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RELAZIONE di SANTO BIONDO SEGRETARIO GENERALE UIL CALBRIA

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Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

RELAZIONE di

SANTO BIONDOSEGRETARIO GENERALE

UIL CALBRIA

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

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Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

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Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

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verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

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rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

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rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

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rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

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In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

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abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

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teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

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teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

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teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

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teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

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teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

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Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

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La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

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La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

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La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

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no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

Care delegate e cari delegati benvenuti alla nona Conferenza di Organizzazione

della Uil Calabria. Permettetemi, prima di entrare nel merito della relazione, di salu-

tare la dirigente e i ragazzi e le ragazze dell’istituto scolastico che hanno accolto con

gioia ed entusiasmo la decisione di svolgere in questa aula magna i lavori della

nostra Conferenza di Organizzazione. Alla professoressa Rossana Costantino, che

è anche una nostra iscritta che ha accolto con piena partecipazione l’occasione cur-

riculare per i suoi studenti racchiusa nella nostra iniziativa, va il nostro ringrazia-

mento.

Un bentornato ed un grazie lo rivolgiamo per la loro presenza al nostro segretario

generale Carmelo Barbagallo, al nostro segretario organizzativo Pierpaolo Bom-

bardieri e a tutti i gentili ospiti che per il solo fatto di essere qui contribuiscono a

rendere questa nostra Conferenza di Organizzazione una giornata di proficuo

lavoro per la Uil e anche una piacevole occasione per stare insieme.

E’ anche grazie a Carmelo, interprete di una missione sindacale e sociale lungimi-

rante che oggi viene rispolverata da molti, se oggi siamo qui, se abbiamo scelto di

svolgere questa nostra giornata di discussione sul futuro della nostra organizzazio-

ne all’interno dell’aula magna dell’Istituto “Luigi Einaudi”. Il nostro segretario

generale, infatti, sta investendo gran parte del suo tempo sui territori, all’interno dei

luoghi di lavoro, nei laboratori dove si costruisce l’Italia del domani. Lo sta facen-

do, innanzitutto, per saldare ancora di più il contatto con le lavoratrici ed i lavorato-

ri, stando vicino ai problemi della nostra gente.

Proseguendo nel solco tracciato da Carmelo, abbiamo organizzato oggi un ritorno

al nostro passato: un ritorno alle aule scolastiche.

Questa mattina infatti uscendo ancora una volta dai canoni classici dell’organizza-

zione, dopo l’ultimo congresso regionale svolto dentro un’officina meccanica di

Rfi, abbiamo voluto ricercare uno spazio dal quale lanciare un messaggio di vici-

nanza e di primo contatto per noi con il mondo nel quale si formano i nostri giova-

ni: con la scuola.

In questa fabbrica del lavoro del futuro. Dentro queste mura, e in generale all’inte-

rno delle scuole e delle università italiane, si formano i lavoratori, le lavoratrici, la

classe dirigente del domani, ragazzi e ragazze di oggi che con il sapere acquisito

attraverso l’intelligente opera dei loro professori, fra qualche anno, entreranno a

contatto diretto con la sfera produttiva della nostra società. Entreranno a contatto

diretto con quel mondo del lavoro nel quale noi, ogni giorno, dispieghiamo le

nostre forze, le nostre energie. E, dunque, entreranno in contatto con noi, con il

sindacato.

Ai giovani dobbiamo rivolgerci per estendere il recinto classico della nostra missio-

ne sindacale. Nelle nostre azioni non dimentichiamo di certo le camere sindacali e

le piazze, ma non possiamo fare a meno di accostarci ai luoghi in cui si costruisce

il futuro del nostro Paese e con i loro protagonisti.

Nei confronti dei giovani abbiamo il dovere di spalancare le porte delle nostre

strutture sindacali.

Siamo pronti a farlo!

Nella consapevolezza però che per affascinarli a noi è fondamentale parlare di loro,

parlare con loro, delle loro ansie, delle loro preoccupazioni, ma anche delle loro

aspirazioni e dei loro sogni.

Il sindacato confederale unitario, la Uil,

accanto al tema delle pensioni, del

domani dei nostri giovani, deve sottopor-

re al Governo la questione della distanza

che c’è oggi nel nostro Paese tra l’esperi-

enza scolastica e

quella professionale, perché solo con il

lavoro i giovani si avvicineranno a noi e

potranno valutare liberamente e in auto-

nomia intellettiva se allontanarsi dalle

sirene del populismo, fenomeno del

nostro secolo che pone a rischio la tenuta

democratica delle nostre comunità.

Il 4 dicembre al Paese ha parlato anche il

disagio dei nostri giovani!

Scuola, formazione, lavoro, questo è il

nodo più grosso che l’Italia ha da

sciogliere nei prossimi anni e noi possiamo e dobbiamo contribuire a farlo.

Alcuni dati ci dicono che, purtroppo, la scuola e il mondo del lavoro non sempre

riescono ad entrare in contatto e quando lo fanno, spesso, non portano ai risultati

sperati.

Il sistema duale, il modello formativo che dovrebbe integrare la scuola e il mondo

del lavoro, in una parola il Jobs act, non sta dispiegando gli effetti auspicati dal Go-

verno. In Italia, come si può capire dalla tabella, solo uno studente su tre ha svolto

formazione on the job dentro un’azienda.

Gli studenti che sono stati interessati a questo periodo di formazione sono solo il

36,1% della platea nazionale.

Troppo poco!

Scendendo dentro i particolari del dato viene fuori che il 50% di questi proviene da

istituti tecnici, il 60% da quelli professionali, mentre la percentuale di alunni prove-

nienti dai licei, che hanno avuto modo di provare sul campo l’esperienza dell’alte-

rnanza scuola-lavoro, non è andata oltre il 20%.

In questo contesto preoccupante il dibattito nazionale è tutto orientato a definire

quali potranno essere gli effetti di Industria 4.0 sull’occupazione, mentre non ci si

accorge della vera sfida che l’innovazione tecnologica porta con sé.

Il processo innovativo non può essere certamente fermato e in questa corsa contro

il tempo ciò che rimane fermo è il mercato del lavoro italiano, i servizi per il lavoro,

i programmi di formazione e le politiche attive che, ad oggi, non sono ancora

pronti a costruire le figure professionali che serviranno al mondo produttivo italia-

no del domani.

La stessa Anpal, a cui il Governo Renzi aveva assegnato questo compito, è un sog-

getto non ancora perfettamente costruito e rischia di trasformarsi nell’ennesimo

carrozzone della politica.

L’altro aspetto da sottolineare consiste nel fatto che tra le poche aziende che sce-

gliendo la strada dell’alternanza scuola-lavoro hanno aperto le proprie porte ai gio-

vani marcata è la distanza fra il Nord e il Sud del Paese. Le aziende del Mezzogior-

rischiano di essere condannati per sempre a non poter salire su quell’ascensore

sociale che, negli anni del dopoguerra, ha permesso il riscatto delle masse, della

cosiddetta classe operaia, della nostra gente.

Quella fase storica è certamente archiviata, ma l’obiettivo di più uguaglian-

za sociale per i nostri giovani va rilanciato!

Dunque, giovani e lavoro valori su cui investire per il futuro dell’Italia. Nel 2016,

grazie alla Uil ed al lavoro unitario con Cgil e Cisl, siamo riusciti a centrare gli

obiettivi del rinnovo di molti contratti collettivi di lavoro e abbiamo ottenuto una

rinnovata attenzione sul tema della previdenza, offrendo così più tutele ai lavorato-

ri, alle lavoratrici e ai pensionati di oggi.

Al Governo chiediamo più celerità e progettualità, più tetele per le lavoratrici, i

lavoratori ed i pensionati di domani.

Bisogna provare ad invertire l’orologio della storia. Non è un’operazione semplice

ma la rassegnazione non può sopraffarci. Se fino ad oggi i giovani del Sud, quelli

della Calabria, sono cresciuti sapendo che, prima o poi, se ne sarebbero andati via,

oggi, invece, è compito delle classi dirigenti soprattutto del Mezzogiorno lavorare

perché non sia tutto questo così scontato.

E’ questa la sfida che la Nazione tutta è chiamata ad affrontare anche e, soprattutto,

attraverso la buona politica, quella che troppo spesso purtroppo è sopraffatta dalla

cattiva politica che è lontana dai problemi dei territori e di chi li abita.

Il Paese vive, infatti, una condizione di attesa per via delle vicende che riguardano

il Governo, sul quale si riversano gli effetti del conflitto interno al partito di mag-

gioranza relativa in Parlamento.

In generale si avverte che la politica di governo e di opposizione è proiettata più a

discutere delle questioni interne dei partiti, degli interessi di parte, anziché concen-

trare le proprie energie e forze sui problemi reali degli italiani.

Esempio di ciò ne è la stessa legge elettorale, che prima del referendum veniva

posto come l’obiettivo primario per rendere il sistema politico funzionale e stabile,

mentre adesso, metabolizzato il 4 dicembre, è uscita dall’agenda politica del Parla-

mento.

L’Italia, intanto, si avvicina al momento elettorale delicato, con una norma rivista

dalla Corte Costituzionale, che ha sopperito alla mancanza di operosità della politi-

ca sul tema e il Paese si appresta al voto con un sistema elettorale che rischia di pre-

stare il fianco all’instabilità, causa principale della mancanza di riforme strutturali

necessarie per la crescita sociale, economica e occupazionale dell’Italia.

La questione pubblica più interessante del momento consiste nel sapere cosa fa l’ex

presidente del Consiglio e non, invece, capire cosa può servire per sostenere la cre-

scita civile, sociale ed economica degli italiani.

Questa irresponsabilità dei partiti rischia di allargare sempre di più la distanza fra

gli italiani e la politica, spingendoli nelle braccia del populismo. I populismi sono il

segnale di un malessere profondo percepito da molte persone in Italia ed in

Europa. Le inquietudini che questi movimenti intercettano sono reali e non posso-

no essere eluse ma vanno, invece, affrontate con buone politiche.

Sono sotto gli occhi di tutti le difficoltà che vive la Nazione: basso Pil, blocco

dell’ascensore sociale. Nei giovani aumenta ulteriormente la percezione di vivere in

uno Stato che non offre loro la speranza di poter realizzare i propri sogni e le pro-

prie aspirazioni.

L’Italia è un Paese che non investe più nel lavoro stabile e duraturo!

Sono ormai diversi anni che è in atto un dibattito inconcludente sulla necessità di

abbassare in modo strutturale le tasse sul lavoro incentivando i contratti a tempo

indeterminato.

Uguale condizione di attesa vive l’Europa. Germania, Francia e Italia vanno verso

elezioni e ciò annulla la discussione sul come riportare l’Europa agli antichi valori

fondativi di solidarietà, uguaglianza, sussidarietà e apertura ai popoli. L’austerità e

la crisi hanno contribuito a rendere più egoisti i Paesi dell’Ue. Tutto ciò non favori-

sce la costruzione degli Stati uniti d’Europa ma porta al disfacimento di un sogno

comune e gli scricchiolii di una possibile rottura del sogno europeo iniziano a per-

cepirsi. La Brexit, con tutte le ricadute che ancora non possiamo prevedere, è l’ese-

mpio plastico del dissolvimento dell’idea costituente dell’Europa.

Dentro questa Europa, che ancora oggi stenta ad essere un solo Paese, l’Italia da

anni è diventata la porta d’ingresso di coloro che scappano dalle loro città sfregiate

dalla guerra, dalla fame, dalle persecuzioni etniche e religiose. L’Europa, l’Italia

dentro l’Europa, devono trovare soluzioni concrete rispetto alla questione immi-

grazione anziché contribuire ad alimentare gli estremismi.

Noi, la stessa Ces, su questo tema possiamo dare un valido contributo: l’idea di

destinare l’8 per mille ad azioni di sostegno concreto a queste popolazioni, lanciata

dal meeting di Lampedusa, può rappresentare un primo passo in questa direzione.

In questo contesto nazionale ed europeo di incertezze bisogna riconoscere che

negli ultimi due anni non abbiamo avuto vita facile: gli attacchi ed i tentativi di dele-

gittimare la nostra azione nel corso del 2015 sono stati tanti e provenienti da diversi

settori del Paese. Ma abbiamo reagito e il 2016 è stato per Uil, Cgil e Cisl l’anno del

recupero sul terreno del confronto con il Governo e Confindustria. Ci siamo riu-

sciti soprattutto grazie all’azione unitaria portata avanti, da noi fortemente voluta e

teralità tra Governo e Regioni, fra centro e periferia, che negli anni ha avuto come

obiettivo lo scambio fra potere politico e consenso.

Non può sfuggire, poi, che dei quasi 5 miliardi di euro previsti dal Patto per la Cala-

bria, oltre 3 miliardi e 600 milioni sono fondi elargiti dall’Unione europea a questa

regione attraverso il finanziamento di Por, Pac, Apq, Fsc e Pon e poco meno di 1

miliardo e mezzo sono le risorse di competenza del Governo, finanziamenti che

comunque il Governo è costretto a stanziare per la Calabria, per forza di legge, per

poter usufruire dei meccanismi che soprassiedono alla spesa comunitaria.

Dunque, se il Masterplan dà alle regioni risorse già assegnate ai territori del Sud

legate alle politiche di coesione nazionale e territoriale e se i Patti continuano a per-

petrare una logica localistica e non sovraregionale di sviluppo, è evidente che il Go-

verno deve ancora prevedere un intervento strutturale e complessivo di messa in

sicurezza delle regioni del Sud.

L’Italia può diventare una nazione 4.0 solo se riuscirà a condurre in questa direzio-

ne tutto il Paese partendo proprio dalla sua parte strutturalmente più debole. In

caso contrario in Italia si arriverà ad una secessione di fatto che porrà anche a noi

la difficoltà di mettere in campo una politica sindacale di respiro nazionale.

Questa è la sfida che deve impegnarci tutti con maggiore forza e convinzione!

Nelle scorse settimane, durante un incontro promosso a Roma da Cgil, Cisl, Uil e

Confindustria, il ministro De Vincenti si è impegnato a confrontarsi con il sindaca-

to sui Patti e sulla fase di attuazione degli investimenti.

L’impegno assunto dal Ministro è positivo perché ci consente di verificare l’attuazi-

one dei programmi ed esercitare il controllo sociale sull’avanzamento degli inter-

venti che i vari Patti prevedono per la Calabria e, soprattutto, di confrontarci in un

tavolo aperto con il Governo e le altre regioni del Sud d’Italia.

Non bisogna mollare la presa sul Governo!

In questo contesto, grazie allo sforzo congiunto con Cigl, Cisl e Confindustria Ca-

labria, siamo riusciti a dare vita alla Cabina di regia sul Patto per la Calabria. Nel

confronto aperto con gli interlocutori istituzionali, però, è emerso che le politiche

di sviluppo e crescita, che gli investimenti prevedono all’interno dei Patti per il Sud,

sono scollegati dalle politiche attive per il lavoro. Questi interventi mal si conciliano

con quei provvedimenti normativi che gli attori del mercato del lavoro italiano

sono chiamati a mettere in campo per creare nuova occupazione, ma anche per

riqualificare e ricollocare i tanti disoccupati percettori di mobilità in deroga che in

questi anni hanno perso il lavoro in Calabria così come nelle altre regioni meridio-

nali.

Ciò che noi abbiamo evidenziato è stato raccolto dal ministro De Vincenti che si

detto disponibile ad un approfondimento operativo di quanto da noi sottolineato.

Non può sfuggire in ogni caso che questa mancanza di collegamento fra i patti e

l’Anpal è già di per se la prova dell’approssimazione con la quale l’intervento per il

Mezzogiorno è stato pensato dal Governo Renzi.

Dunque per il Mezzogiorno il Governo nazionale e le amministrazioni locali

devono procedere nel dare vita a qualcosa di più efficace e concreto.

Noi siamo pronti a fare la nostra parte, partendo dall’apertura al confronto

che il Consiglio dei ministri ci ha riconosciuto sui Patti!

Perché noi siamo convinti che la Calabria e il Mezzogiorno possono ancora farcela

a risollevarsi dalla situazione in cui si trovano. La Calabria ha tanti nodi da scioglie-

re, numerosi i problemi con i quali si trova a dover fare i conti, tante le emergenze.

Ma questa regione, la nostra terra, ha una grande opportunità e delle sue potenziali-

tà. E su questi aspetti, noi come Uil, sul territorio, ricercando l’azione unitaria con

La Uil calabrese, a partire dal suo gruppo dirigente, dai delegati aziendali, dagli ope-

ratori dei servizi è impegnata quotidianamente all’interno dei luoghi di lavoro, nei

territori, all’interno dei nostri uffici, durante gli incontri con le amministrazioni e le

controparti, a dare risposte a tutti i calabresi che si affidano a noi, che sono tanti e

sempre di più. Noi di questo siamo orgogliosi e siamo fiduciosi nel domani anche

perché sappiamo di essere sostenuti in questo compito non facile da tutta la Uil, a

partire dal nostro segretario generale.

Sentiamo in questa fase delicata per la Nazione e per il sindacato il peso della nostra

responsabilità di dover avviare il Paese verso il giusto cambiamento, nel cambia-

mento che è, comunque, in atto nella società italiana. Noi ci sentiamo di dire che

questa occasione di cambiamento va utilizzata al meglio partendo da ciò che tutti

insieme abbiamo deciso nella nostra Conferenza di organizzazione nazionale di

Roma per mettere in sicurezza la Uil di oggi e di domani.

Questa è la Uil: una passione che non passa!

Viva il sindacato, viva la Uil!

no, infatti, rispetto a quelle del Nord dialogano sempre meno con il mondo della

scuola e della formazione professionale.

E la Calabria? Nella nostra regione sono poco meno di tremila le strutture che

hanno scelto di ospitare momenti di formazione on the job.

La Calabria rispetto alle altre regioni della Penisola appare in forte ritardo su questo

fronte ed ha fatto registrare un valore assoluto di poco superiore al 2%, uno degli

indicatori più bassi rispetto a quelli raggiunti dalle tante altre regioni del Mezzo-

giorno d’Italia.

Al Sud, purtroppo, emerge solo la Puglia. Questo dato mette in evidenza la carenza

strutturale nelle politiche di alternanza fra scuola e lavoro che sta contrassegnando

il presente di questa terra e di gran parte della Penisola.

Nel Mezzogiorno, dunque, più che nel resto del Paese, alle urgenze occupazionali,

alla carenza di opportunità di lavoro per le giovani generazioni si vanno ad aggiun-

gere anche le difficoltà degli istituti scolastici di perseguire al meglio i percorsi for-

mativi previsti dalla legge.

Il rischio di segnare ulteriormente e in peggio il destino delle nostre ragazze

e dei nostri ragazzi è molto alto!

Se in Europa l’alternanza fra scuola e lavoro è uno dei pilastri fondamentali per la

crescita economica e occupazionale degli Stati membri, in Italia questa esperienza

è ferma al palo.

Tutto questo mette, ancora una volta, in evidenza il fallimento delle politiche impo-

ste dalla riforma del mercato del lavoro voluta dal Governo Renzi.

Tutto questo è inaccettabile!

E’ insopportabile per una Nazione che ha l’ambizione di porsi a guida del processo

di sviluppo europeo. Tutto ciò è ancora più intollerabile, se il nostro sguardo si sof-

ferma sulle difficoltà nelle quali sono costrette ad agitarsi tutte le istituzioni scola-

stiche e quelle del mondo universitario. Esperienze che, troppo spesso, sono chia-

mate a fare i conti con un’arretratezza strutturale insopportabile che è frutto di

un’indifferenza politica e istituzionale.

Il benessere scolastico, così come quello lavorativo sottolineato dal nostro segreta-

rio generale Carmelo Barbagallo, è determinante per vincere la sfida con il futuro,

per offrire ai nostri giovani studenti il migliore ambiente possibile dove accrescere

la loro cultura e le loro competenze professionali.

Benessere scolastico che più semplicemente vuol dire rendere calde e fruibili a tutti

gli studenti le scuole del Paese: in Italia solo due plessi scolastici su dieci sono

accessibili alle ragazze ed ai ragazzi diversamente abili.

Non è condizione da Paese civile!

Nel tempo, poi, della crescita delle disuguaglianze: tra popoli, tra generazioni, tra

territori, tra lavoratori di Serie A di Serie B, vi è una disuguaglianza più silenziosa

che riguarda i giovani nelle università, soprattutto al Sud.

Problema questo che riguarda migliaia di famiglie, composte anche da nostri iscrit-

ti, che rimangano ai margini di una società in cui, chi è ricco può garantirsi un

futuro e chi, invece, non ne ha le possibilità è condannato, per il sistema universita-

rio italiano soprattutto al Sud, a non poter godere del diritto allo studio.

A causa di queste condizioni di diseguaglianza reale, prodotte dalla crisi non solo

economica del Paese, dalla crisi del sistema scolastico e universitario, dalla crisi del

Sud e della Calabria, migliaia di ragazze e ragazzi a queste latitudini soprattutto

ricercata con convinzione da Carmelo e da tutta la Uil. Azione unitaria che sul

piano nazionale ci ha permesso di portare alcuni risultati importanti a vantaggio dei

lavoratori, delle lavoratrici e dei pensionati italiani.

Certo, la strada da fare è ancora tanta rispetto al grande disagio sociale e l’enorme

presenza delle diseguaglianze nel Paese. Ma un dato credo debba essere acquisito

da tutti quanti noi: con l’azione unitaria questa strada può diventare più scorrevole.

Questa nostra nuova ripartenza deve farci riflettere sul dato di fatto che Uil, Cgil e

Cisl hanno al proprio interno gli anticorpi e le energie per fare fronte ai momenti

difficili.

In questa fase di stasi politica ed istituzionale, abbiamo l’opportunità di porci come

punto di riferimento per il Paese. Lo possiamo diventare a una condizione: se

costruiamo dal basso una nostra agenda che sia capace di spingere il Governo a

darsi un’agenda sulle priorità che riguardano l’Italia.

Bisogna allora procedere verso il rinnovo dei contratti nel settore privato rimasti

ancora in sospeso, bisogna dare impulso alla stagione dei rinnovi contrattuali nel

settore pubblico, serve una riforma fiscale che riequilibri la tassazione a favore del

lavoro, dei giovani e delle imprese. Una riforma che incentivi la stabilità dei contrat-

ti di lavoro, che sia in grado di contrastare l’evasione fiscale in generale e, nello spe-

cifico, quella riconducibile al lavoro nero e irregolare.

In questo momento, poi, è necessario spingere affinché il governo dia vita alla

seconda gamba del Jobs Act. I giovani, i disoccupati, gli inoccupati attendono una

vera e propria rivoluzione del mercato del lavoro italiano che sappia partire dal

riprogrammare le politiche attive, ricostruire i servizi per il lavoro, riprogettare il

sistema di protezione sociale in modo da costruire le professionalità del futuro par-

tendo dai nostri giovani e da coloro che negli anni della crisi hanno perso il lavoro.

Al Governo bisogna chiedere e pretendere una stagione organica e struttu-

rata di investimenti pubblici che siano da stimolo a quelli privati.

In sostanza una vera politica industriale per il Paese!

A noi, infine, che siamo un soggetto di rappresentanza di una parte importante dei

cittadini italiani, a noi che abbiamo una voce che parla al Paese, in questa fase deli-

cata spetta anche il compito e la responsabilità di affrontare temi che vanno oltre il

nostro ruolo di contrattazione sociale e del lavoro.

In questa direzione sono convinto che la scelta della Uil, con in testa il nostro

segretario generale, di aver voluto accendere con coraggio una discussione sul tema

dell’immigrazione sia quella giusta. Il fenomeno dell’immigrazione è un aspetto

complesso di questo millennio che non può essere certamente affrontato con una

soluzione unica. Questo è un fenomeno che ci mette tutti alla prova, a partire

dall’Europa che dovrebbe essere centro ispiratore dei principi di solidarietà e di

sussidarietà. Se da una parte non si può ignorare coloro che si trovano in uno stato

di bisogno, dall’altra parte però vi sono regole che vanno rispettate. In questo

quadro la strada giusta non può che essere quella del dialogo e della cooperazione

istituzionale, multi religiosa e anche multi sindacale. Ci auguriamo che questa strada

sia percorsa in modo permanente e massimamente inclusiva. L’iniziativa di Lampe-

dusa va replicata e sostenuta con convinzione. Solo così si spinge la politica a fare

la propria parte.

Si deve avanzare sostenendo il passo di una cultura nuova, per non essere sopraf-

fatti da questi sentimenti di paura verso lo straniero che, sempre più spesso, stanno

crescendo fra la gente.

Serve la stessa cooperazione istituzionale che ha consentito all’Italia di dotarsi di

una norma moderna di contrasto al caporalato.

Da un tema come l’immigrazione che in questi anni è divenuto per l’Europa e l’Ita-

lia una questione di cittadinanza il passo è breve verso un altro tema che da oltre

sessanta anni è questione di diritti di cittadinanza negati. La questione del Sud,

infatti, non può essere definita in altro modo se non una questione di cittadinanza

per il Paese. Per gli abitanti del centro nord in relazione agli effetti negativi che la

bassa crescita del Sud ha sulla scarsa crescita del Paese, per gli abitanti del Sud per

il solo fatto di vedersi negati diritti di cittadinanza quali: sanità, trasporti, ambiente,

solo per citarne alcuni.

Diritti che i cittadini italiani godono ed esercitano in maniera differente a

secondo delle aree geografiche in cui vivono!

Eppure sappiamo tutti che lavoro, servizi sociali, scuola, università, diritti di cittadi-

nanza sono anche un antidoto formidabile per sconfiggere le mafie al Sud. Lo ha

ribadito lo stesso Presidente Mattarella a Locri durante il suo intervento nella mani-

festazione antimafia che ha visto la Uil calabrese presente e numerosa in piazza il

21, sostenuta dalla presenza di Carmelo e Pierpaolo che hanno voluto testimoniare

in prima persona il sostegno dei livelli nazionali alle questioni della Calabria e del

Mezzogiorno.

E a proposito di Sud bisogna riconoscere che dopo alcuni anni di assenza dal dibat-

tito pubblico nazionale, la parola Mezzogiorno è tornata a riaffacciarsi nella politica

economica del governo nazionale, pur trattandosi di un’attenzione ancora insuffi-

ciente a far recuperare il terreno perso dal Meridione in questi anni di crisi.

In quest’ultimo anno e mezzo, il provvedimento del Governo a favore del Sud che

ha avuto più di altri rilevanza mediatica è certamente il Masterplan, declinato nei

sedici Patti attuativi che il Governo ha sottoscritto con le Regioni del Sud e le Città

metropolitane.

Rispetto al Masterplan per il Sud riconosciamo come aspetto positivo il fatto che il

Consiglio dei ministri, attraverso i Patti, ha accentrato la spesa delle risorse europee

assegnate alle regioni del Meridione. Amministrazioni che, in questi ultimi anni,

non hanno brillato in termini di progettazione e di spesa dei fondi stanziati da Bru-

xelles. Regioni che, come la Calabria, non sono riuscite ad andare oltre il 20% del

corretto utilizzo dei finanziamenti avuti a disposizione.

Un dato che, sommato a quelli fatti registrare da tante altre regioni del Sud, ha

spinto nel maggio del 2016 Carmelo Barbagallo ad invocare dalla Calabria, all’inte-

rno di una nostra iniziativa su Mezzogiorno e infrastrutture, la necessità, ove ve ne

fosse il bisogno, di procedere al commissariamento di quelle amministrazioni locali

che non si fossero distinte nella corretta programmazione e nella relativa spesa dei

finanziamenti dell’Unione europea.

Bisogna dire che i Patti da questo punto di vista rappresentano una risposta alla

richiesta di Carmelo e una risposta nuova alla mancata spesa di questi anni da parte

del Mezzogiorno.

Ma si tratta tuttavia di un intervento ordinario perché mancante di una

visione strategica e complessiva del Mezzogiorno e delle sue reali necessità!

I Patti sembrano riproporre, in buona sostanza, la vecchia logica politica della bila-

Cgil e Cisl così come stiamo facendo dobbiamo porre la massima attenzione.

L’opportunità è rappresentata proprio da queste risorse nazionali e comunitarie

che la Regione dovrà spendere nei prossimi anni. Noi, come forze sociali, dobbia-

mo porre, con tutte le articolazioni orizzontali e verticali, la massima attenzione

sulla spesa di questi ingenti finanziamenti che intrecceranno tutti i settori nevralgici

dell’economia locale: dagli appalti per le grandi opere, ai servizi, dall’ambiante al

recupero delle aree interne, dai trasporti al porto di Gioia Tauro, dal turismo

all’agroalimentare, dalla cultura, dalla scuola, dall’università alle imprese dinamiche

e produttive che in Calabria esistono.

Finanziamenti che fanno gola alla ‘ndrangheta, malapianta di cui la Cala-

bria deve essere estirpata!

Questo è il primo obiettivo che lo Stato deve raggiungere attraverso “più sbirri e

meno mafiosi”, il verbo lanciato da Carmelo a Locri come risposta alle scritte che

alcuni imbecilli hanno tracciato sui muri della città di Locri la sera prima della mani-

festazione nazionale antimafia. Ma è anche giusto dire: meno promesse da parte

dello Stato per la Calabria e più lavoro, investimenti, mobilità e servizi sociali.

In riferimento all’azione politica ed amministrativa della Regione oggi sono

costretto a confermare quanto da tempo stiamo sostenendo come Uil cala-

brese e che dal 21 ottobre, dopo gli attivi unitari è diventato pensiero

comune con Cgil e Cisl: non siamo assolutamente soddisfatti dei primi due

anni di governo regionale!

Sino ad oggi sono troppi gli annunci e poche le cose concrete portate davanti al

giudizio dei calabresi dalla giunta regionale e tra le cose che possono considerarsi

concrete e messe in campo da questo governo regionale: programmazione del Por

Calabria 2014/2020, Patto per la Calabria, è obiettivo dire che solo il tempo e la

fase di attuazione dei programmi potrà farci capire quali saranno le reali ricadute in

termini di investimenti infrastrutturali, occupazione e di sviluppo per il territorio.

Da troppo tempo attendiamo dal governo regionale un cambio di passo su questio-

ni dirimenti per la fuoriuscita della Calabria dalla condizione di difficoltà in cui si

trova, condizione che pone a serio rischio la tenuta sociale e demografica del terri-

torio.

Alla Calabria serve innanzitutto una buona politica che sappia liberarsi dagli intrec-

ci con la ‘ndrangheta e il malaffare e che sappia spendere con buone pratiche le

risorse nazionali, regionali e comunitarie.

Serve lavoro e allo stesso tempo una misura di inclusione attiva e di contrasto alla

povertà per i giovani e meno giovani, uomini e donne di questa terra che hanno la

voglia e il diritto di liberarsi dal ricatto del bisogno.

Alla Calabria servono servizi, quali sanità e trasporti, più efficienti e moderni per

consentire a tutti, ma soprattutto alle fasce più deboli della popolazione la possibili-

tà di curarsi sul territorio e di uscire dall’isolamento in cui alcune comunità vivono

e avvertire in questo modo la presenza di uno Stato libero e civile.

Serve una cultura nuova fatta di giusta rivendicazione dei diritti e di denuncia dei

soprusi.

Servono, infine, alleanze virtuose tra forze sociali e produttive sane che in questa

regione esistono e in questa direzione da diverso tempo con Cgil e Cisl Calabria

lavoriamo per un’azione unitaria non sempre facile ma obbligatoria e necessaria.

Il 21 di ottobre ha sancito l’apertura di una fase di mobilitazione delle categorie e

dei territori per mettere in piazza il disagio dei calabresi, non escludiamo nei prossi-

mi mesi un’iniziativa di mobilitazione regionale di carattere generale.

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