filiera grano duro news - n. 20 - ott 2011

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SOCIETà PRODUTTORI SEMENTI S.p.A. BOLOGNA Sommario Sommario Progetto “Grano duro alta pag. 1 qualità in Emilia Romagna” - anno 2011 Le innovazioni biologiche pag. 2 nel passato e le prospettive future La ricerca sul grano, pag. 4 strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentari Alle origini del made in Italy pag. 8 Codice ISSN 2239-4230 Proprietà e redazione: Società Produttori Sementi Via Macero, 1 - 40050 Argelato (BO) - [email protected] Direttore responsabile: Dott. Marco Bon Stampa: Grafiche BIME s.r.l. Via Sebastiano Zavaglia 20/24 - 40062 Molinella (BO) Reg. Tribunale di Bologna n. 7711 del 15/11/2006 Periodico realizzato con il contributo della Regione Emilia- Romagna ai sensi della L. R. 28/1998. Filiera Grano duro news Per scaricare i numeri arretrati collegatevi a www.prosementi.com o direttamente all’indirizzo http://www.prosementi.com/ita/ archivio_filiera_grano_duro_news/ Con le semine delle prossime settimane giun- giamo al sesto anno del Progetto Grano Duro di Alta Qualità in Emilia Romagna, apprezzato strumento di contatto tra le imprese agricole e l’industria collocate in regione, i cui risultati sono tangibili ed apprezzati da tutti gli opera- tori di settore. A livello nazionale, la campagna agraria appena passata è stata caratterizzata da una riduzione delle superfici stimata, secondo diverse fonti, intorno al 10% pari a circa 130.000 ettari. A farne le spese è stato prevalentemente il Nord Italia dove questa riduzione ha raggiunto circa il 40%. Tre sono i fattori principali alla base di questo fenomeno: 1. differenziale di prezzo tra grano duro e te- nero a favore di quest’ultimo avvantaggiato anche da rese più elevate nell’areale Setten- trionale; 2. prezzi interessanti di mais, soia e girasole, anche alla luce del ritardo delle semine cau- sato dalle frequenti piogge invernali; 3. la presenza nelle precedenti campagne agrarie di valori elevati di DON al Nord che ha creato diffidenza verso la coltivazione del grano duro. Complessivamente quindi, tenendo conto del- la riduzione delle superfici e di una resa media nazionale analoga a quella dello scorso anno si stima una produzione complessiva per il raccolto 2011 di circa 3,6 milioni di tonnellate di grano duro. Anche per quanto riguarda le rese, il Nord Italia, con una resa di circa 5 t/ ha, è stato penalizzato da un andamento mete- orologico particolarmente sfavorevole: a una prima fase estremamente piovosa nel periodo invernale, che ha provocato difficoltà e ritardi nella semina ha fatto seguito una primavera siccitosa con temperature alte e assenza di piogge (rendendo in molti casi necessaria l’ir- rigazione di soccorso), per terminare con un breve periodo di contenuta piovosità appena prima della fase di raccolto. Nel Centro-Sud Italia, invece, una maggiore presenza di piog- ge durante il ciclo ha favorito la coltivazione, permettendo il raggiungimento di rese (3,5-4 t/ ha) superiori alla media storica. Una maggiore uniformità invece si è registrata per quanto riguarda le caratteristiche merce- ologiche: il caldo nel periodo primaverile e, al Nord, le piogge di fine ciclo hanno favori- to il buon riempimento delle cariossidi, per- mettendo di ottenere pesi specifici elevati e mediamente superiori ad 81 kg/hl. Anche dal punto di vista proteico si è assistito ad una maggiore uniformità tra gli areali con dati ten- denzialmente intorno al 13,5% ss. Infine dal punto di vista igienico-sanitario l’an- nata è stata in generale abbastanza favorevole grazie a condizioni climatiche non particolar- mente idonee allo sviluppo del Fusarium e conseguentemente all’accumulo di DON nella granella. Infatti, come per gli areali del Centro-Sud, dove si è confermata una presenza di DON bassa o nulla, anche al Nord non si sono re- gistrati valori preoccupanti di questa micotos- sina. Tuttavia la scalarità delle semine (che si sono protratte da fine ottobre fino a metà febbraio) ha determinato una fioritura estesa nel tempo con alcune varietà maggiormente esposte allo sviluppo del Fusarium e quindi al rischio di accumulo di DON. Andamento del Progetto Passiamo ora ad analizzare la situazione nell’ambito del Progetto Emilia-Romagna. I dati riportati qui di seguito sono generati dall’analisi qualitativa e relativa al contenuto del DON dei campioni prelevati su tutti i lot- ti stoccati nell’ambito del progetto, seguendo la metodologia ufficiale sancita nel Reg. CE 401/2006. Per il 2011 era previsto a contratto un quan- titativo totale di 70.000 tonnellate che, pur se lievemente minore rispetto allo scorso anno, non ha risentito delle forti riduzioni di super- fici riscontrate a livello regionale. Questo dato conferma la solidità del Progetto anche nei confronti dell’agricoltore stesso che negli ulti- mi anni ha visto remunerata adeguatamente la propria produzione. Entrando nel dettaglio delle diverse provincie facenti parte del Progetto, si evidenziano, al contrario dello scorso anno, differenze so- Progetto “Grano duro alta qualità in Emilia Romagna” - anno 2011 Michele Zerbini e Marco Silvestri – Barilla G. e R. Fratelli s.p.a. PERIODICO DI INFORMAZIONE TECNICO-ECONOMICA A SOSTEGNO DEL PROGETTO PILOTA “GRANO DURO DI ALTA QUALITà IN EMILIA-ROMAGNA” Numero 20 • OTTOBRE 2011 Grano duro news Filiera

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Questo il sommario: Progetto “Grano duro alta qualità in Emilia Romagna” - anno 2011; Le innovazioni biologiche nel passato e le prospettive future; La ricerca sul grano, strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentari; Alle origini del made in Italy: La Società Produttori Sementi

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societàPRODUTTORI SEMENTI S.p.A. BoLoGNA

SommarioSommarioProgetto “Grano duro alta pag. 1qualità in emilia Romagna” - anno 2011

Le innovazioni biologiche pag. 2nel passato e le prospettive future

La ricerca sul grano, pag. 4strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentari

Alle origini del made in italy pag. 8

Codice ISSN 2239-4230 Proprietà e redazione: società Produttori sementi Via Macero, 1 - 40050 Argelato (Bo) - [email protected]

Direttore responsabile: Dott. Marco Bon

stampa: Grafiche BiMe s.r.l.Via sebastiano Zavaglia 20/24 - 40062 Molinella (Bo)

Reg. tribunale di Bologna n. 7711 del 15/11/2006

Periodico realizzato con il contributo della Regione emilia-Romagna ai sensi della L. R. 28/1998.

Filiera Grano duro news

Per scaricare i numeri arretrati collegatevi a www.prosementi.com

o direttamente all’indirizzohttp://www.prosementi.com/ita/

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Con le semine delle prossime settimane giun-giamo al sesto anno del Progetto Grano Duro di Alta Qualità in Emilia Romagna, apprezzato strumento di contatto tra le imprese agricole e l’industria collocate in regione, i cui risultati sono tangibili ed apprezzati da tutti gli opera-tori di settore.A livello nazionale, la campagna agraria appena passata è stata caratterizzata da una riduzione delle superfici stimata, secondo diverse fonti, intorno al 10% pari a circa 130.000 ettari. A farne le spese è stato prevalentemente il Nord Italia dove questa riduzione ha raggiunto circa il 40%.Tre sono i fattori principali alla base di questo fenomeno: 1. differenziale di prezzo tra grano duro e te-

nero a favore di quest’ultimo avvantaggiato anche da rese più elevate nell’areale Setten-trionale;

2. prezzi interessanti di mais, soia e girasole, anche alla luce del ritardo delle semine cau-sato dalle frequenti piogge invernali;

3. la presenza nelle precedenti campagne agrarie di valori elevati di DON al Nord che ha creato diffidenza verso la coltivazione del grano duro.

Complessivamente quindi, tenendo conto del-la riduzione delle superfici e di una resa media nazionale analoga a quella dello scorso anno si stima una produzione complessiva per il raccolto 2011 di circa 3,6 milioni di tonnellate di grano duro. Anche per quanto riguarda le rese, il Nord Italia, con una resa di circa 5 t/ha, è stato penalizzato da un andamento mete-orologico particolarmente sfavorevole: a una prima fase estremamente piovosa nel periodo invernale, che ha provocato difficoltà e ritardi nella semina ha fatto seguito una primavera siccitosa con temperature alte e assenza di piogge (rendendo in molti casi necessaria l’ir-rigazione di soccorso), per terminare con un breve periodo di contenuta piovosità appena prima della fase di raccolto. Nel Centro-Sud Italia, invece, una maggiore presenza di piog-ge durante il ciclo ha favorito la coltivazione, permettendo il raggiungimento di rese (3,5-4 t/ha) superiori alla media storica.

Una maggiore uniformità invece si è registrata per quanto riguarda le caratteristiche merce-ologiche: il caldo nel periodo primaverile e, al Nord, le piogge di fine ciclo hanno favori-to il buon riempimento delle cariossidi, per-mettendo di ottenere pesi specifici elevati e mediamente superiori ad 81 kg/hl. Anche dal punto di vista proteico si è assistito ad una maggiore uniformità tra gli areali con dati ten-denzialmente intorno al 13,5% ss.Infine dal punto di vista igienico-sanitario l’an-nata è stata in generale abbastanza favorevole grazie a condizioni climatiche non particolar-mente idonee allo sviluppo del Fusarium e conseguentemente all’accumulo di DON nella granella. Infatti, come per gli areali del Centro-Sud, dove si è confermata una presenza di DON bassa o nulla, anche al Nord non si sono re-gistrati valori preoccupanti di questa micotos-sina. Tuttavia la scalarità delle semine (che si sono protratte da fine ottobre fino a metà febbraio) ha determinato una fioritura estesa nel tempo con alcune varietà maggiormente esposte allo sviluppo del Fusarium e quindi al rischio di accumulo di DON.

Andamento del ProgettoPassiamo ora ad analizzare la situazione nell’ambito del Progetto Emilia-Romagna.I dati riportati qui di seguito sono generati dall’analisi qualitativa e relativa al contenuto del DON dei campioni prelevati su tutti i lot-ti stoccati nell’ambito del progetto, seguendo la metodologia ufficiale sancita nel Reg. CE 401/2006.Per il 2011 era previsto a contratto un quan-titativo totale di 70.000 tonnellate che, pur se lievemente minore rispetto allo scorso anno, non ha risentito delle forti riduzioni di super-fici riscontrate a livello regionale. Questo dato conferma la solidità del Progetto anche nei confronti dell’agricoltore stesso che negli ulti-mi anni ha visto remunerata adeguatamente la propria produzione.Entrando nel dettaglio delle diverse provincie facenti parte del Progetto, si evidenziano, al contrario dello scorso anno, differenze so-

Progetto “Grano duro alta qualità in Emilia Romagna” - anno 2011Michele Zerbini e Marco Silvestri – Barilla G. e R. Fratelli s.p.a.

P e R I o d I C o d I I N F o R m a z I o N e teCNICo-eCoNomICa a SoSteGNo del PRoGetto PIlota “GRANO DURO DI AlTA qUAlITà IN EMIlIA-ROMAGNA”

Numero 20 • OTTOBRE 2011

Grano duro newsFiliera

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N. 20 - ottobre 2011Filiera Grano duro news

le innovazioni biologiche nel passato e le prospettive futureGiovanni Federico - european University Institute e Università di Pisa

Il SETTORE AGRIcOlO

Da qualche anno, il settore agricolo non gode di impeccabile reputazione. E’ citato nei media più frequentemente come fonte di inquinamento o di rischi per la salute dei consumatori che per la sua capacità di nu-trire la popolazione mondiale. Questa visio-ne è, a mio avviso, profondamente ingiusta. I risultati produttivi dell’agricoltura nel lun-go passato sono stati eccezionali: dal 1870 al 2000, la produzione agricola è aumentata di circa dieci volte, mentre la popolazione mondiale è aumentata “solo” di sei volte. La produzione mondiale pro-capite è au-mentata prima del 1914 e soprattutto dopo il 1950, ed è rimasta più o meno costante nel periodo fra le due guerre mondiali. Que-sto incremento è stato reso possibile dalla crescita dei fattori utilizzati (terra, lavoro, capitale) e dall’aumento dell’efficienza nel loro uso. L’incremento di efficienza è un fenomeno complesso, ma sicuramente una sua componente essenziale è il progresso tecnico, cioè l’introduzione di innovazioni nelle pratiche di coltivazione. E’ possibile distinguere quattro categorie di innovazioni - nuove pratiche colturali, nuove piante ed animali, i prodotti chimici (fertilizzanti, an-tiparassitari etc) e la meccanizzazione. Le prime due categorie sono spesso chiamate innovazioni biologiche.

L’innovazione biologica - Si può definire innovazione biologica l’introduzione con successo di una nuova pratica colturale (per esempio una diversa rotazione delle colture), di una nuova pianta (o animale) o di una nuova varietà di piante (o anima-le) già in uso. Per millenni, nuove piante e nuove varietà sono state scoperte per caso e si sono diffuse lentamente. Il processo fu accelerato dal trasferimento intercontinen-

tale dopo le esplorazioni geografiche dei secoli XV e XVI ed è continuato per tutto il XIX secolo. Gli emigranti europei hanno portato con sé le piante del loro continente nel Nuovo Mondo e molti governi europei hanno tentato di introdurre nelle proprie colonie la coltivazione di piante tropicali per produrre per il mercato europeo. Lo stock di varietà naturali da provare si è però andato esaurendo e quindi ha assun-to crescente importanza la produzione in laboratorio attraverso l’ibridazione di due varietà già note della stessa pianta. La pos-sibilità era nota sin dalla metà del Settecen-to e varietà di grano ibrido furono prodotte negli anni Quaranta del secolo successi-vo negli Stati Uniti, ma non si rivelarono particolarmente produttive. La situazione cambiò grazie alla (ri-)scoperta delle leggi della genetica alla fine del secolo XIX, che permise la selezione scientifica di varietà da ibridare, e alla messa a punto nei de-cenni successivi di tecniche di ibridazione su vasta scala. Il primo grande successo fu la produzione di una nuova varietà di mais ibrido negli anni Trenta, che aumentava il rendimento del 20%. Pochi anni dopo, le fondazioni Ford e Rockfeller iniziarono a finanziare la ricerca di varietà di grano ibri-do adatto al Messico. Il successo dell’im-presa stimolò l’estensione del lavoro al riso ed a varietà adatte ai paesi asiatici. Negli anni Ottanta e Novanta, la ricerca si è este-sa a varietà adatte ad ambienti “marginali” (per esempio le montagne) e ad altre piante alimentari, come il sorgo o la cassava. Le nuove varietà furono denominate di “high yielding varieties” (varietà ad alto ren-dimento), in sigla HYV, proprio in quanto molto più produttive di quelle tradiziona-li. Il rendimento per ettaro del riso IR-8, distribuito dal 1966, era fino ad otto volte superiore. Inoltre alcune delle nuove va-rietà crescevano più rapidamente, permet-tendo di intensificare la coltivazione, fino a tre raccolti di riso l’anno. Avevano però bisogno di più acqua e di più fertilizzanti di quelle tradizionali. Nel 1998 le varietà ad alto rendimento erano seminate nell’85-90% della superficie a grano in Asia e Sud America. Le percentuali per altri continenti e per altri prodotti, riso compreso, erano inferiori. La loro introduzione ha permesso uno spettacolare aumento dei rendimenti – noto come Rivoluzione Verde. Dagli anni Sessanta in poi, i rendimenti per ettaro del grano in Asia sono aumentati di 3,5 volte e

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produzione mondiale pro-capitepopolazione mondiale

Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socio-economico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - argelato, 6 giugno 2011

prattutto in termini quantitativi piuttosto che qualitativi.La situazione di Parma e Piacenza, conside-rando la similitudine dell’areale e delle pratiche agronomiche è paragonabile: rese particolar-mente basse, intorno a 4,5 tonnellate per ettaro, livelli proteici buoni (circa 13,5%) ma tendenzial-mente più elevati nella zona di Parma, pesi spe-cifici elevati che in alcuni casi hanno superato anche 82 kg/hl, arrivando a toccare punte di 85 e 86, e DON estremamente contenuto.Modena e Bologna presentano un deciso incremento dei rendimenti unitari per ettaro con punte, nelle zone intorno a Medicina e Castel San Pietro, anche di 6,5 t/ha. Dal punto di vista qualitativo, il peso specifico è risulta-to analogo alle zone precedenti, mentre più elevato è il contenuto proteico con una media vicina al 13,8% e quantitativi significativi con valori che superano il 14%. Per quanto riguar-da poi la presenza di DON, generalmente bassi i valori registrati nella zona di Bologna, men-tre più alta, anche se non preoccupante, la me-dia della provincia di Modena (circa 700 ppb) dove comunque non sono stati rilevati valori superiori ai limiti di legge.A Ferrara, al di là di rese e qualità molto vici-ne a quelle fatte registrare nella zona del Bolo-gnese, si è riscontrata una maggiore variabili-tà nel contenuto di DON con differenze molto marcate anche nell’ambito delle stesse zone produttive. In generale tuttavia, fatta eccezio-ne per alcuni casi sporadici, il livello di DON si è sempre mantenuto a livelli ampiamente al di sotto dei limiti di legge, con una media pro-vinciale di 653 ppb.Ancora più variegato il quadro del Ravennate: al confine con il Bolognese e il Ferrarese le ca-ratteristiche qualitative e quantitative sono state in linea con la media regionale, mentre nella par-te più interna e verso la costa, con una media di circa 5,5 t/ha, le rese hanno subito una flessione di almeno 1 t/ha. Anche il contenuto proteico pur mantenendosi discreto non ha superato il 13,5%. Elevato invece il peso specifico parago-nabile ai valori riscontrati negli altri areali.Più problematica la situazione relativa al DON, infatti sempre nelle zone più interne, la marcata variabilità dell’epoca di semina ha fatto sì che si creassero alcune aree favorevoli all’inoculo del Fusarium quindi all’accumulo della tossina portando in alcuni casi a sforare il limite di legge.Concludendo con Forlì-Cesena e Rimini, a livello qualitativo e igienico-sanitario si osser-va una situazione similare a quella di Ravenna con rese vicine alle 5 tonnellate per ettaro, in linea con la media storica dell’area.Il quadro per le prossime semine si presenta piuttosto articolato e non privo di incognite: infatti se i prezzi del grano duro si mantengo-no remunerativi, anche le altre colture non presentano particolari ribassi e le migliori rese le rendono competitive creando un qua-dro particolarmente incerto sino alla semina.Anche quest’anno quindi, il Progetto “Grano duro Alta Qualità in Emilia-Romagna” svolge-rà un ruolo importante nel proporre strumenti contrattuali volti a ridurre, almeno in parte, la variabilità di mercato, mantenendo ancora il legame con una remunerazione basata sui co-sti di coltivazione, ma anche pensando a nuovi strumenti internazionali che permettano di fare coperture anche a lungo termine.

Fig. 1 - La produzione mondiale pro-capite è aumentata prima del 1914 e soprattutto dopo il 1950, ed è rimasta più o meno costante nel periodo fra le due guerre mondiali.

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quelli di riso di 2,5 volte. Purtroppo, questi successi sono per loro natura effimeri. In-fatti, dopo alcuni anni di uso, le varietà ad alto rendimento tendono a perdere le pro-prie qualità e devono essere rimpiazzate. Finora il flusso di nuove varietà è stato suf-ficiente, ma sono stati e saranno necessari continui investimenti. D’altra parte la pos-sibilità di produzione di innovazioni bio-logiche è stata drasticamente aumentata dallo sviluppo delle tecniche di ingegneria genetica negli anni Settanta ed Ottanta. La prima pianta geneticamente modificata, la varietà di pomodoro Flavr-Savr, fu appro-vata dalla Food and Drug Administration americana per l’uso commerciale nel 1994.

La produzione di ibridi - La produzione di ibridi e, a maggior ragione, di organismi ge-neticamente modificati richiede competen-ze tecniche (per es. di genetica) ed attrezza-ture specializzate e quindi deve essere svol-ta in laboratori specializzati. D’altra parte, una volta note le varietà di origine, qualsiasi ditta specializzata può riprodurre un ibrido. Gli imitatori possono far profitti a spese dei pionieri che hanno investito nella ricerca (free riding). Questo può ridurre gli inve-stimenti e quindi il ritmo di produzione e di introduzione di nuove varietà. La soluzione tradizionale al problema è stato il ricorso ai fondi di benefattori, come le fondazioni Ford e Rockfeller nelle fasi iniziali della rivoluzione verde, o dello Stato. I governi hanno finanziato la ricerca di base attraver-so le università e quella applicata (e la dif-fusione delle pratiche corrette) fondando istituti appositi. La prima stazione pubbli-ca fu fondata dal governo della Sassonia a Mockern nel 1851 e nei decenni successivi, questo esempio fu imitato da quasi tutti i paesi europei e dagli Stati Uniti. Questi isti-tuti di ricerca furono all’avanguardia nella moderna ricerca sulle sementi ibride nella prima parte del XX secolo. I finanziamenti internazionali per la ricerca sulle varietà ad alto rendimento vennero erogati attra-verso centri specializzati come il CIMMYT (in Messico) o l’IRRI (nelle Filippine) che dal 1971 sono coordinati dal Consultative Group of International Agricultural Re-search (CGIAR). Nel complesso, l’investi-mento in ricerca è stato massiccio. Le spe-se complessive mondiali sono aumentate di quattro volte dal 1959 al 1981 e poi sono rad-doppiate nei successivi quindici anni. Negli ultimi anni però gli investimenti pubblici sono rimasti costanti o addirittura diminui-ti. La grande novità degli ultimi decenni è la crescita degli investimenti da parte di ditte private. Il problema del free riding è stato risolto dalla possibilità di brevettare nuo-ve varietà, riconosciuta per la prima volta negli Stati Uniti (per le piante) nel 1930. La brevettabilità di sementi fu riconosciuta dai paesi europei nel 1960 e negli Stati Uniti nel 1970-71 dal Plant Variety Protection Act. Nel 1961 fu fondata l’UPOV (“International Union for the Protection of new varieties of plants”), una convenzione per il recipro-co riconoscimento dei brevetti.

Quanto hanno contributo le innovazioni biologiche all’incremento della produ-zione agricola mondiale? L’incremento di efficienza (detta in termine tecnico Produtti-vità totale dei fattori o PTF) può essere mi-surato come la differenza fra l’aumento della produzione agricola e l’incremento dei fattori di produzione impiegati – terra, capitale e la-voro. Per tutto il “lungo” XIX secolo, fino alla prima guerra mondiale, la dotazione di fattori in agricoltura è aumentata abbastanza rapi-damente in tutto il mondo, ma il periodo fra le due guerre ha segnato l’inizio di una netta divaricazione fra i paesi sviluppati ed il resto del mondo che si è approfondita dopo il 1950. La crescita dei fattori è rallentata sensibil-mente, fino quasi ad arrestarsi nei paesi avan-zati, mentre è continuata nel resto del mon-do. Nel secondo dopoguerra, la quantità di fattori è aumentata nei paesi sottosviluppati (soprattutto in Asia) ed è diminuita in quelli avanzati, soprattutto per il crollo dell’occupa-zione. A livello mondiale, la quantità di fattori utilizzati è andata aumentando almeno fino al 2000, ma ad tasso più lento. Si deve quindi concludere che l’accelerazione della crescita della produzione agricola dopo il 1950 sia sta-ta causata principalmente dall’aumento nel tasso di incremento della PTF. Per il periodo precedente la seconda guerra mondiale, le stime della PTF si riferiscono quasi esclusivamente ai paesi avanzati. Il tasso medio di crescita per i paesi europei risulta essere attorno allo 0.8% nel secolo XIX e attorno all’1% nel periodo fra le due guerre. Per quasi tutti i paesi, la crescita nel secondo dopoguerra è più rapida che nel periodo pre-bellico – in media tre volte più rapida. Il tasso di crescita della PTF aggre-gata a livello mondiale dal 1960 al 2000 va-ria, a seconda delle assunzioni sulle quote dei fattori e dei metodi di calcolo, fra l’1% e l’1,25% annuo. La crescita è stata lievemen-te superiore per i paesi sviluppati (fra 1,5% ed 1,8%) che per il resto del mondo (fra 0,8% e 1%). Le cifre potrebbero sembrare basse – ma occorre ricordare che una cre-scita composta al saggio annuo dell’1%, cu-mulata su quarant’anni, corrisponde ad un aumento di efficienza del 50%. Si tratta di una performance notevole, e le innovazioni biologiche hanno senza dubbio contribuito in misura sostanziale a tale successo anche

se non è purtroppo possibile misurare il loro contributo con precisione.

Cosa ci riserva il futuro? In genere gli storici dovrebbero evitare di imbarcarsi in previsioni, ma alcuni trend sembrano or-mai consolidati. In particolare è altamente probabile che la domanda totale di prodotti agricoli aumenti per tre fattori:1) la popolazione continuerà ad aumentare: le previsioni delle Nazioni Unite per il 2050 variano da un minimo di 7,4 ad un massimo di 10,6 miliardi, con un valore più probabile di 9 miliardi – un aumento del 30%;2) il consumo pro-capite di generi alimen-tari non diminuirà e forse potrebbe aumen-tare se non altro per ridurre il numero di persone sottonutrite;3) la composizione della domanda tenderà a spostarsi dai cereali ai prodotti zootecnici a seguito dell’aumento del reddito. Questo cambiamento aumenta in misura notevole la quantità di terra necessaria, a parità di consumo calorico. Sembra da escludere che la quantità di fat-tori aumenti in proporzione alla domanda. Il capitale sarà sicuramente disponibile in abbondanza, ma appare poco probabile che la forza-lavoro in agricoltura possa au-mentare in maniera significativa. L’aumen-to della popolazione sta rallentando e la percentuale di agricoltori in età lavorativa tenderà a ridursi per il combinato effetto dell’aumento dell’età media della popola-zione e dell’urbanizzazione. E’ ancor meno probabile un aumento della terra coltiva-bile. Ulteriori incrementi della superficie irrigata sono tecnicamente difficili, molto costosi ed ecologicamente poco sosteni-bili. Le uniche estensioni di terra poten-zialmente disponibili sono le aree forestali superstiti, ma un massiccio disboscamento avrebbe conseguenze ambientali devastan-ti. E’ addirittura possibile che la quantità di terra disponibile si riduca per l’incremento degli usi non agricoli ed anche per proces-si degenerativi di terre irrigue. L’equilibrio fra domanda ed offerta di prodotti agricoli potrà essere ristabilito o con un aumento dei prezzi, con gravi conseguenze sociali o con un aumento ulteriore della produt-tività totale dei fattori - e soprattutto del-la terra. A tal fine, sarà indispensabile un flusso continuo di innovazioni biologiche.

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N. 20 - ottobre 2011Filiera Grano duro news

Il CIMMYT - International Maize and Wheat Improvement (Centro Interna-zionale di Miglioramento del Mais e del Grano), è un’organizzazione di ricerca no-profit, dedicata allo sviluppo di varie-tà migliorate di grano e mais e all’intro-duzione di pratiche agricole innovative e sostenibili che possano essere diffuse ai coltivatori di tutto il mondo.La sede principale è in Messico a El Ba-tán, località nei pressi di Città del Mes-sico, al centro dell’omonimo stato ed è uno dei 15 istituti di ricerca e formazione affiliati al CGIAR, il Gruppo Consultivo sulla Ricerca Agricola Internazionale. La principale risorsa del CIMMYT, oltre alle 90 filiali distribuite in tutto il mondo in cui lavorano 140 persone (Figura 1), è il network internazionale formato da ol-tre 400 partner e organizzazioni, tra cui è compresa anche la Società Produttori Sementi.La mission del Centro di Ricerca messi-cano comprende:1) il miglioramento genetico del mais e del grano e lo sviluppo di pratiche agri-cole sostenibili da diffondere nel mondo insieme ai nuovi genotipi selezionati;2) la conservazione del germoplasma mondiale del mais e del grano (Gene bank) in modo da assicurare un sufficien-te livello di biodiversità tra le specie col-tivate;3) lo sviluppo delle competenze nella Ricerca sul mais e sul grano: il CIMMYT

vuole rappresentare un punto di riferi-mento per tutti coloro che sono interes-sati allo sviluppo di queste due colture, con l’intento di coagulare le conoscenze e le professionalità attorno ad esse.

CIMMYT - un centro di riferimento internazionaleSenza scendere troppo nei particolari, la principale attività del CIMMYT è quella di sviluppare nuove varietà ad alto rendi-mento e in grado di resistere a condizioni ambientali particolari, come terreni poco fertili, siccità, malattie ecc. All’interno dei programmi di breeding convenziona-le, utilizzando il germoplasma a disposi-zione, i ricercatori generano variabilità genetica e tramite la valutazione in cam-po, generazione dopo generazione, sele-zionano e fissano le linee che presentano caratteristiche di elevata produttività e resistenza. Il germoplasma “migliorato” in Messico viene poi distribuito nel mon-do per essere valutato e testato in condi-zioni pedo-climatiche diverse (Figura 2). Questa attività ha una enorme rilevanza internazionale: ogni anno il CIMMYT di-stribuisce più di mezzo milione di cam-pioni di seme a più di 600 programmi di ricerca in 112 Paesi.Tutti i rilievi effettuati sulle linee inserite nei campi sperimentali dei centri interna-zionali di miglioramento genetico vengo-no raccolti, catalogati ed interpretati in modo da essere utilizzati nel processo di

selezione; un’attività fondamentale che permette al CIMMYT di avere un impatto molto rilevante nel miglioramento e nel-lo sviluppo della coltura del grano.I dati e il materiale genetico, ma più in generale tutta l’attività del CIMMYT, sono a disposizione della comunità mondiale, dagli enti pubblici, alle società private, dalle organizzazioni degli agricoltori, alle accademie, e le linee selezionate possono essere utilizzate liberamente all’interno di programmi di ricerca o essere diretta-mente registrate nei diversi Paesi.Come accennato precedentemente uno dei punti di forza della nostra attività sono i partner distribuiti nel mondo che, insieme al nostro Centro di Ricerca, for-mano un network chiamato IWIN - Inter-national Wheat Improvement Network, che partecipa a programmi di ricerca in-ternazionali. Questa struttura internazio-nale permette la condivisione e lo scam-bio di materiale genetico, di informazioni e di dati. Un network che è impegnato anche nello sviluppo di genotipi resisten-ti in aree dove vi sono particolari fitopatie assenti in Messico.Il CIMMYT inoltre può anche sviluppare delle partnership con centri di ricerca di eccellenza a livello mondiale nella gene-tica del grano, quali sono ad esempio la Società Produttori Sementi di Bologna e l’Università di Bologna. Questa attività ci permette di partecipare attivamente allo sviluppo di strumenti e metodi innovati-

la ricerca sul grano, strumento per lo sviluppo dell’agricoltura e per una migliore gestione delle risorse alimentariKarim Ammar – Responsabile del programma di miglioramento genetico del grano duro del CImmYt - messico

ATTIvITà DI RIcERcA

Fig. 1 Fig. 2

Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socio-economico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - argelato, 6 giugno 2011

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vi per la selezione genetica che possono così essere impiegati nei programmi av-viati nei Paesi “nostri clienti” in modo da aumentare l’impatto della nostra attività.La validazione delle nuove tecnologie è certamente uno degli aspetti chiave dell’attività di collaborazione con gli Istituti di ricerca. In proposito, voglio ricordare i due progetti sviluppati con la Società Produttori Sementi di Bologna, “Durum Wheat QTL - Genomica Grano duro” concluso circa un anno e mezzo fa e il Progetto Ager “From Seed to Pasta - Multidisciplinary approach for a more sustainable and high quality durum wheat production” cominciato da qual-che mese e attualmente in corso, che mi-rano proprio alla validazione delle nuove tecnologie sviluppate dal mondo della ricerca di base.

Il grano nel mondoVorrei analizzare ora la situazione mon-diale del grano. Il grano rappresenta la coltura più importante in tutto il mondo; in poco più di 200 milioni di ettari si pro-ducono 621 milioni di tonnellate di grano, con una produzione media di circa 3 ton-nellate per ettaro. Nei Paesi industrializ-zati il grano è la coltura più importante mentre nei Paesi in via di sviluppo, al cui interno rientra la popolazione asiatica, è seconda dopo il riso. In ogni caso questa coltura rappresenta l’alimento principale per circa 1,2 miliar-di di persone povere nel mondo, che gua-dagnano cioè meno di 2 dollari al giorno. Il grano è inoltre la coltura più commer-cializzata nel mondo e questo la rende anche coltura di soccorso per eccellen-za grazie alla sua facile trasportabilità e stoccaggio.Il mondo dipende dal grano anche per l’energia quotidiana (Figura 3). Ci sono Paesi dove il 60% delle calorie della dieta giornaliera sono fornite direttamente dal grano contro una media nel mondo del 20%. Questo ci fa capire quale sia l’im-

portanza che questa coltura assume nella dieta umana e come sia una risorsa stra-tegica per molti Paesi. Possiamo quindi prevedere che colture come grano, riso e mais, così rilevanti nella dieta di molte popolazioni, non cale-ranno nel tempo, ma anzi incrementeran-no le loro superfici con l’atteso aumento demografico. Nel 2030 il mondo avrà bi-sogno di produrre il 40% in più di grano e di raggiungere una produzione vicina a 900 milioni di tonnellate (Figura 4).Storicamente il grano è sempre stato ab-bondante, ma dagli anni ‘90 le riserve che sono state prodotte a livello planetario sono molto prossime al livello del consu-mo. Negli ultimi 6-10 anni l’intero pianeta ha “mangiato” le proprie riserve, consu-mando più grano di quello prodotto tanto che le riserve sono diminuite annualmen-te del 9,2%. Questo è un campanello d’al-larme che sta suonando, che al momento però non pare essere ascoltato.Non è una sorpresa quindi che il prezzo di questa commodities sia aumentato ve-locemente negli ultimi anni, raggiungen-do un culmine nel 2008 di 800 dollari a tonnellata, per poi ridiscendere nel 2009 e 2010 e riprendere recentemente la sua corsa al rialzo (Figura 5). Il trend è quel-lo di un ulteriore incremento del prezzo. Una previsione certamente positiva per i produttori dei Paesi sviluppati che espor-tano i propri raccolti, ma certo pessima per i Paesi importatori. Una situazione che in futuro potrebbe divenire fonte di una forte instabilità.

Cosa fare per mantenere il grano ac-cessibili a tuttiMantenere il prezzo dei cereali accessibile a tutti è un compito anche dei ricercatori e dei genetisti. L’obiettivo annuale dovrebbe essere quello di accrescere la produzione “genetica”, stimando un incremento per-centuale all’anno da 1 a 1,7 per il grano, da 1,6 a 2,4 per il mais e da 0,9 a 1,5 per il riso. E’ un obiettivo difficile da perseguire,

ma realizzabile; già in alcuni programmi nazionali di ricerca si è riusciti ad incre-mentare la produzione fino al 2%. Certo bisogna fare i conti con molti ostacoli: non ci sono più ad esempio territori dove espandere la coltura del grano, c’è meno acqua per le irrigazioni, i concimi diven-tano sempre più costosi come la manodo-pera in generale, e assistiamo a continui cambiamenti climatici. Le variazioni nel clima, su cui attualmente sono in atto mol-te discussioni, devono essere esaminate con grande attenzione perché concorrono in maniera importante ai cali delle produ-zioni. Si stima ad esempio che a causa dei cambiamenti climatici si potrà registrare una diminuzione delle produzioni nel nord dell’India del 15% da oggi al 2050. Per far fronte a tutto ciò è importante che la ri-cerca usi tutte le risorse a disposizione per cercare di mantenere elevato il potenziale produttivo delle colture.Norman Bourlaug, nel 1969 disse che: “la gravità e la vastità dei problemi del cibo nel mondo non dovrebbe essere mai sot-tovalutata. Il recente successo dell’espan-sione della produzione del grano, del riso e del mais nei paesi asiatici offre la possibilità di guadagnare 20 - 30 anni di tempo”. Per questa felice intuizione a Borlaug fu assegnato il premio Nobel nel 1970. Oggi, però, si è completamente dimenticato quanto da lui detto. Gli inve-stimenti da parte dei Paesi industrializzati per la crescita dell’agricoltura mondiale sono diminuiti a partire dal 1980 e paralle-lamente è iniziato a scendere anche il tas-so medio di crescita globale annuale delle produzioni. E’ proprio il caso di affermare che “raccogliamo ciò che seminiamo”. Questo è un aspetto centrale nella discus-sione; è necessario tornare ad investire in maniera forte sullo sviluppo dell’agricol-tura e su tutte le aree della ricerca.La “supply security”, la disponibilità di cibo per tutti, può essere raggiunta indiriz-zando la ricerca su tre principali caratteri:1) il primo è il potenziale produttivo;

Fig. 3 Fig. 4

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N. 20 - ottobre 2011Filiera Grano duro news

abbiamo la necessità di incrementare le capacità genetiche delle colture per ot-tenere produzioni più elevate e stabili in condizioni sub ottimali;2) dobbiamo anche essere in grado di proteggere le potenzialità produttive rag-giunte creando resistenze genetiche alle malattie dato che le soluzioni chimiche per il loro controllo sono opzioni efficaci solo in alcuni Paesi; 3) dobbiamo infine essere certi che le produzioni siano remunerative per chi le coltiva; un agricoltore in qualsiasi parte del mondo si trovi deve poter vendere il proprio raccolto ad un giusto prezzo otte-nendo un adeguato guadagno. Per questo motivo dobbiamo fornire dei genotipi che abbiano sufficienti qualità tecnologiche.

Contemporaneamente è necessario inve-stire sulle generazioni future trasferendo il patrimonio di conoscenze fin qui acqui-sito ai nuovi giovani ricercatori. Fino a qualche anno fa per un giovane diventa-re ricercatore era uno dei più lavori più prestigiosi; attualmente l’appeal che ha questa professione è molto diminuito. Le statistiche dicono che la diminuzione del numero di nuovi ricercatori va di pari passo con la diminuzione degli investi-menti dedicati alla ricerca. Senza perso-ne, senza ricercatori, senza nuovi breeder non si può avere innovazione.Per far fronte a questo aspetto bisogna orientare le politiche governative ad im-piegare maggiori risorse sulla ricerca. E’ fondamentale continuare ad investire in innovazione. Parallelamente però dob-biamo anche accertarci che questi inve-stimenti abbiano una ricaduta positiva sulla filiera agroalimentare, sia economi-ca che di carattere sociale.

Un altro aspetto rilevante è l’equilibrio tra la ricerca di base e la ricerca applicata. Dieci anni fa si pensava che utilizzando le biotecnologie avremmo fatto miracoli; alla fine del decennio stiamo utilizzando ancora le stesse tecniche di selezione e

solo ora le biotecnologie sono divenute mature per aiutare sufficientemente lo sviluppo del breeding.Non dobbiamo però dimenticarci del le-game tra la scienza di base e quella ap-plicata tra “upstream science” e “down-stream science” che sono assolutamente collegate. Dobbiamo mantenere un equi-librio tra questi due livelli di ricerca di-stribuendo le forze a disposizione.Non ci possiamo permettere di impegnare troppe risorse umane in programmi di ri-cerca vecchi di anni, ma al contrario dob-biamo puntare a progetti integrati come il Progetto Ager “From Seed to Pasta” di cui la PSB è capofila e in cui noi del CIM-MYT abbiamo il privilegio di essere coin-volti. Questo progetto può essere preso di esempio perché è uno dei pochi in cui realmente le persone sono impegnate ad ogni livello lungo la filiera tecnologica: dallo sviluppo delle nuove tecnologie, alla validazione delle stesse da parte dei bree-der, fino alla verifica in campo dei risultati direttamente presso gli agricoltori.

Miglioramento genetico del granoLavorando tutti insieme possiamo rag-giungere dei risultati enormi. La “Green revolution” è la dimostrazione di come un ricercatore lungimirante come Nor-man Bourlang riuscì con le proprie intu-izioni a risolvere problemi di una intera nazione. Formando tecnici e ricercatori e introducendo i geni di bassa taglia riuscì a far divenire il Messico autosufficien-te nella produzione del grano. Qualche anno dopo la rivoluzione verde fu espor-tata in Asia e, contemporaneamente in India e in Pakistan, dove vi erano milioni di persone assediate dalla carestia. Più tardi raggiunse anche il Mediterraneo, il Nord Africa, l’Est e il Sud dell’Europa, portando all’autosufficienza molti Paesi e permettendo così a tutti di beneficiare di queste innovazioni che hanno rivoluzio-nato l’attività di miglioramento genetico del grano.

Di esempi simili a questo, ce ne sono tantissimi in giro per il mondo, in Italia, in Francia, in Spagna, tante piccole rivo-luzioni verdi che sono avvenute grazie all’intuizione di ricercatori, cito Stram-pelli come esempio, che hanno avuto un grandissimo impatto sull’economia e sul-la agricoltura nazionale.

La storia del grano e in particolare del grano duro è stata influenzata in maniera determinante dalle attività condotte a So-nora in Messico. Se analizziamo l’incre-mento della produzione dal 1950 ad oggi nella Yaqui Valley (Figura 6), regione del Messico che comprende la città di Sono-ra, possiamo notare che l’incremento del-la produzione in ciascuna decade è stato determinato da un piccola ma puntuale innovazione genetica o dall’interazione tra genetica e agronomia, ed evidenzia come l’introduzione di un gene o di una serie di geni attraverso metodi tradi-zionali abbia avuto un profondo impat-to sulla società messicana. Quest’anno (2011) nella Yaqui Valley la produzione media che siamo riusciti a raggiungere su 180.000 ettari è stata di 6,7 tonnellate ettaro, una produzione che rappresenta un vero e proprio record - solo 4 anni fa la produzione era di circa 1,5 ton/ettaro – un risultato raggiunto grazie anche ad un buon andamento climatico, ma soprattut-to per merito di varietà dotate di ottime potenzialità produttive e di corrette pra-tiche agricole.

Un secondo esempio che mostra come l’attività di breeding e il miglioramento delle pratiche agricole abbia avuto un forte impatto sull’economia di un Paese è rappresentato dalla Tunisia.Se osserviamo il grafico in figura 7 che riporta i dati di produzione nazionale del grano duro della Tunisia, indicando an-che i minimi e i massimi di produzione in ciascuna decade dall’inizio del 1900 fino ai giorni attuali, possiamo constatare come dagli anni ‘60, dopo l’introduzione

Fig. 5 Fig. 6

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dei geni di bassa taglia e l’utilizzo di cor-rette pratiche agricole la produzione sia triplicata. Ma la cosa ancora più impor-tante da notare è che anche negli anni più negativi - ricordiamo che siamo in un am-biente mediterraneo che può registrare annate favorevoli alternate ad altre meno positive - si è prodotto comunque più gra-no di quello che si otteneva nelle migliori annate prima del 1960. Risultati simili a quelli della Tunisia si sono registrati alle stesse latitudini in Marocco, Algeria, In-dia, Afghanistan.

Fortunatamente, dopo la rivoluzione ver-de c’è stata comunque, anche se poco conosciuta, una continua evoluzione dell’incremento medio della produzione mondiale. Se si analizzano i dati registrati su materiale genetico del CIMMYT distri-buito nel mondo dal 1983 al 2004, possia-mo notare come ci sia stata una evolu-zione lenta, ma costante dell’incremento della produttività (Figura 8).Risultati che non sono spettacolari come quelli raggiunti dalla Green revo-lution, ma che sono stati fino ad oggi fondamentali per continuare a soddi-sfare l’aumento della domanda di cibo, cresciuta parallelamente all’incremento demografico.Per fare capire quanto è importante la

ricerca vorrei portarvi come esempio quello legato alla ruggine nera. Qualche anno fa una nuova razza di ruggine nera la Ug99 (Ruggine nera), fu isolata per la prima volta in Uganda nel 1999. Tale raz-za si è dimostrata in grado di superare molte delle resistenze presenti nella va-rietà coltivate e ha creato danni ingenti in Kenya e in Etiopia, diffondendosi ra-pidamente verso il corno d’Africa fino a raggiungere il medio oriente, Siria, Iran, Yemen, Iraq, Afghanistan, minacciando le colture, in particolare di frumento te-nero (Figura 9).Grazie alla mobilitazione della comunità scientifica mondiale, circa 300 specialisti, patologi e breeder sono riusciti a indivi-duare delle varietà resistenti, che sono state introdotte nei Paesi minacciati. Questo è un esempio di come la comu-nità scientifica internazionale sia riusci-ta insieme a reagire ad una minaccia, un esempio che dobbiamo tenere molto in considerazione.

Non posso infine dimenticare di parlare anche della qualità delle produzioni. A tal proposito vi riporto l’esperienza del Messico che, fino a qualche anno fa, po-teva esportare solo il 30-40% del grano duro, in quanto la qualità della restante produzione non soddisfaceva gli stan-

dard di qualità internazionali. Per questo motivo i ricercatori coinvolti in alcuni programmi nazionali si sono avvalsi del “supermarket” CIMMYT e hanno iniziato a testare il germoplasma a disposizione, identificando tre linee che presentavano caratteristiche idonee per soddisfare le esigenze qualitative dei mercati. Oggi la produzione di grano duro del Messico è in grado o potenzialmente in grado di competere con gli standard qualitativi internazionali, avendo la certezza che il grano esportato possa essere remunerato al miglior prezzo di mercato. Ecco quindi un ulteriore esempio di come le innova-zioni introdotte dai ricercatori possano avere un enorme impatto sulla sostenibi-lità economica di una intera regione.

Ritengo che oggi sia possibile rendere il grano accessibile a tutti ad un prezzo sostenibile. Abbiamo gli strumenti e le conoscenze per renderlo possibile. Dob-biamo però essere in grado di cambiare il modo di lavorare, dobbiamo essere re-attivi e soprattutto dobbiamo lavorare in-sieme, in maniera collettiva. Concludo il mio intervento con una frase molto signi-ficativa di Norman Bourlag: “se desidera-te la pace, coltivate la giustizia, ma col-tivate anche i campi per produrre più pane, altrimenti non ci sarà mai pace”.

Fig. 9 Fig. 10

Fig. 7 Fig. 8

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N. 20 - ottobre 2011Filiera Grano duro news

Può essere di particolare interesse ripercor-rere la storia, ormai centenaria, della So-cietà Produttori Sementi di Bologna (PSB), per almeno due ordini di ragioni. Il primo concerne l’attività stessa della Produttori Sementi, il suo core business, ovvero il mi-glioramento varietale: su scala mondiale, dall’Ottocento ad oggi la ricerca genetica in agricoltura, contribuendo ad innalzare la produttività della terra, è stato uno dei fat-tori che ha reso possibile il sostentamento di una popolazione in crescita esponenziale; per l’Italia, basti pensare che dal 1900 a oggi, in base ad un calcolo approssimativo, oltre la metà del miglioramento della produttività della terra è riconducibile all’introduzione di nuove varietà. Il secondo motivo è l’im-portanza – forse esemplare – che la vicenda della PSB può assumere per una parte del sistema produttivo italiano. Questi negli ul-timi decenni si è andato specializzando ver-so la piccola dimensione d’impresa, lascian-do adito a severi dubbi sulla sua capacità di fare innovazione, stante le ridotte dimensio-ni. Ebbene, la Produttori Sementi dimostra che anche le piccole imprese possono com-petere nella con le grandi multinazionali mondiali, ma a patto di operare in un con-testo, come l’Emilia-Romagna, di istituzioni efficienti ed elevato capitale sociale.La storia della società si può suddividere in quattro fasi principali. I capitoli del volume sono organizzati seguendo questa scansione, ad eccezione dell’ultima fase (dal 1974 ad oggi) che è stata ripartita in due capitoli, per meglio dare conto dei più recenti successi che sono seguiti alla filiera con la Barilla.

Gli anni del decollo (1912-18) corrispon-do alla fase di avvio della società: l’intuizione strategica dell’agronomo Francesco Todaro, di unire ricerca scientifica e trasferimento dell’innovazione, può realizzarsi grazie alla collaborazione di diverse istituzioni locali, da quella degli agrari bolognesi, la Società Agraria, che diventa il principale azionista della Produttori Sementi, alla Cassa di Ri-sparmio di Bologna, che fornisce il capitale necessario, all’Università di Bologna.

La seconda fase (1919-1943) vede una lunga espansione commerciale e organizza-tiva, conclusasi con la seconda guerra mon-diale. Mentre l’Istituto di Allevamento Vege-tale, creato ancora su impulso di Francesco Todaro nel 1919, si dedica alla ricerca scien-tifica, nella selezione per linea pura e poi ne-gli incroci, la PSB realizza elevati fatturati e buoni utili: grazie da un lato alla crescente

Alle origini del made in ItalyEmanuele Felice - Università autonoma di Barcellona

cENTENARIO PSB

commercializzazione delle sementi, dall’al-tro alla politica di gestione in provincia di Bologna degli ammassi granari; può quindi realizzare importanti investimenti, che ne fanno un attore di primo piano nel panora-ma dell’agricoltura del tempo.

Il secondo dopoguerra (1946-73) vede la Produttori Sementi alle prese con un difficile riavvio, che tuttavia segna le basi per il suc-cessivo rilancio. È questa la terza fase della storia della società. Da un lato, nel 1946 si consuma la separazione con l’Istituto di Al-levamento Vegetale; dall’altro, la Produttori Sementi si lega sempre più alla Cassa di Ri-sparmio di Bologna, che diviene l’unico azio-nista di riferimento. Tutto ciò in un contesto in cui l’agricoltura nazionale va cambiando radicalmente volto, immersa in un processo di modernizzazione che non ha precedenti: mentre il costo del lavoro cresce, la mecca-nizzazione espelle manodopera, e gli agrari non hanno più il ruolo centrale nella socie-tà che rivestivano prima. Di fronte a questa situazione di crisi, la società torna a fare innovazione in proprio, in primis nel gra-no tenero, seguendo la linea della selezione per incroci. In questo campo sono necessari molti anni prima che i risultati della ricerca giungano alla fase di commercializzazione, ma quando questi vi arrivano (la varietà Pro-duttore a metà anni cinquanta, poi l’Argelato dal 1960, l’Irnerio a fine anni sessanta) per-mettono alla PSB di conseguire la leadership nazionale nelle sementi di grano tenero. La Produttori Sementi torna insomma al suo core business originario, creando così le basi per una nuova espansione.

Dal 1974 possiamo fare iniziare un quarto periodo, che si apre con la nomina del nuo-vo direttore Ercole Borasio e dura fino ai nostri giorni, caratterizzato dalla crescente globalizzazione e integrazione dei merca-ti. Di nuovo vediamo l’insorgere di gravi difficoltà di contesto: sul mercato italiano arrivano le grandi multinazionali, con possi-bilità di ricerca molto maggiori della Produt-tori Sementi, mentre per effetto della nuova politica agricola comunitaria si restringe la superficie coltivata a grano tenero. Come re-agisce la società di fronte alle nuove sfide? Ancora una volta, trasformando le situazio-ni di crisi in occasioni di crescita, ovvero at-traverso tre momenti di svolta fra loro cor-relati. Primo, con il sostegno della Cassa di Risparmio vengono decisi e realizzati nuovi investimenti (il moderno centro cementiero ad Argelato). Secondo, la Produttori Semen-

ti intuisce in anticipo che la strada per re-stare competitivi è quella del collegamento con le grandi società dell’agro-alimentare: alla metà degli anni ottanta, è la prima in Italia ad avviare i contratti di filiera, fra cui spicca la partnership con la società Baril-la, la principale azienda pastaria in Italia e nel mondo. Terzo, la società in filiera con la Barilla si sposta nel settore del grano duro, dove ben presto, grazie alle nuove varietà prodotte (Svevo, Iride, Saragolla, Levante), consegue il primato nel mercato nazionale.

Negli ultimi anni, con la riforma del sistema bancario che istituisce le fondazioni, anche la Produttori Sementi trova una sua caratte-rizzazione giuridica più precisa, diventando a tutti gli effetti società strumentale non profit della Fondazione Cassa di Risparmio di Bologna. Dopo una breve fase di diversi-ficazione, la PSB torna a dedicarsi esclusiva-mente alla sua principale attività, ovvero la specializzazione nella ricerca scientifica in ambito cerealicolo. Impressionante risulta il successo che la società consegue, nel volge-re di appena una manciata di anni, in ambito internazionale: ad oggi il fatturato estero ha raggiunto un quarto del totale e coinvolge decine di paesi, in tutti i continenti. In alcuni paesi (diversi stati europei e poi ancora Tur-chia, Tunisia, Usa, Marocco) vengono avviati veri e propri contratti di filiera, su modello di quanto fatto in Italia.Da quanto riportato sinora, ancorché in ma-niera assai succinta, si evince la validità di quanto accennato all’inizio: la storia di così lunga durata della Produttori Sementi è no-tevole (e lodevole) non solo per l’oggettiva importanza della sua attività – il migliora-mento genetico in cerealicoltura, che con-tribuisce al sostento della popolazione uma-na – ma anche perché, nel contesto italiano, la società bolognese rappresenta un caso esemplare di innovazione applicata alla pic-cola dimensione: di come questa possa ave-re successo anche in un mondo globalizzato che vede sulla scena i grandi centri di ricer-ca multinazionali. La Produttori Sementi è forse un piccolo antidoto al declino.

Intervento tenuto al convegno “100 anni di Ricerca scientifica e di organizzazione di impresa per la diffusione dell’innovazione quale essenziale contributo allo sviluppo tecnico-scientifico e socio-economico nel settore Agro-industriale” - Centro Sementiero PSB - argelato, 6 giugno 2011

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