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Mozione di Emanuela Ferrari “i valori di Italia dei Valori sono i miei valori” Pagina 1 di 32 “LA CERTEZZA DI CAMBIAMENTO” Donne: dal dire al fare “Non è la DONNA che si deve adeguare alla società ma la società che si deve adeguare alle DONNE” Congresso UDI 1964 4° CONGRESSO REGIONALE PISA, 24 ottobre 2010

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Mozione di Emanuela Ferrari “i valori di Italia dei Valori sono i miei valori”

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“LA CERTEZZA DI CAMBIAMENTO”

Donne: dal dire al fare

“Non è la DONNA che si deve adeguare alla società ma la società che si deve adeguare alle

DONNE” Congresso UDI 1964

4° CONGRESSO REGIONALE PISA, 24 ottobre 2010

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MOZIONE POLITICA DI EMANUELA FERRARI COSA VOGLIONO LE DONNE?

Sommario

1. Le pari opportunità: un valore costituzionale...........................................3

2. La situazione attuale ...........................................................................4 2.1. Un po’ di cifre, per dare, ove ce ne fosse bisogno, maggior concretezza alle parole. ........................................................................5 2.2 Una strada verso il cambiamento......................................................6 2.3. E’ il caso di chiederci cosa è successo in generale? .............................8 2.4. E’ il caso di chiederci cosa è successo in politica? .............................10 2.5. Che cosa è importante fare per invertire questa tendenza?................13

3. Uso consapevole del territorio e pari opportunità ...................................15 4. Servizi pubblici e pari opportunità .......................................................15 5. Servizi sanitari e pari opportunità........................................................17 6. Infrastrutture sociali e tecnologiche e pari opportunità ...........................17 7. Sicurezza e pari opportunità ...............................................................18 8. Diritto al lavoro e pari opportunità.......................................................21 9. Diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro e pari opportunità .....................25 10. Imprenditoria, accesso al credito e pari opportunità .............................26 11. La scienza e le pari opportunità .........................................................27 12. Immigrazione e pari opportunità .......................................................28 13. Organizzare il Dipartimento Donne per una certezza di cambiamento .....30

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Quello che le donne vogliono e hanno sempre voluto, è soprattutto la libertà di realizzare le loro ambizioni senza dover rinunciare a

far nascere e crescere i propri figli, la libertà dalla tirannia dell’orologio biologico e dall’abitudine secolare di doversi

“accontentare” . E soprattutto la libertà dal sentirsi dire

“l’avete voluta la parità?” e ora “ arrangiatevi”.

PARI DIRITTI e PARI OPPORTUNITA’ nel rispetto delle differenze.

1. Le pari opportunità: un valore costituzionale. La Costituzione rappresenta un capovolgimento di prospettiva rispetto a un sistema nel quale la posizione giuridica della donna era di assoluta inferiorità nella vita politica, nella vita civile e nella famiglia. L’eguaglianza dei cittadini senza distinzione, solennemente proclamata nel primo comma dell’art. 3, viene poi ribadita nei settori di maggior discriminazione: la famiglia in primo luogo (artt.29,2°e 30) , lavoro (art.37), elettorato (art.48), pubblici uffici (art.51). Scritti sulla carta, i principi nazionali e internazionali dovevano però trasfondersi nella legislazione, oltre che nella cultura e nel costume. Cosa non facile, la prima, e tanto meno la seconda. Mentalità e costume hanno condizionato lo stesso adeguamento normativo, avvenuto lentamente e con gravi ritardi. Di fatto, la condizione delle donne o della maggior parte di esse, è ancora lontana da quella prefigurata. La Costituzione è rimasta inattuata nell’applicazione del secondo comma dell‘Art. 3,e nei contenuti economico-sociali e politici. Cosa che ha inciso non poco sulla condizione reale della donna e sullo sviluppo del paese.

Nella Costituzione attuale e nei Documenti Internazionali, l’affermazione del principio generale di eguaglianza è chiara e decisa. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali” (art.3).

La Costituzione ha posto fine alla discriminazione sul piano normativo, ma la politica non è riuscita ancora a realizzare un’effettiva parità. Le resistenze maggiori sono tuttora nel campo della politica; non è più questione di norme generali perché il diritto elettorale attivo e passivo

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è assicurato dal 1946 e la possibilità di partecipare ai processi economici ancora da prima.

Allora, come si spiega che nelle professioni e nella vita economica e sociale la presenza delle donne è sempre in aumento, seppur con grande fatica e non in posizioni apicali, mentre nei banchi dei Consigli Elettivi, sedi delle decisioni politiche, il loro numero ancora sia cosi irrisorio?

2. La situazione attuale

Sono cambiati è vero i rapporti interpersonali tra i sessi e le donne manifestano una libertà e un autonomia un tempo impensabili, come è dimostrato dal crescente numero delle unioni di fatto, di donne single e dal comportamento libero di giovani e giovanissime.

Ma spesso l’esercizio della libertà mutua il modello esistente, quello

degli uomini. Inoltre la libertà conquistata non mette le donne al riparo dalla manipolazione del loro corpo e della loro immagine, o dal subire vecchi e nuovi stereotipi, emanati da un’autentica dittatura telecratica, che impone i modelli e i suoi dis-valori.

E’ da chiedersi poi se la crescente violenza contro le donne

soprattutto nell’ambito domestico, non indichi una reazione contro la nuova collocazione e libertà, un tentativo di riaffermare da parte di soggetti nostalgici la signoria maschile.

Per di più si assiste in Italia, ma non solo, ad un contrattacco diretto

a colpire il diritto delle donne all’autodeterminazione nella maternità, nell’aborto, nella procreazione assistita.

Inoltre esse continuano ad essere vittime di discriminazioni e della

precarietà dell’occupazione, esposte al rischio di perdere per prime il posto di lavoro a causa della crisi economica mondiale nonché dal progressivo smantellamento dello stato sociale, rimasto peraltro in Italia ispirato ad un modello “neutro”.

E’ vero che, seppur sostanzialmente minoritarie, vi sono donne in

posti di responsabilità di governo, alla direzione di giornali ed imprese, ma anche nella sfera politica e professionale le donne, di fatto, sono costrette a misurarsi con tempi, ritmi e orari e modalità di lavoro, pensati per uomini che hanno potuto dedicarsi alla produzione del reddito e all’attività della sfera pubblica perché hanno alle spalle donne addette alla procreazione e a garantire la quotidiana sopravvivenza.

Come recenti ricerche hanno messo in luce, la sfera pubblica

storicamente modellata in assenza o nella deliberata esclusione del genere

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femminile, tende ad ignorare ed a prescindere da ciò che caratterizza le donne, l’ambito del privato, della cura, della maternità.

L’uguaglianza sostanziale nel rispetto della differenza deve essere

possibile e attuata. In una società in cui il sistema fondante, è un uguaglianza solo formale e indiscriminata tra individui concepiti come asessuati, si deve superare tale limite e di deve costruire un assetto sociale ed un ordinamento politico e statuale che realizzi il secondo comma dell’ Art. 3 della Costituzione.

2.1. Un po’ di cifre, per dare, ove ce ne fosse bisogno, maggior concretezza alle parole.

L’Italia è il fanalino di coda dell’Europa in fatto di pari opportunità: secondo il Global Gender Gap Report del 2009, lo studio del World Economic Forum sulle diversità tra uomini e donne sul lavoro, l’Italia occupa solo il 72° posto (67° nel 2008) nel mondo, con stipendi per le donne inferiori a quelli degli uomini e pochi ruoli di autorità.

Uno dei fattori che risulta avere la maggiore incidenza sulle

differenze tra generi è ancora il ruolo di cura svolto dalle donne all’interno della famiglia, la difficoltà sta nel re-distribuire il carico domestico e l’isolamento che spesso ne deriva. Il ruolo procreativo e il periodo di astensione dal lavoro legato alla maternità e alla cura dei figli, risultano ancora tra i principali motivi di discriminazione diretta ed indiretta nei confronti delle donne italiane.

Tutto ciò mentre il tasso di natalità è sceso ai minimi storici: l’Italia

ha, assieme al Giappone, il tasso di natalità più basso al mondo dopo quello della Russia, le traiettorie di vita e di lavoro, nonché i corrispondenti redditi, sono incerte e tutelate più sul piano formale che sostanziale.

Inoltre, le donne mostrano di essere più influenzate dagli eventi familiari e risultano più esposte ai rischi per la salute correlati allo stress prolungato ed aggravato dai carichi multipli (ISTAT, 2007). Questo evidenzia come il ruolo, assegnato storicamente alle donne, eserciti ancora una consistente incidenza sullo stato di salute e sul significato che il disagio o la malattia assume per i singoli individui.

La popolazione italiana è di circa 60 milioni di individui con 93,8

uomini ogni 100 donne: questa differenza è, come noto, dovuta al progressivo invecchiamento della popolazione e alla maggiore speranza di vita delle donne. Infatti, sebbene nascano più maschi che femmine, la più elevata mortalità colpisce gli uomini fin dalle età più giovani e comporta che nel totale della popolazione le donne siano più numerose degli uomini. Quindi non ci si può di certo definire minoranza.

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2.2 Una strada verso il cambiamento Qualcosa sta cambiando. I dati confermano che in Italia il peso

dell’assistenza alla popolazione che invecchia ricade quasi del tutto sulla famiglia o, meglio, sulle donne e, in particolare, sulle figlie adulte. Sempre più spesso le donne ricorrono ai servizi delle donne immigrate: siamo in un paese che invecchia e invecchia anche e perché non riesce a risolvere il dilemma legato al valore sociale della maternità e così nella vita delle donne e degli uomini la maternità è spesso vissuta come drammatico conflitto e la natura sembra accondiscendere a questa nuova paura, rispondendo con un aumento di sterilità ed infertilità.

Mettendo a confronto i dati europei con quelli riguardanti la

situazione italiana elaborati dal CENSIS sui dati forniti dall’ISTAT, si registrano segnali di crescita della componente femminile nei diversi contesti sociali, ma associati a dati contraddittori che evidenziano situazioni di esclusione sociale e lavorativa a scapito delle donne, soprattutto dall’ambito della rappresentanza politica e del governo economico, oltre che dalle aree a forte connotazione tecnologica (ISTAT, 2007).

Tuttavia vengono registrati una serie di elementi positivi che

denotano un cambiamento in atto della condizione femminile, specialmente in alcuni settori: la presenza di donne è in continuo aumento nelle professioni intellettuali, in particolare tra i medici, in magistratura, nella pubblica amministrazione, nei servizi di ricerca e sviluppo, nelle attività immobiliari e nei servizi alle imprese.

La scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro in Italia è

dovuta principalmente a fattori quali: la scarsa disponibilità di asili nido; l’assenza di strutture di supporto alle famiglie; l’insufficienza delle detrazioni fiscali a favore delle coppie multi-reddito; alle aspettative di occupazione e di retribuzione troppo penalizzanti. Da ciò deriva lo scoraggiamento che porta molte donne ad uscire dal mercato del lavoro e a rientrare nella categoria delle cosiddette persone ‘inattive’.

Non meraviglia, dunque, l’ampio divario che si registra tra il nostro

paese e l’Unione Europea proprio sul tasso di inattività (Giaccone, 2005). Intanto le donne continuano a svolgere il cosiddetto “doppio lavoro” in casa e in ufficio/azienda. In Italia il fenomeno è rilevante: 5 ore e 20 minuti al giorno (rispetto all’ora e 35 minuti dell’uomo) sono mediamente dedicate a questioni domestiche o familiari.

Sebbene lo scarto si riduca a livello europeo (4 ore e 29 minuti le

donne, e 2 ore e 18 minuti gli uomini), il risultato è che le donne che riescono ad accedere ai vertici aziendali pagano un prezzo molto elevato:

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solo l’11% ha figli contro il 53% degli uomini: lavorano circa tre volte più degli uomini a casa e la metà rispetto a loro nel mercato.

In conseguenza di queste differenze che originano nella divisione dei

compiti nelle famiglie, le donne investono di meno in quello che serve per competere con gli uomini nel mercato del lavoro, guadagnano meno dei loro compagni e faticano a raggiungere i livelli più alti delle gerarchie aziendali pubbliche e private (a meno di rinunciare alla famiglia, cosa che gli uomini non sono costretti a fare).

Le donne europee guadagnano in media il 15% in meno degli uomini

(si va dal 3% delle impiegate pubbliche al 30% tra i manager): quelle italiane (EURISPES, 2009) il 16% in meno rispetto ai colleghi, con uno scarto annuale medio che si aggira sui 4.000 euro. Si va da un minimo dell’1,7% nelle professioni meno qualificate a un massimo del 20,8% nell’ambito degli operai specializzati.

La rappresentanza delle donne ai vertici delle imprese italiane è

ancora bassa: la cosiddetta leadership femminile vale un misero 4% e ci posiziona in coda alla classifica europea, staccati anche da Bulgaria e Romania (12% ciascuna). Eppure, le top manager sono poche, ma brave. Le manager ai vertici delle 2.652 imprese italiane a guida femminile generano più ricavi e profitti dei colleghi in vetta alla maggioranza delle aziende.

Non solo. Se nei consigli di amministrazione siede almeno una

donna, il rischio di default o crisi aziendale è minore. I dati confermano quanto già appurato a livello internazionale: le imprese a guida femminile hanno risultati gestionali e finanziari superiori alle medie di settore.

È riduttivo parlare di “questione femminile” in Italia. Piuttosto,

secondo la maggioranza degli economisti in riferimento all’insufficiente tasso di occupazione femminile bisogna parlare di spreco di talenti che il paese non può più permettersi. Esiste una negligenza nazionale nelle politiche a sostegno della famiglia tutta (non solo delle donne) e una questione di diritti violati, considerando i divari uomo-donna.

Se in Italia lavorassero 100.000 donne in più, la maggiore occupazione varrebbe lo 0,28% del PIL e potrebbe liberare risorse per migliorare le politiche a favore della famiglia. (anche se il PIL non può più essere una misurazione attendibile circa la qualità della vita dei cittadini).

Giovani, ma anche meno giovani, nella palude della precarietà ci

finiscono soprattutto le donne. Tutte costrette a contratti instabili più di quanto non succeda ai loro colleghi uomini. Più della metà delle giovanissime occupate hanno un contratto atipico e lo stesso accade a quasi il 26% delle “under 34”. Impieghi marginali e contratti di breve

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durata anche per le più adulte. Tutte con una probabilità inferiore a quella già bassa dei precari uomini di riuscire a trasformare il contratto atipico in un impiego stabile.

A loro viene riservata una durata contrattuale ancor più breve di

quanto non succeda ai precari uomini. Il 76% delle atipiche si ritrova con un contratto temporaneo inferiore ai dodici mesi mentre agli uomini succede a poco meno del 70% dei casi.

La condizione precaria sembra essere per la componente femminile uno status ancora meno passeggero di quanto non sia già per i colleghi maschi. Si direbbe piuttosto una condizione permanente che per di più interessa quasi tutte le età. A una quota molto esigua di donne viene concessa la possibilità di potere accedere, dopo esperienze di lavoro discontinuo, a un contratto a tempo indeterminato. Ci riesce solo il 14% di loro, mentre riesce lo stesso a un pur sempre troppo esiguo 20% degli uomini con contratti a tempo determinato o di collaborazione.

Le donne poi si ritrovano a dover abitare lo spazio del tempo parziale

non sempre per propria scelta. Rappresentano i tre quarti degli occupati part-time (dipendenti e parasubordinati), ma solo il 36% si trova in questa condizione intenzionalmente.

Il tempo parziale rappresenta un vantaggio semmai per le donne in

età più avanzata dove il rientro sul mercato del lavoro diventa un modo per contribuire al reddito familiare, oltre che una scelta di vita. Per la gran parte però non sembra avvalorata l’ipotesi che il part-time sia uno strumento di conciliazione da accogliere senza remore.

La flessibilità che viene offerta alla donne sembra così determinare

un “progressivo deterioramento dal punto di vista occupazionale, economico e sociale” della loro condizione. Hanno titoli più elevati, ma lavorano meno e guadagnano meno. Svolgono professioni tecniche, attività impiegatizie poco qualificate e a carattere esclusivo.

E per quanto riguarda le laureate che si ritrovano con un contratto di

collaborazione, solo il 42% di loro è occupata in attività scientifiche e di elevata specializzazione, mentre, succede lo stesso, a parità di titolo di studio, al 52% degli uomini

2.3. E’ il caso di chiederci cosa è successo in generale? In effetti, ci si domanda che cosa ci possa realmente essere dietro a

questo fenomeno, dal momento che esso persiste nonostante almeno tre elementi, i quali avrebbero dovuto, in linea di principio, favorire la in tutti questi anni le pari opportunità e quindi la partecipazione:

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— i numerosi tentativi di abbattere o attenuare le barriere all’entrata giuridiche, sociali, religiose e psicologiche, in decenni di riforme, di lotte politiche, di azioni positive e di programmi specifici;

— una forte propensione dell’opinione pubblica a riconoscere lo specifico valore aggiunto e l’importanza di una giusta rappresentanza delle donne nella vita politica.

— l’importante crescita formativa delle donne sul piano dell’istruzione e della cultura e nell’ambiente famigliare.

E’ innegabile che l’emancipazione femminile non si presenta solo

come colei che chiede alla società, ma soprattutto come colei che dà, perché la donna liberandosi ha contribuito a far si che tutta la società divenga più libera, ampia e comprensiva.

Siamo state però ingenue nel pensare che il nodo della storica ripartizione tra pubblico e privato, elemento fondante della società maschile, potesse essere sciolto solo dalla conquista della nostra libertà individuale (divorzio, aborto, diritto di famiglia, lotta alla violenza sessuale e agli abusi.)

Siamo state ingenue nel pensare che il superamento della divisione

dei ruoli si potesse ottenere automaticamente con il nostro ingresso nel lavoro, nelle professioni, nell’attività economico culturale, nelle istituzioni, sottovalutando quindi il fatto che potevamo si entrare nella sfera “pubblica” ma solo a condizione di adattarci ai modelli sociali maschili.

Questa sottovalutazione dell’ingresso in un sistema pensato solo per

gli uomini, ha comportato per noi grandi difficoltà a conciliare impegno extradomestico ed esistenza privata e ne sono scaturiti sentimenti di ambivalenza e di estraneità che ci hanno generato non poche frustrazioni.

La consapevolezza delle donne con disabilità sembra essere

aumentata, mentre l’offerta e l’ascolto in ambito sociale, culturale e politico risultano ancora poco sensibili al cambiamento. Se la donna disabile è in primo luogo una donna, allora, pur riconoscendo la specificità della condizione e dei bisogni, lo sforzo prioritario deve essere quello di includere le istanze delle donne disabili nell’ambito dell’uguaglianza sostanziale.

Spesso oltre gli uomini sono proprio le donne “normali” a non

riconoscere le donne con disabilità e a comportarsi come se queste ultime facessero parte di un mondo separato, distinto da quello delle altre donne.

La lotta contrattuale e rivendicativa delle donne con i grandi poteri

economici e con le dinamiche della politica, è venuto quindi a mancare per un’abdicazione al confronto e per alcune si è tradotto in pura e semplice omologazione, appannando la grande riflessione fondante cioè la promessa

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mancata di democrazia che è consistita nel disattendere da parte della Repubblica Italiana il dettato costituzionale dell’art. 3 secondo comma.

2.4. E’ il caso di chiederci cosa è successo in politica? Non ha aiutato nel processo di cambiamento, peraltro rimasto

monco, il fatto che parte delle donne abbiamo più volte teorizzato il rifiuto di misurarsi con le istituzioni con tesi quali “i tempi delle donne non sono i tempi della politica”, la politica delle donne è altra, collocandosi altrove quindi in contrapposizione netta con la società esistente..

La prima spiegazione può essere il ritardo nell’acquisizione del diritto al voto e quindi un ritardo nell’affermazione del proprio diritto di pensare e di contare.

L’origine e la permanenza della discriminazione delle donne soprattutto nelle posizioni apicali definito “soffitto di cristallo” sembra legata a un contesto di dinamiche sociali più profonde, pervasive, persistenti, che colpiscono le donne in quanto tali, al di là delle loro capacità e nonostante il sostegno (verbale, formale) che si tenta di assicurare in vario modo nei loro confronti. Questo comporta un’esclusione sistematica a cui le donne difficilmente riescono a sottrarsi.

I fattori che riducono la presenza delle donne in politica sono limiti economici ed organizzativi: risorse economiche; organizzazione del lavoro e del tempo per la cura dall’altro. Si è valutato che sia soprattutto quest’ultimo fattore che rende difficile per le donne l’accesso alla politica, che tipicamente prevede impegni che si aggiungono alla giornata lavorativa e alle azioni di cura legate al proprio entourage familiare.

Quindi mentre gli uomini possono permettersi una focalizzazione assoluta sull’obiettivo politico, le donne organizzano i vari impegni facendo fronte anche ai numerosi imprevisti.

Il fattore tempo si combina spesso anche con una limitata disponibilità di risorse economiche, ricordiamo tutte che l’indipendenza economica delle donne in Italia è un fatto recente e che il percorso per accedere alle posizioni istituzionali è spesso oneroso, vedi la richiesta di alcuni partiti ai capilista di mettere a disposizione determinate somme di denaro per la campagna elettorale; inoltre il sistema elettorale ha favorito chi ha già investito in passato risorse, anche economiche, per radicarsi sul territorio, ovvero assessori, capi gruppo consiliari, ecc. e in ogni caso prevalentemente figure maschili.

Riporto un intervento del Presidente Ciampi, in cui ha affermato che “il rapporto fra uomo e donna nella gestione delle incombenze familiari è ancora sbilanciato: le donne dedicano alla cura della

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casa e della famiglia un tempo circa tre volte superiore rispetto a quello dei loro compagni” (Corriere della Sera, 8.3.2006).

Consenso ambiguo dell’opinione pubblica esiste infatti uno scarto tra le opinioni espresse dagli elettori circa l’importanza della presenza femminile nei luoghi della politica e il loro effettivo comportamento al momento del voto.

A ciò si aggiunge un’ambiguità di fondo sulle aspettative nei confronti delle donne, criticate se si comportano da “uomini” negando la propria femminilità, o da “donne”, compromettendo la propria credibilità. Anche i media contribuiscono a rinforzare gli stereotipi, concentrando l’attenzione sull’immagine o sulla vita personale delle candidate”.

Un esempio di questo atteggiamento contraddittorio è il luogo comune diffuso“se non sei una madre sei una donna fallita, se sei una madre non puoi fare sul serio in politica”.

Muro di gomma lo identifichiamo con la neutralizzazione delle norme a favore della parità tra uomini e donne in politica. Non è sempre facile identificare l’intenzionalità di escludere le donne nella interpretazione delle leggi o nelle prassi comportamentali, eppure spesso l’effetto è che le disposizioni a favore delle pari opportunità sono neutralizzate. Accade così che le norme come le famose “quote rosa” possano essere aggirate, noi donne dell’ Italia dei Valori pensiamo che le quote rosa siano un “male” necessario, per uscire da questa disparità evidente che non è mai stata sanata negli ultimi 60 anni, è l’unica blindatura che consente alle donne di entrare nella rappresentanza politica, è un fatto storico accalorato dai dati, che, tranne pochissime eccezioni, i seggi sicuri vengano attribuiti agli uomini.

Mancanza di fermezza nella promozione delle donne. Mi riferisco alla

mancanza di sostegno nei soggetti che dovrebbero supportare la presenza femminile in politica quali i partiti; le segreterie declinate quasi tutte al maschile preferiscono mantenere lo status quo.

Nella sempre utile pratica “Blaming the victim” (incolpa la vittima) si

dice che le donne non hanno la sicurezza necessaria per affrontare alti livelli di responsabilità politica. Sfido gli uomini a riuscirci partendo dalle stesse condizioni!

In questo periodo storico difficile emerge una tendenza diametralmente opposta tra le giovani donne o un vero e proprio rifiuto per

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la politica istituzionale quasi vicino al disgusto o una scelta coraggiosa di mobilitazione.

E’ noto inoltre il diverso peso dei “gruppi” familiari, che si stringono

attorno agli uomini, sostenendoli, molto di più rispetto di quanto avviene per le donne che anzi vengono spesso disincentivate.

Anche la storia biografica delle donne rappresenta un ostacolo.

I percorsi di carriera femminili tendono infatti ad essere caratterizzati da maggiore discontinuità, per questo spesso le donne sono percepite come estranee, il lavoro di cura spesso disincentiva l’impegno in politica, fin dall’attivismo politico di base, bloccando spesso sul nascere le possibilità di sviluppo di un tradizionale percorso in questo campo che serve a creare contatti e relazioni utili nell’arena politica.

Altra difficoltà delle donne è far riconoscere in politica le competenze maturate al di fuori, nei vari ambiti professionali e a vari livelli di responsabilità ove viene riconosciuta solo la militanza giovanile;

La presenza delle poche donne “che ce l’hanno fatta” rappresenta un elemento di diversità, e potenzialmente di esclusione, dando vita ad un fenomeno indicato come sdoppiamento nell’esercizio della rappresentanza politica.

È una dinamica caratterizzata da uno “sfasamento cognitivo” tra i generi quanto a priorità, sensibilità e stili di gestione del potere.

E’ facile intuire che ci sono dei meccanismi di esclusione che sempre si producono, con particolare forza all’interno delle élite, nei confronti dei soggetti portatori di elementi di diversità.

Le donne sono portatrici di una doppia soggettività, in quanto donne e in quanto esponenti di un partito. Questa doppia soggettività si manifesta a volte nelle coalizioni trasversali di donne di diversi schieramenti su obiettivi comuni, che suscitano perplessità e diffidenza nei leader di partito. Tutto ciò può essere all’origine del senso di isolamento, inefficacia o delusione che spesso accompagna l’esperienza femminile nella vita politica.

La varietà e l’ampiezza dei fenomeni sociali connessi ai fattori di esclusione, messa in evidenza nelle parti precedenti, rende infatti necessario inserire ipotesi di soluzione del problema alla base della ricerca all’interno del contesto teorico della complessità.

Ipotesi di soluzione ci sono ma ci deve essere per attuarle una volontà comune ed una forte pressione sociale.

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Uno di queste è proprio quello che stiamo facendo noi di Italia dei Valori, diffondere una rappresentazione della situazione della partecipazione delle donne ai processi decisionali nella sfera pubblica, in grado di rendere conto della vastità e della profondità del problema, evitando visioni semplicistiche (“sono le donne che non vogliono fare politica”) e mettendo allo scoperto la concretezza e l’importanza delle diverse poste in gioco coinvolte.

L’obiettivo secondo è quello di modificare le regole del gioco che

tendono a riprodurre l’esclusione delle donne, ad esempio iniziando ad applicare le normative esistenti, il passaggio “dal dire al fare”, traducendo le norme per le pari opportunità in cultura e prassi all’interno delle organizzazioni, e l’attento monitoraggio della loro applicazione.

2.5. Che cosa è importante fare per invertire questa tendenza?

È necessario sensibilizzare i responsabili dei partiti e delle liste locali prima delle elezioni sul principio della rappresentanza paritaria e sostenere pubblicamente chi assume tale impegno. È inoltre necessario osservare e dare visibilità pubblica ai processi elettorali e di composizione delle liste che siano fatti e pensati in un ottica democratica dove alle donne venga dato spazio e pari opportunità non una corsia preferenziale.

Noi donne di Italia dei Valori che ci riconosciamo in questa mozione riteniamo che interventi importanti siano:

• Promuovere la visibilità delle esperienze pilota, per inserire le azioni e le prassi innovative che sono state sperimentate nel contesto del più ampio movimento delle donne e impedire che vengano sminuite e dimenticate e promuovere la comunicazione di una diversa visione della vita pubblica, tale da far risaltare il contributo delle donne e da fornire alle giovani modelli di ruolo femminili a cui ispirarsi e favorire un adeguato riconoscimento sociale dell’azione delle donne in politica e per superare stereotipi e pregiudizi culturali.

• Ampliare l’offerta di candidature femminili, incentivando i

partiti ad aumentare la partecipazione femminile, negoziando con i Responsabili di partito nuove modalità di reclutamento dei candidati o istituendo occasioni di confronto con la società civile e sostenere percorsi di accesso delle donne

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alla politica e potenziare la forza, in senso materiale, del soggetto femminile nelle candidature con l’organizzazione di campagne di comunicazione e di iniziative di presentazione per farne conoscere le potenzialità e investirci quindi risorse.

• Organizzare servizi alla famiglia che assecondino le specifiche

esigenze delle donne in politica, attivando ad esempio servizi in orari extra-scolastici, istituendo servizi di baby sitting durante le riunioni, identificando nuovi standard di qualità per i servizi dedicati a donne impegnate nella vita pubblica (soprattutto in relazione alla flessibilità), valorizzando le potenzialità offerte dalle tecnologie dell’informazione, dando vita a coalizioni territoriali per la conciliazione;

Conoscendo a fondo la propria realtà e valutando le ipotesi di soluzione esposte credo sia possibile progettare un cambiamento che preveda un nuovo via dal punto di partenza, crediamo che nella società a questo punto sia indispensabile operare un riequilibrio di natura filosofica, economica, politica, in cui si decida consapevolmente di accettare al proprio interno la diversità femminile perché portatrice di valore, di valori ed innovazione.

Il cervello femminile come ben descritto dal libro “ Il Cervello delle donne” di Louan Brizendine neuro-psichiatra possiede doti uniche e straordinarie, notevolissima agilità verbale, abilità nello stabilire profondi legami di amicizia, facoltà quasi medianiche di decifrare stati d’animo dalle espressioni facciali e dal tono della voce, maestria nel placare i conflitti e nell’organizzare.

Nelle donne la consapevolezza di se è un feedback che spesso proviene da altri, chiamasi approvazione o disapprovazione. Purtroppo l’essere sempre attente alle relazioni, al contesto, da forza si trasforma in limite quando questo è un elemento di potente condizionamento della propria volontà e dei propri desideri.

Le donne che sono portatrici di un agire democratico spesso non capiscono i giochi sottesi, i rituali delle negoziazioni sottobanco, l’esposizione delle medaglie acquisite, il tempo passato a metter in luce i propri meriti, preferiscono dedicarsi a capofitto sui risultati e obiettivi da raggiungere. Altre invece si omologano con facilità al modello maschile delle lobbies per raggiungere il potere, con scorciatoie che nulla hanno a che fare con il raggiungimento della parità per tutte.

Purtroppo gli occhi che osservano e rispecchiano una donna che ricopre incarichi istituzionali o che è in corsa per una posizione di responsabilità in una logica di pari opportunità democratiche sono molto

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più impietosi di quelli che osservano un uomo. Di lei si scruta e si analizza tutto, il passato, il presente, si scommette sotto banco e spesso di ironizza.

3. Uso consapevole del territorio e pari opportunità

Negli assetti urbanistici non deve mancare la programmazione dei servizi in contemporanea alle esigenze di urbanizzazione è chiaro che c’è un nesso stretto tra la programmazione degli spazi e quella dei tempi nella qualità di vita delle persone è importante quindi che si tenga conto della differenza nel contesto territoriale in un avanzata cultura delle pari opportunità.

La nostra visione delle politiche di pari opportunità oltrepassa i

confini dei settori che tradizionalmente sono gestiti con sguardo neutro e/o maschile.

Con questo obiettivo noi donne dell’Italia dei Valori riteniamo sia necessario intraprendere un percorso di azione per una urbanistica partecipata di genere condiviso su tutto il territorio regionale. Per pensare alle città, ai territori, alla pianificazione ed ai trasporti con questo sguardo nuovo, facendo affidamento su riflessioni e pratiche messe a punto anche da donne con una forte enfasi sulla presenza, i bisogni, i desideri e la sicurezza delle donne che coincidono con il progresso civile della società tutta.

4. Servizi pubblici e pari opportunità

Gli aspetti di pianificazione e di programmazione rispetto a quelli della gestione diretta dei servizi di trasporto, affidata a società partecipate: un buon piano dei trasporti che rispetti orari e tempi lavorativi, che raggiunga tutti i comuni del territorio e un sistema di viabilità capillare, diventano allora delle vere e proprie leve per uno sviluppo sociale ed economico che offra anche alle donne la possibilità di parteciparvi.

Il sistema dei trasporti urbani ha certamente un impatto notevole sulle possibilità di mobilità della cittadinanza, intesa non solo come elemento di sviluppo necessario per il sistema economico, ma anche come elemento di qualità della vita.

L’inerenza di questa attività rispetto alle differenze tra uomini e donne si riferisce alle diverse esigenze di trasporto: abitualmente le statistiche sui trasporti sono neutre, in quanto il passeggero è considerato

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un’unità mobile che effettua una o più tratte tra punti di partenza e di arrivo.

Approfondendo però il discorso non tanto sul tragitto percorso, bensì sulle necessità che hanno generato il bisogno di trasporto, ecco che allora emergono le differenze tra diversi stili di vita e quindi anche diverse esigenze di mobilità tra uomini e donne:

Le donne tendono a percorrere tragitti più brevi e complessi degli uomini, poiché le maggiori incombenze domestiche, associate alla professione, le inducono a scegliere posti di lavoro più vicini a casa e a conciliare le esigenze di trasporto per motivi di lavoro a quelle per motivi casalinghi. Di fatto finiscono con il comporre tragitti che soddisfino contemporaneamente entrambe le esigenze di trasporto, cercando di fare tutto in una unica soluzione, mentre gli uomini, con minori incombenze quotidiane riferibili alla casa, hanno percorsi più lineari, i percorsi delle donne sono dettati, oltre al raggiungimento del posto di lavoro, dalle esigenze di accompagnamento di bambini e anziani, dallo svolgimento di incombenze collegate con la casa (spesa, acquisti, commissioni, etc.).

I tragitti degli uomini vertono sulla necessità di raggiungere il posto

di lavoro o di divertimento e tempo libero, le donne viaggiano più spesso con bambini e portano pacchi, pesi e ingombri, le donne viaggiano in orari differenti rispetto agli uomini, poiché lavorano in misura proporzionalmente superiore con orari flessibili o part time, e devono conciliare gli orari delle attività dei figli da accompagnare con quelli degli esercizi commerciali.

Il tipo di percorsi delle donne dipendono da una molteplicità di variabili superiore a quelli degli uomini, distinguendo tra percorsi di donne occupate, non occupate, con figli, senza figli, più giovani o più anziane.

Le donne hanno minore accesso all’automobile degli uomini e hanno la patente in percentuale inferiore agli uomini, le donne hanno una tendenza maggiore a utilizzare mezzi di trasporto le donne sono più condizionate nella loro libertà di movimento dalle condizioni di sicurezza dell’ambiente circostante

Noi donne dell’Italia dei Valori proponiamo per il miglioramento della qualità di vita di rivolgere una particolare attenzione alle problematiche di trasporto della popolazione che si vanno a inquadrare non solo nella gestione del tempo, ma anche nella possibilità di influenzare significativamente le scelte professionali della popolazione: le problematiche organizzative e di gestione del tempo che affliggono i pendolari, soprattutto se

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donne con responsabilità familiari, possono spesso arrivare a tale livello di complessità da contribuire a rinunciare a intraprendere attività lavorative lontane dall’abitazione. Molto spesso inoltre il pendolarismo in alcune zone non è consentito se non con il mezzo privato: in questo caso oltre alle difficoltà organizzative e di gestione dei tempi si aggiunge anche la maggiore difficoltà per le donne di disporre di un mezzo proprio di trasporto.

5. Servizi sanitari e pari opportunità

Le donne, rappresentano la principale utenza dei servizi sanitari. Ma quando si ammalano devono fare i conti con ospedali ben poco a misura di donna, in cui le specifiche esigenze femminili non sono considerate o forse non sono conosciute.

“Essere uomo o essere donna” è importante dal punto di vista della

salute poiché i fattori di rischio, la prevalenza e l’incidenza, l’insorgenza, l’espressione clinica, la storia naturale e l’approccio terapeutico ad una determinata patologia variano sensibilmente a seconda del genere.

Noi dell’Italia dei Valori crediamo che sia necessario un percorso con i servizi sanitari, le cliniche e la ricerca scientifica del nostro Paese, per accostarci progressivamente a creare centri organizzati per la diversità di genere, in grado di farsi carico a tutto tondo della salute della donna e della sua qualità di vita. Modelli ispiratori potrebbero essere gli internazionali ”women’s hospital” (ospedali delle donne). Riteniamo inoltre che l’assistenza domiciliare e, ove non possibile, il ricovero gratuito in strutture idonee e specializzate, degli anziani non autosufficienti costituisca un sostegno reale alla realizzazione delle fattive pari opportunita’.

6. Infrastrutture sociali e tecnologiche e pari opportunità

La strada principale per operare cambiamenti significativi nella vita delle donne passa per gli investimenti. Le infrastrutture sociali dovrebbero entrare nei piani di lavori pubblici insieme alle infrastrutture fisiche, anzi con priorità rispetto a queste ultime.

Oltre a rafforzare il modello sociale europeo, questo tipo di investimenti riscuote anche un crescente consenso nel mondo per la sua grande efficacia nella creazione di posti di lavoro. In paesi diversi come Sud Africa e Giappone l’impatto su occupazione e povertà di investimenti

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infrastrutturali di tipo tradizionale si è rivelato inferiore a quello di progetti di sostegno alla prima infanzia o al lavoro di cura. Finora in Europa si sono mossi in questa direzione alcuni singoli programmi in due Stati membri, Gran Bretagna e Finlandia. Si può fare molto, molto di più.

Noi donne dell’ Italia dei Valori riteniamo che sia indispensabile istituire con finanziamenti pubblici sia nidi aziendali che nidi e asili pubblici GRATUITI che riescano a coprire il fabbisogno italiano. Le lunghe liste di attesa per fruire di questo servizio primario alle famiglie sono sintomo di un degrado sociale che evidenzia la mancata volontà di invertire il declino demografico del nostro paese e di dare piena attuazione alle politiche di pari opportunità.

Ecco un dato destinato a far riflettere. Mentre le istituzioni italiane mettono in standby gli investimenti dedicati alla tecnologica banda larga, la popolazione accelera, disegnando tendenze in netta antitesi con le priorità in agenda presso il Governo.

Il 67% delle donne italiane naviga su banda larga. Parliamo di 5 milioni e mezzo di persone e, più in dettaglio, il 71% delle 16-34nni naviga con una connessione a banda larga. Il 45% delle 16-34nni nel nostro Paese ha una connessione wireless. Noi donne dell’Italia dei Valori crediamo che sia urgente abbattere le distanza e le barriere della comunicazione affinché si creino network, reti di lavoro, e condivisione, creando di pari passo pari opportunità di informazione e partecipazione per chi è solo/a o vive in aree di non facile accesso.

7. Sicurezza e pari opportunità

La ‘logica securitaria’ torna ancora una volta a tentare di convincerci che la violenza sulle donne è opera di mostri - possibilmente pazzi, poveri e immigrati - perché questo permette di non rimettere in discussione la società, e anzi di accrescere la logica della “tutela”, che significa ancora una volta non riconoscimento della soggettività e della capacità di scelta delle donne.

La sicurezza dei cittadini è diventata un tema fondamentale di propaganda politica del nostro governo. Crescono in Italia, si dice, l'insicurezza e la paura della criminalità di strada, nonostante le statistiche più aggiornate mostrino una diminuzione dei tassi di quasi tutti i reati che

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destano allarme sociale e evidenziano chiaramente che la violenza maggiore le donne la subiscono tra le mura di casa o nella rete delle loro strette conoscenze.

Noi donne dell’Italia dei Valori che ci riconosciamo in questa mozione riteniamo che sia imperativa la tutela, la sicurezza e l’assistenza alle donne assoggettate in stato di schiavitù nel traffico di esseri umani, vittime di violenze indicibili da parte della malavita organizzata.

Ma chi sono davvero i cittadini? Nelle discussioni pubbliche, e talvolta nelle ricerche, si tiene assai poco conto delle differenze tra gli abitanti della città, anche se non dotati di cittadinanza e soprattutto di quella fondamentale, ossia del fatto che almeno la metà di essi sono donne.

Crediamo che una proposta possa nascere nell’interrogarsi e analizzare i diversi modi in cui donne e uomini vivono la città, esplorare le differenze tra le donne e fornire su tale base alcune ipotesi sia sull'insicurezza sia sulle politiche per farvi fronte.

La prospettiva di genere che proponiamo di adottare dà luogo ad un'analisi fortemente critica dei modi in cui la sicurezza cittadina è affrontata sia sul piano della discussione pubblica sia su quello delle iniziative politiche. Si propone di puntare, viceversa, sulla produzione di fiducia, cosa che implica, come si cerca di dimostrare, l'attivazione di politiche tali da mettere ciascuna in grado di correre rischi piuttosto che di evitarli. La questione, infatti, è quella di una maggiore autonomia, non di una maggiore protezione.

In questi anni, abbiamo così visto susseguirsi proposte e iniziative

tutte centrate sull’idea della protezione di donne indifese dalla minaccia di uno sconosciuto, propagate dalla destra e spesso avvallate dalla sinistra attraverso la videosorveglianza, i taxi rosa, i parcheggi riservati, e oggi i treni rosa.

Più recentemente, inoltre, abbiamo visto moltiplicarsi gli sforzi per

accentuare l’intervento di natura penale in chiave fortemente repressiva. Nel quadro che le ricerche ci descrivono, invece, diventa evidente come una risposta meramente sanzionatoria attraverso lo strumento penale, o centrata tutta sulla protezione della “vittima” nello spazio pubblico da aggressioni di estranei sia largamente insufficiente e inadeguata.

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Il cuore del problema sta nel conflitto di genere, conflitto che si acuisce in ambiti famigliari, in condizioni di maggiore indipendenza e autonomia delle donne e nel momento del distacco e dell’affidamento dei figli. Le varie forme di violenza sino ad arrivare all’uxoricidio (omicidio commesso in seguito all'espressione della volontà della moglie di lasciare il marito o per motivi di gelosia o di "onore" causata dall'infedeltà vera o presunta.

E’ incredibile ma In molte società l'uxoricidio è considerato meno grave di altre forme di omicidio, specialmente in casi di adulterio, basti pensare che in Italia, sino a pochi decenni fa, la commissione di un delitto perpetrato al fine di salvaguardare l'onore (il delitto d'onore), ad esempio l'uccisione della coniuge adultera o dell'amante di questa o di entrambi, era sanzionata con pene attenuate rispetto all'analogo delitto di diverso movente.

Noi donne dell‘Italia dei Valori riteniamo la necessità di appositi programmi formativi delle forze di pubblica sicurezza per la comprensione, la prevenzione e il contrasto del fenomeno delle molestie e della violenza sulle donne.

Crediamo sia da questo dato che si dovrebbe partire per impostare

politiche di prevenzione centrate sulla responsabilizzazione degli autori e sul sostegno alle donne non nell’ottica della tutela, ma della estensione delle loro libertà a vivere serenamente sia nello spazio pubblico che in quello privato.

Per questo motivo, Noi donne dell’Italia dei Valori riteniamo che occorre affiancare alla consolidata attività di sostegno ai centri antiviolenza alcuni progetti più sperimentali, legati alla prevenzione precoce, campagne di educazione sia sulla stampa, che pubblicitarie, che in televisione e soprattutto al rispetto della differenza dalla scuola materna alla scuola dell’obbligo, interventi sull’adolescenza, secondo una logica che è quella di prevenire nei giovanissimi la diffusione di questi atteggiamenti e comportamenti. Educare gli uomini al rispetto della differenza di genere e delle

differenza dal modello di cittadino italiano, maschio bianco, eterosessuale, possibilmente del nord di religione cattolica,

La soluzione non è tornare indietro e chiudere le donne in casa con i “diversi” dal modello. La soluzione è ampliare gli spazi di libertà e di

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autonomia delle donne e non solo, educare gli uomini a rispettarle, sostenere le coppie nelle fasi di separazione e nelle crescenti difficoltà ad affrontare la difficile condivisione dei compiti domestici e di cura, correggere le distorsioni istituzionali che ancora impediscono il pieno riconoscimento dei diritti delle donne e delle altre differenze.

Per questo riteniamo che le politiche vadano ripensate in una dimensione molto più ampia, che sia in grado di affrontare questi diversi aspetti, mentre il sistema penale va sollecitato ad introdurre anche tipologie nuove di intervento sugli autori programmando, per esempio, interventi di recupero, anche in ambiente carcerario, degli uomini violenti, che a tutt’oggi sono nel nostro paese esperienze ancora molto limitate.

8. Diritto al lavoro e pari opportunità

"La crisi ha investito una situazione già difficile dell’occupazione femminile, contribuendo ad accentuarne le criticità storiche”

Noi riteniamo che il grande ostacolo che si frappone

all’entrata e alla permanenza nel mercato del lavoro è la carenza dei servizi di cura per la prima infanzia per quanto riguarda le generazioni più giovani, e di servizi per l’assistenza degli anziani non autosufficienti per quanto riguarda le over 50. Anche se la crisi ha colpito soprattutto gli uomini, la disoccupazione

femminile aumenta, tra le fasce meno scolarizzate e le donne con figli. E’ evidente una disuguaglianza strutturale di genere nel mondo del lavoro, che ci allontana dall’Europa e ha riflessi preoccupanti sul reddito delle famiglie e sul futuro delle pensionate sole.

Un quadro impietoso della condizione delle donne italiane per quanto riguarda il lavoro e la pensione, aggravato dalla crisi ma fondato su uno svantaggio strutturale di genere che le espone in misura molto maggiore degli uomini alla disoccupazione e alla povertà: interrompendo la precedente tendenza favorevole, il tasso di occupazione delle donne tra i 15 e i 64 anni è sceso nel 2009 al 46,4%, un valore molto lontano da quello dell’Unione europea (58,6%).

Le difficoltà sono maggiori per le donne con titolo di studio inferiore al diploma di scuola secondaria e per le madri: rispetto alle donne senza figli, i tassi di occupazione sono inferiori di quattro punti percentuali per quelle con un figlio, di 10 per quelle con due figli e di 22 punti per quelle

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con tre o più figli. Un andamento che non si riscontra per i principali paesi europei.

Mentre negli altri paesi l’occupazione femminile aumenta al crescere dell’età dei figli, con un tipico andamento a “U” (cioè con una rapida discesa nei tre anni immediatamente successivi alla nascita del figlio e un successivo graduale ritorno al lavoro), in Italia continua a diminuire.

La probabilità di non lavorare 18-21 mesi dopo la nascita di un figlio è di quasi il 50% ed è influenzata in maniera significativa dall’età della madre: le meno giovani rientrano più frequentemente al lavoro, mentre quelle sotto i 25 anni sperimentano maggiori difficoltà.

Anche rispetto a questo problema, il grado di istruzione è un fattore molto importante: le donne con un titolo di studio più elevato riescono a conciliare meglio lavoro e famiglia, e hanno più probabilità di trovare lavoro anche dopo l’assenza per maternità.

L’importanza di un lavoro retribuito per le donne è dimostrata sotto diversi aspetti: per difendere le famiglie e i figli dal rischio di povertà; per integrare il reddito complessivo e per garantirsi dall’instabilità del mercato del lavoro e anche dall’instabilità delle stesse unioni coniugali; per realizzare i desideri e le aspettative personali delle donne stesse.

Noi donne dell’ Italia dei Valori riteniamo con il conforto di recenti studi economici che il raggiungimento della parità della donna nel mondo del lavoro e l’assunzione di posizioni apicali sono importanti fattori di svolta e di ripensamento di un modello neo-liberista sociale-economico-finanziario che ha mostrato il proprio fallimento, tanto che lo spreco delle risorse femminili caratterizza infatti i paesi che ad oggi risentono di più della crisi.

L’anzianità contributiva risulta inferiore a quella dei colleghi maschi”.

La conseguenza, anche a fronte dell’allungamento della vita, è un numero crescente di pensionate povere, probabilmente sole e non autosufficienti, problema non solo di etica e giustizia sociale, ma anche di sostenibilità economica per l’intera società.

Dal 2009 sono gli uomini a rappresentare la maggioranza dei disoccupati in Italia (51,4%), superando per la prima volta le donne. E’ però un effetto della natura settoriale della crisi, che ha distrutto posti di lavoro soprattutto nei settori industriali, come manifatture e costruzioni, a predominanza maschile.

L’impatto della crisi è stato finora mitigato sia dagli ammortizzatori sociali come la cassa integrazione, sia dal consueto ruolo di

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ammortizzatore sociale improprio svolto dalla famiglia, che ha in parte sopperito alla mancanza di occupazione dei figli ma purtroppo tali “pannicelli” finiranno gettando famiglie nella disperazione.

Confrontando però la distribuzione per genere dei disoccupati con quella delle forze lavoro, si osserva come le donne sono il 41% delle persone attive, ma il 48,6% dei disoccupati.

In altre parole, l'incidenza della disoccupazione tra le donne resta più elevata anche dopo un anno in cui gli incrementi maggiori del numero di senza lavoro si sono registrati tra gli uomini (+22,2% rispetto al 2008, mentre per le donne l'incremento è stato dell'8,5%). Le donne quindi, al di là degli effetti strettamente congiunturali di un ciclo con una netta caratterizzazione settoriale (e di conseguenza di genere), continuano a scontare uno svantaggio strutturale che le espone a maggiori rischi di disoccupazione.

Emerge,secondo Noi donne dell’Italia dei Valori, in modo chiaro, la necessità di una vera e propria strategia per l’occupazione femminile, razionalizzando e coordinando le risorse già disponibili che sono sparse e inefficienti. È necessario infatti assicurare oltre che la parità tra uomo

e donna, anche pari opportunità che attengono ad un’eguaglianza sostanziale che non può prescindere dalle condizioni diseguali di partenza e di arrivo dei soggetti nel contesto lavorativo. In tutti i Paesi europei la partecipazione delle donne al mercato del lavoro è stata oggetto di attenzione; mentre da noi, vige sempre la triste pratica delle dimissioni in bianco e della precarizzazione che rende le donne esposte e ricattabili.

Lo scenario che emerge della situazione pensionistica dall’analisi

svolta evidenzia come a fronte di una prevalenza numerica delle donne sul totale dei pensionati, le donne percepiscano mediamente importi più bassi, in prevalenza nel settore privato, Il risultato finale della differenza di genere nel mercato del lavoro è la grande disparità fra uomini e donne negli importi delle pensioni percepite in tutti i regimi pensionistici.

Le cause sono note e si possono così riassumere: le donne prestano

lavoro retribuito per un numero minore di anni e di ore, a causa dei carichi familiari; versano pertanto meno contributi nel sistema previdenziale; percepiscono prevalentemente le pensioni dei mariti o dei genitori o prestazioni assistenziali a carico della fiscalità generale.

Il “vantaggio” di vivere più a lungo si trasforma così in “svantaggio”, perché le pensionate sono esposte ad un maggiore rischio di povertà e di

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periodi di non autosufficienza nell’ultima parte della vita, con un stato sociale che non risponde in modo adeguato a questo mutamento demografico.

I minori trasferimenti di risorse agli Enti Locali non possono che aggravare la situazione.

Nel medio e lungo periodo si potrebbe avere un numero troppo elevato di donne anziane, sole ed indigenti, con un aggravio sociale ed economico difficilmente sostenibile, se non si prendono per tempo le opportune misure.

Noi donne dell’ Italia dei valori proponiamo quindi che

ogni qualvolta si adottano provvedimenti nel mercato del lavoro e nella legislazione in generale si analizzino e si tengano in considerazione le ricadute che essi avranno nel futuro previdenziale attuando azioni per le apri opportunità.

Vale per le donne, ma anche per i giovani e per tutti coloro che

hanno forme contrattuali precarie. Lo stesso part-time, che viene erroneamente considerato come lo strumento principe per la conciliazione fra tempi di vita e di lavoro avrà come effetto negativo nel lungo periodo un reddito da pensione molto basso. Il part-time deve rappresentare una soluzione momentanea e non strutturale nel percorso lavorativo di una donna, in quanto al lavoro retribuito si sostituisce il lavoro non retribuito di cura.

Anche la insufficiente copertura figurativa dei periodi di congedo parentale influirà negativamente sull’ammontare della pensione.

Va ricordato e sottolineato l’iniquo provvedimento varato dal Consiglio dei Ministri, in solerte accoglimento del reiterato richiamo della UE all’Italia sull’adeguamento a 65 anni dell’età delle donne nel pubblico impiego per il pensionamento di vecchiaia già a partire dal 2012, dimenticando completamente lo stato impari nel vissuto lavorativo delle donne italiane.

Altro elemento di discriminazione nei trattamenti previdenziali tra donne e uomini è rinvenibile nella previdenza complementare, ossia nei fondi contrattati dalle Parti sociali, questione affrontata alcuni anni fa, dalla Commissione europea.

In questo caso, infatti, diversamente da quanto accade nella

previdenza obbligatoria, il rendimento non è unico tra i sessi: i rendimenti sono differenziati (e minori per le donne), in ragione dell’assunzione del

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calcolo attuariale applicato alle differenti speranze di vita di uomini e donne.

La Proposta da prendere in considerazione è la necessità di garantire una pensione adeguata alle lavoratrici e ai lavoratori in materia di trattamenti pensionistici primari innanzitutto e complementari solo in seconda istanza. Ciò sarebbe possibile innanzitutto attraverso una regolazione del sistema e dei criteri di calcolo dei coefficienti di conversione in rendita. L’attuale legislazione segue, una logica puramente assicurativa e non mutualistica che non tiene conto dell’uguaglianza e della parità dei diritti tra uomini e donne.

9. Diritto alla sicurezza nei luoghi di lavoro e pari opportunità

Perché la differenza tra uomini e donne quanto a salute e sicurezza sul lavoro non si esaurisce certo nella gravidanza e nella maternità: ci sono rischi fisici, chimici, biologici, psicologici, che sono diversi per uomini e donne che lavorano, anche nello stesso settore.

Per le lavoratrici, i settori più a rischio sono l'industria tessile, quella conciaria, quella alimentare. Dai flussi informativi Inail-Ispesl-Regioni 2006-2008 risulta che gli infortuni accaduti alle donne sono stati più numerosi rispetto a quelli dei colleghi maschi nei settori: sanità (6.345 alle donne, 1.686 agli uomini); pubblica amministrazione (2.916 donne, 2.106 uomini); intermediazione finanziaria (596 donne, 511 uomini); istruzione (297 donne, 153 uomini). Le malattie professionali più frequenti tra le donne: tendiniti, dermatiti ed eczemi, affezioni dei muscoli. Tra gli uomini, invece, ipoacusia, dermatiti, malattie dei tendini.

Noi donne dell’Italia dei Valori siamo fiduciose che il protocollo che la Regione Toscana ha siglato in tal senso attui davvero una migliore progettazione dei luoghi e delle postazioni di lavoro, a una diversa organizzazione del lavoro, a un adattamento delle attrezzature; all'ergonomia dei posti di lavoro; alla necessità di individuare i rischi emergenti, legati alle innovazioni tecniche e alle evoluzioni sociali che comportano un incremento di stress e depressione; agli episodi di mobbing, intimidazioni, molestie, violenze. Speriamo quindi che il protocollo si traduca realmente nelle pari opportunità dell'appartenenza di genere. Il progetto, che coinvolgerà direttamente molte donne lavoratrici in diversi ambiti produttivi del tessuto economico toscano, essendo stato pensato un'ottica innovativa e ricca di potenzialità lo renderà sicuramente 'esportabile' anche nel resto del paese".

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10. Imprenditoria, accesso al credito e pari opportunità

Gli incentivi all’imprenditoria femminile si inquadrano tra le azioni positive, cioè tra le iniziative per la parità di genere nel mondo del lavoro volte ad eliminare la discriminazione e la segregazione femminile e a promuovere l’uguaglianza sostanziale e le pari opportunità nell’attività economica e imprenditoriale.

Le imprese femminili sono concentrate negli stessi settori di attività in cui è maggiore anche l’occupazione femminile dipendente (cioè prima di tutto terziario e poi commercio) e le difficoltà che incontrano sono talvolta legate alle specificità dei settori ben più che al genere. il problema più grosso, secondo varie indagini ad hoc (Drovandi e Tronu, 2009) rimane l’accesso al credito.

Oltre la metà delle imprenditrici dichiara di incontrare maggiori ostacoli rispetto agli uomini, rilevando una minore fiducia nei propri confronti da parte di fornitori e banche (Drovandi e Tronu, 2009). In un recente studio condotto da Alesina et al. (2009) emerge che le donne italiane che fanno impresa pagano un tasso di interesse più alto, lo 0,3% in più.

Questo differenziale emerge non perché le imprese femminili falliscano di più, né perché i tassi sono più alti per le imprese di certi settori. Infatti anche le differenze tra tassi di interesse pagati dalle donne e dagli uomini nel medesimo settore sono diversi.

Interessante è anche il diverso comportamento delle banche quando chiedono un garante esterno, quando una donna ha come garante un uomo, le viene praticato un tasso di interesse più basso della media delle imprese femminili.

Il garante maschio è percepito come un segnale di affidabilità, e le banche trattano queste imprese come se fossero a proprietà maschile. Il risultato più stupefacente è che se l'impresa femminile è garantita da un'altra donna, i tassi di interesse sono ancora più alti: una impresa a proprietà femminile garantita da un'altra donna paga un tasso di interesse più alto dello 0,6 per cento.

In altre parole, una donna garantita da un'altra donna è considerata dalle banche il peggior cliente in assoluto se non ha alle spalle un marito, un padre. Ovviamente tale disparità si accentua se l’imprenditrice è extracomunitaria e non sia dotata di ingenti capitali.

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Non è più ammissibile pensare che solo le donne debbano fare

progetti di formazione per diventare imprenditrici o necessitino sempre di tutoraggio, tale visione miope fa sentire le donne sempre mancanti pur avendo curricula di tutto rispetto e non idonee “nella realizzazione dei loro progetti anche se innovativi e profittevoli”

Noi donne dell’Italia dei Valori proponiamo di diffondere

maggiormente la conoscenza e l’utilizzo dei progetti di “microcredito” e di far elaborare all ‘ente Fidi regione Toscana un prodotto di garanzia alle imprese femminili nelle richieste di credito per investimento o liquidità presso gli istituti bancari, che copra almeno l’ 80% degli affidamenti con un tasso di interesse e con una valutazione di merito creditizio che non si basi sul genere del richiedente, bensì su criteri oggettivi e misurabili che garantiscano appieno le pari opportunità.

11. La scienza e le pari opportunità

Vige il silenzio su scienza e tecnologia che diverse donne di scienza hanno sviluppato in Italia tra la fine degli anni '70 e i nostri giorni. Si tratta di un patrimonio complesso di esperienze e saperi accumulato negli anni, che ad oggi è, in larga parte, inedito e difficilmente accessibile perchè confinato all'interno delle case private, delle sedi dei gruppi, delle associazioni femminili, delle reti di donne che all'origine condividono l'esperienza femminista attorno alla scienza.

Noi donne dell’ Italia dei Valori denunciamo l'omissione storica delle donne, come soggetti reali appartenuti e appartenenti alla scienza che hanno contribuito al progresso. Noi proponiamo che la questione genere e scienza riceva una maggiore attenzione da parte di istituzioni, organizzazioni e chiediamo un rafforzamento delle donne sul piano della presenza, del numero e della loro visibilità nelle diverse aree del sapere e delle professioni di ambito scientifico e tecnologico

Noi donne dell’ Italia dei Valori Riteniamo che le donne sono direttamente sono toccate dai progressi delle tecnologie biomediche e hanno un diritto prioritario di informazione e di scelta reale essendo soggetti primari dei progressi nelle tecnologie riproduttive. Riteniamo quindi che debba essere garantito un accesso a cure mediche che siano dello standard più alto possibile, relativamente alla società nella quale egli vive e alle risorse disponibili. Si tratta di una conseguenza di quell'idea di equità che ispira i rapporti sociali nelle democrazie moderne, e che rispetta sia i sentimenti di libertà sia i sentimenti di uguaglianza profondamente diffusi tra i cittadini

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Noi siamo consapevoli che se all'equità non verrà dato un contenuto reale, i progressi delle tecnologie biomediche rischiano di non diventare accessibili ai membri più deboli della società. L'Unione Europea ha contribuito a conferire centralità e importanza a questo tema, i suoi interventi politici in materia di pari opportunità, parità e uguaglianza di genere, rivolti, tra gli stati membri, anche all'ltalia, sono infatti andati sempre più strutturandosi dalla prima meta degli anni '90. Ma nell’ Italia il messaggio europeo è rimasto per lo più inascoltato, sono infatti scarsi, sporadici e inefficaci gli investimenti pubblici dedicati alla ricerca scientifica, costringendo anche le nostre menti femminili ad emigrare in altri paesi determinando la cosiddetta “fuga di cervelli”.

Questo tipo di interventi dell’Unione Europea tendono a privilegiare un'ottica di "pari opportunità" e "uguaglianza di genere": in altre parole, si collocano complessivamente all'interno di una cornice teorico-politica che adotta prevalentemente uno sguardo quantitativo, che si interroga sullo stato délla presenza di donne e uomini nella scienza, con l'obiettivo principale di colmare un deficit di democrazia nella scienza.

Noi donne dell’Italia dei Valori proponiamo la valorizzazione della ricerca scientifica tecnologica con la destinazione di importanti risorse a tale scopo in tutti i campi di riferimento. Riteniamo che debba esserci il passaggio da una mera questione di ordine numerico, quantitativo, della presenza di donne nelle scienze alla rimozione fattiva del disagio femminile nel fare scienza, puntando sull’effettiva meritocrazia, diffondendo nella società una consapevolezza che colloca nel sapere scientifico le donne come soggetti a pieno titolo di sapere senza illazioni becere circa la loro compatibilità biologica

12. Immigrazione e pari opportunità

L’idea della donna immigrata è stata per lungo tempo associata alla prostituta o anche in passato a quella del ricongiungimento familiare.

Il fenomeno della prostituzione e quindi della messa in schiavitù è

dilagante così come è presente su larga scala la bassa manovalanza delle clandestine nel lavoro nero.

Sebbene molto importante, la motivazione del ricongiungimento familiare non raggiunge, negli ultimi anni in Italia, neanche la metà dei casi di concessione di permesso di soggiorno.

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Sono oltre il 50%, infatti, le donne che raggiungono l’Italia per motivi di lavoro, in maniera indipendente.

Del resto questo corrisponde in parte ad una notevole domanda, e

sempre in crescita, di lavoratrici femminili. Il settore di maggiore impiego è quello della cura delle persone, che siano bambini, anziani o malati, dove le donne immigrate rappresentano l’aiuto più accessibile e affidabile.

Noi donne dell’ Italia dei Valori chiediamo politiche, di destinazione di risorse e di disponibilità di servizi di assistenza insieme all’aumento dell’invecchiamento della popolazione verso il servizio divenuto essenziale per molte famiglie, che è quello di fruire di strutture pubbliche, gratuite, ove vengano impiegate puericultrici, badanti e collaboratrici familiari cittadine o extracomunitarie, al fine di permettere alle donne italiane tradizionali artefici di tali cure di entrare a far parte della forza lavoro.

Le straniere residenti in Italia sono quasi due milioni, e di queste solo

il 2% ha più di 65 anni mentre circa un quarto è minorenne. Dagli ultimi dati (all’inizio del 2009) emerge una netta presenza femminile tra i cittadini provenienti dall’Ucraina (oltre 80%), Polonia, Moldavia (oltre il 60%), Perù, Ecuador e Filippine. Il tasso di occupazione delle donne straniere (alla fine del 2008) era circa del 53% (29 punti percentuali meno degli uomini), con alti tassi di disoccupazione che mostrano una forte domanda di lavoro (regolare).

Se il settore della cura e delle attività domestiche offre facili opportunità di impiego per le straniere, spesso ed è difficile quantificare lo sfuggente universo delle lavoratrici irregolari i contratti di lavoro non sono regolari, e le lavoratrici straniere, quindi, poco tutelate.

Nel 2008 risultavano registrate regolarmente all’INPS 300mila lavoratrici (con una diminuzione del 20% rispetto alla regolarizzazione del 2002). 28% italiane, che assistono oltre il 10% delle famiglie italiane.

C’è grande variabilità nei tassi di occupazione tra le donne appartenenti a diversi gruppi etnici, e tali differenze non dipendono da diversi livelli d’istruzione o qualifiche, né da decisioni volontarie ma piuttosto dal fatto che il mercato non valuta in maniera differenziale le qualifiche e il titolo d’istruzione della popolazione immigrata.

Un fenomeno nuovo che sta assumendo grande rilevanza è quello delle imprenditrici straniere. Si nota infatti una quota crescente di imprenditrici di origine extra-comunitaria pari a circa il 3,6% delle imprenditrici totali.

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Mozione di Emanuela Ferrari “i valori di Italia dei Valori sono i miei valori”

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13. Organizzare il Dipartimento Donne per una certezza di cambiamento

La visione che abbiamo del dipartimento donne dell’Italia dei Valori è democratica e partecipativa pensata per un’organizzazione orizzontale e sinergica con il Coordinamento Regionale, dotata di risorse da investire in politiche fattive per il raggiungimento dell’uguaglianza sostanziale, non solo per le donne ma, per tutti i richiedenti pari opportunità.

L’esperienza di sviluppo organizzativo maturata negli ultimi quindici anni nelle aziende e nell’ultimo anno nel partito mi ha permesso di osservare le dinamiche organizzative da diversi punti di vista, soprattutto in tempi di trasformazione e di crescita, Io ritengo che tale passaggio cruciale si compirà senza far implodere il partito solo attraverso la certezza del cambiamento, cioè il reale rinnovamento dell’obsoleta mentalità della classe dirigente che oppone invece una stregua resistenza alla contaminazione spontanea delle pari opportunità.

La classe dirigente attuale (maschile) dovrebbe rivestire il ruolo di

catalizzatore dell’innovazione con apertura e lungimiranza e non mantenere dinamiche e status quo ormai superati legati ad una logica di lobbies clientelare, familiare e di entourage.

Ma molto meno si parla di quando - subito! - si può realizzare tutto

questo e come - tutti insieme!. Sappiamo che non hanno successo i partiti in quanto tali che sono

un‘entità astratta ma le persone che li compongono e il consenso sui contenuti che creano.

Ebbene, questa definizione oggi è insufficiente a descrivere la realtà:

il vero successo è infatti dato dalle donne dagli uomini che compongono i partiti e che condividono i valori e partecipano alla loro piena realizzazione nella società, perché il dato di genere è un ingrediente basilare e non più cosi segreto.

Nei processi di cambiamento, si fa fortunatamente riferimento

frequente al lavoro in team; il Coordinatore Regionale guida un team di persone spesso aventi competenze e ruoli diversi, verso un obiettivo comune e condiviso che è il programma politico.

Il premio Nobel per l'economia John Nash, in un'intervista realizzata

da Piergiorgio Odifreddi, noto matematico, in merito alla sua teoria delle dinamiche dominanti, rispondeva che "da soli a comandare si può al massimo limitare il peggio" e che "per ottenere il meglio, abbiamo bisogno di cooperazione". Lo scambio delle idee ed il supporto reciproco è una

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necessita organizzativa funzionale al raggiungimento degli scopi del partito.

Se la cooperazione è necessaria, altrettanto necessaria è la qualità

della cooperazione stessa, data da una serie di elementi che conducono al punto chiave della nostra riflessione: la persona ha bisogno di confrontarsi quotidianamente con idee differenti ma soprattutto, con strutture di pensiero differenti dalle proprie. Il pensiero unico e omologante non arricchisce anzi depaupera e inaridisce.

Ciò significa innanzitutto coinvolgere con sempre maggiore frequenza portatori di differenza nei punti chiave del partito. Inoltre le donne hanno bisogno di confrontarsi con strutture di pensiero maschili per "quadrare il cerchio" e produrre output veramente innovativi e non creare tra di loro riserve indiane nelle quali relegarsi, ma per ottenere questo è necessario comprenderne il bisogno! II team "ideale" dell’ Italia dei valori deve essere composto da risorse diverse per genere, certamente, ma anche da diversità culturali e di etnia, da persone che possiedano background e orientamenti diversi, tali da consentire una ricchezza di scambio tale da facilitare una cooperazione veramente proficua anche dal punto di vista qualitativo. Cosi si potrebbe raggiungere il "team perfetto". Per strutturare un "partito perfetto", che operi in modo sistemico ovvero in grado di vedere e sviluppare se stesso in una prospettiva olistica ma bisogna ancora superare, le resistenza del sistema autocratico esistente ma se si convince le militanti della validità di soluzioni innovative e dell'importanza della loro partecipazione e che le logiche democratiche saranno quelle vincenti. Se il primo aspetto è il superamento del pregiudizio, il secondo è il mezzo: le donne anche nei partiti spesso soffrono di "masochismo auto-sabotativo" o di "rassegnato disinteresse" oppure ancor peggio di necessità di facilitazione, non vogliono affrontare situazioni di competizione alla pari, perché in fondo l’ideale del principe azzurro che le viene a salvare è radicato nel loro immaginario, tanto quanto la "sudditanza psicologica" delle facili lusinghe nei confronti della gerarchia maschilista le porta ad abdicare al loro ruolo di persone pensanti. La certezza di cambiamento passa attraverso politiche e azioni fattive di realizzazione dell’uguaglianza sostanziale nel rispetto della differenza, questo è quello che vorremmo attuare nel partito dell’Italia dei Valori.

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E’ dare alle donne la possibilità di “scegliere” come vivere la propria vita. Alessandro Cresci con la mozione“il coraggio di essere liberi” è in perfetta sintonia con quanto espostoe ha quindi deciso di recepire il presente documento che diventarà parte integrante dell’azione politica nella Segreteria Regionale Toscana nel caso sia eletto. E’ la strada maestra che vogliamo percorrere con il sostegno alla mia candidatura, che non è quella delle donne con le donne che parlano dei problemi delle donne, ma le donne che portino per le donne fatti all’interno di tutta la società, la certezza di cambiamento dalle parole ai fatti.

I miei affettuosi ringraziamenti a tutte le donne e gli uomini che hanno partecipato alla stesura di questo lavoro così condiviso e partecipato sulle idee e i contenuti. Emanuela Ferrari