mondo cifa (settembre 2010)

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Il giornale di Cifa Onlus, mensilità di Settembre 2010 - Cifa ONG magazine, September 2010 issue

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MondMondoo Adozione InsiemeAdozione Insieme

EDITORIALE: Volontari... E responsabili.PRIMO PIANO: Adozione internazionale: una strada lunga 30 anni. COOPERAZIONE: Il Cifa in Europa. Tre anni di progetto Cambogia. Il processo a “Duch”.ADOZIONE: Adozione in Cina. Gli “special needs”. Il Cifa a Malta. RUBRICHE: L’angolo della psicologa. Letture.

Neak Loeung: Neak Loeung: 3 anni di progetto3 anni di progetto

a pagina 13a pagina 13

Fare rete:Fare rete:Cifa in EuropaCifa in Europa

a pagina 9a pagina 9

Bambini... Bambini... SpecialiSpeciali

a pagina 23a pagina 23

Adozione:Adozione:arrivanoarrivanoi bambini cinesii bambini cinesi

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Anno IX - N° 3Settembre 2010

Direttore EditorialeGianfranco Arnoletti

Direttore ResponsabileElena Volponi

Redattori e CollaboratoriGianfranco Arnoletti, Elena Atzeni, Daniele De Florio, Ambra Enrico, Beatrice Gemma, Paola Gramegna, Mar-co Pastori, Maria Burani Procaccini, Cinzia Riassetto.

Fotografi eAmbra Enrico, Beatrice Gemma, Maria Paradies, Marco Pastori, Marco Scarpati, Silvio Zagli.

Progetto grafi co e impaginazioneDaniele De Florio

StampaBerrino Printer - Torino

EditoreCIFA Onlus - Organizzazione Non GovernativaVia Ugo Foscolo, 3 - 10126 TorinoTel. 011.433.80.59 - 011.430.88.53Fax 011.433.80.29E-mail: [email protected] Sito web: www.cifaong.it

Autorizzazione Tribunale di Torino n. 3633 del 25/02/1986. Iscrizione al Registro Nazionale della Stampa richiesta in data 27/04/1998. Spedizione in abbonamento postale Legge 662/96, articolo 2, comma 20/c - C.R.P. Asti C.P.O.È vietata la riproduzione anche parziale di testi e illustrazioni. Tutto il materiale ricevuto (testi e fotografi e) anche se non pub-blicato non verrà restituito. Ai sensi della Legge 675/96 sulla tutela dei dati personali, i dati forniti dai sottoscrittori degli ab-bonamenti verranno trattati in forma cartacea ed automatizzata e saranno utilizzati esclusivamente per l’invio del giornale og-getto di abbonamento o di altre nostre testate come copie saggio e non verranno comunicati a soggetti terzi. Il conferimento dei dati è facoltativo ed è possibile esercitare i diritti di cui all’art. 13 facendone richiesta al responsabile trattamento dati: CIFA ONG.

La foto di copertina è di Marco Scarpati.

Sommario

EDITORIALE

Volontari... E responsabili ..................................pag. 3

PRIMO PIANO

Adozione: una strada lunga trent’anni ............pag. 5

COOPERAZIONE

Fare rete: il Cifa in Europa .................................pag. 9Cambogia: dal terrore al processo a Duch ....pag. 13Neak Loeung: 3 anni di progetto ....................pag. 15Tutti i progetti in corso .....................................pag. 18

ADOZIONE

Adottare in Cina: attese, partenze e arrivi .....pag. 21Dallo “special need” a... Un bambino speciale ..pag. 23Il Cifa a Malta .....................................................pag. 26Il mondo delle adozioni va rivisitato ..............pag. 27Mamma ha preso l’aereo ..................................pag. 28

RUBRICHE

L’angolo della psicologa ..................................pag. 31Letture ................................................................pag. 33

Contattaci

TORINOVia Ugo Foscolo, 3 - 10126 TorinoTel. 011.433.80.59 - 011.430.88.53Fax 011.433.80.29E-mail: [email protected]

VENEZIAVia Bastia Fuori 4 int. 9 - 30035 Mirano (VE)Tel. 041.570.27.79Fax 041.572.74.69E-mail: [email protected]

ANCONAVia Galileo Galilei, 4 - Falconara (AN)Tel. 071.590.30.00Fax 071.916.63.99E-mail: [email protected]

ROMAVia Machiavelli, 60 - 00185 RomaTel. 06.444.09.91Fax 06.49.38.27.99E-mail: [email protected]

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Volontari...E responsabili

Cari amici,

Quest’anno la Commissione per le Adozioni Inter-nazionali, organismo pubblico istituito nel 2000 a tutela dei bambini stranieri che rientrano in percorsi di adozione internazionale e delle aspiranti famiglie adottive (e che rappresenta l’Autorità Centrale Ita-liana per l’applicazione della Convenzione de l’Aja del 1993), compie 10 anni. Sono dunque 10 anni di lavoro della CAI ma an-che 10 anni di lavoro del Cifa, anni di grandi cam-biamenti, sicuramente di una conversione dello stato del nostro ente, pas-sato da struttura basata prevalentemente sul la-voro dei volontari a una vera e propria “azienda” supportata dal lavoro

quotidiano di un numero sempre maggiore di di-pendenti e professionisti del settore.

Non ho usato a caso il termine azienda, nonostante Cifa resti un’organizzazione non governativa e sen-za fi ne di lucro, poiché la pubblica amministrazio-ne ci indirizza tutte le comunicazioni relative agli adempimenti verso di essa qualifi candoci, appunto, come azienda. Un’azienda che, contrariamente a quanto avviene nella pubblica amministrazione, si assume una responsabilità imprenditoriale, anche se non riconosciuta ancora da tutti gli interessati al settore.

L’unico organismo pub-blico che non ci appella come “azienda” è appun-to la Commissione per le Adozioni Internazionali, la quale delinea ancora l’immagine degli Enti Autorizzati quali asso-ciazioni a carattere unica-mente volontaristico, non strutturate e ben lontane

“La pubblica amministra-zione ci indirizza tutte le co-municazioni, relative agli adempimenti che abbiamo nei suoi confronti, qualifi cando-ci come una sorta di azienda.”

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da quello che è un’organizzazione a scopo di lucro (che, per legge, è esclusa a priori dall’albo degli Enti Autorizzati). A questo proposito vorrei fare un paio di considerazioni.

In primo luogo, nel suddetto albo sono state re-centemente introdotte le Cooperative, che tolto il grande vincolo della distribuzione degli utili (che le distingue dalle società a responsabilità limitata), sulla base del loro statuto sono a tutti gli effetti del-le organizzazioni commerciali. Secondariamente, se anche l’Ente resta una struttura su base volon-taristica, deve però far fronte ad una realtà ester-na che da esso esige tutte le caratteristiche e la re-sponsabilità di un’azien-da. A differenza di ieri, se anche restiamo “volonta-ri”, dobbiamo stipulare delle polizze di respon-sabilità civile, e far fronte a casi di coppie adottive che sono pronte a sporge-re denuncia se il bambino non è “perfetto” come si aspettavano, o se i voli per il viaggio che li porterà a conoscere loro fi glio vengono cambiati d’orario. Questioni del tutto impensabili quando Cifa era an-cora una piccola associazione di volontariato in cui le coppie arrivavano all’adozione piene di senso di gratitudine per quel fi glio tanto desiderato, per quel sogno che si stava realizzando, per quel gruppo di persone che nei ritagli di tempo li aveva seguiti ed aiutati nel percorso.

A scanso di equivoci vorrei dire che svolgere questa attività nell’ambito di una professione non mi scon-volge né scandalizza: l’impegno quotidiano è mol-to elevato, e ciò che una volta potevamo realizzare nell’arco del tempo libero disponibile, si è caricato oggi di tali adempimenti da renderlo possibile solo

all’interno di un vero rapporto di lavoro. Ritengo che sarebbe comunque auspicabile, anche se non obbligatorio, che i membri dei Consigli Direttivi di enti come il nostro, il Presidente e le fi gure di ver-tice, appartenessero ancora alla sfera dei volontari, per renderli liberi da scelte e decisioni che il com-penso regolarmente percepito renderebbe condizio-nante in talune scelte.

In questo quadro non è mai diminuita, e tengo a sot-tolinearlo, l’importanza che il Cifa attribuisce a tutti

i volontari che scelgono di occuparsi delle piccole, grandi attività quotidiane che permettono al nostro ente di vivere e di crescere.

Parlando della nostra crescita, passo ora ad annunciarvi alcune del-le novità più importanti che abbiamo in cantiere. Quando leggerete que-sto testo sarà Settembre, mese dell’inizio delle scuole. E abbiamo pensa-to proprio alle scuole, nel

momento in cui abbiamo voluto rendere effettivo uno dei principi elencati nella nostra vision, ovvero la promozione dei diritti dell’infanzia e dell’adole-scenza. Chi, infatti, più dei bambini stessi, è mag-giormente interessato dalle tematiche relative alla tutela dei diritti dei minori? Se siete insegnanti, o se avete contatti in scuole elementari e medie, vi invito perciò a visitare il nostro sito (nella sezione dedicata all’Educazione allo Sviluppo) e a prendere contatto con chi si occupa dei nostri progetti per le scuole.

Il Cifa sta inoltre facendo a pieno titolo il suo ingres-so in Europa: siamo da poco entrati a far parte della Piattaforma per i Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, un luogo “virtuale” (ma non solo) che è una fucina di idee per la promozione dei diritti dei bambini nel nostro continente. Stiamo anche entran-do nella rete Eurochild, gruppo di organizzazioni con sede in vari paesi europei il cui scopo è quello di “migliorare la qualità della vita dei bambini e dei ragazzi”. Che poi è quello che il Cifa sta facendo da trent’anni, con l’adozione internazionale, la coope-razione e il sostegno a distanza.

Un ultimo invito: quello ad essere con noi a Roma il 4 Novembre, per chiudere i festeggiamenti del no-stro trentennale e con la promessa (non dico altro, per non rovinare la sorpresa) di cambiar marcia sot-to molti aspetti…

Un cordiale saluto a tutti,

Gianfranco Arnoletti

“A differenza del passato, oggi dobbiamo stipulare delle poliz-ze di responsabilità civile, e far fronte a casi di coppie adotti-ve che sono pronte a sporgere denuncia se il bambino non è ‘perfetto’ come si aspettavano.”

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Adozione: una strada Adozione: una strada lunga trent’annilunga trent’anni

30 anni di adozioni internazionali. 30 anni di burocrazia, carte, leggi.30 anni di attese per migliaia di famiglie.30 anni di vita, una generazione. Bambini allora, oggi adulti che affrontano la propria vita, parten-do da storie che nascono da molto lontano, in luo-ghi che spesso per questi ragazzi non sono che un punto sul mappamondo. Un punto che genitori amorevoli, grati a que-sti Paesi, hanno indicato loro… Indonesia, Brasile, Sri Lanka, Russia.

Di adozione si è scritto molto e molto si continua a scrivere; sulle pagine

dei giornali o attraverso format televisivi si raccon-tano storie forti, drammatiche o a lieto fi ne. Si de-nuncia come sia complicato adottare, quanto siano lunghe le procedure burocratiche, quante siano le richieste, quanti bambini esistano al mondo senza una famiglia. Titoli di prima pagina che gridano come sarebbe semplice andare a prenderli, quasi fossero dei pacchi postali, e dar loro un nucleo in cui fi nalmente inserirsi.

In un mondo dove tutto si consuma e si compra, dove tutto ha un valore di mercato, un bambino che vive in una struttura pub-blica, in Italia o all’estero, è semplicemente un bam-bino abbandonato, dun-que adottabile.Così, spesso, adozione di-venta sinonimo di “pago, prendo e porto a casa”. Non è malafede, ma spes-so solo superfi cialità, pro-fonda incomprensione verso un mondo scono-

“Quando oggi si parla di fi -glio adottivo, ecco che questo fi -glio dovrà essere sano, maschio o femmina a seconda dei gusti personali, insomma un ‘premio’ quale risarcimento per gli anni di attesa, per le frustrazioni su-bite, per la sofferenza vissuta.”

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sciuto. Ci si avvicina all’adozione internazionale ed ecco che, con il passare dei mesi, il concetto di “prendo” si trasforma in “scelgo”.Un fi glio biologico arriva in nove mesi, perché lo si è voluto e cercato o anche solo perché, sempli-cemente, è capitato. Per nove mesi ci si ripete che “non importa se sarà maschio o femmina, l’impor-tante è che sia sano” e, quando arriva ed è sano, tutti vivranno felici e contenti. E se completamente sano non è, per quanto imperfetto sia, è pur sempre nostro fi glio, ed è chiaro che lo ameremo lo stesso e saremo pronti a combattere per lui e per i suoi dirit-ti, come dei leoni, fi no a che avremo vita.

Quando si parla di fi glio adottivo, ecco che questo fi glio dovrà essere sano (la massima forma di pato-logia accettata si riferisce a qualcosa di reversibile, non invalidante), maschio oppure femmina a secon-da dei gusti personali, insomma un “premio” quale risarcimento per gli anni di attesa, per le frustrazio-ni subite, per la sofferenza vissuta e per le umilia-zioni di essersi scoperti sterili e quindi imperfetti. E dunque, se deve essere un premio, che premio è, se non è perfetto?

Sembra essere questa, purtroppo, l’adozione di cui si parla oggi. Quella di cui si parla attraverso gli or-gani di “informazione”, quella sovente utilizzata in campagna elettorale nell’affannosa ricerca di voti, facendo leva sulle umane debolezze con assurde promesse che nulla assomigliano alla realtà dei fatti.Cambiare l’orientamento di un voto è possibile, promettere nuove regole o leggi attraverso la carta patinata di un volantino anche.

Trasformare procedure burocratiche rendendole più snelle non è invece così semplice e non sem-pre, ad elezione ottenu-ta, seguono la volontà e l’onestà intellettuale di rispettare i patti. E se poi una legge si potrà mai cambiare, sarebbe bene ricordare che nel mondo dell’adozione si parla di bambini, di esseri uma-ni, e che certe strumen-talizzazioni appaiono davvero troppo ciniche per chiunque ne osservi il fenomeno. Trent’anni di leggi – legge 184, 476 e 149 e successive modi-fi che – hanno certamente migliorato la situazione dal punto di vista legale; le procedure sono oggi più trasparenti rispetto a vent’anni fa, insomma vi sono più regole, ma molto resta ancora da fare, soprattutto sul fronte straniero. Nessuna legge italiana può regolamentare cosa accade all’estero e questa è la grande incognita.

L’Italia è un paese con 76 enti autorizzati a fare ado-zioni internazionali. Nei paesi stranieri, tuttavia, non è gradito che operino più di 3 o 4 agenzie (come vengono chiamati all’estero gli Enti Autorizzati). Immaginate dunque come, a sentire menzionare le nostre 76 “agenzie”, l’interlocutore, se è educato, abbozzi con un sorriso; altrimenti con aria divertita o allarmata, dichiari come sia molto diffi cile sceglie-re quale sia il migliore.

“Noi vogliamo dialogare con l’Ente di Stato”: que-sta è l’abituale richiesta. E diventa diffi cile far capire come l’ente di Stato – la CAI, Commissione per le Adozioni Internazionali – in Italia non faccia ado-zioni. “Ma allora cosa fa?” Già, cosa fa? Anche que-sta è una domanda cui è diffi cile dare una rispo-sta chiara: “La CAI è un organismo che controlla le agenzie affi nché svol-gano un lavoro corretto e

onesto, nel pieno rispetto della normativa italiana”.La risposta che segue, nel paese dove si intende adottare, suona più o meno così: “Anche la legge del nostro paese deve essere rispettata, le agenzie non possono venire qui e cercare solo di fare adozioni, quante più possibile… Il nostro è un paese povero,

“Nei paesi stranieri non è gra-dito che operino più di 3 o 4 Enti Autorizzati per l’adozione internazionale. Ecco perchè, a sentir menzionare il numero di Enti Autorizzati italiani (76), l’interlocutore reagisce spesso con aria divertita o allarmata.”

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il denaro fa gola a molti, è quindi facile corrompere, non tutti sono onesti, ma anche noi abbiamo delle leggi e anche le nostre leggi vanno rispettate!”Questi sono i discorsi che normalmente si fanno dall’altra parte del mon-do, questi i discorsi che le coppie non possono ascoltare e probabilmente non vorrebbero nemme-no sentire, perché signi-fi cherebbe ammettere che i bambini abbandonati “non crescono sugli albe-ri” e quindi non si colgo-no a nostro piacimento, e nemmeno si pescano con la rete a strascico.

Tutto questo è avvenuto in trent’anni di adozioni internazionali, sul versante legislativo. Ma su quello delle coppie cosa è cam-biato? Come erano le coppie trent’anni fa rispetto ad oggi? Certamente meno informate e forse più incoscienti.Il desiderio di avere un fi glio era grande, e per esaudirlo ognuno si ingegnava secondo le proprie capacità e possibilità. Si dava fondo a tutte le cono-scenze, si passava al setaccio ogni strada percorribi-le, nel tentativo e speranza che alla fi ne ci fosse un fi glio da portarsi a casa, da amare e crescere.Come fosse questo bambino era un fatto seconda-rio, e il colore della pelle non era un problema. Vo-lere un fi glio in adozione internazionale negli Anni Ottanta era sinonimo di Indonesia, Brasile, India… Quindi il fi glio “più simile possibile” ai genitori era un fatto superato già in partenza e non preso in con-

siderazione. Fino a quando? Fino a che non si sono aperti all’adozione internazionale i paesi dell’Est europeo.

Come sarebbe cresciu-to e vissuto questo fi glio “diverso” nel “bel paese” Italia, non era un pro-blema: sarebbe stato un fi glio amato all’invero-simile e questo era con-siderato suffi ciente. La famiglia era la sola cosa che veniva presa in con-siderazione; la società, quella società il cui giu-dizio oggi tanto spaventa (come nel recente caso di cronaca dei genitori non disposti ad adottare un bimbo di colore, “non per

noi ma per la società in cui viviamo”), a quei tempi non faceva paura. La società non faceva paura per-ché veniva considerata già pronta, non faceva paura perché le persone si sentivano parte della società e quindi non era possibile che questa considerasse il bambino diversamente da come lo consideravano i genitori, o più semplicemente perchè il desiderio di un fi glio era talmente grande e forse talmente “egoi-sta” da non permettere di sentire niente di più del desiderio stesso.

Indubbiamente, gli ostacoli che venivano affron-tati trent’anni fa erano la burocrazia dei Tribunali dei Minori, tribunali che da Nord a Sud e da Est ad Ovest si comportavano in modo diverso e con tempistiche che andavano dai 6/8 mesi ai 2 o anche 3 anni. Ma la grande incognita era il “dopo”. L’idea

era sempre e solo quella di adottare un fi glio, non di comperarlo, e quindi il denaro che veniva ver-sato era sempre a titolo di donazione: un piccolo onorario all’intermedia-rio, una piccola donazio-ne all’orfanotrofi o, una piccola donazione alla fa-miglia e così via; alla fi ne, erano comunque decine di milioni di Lire.

Ciò che si vedeva nei pa-esi di origine dei minori era molto poco, le coppie erano tutte o quasi dispo-ste ad accettare ogni tipo di spiegazione, tanto per tacitare quella lontana vocina interiore che ri-peteva: “Ma sarà proprio

“Trent’anni fa, agli albori dell’adozione internazionale, il giudizio della società sul bam-bino adottato, magari di colore, non faceva paura come oggi. Il bambino sarebbe stato un fi glio amato all’inverosimile, e questa era l’unica cosa importante.”

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così?” E alla fi ne, dopo soggiorni spesso molto bre-vi, si ripartiva con l’adorato bambino e tutto veniva dimenticato.Prima del Maggio 1983 le adozioni internazionali erano atti stranieri che a livello amministrativo ve-nivano poi registrati in Italia. È la legge n. 184 del 04/05/1983 ad aver parlato per la prima volta di adozioni internazionali, che dopo un anno di affi do pre-adottivo divenivano effettive anche in Italia.Oggi, come recita la legge n. 476, in Italia viene tra-scritta la sentenza straniera che può essere di ado-zione defi nitiva o di affi do pre-adottivo. In questo caso, dopo un anno, la sentenza diviene defi nitiva anche in Italia, e da qui poi trascritta nel paese di origine del minore.

Normalmente, fi no al 2000, anno di entrata in vigo-re della Commissione per le Adozioni Internaziona-li, la stampa si occupava di adozione internazionale se una coppia veniva bloccata all’aeroporto di Fiu-micino senza i documenti in regola, oppure se ve-niva fatta una denuncia da parte di una coppia che dichiarava di aver versato del denaro all’estero e di non aver avuto alcun bambino in adozione, oppure ancora perché il minore adottato non era quello di cui si era avuta la foto precedentemente.In questi casi la stampa interveniva e l’adozione internazionale veniva messa sotto processo: cop-pie buone, sfortunate, infelici, vittime di faccendie-ri senza scrupoli che speculavano sul loro dolore. Ciò che si ometteva era però di far notare che le associazioni o agenzie per le pratiche di adozione internazionale esistevano già e che quindi, volendo maggiore trasparenza, ci si sarebbe potuti avvalere del loro aiuto. Non lo faceva chi era convinto di fare meglio da solo, di fare più in fretta e, quel che è peg-gio, già allora di poter scegliere.

Quella di poter scegliere è un’idea che accomuna le coppie di ieri e quelle di oggi, anche se i parametri utilizzati sono diversi: un tempo la scelta era preva-lentemente riferita all’età; oggi, invece, oltre all’età, riguarda il colore della pelle, il sesso e lo stato di salute del bambino, con un ordine di priorità che varia da coppia a coppia. Perchè quel fi glio che, se biologico, lo si prende come arriva, se è adottivo lo si vuole scegliere in ogni suo aspetto.Se sono arrivato fi no a qui, se ho passato esami su esami, test psicologici e ogni sorta di “angheria o sopruso”, adesso voglio essere risarcito di tutto e quindi avere quel fi glio perfettamente rispondente ai miei desideri. Oggi. Ma cosa accadrà domani, fra un anno, fra dieci anni? Questo fi glio è e sarà un altro capitolo di vita a cui si pensa di poter trovare future soluzioni, e a cui oggi non si pensa.

“Io ho 45 anni, mio marito 48 ma non li dimostria-mo… Siamo giovani dentro… Vogliamo un bambi-no di 2 o 3 anni per passare più tempo possibile con lui…” E fra dieci anni? “Quando ne avrete 55 o 60 e

vostro fi glio di 11 o 12 anni, quando lo accompagne-rete a scuola, chiederà di essere lasciato a cinquanta, cento metri di distanza adducendo che deve incon-trare i compagni, ma che in realtà si vergognerà di voi, del fatto che assomigliate più ai nonni dei loro amici che ai loro genitori…” Affermazione perfetta per farsi odiare dalla coppia che si ha davanti, che si sentirà tradita per l’ennesima volta e frustrata nel proprio desiderio.

Scegliere non solo non è etico ma non è neppure sempre possibile, ma questo fa parte del capitolo “legge dell’adozione internazionale” che regola ogni singolo paese straniero. Fa parte della Con-venzione dell’Aja e del fatto che sia stata ratifi cata o meno dai vari paesi di origine dei minori, tutte cose che le coppie non sanno, o sanno in modo appros-simativo. Prendersela con chi siede di fronte a loro, con chi fa naufragare l’ultima illusione creando un ulteriore ostacolo sul cammino verso la genitorialità adottiva, è quindi la cosa più semplice e che aiuta a stemperare lo stress.

Questi trenta anni di attività ci hanno portato ad aver conosciuto tanti bambini che oggi sono giova-ni adulti, adottati forse con grande incoscienza ri-spetto al colore della loro pelle e alla loro situazione sanitaria, ma con grande amore. Sapere che dopo trent’anni questi ragazzi sono felici, che hanno tro-vato la loro strada nella vita, che la loro origine di-versa o il fatto di essere stati adottati sia stato vissu-to con serenità, è ciò che rende il nostro ruolo unico, e che ci ripaga della fatica.

Ambra Enrico

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Fare rete: il Cifa in Europa

Che cosa signifi ca “fare rete”? Quando un insieme di persone o di organizzazioni condividono una parte dei propri obiettivi, il modo migliore per rag-giungerli, ottimizzando gli sforzi e le risorse che possono essere spese, consiste nell’aiutarsi recipro-camente: l’unione, è il caso di dirlo, fa molto spesso la forza. È in questo modo che, con i diversi contri-buti dei singoli e l’apertura di uno spazio comune di azione, si può costituire una rete: un sistema di interconnessioni che consenta uno scambio di infor-mazioni e di risorse.

Nel campo dei diritti dei bambini e della loro tutela, il “fare rete” nasce anzi-tutto come una forma vir-tuosa di condotta: se due o più associazioni, enti od organismi, ad esempio, si applicano per migliorare

le condizioni di vita dei bambini o combattere la povertà infantile, unire gli sforzi e condividere al-cune tra le proprie battaglie può aiutare ad essere più facilmente riconosciuti e accettati dall’opinione pubblica e dai governi, e quindi ad aumentare le chances di vedere realizzati i propri obiettivi.

Oggi, tuttavia, specialmente nel campo delle or-ganizzazioni non governative, il networking sta diventando una necessità: a causa di una scarsi-tà sempre maggiore di fondi pubblici da dedicare alla cooperazione internazionale e più in generale al campo del sociale, unitamente alla necessità di emergere nel panorama fi n troppo variegato del terzo settore, unirsi in grandi network dalla fi nalità

chiara e trasparente può essere l’unico modo per non essere “sommersi” o risultare invisibili.

Per un ente come Cifa, la cui vision e la cui mission annoverano la necessità di tutelare e promuove-re i diritti dell’infanzia,

“Per un ente come Cifa, qual-siasi opportunità di ‘fare rete’ con organismi italiani, europei ed internazionali che si occupi-no d’infanzia è la benvenuta.”

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il bambino e i suoi diritti hanno la priorità su qua-lunque altra cosa: ecco perché, in linea di principio, qualsiasi opportunità di “fare rete” con organismi italiani, europei ed internazionali che si occupino d’infanzia è la benvenuta. Nel 2010 il nostro ente ha compiuto passi da gigante in tal senso, entran-do a far parte della Fundamental Rights Platform [Piattaforma per i Diritti Fondamentali, NdR] e di Eu-rochild, due importanti network europei orientati sui diritti dei bambini, e non solo. Cerchiamo ora di spiegare perché il Cifa ha voluto destinare una serie di risorse in questo senso, descrivendo inol-tre le caratteristiche delle suddette reti.

Piattaforma per i Diritti Fondamentali (FRP)

Nell’anno 2007 venne fon-data l’Agenzia dell’Unio-ne Europea per i Diritti Fondamentali (abbrevia-ta in FRA), un organismo dell’Unione Europea con la funzione ben precisa di garantire il rispetto dei diritti umani (e dell’infanzia) per tutti i cittadini europei. Non va dimenticato che anche in Europa, oltre che nei paesi in via di sviluppo, esistono anco-ra molti problemi correlati con l’analfabetizzazione, con la malnutrizione e con lo scarso riconoscimento di alcuni diritti fondamentali, i quali danno origine a preoccupanti “sacche” di povertà. La FRA, a sua volta, ha creato nel 2008 la Piattaforma per i Diritti Fondamentali allo scopo di scambiare informazioni, metodologie e “buone pratiche” con rappresentanti della società civile che condividessero e promuo-

vessero le medesime tematiche dei diritti umani. L’Unione Europea, insomma, ha voluto chiedere aiuto alla società civile e alle ong per tutelare i di-ritti fondamentali dei cittadini europei e accogliere opinioni in merito, e lo ha fatto tramite la FRP.

Cifa è entrato a far parte della piattaforma perché, tra i diritti fondamentali che devono essere tutelati con rinnovata attenzione in Europa, si annoverano anche quelli dei bambini. E questo tema sta parti-

colarmente a cuore al no-stro ente: basti pensare ai “nuovi cittadini europei” a cui garantiamo di essere tali ogni anno, dando loro un nuovo papà ed una nuova mamma in Italia, oppure alle attività edu-cative che stiamo attivan-do per le scuole sul tema dei diritti dell’infanzia e dell’educazione a una cit-tadinanza globale.

In questo senso, la Piattaforma per i Diritti Fonda-mentali è per noi una fi nestra costantemente aperta sull’Europa dei diritti umani, con cui confrontarci e attraverso cui stringere importanti relazioni con altre ONG ed enti che si occupano di infanzia.

Eurochild

Se la Fundamental Rights Agency e la sua Piatta-forma costituiscono un’occasione per fare rete nel campo dei diritti umani, il network Eurochild è spe-cifi camente dedicato alla promozione dei diritti dei bambini. Come da sua defi nizione, Eurochild “rac-

coglie membri dentro e fuori dall’Europa allo sco-po di migliorare la quali-tà della vita dei bambini e dei ragazzi. Tutto il lavo-ro di Eurochild è basato sui principi contenuti nel-la Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia”.

Eurochild, peraltro, è promotrice della campa-gna informativa “Porre fi ne alla povertà infantile ora!”, ideata per chiedere ai principali leader eu-ropei e mondiali di dare avvio ad atti concreti a favore dei bambini in condizioni di bisogno. [La campagna è tuttora in corso, così come la raccolta fi rme ad essa associata, e visiona-

“Nel panorama così vasto e complesso dei network euro-pei, Cifa interviene portando la propria esperienza su ciò che rappresenta il fulcro della sua azione: i diritti dei bambino.”

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bile sul sito internet www.endchildpoverty.eu, con-sultabile anche in italiano].

Nel caso di Eurochild, il Cifa ha preso atto di gran-di similitudini tra la propria vision e quella di tale network: partecipare a campagne europee con la fi nalità di promuovere la Convenzione sui Diritti dell’Infanzia appare totalmente in linea con l’azione di Cifa, così come partecipare a eventi e fare lobby a livello europeo sui diritti dei bambini. Ecco perché, negli stessi giorni in cui questo articolo viene scritto, il Cifa entra a pieno titolo in Eurochild.

Per Cifa si parla dunque di Europa, di grandi reti di contatti, di momenti di confronto con importanti or-ganizzazioni sul tema dei diritti dell’infanzia e della partecipazione a gruppi di pressione istituzionali. In questo panorama, molto vasto e complesso, resta tuttavia sempre visibile l’elemento che ne giustifi ca l’esistenza e a cui ogni giorno il Cifa, così come mol-te altre organizzazioni, dedica il suo impegno. Que-sto elemento è “piccolo” per defi nizione, ma la sua importanza travalica i confi ni italiani, europei e in-ternazionali, dal momento che rappresenta il futuro del mondo. Il futuro di tutti noi. Questo elemento è il bambino.

Beatrice Gemma

Ogni bambino ha il diritto di giocare!

Nel numero di Marzo 2010 di Mondo Cifa, la nostra psicologa ha introdotto il tema del gioco quale importante strumento di ap-prendimento, di conoscenza e di socializza-zione per il bambino.

Giocare, insomma, è una cosa seria. Ma gio-care è anche un diritto di ogni bambino, ri-portato all’Articolo 31 della Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia, e pertanto deve essere oggetto di tutela e valorizzazione

Articolo 31

1. Gli Stati parti riconoscono al fanciullo il dirit-to al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età e a partecipare liberamente alla vita culturale ed ar-tistica.

2. Gli Stati parti rispettano e favoriscono il diritto del fanciullo di partecipare pienamente alla vita culturale e artistica e incoraggiano l’organizza-zione, in condizioni di uguaglianza, di mezzi ap-propriati di divertimento e di attività ricreative, artistiche e culturali.

Il gioco, così come inteso dal suddetto Arti-colo della Convenzione, è qualsiasi attività fi sica che sia divertente e partecipativa. Il gioco è spesso non organizzato e i bambini mentre giocano non sono guidati dagli adul-ti. Le attività ricreative, invece, sono più or-ganizzate del gioco e generalmente compor-tano attività fi siche e di svago.

Il diritto al gioco è, purtroppo, un “diritto di-menticato”, probabilmente perchè percepito nel mondo degli adulti come un lusso piut-tosto che una necessità per i bambini.

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Cifa alla Festambiente 2010

Dal 28 Giugno al 4 Luglio 2010 a Senigallia (AN) ha avuto luogo la XVI edizione della Festambiente Ra-gazzi, che quest’anno è stata intitolata “Un mondo tutto attaccato”. Il programma della festa, a carattere educativo, ha compreso laboratori per bambini e ragazzi, spettacoli teatrali, giochi e diverse iniziative.

Il Cifa è stato presente alla festa con un proprio banchetto informativo e con un percorso di educazio-ne allo sviluppo destinato ai bambini, volto a creare sensibilizzazione su alcuni diritti fondamentali dell’infanzia attraverso lo strumento del gioco. Tutti i bambini che si sono presentati al banchetto, infatti, hanno potuto cimentarsi con diversi giochi originari dei paesi in cui Cifa interviene con i propri progetti di cooperazione allo sviluppo.

Ringraziamo tutti coloro che hanno partecipato alla festa, e ringraziamo in modo particolare tutti i vo-lontari che ci hanno offerto un prezioso aiuto nel corso della giornata.

Educazione allo sviluppo: Cifa Onlus partecipa al progetto Comunic_eas per la Regione Marche

“Comunic_eas la comunicazione per lo sviluppo: verso un sistema regionale di informazione per lo sviluppo” è un progetto biennale gestito dall’uffi cio Cooperazione allo sviluppo della Regione Marche, cofi nanziato dall’Unione Europea e partito ad aprile 2010. Il progetto comprende, oltre al capofi la Regione Marche, altri 11 soggetti partner italiani tra associazioni, organizzazioni non governative ed enti locali: Cifa, Cvm, L’Africa Chiama, OICS, Cestas, Cospe, Gus, Circolo Africa, AVM, Provincia di Pesaro e Urbino, Provincia di Ancona.

L’obiettivo specifi co è contribuire a migliorare la comunicazione nel settore dell’Educazione allo Svilup-po attraverso:• La creazione di strumenti che favoriscano una relazione continua tra gli attori privati e le autorità locali;• Il miglioramento della qualità della comunicazione a livello regionale;• La creazione di una rete che abbia come obiettivo quello di creare una comunità coesa, facendo proprie le migliori esperienze di comunicazione a livello nazionale e comunitario nel settore dell’educazione allo sviluppo.

Il progetto si prefi gge di migliorare la conoscenza sulle questioni relative allo sviluppo attraverso la mes-sa in opera di un sistema permanente di attività di educazione allo sviluppo nel territorio marchigiano.

I risultati attesi che si prefi gge il progetto sono:• La creazione di un sistema di comunicazione permanente di educazione allo sviluppo;• Il miglioramento della qualità della comunicazione a livello regionale nel settore dell’eas.

Le attività principali possono essere così riassunte:1. Creazione di una rete di comunicazione regionale attraverso lo sviluppo di un portale internet regio-nale e la creazione di una rete di referenti del settore comunicazione eas;2. Creazione di un sistema permanente di comunicazione attraverso l’acquisizione di esperienze nazio-nali, europee ed internazionali sulla comunicazione eas, la formazione sulle tecniche di comunicazione e la realizzazione di campagne di approfondimento;3. Azioni pilota di comunicazione sui temi dell’eas attraverso l’ideazione e la sperimentazione di una programmazione regionale di comunicazione eas.

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Cambogia: dal terroreal processo a Duch

Quando il 17 aprile 1975 Pol Pot e i suoi Khmer Rossi entrarono nella capitale cambogiana Phnom Penh, assumendone il controllo e costringendo alla fuga il generale Lon Nol ed i suoi uomini, vennero accolti caldamente dalla popolazione. Negli anni che condussero all’assunzione del potere da parte di Pol Pot, egli operò a stretto contatto con le popo-lazioni delle aree rurali, venendo perciò ricono-sciuto quale leader degli oppressi.

La leadership del regi-me dei Khmer Rossi era rappresentata da un’élite formatasi sul territorio francese, le cui teorie tro-vavano il proprio fonda-mento negli insegnamen-ti maoisti. Il proposito del nuovo regime era la rea-lizzazione di una rivoluzione agraria, in grado di ricondurre la Cambogia ad un ideale “anno zero”. Il primo passo verso il raggiungimento di tale fi ne fu svuotare le città, costringendo la popolazione al lavoro forzato nelle campagne.

Pol Pot, leader del movimento, mirava allo sman-tellamento dell’infrastruttura della società cam-bogiana, prendendo di mira sia la società nel suo complesso che i singoli individui. Egli proseguì nell’attuazione del proprio programma chiuden-do le frontiere, in modo da garantire un’esenzio-ne totale da infl uenze esterne; realizzò inoltre una campagna di eliminazione di chiunque esercitasse una professione che richiedesse un elevato grado di istruzione, nel tentativo di trasformare il popolo cambogiano in una forza-lavoro collettiva, sbaraz-zandosi di coloro che rappresentavano un pericolo per l’affermarsi del regime. Principali caratteristi-che del sistema furono la tortura e l’uccisione si-stematica di cittadini, che unite ad una politica che condusse alla fame e alla diffusione di malattie ed epidemie, portò alla morte di circa un terzo della popolazione.

Gli sforzi dei Khmer Rossi per controllare il terri-torio e gli abitanti della Cambogia iniziarono ad incontrare una forte opposizione alla fi ne del 1978, quando forze militari guidate da dissidenti dello stesso partito, affi ancate dai vietnamiti, attaccarono il paese e assunsero il controllo di Phnom Penh il 6 gennaio 1979. I Khmer Rossi furono costretti alla fuga e trovarono rifugio nella giungla cambogiana e

thailandese, dove continuarono a combattere man-tenendo il paese in uno stato di instabilità perma-nente per più di un decennio.

Il 26 luglio 2010 le Extraordinary Chambers in the Court of Cambodia (ECCC), il tribunale misto isti-tuito dal governo cambogiano col supporto del-le Nazioni unite nel 2001, ha emesso la sua prima sentenza nei confronti di Kaing Guek Eav, meglio conosciuto con lo pseudonimo “Duch”. Costui, maestro di matematica prima dell’ascesa al potere dei Khmer Rossi, divenne noto nel periodo Khmer per aver assunto la direzione del centro di sicurez-

za S-21, situato nel cen-tro della capitale Phnom Penh. Si ritiene che più di 12000 persone venne-ro detenute, interrogate e torturate all’interno di S-21, cambogiani e non: uomini, donne e bambini sospettati di essere tradi-tori del regime. Alcuni di loro morirono all’inter-no della stessa struttura come conseguenza dei maltrattamenti, della tor-

tura, della scarsità del cibo fornito e della mancan-za di cure mediche adeguate. Molti furono inviati nei campi di sterminio situati appena fuori Phnom Penh e sepolti in fosse comuni. Non più di otto so-pravvissero. A più di trent’anni dal giorno in cui i membri del regime Khmer furono costretti a ritirar-si nella giungla, è arrivata la condanna.

Il 26 luglio la Camera di primo grado delle ECCC ha giudicato Duch colpevole di crimini contro l’uma-nità e crimini di guerra, tra cui persecuzione, ster-minio, tortura e trattamenti inumani, condannan-dolo a 35 anni di reclusione. Sulla base di quanto affermato nella sentenza i giudici, sebbene abbiano tenuto in debito conto la gravità dei crimini com-

“Il 26 luglio la Camera di primo grado delle ECCC ha giudicato Duch colpevole di crimini con-tro l’umanità e crimini di guerra, tra cui persecuzione, sterminio, tortura e trattamenti inumani.”

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messi dall’imputato ed il grande numero di vittime, hanno optato per una soluzione diversa dal carcere a vita, in conseguenza della disponibilità a coope-rare dimostrata da Duch, delle sue ripetute espres-sioni di rimorso per le azioni commesse e del suo potenziale di riabilitazione. Allo stato degli atti è verosimile che Duch spenda in prigione un periodo di tempo considerevolmente inferiore (19 anni), sia per gli anni già trascorsi in stato di detenzione, sia come compensazione per la detenzione illegale da parte dell’esercito cam-bogiano tra il 1999 ed il 2007.

Tra le oltre mille persone raccoltesi presso la sede delle ECCC per assistere a questo momento storico per la nazione cambogia-na, le reazioni sono state contrastanti: tra i molti sopravvissuti e parenti di vittime dei Khmer rossi presenti, vi era chi espri-meva rammarico per quella che sembrava essere una sentenza decisamente troppo lieve, altri mo-stravano una modesta soddisfazione per la prima condanna resa nei confronti di un ex Khmer Rosso, rappresentativa della fi ne di un’impunità durata 32 anni.

Il 16 agosto i Co-procuratori del tribunale hanno proposto appello contro la sentenza di primo gra-do, ritenendo che la Camera di prima istanza non avesse tenuto in debito conto la gravità dei crimini commessi dall’imputato, il suo ruolo e la sua vo-lontaria partecipazione nel compimento di tali azio-ni. I Co-procuratori hanno inoltre sostenuto che i giudici avessero attribuito eccessivo valore alle circostanze attenuanti nella determinazione della

pena. La credibilità e sin-cerità delle espressioni di rimorso di Duch è stata, infatti, signifi cativamente minata dalla sua richie-sta di essere rilasciato, presentata oralmente dal suo avvocato nel corso dell’udienza conclusiva.

Per quanto abbia lasciato uno strascico inevitabile di amarezza e delusione, questa sentenza rimane la prima manifestazione di giustizia (conforme agli standard internazionali) resa nei confronti di un ex membro del regime Kh-mer. Forse il primo passo

sulla strada del superamento di un trauma talmente profondo da rimanere radicato anche dopo tre de-cadi, verso l’accettazione e la comprensione di un periodo per molti tuttora oscuro e colmo di interro-gativi1 e, possibilmente, verso la riconciliazione na-zionale. Questi erano gli obiettivi che gli architetti del progetto istitutivo di tale corte si erano proposti, la capacità di raggiungerli dipenderà anche dalla

misura in cui il tribunale sarà in grado di conser-vare credibilità agli occhi della popolazione cambo-giana.

Elena Atzeni

Elena Atzeni è dottoranda in Diritto Internazionale pres-so L’Università di Torino.

1 Grazie anche al lavoro del tribunale, nel 2009 un capi-

tolo relativo al regime dei Khmer Rossi è stato per la pri-ma volta incluso nei libri di storia.

“La sentenza del processo a Duch rimane la prima mani-festazione di giustizia (confor-me agli standard internaziona-li) resa nei confronti di un ex membro del regime Khmer.”

Hanno detto...

“Non ho seguito il movimento per la resi-stenza allo scopo di uccidere persone, di uc-cidere la nazione. Guardatemi ora. Sono for-se una persona selvaggia? La mia coscienza è pulita...”

Pol Pot, ex dittatore della Cambogia, ispiratore e responsabile del massacro di un totale stimato tra un milione e mezzo e due milioni di suoi con-cittadini, un terzo della popolazione cambogiana.

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Neak Loeung:3 anni di progetto

“Anch’io so leggere e scrivere!” è uno dei progetti più noti di Cifa Onlus, attivato nel 2007 a favore dei bambini di strada della città di Neak Loeung, in Cambogia, e tuttora in corso per garantire a 85 bambini la possibilità di frequentare la scuola, al-lontanarsi dalla vita di strada e costruirsi un fu-turo. Prendiamo spunto da una delle relazioni tri-mestrali inviateci dal no-stro partner locale (Cifa Cambogia, abbreviato in Cifa/Co) sull’andamento del progetto, per raccon-tare cosa è cambiato nel corso degli ultimi anni e cosa accade in questi mesi nel Centro di Neak Loeung, oggi popolato da un foltissimo gruppo di bambini sorridenti, attivi, nutriti e… che sanno leg-gere e scrivere.

I bambini di Neak Loeung…

Dopo quasi tre anni di attività, il numero di benefi -ciari è rimasto invariato (85 bambini); il centro è no-tevolmente migliorato, tuttavia, in termini di quali-tà della tutela dei bambini, preparazione dello staff

e attività svolte. Ma cosa fanno, quotidianamente, i bambini di Neak Loeung? Le loro giornate sono, senza dubbio, molto ricche. Ogni giorno i bambini seguono corsi di educazione informale, un modo per assicurare il loro apprendimento attraverso le-zioni il più possibile coinvolgenti, basate su piccoli giochi e lavori di gruppo. Gli insegnanti e gli edu-catori cercano di aumentare le capacità di apprendi-mento dei bambini, li aiutano a fare i compiti e lavo-rano all’inserimento scolastico di quei bambini che

non hanno mai avuto la possibilità di frequentare la scuola tradizionale. I bambini seguono, inoltre, corsi di lingua inglese su vari livelli. Non mancano lezioni di danza tradizio-nale cambogiana, di pit-tura, di musica e, ultima-mente, corsi di computer (particolarmente graditi dai ragazzi). Osservando i progressi dei bambini negli ultimi sei mesi, sul-la base delle varie attività

che costituiscono il cuore del progetto, si nota un forte coinvolgimento degli 85 benefi ciari in tutte le attività del Centro. Il tempo che passano sulla stra-da (luogo in cui trascorrevano le loro intere gior-nate, prima di conoscere il Cifa) è ridotto ormai al minimo. I bambini, ora, amano stare al Centro an-che semplicemente per riposare, o si appassionano in biblioteca leggendo i libri a loro disposizione. La vera sfi da, ora, è quella di garantire la continuità dello standard di vita che hanno raggiunto.

“Il numero di benefi ciari del centro di Neak Loeung è ri-masto lo stesso: 85 bambini. Il centro è però migliorato in termini di qualità della tutela dei bambini, preparazione del-lo staff e tipo di attività svolte.”

Giocare... per crescere!

Nome del gioco: La voce del tamburoPaese di origine: CambogiaPartecipanti: 6 o più giocatoriRegole: Due giocatori si spostano in mezzo a un cerchio formato dai compagni. Il primo viene bendato, il secondo riceve un tamburo. Al “Via!” il suonatore si sposta qua e là per il cerchio, battendo con regolarità sul tam-buro. Il compagno bendato deve cercare di acchiapparlo, facendosi guidare dal suono del tamburo. Se rischia di uscire dal cerchio, i giocatori a cui si sta avvicinando troppo battono le mani per avvisarlo del pericolo. Quando il suonatore viene acchiappato, due nuovi giocatori si spostano in centro al cer-chio e così via. Vince il giocatore bendato che cattura più in fretta il suo suonatore e il suonatore che sfugge più a lungo al suo in-seguitore.

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…E le loro famiglie

Un aspetto importante del progetto “Anch’io so leg-gere e scrivere!” in Cambogia (e di tutti i progetti di Cifa Onlus) è il coinvolgimento attivo delle famiglie dei bambini, se presenti, nelle attività svolte dai fi -gli presso il Centro. Se una famiglia è consapevo-le che il proprio bambino trascorre le giornate con persone degne di fi ducia, non si opporrà in alcun modo al fatto che il bam-bino frequenti il centro, e che in questo modo rice-va l’istruzione primaria. Durante gli incontri con le famiglie degli 85 bam-bini avvenuti negli ulti-mi mesi, ai genitori sono stati resi noti, come di consueto, i progressi dei propri fi gli a scuola e nel-le attività del centro. Gli incontri sono inoltre ser-viti come momento per esprimere particolari perplessità o bisogni da parte dei genitori stessi.

Le famiglie dei bambini sono coinvolte, inoltre, in un programma di supporto alimentare. Nel corso del progetto lo staff di Cifa/Co aveva osservato che la maggior parte delle famiglie non era in grado di nutrire adeguatamente i fi gli a causa di una grave mancanza di fondi, che non permetteva di compra-re cibo di buona qualità e in quantità suffi cienti. Poiché una corretta alimentazione è la base per la salute dei bambini e per la loro crescita, lo staff del centro ha iniziato a distribuire riso ai genitori degli 85 bambini, con cadenza mensile. A volte, a secon-

da della stagione, vengono anche distribuiti altri generi alimentari. Per le famiglie particolarmente povere la distribuzione del riso è fondamentale; per quelle meno povere, è comunque un aiuto impor-tante che permette di risparmiare denaro da utiliz-zare in altre occasioni. Durante le distribuzioni di cibo, lo staff di Cifa/Co presta inoltre attenzione alle condizioni abitative delle famiglie, per capire

se gli 85 bambini vivono in ambienti domestici in cui sono effettivamente tutelati e protetti, oltre che conformi alle norme basilari dell’igiene.

Formazione del persona-le

Tutto il personale di Cifa/Co ha avuto l’op-portunità di frequentare periodici corsi di forma-zione e aggiornamento. In particolare, nei mesi

compresi tra marzo e giugno 2010, lo staff ha par-tecipato a un seminario focalizzato sulla protezio-ne dei bambini, correlato alle questioni della salute infantile e al problema della violenza sessuale sui bambini. Il corso ha anche fornito spunti su come educare i bambini a conoscere queste stesse tema-tiche. A maggio, il Direttore del Centro di Neak Loeung e il Coordinatore di Progetto hanno preso parte a un seminario sul traffi co minorile.

Capodanno Khmer: un’occasione per festeggiare

Aprile è stato molto speciale per i bimbi di Neak Loung: oltre ad essere il mese di vacanza per tutte le scuole primarie in Cambogia, è anche il mese in cui si festeggia il Capodanno Khmer, la ricorrenza più importante del calendario cambogiano. Questa festa, che ha una durata di due o tre giorni, cele-bra la fi ne del raccolto nei campi e segna l’inizio del nuovo anno cambogiano. In occasione del Ca-podanno Khmer, tutti i bambini del centro hanno potuto benefi ciare di 3 giorni di vacanza, che han-no principalmente trascorso con i propri genitori o andando a far visita a parenti in villaggi limitrofi . Molti dei bambini di Neak Loeung, inoltre, hanno ricevuto i regali che i loro sostenitori italiani hanno voluto generosamente comprare: giochi, biciclette, la possibilità di andare al mare o in gita ai templi di Angkor, e molto altro ancora.

Le sfi de future

Anche se il quadro generale è molto positivo, nel-la realizzazione di un progetto complesso come “Anch’io so leggere e scrivere!” non mancano tuttavia alcuni problemi, che saranno oggetto di attenzione

“Il coinvolgimento attivo del-le famiglie dei bambini è molto importante. Se una famiglia si fi da di Cifa, non si opporrà al fatto che il bambino frequenti il centro, e che in questo modo riceva l’istruzione primaria.”

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da parte dello staff di Cifa/Co per i prossimi mesi. Alcuni bambini, per esempio, sfruttano ancora par-te del proprio tempo libero (la domenica) per cerca-re di guadagnare denaro in qualche modo, venden-do dolci e piccole merci sulla strada: il loro introito familiare è ancora troppo basso per consentire loro di dedicarsi esclusivamente alla scuola e alle attività del centro.

Destano preoccupazione anche le condizioni di vita e di salute di alcune tra le famiglie dei bam-bini, rimaste pressoché immutate nonostante la di-stribuzione di cibo e altri beni di prima necessità. Migliorano le condizioni dei bambini, dunque, ma non sempre quelle dei genitori. Gli adulti, tuttavia, nonostante il peso della povertà, sono sempre più consci dell’importanza dell’educazione per i loro fi gli, motivo per cui esprimono soddisfazione per la frequentazione del centro da parte dei bambini.

In sintesi

Il bilancio di tre anni di attività del centro di Neak Loeung mostra un netto miglioramento nelle condi-zioni di vita degli 85 bambini ospitati.

Il titolo del progetto, “Anch’io so leggere e scrivere”, non rifl ette più una speranza o un sogno, ma un obiettivo che si sta concretamente realizzando: tutti i bambini che prima vivevano sulla strada oggi van-no a scuola, e giorno dopo giorno ricevono l’istru-zione primaria a cui hanno diritto.

Istruzione che, con l’adeguato supporto di Cifa e di tutti coloro che credono nel progetto, può aiutare a spezzare le catene della povertà e regalare a questi bambini un futuro migliore.

Lo staff di Cifa Onlus

11 Settembre: Capodanno Etiope

Dalla letterina di T.F., 9 anni, che vive in una zona periferica di Addis Abeba

“Finalmente è arrivato l’Enkutatash. Questa sera preparerò con i miei genitori delle torce fatte con foglie secche e bastoni di legno, e le metteremo davanti alla nostra casa. Anche i nostri vicini faranno la stessa cosa. Questa sera canteremo tutti insieme in casa. Domani mattina andremo alla cerimonia in città. Spero di ricevere qualche regalo per l’Enkutatash, anche se so che i miei genitori hanno dovuto risparmiare i loro soldi per riparare il tetto della casa”.

Cos’è l’Enkutatash?

Il giorno 11 Settembre è una ricorrenza importante per l’Etiopia: si festeggia l’Enkutatash, ovvero il primo giorno dell’anno nuovo. In Etiopia è infatti in uso il Calendario Ge’ez, simile al nostro vecchio Calendario Giuliano, in cui ogni anno conta 12 mesi di 30 giorni più un tredicesimo mese di 5 o 6 giorni. Il primo mese dell’anno, Meskerem, comincia con il giorno chiamato Enkutatash, e che corrisponde al nostro 11 Settembre. L’Enkutatash è un giorno di festa, molto simile al nostro Natale, in cui le famiglie si riuniscono per le celebrazioni e i bambini ricevono regali da genitori e parenti, se questi ultimi pos-sono permettersi di comprarli.

Un regalo per ogni bambino

In occasione dell’Enkutatash del 2010, Cifa ha permesso a tutti coloro che hanno un sostegno a distanza attivo in Etiopia di fare un regalo al bambino (o ai bambini) che stanno sostenendo. Anche chi non sostiene un bambino in Etiopia ha avuto l’opportunità di effettuare una dona-zione specifi ca per il Capodanno etiope, i cui proventi sono stati utilizzati per comprare regali a bambini senza sostenitore coinvolti nei nostri progetti.

Ringraziamo tutti coloro che, tramite Cifa On-lus, hanno voluto rendere indimenticabile il Ca-podanno di un bambino etiope.

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Tutti i progettiin corsoCifa si è impegnato in 13 Paesi del mondo nella realizzazione di progetti di emergenza, progetti di cooperazione di medio-lungo termine e program-mi di sostegno a distanza. Oggi abbiamo progetti e sostegni a distanza in corso in 10 paesi dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa.

CAMBOGIAAnch’io so leggere e scrivere!Il progetto assicura l’istruzione primaria a 85 bam-bini di strada o ad alto rischio di emarginazione sociale. Ai piccoli benefi ciari vengono assicurate cure mediche e alimentazione adeguata. Adottan-do forme di educazione informale, si previene l’ab-bandono scolastico e si facilita il reinserimento nelle scuole.

Via del CampoIl progetto vuole migliorare le condizioni di vita di 50 bambini a Poum Thmey, quartiere a luci rosse alla periferia di Sihanoukville. Ai bambini benefi -ciari verrà garantita protezione, assistenza medica e programmi di educazione alternativa, proteggen-doli dal rischio di un ingresso nel mercato della pro-stituzione minorile.

Vite da riprendersiIl progetto interviene su 30 donne sessualmente sfruttate che operano nella capitale Phnom Penh, aprendo un consultorio psicosociale a loro benefi cio e un asilo nido per ospitare e tutelare i loro bambini. Il progetto è frutto della collaborazione con Ecpat Italia e Il Sole Onlus.

Diritto al nomeIl progetto è volto a realizzare una campagna di sensibilizzazione sui Diritti dell’infanzia, con par-ticolare riferimento al diritto al nome, a benefi cio di 60mila bambini che vivono in 150 villaggi di 7 pro-vince della Cambogia. Il progetto è fi nanziato dalla CAI, e realizzato insieme alla Comunità di S. Egi-dio, Aipa, Ariete, Famiglie e minori, Lo Scoiattolo.

ETIOPIAFoster Homes (e Counseling Center)Il progetto, realizzato nella capitale Addis Abe-ba, è fi nalizzato alla tutela di 182 bambini, ragazzi e ragazze che sono stati vittime di abusi sessuali. L’obiettivo è di riuscire gradualmente a reinserirli nella società, superando i traumi subiti. Il progetto è realizzato in collaborazione con Il Sole Onlus.

Insieme contro l’AIDSIl progetto intende migliorare le condizioni di vita di 100 bambini e ragazzi affetti da virus HIV ap-

partenenti a famiglie povere, le quali non possono sostenere le spese per le cure dei fi gli né tantomeno per la loro istruzione scolastica.

FILIPPINEOgni bambino ha diritto a una famiglia!La presenza di un nucleo familiare è essenziale per la crescita e lo sviluppo di un bambino. Per questo motivo il progetto di Cifa si impegna a trovare ge-nitori affi datari per 105 bambini di strada, oppure a riprendere i contatti con le loro famiglie d’origine.

INDONESIAScuole contro la mareaLa popolazione indonesiana non si è ancora ripresa completamente dal violento tsunami del 2004. Cen-tinaia di scuole sono andate distrutte, e il Cifa ne ha ricostruite due nella provincia di Nias. Oggi, in collaborazione con il nostro partner locale, Cifa or-ganizza corsi di aggiornamento per gli insegnanti e attività educative per 600 bambini.

PERÙNATs: scuola, lavoro, dirittiIl progetto offre un percorso educativo informale e di qualità a 670 bambini che non hanno mai fre-quentato la scuola o che l’hanno abbandonata. Ai bambini è inoltre offerto pieno sostegno alimenta-re e sanitario. Il Cifa si relaziona con i NATs, vere e proprie organizzazioni di bambini e adolescenti peruviani che si tutelano e sostengono vicendevol-mente.

THAILANDIAEmergenza profughi birmaniIn Thailandia ci sono enormi campi profughi di per-sone scappate dalla Birmania, che vivono tra mille diffi coltà. Il nostro progetto sostiene le scuole ma-terne dei campi, fornendo assistenza alimentare a 3150 bambini e formando i loro insegnanti.

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INTENDO SOSTENERE IL PROGETTO:� CAMBOGIA - Anch‘io so leggere e scrivere!� CAMBOGIA - Via del Campo� CAMBOGIA - Vite da riprendersi� ETIOPIA - Foster Homes� ETIOPIA - Insieme contro l’AIDS� FILIPPINE - Ogni bambino ha diritto a una famiglia!� INDONESIA - Scuole contro la marea� PERU’ - Scuola, lavoro, diritti� THAILANDIA - Emergenza profughi birmani� Dove c‘è più bisogno (equivalente a donazione liberale)

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Adottare in Cina:attese, partenze e arrivi

Kangtao, Kaiming, Tian, Guogang… Sono i nomi dei bambini cinesi già arrivati in Italia, tutti appar-tenenti alle liste speciali e quindi “imperfetti”, por-tatori di varie problematiche o patologie. Oppure sono bambini grandi, ovvero oltre i 7 anni di età. Vederli correre, giocare, interagire con i genitori, ripetere parole in italia-no ed esprimere in questa lingua le loro prime neces-sità, porta naturalmente a chiedersi se i fi umi di pa-role spesi per queste liste speciali non siano solo un modo “nostro” di affronta-re le cose: tante parole un poco lontane, alla fi ne, dal-la realtà.

Le adozioni in Cina sono iniziate da parecchio tem-

po, da Luglio 2009, e più di 50 minori sono stati proposti e accettati; 2 o 3 bambini sono stati rifi utati alla prima proposta (ci sono anche casi come que-sto), abbiamo fatto tutto il possibile per aggiornare le coppie ogni volta che acquisivamo nuove infor-mazioni, ma soprattutto abbiamo cercato di sfatare l’idea che Cina sia sinonimo di bambini malati.

I bambini grandi e i bambini con necessità speciali sono ormai il leit motif di tutti i paesi dove l’adozio-ne internazionale è nata, dieci o venti anni fa, e che

hanno avuto la possibi-lità di lavorare in questa direzione.

Il CCAA (China Center for Adoption Affairs), l’ente con cui il Cifa collabora, al momento è ancora al vaglio delle domande di adozione ricevute nel 2006 da-gli USA (una media di 2000 domande al mese). Per ovviare a questo fat-

“Vedere i primi bambini appar-tenenti alle liste speciali della Cina che giocano, corrono e in-teragiscono con i nuovi genito-ri, porta a chiedersi se i fi umi di parole spesi per queste liste non fossero un modo fi n troppo com-plesso di affrontare la realtà.”

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ORAdozione

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to, da aprile 2007 sono entrati in vigore dei parame-tri più restrittivi di accettazione delle coppie (quelle attualmente seguiti dal Cifa). Volere un bambino dalla lista normale vuol dire perciò attendere un numero di anni ormai sconosciuti, ma certamente superiore a 3, per poi avere, forse, un bambino pic-colo e sano.

Dico forse perché “bambino sano”, in realtà, vuol dire che nei suoi pochi mesi di vita non si è nota-to nulla che possa far pensare a qualche problema, ma che questo problema potrebbe venire fuori ap-pena ritornati a casa: il rischio sanitario, dunque, esiste anche nella lista “normale”. Certo non sarà un bambino affetto da labiopalatoschisi o da una malformazione dell’orecchio, o non avrà un dito in più o in meno della mano o del piede, ma potreb-be manifestare in seguito altre patologie, che fi no a quel momento della sua vita non era stato possibile diagnosticare.

Una delle prime “mamme Cina”, la prima in as-soluto ad entrare in ospedale con il suo bimbo per risolvere il problema medico da cui è affetto con un intervento chirurgico, mi ha detto: “Circoscri-vere mio fi glio al suo problema sanitario è troppo riduttivo, lui è tante altre cose, lui è un mondo in-tero di altre cose…” Mentre lo diceva i suoi occhi brillavano di felicità e il suo sguardo avvolgeva e abbracciava il suo piccolo, un esserino indifeso che, con la fl ebo nel piedino, dormiva placidamente, forse ancora un po’ sotto l’effetto degli anestetici. Oltre ai problemi sanitari, un altro punto dolen-te delle adozioni in Cina sono i tempi di attesa.

Tempi di attesa non ipotizzabili e, soprattutto, non considerabili come dati certi e ripetibili. Il CCAA corregge il “tiro” periodicamente, emanando prima normative più restrittive, e allargando in seguito le maglie per indicare che sta monitorando attenta-mente ciò che sta facendo e le relative conseguenze; si dimostra quindi pronto a cambiare le sue disposi-zioni se queste penalizzano i bambini della “special list”.

Della Cina si è scritto e si scrive di tutto e di più. La politica del fi glio unico sta avendo conseguen-ze gravi sul futuro equilibrio sociale futuro della nazione cinese, le modalità di applicazione di que-sta legge hanno fatto molto discutere soprattutto perché, all’inizio, sono state perentorie e violente; oggi lo sono forse meno, ma tolgono pur sempre una libertà di scelta per noi imprescindibile. Credo comunque che la grandezza (numerica) di questo paese renda ogni decisione più complessa che al-trove, perchè le conseguenze non sono quelle di un torrente in piena che esonda, ma di un vero e pro-prio tsunami.

I tempi di attesa dipendono quindi dalla coppia, e dalla disponibilità che quest’ultima esprime nel con-siderare la check-list [un documento in cui la coppia conferma o meno l’accettazione di patologie più o meno gravi da cui il bambino potrebbe essere affetto, NdR]. Una serie di “no” non va solo ad impattare con la disponibilità di base richiesta dall’ente per ogni pa-ese ma, nello specifi co, rende impossibile avere un qualsiasi abbinamento da essa. Più la disponibili-tà è ampia, più il Cifa può trovare dei bambini da proporre. Cosa accade, o meglio in quanto tempo accade tutto il resto, è frutto di decine di variabili, non ultime gli aggiornamenti o approfondimenti ri-chiesti al Cifa in caso di coppie la cui relazione dei servizi sociali non sia “fantastica”.

Se all’inizio ci siamo sentiti forti perché questi ap-profondimenti non erano richiesti, la successiva esperienza ci aveva fatto pensare che bastava “in-tegrare positivamente” perché la coppia fosse ac-cettata. Ora possiamo affermare con cognizione di causa che i parametri richiesti devono essere sod-disfatti fi n dall’inizio, e che non basta il lavoro fat-to poi dall’ente per “raddrizzare” una situazione.La privacy, che riteniamo ancora più importante in questi casi, non ci permette di dire quale è stata la disponibilità data dalle coppie che hanno dei mino-ri abbinati, ma alcune di loro si sono rese disponi-bili per essere contattate. Sono poi certa che la soli-darietà e la comunicazione nata fra il folto gruppo in attesa su questo paese possa fare il resto; la cosa importante è fare la domanda giusta e soprattutto aver voglia di “ascoltare” la risposta: “Un fi glio non è il suo problema sanitario, ma tanto altro”. Grazie, Stefania!

Ambra Enrico

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Dallo “special need”a... Un bambino speciale

Siamo Andrea e Stefania, i fortunati genitori di Kangtao, un meraviglioso bambino di origine cine-se. Kangtao è con noi dal 29 Marzo di quest’anno.

Abbiamo dato mandato al Cifa nel luglio del 2009 e il 3 settembre è arrivata la telefonata, quanto mai inaspettata, di Cinzia [psi-cologa della sede Cifa di To-rino, NdR] che ci propone-va Kangtao come fi glio; inaspettata perché non avevamo ancora prepa-rato i documenti richiesti ed avevamo compilato e inviato la check-list con la nostra disponibilità per eventuali “special needs” soltanto la sera preceden-te.

Il periodo successivo, fi no alla partenza, è passato in fretta tra i preparativi del-la stanza per il bimbo e le tante altre cose da fare. Poiché eravamo una delle prime coppie a partire per la Cina, le tempistiche previste non erano chia-re: si pensava inizialmente che avremmo potuto partire già verso Gennaio o Febbraio, poi ci è sta-to detto che ci sarebbero voluti 6 o 8 mesi. A metà gennaio è arrivato l’abbi-namento e sabato 27 Mar-zo l’aereo Roma-Pechino ci ha portati nel Paese del nostro bambino. A fare il viaggio con noi c’erano altre tre coppie, una delle quali ha trascorso con noi l’intero periodo in Cina perché loro fi glio provie-ne dalla stessa regione in cui è nato Kangtao.

La domenica abbia-mo raggiunto in treno Taiyuan, il capolouogo dello Shanxi. Abbiamo trascorso la nostra ultima serata da sposini in alber-go, cenando con il rilas-sante accompagnamento musicale di un pianofor-

te, e il lunedì mattina abbiamo girato Taiyuan a piedi alla ricerca di un grande magazzino dove comprare un passeggino. La lunga camminata e la compagnia dell’altra coppia ci ha permesso di smorzare un po’ l’ansia del momento. Nel pome-riggio, in un buio corridoio di un uffi cio pubblico, in attesa che venisse aperta la stanza utilizzata per le adozioni, abbiamo incontrato Kangtao. Quando è arrivato il nostro bambino dormiva, e appena si è

svegliato ha cominciato a piangere e ad urlare. Ab-biamo dovuto evitare di spaventarlo ulteriormen-te imponendoci troppo con le nostre attenzioni: ci siamo così astenuti dal prenderlo in braccio e strapazzarlo di baci come avremmo desiderato.

Kangtao è originario di un paese vicino a Yun-cheng nello Shanxi; il di-rettore dell’orfanatrofi o di Yuncheng lo aveva dato in affi do ad una fa-miglia di Pechino.

Questa era composta da due coniugi, dalle loro fi -glie ed da altre donne; no-

nostante i bambini fossero parecchi, 12 o 15, Kang-tao è stato molto amato e coccolato.

Ad accompagnarlo c’erano dunque il direttore dell’orfanatrofi o, la sorella e la fi glia della sua tutrice.

”La sua crescita e la nostra capa-cità di essere genitori accoglienti ma fermi, severi ma non rigidi, sono diventate le nostre preoccu-pazioni principali. Il fatto di aver identifi cato il problema fi sico con il bambino è stato un nostro grosso errore che ha caricato di preoccu-pazioni inutili quella che avrebbe dovuto essere la semplice e me-ravigliosa attesa di un bimbo.”

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Le sue accompagnatri-ci sono state molto abili nella “consegna”: hanno portato con loro giochini, biscotti e yogurt in modo da distrarlo; anche noi avevamo portato qual-che gioco ma per questi Kangtao dimostrava scar-so interesse. Il bimbo non disdegnava invece il cibo, anche se offerto da me, e infatti l’atto di porger-glielo è stato l’unico tipo di approccio possibile.

Ci sono state lasciate molte cose del nostro bimbo: foto, vestiti, gio-chi, libri, i suoi dvd pre-feriti, la sua scodella, il suo cucchiaino e il suo biberon, oltre alle sue caramelle e ai suoi dolcetti preferiti. Dopo l’oretta a disposizione, le due ragazze sono uscite senza salutarlo e lasciandoci un bambino terrorizzato.

A quel punto io, neo-mamma, sono rimasta l’unica persona a cui poteva affi darsi perché ogni volta che vedeva il papà riprendeva ad urlare. È venuto così

in braccio a me e ci è rimasto ininterrottamente fi no alle 21.00, quando è crollato per la stanchezza. Sono seguiti giorni duri per lui, nei quali ha progressiva-mente imparato ad accettare il padre cominciando a giocare e divertirsi con noi fi no a rivelarsi un bam-bino allegro e sempre pronto al riso.

Il periodo a Pechino, durato circa tre settimane, è stato bello; la compagnia delle coppie con cui ab-biamo trascorso questo momento così importante della nostra vita è stata piacevole e soprattutto utile per confrontarsi sulle diffi coltà, e per non sentirsi troppo soli in un paese dove è molto diffi cile comu-nicare perchè pochi parlano inglese.

Kangtao è un gran simpaticone. È socievole e saluta le persone che gli si presentano anche solo per la prima volta con baci mandati con la manina; non si stacca tuttavia dalla sua mamma e dal suo papà e, mentre con noi è molto affettuoso e coccolone, re-spinge carezze o baci sulla guancia fatti da chiun-que altro.

È un mangione ed è goloso soprattutto di dolci: esulta con urletti per il cioccolato e per i bigné.

Un mesetto fa è stato operato al palato per il suo problema di palatoschisi (motivo per il quale era stato segnalato tra gli special needs e per il quale la nostra attesa è stata tanto breve); l’intervento è an-dato bene ma le giornate successive sono state dif-fi cili sia perché non ha potuto mangiare nulla per qualche giorno, sia perché la permanenza di quattro giorni in ospedale lo ha un poco traumatizzato.

Il fatto di non poter masticare e di dover mangiare solo pappette lo infastidisce sicuramente e lo rende

Rischio sanitario: che cos’è?

Chi ha fatto l’incontro informativo con Cifa Onlus sa già che una delle richieste dell’ente è l’accettazione del rischio sanitario. Si trat-ta di uno dei punti più trattati e controversi degli incontri; è anche vero che la salute del proprio fi glio è una delle maggiori preoccu-pazioni dei futuri genitori; si vorrebbe sape-re come crescerà una volta arrivato a casa, se le informazioni sanitarie ricevute sono corrette, esagerate o se nascondono qualche cosa.

È diffi cile rispondere a queste domande perchè non sempre si hanno dati suffi cienti per farlo. Molte volte la cartella clinica viene letta, o consegnata, e può essere completa o parziale; altre volte le informazioni sanitarie sono così scarse che non servono quasi a nul-la. Queste notizie possono essere date all’ab-binamento, qui in Italia, oppure sul posto e magari con davanti il bambino.

(continua alla pagina seguente)

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irascibile e capriccioso, malgrado noi cerchiamo di addolcirlo con dosi extra di budini e creme.

La labiopalatoschisi ci aveva molto spaventati nel momento dell’accettazione della proposta e ci pre-occupava molto (anche se il labbro gli era già stato chiuso in Cina); da quando lo abbiamo conosciuto questa preoccupazione è stata ridimensionata ed è diventata, come in effetti è, un problema facilmen-te risolvibile chirurgicamente che non mette né lui, né noi in alcuna diffi coltà. La sua crescita e la no-stra capacità di essere genitori accoglienti ma fermi, severi ma non rigidi, sono diventate le nostre pre-occupazioni principali. Il fatto di aver identifi cato il problema fi sico con il bambino è stato un nostro grosso errore che ha caricato di preoccupazioni inu-tili quella che avrebbe dovuto essere la semplice e meravigliosa attesa di un bimbo.

In questo periodo sono in maternità e passo le gior-nate a giocare, tentando con fatica di resistere al tentativo continuo di Kangtao di piegarmi alla sua volontà.

A ferragosto festeggeremo i due anni di Kangtao e sarà una bella festa, soprattutto per noi che lo ab-biamo tanto desiderato e per gli altri parenti che, dapprima timorosi nei confronti della nostra scelta, non hanno esitato un attimo, appena lo hanno visto, ad affezionarglisi e a considerarlo il più bello e sim-patico dei bambini.

Andrea, Stefania e Kangtao

(continua)

Quando si adotta si diventa genitore di un bambino nato da altri, ma non solo: si accetta di essere madre e padre di un bimbo con un passato che può averlo segnato più di quan-to si immagini o si speri...

Un bellissimo neonato, messo in braccio a pochi giorni di vita, ha una storia dietro di sé perchè ha avuto una madre che lo ha fatto nascere. Sua madre può essere stata alcolista o tossicodipendente, può avere avuto malat-tie, può avere vissuto in ambienti poco adatti a portare avanti bene una gravidanza.

I nostri fi gli sono stati abbandonati, o tol-ti alle famiglie, e hanno passato un tempo più o meno lungo in situazioni precarie, in ospedale o in istituto. Tutto questo segna un bambino, lo segna nel fi sico, nella mente e in alcuni casi nel DNA.

Che cosa è, quindi, il rischio sanitario? È pro-prio questo. Sapere che il bimbo che diven-terà nostro fi glio può avere subito dei danni che nessuno, all’abbinamento, conosce o può valutare completamente. Che non è giusto, per tranquillizzare le nostre paure, sotto-porre il bimbo ad analisi o accertamenti ag-giuntivi, a meno che qualcosa non lo renda necessario. Entrare in ospedale è un trauma per tutti ma lo è di più per un bambino che non ha una famiglia che lo sostenga.

Si deve accettare il fatto che ci sono cose che non si possono curare o compensare e si do-vrà imparare a convivere con quello che re-sta.

Più il bimbo è piccolo, meno informazioni ci sono all’abbinamento ed è diffi cile prevede-re come crescerà, che problemi ci potranno essere. Questo è il rischio evolutivo. Se da una parte un bimbo di pochi mesi ha meno traumi da digerire, meno “buchi” da riempi-re, dall’altra parte i genitori devono rendersi conto che si sa ben poco di cosa ha il fi glio e che forse ci vorranno anni prima di scoprire tutto.

Questo può essere considerato banale ma ac-cettare le incognite che l’adozione comporta è il primo passo per essere veramente geni-tori.

Paola Gramegna

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Il Cifa a Malta

Nel 2004 la prima bambina cambogiana è arrivata a Malta, e da quel giorno altri 5 bambini e due bambi-ne arriveranno nel prossimo mese di luglio.Questa è la piccola comunità cambogiana creata da Cifa sull’isola del Mediterraneo.

Il 19 giugno Chhiv [il referente di Cifa per le adozioni in Cambogia, NdR] ed io siamo andati ad incontra-re questo piccolo gruppo nella loro bella isola. Ab-biamo passato alcune piacevolissime ore insieme a loro, bambini e genitori. Chhiv, commosso, ha scat-tato diverse foto, ha accarezzato i bambini e poi mi ha ringraziato per averlo accompagnato in questo viaggio.

In effetti è stato molto bello. I bambini sono cresciu-ti, i più vecchi ormai hanno fra i 4 e i 5 anni, gli altri 2 e 3 anni; uno di loro, nel frattempo, ha anche avu-to una sorellina, fi glia biologica di mamma e papà. Tutto uguale: Malta, Italia, Cambogia, un mondo di bambini che hanno trovato una famiglia, una vita fatta di speranza e soprattutto un futuro.

Il Cifa è arrivato quasi per caso a Malta, rispon-dendo a una richiesta di aiuto di una coppia che, in buon italiano (perché la TV italiana è arrivata prima di tutti noi sull’isola, negli Anni ’80), chiedeva se potevamo aiutarli dal momento che nella loro isola non esistevano agenzie che facessero questo tipo di lavoro.

Poco dopo anche Roberta Myler ha scritto per lo stesso motivo, e da allora questa donna è risultata

essere un valido aiuto e supporto per tutte le coppie che vogliono informazioni sul Cifa, e soprattutto che sono in attesa di abbinamento o di partire. Una vera amica a cui rivolgersi quando l’attesa diven-ta lunga ed estenuante, e soprattutto quando certe cose risultano incomprensibili.

Il vero problema di Malta è proprio questo: le coppie non sanno nulla di ciò che avviene fuori, nel mon-do dell’adozione internazionale, nessuno spiega loro come avvengono gli abbinamenti e come sono i bambini che vanno in adozione; pertanto, quando si rivolgono a noi, generalmente sembra che com-pilino una lista della spesa on-line, dove elencano le loro richieste che, guarda caso, sono la perfetta sostituzione di quel fi glio biologico mai arrivato.

Roberta ha cercato di capire, invece, quella che oggi è la realtà dell’adozione internazionale, e poi ha co-minciato ad incontrare le coppie e a fare con loro degli incontri per spiegare e poi aiutare a capire, ma soprattutto ad accettare la realtà. Vorrei quindi rin-graziarla per la sua opera, che ha permesso al Cifa di diventare internazionale anche in questa fase del percorso adottivo.

Ambra Enrico

A partire dal 2006, anno in cui Cifa Onlus ha effettuato il primo abbinamento di un bam-bino cambogiano con una coppia di Malta, il nostro ente ha portato sull’isola 8 bambini provenienti da questo stato del sud-est asia-tico.

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Il mondo delle adozioniva rivisitato

Da un punto di vista normativo, dove “sta andando” il mondo delle adozioni internazionali? In una direzione compatibile con chi ne è al centro, ovvero il bambino? Sulle pagine del nostro giornale, prova a rispondere a questa domanda la Sen. Maria Burani Procaccini, inter-vistata da Cifa Onlus.

Il mondo delle adozioni internazionali va rivisi-tato. Su questo anche il più ottimista degli opera-tori è senza dubbio d’accordo. La legge italiana è già datata. Le situazioni negli e tra gli Stati sono in continuo mutamento e di conseguenza va continua-mente rivisitata la politica dei rapporti e del perfet-to interfacciarsi delle leggi relative alle adozioni e delle prassi, o leggi, relative all’affi do familiare. Le ratifi che della Convenzione dell’Aja sono state fatte in base a scelte operative che oggi, in alcuni punti, devono essere ripensate in base alle esperienze di questi anni. Alcuni canali di condotta suggeriti in Europa vanno integrati.

C’è poi il grave problema di alcuni stati di recente adesione all’UE, come la Romania, che hanno do-vuto operare una pseudo-ratifi ca adattata ai “sug-gerimenti” inderogabili di funzionari europei più preoccupati ad ipotizzare eventuali scavalcamenti illeciti delle norme, che a garantire reale traspa-renza, logica scorrevolezza ed applicabilità delle norme stesse. Soffermandoci sull’Italia, peraltro, siamo ancora in attesa di una legge che regolamen-ti le adozioni nazionali in maniera moderna. Infatti la Legge 286 prevede la chiusura degli orfanotro-fi , il formarsi di case fa-miglia atte ad accogliere bambini in condizioni di disagio familiare e so-prattutto potenzia l’istitu-to dell’affi do familiare, ri-gidamente temporaneo e sottoposto a regole sagge ma anche poco elastiche e lungimiranti, vista la delicatezza dell’elemento “bambino”.

Essere bambini, infatti, non è una condizione per-manente nel tempo, ma un rapido passaggio d’età dell’essere umano, che non può attendere i tempi biblici talvolta previsti dalle leggi. Il bambino è de-tentore di bisogni e di diritti che vanno affrontati “hic et nunc” ora e subito. La denatalità, le nuove

povertà, l’imbarbarimento di ritorno che lacera le-gami e valori condivisi sono le molteplici facce di una Gorgone di cui bisogna avere terrore perché rende di pietra i cuori degli adulti, magari sotto il pudico velo del buonismo.

Bisogna intervenire ora e subito. In Europa, ad esempio, non si parla più di un Garante Europeo per l’infanzia e l’adolescenza, e tanti Stati Europei non si sono ancora dotati di un Garante naziona-le. Tra questi, purtroppo, c’è anche l’Italia. Le leggi istitutive entrano con la grancassa in Parlamento

e non ne escono più, di-menticate nei cassetti del malcostume politico-legi-slativo.

Servono invece serie ca-bine di regia, sempre più allargate sul mondo, per-ché il mondo è sempre più piccolo. Ma le trage-die di milioni di minori sono sempre più grandi e drammatiche. Da Haiti al delta del Niger, dalla nostre periferie urbane da terzo mondo ai salot-ti buoni, dove i fi gli con mille problemi delle cop-pie scoppiate sono solo

occasionale oggetto di chiacchiere e sospiri vacan-zieri.

Maria Burani Procaccini

Maria Burani Procaccini, Senatrice della Repubblica, è stata Presidente della Commissione Bicamerale per l’Infanzia.

”Essere bambini non è una con-dizione permanente nel tempo ma un rapido passaggio d’età dell’essere umano, che non può attendere i tempi biblici talvol-ta previsti dalle leggi. Il bam-bino è detentore di bisogni e di diritti che vanno affronta-ti ‘hic et nunc’, ora e subito.”

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Mamma ha presol’aereo

La docu-fi ction televisiva “Mamma ha preso l’aereo”, andata in onda su La7 negli scorsi mesi e ben cono-sciuta dai nostri sostenitori, è stata un’occasione per parlare di adozione internazionale con un’ottica un po’ diversa dal solito.

È stata una trasmissione che ha suscitato numero-se impressioni e accese discussioni, con nette pre-se di posizione sia positive che negative, a partire dall’annuncio della messa in onda fi no al termine dell’ultima puntata.

Proprio a seguito di questo ricco dibattito, alla di-stanza di quel po’ di tempo che risulta sempre uti-le per elaborare tutto ciò che crea grande impatto emotivo, il Cifa ritiene doveroso ringraziare dal profondo del cuore le famiglie che hanno reso pos-sibile la realizzazione di questa serie.

Rendere pubblico ciò che è fortemente privato, e accettare l’”invasione” di estranei nell’intimo della propria famiglia, è stato un atto non faci-le e davvero coraggioso da cui molti altri, pur nel grande insieme di parole che sono state dette, hanno certamente tratto un grande aiuto per compiere quel medesimo percorso adottivo che le famiglie “documentate” hanno compiuto.

Il Cifa ha aderito alla richiesta della produzione per-ché ha creduto nella possibilità di divulgare il tema

dell’adozione internazio-nale in una maniera sem-plice, genuina e compren-sibile anche per il grande pubblico, anche se questo può aver signifi cato una mancata rappresenta-zione di alcuni elementi “tecnici” e “burocratici” che costituiscono, in ogni caso, l’ossatura portante di un percorso adottivo.

Il nostro credere sarebbe però rimasto lettera mor-

ta se fra le nostre famiglie non ne avessimo trova-te ben sei che hanno accettato di partire con una

troupe al seguito, non sa-pendo cosa le aspettava e come sarebbe stato il loro vissuto all’estero.

Ciò che abbiamo visto ci ha dimostrato come non sempre, per loro, tutto ciò sia stato facile: per questo rinnoviamo il nostro grazie a nome dell’ente ma anche di tutti coloro che hanno visto la docu-fi ction, perché anche aldilà dei commenti o dei giudi-zi negativi, l’impegno che queste famiglie hanno dimostrato è sta-to grande e lodevole.

Cifa su TV7 (Speciale Tg1)

Il giorno 13 Agosto 2010 il Cifa è andato in onda nel corso della trasmissione TV7 (lo speciale del Tg1) sul tema dell’infanzia in Cambogia.

Una troupe del Tg1 ha avuto l’opportuni-tà di seguire il nostro staff nei luoghi in cui operiamo con progetti di cooperazione allo sviluppo e con l’adozione internazionale: Neak Loeung, Phnom Penh, Sihanoukville...

Il servizio è attualmente disponibile sul sito del Tg1 e sarà presto visibile anche sui canali di Cifa.

”Il Cifa ha aderito alla richie-sta della produzione perché ha creduto nella possibilità di di-vulgare il tema dell’adozione internazionale in una maniera semplice, genuina e comprensibi-le anche per il grande pubblico.”

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Professione:� Lavoratore autonomo � Dipendente � Studente � Casalinga� Pensionato � Libero professionista � Altra attività .......................................

Lingue straniere conosciute:� Inglese � Francese � Spagnolo

INTENDO ATTIVARE N° ......... SOSTEGNO/I A DISTANZA NEL SEGUENTE PAESE:� CAMBOGIA � ETIOPIA � PERU’� Dove c‘è più bisogno

Quota: � ANNUALE (Euro 310,00) � SEMESTRALE (Euro 155,00)

PROVVEDO AD EFFETTUARE IL VERSAMENTO DELL’IMPORTO SOPRA INDICATO A MEZZO:� Versamento su C/C POSTALE N° 50829423� BONIFICO su BANCO POSTA IBAN IT 84 U 07601 10300 000050829423Importante: leggi le note relative alla causale di pagamento sul retro di questa scheda

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ImpreseArt. 14, decreto legge n. 35/2005: le liberalità in denaro o in natura erogate dalle persone fisiche e da enti soggetti all’imposta sulle società in favore delle O.n.l.u.s. sono deducibili fino al 10% del reddito complessivo e comunque non oltre 70.000 EUR/anno.Art. 100, comma 2, lettera a) d.P.R. 917/86: sono deducibili le erogazioni liberali a favore di organizzazioni non governative, per un ammontare complessivamente non superiore al 2% del reddito d’impresa dichiarato.Art. 100, comma 2, lettera h) d.P.R. 917/86: sono deducibili le erogazioni liberali in denaro, per un importo non superiore a 2.065,83 EUR o al 2% del reddito d’impresa dichiarato, a favore delle O.n.l.u.s.Art. 27, legge 133/99 e d.p.c.m. 20/06/2000: sono deducibili le erogazioni liberali in denaro (o in natura) in favore delle popolazioni colpite da eventi di calamità pubblica o da altri eventi straordinari anche se avvenuti in altri Stati, per il tramite (anche) delleorganizzazioni non governative (non vi sono limiti massimi di deducibilità).

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L’angolodella psicologa

In questo numero del nostro giornale intervistiamo Cinzia Riassetto, una psicologa che segue molto da vicino il percorso delle coppie che hanno intrapreso un percorso adottivo con il Cifa. Ci interessa cono-scere alcuni dettegli della sua attività, specialmente in relazione alle cosiddette “coppie Cina” e ai bam-bini che, settimana dopo settimana, stanno arrivan-do in Italia dalla Repubblica Popolare Cinese insie-me ai loro nuovi genitori.

Puoi dirci qual è, in sintesi, il lavoro di una psicologa che segue un processo adot-tivo, in particolar modo se orientato verso la Cina?

Sicuramente verifi care la disponibilità delle coppie ad adottare in un paese

da cui, almeno per il momento, arrivano esclusi-vamente bimbi inclusi nelle liste speciali. Bisogna inoltre prepararle all’incontro con una cultura sotto certi aspetti più rigida, da un punto di vista pedago-gico, rispetto ad altri paesi. Spesso i bambini cinesi si presentano (o vengono presentati) particolarmen-te conformi alle norme, dal momento che in istituto è stato fortemente curato l’aspetto normativo della loro crescita ed educazione, ma molto meno quello affettivo. Visti i casi concreti, è anche vero che que-sta rigidità è pronta a scomparire alla prima occa-sione, lasciando spazio a bambini pronti a fare “fuo-chi artifi ciali” non appena incontrano il nuovo papà e la nuova mamma (quindi mettendo in atto com-

portamenti provocatori, opponenti, capricci…)

In proporzione, nel processo adottivo, quante attenzioni vengono riservate alla cop-pia e quante al bambino?

L’attenzione principale è sicuramente rivolta al bambino, anche perché

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ORRubriche

“In realtà la Cina fornisce un quadro assolutamente dettagliato sulle condizioni di salute del bam-bino, e gli istituti sono disposti a fornire informazioni ulteriori, se necessarie, in tempi brevissimi.”

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con “bisogni speciali”. È poi vero che la coppia, nel momento in cui sceglie di intraprendere il percor-so adottivo, sa bene di essere oggetto di un’analisi molto attenta. Tornando ai bisogni speciali, vorrei però confermare che la disponibilità al rischio sa-nitario è qualcosa di intrinseco a tutte le adozioni internazionali. Su questo punto, la Cina offre piut-tosto dei vantaggi perché sa fornire un quadro asso-lutamente dettagliato sulle condizioni di salute del bambino, e gli istituti sono disposti a fornire infor-mazioni ulteriori, se necessarie, in tempi brevissimi. “Bisogni speciali” si traduce quasi sempre in pro-blemi piccoli e risolvibili.

Molte famiglie stanno iniziando (o hanno già iniziato) l’avventura per adottare un bambino cinese. Riscontri delle differenze sostanziali tra il loro percorso e quello delle coppie che adottano in altri paesi dell’Asia?

Sì, la velocità. Alcune famiglie hanno ricevuto una prima telefonata anche dopo un solo mese dal de-posito dei documenti in Cina, e in un numero esi-guo di mesi l’intero processo viene ultimato. Anche il dettaglio dei rapporti sul bambino che giungono dall’istituto è, come dicevo prima, approfondito, anche se meno di quelli provenienti dalle Filippi-ne, che in compenso prevedono tempi più lunghi. Dalla Cambogia, invece, arrivano ad esempio po-chissime informazioni sulla storia e sulla psicologia del bambino, e alcuni dati sulla situazione sanitaria dello stesso.

Un bimbo cinese ha particolari diffi coltà ad inserirsi nel contesto italiano, oppure no?

È presto per dirlo sulla base della nostra casi-stica, i primi bimbi cinesi adottati con Cifa sono arrivati soltanto lo scorso mese di maggio. Di-ciamo che alcune diffi coltà linguistiche dovute alla complessità del cinese e alla differenza con la lingua italiana ci sono, e presuppongono un forte investimento della coppia sul fattore lin-guistico sin dall’inizio, specialmente nel caso di bambini grandi. Nulla di anormale, però, nel panorama dell’adozione internazionale: l’integra-zione di bambini russi, per esempio, presenta i medesimi problemi di comunicazione. Per ov-vie ragioni di tempo non ci sono ancora casi di inserimento scolastico da commentare.

Come vengono accettati i bambini cinesi con “bisogni speciali” dalle coppie?

I numeri potrebbero parlare da soli: 45 bambini ci-nesi adottati dall’inizio del 2010 ad oggi. Aldilà di questo dato si può comunque ricordare che, se le prime “coppie Cina” erano effettivamente pioniere in questo paese e non abituate alle disponibilità che esso richiedeva (e ciò si traduceva in preoccupazio-ni di vario tipo), l’arrivo dei primi bambini in Italia, il constatare che sono bellissimi come tutti i bambi-ni e il successivo tam tam tra le coppie ha tranquil-lizzato molto gli animi.

C’è qualche curiosità sui bimbi cinesi che ti va di rac-contare?

Mi piacerebbe sfatare il mito dell’”indole orientale” di questi bambini, che si sono invece rivelati parti-colarmente oppositivi. Mi spiego meglio: i nostri re-ferenti negli istituti ci spiegavano che, per esempio, la reazione più negativa dei bambini agli ordini dei tutori consisteva in momenti di silenzio e isolamen-to. Sulla nostra pelle abbiamo invece constatato che i bambini cinesi sanno piangere, gridare e ribellarsi

come qualsiasi altro bam-bino del mondo abbia subito il trauma dell’ab-bandono. E questo tipo di reattività è un bene, in un certo senso, perché ri-entra assolutamente nella norma.

Cosa raccomandi alle “cop-pie Cina” che stanno adot-tando o che hanno già ab-bracciato il loro bambino con gli occhi a mandorla?

(ride) Solo ricordare che, per quanto possa essere diffi cile, questi bambini hanno già un nome quando vengono adottati…

Cinzia Riassetto

“I bambini cinesi piangono, gri-dano e si ribellano come qualsiasi altro bambino che abbia subito il trauma dell’abbandono. E que-sto tipo di reattività è un bene, in un certo senso, perché rien-tra assolutamente nella norma.”

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LettureSegni particolari: madre adottivadi Alessandra Guzzo

Per coloro che dicono che non si parla mai del “pri-ma”, dei mesi e degli anni di attesa, delle lungag-gini burocratiche dell’adozione internazionale e di come le coppie possano sentirsi frustrate da tutto ciò, questo è il libro giusto.

Alessandra Guzzo par-te dall’inizio, ovvero da quando lei e il marito Luca, “digerita” l’impos-sibilità di una maternità e di una paternità biologi-ca, decidono che l’adozio-ne può essere un modo diverso ma ugualmente valido di diventare geni-tori, e che porta ad avere un fi glio di nome Kairat.

Nel cammino verso l’ado-zione, durato poco più di tre anni compresi tra l’Agosto 2004 e il Febbraio 2008, la loro vita conti-nua come sempre tra alti e bassi, con il lavoro, gli amici, gli affetti, la comprensione o anche l’indif-ferenza di chi non capisce. Ma il cammino è reso più facile dalla consapevolezza che non si è soli e

che altri, lontano da noi, sono empaticamente vicini perché sulla stessa barca.

Trovate tutto questo nel libro “Segni particolari: Ma-dre adottiva”, la storia di un’adozione a 360° narrata dal punto di vista della coppia, il principale atto-re (oltre al bambino) su questo palcoscenico che è l’adozione internazionale. In tre anni e mezzo Ales-sandra e Luca diventano genitori di un bimbo ka-zako che al momento dell’adozione compie 4 anni. Il percorso che Alessandra racconta è costellato di

tante piccole cose che sono positive se vengono affrontate nella manie-ra corretta, ma che sono suffi cienti a rovinarsi la vita e la fase dell’attesa se vengono viste come il se-gno di un bicchiere mez-zo vuoto.

La fi ducia che questi aspi-ranti genitori hanno ripo-sto nel Cifa li ha indub-biamente aiutati a sentire meno angosciante l’attesa e gli incidenti di percorso; la disponiblità ad essere

fra i primi “pionieri” in un nuovo paese li ha resi partecipi e attivi nel costruire questo percorso, che dopo di loro sarebbe stato seguito da molti altri. La descrizione della città e del clima polare di Almaty (una delle città più importanti del Kazakhstan) al momento dell’adozione dimostra la ferma voglia di amare tutto di questo fi glio, compresa la sua fredda terra di origine.

La logistica in un’adozione internazionale può es-sere diversa e non sempre all’altezza delle nostre aspettative. La mancanza di luce a -22°C, quando dalla luce dipende il funzionamento del riscalda-mento e del telefono, può non essere proprio un fat-to marginale e che non sempre si risolve nei modi e nei tempi desiderati, ma questo non è sempre colpa di qualcuno in particolare. Gli Enti Autorizzati fan-no un grosso lavoro, professionale e competente, ma ciò non toglie che ci possano essere imprevisti del tipo sopra descritto perchè l’Ente, in questo caso il Cifa, è solo uno dei tanti ingranaggi della catena che compone il cammino dell’adozione. È certamen-te l’anello con cui la coppia ha maggiori contatti, e questo porta anche ad avere rapporti più confi den-ziali; la confi denza permette anche, qualche volta, di oltrepassare i limiti sfogando sullo stesso Ente la rabbia e la frustrazione che ogni intoppo, inevitabl-mente, crea.

Il libro è un dialogo tra mamma e fi glio, dove Ales-sandra parla al suo piccolo Kairat (da quando è solo un bambino immaginato a quando diventa suo fi -

“Gli intoppi in un percorso adottivo possono essere diver-si, grandi e piccoli, ma il saper vedere il lato positivo di ciò che accade può essere di aiuto lun-go questo cammino. Anche solo per la maturazione che segue al superamento di ogni ostacolo.”

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glio in carne ed ossa) di tutto ciò che le accade, di quello che prova, di ciò che sente in ogni momen-to di questo viaggio che dai Caraibi (insolita tap-pa di inizio del viaggio) la porta a Firenze, Torino e fi nalmente ad Almaty… Da lui. Gli intoppi sono stati tanti, grandi e piccoli, sempre vissuti in una prospettiva positiva. L’elemento della fede è ciò che porta Alessandra a vede-re il buono e il positivo in tutto ciò che le accade, fornendole un elemento in più che l’aiuta nel cam-mino.

Chi legge il libro può con-dividere o meno l’aspetto della fede o no; penso che sia in ogni caso importan-te, tuttavia, saper vedere l’aspetto positivo di ogni cosa che accade lungo il percorso adottivo anche solo per la maturazione che segue ad ogni superamento di ostacolo. Voler sempre dare la colpa a qualcuno per ciò che non ci piace è un modo per scaricare la tensione, ma sul lungo periodo non aiuta. Approcciare l’adozione internazionale come un evento che può essere or-ganizzato e previsto in ogni suo piccolo particolare è sbagliato. Anche la gravidanza può essere costel-lata di ostacoli e imprevisti: le ecografi e e i controlli medici hanno lo scopo di prevenire i problemi e le

sorprese, ma non li evitano. Ciò che viene fatto dai servizi sociali, dal tribunale e dall’ Ente ha lo stesso scopo: preparare la coppia e prevenire, per quanto è possibile, l’insorgere di problemi.

Io penso che questo libro possa dare un contributo a chi è in attesa, un contributo per capire che anche

il modo con cui la coppia si predispone a questo cammino può “fare la dif-ferenza“ nello svolgersi del cammino stesso. Cre-do che le parole di Ales-sandra, nel momento in cui si rivolge ad un Kai-rat ancora immaginario, esprimano in modo mol-to semplice che cos’è una genitorialità adottiva: “Ci

hanno nuovamente informati del fatto che soffri di ipertensione, pressione intra-cranio, ritardo psico-motorio e che hai un problema al fegato… Ad es-sere sincera la cosa non mi turba, quando saremo a Firenze faremo i dovuti accertamenti… Ma io sarò semplicemente tua mamma perché ti ho desiderato con tutta me stessa, in un modo inspiegabilmente più forte e intimo, hai preso forma e vissuto nella mia mente prima e nel mio cuore dopo. Per restarci per sempre”.

Ambra Enrico

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“Il percorso adottivo è reso più facile dalla consapevolezza che non si è soli e che altri, lontano da noi, sono empaticamente vi-cini perché nella stessa barca.”

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