pubblicità italiana - emanuel di marco

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1949-2009 In viaggio attraverso sei decenni di lingua della pubblicità Introduzione Se il più antico messaggio commerciale è datato 1691, pubblicato all’interno del “Protogiornale veneto Perpetuo”, è senza dubbio dal XIX secolo che la comunicazione pubblicitaria assume contorni che raggiungeranno, nei decenni, forme sempre più vicine alla concezione contemporanea di lingua della pubblicità. E la definizione di lingua, associata al termine pubblicità, non sorprende, come ampiamente sottolineato da studi linguistici ma anche, negli ultimi decenni, semiotici, anche se molteplici sono risultate essere le scuole di pensiero in merito a quella che dovrebbe essere la reale collocazione della lingua pubblicitaria all’interno del vasto scenario offerto dalla lingua nel suo insieme. La tendenza pare ad ogni modo essere quella di considerare quello in questione un linguaggio settoriale, un ambito linguistico capace tuttavia di poggiare su regole proprie, precise ma in costante evoluzione. Meritano di essere quindi riportate le parole di Mario Medici (La Parola Pubblicitaria, 1986): «La manifestazione pubblicitaria del secolo XX, specialmente dagli anni cinquanta in poi, è formidabile. Quella scritta, soprattutto murale, costringe a un costante, continuativo, inarrestabile esercizio di lettura che senza dubbio si colloca tra i fattori primi 1 Emanuel Di

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1949-2009In viaggio attraverso sei decenni

di lingua della pubblicità

IntroduzioneSe il più antico messaggio commerciale è datato 1691, pubblicato all’interno del “Protogiornale veneto Perpetuo”, è senza dubbio dal XIX secolo che la comunicazione pubblicitaria assume contorni che raggiungeranno, nei decenni, forme sempre più vicine alla concezione contemporanea di lingua della pubblicità. E la definizione di lingua, associata al termine pubblicità, non sorprende, come ampiamente sottolineato da studi linguistici ma anche, negli ultimi decenni, semiotici, anche se molteplici sono risultate essere le scuole di pensiero in merito a quella che dovrebbe essere la reale collocazione della lingua pubblicitaria all’interno del vasto scenario offerto dalla lingua nel suo insieme. La tendenza pare ad ogni modo essere quella di considerare quello in questione un linguaggio settoriale, un ambito linguistico capace tuttavia di poggiare su regole proprie, precise ma in costante evoluzione. Meritano di essere quindi riportate le parole di Mario Medici (La Parola Pubblicitaria, 1986): «La manifestazione pubblicitaria del secolo XX, specialmente dagli anni cinquanta in poi, è formidabile. Quella scritta, soprattutto murale, costringe a un costante, continuativo, inarrestabile esercizio di lettura che senza dubbio si colloca tra i fattori primi dell’acquisizione generale di conoscenza o competenza, di unificazione e di evoluzione della nostra lingua nazionale».In questa sede analizzeremo gli ultimi sei decenni di linguaggio pubblicitario scritto attraverso una breve raccolta di manifesti e ritagli di giornale a partire dal 1949 e, tre per decennio, sino al 2009. Un periodo, quello preso in esame, nel quale a partire dalla ripresa economica postbellica la pubblicità e il suo linguaggio si pongono attraverso una presenza massiccia e, almeno in apparenza, fortemente dinamica, sempre più all’attenzione del Paese. Il secondo dopoguerra si caratterizza anche per una forte ricerca di quello che risulterà essere l’arma in più di almeno due decenni di pubblicità, su carta stampata e non solo: lo slogan. Ma gli anni ’50 rappresentano anche un punto di rottura e immediata svolta nell’ambito del linguaggio pubblicitario, col passaggio dalla fase cosiddetta dell’advertising a quella ancora in corso della publicity, nella quale, sottolinea Roberto Giacomelli, «il prodotto perde […] la propria materialità e si carica di connotazioni logico-simboliche mercè le quali viene inserito in uno specifico ed esplicito campo nozionale e semantico».

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Che si possa parlare di linguaggio settoriale lo si comprende anche in virtù della presenza di un lessico specialistico proprio dei pubblicitari e, per certi versi, difficilmente comprensibile dai non addetti ai lavori. Sono cinque i punti da analizzare se si prendono in considerazione le inserzioni su carta stampata:

- il visual, cioè l’immagine- lo headline, il titolo o il messaggio principale- il bodycopy, il testo vero e proprio del suggerimento commerciale- il pay off, detto anche baseline, cioè la frase che chiude il testo- il logotipo, logo o marchio dell’azienda.

Ne consegue che quello pubblicitario possa essere considerato, a ragione, un testo sincretico, caratterizzato dalla compresenza di più codici linguistici. Torna utile, in questo senso, l’analisi semiotica: come ricorda Gianfranco Marrone, infatti, le prime analisi a carattere semiologico della pubblicità risalgono agli anni ’60, a cura di Umberto Eco e Rolando Barthes. Venticinque anni più tardi la sistematizzazione del tema delle funzioni degli eventi comunicativi da parte di Roman Jakobson consentirà di analizzare ad un ulteriore livello il linguaggio pubblicitario, che sfrutta in particolare le funzioni conativa (quella per cui si cercano effetti sul destinatario) ed emotiva o espressiva (la capacità che ogni emittente ha di esprimere emozioni e sentimenti all’interno del messaggio).

Una prima analisi lessicale e strutturaleDicembre 1949. La rivista Tempo pubblica un annuncio singolare, valido esempio di pubblicità collettiva. In questo caso a richiedere l’attenzione del lettore sono le compagnie assicurative. Se il concetto di assicurazione era senza dubbio ben noto già all’epoca (Il Grande dizionario italiano dell’uso fa risalire il termine “assicurazione” a Franco Sacchetti: «E l’uno mercatante asicura il navilio de l’altro per danari»), importante risulta essere in questo frangente il sensibilizzare la popolazione in merito, nel caso specifico, al rischio incendi. Felice l’utilizzo del termine polizza, conosciuto già nel 1291 nella variante pollizza. La definizione di polizza di assicurazione verrà quindi in seguito fornita dal Tramater: «Il contratto fatto per mano di notaro o sotto sigillo privato, per cui un particolare s’obbliga a riparare i danni e le perdite che accaderanno a un bastimento o al suo carico nel tempo d’un viaggio». Perdite, appunto: «L'idrante spegne l'incendio ma non risarcisce il danno» precisa quindi il testo, che si conclude con un velatamente ironico «Assicuratevi con chi volete ma assicuratevi». Un’epoca, questa, in cui la fantasia da parte degli inserzionisti non manca. Il visual è composto da un vigile del fuoco atto, non si comprende a dire il vero con quale risultato, a spegnere un incendio il cui esito per le tasche del

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consumatore risulterà essere, in assenza di assicurazione, nefasto. Assolutamente valido l’impatto grafico dell’annuncio. E di qualità del visual è necessario parlare anche in presenza della pubblicità (1952) di una nota carne in scatola, che ad uno slogan efficace affianca in un legame che si rivela indissolubile la mano di Benito Jacovitti, la cui carriera si incrociò a più riprese col mondo della pubblicità. Se è vero che un annuncio di qualità vede il visual complementare al titolo, in questo caso l’artifizio ha regalato un successo notevole. Un ruolo determinante nel mondo della comunicazione pubblicitaria è stato svolto dalle aziende attive nel mondo dei detersivi e, più in generale, dell’igiene. Nel ’54 Unilever pubblica su Tempo una reclame che merita di essere presa in esame. Se la tecnica del confronto è ancora oggi in voga, meno utilizzata, se non del tutto scomparsa, è l’autocelebrazione quale miglior prodotto del mondo. All’insistenza ripetitiva del nome del prodotto (del tutto assente invece quello della casa), a più

riprese seguito da un punto esclamativo per rafforzare il termine, si affianca un bodycopy studiato nei minimi particolari. Nessun tecnicismo, piuttosto una semplicissima spiegazione dell’effetto provocato dal prodotto. Di sicuro effetto il vocabolo nerastra, che il Gradit data 1730 e che oltre a indicare ciò che tende a un colore scurissimo rimanda a un, per citare il Battaglia, «colorito molto scuro per effetto di un’alterazione fisiologica, di una malattia». Quest’ultimo utilizzo fu fatto proprio da D’Annunzio, che in Orsola, narra «Camilla, la sorella, l'unica parente, presso al letto, pallidissima, tergeva le labbra nerastre». In questo caso il visual vede in primo piano, anziché due testimonial conosciuti, due casalinghe. L’obiettivo è quello di rendere ancor più credibile, attraverso le parole di utenti abituali del detersivo, l’annuncio.

Testi sì, ma non necessariamente. Ne è convinta la Moto Guzzi, che nel ’55 decide di sfruttare appieno la forza dell’immagine, accompagnata da pochi dettagli e dal nome del mezzo in questione, che racchiude in sé tutte quelle emozioni che l’azienda intende suscitare nei potenziali compratori. Galletto, che nell’accezione di uomo vivace ci giunge dal 1892 ma come «uomo che corteggia le donne con intraprendente spavalderia» è addirittura di circa quattro decenni prima, è quindi non solo un due ruote ma anche, e forse soprattutto, uno stile di vita.

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Giungono gli anni sessanta e, con essi, le prime avvisaglie di ciò che diverrà consumismo sfrenato. «Oggi anche voi potete avere un Philips e vantarvene» ci ricorda che il prodotto presentato può anche contribuire positivamente al raggiungimento di un preciso status sociale. Non più quindi solo merce come semplice elemento di consumo, ma anche come maschera da esibire quotidianamente. Lo stile del testo sopra citato è semplice, e sfrutta l’allocutivo voi in quel doppio ruolo che consente di rivolgersi al pubblico in genere e, attraverso una forma di cortesia, al singolo cliente.Si parlava di consumismo. Il 13 maggio 1962 la Domenica del Corriere pubblica un annuncio tutto dedicato alla festa della mamma. Un visual il cui intento risulta essere evidente accompagna uno slogan semplice quanto efficace, con gioco di allitterazioni sulla “d” (dolce, dono, donato) e

sulla “t” (donato, vita). Passano poco meno di tre settimane e la stessa Domenica del Corriere ci offre una reclame di tutt’altro tenore: ad essere pubblicizzato in questo caso è il Ddt, e lo headline lascia spazio a ben poche interpretazioni. Il tutto ruota sul verbo sterminare, presente sul territorio

italiano dal trecento (1396) e derivante dal latino ex terminare, che significa scacciare. Anche in questo caso il testo punta sull’allitterazione della lettera “t”, oltre che sulla scelta di utilizzare insetticida in luogo di pesticida, termine dal significato più generico. Il Ddt vivrà in questi anni un periodo di splendore, prima della quasi generale messa al bando avvenuta tra gli anni ’70 e gli anni ’80.

Trasferiamoci al 1974 per esaminare brevemente una pubblicità che ancora oggi merita di essere menzionata per il clamore che comportò. Lo slogan «Chi mi ama mi segua» di Jesus Jeans, a un solo anno di distanza dal «Non avrai altro jeans al di fuori di me» che costò una minaccia di scomunica e il sequestro di tutti il materiale prodotto, sfrutta appieno il contributo offerto dal visual. «Ci

piaceva provocare una reazione, entrare con grimaldello entro le attese del nostro lettore» sono le parole di Emanuele Pirella, fondatore dell’agenzia Lowe Lintas Pirella Göttsche e creatore della campagna pubblicitaria sopra citata. Che la sinergia tra immagine e titolo sia un ingrediente chiave della comunicazione pubblicitaria lo si comprende

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anche in presenza della doppia pagina a colori che Fiat dedica, è il novembre del ’76, al modello 126 Personal. Il testo è sì chiaro, caratterizzato da un sintagma nominale e da una frase scissa con messa in rilievo di un complemento di tempo, ma è evidente quanto in questo caso conti la contestualizzazione fornita dal visual, che offre una pur breve storia dei mezzi il cui sviluppo nell’arco di otto lustri ha portato alla creazione del mezzo qui pubblicizzato. Con l’avvicinarsi degli anni ottanta prendono forma alcune tra le prime grandi campagne pubblicitarie che il nostro Paese abbia registrato. Il prodotto in questione, un sempreverde come le gomme da masticare Big Babol, giunge sul mercato affiancato da una massiccia presenza di spot televisivi e su carta stampata che, grazie anche alla presenza di un testimonial come Daniela Goggi, si impongono da subito all’attenzione del pubblico. Si notino, entreremo nel dettaglio più avanti, la dislocazione a sinistra del gruppo verbale nella frase «è più grande il suo pallone», l’utilizzo del presente indicativo, l’assenza di maiuscole e di fatto anche di punteggiatura, eccezion fatta per i tre puntini che introducono la baseline, e la ripetizione della locuzione «più grande». Interessante l’utilizzo di morbidone, che come accrescitivo di morbido il Gradit data al XX secolo, ma che il Grande dizionario della lingua italiana fa risalire alla figura di Pietro Aretino («Stavasi là dal popolo…una soda tacca di femina grandona, bellona, morbidona al possibile, e se puttana po’ essere di buona natura, ella era di quelle»).

Da gomme da masticare a caramelle il passo è breve. Nell’81 Golia Bianca propone una campagna che diverrà storica nel mondo pubblicitario. L’arma in più, in questo caso, è composto dallo slogan, che sfrutta un tecnicismo, la parola velopèndulo (datata 1866, si tratta del prolungamento posteriore del palato duro), ma anche e soprattutto scommette su un neologismo, il verbo sfrizzolare, che il Grande dizionario italiano dell’uso registrerà sette anni più tardi, come annunciò in quel periodo Pino Corrias (Tuttolibri, 1988). Sfrizzolare, che il Battaglia definisce

«solleticare con una gradevole sensazione frizzante», fu opera dell’affermata creativa Annamaria Testa, che riguardo questa pubblicità ricorda: «Ho usato termini pertinenti, l’unica parola stravagante è sfrizzola, voce di un verbo sfrizzolare costruito per assonanza con l’aggettivo frizzante. Eppure l’effetto finale è quello di un linguaggio inventato, una specie di grammelot fatto di suoni in grado di esprimere un senso, e contemporaneamente

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fatto di parole dal significato corretto». L’annuncio si chiude con un «Provare per credere» che assume un carattere imperativo. Il 1981 lascia in dote anche una serie di annunci, sia su periodici che sottoforma di manifesti, nel quale pur rinnovandolo il Gruppo Sangemini punta su un titolo ormai entrato nell’immaginario collettivo: «Liscia, gassata… o Ferrarelle?». Per cercare di conferire una nuova luce ecco un visual particolarmente curioso, che sfrutterà personaggi del calibro di Napoleone e della Gioconda. Cambia, rispetto il titolo originario, la punteggiatura. Immancabile invece lo slogan ancora oggi attuale «Effervescente naturale», frase nominale attraverso la quale l’azienda espone rapidamente i propri punti di forza: l’effervescenza appunto (termine del 1869, derivante dal francese effervescent che il Gradit diretto da Tullio De Mauro data al 1755), e un concetto, quello di natura e più in generale di geniunità, che avrà particolare fortuna nel mondo pubblicitario.Di formula interrogativa occorre parlare anche in presenza di una pubblicità nella quale Zucchi punta evidentemente sui doppi sensi. In questo caso a rivolgersi al potenziale acquirente è direttamente il prodotto commercializzato, una trapunta nello specifico. Non passi inoltre inosservata la frase nominale, con rima, «Biancheria per allegria» presente nel logotipo, slogan che rappresenta l’unico elemento comune tra tutti i vari momenti, anche televisivi, che hanno caratterizzato questa campagna.

Anni novanta, tempo di rivoluzioni tecnologiche. Nintendo, leader nel settore videoludico, lancia nel ’90 la console portatile Game Boy. Accattivante lo headline,

composto dalla locuzione «Il potere nelle tue mani». E non si tratta dell’unica forma nominale presente. Il bodycopy, nel quale l’azienda rafforza ulteriormente l’uso del tu, una scelta dettata certamente dalla spesso giovanissima età del pubblico a cui si rivolge, è una vera e propria miscellanea di tecniche diverse. Tecniche retoriche, come l’iperbole («nello spazio di una mano, un divertimento grande come la fantasia») e l’allitterazione della “c” («Così compatto che lo porti sempre con te, così grande che ti sfida con…»), ma anche grafiche e sintattiche, con in particolare l’uso di frasi marcate. Dettata da una linea aziendale precisa anche la scelta di utilizzare un anglicismo come videogames - composto del verbo latino video, vedo, e del sostantivo inglese game, gioco - che pure ha il suo

omologo italiano in videogioco. Se Nintendo strizza quindi l’occhio direttamente ai più piccoli, Falqui per le caramelle Zigulì (nome che curiosamente deriva dall’automobile russa Lada-Vaz Zhiguli) si rivolge ai genitori, e lo fa servendosi di un visual a forte carica emotiva e di uno slogan, ripetuto anche in apertura di bodycopy, che sfrutta ancora una volta lo

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stile nominale. Il testo si serve di una sintassi lineare e del presente indicativo, con forte presenza del verbo essere.

La pubblicità si è da sempre servita anche dei cosiddetti wellerismi, ossia affermazioni attribuite direttamente a persone conosciute o, come nel caso della pubblicità che andremo ad esaminare, meno conosciute. Nel 1993 la Oil of Olaz, nel dare parola alla più classica ragazza della porta accanto, uno stile acqua e sapone tipico degli anni novanta (si pensi al successo della trasmissione Non è la Rai), utilizza in apertura stile nominale e anafora, sulla quale ci soffermeremo nella sezione dedicata alla retorica. Una frase nominale rappresenta anche il logotipo («Per una pelle giovane e frescia»), mentre il testo a differenza di annunci analoghi punta sull’assenza di tecnicismi. Diversa la tecnica utilizzata per la creazione del nome del

prodotto (Hydro-Gel), che gioca con un’assonanza, quella col termine inglese hydrogen, idrogeno in italiano. Termine, quest’ultimo, che non viene mai menzionato all’interno del bodycopy: la sensazione è che si giochi sulla tecnica dei false friends, per usare ancora il linguaggio anglosassone, puntando sulla massiccia presenza del concetto di idratazione, simile a hydrogen per una semplice questione di assonanza.

Questa iniziale breve analisi si chiude quindi con una panoramica sui primi anni del nuovo millennio. Una tendenza riscontrata è quella di ricalcare, spesso in maniera del tutto fedele, le reclame del medesimo prodotto proposte su diversi mezzi di divulgazione. È il caso della già citata Fiat, la cui divisione Professional nel 2007 propone uno slogan nel quale il nome del mezzo viene separato con un punto dal resto dello slogan, divenendo frase nominale e al contempo focalizzando l’attenzione del lettore su di esso. Il concetto espresso è rafforzato in maniera decisiva dalla presenza in qualità di testimonial del portiere della nazionale azzurra di calcio Gianluigi Buffon, la cui nomea di miglior rappresentante al mondo nel proprio ruolo consente un efficace parallelismo con la vettura reclamizzata. Siamo di fronte a un caso, già analizzato, in cui visual e testo vivono un legame indissolubile. Maggiore prestigio

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viene quindi regalato dal logotipo contenente la locuzione «Veicoli commerciali da sempre», altra forma di tipo nominale. Sarà invece una virgola, sorretta da un’impostazione grafica ben precisa, a separare i due sintagmi dello spot che l’azienda agricola casearia Medeghini proporrà sulla rivista femminile Tu il 7 ottobre 2008: «Grattugiato Medeghini, la pasta ringrazia» gioca su una metafora, umanizzando un prodotto in questo caso alimentare, ampiamente sfruttata in pubblicità ma non solo. Chiudiamo questa prima sezione mantenendoci in tema alimentare ma affrontare un annuncio le cui caratteristiche, dal punto di vista della tecnica linguistica, risultato del

tutto differenti rispetto quelle appena descritte. L’azienda in questione, la Saiwa, pubblica nel marzo di quest’anno quella che si potrebbe definire la più completa sintesi di ciò che la comunicazione pubblicitaria ha sviluppato negli ultimi tempi: logo del produttore ben in vista, nome della merce ad aprire la pagina, apparsa il 16 marzo su Sorrisi e Canzoni, visual dal doppio scopo (mostrare il prodotto ma anche mettere a proprio agio il lettore attraverso l’utilizzo di una

forma a cuore), slogan con tanto di assonanza tra i termini buono e colesterolo e una serie di tecnicismi che infondono un certo prestigio al biscotti qui presentato, «con pochi grassi saturi, Omega3 e le fibre di Betaglucano d’avena (si noti la maiuscola) che aiutano a ridurre l’assorbimento del colesterolo». Una tecnica, questa, il cui utilizzo si fa sempre più crescente in molteplici ambiti.

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MorfologiaSul piano verbale il tempo maggiormente sfruttato dalla lingua pubblicitaria è certamente il presente indicativo: «Il più rivoluzionario sistema di idratazione», «Il gesto più dolce, per il tuo bambino, è una pallina Zigulì», «I migliori arrivano dove gli altri non arrivano», «La pasta ringrazia». Importante anche la presenza dell’imperativo, il cui utilizzo può assumere gradazioni diverse, ponendosi come comando ma anche nelle vesti di un consiglio, bonario ma anche ferreo: «Assicuratevi con chi volete ma assicuratevi», «Scopri, nei suoi occhi, che la felicità ha il dolce gusto di limone, ecc…». Non manca la forma congiuntiva («Chi mi ama mi segua»), andata perdendosi tuttavia soprattutto negli ultimi tre decenni. Molto interessante il massiccio utilizzo dei superlativi relativi in locuzioni come «La biancheria più pulita del mondo», «il più grande successo dell’anno» e anche in «il gesto più dolce». Praticamente assenti i superlativi assoluti. Un ulteriore modo per aumentare il grado dell’aggettivo è l’uso di così, come ad esempio nella frase «così compatto che lo porti sempre con te, così grande che ti sfida con oltre 5 videogames diversi». Sul piano quindi dell’utilizzo dei pronomi personali - non nel caso di «Oggi anche voi potete avere un Philips e vantarvene - si tende spesso ad omettere il pronome soggetto. Si noti poi la presenza del clitico ci nella forma di complemento indiretto riferito a cose («È dal 1936 che ci stiamo lavorando». L’annuncio di Philips presenta anche una struttura, quella che vede il ne lessicalizzato saldato direttamente al verbo. Non manca il dimostrativo neutro ciò in sostituzione di quello: «Per lavare tutto ciò che deve essere trattato con riguardo non c’è niente di meglio che Omo!».Da segnalare infine l’uso del prefissoide idro- in idro-reintegrante.

SintassiLa sintassi nei testi in questa sede analizzati è caratterizzata in particolare da paratassi e frasi nominali («Il potere nelle tue mani», «La buona carne in scatola»), come già a più riprese sottolineato in precedenza. Merita di essere sottolineata la sola presenza di frasi nominali, che cioè non contengono sintagma verbale, la pubblicità di Simmenthal del ’52: «La buona carne in scatola. Simmenthal in ghiaccio».Non mancano i casi di ordine marcato, con frasi scisse come la sopra citata «È dal 1936 che ci stiamo lavorando» ed «e fra i denti è un morbidone». Quest’ultima non è l’unica forma di questo tipo presente nella reclame pubblicata nel 1979, la quale regala in apertura un «è più grande il suo pallone». Tra le dislocazioni a sinistra ecco «un dolce dono a chi ci ha donato la vita» e «Un modo buono per aiutare a ridurre il colesterolo». Da rimarcare anche «Per ottenere la biancheria più pulita del mondo occorre Omo». Non mancano espedienti di ogni genere per cercare di ridurre la formalità dell’annuncio: il professor Carlo Bascetta a tal proposito spiega (Il messaggio pubblicitario, 1964): «Alcune formule pubblicitarie appaiono decisamente ricalcate sulla sintassi del parlato, ma per la diffusione ricevuta sono diventate moduli stereotipi, frasi fatte, assumendo addirittura dignità di figura, come ad esempio la

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formula “sì, ma” che è un modo di entrare in discorso; chi non ha sentito ricalcare sia pure in modo scherzoso le formule “Sì d’accordo ma l’aranciata S. Pellegrino è un’altra cosa”, oppure “Salute sì, ma al primo accenno di raffreddore Rinoleina”?». Tra le pubblicità qui prese in esame impossibile non menzionare, anche se negli anni modificata, la fortunata formula interrogativa contratta «Liscia, gassata… o Ferrarelle?» presente sin dagli anni settanta e quel «Chi mi ama mi segua» rilanciato con forza ma che tuttavia è presente sin dal XIV secolo, pronunciata dal monarca francese Filippo il Bello e non, come spesso si tende a credere, nel Vangelo.

RetoricaEmanuele Pirella celebra così l’importanza delle figure retoriche nell’ambito della comunicazione pubblicitaria (2001): «Avevo imparato che le rime, le assonanze, le allitterazioni, il ritmo poetico erano strumenti di pregio da mettere da parte e da utilizzare quando si trattava di dar forma a un’idea». D’altronde la retorica, precisa Bice Mortara Garavelli (1989), «governò e insegnò il “parlare ornato” come veicolo di persuasione». Passando in rassegna gli ultimi decenni di comunicazione pubblicitaria, si nota la grande importante che proprio tutta una serie di sistemi retorici ha avuto nel momento in cui i creativi si sono trovati dinanzi alla necessità di sviluppare annunci, nello specifico su carta stampata. Uno dei più sfruttati artifizi è certamente l’iperbole. Ne sono un esempio «la biancheria più pulita del mondo» e «Il potere nelle tue mani». In evidente calo l’uso della rima, con Big Babol che sviluppa «è più grande il suo pallone…e fra i denti è un morbidone» e Zucchi che si affida al pay off «Biancheria per allegria». Più vivo lo sviluppo di allitterazioni: «un dolce dono a chi ci ha donato la vita» sfrutta “d” e “c”, «Oggi anche voi potete avere un Philips e vantarvene» usa “v” e, nonostante la diversa pronuncia in lingua originale del nome della marca, “p”. Sempre la “p” è ripetuta in «è più grande il suo pallone». Di anafora, tecnica che consiste nella ripetizione di una o più parole all'inizio di frasi o in poesia di versi successivi, si può quindi parlare in presenza di: «Niente grassi, niente coloranti, niente profumi». L’uso della sinestesia è invece realizzato nello headline di Zigulì «Il gesto più dolce». Si è invece già parlato della citazione di Jesus Jeans «Chi mi ama mi segua», mentre una sorta di accumulazione la si ha all’interno dell’annuncio degli insetticidi Ddt, capaci di battersi con «scarafaggi formiche tarme eccetera».

GrafiaUna prima interessante distinzione va fatta esaminando l’uso di maiuscole e minuscole. Ci si limita a seguire le più classiche regole grafiche nella campagna del 1949 dedicata alle assicurazioni, mentre l’annuncio del detersivo Omo pone in primo

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piano il nome stesso del prodotto reclamizzato, così come effettuato da Philips. Interamente maiuscolo anche il titolo della pubblicità sul Ddt, mentre Big Babol opta per un testo caratterizzato da sole minuscole. Rafforzano invece termini che già rappresentato tecnicismi le maiuscole di Betaglucano e Omega3, con il chiaro intento di infondere ulteriore fiducia nel potenziale cliente. Da evidenziare in chiusura la presenza delle virgolette, che introducono il discorso diretto di Oil of Olaz (nella pubblicità di Omo il discorso diretto si sviluppa invece direttamente nell’ambito del visual), e quello del corsivo, che viene sfruttato da Zigulì per la frase d’apertura.

ConclusioniLa sensazione, a margine di una pur sbrigativa analisi degli ultimi sessant’anni di comunicazione pubblicitaria (una storia che, è bene sottolinearlo, si è sviluppata senza sosta soprattutto negli ultimi due secoli), è che la presenza sempre più elevata di tecnicismi e forestierismi e il contemporaneo calo dello sfruttamento di forme letterarie e in particolare poetiche, sia da considerare ormai una costante in una società nella quale il prodotto deve anche, spesso, indicare un preciso stile di vita. Sul linguaggio pubblicitario, che ha dimostrato di possedere un evidente appeal sui parlanti, si è molto dibattuto anche e soprattutto a livello linguistico: ci si trova di fronte a una fonte di arricchimento per la lingua italiana oppure la strada imboccata è quella della mercificazione linguistica? Le parole di Maria Grazia Corti (1978) lasciano aperto questo dilemma: «Il rapporto che si instaura fra il linguaggio della pubblicità e la lingua italiana è duplice: da una parte questo linguaggio sfrutta e accentua le possibilità espressive dell'italiano contemporaneo, d'altra parte, tendendo a creare la parola-merce, cioè l'assoluta corrispondenza fra il marchio e l'oggetto, favorisce quel fenomeno di anemia della lingua, che è oggi in uso chiamare reificazione o mercificazione linguistica».

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