godimento, ---= barra di rimozione.

abbiamo il matema del discorso della Civiltà (o del Padrone) e del Capitalista

(/agente/direzione/parvenza) (/Altro/sign. padrone/sapere/)

(/verità/soggetto ) (/produz./scarto/godimento/)

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in cui è rilevabile, nel primo matema, il freudiano disagio della civiltà: rimozione del soggetto barrato (nel posto della verità) da parte di un (agente) significante padrone, con il sapere nel posto dell’Altro e con la produzione di godimento (il marxiano plus-valore può essere connesso, come accennato in precedenza, con il plus-godere) (S. Žižek 2004). Nel secondo matema, troviamo una inversione per cui in azione è il soggetto barrato (agente) che rimuove il suo essere significante-padrone (verità) nel rivolgersi ad un sapere/Altro e producendo, anche in questo caso, plus-di-godimento (J. Lacan 1978 A. Soueix 1995 M. Recalcati 1995 2010).

4.3.4- Quest’ultimo matema è particolarmente interessante dato che costituisce una intersezione tra psicoanalisi, filosofia, economia e politica.

Si osserva ulteriormente: a) che il capitalista ha sembiante di padrone, è sganciato da un rimosso Significante-causa, la parvenza determina la verità; b) che l’unica verità è la propria, è il soggetto che detiene il potere; c) che si tratta di una posizione tipica del capitalismo contemporaneo in cui non esiste conflitto tra ideale e godimento; d) che il circuito discorsivo è veloce e circolare secondo l’andamento delle frecce e giocato sul godimento, ovvero si ha una circolarità del consumo senza limiti con una soddisfazione illusoria; e) che il soggetto si rivolge al sapere (scientifico) per produrre oggetti-gadget per consumo e godimento; e) Lacan ritiene la macchina capitalistica veloce nel consumo fino alla consunzione (J. Lacan 1978), ovvero consumando la macchina capitalistica si consuma e il suo consumarsi comprende la sintomatologia contemporanea delle tossicodipendenze, delle anoressie dello shopping compulsivo ecc..

4.3.5- A questo punto riteniamo utile parlare della precisa convergenza di due recenti e ponderose ricerche sui rapporti tra capitalismo, discorso del padrone e godimento. M. Magatti (2009), nel suo definire criticamente le illusioni del capitalismo tecno-nichilista e M. Recalcati (2010), nel suo individuare le figure della nuova clinica psicoanalitica, hanno strutturato, sulla linea Lacan- Žižek, un insieme di percorsi interpretativi di particolare interesse.

4.3.5.a- Per capitalismo tecno-nichilista Magatti intende l’approdo attuale del capitalismo in cui individua due componenti fondamentali: -la crescente tecnicizzazione della vita sociale ed la continua innovazione tecnologica che non solo modificano i mezzi disponibili ma ridefiniscono anche i fini legittimi;

S/ S2 ----- ------ S1 a

S1 S2 -------- ------- S/ a

Discorso del/la Padrone/Civiltà

Discorso del Capitalista

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- il nichilismo come Weltanshauung che emerge alla fine del XX secolo come «sostrato spirituale di un’epoca in grado di sostenere una crescita indefinita» (M. Magatti 2009:105). Il capitalismo tecno-nichilista si sostiene sulla sintonia di queste due componenti in una necessitante dinamica di continui mutamenti per saturare la componente nichilistica la quale opera a tre livelli: -l’immaterialità viene trasformata e resa disponibile per lo sfruttamento economico; -il capitalismo viene reso compatibile con qualunque cultura; -viene ridotto il rischio di porre in discussione i fini perseguiti (M. Magatti 2009:107). Il capitalismo tecno-nichilistico per Magatti è inoltre caratterizzato da tre riduzioni: «la riduzione temporale all'orizzonte dell'immediatezza (escludendo così ogni possibilità di rinvio, ossia esattamente di ciò che permette al desiderio di sostenersi nel tempo); la riduzione individualistica (ciascuno ha il proprio desiderio, di modo che la dimensione relazionale del desiderio è sostanzialmente esclusa se non nella forma surrogatola della mimesi); la riduzione materialistica (che attribuisce centralità al corpo e ai sensi e che, di conseguenza, fa del soddisfacimento la sua misura) » (M. Magatti 2009:132). Magatti evidenzia come Lacan consenta di andare oltre Marx per capire la nostra epoca che vede l’affermazione dell’economia affettiva:

«il capitalismo è così importante nella storia umana - e non una semplice sovrastruttura - proprio perché è capace di lavorare sul desiderio, proponendo il consumo come una strada per colmare il vuoto su cui il desiderio in quanto tale si attiva. Un tale obiettivo, tuttavia, si rivela sempre illusorio, dato che il vuoto non è mai completamente riempito attraverso gli oggetti, che devono essere continuamente rinnovati per saturare la nuova mancanza, in un movimento circolare, ingannevole e senza fine. Frammentando, l'esperienza in una successione di azioni che non hanno null'altro in comune se non il riempire provvisoriamente il vuoto, il capitalismo è, sempre di più, costretto a sradicare il desiderio dal legame che esso ha con la condizione esistenziale dell'uomo, riducendolo a semplice "godimento". [..] Contravvenendo all'approccio repressivo e disciplinatorio che ancora prevaleva nel capitalismo sociale, il comando che il capitalismo tecno-nichilista rivolge ai sin-goli individui è quello di cogliere l'attimo, vivere l'emozione, assaporare l'opportunità. [..] Per procedere in questa direzione, la creazione di un ambito disancorato da un preciso ordine culturale, nel quale prevalgono i linguaggi non verbali iconici e musicali e dove il singolo individuo è autorizzato a prendere ciò che più gli piace costituisce una pre-condizione fondamentale. […] E che con l'avvento del capitalismo tecno-nichilista, crolla il meccanismo del divieto che aveva retto nel capitalismo sociale e l'essere umano deve diventare, secondo la felice espressione di Deleuze e Guattari, una vera e propria "macchina desiderante": il capitalismo tecno-nichilista vive del fatto che il desiderio venga continuamente attivato e sia in grado di essere realizzato e poi di nuovo riattivato. Dato che l'individuo non è più disposto a (o in grado di) stare dentro la griglia rigida dei ruoli e delle norme sociali, l'ordine istituzionale delle cose - almeno nella sua rappresentazione – deve essere continuamente esposto a una dinamica di distruzio-ne/ricostruzione. Il che è possibile grazie all'amplissima disponibilità di significati e all'accresciuta mobilità, che indeboliscono qualunque ordine normativo, e all'esten-sione della libertà di scopo, che offre la possibilità (almeno teorica) di aggiornare continuamente i propri obiettivi. [..] I tratti centrali del nuovo quadro psicanalitico del capitalismo tecno-nichilista sono efficacemente colti nell'opera di Zizek che, sviluppando le tesi di Lacan e Miller, parla di, “economia libidica del plusgodere”. [..] Da questo contesto, in cui il godimento vive di continue dislocazioni e si mantiene solo nel passaggio da un oggetto all'altro, emergono due implicazioni particolarmente rilevanti. La prima è la natura illimitata del processo di mutamenti che viene attivato. E ciò in quanto il desiderio si costituisce come un asintoto: più ci si avvicina, più elude la presa; più si pensa di possederlo e più se ne accerta la mancanza. Ciò lo rende un si-gnificante vuoto, una forma senza contenuto: dobbiamo sempre desiderare qualcosa, anche se non sappiamo mai bene cosa, e anche se sappiamo che non potremo mai placare la nostra sete. E dunque saturiamo questa valenza libera accettando di buon grado di aderire alle sollecitazioni - così potenti e studiate - che l'economia affettiva è in grado di distribuire a piene mani.

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[..] Secondo Zizek (2004), i concetti lacaniani di "plusgodere" e "objet petit a" aiutano a interpretare il senso del rapporto tra soggetto e merce nei termini di uno stato dì sollecitazione permanente, continuamente inappagato, rivelando anche la rapida obsolescenza a cui sono destinate le merci e i desideri stessi, poiché solo tale dinamica garantisce la possibilità di ri-produzione dell'attività economica. Per questa ragione, il circuito novità/obsolescenza - così ossessivo nella nostra vita sociale - costituisce un elemento intrinseco alla produzione capitalistica contemporanea. Ciò dà vita a un'economia libidinale che, per definizione, non riesce mai a compiersi: in termini lacaniani, di fronte all'incapacità di affrontare le questioni centrali della nostra esistenza - rispetto alla quale ognuno è lasciato letteralmente a se stesso – il capitalismo tecno-nichilista propone uno sterminato numero di "abjets a" che offrono al massimo quelle che Lacan ha chiamato delle "lichettes", cioè delle "fettine di jouissance"'. Affinchè queste lichettes possano in qualche modo funzionare è necessario, però, il loro continuo ricambio, così da rigenerare il movimento tra mancanza ed eccesso. Anche se ripetutamente facciamo esperienza della delusione che essi producono, i beni che ci vengono offerti dall'economia affettiva si presentano in grado di generare un surplus di godimento che riesce, almeno provvisoriamente, a soddisfarci. » (M. Magatti 2009:105, 106, 107, 132,133, 134, 135) (vedi punti 4.1.b, 4,2, 4.3.2, 4.3.2.b, 4.3.3).

4.3.5.b- Recalcati (2010), evidenziando il fatto che le analisi di Magatti prolungano, sul piano sociologico, le riflessioni lacaniane, a sua volta, disegna un ampio percorso dal punto di vista della clinica psicoanalitica da cui estrapoliano un segmento che, partendo dal discorso del capitalista, perviene a quella clinica della tossicomania che permette di segnalare «come il nostro tempo non solo tende a produrre comportamenti tossicomanici ma si configura esso stesso come un tempo intossicato» (M. Recalcati 2010:195). Il quinto discorso di Lacan, il discorso del capitalista, presentato a Milano nel 1972 (J. Lacan 1974), per Recalcati porta Lacan di là dalle tesi weberiane sul caratterere etico delle origini del capitalismo per cui la l'ascetismo protestante consentirebbe l'accumulazione del capitale e la produzione del profitto. Il discorso del capitalista lacaniano, al contrario, «esalta a senso unico la spinta del godimento contro ogni forma di legame» (M. Recalcati 2010:28). Recalcati mostra come il discorso del capitalista (vedi punto 4.3.3) è un discorso

«al limite di ogni possibile discorso, perché se il discorso è un modo per definire il legame sociale, in quanto ogni discorso si organizza per introdurre un certo freno significante al godimento e per rendere possibile in questo modo una civilizzazione dei legami tra gli esseri umani, quello del capitalista. tende a distruggere ogni forma discorsiva affermando il soggetto come pura spinta al godimento solitario, dunque dissolvendo ogni freno al godimento, anzi, incoraggiando il godimento come nuova forma di comandamento sociale (corsivi miei). Il sacrificio di sé risulta così totalmente contraddittorio in un regime che pone il proprio fondamento sull'imperativo sregolato del "consumo di consumo". La mancanza di godimento come condizione dell'accumulazione del capitale - secondo la classica tesi weberiana -si trasforma beffardamente in una proletarizzazione generalizzata e in una precarizzazione diffusa. La mancanza di godimento anziché costituire la condizione etica del profitto dà luogo a una pura avidità di godere. Questo significa, come propone di fare Lacan nella sua matematizzazione del discorso del capitalista, porre il soggetto sbarrato nella posizione di agente, ovvero nella posizione che definisce l'orientamento specifico, la direzione di fondo, di un discorso. Diversamente dal discorso del padrone dove la mancanza è prodotta dall'azione stessa del significante che impone al soggetto una perdita di godimento in cambio della sua iscrizione simbolica.

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[..] nel discorso della Civiltà e nel discorso del capitalista la mancanza si trasfigura in una avidità di consumo che vuole scalzare il potere letale del significante essendo prodotta dalla continua offerta di oggetti di godimento proposta dal mercato. Questo significa porre nella posizione dell'agente [vedi punto 4.3.2.a] il soggetto sbarrato: non è l'Ideale che aggrega i legami sociali, né l'interdizione al godimento che ne scaturisce, ma la convulsione del soggetto sbarrato che domanda oggetti in grado di sanarne la divisione, salvo verificare che l’astuzia del discorso del capitalista consiste proprio nel produrre e nell'introdurre sul mercato oggetti che anziché soddisfare la domanda hanno il potere di alimentarla compulsivamente. D'altra parte l'elevazione del soggetto sbarrato nel luogo dell'agente significa che il cedimento della funzione orientativa dell'Ideale è stato rimpiazzato dall'illusione che non esista più alcun padrone al di fuori del soggetto ridotto, per usare l'espressione di Lipovetsky, a "turboconsumatore". Tuttavia l'individualismo sfrenato che sostiene il discorso del capitalista non è affatto una forma di disalienazione del soggetto dalla schiavitù nei confronti dei significanti padroni, ma una nuova forma di schiavitù. Il discorso del capitalista, come fa notare il conservatore Lacan, è chiaramente una forma di assoggettamento e non di liberazione. Marcuse parlava a questo proposito di desublimazione repressiva: non è il soggetto che desidera, ma che esige un godimento che spenga ogni suo desiderio (corsi miei). [..] L'algebra lacaniana del discorso del capitalista richiude, anziché aprire, come accade invece per il soggetto dell'inconscio, il rapporto tra soggetto diviso e l’oggetto piccolo (a): l'oggetto non è perduto, non è indice della mancanza, ma si solidifica illusoriamente, restando contiguo al soggetto, a sua disposizione, a portata di mano e di bocca. È questo il significato della osservazione di Lacan secondo cui la macchina iperattiva del discorso ilei capitalista sì muove troppo rapidamente, senza tregua, viaggiando come su due rotelle, raggiungendo una velocità infernale che abolisce il soggetto e che rivela l'anima profondamente nichilistica di questo discorso. Il soggetto sbarrato, situato nel matema del discorso del capitalista in una posizione agente, si rivela così una cifra ironica: nessun padrone, nessuna radice, nessun libertà assoluta di godere. Eppure in questa pseudopadronanza, in questa libertà immaginaria, per riprendere il titolo efficace dell'ultimo lavoro di Mauro Magatti sul capitalismo tecno-nichilista, il soggetto si trova schiavo dell'oggetto che più che consumare diventa ciò che lo consuma, oggetto passivo della "volontà di godimento" dell'Altro del discorso del capitalista più che l'euforico protagonista di un mondo senza più limiti. Il "turboconsumatore" del quale Lipovetsky, per certi versi, tesse le lodi non è solo, come crede il sociologo francese, il padrone razionale dei suoi, gusti e delle possibilità delle loro soddisfazioni, un Giano bifronte capace di "sfruttare a tutto campo le potenzialità aperte da quelle che sono le due grandi finalità della modernità: efficienza e felicità sulla terra", ma è anche l'espressione di un godimento sganciato dalla castrazione simbolica, impermeabile al discorso amoroso, antivitale, che non si genera solo dai consumi ma che tende a consumare anche chi consuma, a utilizzare il consumo delle cose come modo di compensazione della disinserzione del soggetto da ogni legame con l'Altro (corsivi miei). [..] La caduta dell'Ideale e della sua funzione orientativa e l'affermazione dell'oggetto di godimento in una posizione di agente sono i due elementi cruciali che animano il discorso del capitalista come macchina anonima di godimento e mostrano la precarietà simbolica dell'Altro contemporaneo: crisi della politica, dell'ideologia, del religioso, della dimensione valoriale, del discorso educativo, epoca postideologica, postmoderna, ipermoderna, postumana. Si tratta di una precarietà che è il prodotto di una instabilità dei legami, di legami senza Ideale,instabili, liquidi direbbe Bauman, esposti alla contingenza del sintomo. Ma anche di legami chiusi, cristallizzati, non-liquidi, reificati, solidificati, gelati, molecolari, involuti, segregativi. La caduta dell'ideale, la crisi del discorso del padrone, come ho già fatto notare, non comporta solo la liquefazione dei legami in quanto privati di ogni orientamento ideale, ma tende anche a rafforzare un loro compattamento monadico, autistico, apatico, narcisisticamente ostile allo scambio simbolico. [..] Il conflitto tra principio di piacere e principio di realtà, tra programma pulsionale e programma della Civiltà si è stemperato e al suo posto è subentrata una domanda collettiva di omologazione agli stili di godimento prevalenti. In questa prospettiva la prestazione diventa un effetto dell'imperativo sociale del Super-io sadìano: Godi! Questo principio tende però a non fare legame ma a isolare Ì soggetti nel loro statuto individuale, monadico, precario.

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[..] Cosa produce il discorso del capitalista? Produce insoddisfazione. Produce l'insoddisfazione come una nuova forma clinica della precarietà. La nostra epoca non è più quella delle masse radunate dall'Ideale. Non è più l'epoca degli entusiasmi fanatici che potevano scaturire dall’idea di appartenere a un solo grande corpo sociale. La nostra epoca vive piuttosto il contrasto generato dal discorso del capitalista tra l'effetto maniacalizzante dovuto alla soppressione dei limiti del godimento e la tendenza a precipitare verso un sentimento depressivo di estraneità, di inesistenza, di superfluità, di indifferenza e di fatica di esistere (corsivi miei). [..] Affermare che il nostro tempo è un tempo intossicato o, se si preferisce, sostenere l'idea che la diffusione epidemica di comportamenti tossicomanici sia da porre in stretta relazione con una intossicazione generalizzata del discorso sociale o, ancora, pensare che l'intossicazione non sia solo un'esperienza soggettiva, circoscritta ai soggetti che consumano droghe, ma che sia il nostro tempo, il tempo della Civiltà ipermoderna, a essere profondamente intossicato, e che, di conseguenza, l'in-tossicazione sia innanzitutto un'esperienza collettiva e non solo individuale, pone con forza il problema di una diagnosi teorica del programma contemporaneo della Civiltà. Per provare a riassumere in modo sintetico il nostro modo di intendere questa intossicazione generalizzata, mi farò guidare da due citazioni che hanno avuto per il nostro lavoro di ricerca la funzione di bussole teoriche. Una la conosciamo già. È di Jacques Lacan (1982:90) e si trova in un'intervista televisiva degli anni Settanta, nella quale egli definisce il modo di godimento prevalente della società contemporanea come un godimento smarrito. Soffermiamoci ancora su questa espressione. Cosa significa porre il godimento della Civiltà ipermoderna come un godimento smarrito? Significa fondamentalmente ritenere che la pratica pulsionale e, più in generale, il problema stesso della soddisfazione non sia più ancorato, agganciato, abbonato, a una legge simbolica che ne definisca l'orientamento. Il godimento smarrito è un godimento privo della bussola fallica o, se si preferisce, non castrato, non regolato dalla castrazione simbolica, non limitato, arginato, orientato appunto, dalla funzione normativa della castrazione. Il godimento smarrito è una de-clinazione del godimento che non si coniuga più con l'Ideale ma che ne ha, piuttosto, usurpato il posto. La seconda citazione è di uno psicoanalista italiano, recentemente e prematuramente scomparso. Si tratta di Agostino Racalbuto (2003:296 segg.). In una sua riflessione sulla tossicomania ha avuto modo di definire il nostro tempo come contrassegnato da uno "spazio psichico drogato", dove, nella sua prospettiva, drogato vuoi dire precisamente: troppo pieno di oggetti, dunque intossicato da un eccesso di presenza di oggetti di godimento, da ciò che definisce un "uso concreto dell'oggetto" e da un esercizio difensivo della "realtà percettivo-motoria come controinvestimento rispetto a una realtà psichica interna collassata o pericolosa, ad alto potenziale distruttivo", nel quale "l'agito prende il posto del pensato". Lo spazio psichico drogato di cui parla Racalbuto non coincide con lo spazio mentale individuale. Si isola piuttosto una tendenza generale della psicopatologia contemporanea: l'agito surclassa il pensato, la tendenza alla scarica prevale sulla necessità che si dia tempo per depositare l'esperienza, la spinta all'evacuazione senza elaborazione simbolica s'impone come una modalità diffusa di funzionamento della soggettività ipermoderna che appare come privo di soggetto dell'inconscio.» (M. Recalcati 2010:28, 29, 30, 31, 195,196, 197) (corsivi miei).

4.4 Passiamo quindi a strutturare lo schema seguente che inquadra le scansioni temporali della RSI e definisce la matrice di partenza per la dinamica delle relazioni successive tra i vari elementi. .....Reale...........................Immaginario......................................Simbolico .....Passato/Presente.........(Passato) Presente/Futuro....................Passato/Presente (Futuro) .....Godimento..................Desiderio.............................................Domanda .....Es.....................................Io....................................................SuperIo (seconda topica freudiana)

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….Religione…………….Estetica……………………………....Etica (S. Žižek 1999) 4.5 S. Žižek, poi, interpreta l’ambito RSI in chiave hegeliana ridefinendolo. Il risultato è un importante e «plastico» lavoro teorico (M. Senaldi in S. Žižek 2004:304), che per quanto riguarda l’immaginario, non è scevro però da varie ambiguità nelle sue varie versioni. Immaginario 4.5.a- M. Senaldi nel suo saggio Slavoj Žižek e l’immaginario (2007) esamina il concetto sartriano di immaginario (Sartre è «il primo ‘analista’ dell’imaginaire») rilevando la sua connotazione negativa come pensiero di qualcosa che manca, come «fuga dal presente», compensazione «negativa» (concetto di derivazione hegelo-kojèviana) che è tale però rispetto ad un «eccesso di realtà» (reel sartriano). Prende così forma la distinzione tra Reale e realtà che viene ripresa da Lacan e chiarita in Žižek. In ogni caso l’immaginario sartriano, pur nel suo essere un nulla immaginario, produce effetti reali e Senaldi mostra come per il Sartre degli anni ’70 l’immaginario rappresenti la determinazione cardine di una persona, ovvero il centro della soggettività dell’Io (Moi). Senaldi poi mostra come correlata a questo concetto di immaginario troviamo la nozione di fantasia propria della realtà psichica, nella prospettiva freudiana, per cui il soggetto è determinato da fantasie originarie che ne condizionano l’ immaginario. 4.5.b- Scrive Žižek :

«L’immaginario non realizza semplicemente un desiderio in modo allucinatorio: piuttosto, la sua funzione è simile a quella dello “schematismo trascendentale” kantiano: una fantasia qualunque costituisce il nostro desiderio, fornisce le sue coordinate; o meglio, letteralmente, “ci insegna come desiderare”» (S. Žižek 2004:19).

L’immaginario žižekiano, inoltre, nasce come luogo di scarto del simbolico il quale però trova una necessità funzionale nell’immaginario. Carmagnola (2002) sostiene che questo è perverso e non ha niente di creativo e di liberatorio dato che si colloca in una realtà incoerente e simbolicamente disarticolata in cui il fantasma non trova alcun ancoraggio ed in cui il godimento è coatto. Carmagnola mostra come questo immaginario non sia alternativo, come non rimandi a forme di mediazione o a presentificazioni mentali di assenze (S. Žižek 2000). Al contrario l’immaginario žižekiano è inquadrato in modo drammatico e ambiguo, rapportato ad un simbolico preda di crisi storico-culturali colluso con il reale forcluso producendo fantasmi osceni. Una concezione diversa da quella di C. Castoriadis (1988:89) che postula un immaginario radicale da intendersi come «creazione incessante ed essenzialmente indeterminata (sociale -storica e psichica) di figure/forme/immagini, a partire da cui soltanto si può parlare di qualche cosa». Anche diversa da quella di G. Durand che scrive dell’immaginario come «l’insieme delle immagini e delle relazioni fra immagini che costituisce il capitale dell’homo sapiens» (G. Durand 1972:123). Carmagnola nota poi come l’immaginario di Žižek, già di per sé ambiguo, è reso ancora più ambiguo e contorto nelle spire della dialettica hegeliana. Conseguentemente schematizza tre versioni dell’immaginario žižekiano, versioni peraltro che convergono, in vario modo, con quanto scritto da A. Piotti (in S. Žižek 1999) e da M. Senaldi (in S. Žižek 2004).

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4.5.b.a- Fantasy Si tratta dell’Immaginario nel/del Simbolico/grande Altro. Una fantasia che orienta il desiderio dentro la Legge ed oltre la Legge inverandone la funzione anche per la parte non scritta, oscena, (vedi il concetto di trasgressione intrinseca – punto 4.1.b . S. Žižek 1999 ) A. Piotti (1999) rileva come questo aspetto del grande Altro ne mostri la fragilità e la possibilità di collasso (corsivi miei). M. Senaldi (2007), a sua volta, individua in Žižek tre caratterizzazioni della Fantasy: 4.5.b.a.a- la fantasy come schema attraverso cui oggetti concreti possono avere la funzione di oggetti del desiderio colmando le lacune della struttura formale simbolica; 4.5.b.a.b- la fantasy come intersoggettività accostando il carattere soggettivo del fantasma con il fantasma collettivo dell’illusione; 4.5.b.a.c- la fantasy come ciò che riempie una lacuna o risolve un intoppo presenti in una narrazione/racconto della rete simbolica. Su questo percorso troviamo altri veli, altre caratterizzazioni žižekiane dell’Immaginario che richiamiamo qui di seguito per completezza: - l’Immaginario che «tenta di mettere in scena l’impossibile scena della castrazione della castrazione... ciò che conduce l’immaginario vicino al suo vero significato, vicino alla perversione»; - il rituale perverso che inscena l’atto della castrazione, della perdita primordiale che permette al soggetto di entrare nell’ordine simbolico (S. Žižek 2004 cit.); - l’Immaginario che si richiama alla situazione per cui il racconto fantasmatico a causa di un circuito temporale comporta la presenza di uno «sguardo impossibile», ciò che realizza un profitto ideologico; - l’Immaginario che deve funzionare come trasgressione intrinseca (4.5.b.a) della struttura simbolica per consentire a questa di attivarsi (il riferimento cinematografico žižekiano è Codice d’onore); -l’Immaginario come modalità di interazione tra un testo pubblico e il suo supporto fantasmatico. 4.5.b.b- Fiction È la seconda versione dell’Immaginario definita da Carmagnola (2006:201) finzione. Si tratta del «fantasma del soprasensibile che è funzionale alla stessa sussistenza dell’ordine simbolico». Un’apparenza che serve a costituire la realtà, ma anche la legge scritta simbolica (A. Piotti 1999). Fantasy e Fiction hanno per Žižek – nota Carmagnola (citando M. Senaldi in S. Žižek 2004) - una duplice caratterizzazione: sono interdipendenti e sono costitutivi del grande Altro. A. Piotti (S. Žižek 1999:203) sottolinea invece la funzione di plot, di trama, della fiction (corsivi miei). 4.5.b.c- Simulacro Carmagnola definisce questa versione dell’Immaginario come «la più inquietante» perché quando l’ordine simbolico collassa, si disintegra, il reale viene fuori. Emerge così il simulacro come spettro, fantasma: è l’ immaginario dell’orrore e dell’osceno del Reale non arginato dal simbolico. Si tratta della nostra situazione attuale, il «deserto del reale» žižekiano. 4.5.b.d- Le fantasies, inoltre, come strumentale sutura del Simbolico, escono dall’ambito individuale e, per Žižek, divengono ideologia da intendersi, questa, come supporto fantasmatico dell’ordine sociale dato che «è la realtà stessa che non può essere riprodotta senza mistificazione ideologica» (S. Žižek G. Daly 2006:97). Siamo qui nell’ambito

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intersoggettivo in cui il concetto lacaniano di Immaginario è portato al suo limite (M. Senaldi 2007). 4.5.b.e- Per quanto riguarda l’immaginario collettivo quanto scrive F. Carmagnola (2007:70) ci sembra abbastanza illuminante e pertinente al percorso che stiamo tracciando.

«Da una parte [l’immaginario collettivo] è il mana, che potremmo definire come un “significante fluttuante”, senza legami se non arbitrari con i possibili significati. Dall’altra parte, immaginario è anche il soggetto, o meglio l’istanza collettiva, acentrica e anonima che ci dice “come dobbiamo desiderare” o che ci costringe a godere. In sintesi, potrei definire l’immaginario oggi come una sorta di soggetto collettivo e impersonale o meglio di super-io sociale estroflesso nella rete della comunicazione mediale, con una posizione implicitamente normativa e esplicitamente seduttiva» (vedi schema 5.2.1 - l’immaginario produce - l’immaginario è prodotto).

E recentemente ancora Carmagnola ha tracciato una nuova mappa dell’Immaginario intendendolo come Archivio, Facoltà, Macchina. Ovvero tracciature, rappresentazioni, direzionalità.

«In una prima accezione [Archivio] l’immaginario è inteso come una sorta di luogo virtuale - psichico o culturale - che raccoglie le grandi immagini «influenti» o anche le root-metaphors (S. C. Pepper, 1942) o le «metafore assolute» e fondatrici. Le sue caratteristiche sono principalmente due: la limitatezza (si tratta di un numero finito di immagini e delle loro varianti) e il carattere trans-storico: le grandi immagini che si riferiscono alla vita dell'uomo, al suo rapporto con la natura e il cosmo, possono essere classificate come una sorta di corredo antropologico che si ripete nelle Decorrenze storiche e nelle varianti culturali (G. Durand 1972)». […] In una seconda accezione [Facoltà] l'accento cade invece sul soggetto e sull'attività. L’immaginario o meglio gli immaginari non sono il prodotto o il risultato di un'attività di produzione, di una Facoltà che può essere definita immaginazione culturale o collettiva - sia nella sua versione trascendentale che nella sua versione antropo-sociologica (C. Taylor, 2004). Secondo Taylor, in particolare, gli «immaginari sociali» sono, né più né meno, «il modo in cui» le persone, i collettivi sociali, «immaginano che-» possa o debba svilupparsi la forma dell'esistenza comune, una sorta di sceneggiatura collettiva che riguarda i caratteri dell'identità sociale. […] In una terza accezione [Macchina] possiamo definire l'immaginario come un'istanza o una potenza de-soggettiva ma priva di centro, veicolata da specifici sistemi o «dispositivi». Il suo ruolo, la sua funzione, è di carattere pragmatico, e consiste nel presentare o nel produrre riferimenti che riguardano le modalità o le direzioni del «sentire» o del «desiderio». In questa dimensione l’immaginario ha un carattere coattivo, benché non nella forma esplicita di un comando» (corsivi miei) (F. Carmagnola 2010:12).

Con riferimento, poi, al concetto di sistema sociale di Luhman (1989) Carmagnola disegna una sorta di sistema dell’Immaginario in cui individua: - un apparato di produzione di «figure normative» del sistema sociale da intendersi come sottosistema in grado di generare plusvalore simbolico di valorizzazione (valorizzazione che trova ovviamente nella merce il suo - naturale - campo di applicazione), - una complementarietà tra la suddetta «fabbrica del desiderio» e la produzione di valore nella economia della conoscenza (vedi punto 5.3), - un ambiente, quello dei media, ovvero una specie di «eco-sistema» entro cui proficuamente vanno ad operare l’economia del desiderio e l’economia della conoscenza (vedi punto 6.6), - il sistema Arte, il sistema Moda e il sistema Design come sistemi «esemplari» nell’economia dell’immaginario e «nelle strategie di ingegnerizzazione del sentire» (F. Carmagnola 2010:46). 4.5.b.f- Per Carmagnola infine

«L'immaginario è una cosa molto concreta. Come l'inconscio, è là fuori, nella città, per le strade. Basta guardare: il nostro sguardo ne è preda, vi si ammala. Il nostro sguardo è come l'uomo della folla di Poe, che non vive se non abbagliato e confuso nel vortice della moltitudine.

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Molto simile al dazzle, l'abbagliamento, l'effetto abbagliante del dazzling. To daze e to dazzle si somigliano, nelle rispettive tonalità dell'udito (lo stordimento del daze) e della vista (l'abbaglia-mento del dazzle). Una buona sintesi degli effetti dell'immaginario. [..] L'immaginario si presenta oggi nei tratti di una potenza normativo/seduttiva che in assenza di un legame simbolico defunto o mai esistito, «finge» rapporti e situazioni ad alto carico simbolico («fantasmi») e per mezzo di icone o sceneggiature pseudo-narrative «ci dice come» desiderare, sentire o canalizza la sensibilità. [..] In altre parole pre-dispone o pro-getta, in una situazione storicamente differente, i quadri di quella specifica forma di alienazione che venne definita dapprima come «industria culturale» (M. Horkheimer T.W. Adorno, ed. 1997) e successivamente «società dello spettacolo» (G: Debord, ed 2002) o «società dei simulacri» (J. Baudrillard, 1979). [..] Le forme o le configurazioni prevalenti dell'immaginario come potenza/istanza normativo/seduttiva si presentano a mio avviso in due grandi modalità prevalenti: forme di choc o di presentazione mediatica di un contatto diretto, spettacolare con il reale delle rappresentazioni esaustive dell'orrore (orrore come spettacolo, la cui documentazione più efficace è la videocassetta con i quindici minuti dell'attacco alle Twin Towers) alle correnti artistiche che esaltano 1'«informe» [..] Si tratta in questi casi di sceneggiature che portano il «reale» dentro 1'«immaginario» nella forma generale dell'apparizione spettrale, dell'esibizione o «visione senza veli»; strategie di gestione o di management del «sentire», o della sensibilità o del «desiderio» nella modalità del godimento coatto, la cui formula è il loop performativo autocontraddittorio Enjoy! [..] Si tratta di una normalizzazione del godimento già intravista a suo tempo dall'ultimo Lacan (J. A. Miller 1999), una normalizzazione parcellizzata in «fettine di jouissance» (vedi punti 4.3.5.a 4.3.5.b) compatibile con il marketing virale e con le merci «simboliche». Di questa configurazione fa parte integrante la gestione normalizzatrice della trasgressione e dell'intero arco dei comportamenti marginali ed estremi (V. Steele 2005)» (F. Carmagnola 2010:41, 42, 43).

Simbolico 4.5.c-L’Ordine Simbolico lacaniano - o Grande Altro- comprende la legge e il potere e si presenta con molteplici e complessi aspetti. È l’Ordine che fa da barriera al Reale con le sue forme di godimento ed è titolare dell’importante funzione di tenere insieme l’Immaginario e il Reale. L’accesso all’Ordine simbolico (rete dei significanti- linguaggio) comporta l’alienazione del soggetto, prezzo che questi deve pagare per raggiungere una identità stabile (S. Žižek 1999 2000) ovvero il Simbolico «è l’ordine del soggetto in quanto assoggettato» (G. C. Contri 2001:128). La strutturazione del Simbolico è direttamente connessa con la strutturazione psico-sociale delle rappresentazioni della realtà, realtà che nasce da un processo di differenziazione dal Reale. 4.5.d- Carmagnola (2002), sulla scorta di Žižek, storicizza il Simbolico indicando nel postmoderno l’epoca della crisi di questo Ordine. E ci sembra, questo, un valido rilievo anche alla luce di quanto hanno scritto Z. Bauman (2003), C. Lasch (2004), R. Sennett (2003) e altri. Tale crisi nasce, per Carmagnola, dal fatto che nel postmoderno vengono a maturazione due situazioni che per Žižek sono indicative di un difetto strutturale della funzionalità del Simbolico: rimane in questo Ordine una carenza di fondo per cui vi è sempre un resto, un residuo del Reale non simbolizzato, un «qualcosa» che per Carmagnola può essere importante nella nostra epoca; il Simbolico per funzionare necessita sempre di un supporto fantasmatico (vedi punto 2.3.g) ovvero di quell’ancoraggio tra la realtà psichica e la rete dei significanti: il fantasma come ciò che per il soggetto tiene ineluttabilmente il posto del reale. Ma l’Ordine simbolico si caratterizza anche per il fatto che «è l’ordine del godimento in quanto comandato (Jouis!)[..] regime dei godimenti forzati, compulsivi e dubbi» (G. B. Contri 2001:130) ma un godimento che viene prescritto in una seconda fase dopo la proibizione iniziale di ogni soddisfazione o godimento associabile a questa. Si tratta di un meccanismo perverso, termine, questo (gioco di parole: père-version – versione del padre), che viene chiamato spesso in causa da Lacan a proposito del Simbolico.

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L’ordine simbolico o Grande Altro, infine, può collassare mostrando le patologie della struttura, originando derive ideologico-identitarie, fondamentalismi, integralismi, mettendo a nudo regioni del Reale ed un Immaginario spettrale (vedi punti 4.7.a 4.9). Il collasso del Simbolico per Carmagnola (2006:203) «è sotto gli occhi di tutti, nei tre campi delle relazioni familiari, della società civile e delle istituzioni pubbliche». 4.5.e- L’Ordine simbolico è particolarmente presente nelle analisi žižekiane riguardanti il Grande Altro ovvero l’ordine costituito, il potere e quindi la politica. Si tratta di analisi di ampio respiro presenti in vari libri. Noi ne riprendiamo, qui di seguito, qualche segmento.

4.5.e.a- Attraverso l’utilizzo delle teorie lacaniane e della dialettica hegeliana il Grande Altro viene analizzato ponendone in evidenza la doppiezza, l’ambiguità e la pericolosità. Questo Grande Altro rappresenta la legge, la repressione, il controllo sociale, ma come potere contiene anche i suoi opposti trasgressivi, osceni: un universo costitutivo del potere stesso che serve continuamente al suo esercizio, alla sua riproduzione ed implica il godimento (Il godimento come fattore politico è il titolo di un libro di Žižek- 2001).

«Ciò che più profondamente tiene unita una comunità non è tanto l'identificazione con la legge che regola il quotidiano circuito della vita normale, quanto piuttosto l'identificazione con una specifica forma di trasgressione della legge, di sospensione della legge (in termini psicanalitici, con una forma speciale di godimento)» (S. Žižek 1999:36).

Si tratta della trasgressione intrinseca che scinde la legge in ideale dell’Io e nel suo «osceno inverso superegoico» (S. Žižek 1999:39). Un concetto che viene articolato in vario modo dell’Opera žižekiana (vedi punti 4.5.b.a. 4.5.b.a.c).

4.5.e.b- Guardando di traverso il Grande Altro (un looking awry, come dice Žižek -1991-anche attraverso la letteratura e il cinema) scopriamo la distanza cinica, propria dell’ideologia contemporanea del potere. L’atteggiamento cinico è quello di chi pur essendo consapevole delle negatività dei meccanismi del potere non ha difficoltà ad adeguarvisi. Il cinico pur disprezzando «la legge pubblica dalla posizione del suo substrato osceno» non mette in discussione il potere con i suoi dispositivi repressivi lasciando intatto «il retroterra fantasmatico del testo ideologico pubblico e scritto», la sua necessità è quella di mantenere un minimo di distanza tra la legge/discorso (ideologico) pubblico e il suo «oscuro doppio fantasmatico» (S. Žižek 1999:44). Žižek definisce il panorama ideologico attuale come l’età del cinismo, vuole indicare, in tal modo, come il vero nemico ideologico oggi sia precisamente l’atteggiamento post-ideologico della “distanza cinica”, che egli fa coincidere con la posizione “postmoderna” in senso lato e con la sua etica liberal-democratica (di cui il filosofo americano Richard Rorty sarebbe il profeta), che pur richiamandosi idealmente ai principi della differenza e della tolleranza trova il suo limite reale nel momento in cui si scontra con una differenza concreta (G. Patella 2002 ma anche P. Sloterdijk 1992).

4.5.e.c- Per quanto riguarda il concetto marxiano di ideologia Žižek ne opera una decisa inversione per cui:

«L’ideologia non nasconde o distorce una realtà soggiacente (natura umana interessi sociali, ecc.), ma piuttosto è la realtà stessa che non può essere riprodotta senza mistificazione ideologica. ... Ciò che l’ideologia fornisce è la costruzione simbolica della realtà – la fantasy estrema – come un modo per sfuggire ai traumatici effetti del Reale» (G. Daly S. Žižek, 2004:208) .

L’ideologia in tal modo viene a rappresentare il supporto fantasmatico dell’ordine sociale col suo universo di fiction simboliche in cui

«la necessità di un supporto [immaginario] dell’ordine simbolico pubblico testimonia la vulnerabilità del sistema: il sistema è costretto a dare spazio a possibilità di scelta che non devono mai concretamente avere luogo, dal momento che il loro avverarsi causerebbe la disintegrazione del sistema, e la funzione delle regole non scritte è

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precisamente quella di prevenire l’attualizzarsi di queste scelte formalmente permesse dal sistema medesimo» (S. Žižek 2004:50).

4.5.e.d- A livello di semantica del simbolo e/o modo simbolico Carmagnola distingue nell’Ordine simbolico: -la facoltà (l’agente produttivo/l’attività di simbolizzazione o modo); -l’archivio (luogo di produzione/sistema di artefatti necessari per la simbolizzazione); -l’eccedenza, che costituisce il carattere proprio del simbolico, rinvia ad un ordine non concettuale, eccedenza e che è caratterizzata: -dall’obliquità (simbolo «portatore di un senso indiretto o figurato) (U. Eco 1984:68)»; -dalla non-convenzionalità («la pregnanza e l’aspetto del significante che continuano ad essere visibili autonomamente anche quando il processo di significazione si è realizzato»); -dalla densità (il visibile che diventa denso impedendo la significazione); -dal rinvio (la sovrabbondanza di senso rimanda al trascendente, all’ideale) (F. Carmagnola 2002:31). Carmagnola (2002:32), quindi, mappa La Facoltà, l’Archivio e l’Eccedenza nella loro combinatoria funzionale, articolata in aree di convergenza e divergenza, proponendo un articolato modello di lettura dell’universo semantico del Simbolico.

Reale 4.7 Per Žižek il Reale si sottrae a qualunque simbolizzazione o significazione. Esso è sempre relativo a un soggetto. Il Reale è ciò che sta «là fuori» (esterno e contrapposto al mondo interno del soggetto) e che non dipende da noi. Esso è ciò che può essere compreso da leggi sotto il nome di realtà scientifica ma anche ciò che la legge simbolica ricopre e che alla legge sfugge come residuo non simbolizzabile (F. Carmagnola 2010). Il Reale resiste ad ogni rimozione e si presenta negli oggetti osceni dei fantasmi amorfi (frammenti dell’oggetto lacaniano petit a). Esso preesiste al processo di soggettivazione umano (Carmagnola 2006), il Reale si configura anche come trauma. Il contatto col Reale è rischio di morte. Il Reale žižekiano richiama il godimento osceno, la jouissance- come abbiamo già visto- il godimento collocato “al di là del principio del piacere” (S. Žižek 1993). Žižek opera una torsione del Reale lacaniano nel senso che per il filosofo di Lubiana abbiamo che

Convergenza

LA FACOLTÁ

L’ARCHIVIO L’ECCEDENZA

Carattere non concettuale dell’artefatto e/ dell’attività

Dotazione immaginaria antropologica

“Modo simbolico” Modalià specifica di trattamento o di azione

Impegno Ontologico (Divergenza)

Ipotesi di opposizione Tra simbolo e Concetto (Divergenza

Ipotesi della soggettività fondatrice (Divergenza)

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«il Reale non è impossibile nel senso che non può mai accadere.. No, il problema con il reale è che esso accade e questo appunto è il trauma. Il punto non è che il reale è impossibile, ma piuttosto che l’impossibile è Reale» (S. Žižek G. Daly 2006:97).

4.7.a- Su questo percorso troviamo anche una lettura žižekiana del crollo delle Torri Gemelle dell’11 settembre che coincide in parte con l’analisi di Baudrillard e Morin (2004). Per il filosofo di Lubiana si tratta di un affare interno al capitalismo (S. Žižek 2002) con il reale che buca lo spessore della serie delle fantasmatizzazioni mediali e diviene evento. Paradossalmente, sostiene Žižek, abbiamo che con questo evento è la realtà che copia lo spettacolo aprendo un nuovo ciclo in cui

«una superpotenza che combatte un misero paese deserto e che allo stesso tempo è ostaggio di batteri invisibili: questa, e non le esplosioni del WTC, è la prima immagine della guerra del XXI° secolo» (S. Žižek 2002:51).

È questo il deserto del reale che per Žižek si connette ad altri scenari pertinenti all’epidemia dell’immaginario. E il fatto che la realtà si ispira allo spettacolo costituisce una inversione che, pure a livello di comportamenti sociali e a livello linguistico, è ampiamente rilevabile e riferibile a quanto affermava Debord (che Žižek non cita mai).

«Lo spettacolo….. è piuttosto una Weltanschauung divenuta effettiva, materialmente tradotta» (G. Debord 2002:44). «Lo spettacolo, compreso nella sua totalità, è nello stesso tempo il risultato e il progetto del modo di produzione esistente. Non è un supplemento del mondo reale, il suo sovrapposto ornamento. Esso è il cuore dell'irrealismo della società reale» (G. Debord 2002:44). «Non si possono opporre astrattamente lo spettacolo e l'attività sociale effettiva; questo sdoppiamento è esso stesso sdoppiato. Lo spettacolo che inverte il reale è effettivamente prodotto. E nello stesso tempo la realtà vissuta è materialmente invasa dalla contemplazione dello spettacolo, e riprende in se stessa l'ordine spettacolare, offrendogli un'adesione positiva. La realtà oggettiva è presente su entrambi i lati. Ogni nozione così fissata non ha per fondo che il suo passaggio all'opposto: la realtà sorge nello spettacolo e lo spettacolo è reale» (G. Debord 2002:45).

Il Reale, infine è ciò che S. Benvenuto (in S. Žižek G. Daly 2006:19) chiama sindrome di derealizzazione: quando «non ci sentiamo più nella realtà familiare, e quindi percepiamo finalmente la realtà come .... Reale». Tornando a Lacan (1974:22): «il Reale è ciò che manca al suo posto». Carmagnola, infine, pone in evidenza il concetto di Reale come prodotto «della crisi dei meccanismi di produzione e di riproduzione che rendono possibile una intersoggettività regolare, “realistica”» (F. Carmagnola 2002:51 ).

Su questa linea concettuale la crisi economica del 2008 può anche essere letta, alla stessa stregua dell’attacco dell’11 settembre, come il venir fuori del Reale dell’economia con la crisi della struttura simbolico-immaginaria di questa, il dissolversi delle fantasmatizzazioni dell’Immaginario (fiction/fantasy) non più in grado di supportare il simbolico dell’economia avvitato su se stesso. Anche in questo caso emerge un godimento che sottolinea ancora meglio l’oscenità del Reale. È quello dei manager (con le loro stock-option) nelle loro limousine che insieme agli impiegati licenziati (con le loro scatole di cartone) lasciano la Lehman Brothers (vedi punto 4.9).

4.8 È possibile, a questo punto, mappare la teoria RSI attraverso la combinatoria dei suoi elementi (S. Žižek 2004 S. Žižek G. Daly 2006:96) . A) Reale - Reale La cosa orrorifica. L’oggetto primordiale. La gola di Irma. Alien. B) Reale - Simbolico / Simbolico - Reale Le formule della fisica quantistica- (Godimento -Domanda).

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C) Reale - Immaginario Il je ne sais quoi, il fascino inspiegabile di un oggetto- (Desiderio). D) Immaginario - Immaginario L’immagine nella sua funzione fondamentale di esca- (Desiderio). E) Immaginario - Reale Fantasy. Scenario immaginario che occupa il posto del Reale- Ma anche la cosa orribile. (Desiderio). Fantasy ideologica F) Immaginario - Simbolico / Simbolico - Immaginario Simboli junghiani . Gli archetipi New Age – (Desiderio - Domanda). G) Simbolico - Simbolico Parola come tale, senza senso. Il gioco del significante puro (perversione). 4.9 L’ambito RSI nei lavori di Žižek rientra nel quadro di una chiara critica del capitalismo contemporaneo visto nelle sue dimensioni sociali, politiche e comunicative (un aspetto spesso rimosso da molti di coloro che pure usano le sue categorie psicoanalitiche e filosofiche). Žižek pone in primo piano la crisi del Simbolico, il suo collasso, il trasparire della sua impalcatura attraverso cui emergono le fluttuazioni informi e minacciose del Reale (pre-simbolico e spettrale). L’Immaginario si riduce, in questo scenario, a velo che non riesce più a coprire un Simbolico collassato ed un Reale affiorante.. Il modello infine che Žižek delinea nei suoi ultimi lavori, letto da Carmagnola (2002:54) – e rappresentante anche una sintesi di quanto abbiamo individuato in precedenza- può riassumersi come segue.

Simbolico – legge, potere, ordine dei significanti – segue logiche di: occlusione rispetto al Reale , collusione con la Legge- crisi coinvolgente il Reale (emersione) e l’Immaginario (raddoppiamento fantasmatico del potere- cedimento al Reale). Reale – residuo, fantasma - logica di occlusione del Simbolico – emerge nella crisi del Simbolico (coinvolgimento dell’Immaginario) Immaginario – il fake, ciò che supporta il simbolico nell’occlusione del reale- segue logiche di: collusione (con la Legge come il Simbolico), invasione (coalizione con il Reale, il fantasma che emerge dall’impalcatura del simbolico).

OCCLUSIONE Il simbolico occlude il reale

SIMBOLICO La legge. Il potere. L’ordine dei significanti

CRISI DEL SIMBOLICO: reale e immaginario come acting out

FANTASMA Ciò che compare nella smagliatura del simbolico

COLLUSIONE L’immaginario al servizio della legge

IMMAGINARIO Il fake: ciò che collabora con il simbolico nell’occlusione

INVASIONE

REALE Ciò che è occluso dal simbolico Ciò che ricompare come residuo informe o fantasma

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Questo modello (F. Carmagnola cit.) mostra come l’immaginario si vettorializzi sia verso il Simbolico come supporto sia verso il Reale in modo fantasmatico. 5 Fantasmagorie dell’oscuro oggetto

5.1 Abbiamo visto quali sono le caratterizzazioni dell’area RSI e risulta subito evidente che i Registri combinati- in particolare le combinazioni centrali C - D - E – F (vedi punto 4.7.a) rappresentano lo spazio entro cui è possibile individuare connotazioni politiche, economiche e mediali relative all’immaginario nella sua economia. 5.2 Il passo successivo, quindi, è quello di focalizzare, in modo non certo esaustivo, un insieme di rapporti funzionali, di relazioni, di osmosi tra la combinatoria dei Registri suddetti ed aree quali l’economia della conoscenza, l’economia dei cosiddetti beni simbolici e alcune dimensioni dell’industria culturale quali i media, il marketing e la pubblicità. 5.2.1 Le relazioni tra i registri (RSI) e l’economia si possono visualizzare, nello schema seguente.

SIMBOLICO

Economia IMMAGINARIO

REALE

[Godimento]

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L’economia risulta qui connessa con i tre registri di cui l’Ordine simbolico annoda e snoda il Reale e l’Immaginario. Essa è partecipe, in vario modo, delle logiche di occlusione, collusione, invasione e godimento che regolano i tre registri. In particolare l’immaginario, come abbiamo visto, fornisce all’economia abbastanza materiale da usare, ma anche il simbolico, con i suoi trend e con i suoi significanti rappresenta una fonte di acquisizione per i processi di valorizzazione. In questa schematizzazione c’è anche del godimento connesso con il Reale tenuto a bada dall’immaginario e dal simbolico ma che è prodotto come plus.

Lo schema seguente invece (P. Stanziale 2006) integra lo schema precedente e cerca di definire il sistema circolare di relazioni che legano il Capitale, l’industria culturale e il soggetto con riferimento alla centralità strategica dell’immaginario (vedi anche punto 5.7).

Lo schema rivela anche una situazione strutturale che, ad un livello più profondo, richiama alcuni fattori propri delle tendenze del capitalismo attuale. 5.3 L’economia della conoscenza coagula e realizza varie tendenze degli anni ’60. Negli ultimi decenni la conoscenza, come strumento del potere e dell’economia, è venuta ad acquisire, nell’ambito dello sviluppo tecnologico e della globalizzazione, lo statuto di bene commerciabile nell’ambito del capitalismo cognitivo. Siamo qui nell’area di quella economia culturale globale, negli scapes di cui parla Appadurai (1996:94), «forme fluide, irregolari... forme che caratterizzano il capitale internazionale».

5.3.a- Nell’era del capitalismo cognitivo e della produzione dell’immateriale, corrispondente alle modalità produttive postfordiste, troviamo un sistema di accumulazione nel quale il valore produttivo del lavoro intellettuale e immateriale diviene dominante, prevale la rendita finanziaria e la conoscenza si trasforma in merce. In tale ambito sono da segnalare tre situazioni significative: - si delinea un andamento schizoide per cui da un parte, funzionale al sistema è l’esistenza di una massa omologata di persone asservite, poco critiche e soprattutto turbo-iper-consumatori, da un’altra vediamo che il sistema necessita di una crescente quantità di forza-lavoro cognitiva/creativa in grado di articolare una economia della conoscenza all’altezza del nuovo capitalismo cognitivo; - la potenzialità emancipativa del general intellect, intesa come produzione collettiva e condivisa di conoscenza, viene fatta propria dal capitalismo cognitivo che cerca si subordinarla ai propri interessi (A. Gorz 2003);

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- per Carmagnola proprio il general intellect è riconducibile all’economia cognitiva mentre l’altro corno marxiano, il feticismo, è da connettere alla fiction žižekiana.

Va inoltre rilevato il fatto che vari autori (tra tutti Gorz 2003) individuano nell’orizzonte di questo capitalismo dell’immateriale il fatto che il sapere diviene merce dato che le competenze e i procedimenti possono essere trasmessi o formalizzati anche separatamente, da chiunque ne faccia uso; possono essere trascritti in forma digitale e informatizzati per fini produttivi senza alcuna apporto umano aggiuntivo. Da questo punto di vista, il sapere è capitale fisso, è mezzo di produzione. Ma rispetto ai mezzi di produzione del passato presenta una differenza determinante: è accessibile, riproducibile, e digitalizzabile praticamente a costo zero e in quantità illimitata. (A. Gorz 2003 ma anche J. Rifkin 2000). Per quanto riguarda la conoscenza invece bisogna considerare

«innanzitutto le capacità artistiche, la fantasia e la creatività, molto richieste nell'ambito pubblicitario, nel marketing, nel design, nell'innovazione, dato che riescono a conferire alle merci -anche a quelle più comuni - un valore artistico, simbolico e incomparabile. La pubblicità e il marketing costituiscono una delle maggiori - anzi probabilmente la maggiore industria cognitiva: nella misura in cui attribuiscono alle merci qualità uniche e incomparabili, le imprese possono vendere i loro prodotti, almeno per qualche tempo, a prezzi maggiorati. Detengono una sorta di monopolio, e si procurano così una rendita monopolistica, aggirando temporaneamente la legge del valore; in altri termini, frenano il calo del valore di scambio delle merci, anche se queste vengono prodotte a costi sempre minori in termini di ore di lavoro e di personale» (A. Gorz 2003:41 ).

Il testo di Gorz ci rimanda a quell’area di comunicazione, conoscenza, intelligenza e creatività, che non può essere trattata dalle macchine ma richiede la «cooperazione di esseri viventi» (P. Virno 1999:24). Questa area si presenta nel capitalismo dell’immateriale in forma reificata mediante un eclettismo ed una flessibilità in grado di manipolare la potenza sovversiva del general intellect (non coprendo però tali strategie tutto il general intellect, ne resta pur sempre una parte che non può essere utilizzata dal sistema).

5.4

Corrispondente, al terzo spirito del capitalismo (E. Boltanski E. Chiapello 1999), di cui è parte, come abbiamo visto, l’elemento cognitivo (oltre alla novità relativa al recupero linguistico, da parte del management, della critica artistica…), abbiamo sempre il desiderio che anima l’immaginario come fattore produttivo (P. Falk 1997). L’Immaginario, con la sua anima desiderante senza fine, nelle dimensioni del suo coinvolgimento funzionale e osmotico con il Reale e con il Simbolico, si fa componente principale e dinamica del circuito economico. In tale ambito i processi di valorizzazione non si rispecchiano più nella teoria marxiana del valore-lavoro ma vanno visti alla luce delle teorie marginaliste e neoclassiche che pongono in primo piano il desiderio e il consumo per cui, alla fine, il valore, come abbiamo già accennato, tende ad essere determinato dal prezzo attraverso cui

«la merce manifesta sempre la sua essenza visibile» (J. Baudrillard 1997:78) 5.4.a- Quella che Carmagnola chiama la fiction economy è dunque una economia che rientra nell’ambito del vasto processo per cui il simbolico (nell’accezione žižekiana di potere nelle sue varie forme – A. Piotti in S. Žižek 1999) crea, attraverso varie strategie, un immaginario funzionale ai suoi interessi. In effetti tale processo si presenta con sicure analogie con quello che produce continuamente il debordiano spettacolo integrato come area consolidata del capitalismo contemporaneo. Questa economia dell’immaginario desiderante Carmagnola, sul versante della merce e del consumo, la definisce attraverso alcuni parametri

«L'economia [...] è dunque finzionale, nel senso di immaginaria, raccogliendo in questa sede e mettendo alla prova il lessico concettuale che Slavoj Žižek riprende a sua volta da Lacan. È certo un'economia del desiderio [..] il suo prodotto è un oggetto mediale narrativizzato dalla brand e

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codificato nei lifestyle. [...] E un'economia globale opposta all'economia della produzione localizzata nel punto fisico di una fabbrica o di qualsiasi luogo di produzione. Ed è differenziale, cioè differenziante in opposizione alla tonalità omologante di certe visioni della globalizzazione. Infine è estetica, perché produce beni la cui apparenza è fondamentale al valore e produce piacere o meglio godimento (enjoyment), riprendendo una delle caratteristiche istituzionali dell'oggetto estetico e dell'atto estetico» (F. Carmagnola 2006:23).

Questa economia finzionale, relativa al capitalismo dell’immaginario, si occupa, dunque, della produzione di segmenti di immaginario sociale in grado di corrispondere alla fantasmagoria delle merci (W. Benjamin 1986) connettendo la produzione al consumo inteso, questo, come agire sociale in relazione ai lifestyle. In tale ambito la brand assume un ruolo centrale con le sue narrazioni. La marca diviene relazionale:

«con il passaggio della pubblicità alla fase “metapubblicitaria” e “connessionista” anche la marca è necessariamente costretta a cambiare la sua natura e il suo ruolo. Incrementa, infatti, la sua importanza, spesso riuscendo ad assumere un’esistenza autonoma rispetto al prodotto. In una società come l’attuale, che appare sempre più invasa dalla comunicazione in tutte le sue forme, non è più sufficiente comunicare l’esistenza di un prodotto o delle informazioni rispetto a ciò che tale prodotto è in grado di offrire, ma è necessario comunicare un’identità specifica. Pertanto, le marche non possono limitarsi a denominare una certa linea di prodotti, ma devono proporre uno stile di vita, un’estetica e addirittura una visione del mondo. Si ribalta così il rapporto con i prodotti e questi ultimi non possono esistere e funzionare se non all’interno del mondo comunicativo proposto dalla marca. Proprio la crescente importanza che la marca sta assumendo fa si che essa progressivamente aumenti le sue connessioni nel mercato e nel sociale. Siamo dunque sempre più di fronte anche ad una sorta di “marca-network”, ad una marca cioè il cui scopo primario è di essere costantemente in relazione con ciò che si trova al suo esterno, cioè con gli individui che la circondano […] È possibile dunque affermare che la marca sta diventando sempre più “relazionale” […] che il rapporto tra l’individuo e la marca dipende sostanzialmente da due fattori: - la relazione tra la marca personificata (cioè considerata come se fosse un essere pensante) e il consumatore; - la personalità della marca, ovvero il tipo di individuo che potrebbe essere rappresentato dalla marca. La natura relazionale posseduta dalla marca viene solitamente esercitata da quest’ultima in varie direzioni: - verso l’impresa e i suoi prodotti, cioè verso i soggetti che hanno generato la marca stessa; - verso i consumatori, cioè operando come un “ponte” tra il prodotto e i consumatori; - tra consumatori e consumatori, cioè nelle relazioni che comunemente si stabiliscono tra gli individui; - verso le altre marche operanti sul mercato (cioè nell’area del co-marketing e del coadvertising); - verso l’immaginario sociale» (F. Carmagnola 2000).

Ma la marca si caratterizza (N. Barile 2004 V. Codeluppi 2010) anche per un doppio vincolo simile a quello individuato da Bateson (1989) nell’eziologia delle sindromi transcontestuali: da una parte la marca promette una felicità diffusa ad un target di individui, da un’altra parte seleziona i destinatari della sua narrazione attraverso il prezzo ed altri ostacoli. Il consumo assume in tal modo una problematica valenza articolata tra godimento ed esclusione.

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5.4.b La marca rappresenta per Carmagnola (2006) il fantasma postmarxiano, fiction, innesco dell’immaginario desiderante, mentre il lifestyle è un aspetto del “gusto”,

«un “comportamento (estetico) di consumo che caratterizza l’attuale evoluzione dell’economia in economia dell’immaginario.. [...] il lifestyle è il luogo di apparizione della logica economica dell’immaginario» (F. Carmagnola 2006:131)

Ma, complementare a questa processualità dell’immaginario troviamo anche- come abbiamo visto in precedenza- l’immaginario del grande Altro žižekiano come insieme di finzioni, fake, supporto fantasmatico del grande Altro stesso corrispondente ad una realtà che è essa stessa illusione spettacolare (staged fake) (S. Žižek 1999 e F. Carmagnola 2002).

5.4.c Questa economia finzionale- economia del Simbolico – Carmagnola (2002:140 la sintetizza in questo schema.

Sono ben individuabili in questo schematizzazione sia la rete dei nuovi processi di valorizzazione sia l’articolazione dei tre ambiti capitalistici (culturale, mediale e organizzativo con le loro attuali caratterizzazioni) attraverso cui opera l’economia del simbolico.

5.5

Per quanto riguarda poi quella che viene definita economia dei beni simbolici essa è parte importante dell’economia della conoscenza (vedi punto 5.3) propria del tardo capitalismo, una economia che si sviluppa nell’ambito del simbolico attraverso nuovi aspetti della legge del valore e attraverso l’adozione produttiva di simboli, di immagini, di segmenti mitopoietici.

I fattori principali dell’economia del simbolico sono fondamentalmente la conoscenza, l’immaginario nella sua osmosi-supporto col-del simbolico e i media come strumenti e come produttori di valore.

Questi fattori si coniugano in vario modo in un tragitto che parte da Marx e giunge fino alle odierne caratterizzazioni della produzione, della merce e del consumo. Si tratta di un tragitto- che è utile delineare sinteticamente- dove troviamo in primo piano il concetto canonico di feticismo della merce: la merce viene da Marx definita variamente con richiami a qualcosa che si aggiunge alla merce stessa, la anima (in modo derridianamente spettrale) e che, come evidenzia Carmagnola (2002), rappresenta l’intuizione di un immaginario della merce. La merce diviene fantasmagoria con W. Benjamin, ovvero l’immaginario e il simbolico irrompono sulla scena del consumo in una visione romantico- junghiana.

Riappropriazione delle culture locali e dell’innovazione sociale CAPITALISMO CULTURALE Consumo come forza produttiva Branding e coolness

Globalizzazione dei processi produttivi Flessibilità e outsourcing CAPITALISMO MOLECOLARE Lavoro pervasivo e nuova organizzazione

CAPITALISMO MEDIALE Tecnologie interattive

ECONOMIA DEL

SIMBOLICO

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«Le esposizioni universali sono luoghi del pellegrinaggio al feticcio-merce […] le esposizioni trasfigurano il valore di scambio delle merci, creano un ambito in cui il loro valore d’uso passa in secondo piano; inaugurano una fantasmagoria in cui l’uomo entra per lasciarsi distrarre. L’industria del divertimento gli facilita questo compito, sollevandolo all’altezza della merce. Egli si abbandona alle sue manipolazioni, godendo della propria estraneazione da sé e dagli altri» (W. Benjamin 2002:98).

Per F. Carmagnola (2007:73) Benjamin «fonda un’erotica dei consumi i cui fantasmi sono insieme figure del desiderio e figure della merce, fantasmi di merce».

Carmagnola individua anche in Benjamin l’idea relativa al fatto che la merce è ciò in cui appare ágalma: la merce viene a perdere il valore legato al tempo di lavoro (la sua verità) perché c’è qualcosa in essa che si aggiunge ed incrementa il suo valore di scambio (vedi punto 2.6).

«Il tenore di verità della merce sta invece proprio nell’apparenza stessa dei suoi vistosi segni. È l’apparenza che guida e trascina il desiderio. L’economia è economia del desiderio, già intuiva Benjamin […] i suoi meccanismi agiscono sulla superficie della “grande pellicola effimera” dei segni […] (il regime della merce) è il regime del desiderio- ovvero il desiderio che diventa regime di scambio » (corsivi miei) (Carmagnola 2007:74).

Carmagnola, nel suo Il desiderio non è una cosa semplice (2007:76), disegna nitidamente il rapporto tra merce e ágalma partendo dal Benjamin dei passages :

«La merce contiene un tesoro, un ágalma, perché agisce come oggetto-del-desiderio, già oltre il valore d’uso. Benjamin è stato il pensatore che ha riscattato il feticismo della merce e ne ha attraversato il fantasma rivelandone il tenore di verità che lo pervade […] diversamente da Marx non si tratta di smascherare semplicemente il carattere di feticcio della merce e il suo segreto- il lavoro umano- bensì di valorizzare proprio l’aspetto feticistico che in essa appare. Il feticcio contiene l’ágalma della merce […] c’è un terzo valore che emerge, ed è insieme, contraddittoriamente dis-valore del feticismo, è ágalma. È questo strano valore qualitativo, tutto interno all’immaginario che Benjamin insegue senza poterne formulare la precisa legge economica di produzione».

5.6

Il percorso di Carmagnola, dunque, si snoda da Platone a Lacan (vedi punto 2.6) a Benjamin, come abbiamo vista in precedenza, avendo come punto di riferimento ágalma. Ma se ritorniamo a Lacan il tracciato teorico tende a chiudersi verso un duplice approdo.

5.6.1- S/<>a è il matema lacaniano del desiderio (pertinente al fantasma), in cui abbiamo il soggetto barrato S/, il punzone <> e l’oggetto del desiderio petit a (vedi punto 2.3.g), matema che si può leggere S/-> a ma anche S/<- a. Ora è proprio questa ultima formulazione che ci interessa, l’accezione per cui l’oggetto “a” è la causa del desiderio, esso non è ciò che desideriamo ma ciò che attiva il nostro desiderio e gli dà consistenza, un coagulo di fantasmatizzazioni che quando sono concentrate in un oggetto rendono tale oggetto desiderabile.

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Nella parte superiore dello schema – la cui struttura è derivata dallo schema L lacaniano (vedi punto 4.1.b)- troviamo il soggetto barrato S/ preso dall’oggetto originario del desiderio petit a il quale include ágalma come tesoro fittizio (F. Carmagnola 2007), ma essendo qui nell’ordine dell’impossibilità ecco che il soggetto si rivolge, nella dimensione dell’Immaginario, ad a1, serie di sostituti dell’oggetto petit a che trova nella merce. Ma chi entra in gioco a questo punto è il grande Altro, l’ordine simbolico che, attraverso la sua economia, fornisce al soggetto segmenti di Immaginario (narrazioni di brand ecc.) legati strategicamente con la parata agalmatica delle merci.

5.6.2-La critica dell’economia politica quindi deve prendere in carico il confronto con l’apparenza della merce (F. Carmagnola 2007), col suo valore di ágalma ovvero con un plusvalore che non pertiene solo all’ambito produttivo ma è connesso con la comunicazione mediale e con il consumo. Un consumo che si colloca nella dimensione di un immaginario (sociale) sempre più strategicamente operante nel rendere concreto ed appetibile il plusvalore delle merci. 5.6.3- È con F. Lyotard (1978) e con J. Baudrillard (1974) che penetriamo, quindi, nel cuore dell’economia del simbolico. Con Lyotard, come abbiamo già visto, abbiamo il passaggio della merce intesa in senso marxiano alla merce vista dell’ambito dell’economia libidinale. Un passaggio che comporta l’introduzione del desiderio come componente dello scambio economico. Lyotard quindi analizza il dispositivo pulsionale dell’uomo e mostra come tale dispositivo attivi le energie del capitalismo, e invita ad orientarlo verso la libertà di là da ogni asservimento economico.

I lavori di B. Stiegler (2009) sono richiamati da vari autori che si occupano dei rapporti tra economia e scienze umane. Stiegler e il gruppo Ars Industrialis puntualizzano il fatto che l'economia libidinale nasce dal concetto freudiano fondamentale di libido. L'economia di questa energia è data dal suo collocamento in riserva per il suo sfruttamento o la suo trasformazione. I produttori vanno ad operare, quindi, nel quadro di una economia libidinale che tende a trasformare la soddisfazione delle pulsioni in un atto sociale, ciò che Freud chiamava sublimazione. Stiegler e compagni rilevano che il capitalismo al XX° secolo, ha fatto della libido la sua principale energia: se l'energia nel XIX° secolo è quella della forza di lavoro (Marx), nel XX° secolo, diventa quella del consumatore. Non è il petrolio che fa camminare il capitalismo, scrive Stiegler, ma la libido. L’energia libidinale conseguentemente deve essere canalizzata sugli oggetti di consumo per assorbire le eccedenze della produzione industriale. Si tratta di captare la libido, di lavorare sui desideri in relazione alla redditività degli investimenti.

S/

a1

a

MERCE

ágalma

Io Immaginario

A Simbolico

Reale

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Anche J. Baudrillard si muove in senso critico e sviluppa una radicale critica della società dei consumi, del feticismo della merce e della sua spettacolarità, sulla linea Marx-Lukàcs con evidenti suggestioni situazioniste. Baudrillard vede le società postmoderne come società dominate dalla simulazione e dall’iperrealtà mediale in cui l’immagine è vincente negli spazi di realtà fantasmatiche. Per quanto riguarda l’economia dei beni simbolici il contributo di Baudrillard è fondamentale. Il filosofo francese mostra come tutto ciò che viene prodotto riguarda il valore di scambio e nel segno-valore (terzo stadio strutturale dopo il naturale valore d’uso e il mercantile valore di scambio) (J. Baudrillard 1974). Col segno-valore acquistano, così, un rilievo particolare i processi di significazione come processi propri dell’economia politica del segno: ciò che colloca i rapporti tra immaginario e simbolico alla base dell’economia dei beni simbolici.

5.6.4- Due situazioni, tra altre, caratterizzano ulteriormente i processi di valorizzazione della merce.

5.6.4.a- La merce come spettacolo ha nei luoghi-non luoghi (M. Augé 2009) i suoi santuari in cui il consumo diviene evento colorato da sensazioni ed emozioni ovvero dalla fabbrica al teatro, dalla merce come produzione alla merce come rappresentazione (G. Deleuze F. Guattari 2002). In questi luoghi vengono allestiti teatralmente punti di incontro artificiali, sterotipizzazioni urbanistiche, forme disparate di vetrinizzazione del sociale (V. Codeluppi 2000): una dimensione che vede nei concept-store e nei multicenter l’espressione delle ultime strategie di un marketing ormai divenuto societing (vedi punto 5.10).

5.6.4.b- Il desiderio è dunque mercantile e le merci oltre ad essere caratterizzate da un valore di scambio, da un valore d’uso e da un segno-valore ecco che acquistano anche un valore di rappresentazione (F. Carmagnola 1999). La merce-immagine viene a far parte di eventi rappresentativi (dalla fabbrica al teatro, appunto) in un coagulo di segni, simboli, segnali, con la produzione di valore come ipermerce. Si attiva così un circuito di desiderio. La combinatoria semiotica della ipermerce si snoda generando universi narrativi, innescando identificazioni in un arco di possibilità attrattive del desiderio. La merce-cult funziona come operatore di convergenza privilegiato (F. Carmagnola 1999) attraverso l’evocazione di narrazioni, miti, rituali: una dimensione in cui il consumatore è risucchiato partecipando come attore al teatro mediale ed ai suoi schemi narrativi. Gli oggetti-cult sono oggetti narrativi, olotopici (F. Carmagnola 1999 A. J. Greimas 1968), oggetti-testo- prodotti da una inflazione del senso, prodotti di una malattia semiotica. Essi rimandano a storie possibili.

5.7

A livello di psicoanalisi di massa la merce assume, poi, nella dimensione di oggetto petit a, un più che inquietante rilievo laddove l’eclisse del desiderio si coniuga con quello che M. Recalcati (2010) chiama il «totalitarismo postideologico». Siamo qui in un territorio di analisi in cui le ideologie di un falso benessere- a cui è ridotto il Bene- tendono a schermare e ad occludere il vettore del desiderio indirizzandolo verso una falsa armonia del naturale. In tale universo viene a strutturarsi il totalitarismo dell’oggetto.

«La deriva cinico-pragmatica è una faccia fondamentale del totalitarismo postmoderno. Questa deriva evidenzia che il rapporto con l’Ideale è stato sostituito dal rapporto diretto con l’oggetto di consumo: l’oggetto piccolo a surclassa la funzione orientativa dell’ideale (J-A. Miller 1997). Proviamo però ad entrate più nel merito di questo nuovo primato dell’oggetto di godimento nel contesto del disagio della Civiltà ipermoderna. Questo primato in realtà lascia per un verso

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inalterata la dimensione ipnotica che caratterizza per Freud il legame totalitario, solo che ne rovescia e ne elimina gli effetti di identificazione ideale […] il nuovo totalitarismo dell’oggetto di godimento soverchia l’Ideale realizzando una ipnosi a rovescio dove non è l’Ideale ma l’oggetto del godimento che produce l’effetto suggestivo. Questa ipnosi dell’oggetto prende il posto del Padre e apre il campo a una nuova versione dell’ipnosi collettiva rispetto a quella studiata da Freud in Psicologia delle masse […] il secondo aspetto che caratterizza l’affermazione ipermoderna dell’oggetto di godimento è relativa alla perdita degli effetti di identificazione ideale che l’ipnosi totalitaria rendeva possibile. Attualmente il godimento cinico dell’oggetto non offre dei guadagni in termini di identificazione paragonabili a quelli che producevano nell’identificazione alla massa ideologizzata. Piuttosto il rovesciamento dell’ipnosi sprofonda il soggetto nel suo isolamento e nella sensazione diffusa di inesistenza. L’effetto inebriante dell’oggetto si consuma nell’istante stesso del suo consumo.» (corsivi miei) (M. Recalcati 2010:317).

Il totalitarismo postmoderno come totalitarismo dell’oggetto di godimento, con riferimento al lacaniano discorso del padrone (vedi punto 4.3.3), ha come suo naturale sbocco «il regno assoluto delle cose», il mondo come «un insieme di cose valutabili» (M. Recalcati 2010:325).

«I soggetti nella loro incomparabile particolarità vengono ridotti dall’ideologia scientista della valutazione a oggetti di misura universale. Ne deriva il trionfo delle cose a scapito della libertà soggettiva. Ritroviamo qui la funzione puramente ipnotica dell’oggetto: sono le cose che decidono al posto degli uomini» (J-C. Milner 2005:20).

Recalcati (2010:319) analizza così il rapporto distorto tra desiderio e godimento che porta all’eclissi del desiderio (vedi anche punti 2.4 5.6.3 6.6.c):

«ciò che domina è un’offerta di godimento sganciata dal desiderio, è il nichilismo del godimento che non è contrastato dallo slancio del desiderio. Questa eclisse del desiderio mi pare essere veramente l’aspetto clinicamente più rilevante del disagio della Civiltà. […] Il versante compulsivo del godimento dell’oggetto – sostenuto dal Super-io sociale che obbliga al godimento come nuovo dovere collettivo – promette la felicità senza passare dalla perdita dell’oggetto; allude a un’assicurazione sul godimento che allontana lo spettro della castrazione. L’esistenza si trova così protetta dalla sua irrimediabile contingenza e dal suo carattere mortale, ma paga il prezzo di questa protezione nei termini di un indebolimento della facoltà di desiderare».

La conclusione del suo L’uomo senza inconscio (2010:326) è che

«nell’orizzonte disabitato dell’Ideale è l’oggetto che si erige a nuovo agente ipnotico, vuoi nella forma scientista del “regno assoluto delle cose”, vuoi in quella cinico-pragmatica di un cortocircuito con l’oggetto piccolo (a) che anziché animare il desiderio lo costringe verso una eclisse spettrale. In entrambe i casi nel luogo singolare del desiderio- dunque nel luogo dell’oggetto perduto che causa il desiderio- troviamo il potere ipnotico dell’oggetto che promette di sanare ogni mancanza».

6 Affetti collaterali

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6.1

Ricerche varie evidenziano la presenza di altri fattori presenti nei processi di valorizzazione nel campo dei beni simbolici. Carmagnola (2002), con riferimento a N. Klein, a J. Rifkin- e ad analisi relative alle strategie del campo fashion e del campo del design system- ritiene la fiction una componente essenziale del valore.

«La nostra è una fiction economy, una economia finzionale dove l’esperienza sociale e i residui mitologici del cosiddetto immaginario collettivo vengono integrati nella rete del valore della merce e vanno a costituire i frammenti di una nuova costellazione dell’“immaginario del capitalismo”»(J-J. Goux 2000 in F. Carmagnola 2002:139).

Nell’economia dei beni simbolici il simbolico e l’immaginario sono componenti di un processo di osmosi produttiva attivato continuamente dal branding (con la medializzazione delle sue narrazioni), dall’individuazione di tendenze da mitizzare (un fashion-game nelle periferie di Seattle diventa poi lo stile globale grunge), dal consumo come forza produttiva.

Per quanto riguarda la decolonizzazione dell’immaginario di cui parla S. Latouche (2004:131), che riprende il concetto di immaginario creativo di C. Castoriadis (1998), si tratta di una esigenza connessa con la critica al neoliberismo e con i miti propri dell’immaginario dell’economia intesa come segmento del grande Altro che tende, nella nostra epoca, a predominare sulla politica e sulla cultura (J. Rifkin 2000): una tendenza che Latouche ritiene devastante. Latouche ritiene che «bisogna far uscire il martello economico dalla testa», che l’economia deve essere demistificata, in altri termini l’economia deve rivedere la sua collocazione, «bisogna far tramontare l’onnipotenza assolutista della razionalità» (S. Latouche 200:132) e porre in primo piano l’etica e la salvaguardia ambientale. Decolonizzare l’immaginario, in altri termini (quelli žižekiani), significa riculturalizzare l’immaginario, destrutturarlo sganciandolo dalle strategie dei poteri propri del simbolico e ristabilire con questo una osmosi eticamente accettabile, tenendo a freno le spinte al godimento del Reale speculativo che pure emergono fantasmaticamente come nella recente crisi. Si tratta di delineare una nuova politica dell’immaginario nel quadro dell’economia politica. (vedi punto 4.7).

Sulla stessa linea si colloca B. Stiegler che delinea nei suoi lavori un’economia della partecipazione- o del contributo- connessa con quella che Amartya-Sen chiama economia di capacità, denunciando il fatto che

«una società usa e getta che, come abbiamo finalmente capito nel 2008, non è più accettabile. Cosa è stato fatto allora? Ci si precipitò a salvare le banche che, con gli importi ricevuti, sono state subito in grado di speculare ulteriormente, in altre parole, per ricreare lo stesso problema, la bolla stessa. Questo è ciò che io chiamo mécroissance: la crescita che produce un eccesso di debito tossico per i consumatori, la depressione cardiaca, obesità ... - ricordo che la prima causa di mortalità in Francia è l'obesità e il suicidio, secondo me questo è un effetto diretto del consumismo compulsivo - e di una crescita illusoria. Un vero prodotto della fiorente crescita sostenibile. Il nostro attuale modello non produce nulla di valido per tutti, creando nella società una perdita totale di senso ed una situazione di stallo assoluto. L'immagine è scura, ma in linea con la realtà» (B. Stiegler 2010:172).

E per quanto riguarda il capitalismo finanziario Stiegler aggiunge che

«il capitalismo finanziario, come anche i media di massa, nocciono all'investimento perché non si inseriscono più nel campo del desiderio, nel lungo termine, ma nella pulsione e nel breve termine. La domanda centrale dell'economia politica, dunque, non è quella del rilancio della consumo, ma quella del rilancio del desiderio che è manifestamente in panne» (B. Stiegler 2010:186).

6.2

I principale ambito strategico attraverso cui l’economia dell’immateriale- intesa come economia dei beni simbolici- principalmente opera e si realizza in relazione all’immaginario

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è l’industria culturale con i connessi ambiti del marketing, della pubblicità e dei media (vedi schema punto 5.2.1).

6.2.a- Non ci soffermeremo molto sull’industria culturale quale si presenta ai nostri giorni perché il discorso ci porterebbe lontano ed esulerebbe dall’economia delle presenti note.

Vogliamo comunque accennare al fatto che, rispetto agli scenari dell’epoca di Adorno e Horkheimer, l’industria culturale attuale si presenta naturalmente molto più complessa, più diffusa e pervasiva e con un alto livello di sofisticazione, di contro però resta sempre di grande attualità l’impianto critico- con le sue concettualizzazioni- presente nella terza parte di Dialettica dell’Illuminismo (ed. 1997) relativamente ai contenuti tecnologico-repressivi dell’industria culturale ed alle sue implicazioni di ordine psicologico-sociale.

6.2.a.a- È utile anche sottolineare il fatto che l’industria culturale è una industria- segmento del Simbolico- che fornisce un immaginario di norme, simboli, miti e visioni che l’individuo interiorizza. Essa si serve di scambi intellettuali, di proiezioni e di identificazioni relativamente a simboli, a miti e immagini della cultura. L’industria della cultura fornisce punti di riferimento pratici alla vita immaginaria attraverso cui i soggetti strutturano una parte importante del proprio essere (E. Morin 2005). Essa si presenta basata: -sull’innovazione continua (vedi il punto 6.11), -sulla convergenza integrata di vari linguaggi (H. Jenkins 2007), -quotidiana, nella sua continuità, -interattiva e/o partecipativa a seconda dei vari ambiti comunicativi, -globale. In Italia, in particolare, l’industria culturale vede l’intersecarsi tra potere politico e potere mediale: si tratta, in altri termini, di quel laboratorio avanzato di sperimentazione di nuove forma di dominio di cui parlava Debord nei Commentari. Ciò che ci conduce al fatto che l’industria culturale come tale è ideologia o meglio ideologia in forma di merce, ideologia in forma di segmenti di immaginario. Una processualità che comprende anche il fatto che

«l’ideologia sostiene a livello di fantasia proprio quel che cerca di evitare a livello di realtà effettuale... [...] essa [ideologia] eleva qualcosa all’impossibilità come mezzo per rimandare o evitare l’incontro con .. la Cosa Reale» (S. Žižek G. Daly 2006:209).

6.3 Il marketing e la pubblicità (che ne è una parte come promozione del prodotto) sono le aree principali dell’economia dell’immateriale nelle sue osmosi con l’immaginario individuale e collettivo (vedi punto 5.2.1). 6.4 Il marketing si presenta con tecniche sempre più sofisticate (tra le ultime quella del marketing esperienziale) tendendo a quel marketing virale di cui parla W. Gibson (2005) in un suo romanzo. Questa affermata tecnica assume, nel capitalismo del terzo millennio, quasi l’aspetto dell’heideggeriano compimento della metafisica nel suo essere parte di una diffusa strategia di controllo e di dominio che vede l’uomo è ridotto a risorsa disponibile, sfruttabile e manipolabile. Nell’epoca del capitalismo cognitivo le strategie di marketing hanno strutturato un’economia basata sulla domanda. Ciò significa che il soggetto viene posto sempre più al centro dell’attenzione nello sviluppo di consumi che vedono il soggetto stesso come iperconsumatore con l’affermarsi di un’ethos consumeristico che mira a orientare continuamente i comportamenti umani. Il marketing, quindi, orientato verso la cultura di massa, vede l’affermarsi dei consumi emotivi, del turboconsumerismo, il formarsi di società edonistiche, l’ossessione della

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performance. Si giunge infine ad un homo felix “che ormai ha la felicità a portata di mano..” (G. Lipovetsky 2007:287). Un percorso, questo che ha sempre nuove prospettive avanti a sé a misura, appunto, di marketing e in cui il feticismo della merce, il desiderio, l’immaginario e l’economia sono strettamente legati. Le nuove frontiere dell’alienazione (spettacolare) vedono il consumo come una fuga dalla banalità quotidiana, vedono la costruzione di identità attraverso la merce, vedono il consumo ormai come una “trascendenza della soggettività, il sogno di una eterna giovinezza” (G. Lipovetsky 2007). Ci sembra invece che tutto ciò, oltre ad essere il prodotto di decenni di marketing e di conseguente colonizzazione del desiderio e del relativo immaginario (J. Lacan 1974 - S. Latouche 2004), sia anche un esito attuale della società dello spettacolo. Oggi dal punto di vista del marketing

«la società con cui ci si deve confrontare nel nostro agire d’impresa è complessa perché reticolare, eterarchica, acronica e atopica, contratta e fluida. Difficilmente ingabbiabile nelle classificazioni che siamo abituati a utilizzare quando facciamo considerazioni di tipo strategico. La mappatura è difficile, ma essenziale per la sopravvivenza. Ecco perché la sociologia diventa partner fondamentale per gli aziendalisti. Come gli occhiali con le diottrie corrette. […] possibili approcci e strade da percorrere, verificare ed implementare sono fatti di marketing relazionale ed esperienziale - portando i consumatori dentro percorsi di lungo periodo - e di knowledge management, in quanto la conoscenza è sempre più fattore critico di successo. A questo vanno aggiunte sensibilità per il bello, una sapiente gestione ed utilizzo di community networks, ed un forte orientamento al melting-pot, alla contaminazione. Infine, per raggiungere i nostri obiettivi sarà essenziale una buona dose di etica ed essere in grado di gestire la connettività ad altissimo livello» (C. Sangiorgi 2010).

E quindi la conseguente strategia che deve tener presente i seguenti punti. «1- La transizione d’epoca. Ovvero: fine delle certezze, fine della fede illuministica nel progresso. Inizia l’era della complessità, del relativismo, del dubbio sistematico. 2- La conoscenza come fattore di produzione. Ovvero: cambiano i modi di produzione, e cambiano le tecnologie. Risultato: cambia l’impresa, così come cambia la società. 3- Il postmoderno come cultura dell’economia postindustriale. Ovvero: dalla società moderna, caratterizzata dell’esattezza, alla società postmoderna: cangiante, indefinita, imprevedibile. 4- Una nuova centralità del consumo. Ovvero: la produzione lascia il suo ruolo di protagonista a favore del consumo, il quale si arricchisce di valenze sociali, semiotiche, antropologiche. 5- Dall’individualismo alla nuova società. Ovvero: le nuove forme di socialità che trovano anche nelle marche o nelle pratiche di consumo i totem intorno ai quali aggregarsi. 6- Dalla transizione alla relazione. Ovvero: la nuova forza contrattuale, il nuovo potere e la nuova discrezionalità del consumatore.

7- Il consumatore partner e committente. Ovvero: la prima volta del consumatore a fianco dell’impresa, in un rapporto che – grazie alla tecnologia – può anche essere di collaborazione e co-creazione. In ogni caso, assolutamente alla pari. 8- Il tramonto del marketing di massa. Ovvero: fine dell’impostazione taylorista/fordista dei mercati di massa. Si passa al

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marketing dell’ascolto, di relazione. 9- La dimensione sociale del marketing. Ovvero: il marketing deve prendere coscienza di operare all’interno della società. I consumatori sono attori sociali con cui dialogare, non macchine per l’acquisto.

10- Dal marketing al societing. Ovvero: la rivisitazione necessaria al marketing per potersi aprire a un incontro proficuo con la società » (G. P. Fabris 2009:98).

6.4.a- La pubblicità come comunicazione, con la sua funzione ideologica, è una delle forme culturali dominanti. Nota Baudrillard che

«la pubblicità e la propaganda acquistano tutto il loro vigore a partire dalla Rivoluzione d'Ottobre e dalla crisi mondiale del '29. Entrambe sono linguaggi di massa, nati dalla produzione di massa delle idee o delle merci, i cui registri, prima separati, tendono progressivamente a ravvicinarsi»(J. Baudrillard 1994:101).

E che

«ciò che stiamo vivendo è l'assorbimento di tutti i modi virtuali d'espressione in quello della pubblicità. Tutte le forme culturali originali, tutti i linguaggi specifici sprofondano nel modo d'espressione della pubblicità, poiché esso è senza profondità, istantaneo e istantaneamente dimenticato. Trionfo della forma superficiale, minimo comun denominatore di ogni significazione, grado zero del senso, trionfo dell'entropia su tutti i tropi possibili. Forma più debole di energia del segno. Questa forma inarticolata, istantanea, senza passato, senza avvenire, senza metamorfosi possibile, poiché è l'ultima e ha potere su tutte le altre. Tutte le forme attuali d'attività tendono verso la pubblicità, e la maggior parte di esse vi si esaurisce. Non si tratta necessariamente della pubblicità nominale, quella che si produce come tale - ma della forma pubblicitaria, quella di un modo operativo semplificato, vagamente seduttivo, vagamente consensuale (tutte le modalità vi sono mescolate, ma in un modo attenuato, indebolito). Più generalmente, la forma pubblicitaria è quella dove tutti i contenuti particolari si annullano nel momento stesso in cui possono trascriversi gli uni negli altri, laddove la caratteristica degli enunciati "pesanti" e delle forme articolate del senso (o dello stile) è di non potersi tradurre reciprocamente, così come le regole di un gioco» (J. Baudrillard 1994:103).

6.4.b - La pubblicità fornisce continuamente supporti alla metonimia del desiderio il quale è preda di opportune e strumentali strategie estetico-spettacolari (R. Sassatelli 2004), tutto in una spirale senza fine. La pubblicità traduce i beni in immagini, in simboli che, a loro volta richiamano la merce con un continuo gioco di rimandi (W. Gibson 2005 e F. Carmagnola 2006). Questi beni simbolici partecipano ad un universo sociale e retorico (A. Appadurai 1996) in cui il marxiano rapporto tra struttura e sovrastruttura diviene fluido nel quadro di una economia culturale globale basata su disgiunture relative a flussi culturali tra cui il mediorama relativo a

«’mondi immaginati’, cioè mondi multipli che sono costituiti dalle immaginazioni storicamente situate di persone e gruppi sparsi intorno al globo… forme che caratterizzano il capitale internazionale» (A. Appadurai 1996:109).

6.4.c- La pubblicità sembra anche operare attraverso una relazione triangolare connessa col desiderio mimetico (vedi punto 2.3.d.a) di cui parla R. Girard (1999). Il triangolo riguarda il soggetto desiderante, l’oggetto e il modello che si interpone, come mediatore-attrattore, tra il soggetto e l’oggetto. In questo circuito la relazione fondante è quella tra il soggetto e il mediatore-attrattore lasciando quasi in secondo piano l’oggetto. 6.5

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Homo videns, homo consumericus, homo felix, homo sucker infine (S. Žižek 2002), sono figurazioni che riguardano lo spossessamento, il desiderio, il consumo, la merce, il godimento e, infine, l’utopia della felicità (G. Lipovetsky 2006). In quest’ultimo universo si inserisce anche l’homo ludens, quello dell’espressività edonistica, il quarto uomo (P. Dell’Aquila 1995) quello che è stato post-materialista negli anni ’80 ed è il neo-materialista degli anni ’90: quello dell’affermazione ultima dell’Io narcisista che è però diverso dall’Io narcisista post-industriale. Tutte queste dinamiche rispecchiano le strategie di marketing ma sono inequivocabilmente sempre riconducibili all’economia, allo spettacolo, al feticismo della merce (nella sua evoluzione dal feticismo tradizionale delle merci al feticismo in cui la merce tende a perdere la sua consistenza materiale assumendo la consistenza di entità virtuale - S. Žižek 2004),

6.6 Per quanto riguarda i media come universo comunicativo vediamo che il flusso delle immagini travolge senza lasciare tempo alla riflessione, prescindendo completamente da ciò che il soggetto può capire e pensare. In questa esperienza concreta di sottomissione, che è permanente, si trova la radice psicologica dell’adesione generale a ciò che è presente e che ci rimanda direttamente al flusso delle immagini televisive, al primato delle immagini nella comunicazione globalizzata (A. Drinceanu 2005). Tale flusso produce «il prevalere del visibile sull’intelligibile che porta ad un vedere senza capire» (G. Sartori 2000:21). È il prevalere del consumo delle immagini rispetto alla conoscenza razionale, la televisione stabilizza il potere dell’immagine rispetto alla comunicazione scritta e parlata e struttura spazi di immaginario attraverso la ripetizione (vedi punto 6.6.c), producendo stereotipi, modelli di comportamento, consenso (V. Codeluppi 2009). L’immaginario collettivo, però, come spazio in cui comunicazione e desiderio si intersecano, tende ad impoverirsi nella misura in cui i flussi mediali di immagini diventano eccessivi, la saturazione della visione non lascia immaginare più nulla.

6.6.a- Nel mondo rovesciato dello spettacolare integrato (G. Debord 1997) lo spettacolo–merce oltre ad essere separazione è anche scissione all’interno del soggetto secondo quanto aveva già scritto Debord e secondo la teoria lacaniana del soggetto. Questa scissione, originata dal prevalere del vedere, come già accennato, a discapito delle altre forme sensoriali, delega la propria soggettività alla forma-spettacolo in maniera irreversibile (R. Massari 2008), abdica se stessa a vantaggio della proiezione dei propri sogni nello spettacolo inteso come immaginario prodotto dal simbolico.

6.6.b- Su questo piano la televisone, attua quella che Sartori (2000:111) definisce una “mutazione antropogenetica”, producendo l’homo “videns” che a differenza dell’homo sapiens è limitato nel pensiero razionale, difetta di capacità di astrazione e di capacità simbolica, ha difficoltà, infine, nel rappresentare attraverso il linguaggio. Si tratta del passaggio ad un “postpensiero a-logico” senza capacità di connessioni, che ha immaginabili conseguenze negative e rischi per la democrazia.

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6.6c- B. Stiegler e J Derrida nel quadro della loro critica radicale alla telecrazia così scrivono:

«Solo davanti al mio televisore, posso sempre illudermi di comportarmi in maniera individuale, ma la verità è un'altra: sto facendo la stessa, identica cosa delle centinaia di migliaia di telespettatori che guardano lo stesso programma. Divenute oramai planetarie, le attività industriali tendono a realizzare gigantesche economie di scala, e quindi a controllare e omogeneizzare i comportamenti attraverso tecnologie appropriate: di questo si fanno carico le industrie dei programmi, attraverso gli oggetti temporali che acquistano e diffondono, finalizzati a captare il tempo delle coscienze - cioè l'audience che vendono agli inserzionisti. […] Un oggetto temporale - una melodia, un film, una trasmissione radiofonica - è costituito dal tempo del suo svolgimento - quello che Edmund Husserl chiama un flusso. È un oggetto che passa. Ed è costituito dal fatto stesso di scomparire man mano che compare, così come le coscienze che unisce. Con il sorgere delle trasmissioni radio civili (1920) e più tardi dei primi programmi televisivi (1947), le industrie dei programmi producono oggetti temporali il cui trascorrere coincide con il trascorrere del tempo delle coscienze di cui sono gli oggetti. Questa coincidenza consente alla coscienza di adottare il tempo dei suddetti oggetti temporali. Le industrie culturali contemporanee possono quindi far adottare alle masse degli spettatori il tempo del consumo del dentifricio, delle bevande gassate, delle scarpe, delle automobili ecc. Ed è quasi esclusivamente in questo modo che si finanzia l'industria culturale. […] Ora, una «coscienza» è essenzialmente la coscienza di sé: quella di un singolo. Se posso dire io, è solo perché io mi do il mio proprio tempo. In quanto enorme dispositivo di sincronizzazione, le industrie culturali, e in particolare la televisione, sono macchine adibite alla liquidazione di quel sé di cui Michel Foucault (1992), verso la fine della sua vita, studiava le tecniche. Quando decine di milioni, se non centinaia di milioni di telespettatori guardano simultaneamente lo stesso programma in diretta, quelle coscienze interiorizzano, in tutto il mondo, gli stessi oggetti temporali. E se questo stesso comportamento di consumo audiovisivo si ripete ogni giorno, alla stessa ora e con grande regolarità, è perché tutto concorre a spingere a questo comportamento; e queste coscienze finiscono per divenire quelle di una stessa persona - cioè di nessuno. L'incoscienza del gregge libera un fondo pulsionale che non è più legato da un desiderio, poiché quest'ultimo presuppone una singolarità» (B. Stiegler J. Derrida 1996:158).

6.7 Esito attuale della produzione di immaginario è la “spettacolarizzazione dell’interiorità” come scrive U. Galimberti (2008) e come scrive V. Codeluppi (2008) a proposito dei processi di vetrinizzazione. La televisione, con la spettacolarizzazione dell’interiorità, ha fatto crollare quel diaframma che separava l’interiore dall’esteriore, l’intimo dalla sua spettacolarizzazione. Galimberti sottolinea il fatto che la “pubblicizzazione dell’intimo” è pertinente alla “mostra delle merci”, al mostrare in cui i soggetti esistono in quanto esibiscono la loro interiorità di là da ogni pudore. Nello spettacolo televisivo prevale l’apparire, un apparire che nel suo spettacolarizzare sentimenti e sensazioni contribuisce, tutto sommato, alla vittoria di un immaginario omologato in cui le soggettività sono completamente soggiogate. Si assiste poi al fatto che, in certi format, persone in condizioni-limite sono portate a spettacolarizzare non la loro normalità ma le loro “patologie” (U. Galimberti 2008 ma anche V. Codeluppi 2009). Si tratta della nuova frontiera della degradazione spettacolare che pure ha un suo nutrito pubblico il quale vede rispecchiate in questi format le proprie vicissitudini quotidiane anche le più banali. 6.8

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Il capitalismo contemporaneo ha nel biocapitalismo il suo più recente esito. Si tratta di un capitalismo che ormai sembra lasciare al soggetto poche vie di scampo. Si tratta di un tentativo di economicizzazione totale del soggetto come fonte del valore. L’essere umano viene messo al lavoro attraverso il suo corpo, attraverso la sua mente, attraverso il consumo. Come scrive V. Codeluppi (2008:37) questa tendenza si attua attraverso strategie comunicative e di consumo, personalizzando i prodotti come “riconoscimento di identità” e non come fornitura di merci e/o di servizi. È un nuovo livello di produzione di immaginario da parte del simbolico che tende a risucchiare strumentalmente tempo, energie e idee delle persone per proporre un consumo emotivo, affettivo, tonificante. Questo biocapitalismo, quindi, compendia gran parte dei processi e delle dinamiche che abbiamo esaminato in precedenza portando alcuni di essi ad un più alto livello di sofisticazione come ad esempio, il bio-branding, il product placement e la vetrinizzazione (vedi punto 5.12).

«Si tratta di un'economia anti-libidica: soltanto ciò che è singolare, e in questo senso eccezionale, può essere desiderabile. Io desidero solo ciò che mi appare eccezionale. Non c'è desiderio per la banalità, bensì una coazione a ripetere che tende verso la banalità: la psiche è costituita da Eros e Thanatos, due tendenze che vengono incessantemente a patti tra loro. L'industria culturale e il marketing cercano di sviluppare il desiderio di consumare, ma di fatto rafforzano la pulsione di morte, nel loro sforzo per provocare e sfruttare il fenomeno coattivo della ripetizione; e in tal modo contrastano la pulsione di vita. In questo senso, dato che il desiderio è essenziale ai fini del consumo, questo processo è autodistruttivo, o come direbbe Jacques Derrida, autoimmunitario. Io non posso desiderare la singolarità di qualcosa, se non in quanto questa cosa è lo specchio di quella singolarità che sono io: una singolarità di cui non sono ancora consapevole, e che questa cosa mi rivela. Ma dal momento che il capitale punta a ipermassificare i comportamenti, deve ipermassificare anche i desideri e rendere gli individui gregari. A quel punto, l'eccezione è ciò che va combattuto, come già Nietzsche aveva anticipato quando affermò che la democrazia industriale avrebbe fatalmente generato una società gregaria. Siamo in presenza di una vera aporia dell'economia politica industriale. Difatti, mettendo sotto controllo gli schermi di proiezione del desiderio d'eccezione si induce il predominio della tendenza thanatologica, o in altri termini, entropica. Thanatos vuol dire sottomettere l'ordine al disordine. In quanto Nirvana, Thanatos tende ad appiattire tutto: è la tendenza alla negazione di qualunque eccezione in quanto oggetto del desiderio» (B. Stiegler 2009:103).

6.9 Sembra realizzarsi, poi, anche il consolidamento di quella società del controllo come la intendono G. Deleuze (1990) e M. Foucault (1978 1997), ovvero una società in cui si stabilizza un paradigma di potere basato sulle macchine che colonizzano direttamente i cervelli (nei sistemi della comunicazione, nelle reti informatiche ecc.) e i corpi (nei sistemi del Welfare, del monitoraggio delle attività ecc.), dispositivi direttamente connessi con la biopolitica.

«Il concetto di dispositivo permette di comprendere come funziona una rete di pratiche eterogenee e trasversali. Esso permette di analizzare l’insieme eterogeneo dei discorsi (i pericoli, l’immigrazione, il nemico interno, l’integrazione…), delle istituzioni (agenzie pubbliche, governi, organismi internazionali…), delle infrastrutture architettoniche (aree di attesa degli aeroporti, circuiti Schengen di circolazione, progetti di nuove città dotate di reti elettroniche di sicurezza e di video-sorveglianza integrate), delle leggi (sull’immigrazione, sul lavoro nero, sulla riforma del codice penale, sul terrorismo, sul crimine organizzato), delle misure amministrative (regolarizzazione dei clandestini, accordi transfrontalieri per il respingimento…). La nozione di dispositivo impedisce di vedere il campo come una configurazione di concatenamenti tecnici e giuridici monolitici, consentendo invece di vedere una configurazione di concatenamenti sociali mobili. Essa permette con ciò di distanziarsi dal fantasma della tecnica in senso stretto del termine (satelliti di sorveglianza, informatica, elettronica di spionaggio…), per ritrovare le tecnologie di addestramento del corpo all’obbedienza» (M. Foucault 1997:79).

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«La biopolitica governa corpi multipli, fissandoli su un supporto identitario stabile che ne garantisca il controllo anche quando estremamente mobile. La proliferazione di identità plurali, anche a livello somatico, nonché la scomparsa di una identità di genere unica, anche attraverso la manipolazione e trasformazione di elementi identitari (attraverso ad esempio la plastica facciale, l’abrasamento delle impronte digitali e in genere ogni intervento sul corpo in senso postumano), rendono più difficile individuare il confine di identità su cui esercitare la sorveglianza. La biometria cerca in qualche modo di ovviare a questo ostacolo, iscrivendo, incrociando e marcando segmenti diversi del corpo a sua volta con diversi confini codificati: sociali, giuridici, di genere, etnici» (L. Amoore 2006). «In questo modello di potere, lo stato non è più l’unico agente di controllo, ma gli individui e le comunità stesse partecipano al loro autocontrollo, autoscrutinio ed autodisciplina attraverso dispositivi di regolazione accettati in quanto tali, quali ad esempio la misurazione del livello etilico, l’assistenza comunitaria, le tecniche di contraccezione, le campagne di vaccinazione, le diete fai da te, l’esercizio ginnico ed altre forme di tecnologie del sé (M. Foucault 1978). Queste ultime operano attraverso la strumentalizzazione di differenti tipi di libertà, […] in quanto parte e frammento di un processo di responsabilizzazione tramite cui gli individui si fanno carico della loro condotta, delle loro competenze, del loro perfezionamento, della loro sicurezza e del loro benessere» (B. Ajana 2005 cfr. anche N. Rose 1999:237).

6.10 Il soggetto al lavoro nel biocapitalismo si presenta con varie figurazioni, Tra queste il consumatore ha un posto centrale. Scriveva W. Benjamin nei Passages (ed. 2002:167):

È qui che dimora l’ultimo dinosauro d’Europa, il consumatore. Sulle pareti di queste caverne la merce prolifera come una flora immemorabile, intrecciando come un tessuto ulcerato, i rapporti più sregolati. Un universo di affinità misteriose […] Queste vetrine sono un rebus.. (corsivo mio).

Dal punto di vista del marketing, quindi, oggi abbiamo che

«il consumatore che le aziende devono soddisfare oggi è un essere profondamente evoluto, mutato e complesso, alla continua ricerca non di meri prodotti ma di prodotti che arrechino esperienze, emozioni e coinvolgimento fattivo. La sua scelta di consumo è fatta di una gestalt ipercomplessa, intrisa di quotidianità, valori, cultura. Inoltre, il consumatore non è più tale solo nel momento della scelta, ma è profondamente legato, linkato ed embedded in uno o più network di persone che hanno punti di interessi e orientamenti in comune (ma che non sono esattamente coincidenti, altrimenti la teoria dei giochi sarebbe troppo facile!) e li condividono in maniera più o meno virtuale. Si passa dal vecchio consumatore individuale a quello collettivo. E non solo: il consumatore dialoga, consiglia, partecipa alla produzione (prosumer) e diventa così partner dell’azienda. Leggasi ConsumATTORE, un essere non facile da gestire e con il quale relazionarsi. Sopratutto perché in altre fasi diventa ConsumAutore o ConsumatoRe» (C. Sangiorgi 2010).

6.11 Il consumatore come produttore rappresenta per Codeluppi (2008) un terzo fattore del biocapitalismo dopo il processo di astrazione della società e dopo la transizione dall’economia materiale all’economia della conoscenza. Il consumatore viene sempre più coinvolto in attività che si svolgevano in ambito imprenditoriale, acquisendo un ruolo strategico importante nell’ambito dei processi di valorizzazione, divenendo, infine, per l’impresa, l’elemento di partenza per l’attivazione dei processi produttivi (D. Cohen 2007 in V. Codeluppi 2008 e M. De Certeau 2001). Il consumatore quindi produce e valorizza. Il consumatore come produttore acquista le caratterizzazioni che seguono. .Il consumatore è colui che fa un lavoro di straforo (M. De Certeau 2001). .Il consumatore è un prosumer in relazione al tempo libero (A. Toffler 1989). .Il consumatore è attivo nel nuovo spazio della digitalizzazione delle merci. .Il consumatore è artefice di promozione/miglioramento dei prodotti (B. Cova 2003) .Il consumatore è attivo nel passaparola (V. Codeluppi 2008 cit.).

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.Il consumatore è partecipe della produzione di immaginario collettivo (V. Codeluppi 2010)

.Il consumatore è attivo del quadro delle conquiste culturali (innovazione) (T. Frank 1997).

.Il consumatore è attivo nell’appropriazione di processi e nella limitazione del business (A Toffler 1987). .Il consumatore diviene ciò che consuma strutturando così la propria identità (J. Baudrillard 1979). Il consumatore, infine, come nota N. Barile (2004), è soggetto ad un double bind batesoniano (vedi anche punto 2.3.d.a): la marca come una madre promette felicità ad una parte di soggetti targhettizzati ma blocca le aspettative del consumatore operando una selezione attraverso il prezzo ed altri ostacoli. In tal modo il consumatore è dipendente dalla cultura del consumo ma nello stesso tempo tenta di liberarsi di essa (V. Codeluppi 2010). 6.12 Il biocapitalismo, infine, oltre alle forme di occupazione/espropriazione della soggettività cui abbiamo accennato, comprende anche una deriva che tende a saturare ulteriormente spazi di effettiva libertà, approdando ad una contraddizione che mette in pericolo i fondamenti della società: il rapporto sbilanciato tra economia e cultura (J. Rifkin 2000 e V. Codeluppi 2008 ) per cui l’economia tende a fagocitare sempre di più l’ambito culturale da cui essa deriva. Un universo in cui vengono ad affermarsi sempre nuove servitù (A. Burgio 1994) – un ordine nel quale più i servi si sentono padroni più affermano la loro condizione servile.

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OGGETTO (a), 4.1.b, 4.3.3, 4.3.5.a, 5.6.1, 5.7. PUBBLICITÀ, 6.2, 6.3, 6.4.a, 6.4.b, 6.4.c. SIMBOLICO, 4.1.b, 4.3.1, 4.3.2.a, 4.4, 4.5.c, 4.5.d, 4.5.e, 4.5.e.d, 4.8, 5.2.1, 6.2.a.a. SCHEMA, 4.1.b, 4.2, 4.3.1, 5.4.a, 5.4.c, 5.2.1, 5.4.c, 5.6.1. SPETTACOLO (SOCIETÀ DELLO), Cap. 3, 4.1.a, 4.7.a. SOGGETTO, 6.4.c, 6.10. REALE, 4.3.1, 4.3.2.a, 4.4, 4.7, 4.7.a, 4.8, 5.2.1. VALORE, 5.6.3, 5.6.4.b. Ref. Immagini lastminute-saldi-valdichiana-outlet-village.it R. Massari Editore liberareggio.org curiosi.altervista.org radiokbhr.com C. Klein Autoblog24.it

Pasquale Stanziale è nato a Sessa Aurunca in provincia di Caserta, laureato in Filosofia, docente di Storia e Filosofia nei Licei, collabora con Università ed Agenzie di Formazione ed è docente di Filosofia Teoretica presso l’ISSR di Caserta. Ha al suo attivo un’ampia pubblicistica nel campo delle Scienze Umane. Collabora con la rivista Civiltà aurunca per la parte socioantropologica. Tra le sue pubblicazioni Omologazioni e anomalie (Caserta 1999), ricerca divenuta un classico degli studi locali, Mappe dell’alienazione (Roma 1995), saggio di filosofia politica, la traduzione del best-seller la Società dello spettacolo di G. Debord (Viterbo 2002). Ha curato anche Il Manuale di saper vivere ad uso delle giovani generazioni di R. Vaneigem (Viterbo 2004) ed una antologia di autori situazionisti (Viterbo 1998). Tra le pubblicazioni più recenti Cultura e società politica nel Mezzogiorno (Caserta 2007), Materiali per un’economia politica dell’immaginario, (Civiltà Aurunca n. 72 . 1012/2008- Latina), Scenari tra economia e scienze umane (Quaderni CRAET n. 11 – Sec. Univ. Napoli- 3/2009) Cyberphilosophie, (Quaderni CRAET- n. 13 - Sec. Univ. Napoli- 3/2010).

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ISBN 978-88-906569-0-3

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