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Intimate Computing modello ed esempi di una strategia vincente per il mobile marketing Gianluca Diegoli

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Intimate Computing modello ed esempi di una strategia vincente per il mobile marketing

Gianluca Diegoli

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Gianluca Diegoli si occupa dal 1997 di internet per il business e

di eCommerce, con una sensibilità specifica in social business e

una conoscenza profonda della Rete, anche a livello di tecnolo-

gie abilitanti.

È formatore e consulente in strategia dei canali digitali per

aziende e organizzazioni e dal 2012 è professore a contratto

presso la Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM per

il corso di marketing digitale e e-commerce.

Il suo ultimo libro è Social Commerce, pubblicato da Apogeo nel

2013. È inoltre autore e coautore di numerose pubblicazioni

tra cui “Vendere Online” per Il Sole 24 Ore e “Manuale di Social

Media Marketing” per Hoepli, “Viaggi in Rete” per Angeli e “Co-

municazione Liberata”, ed. Brioschi. Tra le pubblicazioni digitali

troviamo “91 discutibili tesi per un marketing diverso”, scaricato

in più di 30.000 copie, e in seguito distribuito in forma cartacea.

L’Autore

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kÈ inoltre fondatore di minimarketing.it, sviluppato attorno

all’idea di un marketing diverso pensato per le persone, dalle

persone, con le persone, attraverso nuove forme di connessione

e condivisione in rete. Il suo blog [mini]marketing è uno dei più

influenti in Italia e viene citato in diversi libri di marketing.

Ha tenuto lezioni al Master in Social Media di IULM, al Master

Social Media di IFOA, al Master in Web Marketing dell’Universi-

tà di Genova, al Master in Ecommerce e Digital Marketing de Il

Sole 24 Ore, al Master in Comunicazione dell’Università di Siena,

al Master in Comunicazione dell’Università di San Marino, al

Masterlab in Digital Economics & Entrepreneurship di Digital

Accademia, al Master in Retail Marketing de Il Sole 24 Ore, al

Master di Ninja Marketing e al Master 24 de Il Sole 24 Ore e ha

scritto per Wired, Apogeo, Codice e partecipato a trasmissioni di

SkyTG24, Radio 24, Class-CNBC, Radio Rai e altre. è stato inoltre

relatore al Festival del Giornalismo, a varie Social Media Week, a

BTO e altri eventi.

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kSommario

Introduzione .............................................................................. 5

Cosa intendiamo per Intimate Computing ............................... 8

La zona di relazione ................................................................ 15

Progettare funzionalità come creazione di valore ................ 22

Modelli di business.................................................................. 27

Conclusioni .............................................................................. 32

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1 Introduzione

Questo documento si propone di rispondere alle domande che i

nostri riferimenti in azienda ci rivolgono quotidianamente:

In un periodo caratterizzato dal continuo cambiamento, da

nuove tecnologie, nuovi device, nuove piattaforme che le azien-

de annunciano con cadenza giornaliera, crediamo che serva,

per chi deve prendere decisioni sugli investimenti in azienda,

non tanto rincorrere affannosamente la tecnologia ma chiarir-

si le idee sul senso, il valore e il ritorno della propria presenza

sul mobile (anche se tutto è ormai mobile, in realtà: iPhone è

la macchina fotografica più usata al mondo, Android il primo

sistema operativo, la maggior parte del tempo speso online è da

smartphone e tablet, dati Audiweb 2014, e potremmo continua-

re) attraverso un modello concettuale, un framework (niente

di astratto e astruso, sia chiaro). Uno schema mentale, ancora

prima che tecnologico, che semplifichi una realtà complessa

Qual è il modello ideale di business di una nuova app?

Come mi posiziono nella vita reale del mio target?

Quali sono i parametri per determinare gli effettivi risultati di business apportati e quantificare il ritorno del mio investimento?

Come posso capire quali funzionalità inserire e quali invece scartare?

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ke variegata come quella mobile: l’Internet utilizzata in modo

personale, continuativo, “touch” sposta ancora di più, rispetto

all’internet “fissa” il focus dalla tecnologia realizzativa al valo-

re reale generato per chi la deve utilizzare (il mitico “utente”).

I brand vincenti saranno quelli che capiranno prima degli altri

che il valore si crea attraverso un vero rapporto con la persona:

utilizzando questa modalità continuativa di interazione senza

però “spremere dati” né “bombardando di messaggi”, ma do-

nando utilità prima di chiedere attenzione.

L’attenzione, in un ambiente frenetico fatto di notifiche push,

in uno spazio teoricamente illimitato ma praticamente ristretto

come quello delle app che l’utente può installare in posizione

prominente (o che comunque possono rimanere nella top of

mind dell’utente — per usare un termine caro ai marketer —

quando servono davvero) è la moneta più preziosa da spendere

per i nostri piani marketing, e non possiamo pensare di spre-

carla con funzionalità inutili, o difficili da utilizzare, o semplice-

mente non in linea con i suoi obiettivi, le sue modalità preferite

e gli effettivi momenti d’uso, in cui ci potrebbe dedicare la sua

completa — di nuovo — attenzione.

L’obiettivo è anche quello di spazzare via inutili illusioni. Un’app

non è un biglietto della lotteria: una buona parte delle app — è

giusto dirlo — non raggiunge i risultati attesi, siano questi di

monetizzazione diretta (attraverso la vendita dell’app stessa) o

indiretta (con obiettivi esterni alla app, per esempio la vendita

di prodotti, o la raccolta di dati utili, o la maggiore fidelizzazione

del cliente), a causa di una mancata analisi del target, dei suoi

bisogni o di falle nella realizzazione, che porta a una app magari

utile, ma poco gratificante nell’uso, che può a quel punto essere

comodamente sostituita da un’altra più facile, anche se magari

con funzionalità minori.

Purtroppo notiamo ancora oggi investimenti rilevanti perdu-

ti completamente a causa di qualche mancanza nell’impianto

strategico complessivo, oppure brand dedicare un investimento

troppo basso in relazione ai risultati attesi in base a una errata

convizione che basti “fare una app e metterla negli store” per

vedere gli utenti scaricarla e soprattutto utilizzarla. Ancora

più spesso, non si ha un obiettivo chiaro di a cosa serva avere

un’app, e si crea — a questo punto con il minore investimento

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kpossibile, già di per sé garanzia di fallimento — un aggregato

di funzioni prese da app simili o di competitor, senza trovare

una propria unicità rispetto al pubblico di riferimento, e anche

quando la app viene utilizzata, non se ne sa misurare il ritorno.

La app come costo, anziché come investimento, non ha senso in

una strategia di marketing digitale.

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2 Cosa intendiamo per Intimate Computing

Intimate Computing è la nostra definizione della modalità di

relazione tra persone e brand, creata dagli smartphone e — in

misura leggermente inferiore — dai tablet. Vogliamo usare

questa definizione per contrapporlo al Personal Computing, che

in effetti, rispetto ai mainframe aziendali (un po’ assomiglianti

a quelli della serie Spazio 1999), aveva condotto per primo le

persone verso un rapporto meno distaccato con la tecnologia.

Ci sono tre elementi di base che definiscono il rapporto nascente

dall’Intimate Computing: l’essere personale, essere continuativo,

essere touch.

L’uso della tecnologia è finalmente davvero intimo (in quanto il

device non è condiviso, esattamente come un portafoglio o un

mazzo di chiavi) fino a trasformarsi in una estensione del cor-

po stesso, un arto plasmabile tramite app su misura della mia

necessità (diversa da quella di un altro), e che amplifica le possi-

bilità, la conoscenza e semplifica gli obiettivi della vita reale, nel

momento stesso in cui si svolge.

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ng Raramente il device è più lontano di pochi centimetri dalle

nostre dita, e non è raro vedere gente armeggiare con due borse

della spesa nella stessa mano, pur di avere libera la seconda per

chattare su Whatsapp o controllare l’email. Ancora, sondaggi

riportano come le persone trovino meno fastidioso scordare a

casa il portafogli, anziché lo smartphone.

Secondo un’indagine del 2013 di AlFemminile.com, il 43% delle

donne italiane non può separarsi per più di un’ora dal proprio

smartphone. In alcune aree di paesi in via di sviluppo, la con-

nessione via smartphone viene considerata prioritaria rispetto

a servizi come l’acqua corrente o altro, oppure — come avviene

in molti paesi africani — il conto corrente viene sostituito dal

credito telefonico.

Secondo dati forniti da Google per il 2013, l’utente medio di

smartphone controlla il proprio device più di 150 volte al giorno.

Questo rapporto è appunto continuativo, in quanto le perso-

ne rimangono connesse per gran parte della loro giornata, ma

soprattutto sanno di poter essere connesse in qualsiasi momento

nasca un bisogno di qualsiasi tipo che possa essere soddisfatto

attraverso la connessione alla rete.

La fisicità è rafforzata dalla tecnologia touch, che supera la

barriera della tastiera per creare un linguaggio franco basato

sull’interazione naturale e diretta delle mani, degli occhi, del

corpo stesso. A seconda del momento di vita e dell’utente, l’e-

stensione del suo corpo può quindi essere uno smartphone, un

tablet o entrambi. Per riuscire a focalizzarsi sulle modalità di

relazione anziché sulla tecnologia è necessario mantenere come

punto di vista primario l’utente, la sua vita, le sue abitudini. Se

riusciamo a capire l’utente capiremo come essergli utili, e se gli

saremo utili l’utente sarà in grado di fornirci vantaggi tangibili

dal punto di vista del nostro business.

È necessario mantenere come punto di vista primario l’utente,

la sua vita, le sue abitudini.

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ng Nessuno chiede più informazioni stradali dal finestrino, in quan-

to le mappe sono disponibili per tutti, e ormai sono storia — o

quasi — i navigatori GPS, molti leggono libri direttamente dallo

smartphone, quasi estinti sono i lettori MP3, in quanto la musica

è dentro il telefono o ancora più spesso in streaming, le previsio-

ni del tempo sono in tempo reale, idem il traffico: lo strumento

smartphone è talmente versatile da poter soddisfare le esigenze

di una vasta gamma di persone. E questo apre infinite possibilità

per le aziende di intercettarle ed esaudirle, inserendole possibil-

mente in nuovi modelli di business virtuosi.

La continuità (o la possibilità di esserlo): il rapporto uomo-de-

vice è continuo, con persone connesse per gran parte della loro

giornata, ma che — soprattutto — sanno di poter avere la rispo-

sta a disposizione in qualsiasi momento nasca un bisogno poten-

zialmente soddisfatto.

La terza caratteristica — fisicità del rapporto — è plasmata dalla

tecnologia touch, che supera la barriera della tastiera per creare

un linguaggio naturale e globale basato sull’interazione naturale

e diretta delle mani, degli occhi, del corpo stesso. Un ottimo post

di Marco Massarotto indaga e fornisce fonti sulla intimità appor-

tata dai device (fonte: http://marcomassarotto.com).

Per riuscire a focalizzarsi sulle modalità di relazione anziché

sulla tecnologia è necessario come primo passo focalizzare

l’utente, la sua vita, le sue abitudini. Se riusciremo a capire chi

è, di cosa ha bisogno, dove e in quale momento, capiremo anche

come essergli utili, ed entrare in quella che chiameremo (e defi-

niremo meglio più avanti) Zona di Relazione, in cui l’utente sarà,

attraverso l’uso dell’app, in grado di fornirci vantaggi tangibili

dal punto di vista del nostro business, in un circolo virtuoso che

avvantaggia tutti.

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ng L’investimento è spesso quindi di medio-lungo periodo, anche

quando comincia a dare risultati da subito. Si tratta di investire,

da parte dell’azienda, nella creazione di Owned Media, un “cana-

le” privato e prioritario con cui relazionarsi con i propri clienti o

prospect.

Un canale che è ben più potente, quanto a personalizzazione e

“intimità” rispetto alla sfera privata (attenzione, anche a possi-

bile intrusività) di altri mezzi già “diretti” come l’email marke-

ting o il direct marketing, a cui mancano spesso sia la capacità

di feedback continuativo che di rilevanza rispetto al momento

di vita dell’utente, nonché quanto a possibilità di ottenere dati

“live”, non mediati da rilevazioni come sondaggi e interviste, ma

ottenuti direttamente dai comportamenti degli utenti attraverso

questo “arto artificiale”.

Il canale è owned, di proprietà, si diceva: non intermediato,

se non dall’app store, in cui il brand non deve più acquistare

visibilità da terzi come TV, giornali e radio o altri siti, se non in

parte come vedremo per lanciare la app stessa, ma guadagnare

in ogni momento una relazione diretta con i propri stakehol-

der, con la possibilità di servirli con un livello di precisione

spazio-temporale e di rilevanza potenzialmente mai raggiunto

prima dalla comunicazione di massa, e nemmeno dall’internet

su PC.

Un nuovo follower su Twitter, un nuovo fan su Facebook, un

SMS inviato non fornisce in potenza all’azienda lo stesso numero

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ng di informazioni sulle preferenze rispetto a un catalogo, compor-

tamenti di acquisto, i suoi spostamenti geografici (o la posizione

da cui la usa) che un’app mobile, se ben tarata sugli obiettivi

aziendali può fornire. Queste informazioni – non ci si deve stan-

care di ripetere il messaggio – devono essere ricambiate però da

un’utilità concreta, rilevante e contestuale al momento di vita

che l’utente si aspetta attraverso questo “patto”. Non c’è dato

senza utilità. Le persone sono disposte a scambiare informazioni

su di sé se questo va a vantaggio della propria vita e queste in-

formazioni vengono utilizzate in modalità corretta rispetto alla

loro privacy e per offrire servizi che si adattano meglio alle loro

esigenze.

Le aziende devono quindi (ancora una volta) abbandonare il

concetto di marketing monodirezionale, per sfruttare a pieno

le potenzialità di un contatto spontaneo, permesso e voluto dal

cliente/utente stesso che le porta con sé durante i suoi momenti

di vita. Le aziende che comprendono quanto abbia valore questo

rapporto intimo con i loro potenziali clienti sono quelle meglio

posizionate per la sfida nell’arena commerciale digitalizzata del

futuro.

Nel momento in cui le persone percepiscono il rapporto come

solo una nuova forma di interruzione pubblicitaria o come mera

raccolta di dati senza un “compenso” in termini di miglioramen-

to della propria vita, saranno portate a chiuderlo immediata-

mente. Se apro la app e ci trovo notizie irrilevanti, o offerte non

ritagliate sui miei desideri, o messaggi fastidiosi e ripetuti in cui

dentro “non c’è niente per me” (come si dice negli USA), o se nel

momento del bisogno la app non mi è utile, non la userò più o la

cancellerò: bastano pochi secondi, ancora meno che disiscriversi

da una newsletter.

Abbiamo solo una opportunità di fare una ottima prima impres-

sione, in aggiunta. Una app che viene cancellata, o in maniera

minore ma non trascurabile una notifica che viene spenta,

rappresenta un possibile cliente perso, molto spesso per sempre,

anche se ovviamente esistono modi di recuperarlo, con costi

ovviamenti rilevanti e che — se il rapporto di fiducia è incrinato

— dal risultato non assicurato.

Il bilanciamento ottimale tra valore apportato e la sua propen-

sione a effettuare azioni utili per i nostri obiettivi (abbonamenti,

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ng acquisti, informazioni, interazioni) è — si è capito — il guado su

cui affondano molti progetti.

Come vedremo, il massimo valore apportato non è sempre dato

dall’inserimento di tutte le feature tecnologiche possibili o più

cool (chi non ricorda di aver visto app in cui a ogni uso ci chie-

diamo “perché l’hanno inserita questa cosa? Ho già un’altra app

che lo fa meglio”): deve essere invece incentrato su di una reale

necessità, su di un problema sentito, su di un desiderio effetti-

vo del nostro utente. La tecnologia segue, e capendo cosa serve

davvero si può anche risparmiare, al contrario, eliminando

funzionalità inutili, che magari appesantiscono l’app o la rendo-

no lenta da utilizzare e da scaricare, o che fanno scaricare inu-

tilmente la batteria (per esempio, non sempre servono le mappe

all’interno di una app, quando gli utenti hanno già una app che

fa quello benissimo).

Intimate Computing è quindi qualcosa di parzialmente diverso

da quello che viene spesso definito “Mobile Computing”: in mol-

te situazioni l’uso in mobilità di una app è sicuramente apparte-

nente alla sfera che andremo a delineare, ma in altre situazioni

l’Intimate Computing opera anche all’interno delle nostre case, o

dei nostri uffici o comunque in contesti non strettamente in “mo-

bilità”: pensiamo al tablet, usato per la maggior parte dei casi sul

divano, a letto, in cucina, a teatro, al cinema.

Il tema quindi non è la mobilità del dispositivo, ma l’intimità del

rapporto che intratteniamo con questo. Non è un caso che que-

sti dispositivi non abbiano normalmente possibilità di accesso

multiplo per più persone: quando è usato da più persone, queste

sono comunque intime tra loro, stabilendo quindi un contatto

con il brand, quando accade, a livello di gruppi fortemente coesi

come famiglie o legami affettivi.

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E-mail checking

Checking weather

Listening to music

Shopping: purchasing

Playing games

Reading news

Shopping: browsing

Surfing the web

Social networking

Watching TV/videos

Lightweight creation

Recipe search, cooking

Looking up information

Local search

Reading a book

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La tabella sintetizza la frequenza di utilizzo tramite tablet delle appli-cazioni principali tenendo conto del luogo di fruizione. Si tratta di un riadattamento dei risultati della ricerca Google Understanding Tablet Use: A Multi-Method Exploration.

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3 La zona di relazione

Immaginiamo tre insiemi da riempire, come se fosse un gioco o

un compito a casa:

il primo, chiamiamolo User’s Life, richiede di

descrivere il ciclo quotidiano di vita dell’audien-

ce, di analizzarne lo stile e i momenti chiave della

giornata. Per esempio, quanto si sposta e quali

sono i luoghi di uso quotidiano dello smartphone o

del tablet, dove abita, quali app usa già e per quali attività fon-

damentali, le relazioni personali online e offline che intrattiene

attraverso il device, se sono one-to-one e private come Whatsapp

o se comunica anche in modo aperto e pubblico su Twitter o In-

stagram o Facebook (che è in realtà un ibrido dei due). In sintesi,

un identikit. Uno schema utile per analizzare le abitudini degli

utenti è quello di HBR.org, mentre un’analisi dell’utente per

fasce demografiche è presente in Google Think. Per completare

questo insieme possiamo attingere da diverse fonti, a seconda

delle informazioni possedute e delle possibilità di budget:

• informazioni da ricerche e studi su tipologie di utenti simili

• dati derivanti da nostri database

• osservazione di utenti nei luoghi in cui pensiamo possa

essere utile la nostra app

• test, interviste e sondaggi su gruppi di utenti selezionati

• dati di uso di applicazioni simili

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one Il secondo, Technology, ci richiede di esplicitare le

funzionalità che possono essere inserite nell’ap-

plicazione, in gran parte non esistenti o non real-

mente sfruttabili nel Personal Computing: si pensi

a GPS, fotocamera, registratore, bussola, sensori di

spostamento e stati corporei, fino a NFC e iBeacon che possono

ampliare enormemente la rilevanza e l’utilità dell’app rispetto al

luogo o al momento di uso dell’applicazione. Queste possibilità,

a livello di brainstorming, possono essere esplorate attraverso

l’associazione di più funzioni prototipiche, che vedremo meglio

più avanti nel paragrafo “Progettare funzionalità come creazio-

ne di valore”

Il terzo, Your Business, è destinato a esplicitare

i “momenti della verità” chiave, e rapportarli ai

nostri obiettivi di business. Un’app può intervenire

in ognuno dei tre “momenti della verità” (fonte:

ZMOT, Google, 2010), prima dell’acquisto, aiutando il cliente

nella raccolta di informazioni, davanti allo scaffale o in store, e

dopo l’acquisto.

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one In ognuno di questi momenti (non necessariamente in tutti)

possiamo essere utili al cliente e riuscire a farci scegliere im-

mediatamente o ancora raccogliere dati e adesioni o aperture

al “permission marketing” che ci può essere utile in seguito per

vendere.

A Woody Allen viene attribuita spesso la frase “L’ottanta per cento

del successo è esserci”. Questo è particolarmente vero nel digitale.

Non puoi essere un partner utile come brand e migliorare la vita

dei consumatori se non sei presente nel momento in cui questi ne

hanno più bisogno. E sempre più spesso questi momenti succedo-

no sugli smartphone. (fonte: http://www.thinkwithgoogle.com)

Consideriamo un esempio pratico di applicazione. Se il nostro

obiettivo è la vendita di gadget tecnologici il primo momento

della verità è sicuramente l’ingresso del cliente nello store, in

cui potremo dargli una visione differente da quella “a scaffa-

le” e adattarla alle sue specifiche esigenze - in questo saremo

estremamente facilitati da iBeacons (consideratelo il GPS “per

interni”). Il secondo momento della verità è quello dell’utilizzo

del prodotto acquistato, e quindi la nostra app potrebbe essere

un aiuto (istruzioni? video tutorial?) esattamente come e quan-

do serve (e per esempio potremmo approfittare per registrare

la garanzia e raccogliere ulteriori dati preziosi per il rapporto).

Oppure addirittura potremmo intervenire nel momento zero,

quando il cliente ancora non ha deciso: aiutandolo e proponen-

do recensioni lasciate da altri clienti sui prodotti (social proof) o

tramite la proposizione di novità e offerte con contenuti specifici

per la sua situazione, arrivando ad impiegare notifiche push per

le comunicazioni più rilevanti e personalizzate. Le possibilità

sono letteralmente infinite, per questo la strategia è così impor-

tante.

E i nostri obiettivi di business quali sono? Stiliamo dei numeri

(altrimenti non sono veri obiettivi) e diamo un valore, per esem-

pio, al traffico generato aggiuntivamente in-store dalla nostra

app, assegnamo un valore in termini di future vendite (o di

diminuzione di costi di vendita) alla raccolta di dati per il marke-

ting (che potenzialmente è la base di qualsiasi attività redditizia,

attraverso la segmentazione dei clienti), valorizziamo il passapa-

rola positivo e il risparmio di ore uomo generato da un puntuale

customer care via mobile, o semplicemente valutiamo quanto

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one vale il venduto da app: le recenti innovazioni in termini di pa-

gamento via carta virtuale (Apple Pay) renderanno infatti molto

più semplice e sicuro il pagamento da mobile rispetto all’inseri-

mento manuale da PC della carta. Un semplice modello di elabo-

razione degli obiettivi è consultabile presso howtogomo.com.

Capire l’intersezione tra questi insiemi è un’esercizio utilissimo

di strategia di marketing mobile: ci dice visivamente e immedia-

tamente in quale area si genera valore per l’utente, ma contrap-

ponendola sia agli obiettivi che alle risorse tecnologiche. L’appli-

cazione considerata di valore dall’utente avrà un tasso di utilizzo

elevato relativamente ai possibili momenti di uso (diventare la

app preferita per quel bisogno, quella funzione, quel momento),

e quindi godere potenzialmente di un ritorno dell’investimento

migliore: è un circolo virtuoso quello che dobbiamo innescare.

L’utilizzo continuativo o ripetuto e intensamente partecipato

provoca una relazione forte, volontaria e percepita come arric-

chente. È il caso dell’app Uber, un servizio di taxi che ha rivolu-

zionato il trasporto urbano tradizionale attraverso la app stessa,

che crea valore in pochissimi secondi.

Un passaggio importante nella strategia mobile è la quantifica-

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one zione dell’investimento necessario al lancio. Spesso si trascura

il fatto che non è sufficiente creare una app per farla scaricare

e tantomeno utilizzare. Sì, esistono casi “virali” in cui una app è

talmente “geniale” e innovativa da diventare diffusa solo attra-

verso il passaparola, ma sono casi isolati e minoritari, e spesso

inoltre ciò che viene spacciato per virale è in realtà una ben cali-

brata politica di introduzione tramite pubbliche relazioni rivolte

a particolari personalità in grado di trascinare delle audience

ben specifiche.

Il primo passo è la quantificazione del numero di persone per

cui possiamo dirci soddisfatti dei risultati raggiunti. Ciò dipende

dal numero di clienti esistenti e da quelli potenzialmente otteni-

bili, e varia naturalmente da azienda ad azienda: per la grande

distribuzione una app usata da poche migliaia di persone non

può considerarsi un successo, in quanto non potrà avere un im-

patto rilevante sulle variabili di business (marginalità, scontrini,

numero di clienti, ecc.), per un ente del turismo locale di una

piccola città potrebbe invece essere un numero che abbatte di

molto il “costo per turista” in comunicazione.

È quindi necessario capire quale quota (reach) della propria

audience di interesse è necessario raggiungere in prima istanza

con l’installazione della app (il 10%? il 20%?). Naturalmente non

tutte le installazioni diventeranno utilizzi continuativi (solo il

30% circa dei download diventa uso continuativo).

Tuttavia creare l’app partendo dal nostro schema e individuare

la Zona Di Relazione aiuta a massimizzare la conversione dall’in-

stallazione all’utilizzo (data da numero di utenti in ZDR / nume-

ro di installazioni) e portarlo sopra la media generale: questo

significa investire al meglio il budget di promozione della app.

Si parla quindi di Costo per Download, e di Costo per User Attivo

(dove la definizione di attivo dipende dai nostri obiettivi).

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Indicatori del livello di raggiungimento della ZDR

Utente Proattivo

Utente Reattivo

posiziona la app nella springboard

in posizione prominente

utilizza la app per n min/volte al gg/sett/mese

utilizza la app per una percentuale elevata della propria quota quoti-diana di IC

risponde positivamente alle notifi-che push o altre forme di interazio-ne proposte dalla app stessa.

Gli utenti che vivono l’app all’interno della Zona Di Relazione

saranno quindi sempre un sottoinsieme del totale, ma d’altra

parte ne costituiranno la parte con scontrino medio più elevato,

maggiore fedeltà, tasso di risposta alle notifiche push, ecc., e che

ci fornirà più informazioni e qualitativamente migliori, coinvol-

gerà a sua volta più utenti nella propria rete sociale, e avrà un

tasso di conversione all’obiettivo più elevato della media.

Awareness

Download

Ritorno

ZdR

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azi

one Quindi diffidiamo di chi proclama a priori che “il mobile marke-

ting è il futuro” “Chiunque deve avere una app per essere trova-

to/per fare business/eccetera” e altre frasi roboanti prive però di

contesto. Non è il device mobile a fornire risultati superiori di

business, ma la relazione che il brand può stabilire con l’utente

attraverso il device: per esempio il tasso di click e di conversioni

all’obiettivo dei banner generici su piattaforma mobile (tipico

strumento di “interruzione” nell’esperienza dell’utente) è pres-

soché nullo, se si escludono i clic accidentali, come sostenuto da

uno studio di GoldSpot Media riportato da BusinessInsider.com.

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4 Progettare funzionalità come creazione di valore

Nel progettare le funzioni, le interazioni e le connessioni della

app dobbiamo evitare due zone a rischio del diagramma che ab-

biamo preso come schema di base. La prima è la wanna be zone.

Funzionalità, utili sì al nostro cliente/utente, ma che possono es-

sere più efficacemente fornite da altri, o per le quali non siamo

comunque reputati come i migliori fornitori possibili, a meno

che queste non trovino una giustifi- cazione nell’utilità apportata

dal nostro business (Es. “hotel che fornisce il meteo” potrebbe

essere inserito qua, mentre “hotel che fornisce un alert push per

cancellare la prenotazione in caso di previsioni non ottimali”).

Wanna Be Zone

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Un altro errore da evitare è di concepire l’app come sommatoria

delle potenzialità a livello aziendale e tecnologiche, ma senza

considerare davvero l’utilità per l’utente (Es. aeroporto che

fornisce l’elenco dei bagagli smarriti in app, ma senza modo di

riconoscere facilmente il proprio). Oppure l’elenco dei comu-

nicati stampa dell’azienda sulla app (giuriamo che esiste anche

questo caso) o ancora promozioni ma non dirette o attivabili dal

cliente, ecc. ecc.

Queste funzionalità sono a pieno diritto nella Dead Zone, la zona

morta delle feature di cui le app sono piene, ma che nessuno ha

mai usato, tranne coloro che le hanno volute inserire a tutti i

costi, “perché non ci costa niente”. Anche se a livello economico

l’inserimento sembra gratuito, questa zona morta costa molto

invece: disperde l’attenzione dell’utente, abbassa la sua soddi-

sfazione (e quindi la fedeltà di uso), introduce la complicazione

inutile che spreca il tempo che l’utente ci dedica, e che lo disto-

glie dai suoi (e dai nostri) veri obiettivi.

Dead Zone

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lore Le zone morte sono individuabili facilmente attraverso un siste-

ma di analytics e statistiche che i bravi sviluppatori ricordano al

cliente – o il bravo marketer ricorda allo sviluppatore.

Qualunque sia l’obiettivo che ci prefiggiamo di ottenere, possia-

mo combinare assieme tipi di interazioni diverse per ottenere

invece la massima creazione possibile di valore per l’utente.

Ogni interazione consente di accumulare informazioni relative

all’utente ed ottenere tramite tecniche statistiche (clustering,

ecc.) segmentazioni precise della audience.

Per esempio: nel caso in cui tramite app fornisco informazioni

contestuali e rilevanti alla posizione geografica dell’utente, ne

trarrò in cambio l’informazione sulla sua posizione GPS esatta

e immediata al momento dell’interazione. Un’informazione che

può essere riusata sia all’interno dell’applicazione, per successi-

ve offerte ancora più rilevanti e mirate, sia per incrociare i dati

in modo aggregato con informazioni provenienti da altre appli-

Acquisti e Valutazioni

Community

Pagamenti

Dati

Decisioni di preacquisto

Dipartimenti aziendali

Spostamenti

Voce/Suoni

Altri media

Vista

Spazi

Interazioni

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lore cazioni aziendali, ad esempio per studiare meglio le esigenze

dell’audience e per personalizzare la comunicazione. Per esem-

pio, se scopro che i miei consumatori abitano o viaggiano al mas-

simo nei due chilometri di raggio dal negozio, posso eliminare la

distribuzione del volantino oltre quella zona, oppure aumentare

le promozioni per i clienti più lontani, che hanno bisogno di un

maggiore incoraggiamento per visitarci.

Quali sono le tessere del domino con cui proporre combinazioni

virtuose al cliente?

• Dati GPS: dove si trova l’utente? Come posso aiutarlo con

questo dato? Mi interessa capire dove mi usa? Per esempio,

le app che segnalano il traffico, o directory di negozi usano

efficacemente la funzione “ cerca vicino a me”

• Dati NFC/iBeacon: in quale parte del negozio si trova il mio

utente? Come posso aiutarlo e raggiungere i miei obiettivi?

• Pagamenti: posso integrare la app con sistemi di Digital

Wallet che rendano più fluido il percorso e magari possano

tracciare dati utili? Con il pagamento via touch, integrato con

le carte di credito, sarà possibile comprare sfruttando acqui-

sti di impulso.

• Social media, relazioni: posso mettere in relazione l’uso del

mio utente con altri che usano la mia stessa app e in alterna-

tiva (o in aggiunta) sfruttare per questo le sue reti esistenti

(Facebook, Twitter, Instagram, ecc.) e rendere la sua espe-

rienza più soddisfacente e il nostro obiettivo più raggiungibi-

le – anche attraverso il passaparola? È la tipica esperienza di

app di fitness e di running.

• Posso integrare la app con dati aziendali e incrociarli con

azioni dell’utente in modo da fornirgli utilità? Un franchising

immobiliare consentiva di fotografare edifici e di stimare

attraverso la app gli appartamenti esistenti in quella zona: in

questo modo al tempo stesso raccoglieva dati sulle zone più

ricercate dagli utenti in modo da concentrare l’attività dei

propri agenti.

• La fotocamera e l’audio possono essere utilizzate per mi-

gliorare i sensi dell’utente stesso: oltre al caso precedente

dell’immobiliare, come non ricordare Shazam, che ricono-

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lore sceva le canzoni dal microfono? La app Vivino ha messo a

disposizione il proprio database di etichette: agli utenti basta

fotografare la bottiglia di vino per conoscerne dati, rating e

prezzo.

• Sensori di movimento, già utilizzati da app come MyFit-

nessPal e Runtastic per misurare passi e calorie

• Collegamenti via Bluetooth con device esterni indossabili:

ancora, braccialetti per misurare dati corporei o livello di

attività fisica, ecc.

Ulteriori infinite possibilità nasceranno dal tracciamento con-

tinuo dell’app, con possibilità di essere risvegliata solo in mo-

menti e luoghi opportuni, in modo automatico. Ancora, ulteriori

sviluppi potranno derivare dalle notifiche interattive, in cui

all’utente può essere proposto un acquisto o un’azione specifica

direttamente dalla notifica, magari scatenata dalla sua posizio-

ne, dalla sua storia di uso, e da un evento di tipo commerciale.

Come in ogni grande opportunità, questo grado di infiltrazione

nella vita dell’utente pone il rischio di essere immediatamente

disattivati appena subentra l’impressione di essere “inultimente

spiati o disturbati”. In una parola, quando si ritorna a fare inter-

ruzione come in uno spot televisivo.

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5 Modelli di business

Free or pay?

Fino qui abbiamo analizzato in prevalenza un modello che si

applica più alle app aziendali, che sono normalmente gratis. In

realtà esistono tre possibilità principali relative al modello di bu-

siness: è necessario capire, a partire dai propri obiettivi, in quale

“campionato decidere di giocare”.

Il primo modello è quello dell’app free, scaricabile gratuitamen-

te. Il suo vantaggio è la diffusione più rapida delle installazioni.

Se la app è un mezzo per l’azienda per ottenere risultati che

sono basati su obiettivi “extra-app” (es. vendite, visite in store,

ecc.”) questo è il modello sicuramente preferibile. Alcuni svan-

taggi sono inevitabili: la difficile monetizzazione con advertising

mobile, la percezione di scarso valore da cui discende uno scarso

interesse alla continuazione dell’utilizzo post installazione.

Nel caso di app a pagamento invece l’utente valuta lungamente

se acquistare o meno l’app, con soglie psicologiche del prezzo

dell’app da valutare attentamente, ma poi tende a mantenerne

l’uso. Questo comporta naturalmente una diffusione di vari ordi-

ni di grandezza inferiori, anche se si accompagna a una monetiz-

zazione più a breve termine dell’investimento.

È possibile progettare app miste, in cui la versione base è free, e

con alcune funzionalità a pagamento, tramite upgrade alla app

full, oppure con l’acquisto in app stessa.

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s Valorizzazione dei costi

La creazione dell’app è solo una parte dei costi, come anticipato.

Per accompagnare l’utente verso la ZDR, è necessario sostenere

costi per awareness (l’utente deve essere portato a conoscenza

dell’esistenza dell’app), di coinvolgimento (creazione di valore

e di contenuto) e di mantenimento della relazione (attraverso i

costi di segmentazione e contatto continuativo).

Il Costo per Installazione (CpI) è quindi il costo pubblicitario

o comunque di visibilità necessario per raggiungere la quota

desiderata di installazioni. In caso di brand con sito o property

molto esposte il costo di installazione è un costo-opportunità,

ma comunque da tenere in considerazione, in quanto la call to

action all’installazione dell’app sostituisce la visibilità di altre

azioni aziendali, sul sito o in advertising.

Il Costo per installazione può essere approssimato come CPM

(costo per mille impression) / CTR (% click through) x tasso di

conversione (% di installazioni sulle visite) all’interno della piat-

taforma di download.

Per esempio, se uso per la promozione un banner su altre app,

con CPM di 0,50, CTR di 0,01%, conversione 10%, ogni downlo-

ad costerà circa 50 euro. Può sembrare tanto: tuttavia è sempre

necessario considerare come parametro per valutare l’investi-

mento lo User Lifetime Value: cioè il costo è di acquisizione di

un cliente, non di un download. Dobbiamo calcolare quanto vale

per noi un utente continuativo.

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s Il costo per contenuto e coinvolgimento è il costo da sostenere

per creare utilità in modo che l’utente continui a utilizzarla con

tassi elevati e rimanga nella zona di relazione.

Il costo per relazione/segmentazione è il costo da sostenere

per stimolare l’utente attraverso interazioni rilevanti e utili, per

esempio attraverso notifiche push quando l’utente è in una zona

vicino a un nostro negozio e ha espresso interesse per un deter-

minato prodotto sotto un certo prezzo.

Ricapitolando quindi, se il nostro obiettivo è di avere 1.000

utenti in ZDR necessari per ottenere almeno 10.000 interazioni-

obiettivo mese - e posto che crediamo di ottenere un tasso di

utenti attivi almeno del 25%, dovremo prevedere di destinare

budget per coprire costi di installazione per almeno 4.000 utenti.

Il calcolo dei ritorni

Per calcolare il ritorno di una app è necessario quantificare, a

livello aziendale, qual è l’interazione “in app” che consideriamo

“obiettivo” e quantificarlo in termini monetari se raggiunto. In

caso di vendita online, l’obiettivo è già “monetizzato”, e calco-

labile direttamente. In altri tipi di interazione, dobbiamo calco-

larne o assegnarne un valore, in modo più realistico possibile,

attraverso la comparazione di altri costi di visibilità o ricavi ap-

portati. Per comodità, consideriamo il modello di business free,

in cui l’utente non paga per l’uso della app.

Valorizzazione diretta

Per valorizzazione diretta intendiamo il transato totale di un’ap-

plicazione sia che questa sia il frontend mobile di uno store

online di prodotti fisici sia una app che consente l’acquisto di

contenuti digitali.

Naturalmente il transato da parte dell’utente può essere com-

parato al transato standard web, in modo da notarne differenze

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s in termini di fedeltà e di fatturato generato.

In caso di app con obiettivo l’incremento della vendita offline in

store fisici, andrà misurato la differenza di transato tra persone

che utilizzano la app, e il cliente standard.

In caso di presenza di coupon, volantini e offerte, può essere cal-

colata la frequenza di redemption rispetto all’utente medio e il

suo valore totale, oltre naturalmente al risparmio di altre forme

più onerose e invasive di advertising.

Valorizzazione indiretta

Quando, nel caso di azienda di distribuzione commerciale, solo

il dato delle visite al punto vendita è disponibile, il valore dell’u-

tente (inteso come effettivo utilizzante l’app, nella Zona di Re-

lazione) può essere calcolato come numero aggiuntivo di visite/

frequenza media da parte degli user della app, moltiplicato per

scontrino medio. L’incremento del tasso di visita al punto vendi-

ta da parte dell’utente va quindi valorizzato consideran- do l’au-

mento del valore del ciclo di vita del cliente apportato dall’app

stessa.

In altri casi, può essere calcolato il valore dell’uso dello store

locator, calcolato in percentuale media tra chi lo consulta e chi

effettivamente poi visita il punto vendita.

In altri casi la valorizzazione deve essere effettuata confron- tan-

do il costo della stessa interazione ottenibile con altri canali. Per

esempio, un utente di app che facilita il supporto clienti va valu-

tato sul risparmio ottenuto nella gestione chiamate telefoniche,

quindi valorizzando il costo chiamata del call center tradizionale

moltiplicato per il numero di richieste non effettuate dagli utenti

dell’app stessa.

Se si ha come obiettivo il miglioramento della soddisfazione del

cliente, il valore va quantificato misurando la differenza del

tasso di soddisfazione degli utenti dell’app rispetto allo stan-

dard, con quantificazione proporzionale dello spread in termi-

ni di fatturato generato. Per esempio, un utente soddisfatto al

80% genera il 20% di fatturato in più rispetto all’utente soddi-

sfatto al 70%.

In caso di obiettivo di miglioramento dello Share of Wallet: si

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s deve quantificare lo spostamento di acquisto verso i nostri pro-

dotti osservata sugli utenti dell’app (per esempio, compro di più

in quanto ottiene informazioni più dettagliate, o al momento del-

la scelta di acquisto) rispetto ai competitor o in generale quanto

acquista in più da noi rispetto al cliente “normale”.

Se il nostro obiettivo è anche l’ottenimento di informazioni il

valore generato va calcolato tramite il costo comparato delle seg-

mentazioni e profilazioni effettuate con tecniche tradizionali e

sondaggi di mercato, considerando comunque che il valore delle

informazioni derivante dai comportamenti è di molto superiore

alle informazioni reperite tramite sondaggi e focus group.

In ogni caso, un valore, pari almeno alla impression acquistata

tramite advertising, va attribuito a ogni uso dell’app: se una pa-

gina di un periodico ci costa 10.000 euro per una tiratura stimata

di 100.000 copie, con una probabile visualizzazione del 20%,

ogni impression ci costa 50 cent. Lo stesso valore potrà essere

accreditato alla app, nonostante sia chiaramente una sottostima,

in quanto il grado di spontaneità, rilevanza e coinvolgimento è

nettamente superiore.

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6 Conclusioni

Il mobile è la norma

Nel 2015 il mobile è la norma, è l’anno in cui l’impiego di tablet

e smartphone ha sorpassato l’utilizzo di postazioni fisse. E il mo-

bile ha il vantaggio di essere molto più intimo, sempre in tasca

al nostro cliente, pronto a essere presente nel posto giusto al

momento giusto – questo solo se saremo in grado di creare app

di valore.

Il cliente continua a comprare nel contesto a lui più familiare,

ma sempre di più decide l’acquisto quando ne ha il tempo, la ne-

cessità immediata, la vicinanza o la voglia: tra la sala di aspetto

del pediatra, una fermata dell’autobus e una coda alla cassa.

E se il nostro brand non sarà presente al momento della decisio-

ne, non lo sarà nemmeno al momento dell’acquisto.

CommonSense

CommonSense aiuta le aziende a costruire e mantenere la pro-

pria presenza in un mondo dove l’attenzione del cliente è distri-

buita fra più dispositivi.

Lavoriamo con un processo in quattro fasi: strategia, progetta-

zione, sviluppo e monitoraggio dei risultati. Lo facciamo rispet-

tando tempi e costi fornendo ai nostri clienti soluzioni chiavi in

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