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L’Osservatore Romano il Settimanale Città del Vaticano, 13 giugno 2019 anno LXXII, numero 24 (3.998) Spirito di Pentecoste

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L’Osservatore Romanoil SettimanaleCittà del Vaticano, 13 giugno 2019anno LXXII, numero 24 (3.998)

Spiritodi Pentecoste

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L’Osservatore Romanogiovedì 13 giugno 2019il Settimanale

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L’OS S E R VAT O R E ROMANO

Unicuique suum Non praevalebunt

Edizione settimanale in lingua italiana

Città del Vaticanoo r n e t @ o s s ro m .v a

w w w. o s s e r v a t o re ro m a n o .v a

ANDREA MONDAD irettore

GIANLUCA BICCINICo ordinatore

PIERO DI DOMENICANTONIOProgetto grafico

Redazionevia del Pellegrino, 00120 Città del Vaticano

fax +39 06 6988 3675

Servizio fotograficotelefono 06 6988 4797 fax 06 6988 4998

[email protected] w w w. p h o t o .v a

TIPO GRAFIA VAT I C A N A EDITRICEL’OS S E R VAT O R E ROMANO

Abb onamentiItalia, Vaticano: € 58,00 (6 mesi € 29,00).

telefono 06 6989 9480fax 06 6988 5164i n f o @ o s s ro m .v a

DLa magiadello spazio condiviso

#intervista

di ANDREA MONDA

La «medicina»della bellezzaai tempidella grandesolitudine

aniel Libeskind ha quell’approccio sem-plice e diretto, brillante senza essere maisuperficiale che dice molto della sua li-bertà interiore. Un atteggiamento chegli permette di attraversare la vita conlevità nonostante sia uno dei più grandie celebri architetti del mondo. Con gioiaha accettato di parlare con «L’O sserva-tore Romano» di argomenti impegnativicome il rapporto tra arte e spiritualità,tra bellezza e dolore, lui che, tra le di-verse opere, ha realizzato il museo dellaShoah di Berlino e il memoriale diGround Zero. Ma come primo tema del-la conversazione ha preferito parlare delsuo antico e mai sopito amore, la musi-ca, che tanto si intreccia con l’arte e conl’architettura in particolare.

La sua prima passione artistica è statala musica. Alcuni pensano che la musicasia l’arte più spirituale di tutte, lei è d’ac-c o rd o ?

Penso che la musica sia alla basedell’architettura e dell’arte in generale.Sappiamo che la musica e il suo ritmosono venuti prima di qualsiasi realizza-zione dello spazio o costruzione. Primadi tutto c’è la musica, il suono, il tempo,il ritmo. E poi c’è il corpo che si muovenello spazio. Quindi direi che la musicaè decisamente alla base dell’a rc h i t e t t u r a .Anche osservando la costruzione delPartenone, possiamo vedere come l’aiadi Atene era anzitutto danza prima diconsolidarsi come luogo, come un luogomemorabile sul quale costruire. Quindisì, secondo me la musica è il fondamen-to dell’arte e specialmente dell’a rc h i t e t -tura così come quest’ultima è un’esten-sione della musica, per molte ragioni.Una delle più ovvie è che il sensodell’orientamento e dell’equilibrio risiedenell’orecchio, non nell’occhio. Pertanto,il fenomeno dell’acustica precede quellovisivo. Ma ancor più, penso che l’a rc h i -tettura sia strutturata da un senso musi-cale dello spazio. Da musicista sono ar-rivato all’architettura in modo naturale,diretto. Non sento di avere abbandonatola musica, semplicemente l’ho trasferitasu un altro strumento, che è l’a rc h i t e t t u -ra.

Ma innanzitutto esiste una relazione traarte e spiritualità?

Naturalmente credo che nella musicacome in ogni altra forma d’arte ci sia uncollegamento spirituale con il mondo.Beh, se non ci fosse alcun collegamento,non ci sarebbe l’arte. Perché l’arte non èsolo il dato materiale, un dipinto non èun pezzo di tela con qualche pigmento

applicato sopra. L’arte non è quindi unoggetto materiale, anche se viene tra-smesso attraverso un oggetto materiale,c’è sempre un messaggio spirituale. An-che quando si tratta di una mela di Cé-zanne, non si tratta di una mela, è qual-cos’a l t ro .

La musica e il disegno (architettura epittura) possono essere ricollegate alla logi-ca filosofica e alla scienza e inducono apensare che nel mondo esista come un gran-de disegno, in parte nascosto che l’uomo pe-rò è in grado di riconoscere. Questo pensie-ro è stato considerato normale per secoli,oggi invece la visione nichilista per cui tuttoè frutto del caso sembra prevalere, qual è lasua opinione in proposito? C’è un grandedisegno che ogni uomo può riconoscere ono?

“Grande disegno” per me significasemplicemente che c’è un’esperienza nelmondo per ogni essere umano e ovvia-mente questa esperienza nel mondo su-bisce trasformazioni periodiche, crisi,cambiamenti, ma ciò non cambia il fattoche ad essere al centro è l’esp erienzaumana nel mondo. Tutti gli altri aspetti— quelli scientifici e le altre disciplineautonome — sono parte di questa espe-rienza nel mondo, che in realtà è partedel mistero di un mondo in continuocambiamento. In questa esperienzaumana del mondo c’è anche l’elementoche noi uomini comprendiamo, in parte,il cambiamento che non è semplicemen-te guidato da una sorta di caos. Il caosprobabilmente è la risposta nostra, at-tuale, al nostro essere nel mondo. Maanche la nostra risposta è soggetta alcambiamento.

Henry Miller ha scritto che: «L’artenon insegna assolutamente niente, a parteil senso della vita» è d’a c c o rd o ?

Forse Henry Miller non ha imparatoniente dall’arte, il che sarebbe un pecca-to, perché qualcosa avrebbe dovuto im-p a r a re .

Picasso invece sosteneva che: «Il segretodell’arte non sta nel cercare, bensì nel tro-v a re » .

Questo, direi, è una tipica metaforad’artista di un artista di grande successo.Ma penso che la sua vita dimostritutt’altro, visto che ha cercato per tuttala vita.

Un altro grande pittore, Chagall, affer-mava che «L’arte è l’incessante sforzo digareggiare con la bellezza dei fiori, senza

mai eguagliarla». Qual è il rapporto traarte e natura?

C’è del vero in questo, decisamente.C’è del vero nell’impossibilità, nell’asim-metria delle due attività, natura e arte.Quanto dice Chagall dimostra che ap-partengono a mondi differenti.

Quando ho visitato il museo ebraico aBerlino da lei ideato, mi è venuta in menteuna frase dell’allora cardinale tedesco Jose-ph Ratzinger: «La bellezza ferisce». La fe-rita che la bellezza produce scuote la co-scienza umana, ricordandogli il suo destinoultimo e ultra-terreno, lei è d'accordo?

È un’affermazione davvero profondaacuta su ciò che l’arte è veramente. Pen-so che egli catturi qui una cosa moltoessenziale, sulla quale sono d’a c c o rd o .

La bellezza e il dolore sono strettamentecollegati. Oggi guardando il mondo contem-poraneo si ha la sensazione che la societàoccidentale abbia creato un mondo an-este-tico, che rimuove il dolore, ma anche la bel-lezza. O forse sono troppo pessimista?

Anche questa è una riflessione moltoprofonda. È assolutamente vero chespezzando la relazione tra la profonditàdell’animo umano e l’idea di arte edespressione, si rimuovono le dimensionisia dell’arte sia dell’animo umano.

Lei è ebreo polacco trasferito nel 1960 aNew York, cosa pensa degli Usa di oggi?La chiusura rispetto agli stranieri non èforse un tradimento ad una lunga tradizio-ne ispirata ai valori dell’apertura e dell’ac-coglienza?

Si può constatare che le cose non ri-mangono uguali. L’America che vedia-mo oggi, la retorica del governo controgli immigranti, contro le persone privedi istruzione, è una retorica che non miavrebbe mai permesso di venire in que-sto paese. Perché i miei genitori nonerano istruiti. Lavoravano in fabbrica.Siamo venuti perché l’unica sorella so-pravvissuta di mio padre — sopravvissutaad Auschwitz — viveva qui. Ma ogginon avremmo i requisiti per immigrarein questo paese, perché l’attuale governovuole solo persone con una buona istru-zione e di successo. Quindi sì, pensoche dobbiamo renderci conto che ilmondo non rimane sempre uguale, cheil mondo è circondato da pericoli el’America non è immune ai cambiamentinegativi, che ho visto apparire moltochiaramente all’orizzonte mentre sonosempre più numerose le affermazioni an-tidemocratiche, le decisioni antidemo-cratiche da parte di questo governo.

FEDE E IMMAGINAZIONE: Daniel Libeskind

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Quindi sì, penso che non sia la stessaAmerica. È un’America che segue vie di-verse.

Su questo argomento alcuni giorni fa hointervistato la scrittrice americana Mari-lynne Robinson, la quale ha detto chel’America è dominata dalla paura, che nepensa?

Non è nulla di nuovo per me. Sonocresciuto in Polonia sotto il comunismoe sotto un antisemitismo sostenuto dallostato. Ricordo il soffio della paura, chein realtà era un’ombra oscura sopra l’in-tera società. Poi quando sono tornato inPolonia, dopo il cambiamento, ho vistoun popolo nuovo, una nuova rinascitadella Polonia. Quindi sì, sono d’a c c o rd osul fatto che le ombre della paura sistanno estendendo nel mondo e anchenegli Stati Uniti.

L’arte ha una funzione sociale? Può edu-care il popolo ai valori civili, alle virtù?

Questa è una buona domanda, sullaquale hanno discusso in molti. Sì, ha unvalore civico. Non attraverso una qual-che sorta di realismo socialista, penso, ouna specie di ingegneria sociale nell’ar-te, che è sempre stata un fallimento.Tuttavia ritengo che l’arte autentica, l’ar-te che giunge dall’animo umano nellasua solitudine, si connetta con un altro

valori, la verità spirituale, esige un’a rc h i -tettura che non sia sentimentale, chenon abbia nostalgia del passato, bensìche sia capace di entrare nel discorso delpresente. Direi che l’architettura deveassumersi qualche sorta di rischio al finedi essere fedele a se stessa e al suo mes-saggio.

Lei è d’accordo sulla definizione di Nor-throp Frye della Bibbia come Grande Codi-ce dell’arte e della letteratura?

In qualche modo lo è. Infatti, chi sa-remmo senza i racconti, le memorie rac-chiusi in quei testi? Ma non la definireiun codice, perché questa parola implicauna sorta di metabolismo che assorbe ilpresente nel futuro. Direi che non è uncodice, bensì una serie di metafore pro-fonde, di trasposizioni sempre all’op era.In questo senso penso che il fondamen-to biblico della società occidentale siasenz’altro quello sfondo che dà un sensoagli interrogativi dell’umanità: chi sia-mo? dove siamo? dove stiamo andando?qual è il senso delle cose?

Questo mi ricorda il rocker Bruce Sprin-gsteen che da piccolo ha ricevuto un’educa-zione cattolica e ha detto che tutte le imma-gini, i racconti che ha conosciuto attraversola Bibbia da ragazzo lo hanno influenzato

incluse le teologie, che sono state inqualche modo spesso declamate e usateda ogni sorta di estremismo. Il lavorodel Papa consiste nel cercare quel radi-camento dell’umanità e si basa sul cre-dere che c’è una speranza comune diunire le persone nella pace. Altrimentimi chiedo: qual è il significato di questomondo? Non avrebbe nessun significato.La missione di Papa Francesco è davve-ro molto importante e rilevante, special-mente in questo tempo difficile. PapaFrancesco spesso ripete agli insegnanti eagli educatori di suscitare nei giovani lacreatività. L’attenzione alla dimensionedella creatività Papa Francesco la poggiasui testi biblici, poiché Dio è Creatore egli uomini sono figli di Dio, e quindic re a t i v i .

Secondo lei ogni uomo ha una dimensio-ne artistica, creativa?

Sì, non c’è alcun dubbio. All’iniziodel mio ultimo libro, intitolato Edge ofO rd e r, scrivo che tutti possono essere ar-chitetti. Tutti già sono architetti. Nelmomento stesso in cui aprono gli occhi,sono già esperti di spazio, di luce, diproporzioni, del corpo. Sono profonda-mente d’accordo che la creatività è alcentro della nostra tradizione, della no-stra tradizione comune, e che è fonda-mentale alimentare la creatività, special-mente nei giovani, mostrando che ilmondo è una meraviglia aperta, che do-vremmo essere stupiti da questa meravi-glia del mondo. È questa la creativitàche considero necessaria per vincere ilcinismo, e spesso lo scetticismo che vie-ne imposto ai giovani dagli anziani. Og-gi ci concentriamo tanto su ombre e te-lecamere, ma la vita reale è così fantasti-ca, così bella, così profonda che spessosiamo semplicemente accecati dai mediad’informazione invece di guardare negliocchi il prossimo.

Nelle grandi città gli uomini vivono negliappartamenti che possono apparire come isimboli della grande solitudine oggi moltodiffusa nel mondo occidentale. Si può se-condo lei tornare alla dimensione della “ca-sa” all’interno del “villaggio” e come?

È vero, come ha sottolineato RobertMusil molto tempo fa, che nasciamo inuna stanza bianca e moriamo in unabianca stanza di ospedale. Ma questo si-gnifica dimenticarsi di ciò che il mondoè in realtà. Dovremmo invece concen-trarci su quello che definirei lo spaziocondiviso, lo spazio comune condiviso,il cosiddetto spazio pubblico. Infatti,senza spazio pubblico, senza un collega-mento le persone possono essere con-dannate a vivere la propria vita nella lo-ro piccola stanza e la vista stessa cade apezzi. Il punto di partenza è creare unasorta di spazio in cui vivere, un salotto,dove le persone possono condividereuno spazio comune. E questo vale inmodo particolare per le grandi città, chestanno iniziando a diventare sempre piùprivate, più chiuse, sia per i ricchi siaper i poveri. Credo dunque che sia que-sta la chiave per creare una città equa,che superi l’immensa disparità di reddi-to e disuguaglianza spirituale, e crei unsenso di “insieme”. Per me è questo ilcompito della città, dell’architettura equesto potrebbe essere in qualche modoun ritorno, inatteso, dall’abitazione allacasa.

animo solo attraverso una sorta di pro-cesso trasfigurativo. Non posso che defi-nirlo trasfigurazione. E accende una sor-ta di fiamma d’immaginazione e creativi-tà in chi riceve e in chi crea. Quindipenso che sia vero che è diverso dall’in-gegneria sociale, diverso dal cercare ditrasmettere messaggi, ma l’arte, per lasua autenticità, secondo me è già unasorta di verità che viene comunicata inun modo che di fatto è trasfigurativo.

T.S. Eliot sosteneva che per secoli la cul-tura è stata trasmessa non dalla scuola madalla Chiesa, poi qualcosa con la moderni-tà si è interrotto, il rapporto tra Chiesa earte è entrato in crisi, come dimostra anchel’architettura sacra. Quale può essere ilcompito della Chiesa oggi in riferimentoall’arte?

Direi che la necessità di trattare con ilcontemporaneo significa comunicare i

per tutta la vita. Lei è ebreo e può com-prendere questo discorso.

Sì, perfettamente. Io la leggo la Bib-bia, il libro più bello e più letto. Manon leggo solo la Bibbia, leggo anche ilNuovo Testamento, il Corano, il Talmudanche perché questi testi sono importan-ti per comprendere che cosa abbiamo incomune, da dove arriviamo, quali visionisono state create. Sono testi che riesco-no a penetrare la verità della vita uma-na.

Papa Francesco sta cercando di creareun dialogo tra le grandi religioni. Ritieneche sia possibile che le religioni si uniscanoper la pace?

Penso che quello che sta facendo Pa-pa Francesco sia fantastico. Secondo menon c’è altro modo, se non attraverso ilfatto che ci rendiamo conto che c’èqualcosa di più grande delle ideologie,

Schizzi per Ground Zero

#intervista

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La decisione è in linea con quella già presa nel2017 per Medjugorje: Papa Francesco tiene inmodo particolare alla cura dei pellegrini e de-sidera che i centri di devozione mariana diven-tino «sempre di più un luogo di preghiera e ditestimonianza cristiana corrispondenti alle esi-genze del popolo di Dio». Questo si leggenella lettera che il Pontefice ha inviato a mon-signor Antoine Hérouard, vescovo ausiliare diLille, comunicandogli la decisione di nominar-lo delegato “ad nutum Sanctae Sedis” (cioè adisposizione della Santa Sede) per il santuariodi Lourdes.

La lettera papale è stata letta nel piccolocentro dei Pirenei, luogo di una delle appari-zioni mariane più popolari della storia, difronte ai cappellani e ai responsabili ammini-strativi del santuario. L’ha resa pubblica amezzogiorno di giovedì 6 giugno l’a rc i v e s c o v oRino Fisichella, presidente del Pontificio con-siglio per la promozione della nuova evange-lizzazione, il dicastero che da due anni ha ri-cevuto da Francesco l’incarico di valorizzare lapastorale dei santuari. Da quanto si apprendedalla lettera, lo stesso Fisichella ha svolto neimesi scorsi una missione come “inviato specia-le” presso il santuario che ogni anno vede arri-vare milioni di pellegrini provenienti da ogniparte del mondo.

«A seguito delle verifiche» condotte da Fisi-chella, scrive il Papa, «desidero comprenderequali ulteriori forme il santuario di Lourdespossa adottare, oltre alle molteplici già esisten-ti, per divenire sempre di più un luogo di pre-

ghiera e di testimonianza cristiana corrispon-dente alle esigenze del Popolo di Dio».

Il mandato del vescovo Hérouard, che nonlascerà il suo incarico a Lille, sarà limitato alsolo santuario, mentre la diocesi di Tarbes eLourdes rimarrà affidata al vescovo NicolasJean René Brouwet. Da notare il fatto che lanomina del delegato non è a tempo indetermi-nato (come invece è stata quella di monsignorHoser a Medjugorje) e ciò significa che, nelleintenzioni, non si tratta di un incarico perma-nente ma a tempo, finalizzato alla cura pastora-le e spirituale dei pellegrini. Papa Francesco,che tiene molto a questa cura, desidera accen-tuare il primato spirituale rispetto alla tentazio-ne di sottolineare troppo l’aspetto gestionale efinanziario, e vuole promuovere sempre di piùla devozione popolare che è tradizionale neisantuari. Nell’esortazione apostolica Evangeliigaudium il Papa aveva scritto che «nella pietàpopolare si può cogliere la modalità in cui lafede ricevuta si è incarnata in una cultura econtinua a trasmettersi». Francesco continuavacitando il Documento di Aparecida, contenentele conclusioni della riunione dell’episcopato la-tinoamericano tenutasi del più importante san-tuario mariano del Brasile. E ricordava «le ric-chezze che lo Spirito Santo dispiega nella pietàpopolare con la sua iniziativa gratuita» affer-mando che «il camminare insieme verso i san-tuari e il partecipare ad altre manifestazioni del-la pietà popolare, portando con sé anche i figlio invitando altre persone, è in sé stesso un attodi evangelizzazione. Non coartiamo né preten-diamo di controllare questa forza missionaria!».

Inviato dal Papa un delegatoper la cura dei pellegrini

È il vescovoAntoine Hérouardausiliare di Lille

#lourdes

di ANDREA TORNIELLI

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di DARIOFERTILIO

L’accoglienza eccezionale che il pubblico ha ri-

servato alla Missa Papae Pauli di LucianoChailly, diretta dal figlio Riccardo nei giorniscorsi a Brescia, è il segnale di una sensibilitàdiffusa, di un consenso che va al di là delsemplice apprezzamento estetico. Non lo pro-vano solo le ovazioni finali e la partecipazionedell’intera città al concerto, ideato per celebra-re l’anno della canonizzazione di Papa Monti-ni. Né si limitano al particolare rapporto cheha sempre legato la famiglia Chailly a PaoloVI, tanto che nel settembre del 1965 la registra-zione della Missa — eseguita per la prima voltavia radio a Parigi e poi al Foro Italico di Ro-ma — gli era stata consegnata di personadall’a u t o re .

Ciò che è stato percepito da tutti — p re s e n t ial Teatro Grande della città, raccolti davanti almaxischermo allestito in piazza o collegati pertelevisione — è stato piuttosto lo slancio emoti-vo, spirituale e quasi doloroso che il composi-tore ha saputo infondere nella sua creazione.Orchestra, coro della Scala e percussioni di

sentimento di appartenenza e continuità ri-spetto alla tradizione della musica sacra. Il du-ro metro compositivo della dodecafonia, chein alcuni momenti della carriera aveva sedottoLuciano Chailly, qui cede il passo a qualcosadi diverso, che discende direttamente da unincontro, un’affinità personale.

Erano state le parole dello stesso Montini —come avrebbe riconosciuto più tardi il compo-sitore — a indicargli la via; era accaduto quan-do il Pontefice aveva ricordato che l’arte nondeve lasciare sorpresi, intimiditi e distaccati,ma piuttosto offrirsi ai lettori e agli spettatoricome intuizione, facilità e felicità. Una poeticache avrebbe ribadito nel famoso Messaggioagli artisti del dicembre 1965, in cui si sarebberichiamato al bisogno universale di bellezza«per non sprofondare nella disperazione»,esprimendo il suo personale scetticismo neiconfronti delle ricerche artistiche frutto di con-cezioni «stravaganti o malsane».

A distanza di oltre mezzo secolo, molto diquella lezione estetica risuona oggi nel

Sanctus, nell’Agnus Dei e in altri momentidell’op era, a indicare la forza intrinsecadell’arte sacra, in grado di suggerire a quellaprofana la via di una illuminazione interioreall’insegna dell’umiltà intellettuale. E il suomessaggio ha saputo andare oltre: era tantoforte il legame di Luciano Chailly con la Mis-sa montiniana da chiedere che sulla sua tombafossero scolpite le ultime parole della composi-zione: Dona nobis pacem.

Omaggio musicalea Paolo VI

A Bresciala «Missa»

di Luciano Chaillyd i re t t a

dal figlio Riccardo

#scaffale

campane hanno spezzato imme-diatamente il diaframma intellet-tuale che di solito separa il pub-blico comune dalla musica colta;hanno reso superflue le allusioniintellettuali e gli ardimenti spe-rimentali cui il secolo scorso ciha lungamente abituati, per re-stituire intatto il momentodell’ispirazione creativa origina-le: una scintilla che si è accesain Luciano Chailly al tempodello storico viaggio intrapresoda Paolo VI attraverso la Terrasanta.

Certamente la Missa lascia trasparire la for-mazione tipicamente novecentesca del suo au-tore, e l’ascolto rimane impegnativo a causadelle continue oscillazioni tonali, che oggi ap-paiono un tributo al pensiero dominante nellatecnica compositiva del tempo. Ma ciò che lacaratterizza, rendendola comunque avvincente,è piuttosto l’apertura mentale, lo sforzo di av-vicinarsi alla sensibilità comune al di fuori deimanierismi, e allo stesso tempo un genuino

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S

S v a l u t a rei diritti socialisignificag i u s t i f i c a rela diseguaglianza

Il discorsodel Papaai giudici

del continenteamericano

riuniti in Vaticano

#francesco

ignore e signori, è motivo di gioia e an-che di speranza incontrarvi in questoVertice, dove vi siete dati un appunta-mento che non si limita soltanto a voi,ma che ricorda il lavoro che realizzatecongiuntamente ad avvocati, consulenti,procuratori, difensori, funzionari, e ri-corda anche i vostri popoli, con il desi-derio e la ricerca sincera per garantireche la giustizia, e specialmente la giusti-zia sociale, possa giungere a tutti. Lavostra missione, nobile e gravosa, esigedi consacrarsi al servizio della giustizia edel bene comune, con la chiamata co-stante a far sì che i diritti delle persone,e specialmente dei più vulnerabili, sianorispettati e garantiti. In questa manieracontribuite a fare in modo che gli Statinon rinuncino alla loro più eccelsa e pri-maria funzione: farsi carico del bene co-mune del loro popolo. «L’esperienza at-testa — osservava Giovanni XXIII — chequalora manchi una appropriata azionedei poteri pubblici, gli squilibri econo-mici, sociali e culturali tra gli esseriumani tendono, soprattutto nell’ep o canostra, ad accentuarsi; di conseguenzai fondamentali diritti della persona

rischiano di rimanere privi di contenu-to» (Lettera Enciclica, Pacem in terris,n. 63).

Elogio questa iniziativa di riunirsi, co-me pure quella realizzata lo scorso annonella città di Buenos Aires, nella qualepiù di 300 magistrati e ufficiali giudizia-ri hanno deliberato sui Diritti sociali al-la luce della Evangelii gaudium, dellaLaudato si’ e del Discorso ai MovimentiPopolari a Santa Cruz de la Sierra. Dalì è uscito un insieme interessante di vet-tori per lo sviluppo della missione che ènelle vostre mani. Questo ci ricordal’importanza e, perché no, la necessità,di affrontare i problemi di fondo che levostre società stanno attraversando eche, come sappiamo, non possono essererisolti semplicemente con azioni isolateo atti volontari di una persona o di unpaese, ma che esigono la creazione di unnuovo clima; ossia di una cultura segna-ta da leadership condivise e coraggioseche sappiano coinvolgere altre persone ealtri gruppi, finché fruttifichino in im-portanti eventi storici (cfr. EsortazioneApostolica Evangelii gaudium, n. 223),capaci di aprire cammini alle generazio-ni attuali, e anche a quelle future, semi-nando condizioni per superare le dina-miche di esclusione e di segregazione, dimodo che l’iniquità non abbia l’ultimaparola (cfr. Lettera Enciclica Laudato si’,nn. 53 e 164). I nostri popoli reclamanoquesto tipo di iniziative che aiutino adabbandonare ogni atteggiamento passivoo da spettatore, come se la storia presen-te e futura dovesse essere determinata eraccontata da altri.

Stiamo vivendo una fase storica dicambiamenti in cui si sta mettendo ingioco l’anima dei nostri popoli. Un tem-po di crisi — crisi: pazienza cinese, ri-schi, pericoli e opportunità; è ambiva-lente, molto saggio questo — tempo dicrisi in cui si verifica un paradosso: da

un lato un fenomenale sviluppo norma-tivo, dall’altro un deterioramento nel go-dimento effettivo dei diritti consacrati alivello globale. È come l’inizio dei nomi-nalismi, sempre cominciano così. Inol-tre, ogni volta, e con maggiore frequen-za, le società adottano forme anomichedi fatto, soprattutto rispetto alle leggiche regolano i Diritti sociali, e lo fannocon diversi argomenti. Questa anomia sifonda, per esempio, su carenze di bilan-cio, sull’impossibilità di generalizzarebenefici o sul carattere programmaticopiù che operativo degli stessi. Mi preoc-cupa constatare che si stanno levandovoci, specialmente di alcuni “dottrinari”,che cercano di “s p i e g a re ” che i diritti so-ciali sono ormai “vecchi”, sono passatidi moda e non hanno nulla da apporta-re alle nostre società. In tal modo con-fermano politiche economiche e socialiche portano i nostri popoli all’accetta-zione e alla giustificazione della disu-guaglianza e dell’indegnità. L’ingiustiziae la mancanza di opportunità tangibili econcrete dietro a tanta analisi incapacedi mettersi nei piedi dell’altro — e dicopiedi, non scarpe, perché in molti casiqueste persone non le hanno — è ancheun modo di generare violenza: silenzio-sa, ma comunque violenza. L’eccessivanormatività nominalista, indipendenti-sta, sfocia sempre nella violenza.

«Oggi viviamo in immense città chesi mostrano moderne, orgogliose e addi-rittura vanitose. Città» — orgogliose del-la loro rivoluzione tecnologica e digitale— «che offrono innumerevoli piaceri ebenessere per una minoranza felice masi nega una casa a migliaia di nostri vici-ni e fratelli, persino bambini, e li si chia-ma, elegantemente, “persone senza fissadimora”. È curioso come nel mondodelle ingiustizie abbondino gli eufemi-smi» (Incontro Mondiale dei MovimentiPopolari, 28 ottobre 2014). Sembrerebbe

Sul tema «Diritti sociali e dottrinafrancescana» si è concluso martedì 4giugno il Pan-American Judges’ Summit,promosso in Vaticano dalla Pontificiaaccademia delle scienze sociali.Nel pomeriggio il Papa si è recato pressola Casina Pio IV dove ha incontratoi convegnisti, firmando al terminela «Dichiarazione di Roma» nella qualesi esprime profonda preoccupazione peril deterioramento dei sistemi normativinazionali e internazionali e, in particolare,per il degrado nell’esercizio universaledei diritti economici, sociali e culturali.Di seguito una traduzione dallo spagnolodel discorso del Pontefice.

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7#francesco

che le Garanzie Costituzionali e i Tratta-ti internazionali ratificati nella praticanon abbiano valore universale.

L’“ingiustizia sociale naturalizzata” —ossia come qualcosa di naturale — equindi resa invisibile — che ricordiamo ericonosciamo solo quando “alcuni fannorumore in strada” e vengono rapidamen-te catalogati come pericolosi e molesti—, finisce col far passare sotto silenziouna storia di differimenti e dimentican-ze. Permettetemi di dirlo, questo è unodei grandi ostacoli che incontra il pattosociale e che debilita il sistema democra-tico. Un sistema politico-economico, peril suo sano sviluppo, ha bisogno di ga-rantire che la democrazia non sia solonominale, ma che possa vedersi plasma-ta in azioni concrete che veglino sulladignità di tutti gli abitanti, secondo lalogica del bene comune, in un appelloalla solidarietà e un’opzione preferenzia-le per i poveri (cfr. Lettera EnciclicaLaudato si’, n. 158). Ciò esige gli sforzidelle massime autorità, e naturalmentedel potere giudiziario, per ridurre la di-stanza tra il riconoscimento giuridico ela pratica dello stesso. Non c’è democra-zia con la fame, né sviluppo con la po-vertà, né giustizia nell’iniquità.

Quante volte l’uguaglianza nominaledi molte delle nostre dichiarazioni eazioni non fa altro che nascondere e ri-produrre una disuguaglianza reale e sot-tostante e rivela che si è di fronte a unpossibile ordine fittizio. L’economia del-le carte, la democrazia “a parole”, equella multimediale concentrata, genera-no una bolla che condiziona tutti glisguardi e le opzioni dall’alba al tramon-to (cfr. Roberto Andrés Gallardo, D e re -chos sociales y doctrina franciscana, 14).Ordine fittizio che rende uguali nellasua virtualità ma che, in concreto, am-plia e aumenta la logica e le strutturedell’esclusione-espulsione, perché impe-disce un contatto e un impegno realecon l’altro. Impedisce il concreto, o ilfarsi carico del concreto.

Non tutti partono dallo stesso puntoal momento di pensare l’ordine sociale.Questo c’interroga e c’impone di pensa-re nuovi cammini affinché l’uguaglianzadinanzi alla legge non degeneri nellapropensione dell’ingiustizia. In un mon-do di virtualità, cambiamenti e fram-mentazione — siamo nell’epoca del vir-tuale —, i Diritti sociali non possono es-sere solamente esortativi o appellativinominali, ma devono essere faro e bus-sola per il cammino perché «lo stato disalute delle istituzioni di una societàcomporta conseguenze per l’ambiente eper la qualità della vita umana» (LetteraEnciclica Laudato si’, n. 142). Ci vengo-no chieste lucidità di diagnosi e capacitàdi decisione dinanzi al conflitto, ci vienechiesto di non lasciarci dominaredall’inerzia o da un atteggiamento sterilecome quanti lo guardano, lo negano olo annullano e vanno avanti come senulla fosse successo, se ne lavano le ma-ni per poter proseguire la loro solita vi-ta. Altri entrano così tanto nel conflittoda rimanerne prigionieri, perdere oriz-zonti e proiettare sulle istituzioni le pro-prie confusioni e insoddisfazioni. L’invi-to è a guardare in faccia il conflitto, su-birlo e risolverlo, trasformandolonell’anello di un nuovo processo (cfr.Esortazione Apostolica Evangelii gau-dium, n. 227).

Affrontando il conflitto, appare chiaroche abbiamo un impegno con i nostrifratelli per dare operatività ai Diritti so-ciali, impegnandoci a cercare di smonta-re tutti gli argomenti che attentano con-tro la loro attuazione, e questo per mez-zo dell’applicazione o della creazione diuna legislazione capace di elevare le per-sone attraverso il riconoscimento dellaloro dignità. I vuoti legislativi, tanto diuna legislazione adeguata quantodell’accessibilità e dell’attuazione dellastessa, mettono in moto circoli viziosiche privano le persone e le famiglie del-le necessarie garanzie per il loro svilup-po e il loro benessere.

Questi vuoti sono generatori di corru-zione e trovano nel povero e nell’am-biente le prime e principali vittime.

Sappiamo che il diritto non è soltantola legge o le norme, ma anche una pras-si che configura i vincoli, che li trasfor-ma, in un certo modo, in “artefici” deldiritto ogni volta che si confrontano conle persone e la realtà. E questo invita amobilitare tutta l’immaginazione giuridi-ca al fine di ripensare le istituzioni e farfronte alle nuove realtà sociali che sistanno vivendo (cfr. Horacio Corti, De-rechos sociales y doctrina franciscana, 106).In tal senso, è molto importante che lepersone che si presentano nel vostro uf-ficio e al vostro tavolo di lavoro sentanoche siete arrivati prima di loro, che sietearrivati per primi, che li conoscete e licapite nella loro situazione particolare,ma soprattutto che li riconoscete nellaloro piena cittadinanza e nel loro poten-ziale essere agenti di cambiamento e ditrasformazione. Non perdiamo mai divista che i settori popolari non sono inprimo luogo un problema, ma una parteattiva del volto delle nostre comunità enazioni, essi hanno ogni diritto a parte-cipare alla ricerca e alla costruzione disoluzioni inclusive. «La struttura politi-ca e istituzionale non esiste solo per evi-tare le cattive pratiche, bensì per inco-raggiare le buone pratiche, per stimolarela creatività che cerca nuove strade, perfacilitare iniziative personali e collettive»(Lettera Enciclica Laudato si’, n. 177).

È importante far sì che, fin dall’iniziodella formazione professionale, gli ope-ratori legali possano farlo in contattoconcreto con le realtà che un giorno ser-viranno, conoscendole in prima personae comprendendo le ingiustizie contro lequali dovranno un giorno agire. È anchenecessario individuare tutti i mezzi emeccanismi affinché i giovani provenien-ti da situazioni di esclusione o emargi-nazione possano essi stessi riuscire a for-marsi, in modo da poter assumere ilprotagonismo necessario. Si è parlatomolto per loro, ora dobbiamo ancheascoltarli e dare loro voce in questi in-contri. Mi viene in mente il leitmotivimplicito di ogni paternalismo giuridico-sociale: tutto per il popolo ma nulla conil popolo. Tali misure ci permetterannod’instaurare una cultura dell’i n c o n t ro“perché non si amano né i concetti né leidee [...]. Il darsi, l’autentico darsi vienedall’amare uomini e donne, bambini eanziani e le comunità: volti, volti e nomiche riempiono il cuore” (II I n c o n t roMondiale dei Movimenti Popolari, SantaCruz de la Sierra, 9 luglio 2015).

Approfitto di questa opportunità diriunirmi con voi per manifestarvi la miapreoccupazione per una nuova forma di

intervento esogeno negli scenari politicidei paesi attraverso l’uso indebito diprocedimenti legali e tipizzazioni giudi-ziarie. Il l a w f a re , oltre a mettere in gravepericolo la democrazia dei paesi, gene-ralmente viene utilizzato per minare iprocessi politici emergenti e propenderealla violazione sistematica dei Diritti so-ciali. Per garantire la qualità istituziona-le degli Stati è fondamentale rilevare eneutralizzare questo tipo di pratiche chederivano dall’impropria attività giudizia-ria in combinazione con operazioni mul-timediatiche parallele. Su questo puntonon mi soffermo ma il giudizio mediati-co previo lo conosciamo tutti.

Questo ci ricorda che, in non pochicasi, la difesa o la priorizzazione dei Di-ritti sociali su altri tipi di interessi, viporterà a scontrarvi non solo con un si-stema ingiusto, ma anche con un poten-te sistema comunicazionale del potere,che distorcerà spesso la portata delle vo-stre decisioni, metterà in dubbio la vo-stra onestà e anche la vostra probità,possono addirittura farvi un processo. Èuna battaglia asimmetrica ed erosiva nel-la quale per vincere occorre mantenerenon solo la forza, ma anche la creativitàe un’adeguata elasticità. Quante volte igiudici, uomini e donne, devono affron-tare in solitudine i muri della diffama-zione e del disonore, quando non dellacalunnia!

Certamente occorre grande integritàper poterli superare. «Beati i perseguita-ti per causa della giustizia, perché di es-si è il regno dei cieli» (Mt 5, 10), dicevaGesù. In tal senso, mi rallegro che unodegli obiettivi di questo incontro sia lacreazione di un Comitato PermanentePanamericano di Giudici per i Diritti so-ciali, che abbia tra i suoi obiettivi quellodi superare la solitudine nella magistra-tura, offrendo appoggio e assistenza re-ciproca, per rivitalizzare l’esercizio dellavostra missione. La vera sapienza non siottiene con una mera accumulazione didati — questo è enciclopedismo — un’ac-cumulazione che finisce col saturare econfondere, in una specie di contamina-zione ambientale, bensì con la riflessio-ne, il dialogo, e l’incontro generoso trale persone, quel confronto adulto, sanoche ci fa crescere tutti (cfr. Lettera Enci-clica Laudato si’, n. 47).

Nel 2015 ho detto ai membri dei Mo-vimenti Popolari: avete “un ruolo essen-ziale, non solo nell’esigere o nel recla-mare, ma fondamentalmente nel creare.Voi siete poeti sociali: creatori di lavoro,costruttori di case, produttori di generialimentari, soprattutto per quanti sonoscartati dal mercato mondiale” (II Incon-tro Mondiale dei Movimenti Popolari,Santa Cruz de la Sierra, 9 luglio 2015).Stimati magistrati, avete un ruolo essen-ziale; permettetemi di dirvi che siete an-che poeti, siete poeti sociali quando nonavete paura di «essere protagonisti nellatrasformazione del sistema giudiziariobasato sul valore, sulla giustizia e sulprimato della dignità della personaumana» (Nicolás Vargas, Derechos huma-nos y doctrina franciscana, 230), su qual-siasi altro tipo d’interesse e di giustifica-zione.

Vorrei terminare dicendovi: «Beatiquelli che hanno fame e sete della giu-stizia; beati gli operatori di pace» (Mt 5,6 e 9). Grazie.

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G

Lo spirito del proselitismoci fa male

Ai responsabilidella pastoralevocazionalein Europa

#francesco

razie per questa visita, grazie al SignorCardinale per le sue parole.Ho preparato qui una riflessione, checonsegnerò al Cardinale, e mi permettodi parlare un po’ a braccio di quello chemi viene dal cuore.

Quando si parla di vocazioni, mi ven-gono in mente tante cose, tante cose dadire, che si possono pensare o fare, pianiapostolici o proposte... Ma io vorrei pri-ma di tutto chiarire una cosa: che il la-voro per le vocazioni, con le vocazioni,non dev’essere, non è proselitismo. Nonè “cercare nuovi soci per questo club”.No. Deve muoversi nella linea della cre-scita che Benedetto XVI tanto chiara-mente ci ha detto: la crescita della Chie-sa è per attrazione, non per proseliti-smo. Così. Lo ha detto anche a noi [Ve-scovi Latinoamericani] ad Aparecida.Non si tratta di cercare dove prendere lagente..., come quelle suorine che anda-vano nelle Filippine negli anni ’90, ‘91,‘92. Non avevano case nelle Filippine,ma andavano lì e portavano le ragazzequi. E ricordo che nel Sinodo del ’94 èuscito sul giornale: «La tratta delle novi-zie». La Conferenza episcopale filippinaha detto: “No. Prima di tutto nessunoviene qui a pescare le vocazioni, nonva”. E le suore che hanno casa nelle Fi-lippine, facciano la prima parte dellaformazione nelle Filippine. Così si evitaqualche deformazione. Questo ho volutochiarirlo, perché lo spirito del proseliti-smo ci fa male.

Poi, penso — a proposito della voca-zione — alla capacità delle persone cheaiutano. Aiutare un giovane o una gio-vane a scegliere la vocazione della suavita, sia come laico, laica, come sacerdo-te, religiosa, è aiutare a far sì che trovi ildialogo con il Signore. Che impari a do-mandare al Signore: “Cosa vuoi dame?”. Questo è importante, non è unconvincimento intellettuale, no: la sceltadi una vocazione deve nascere dal dialo-go con il Signore, qualunque sia la vo-cazione. Il Signore mi ispira ad andareavanti nella vita così, per questa strada.E questo significa un bel lavoro per voi:aiutare il dialogo. Si capisce che se voinon dialogate con il Signore, sarà abba-stanza difficile insegnare agli altri a dia-

logare su questo punto. Il dialogo con ilS i g n o re .

Poi, gli atteggiamenti. Lavorare con igiovani esige tanta pazienza, tanta!, tan-ta capacità di ascolto, perché a volte igiovani si ripetono, si ripetono... Pazien-za e capacità di ascolto. E poi ringiova-nirsi: cioè mettersi in moto, in movimen-to con loro. Oggi il lavoro con i giovani,in genere, qualsiasi tipo, si fa in movi-mento. Quando io ero giovane, il lavorocon i giovani si faceva nei circoli di ri-flessione. Ci riunivamo, facevamo rifles-sione su quel tema, sull’altro, ognunostudiava il tema prima... E noi eravamosoddisfatti, e facevamo alcune opere dimisericordia, visite agli ospedali, a qual-che casa di riposo... Ma era più sedenta-rio. Oggi i giovani sono in movimento,e si deve lavorare con loro in movimen-to, e cercare in movimento di aiutarli atrovare la vocazione nella loro vita.Questo stanca... Bisogna stancarsi! Nonsi può lavorare per le vocazioni senzastancarsi. È quello che ci chiede la vita,la realtà, il Signore, e tutti.

Poi una cosa: il linguaggio del Signo-re. Oggi sono stato in una riunione conla Commissione COMECE. Il presidenteha fatto una riflessione, mi ha detto:“Sono andato in Thailandia con ungruppo di 30, 40 giovani a fare delle ri-costruzioni nel nord, per aiutare quellagente”. “E lei, perché fa questo?”, hodomandato. E lui mi ha detto: “Per ca-pire bene il linguaggio dei giovani”. Avolte noi parliamo ai giovani come sia-mo abituati a parlare agli adulti. Per lo-ro, tante volte il nostro linguaggio è“esp eranto”, è proprio come se parlassi-mo esperanto, perché non capiscononulla. Capire il loro linguaggio, che èun linguaggio povero di comunione,perché loro sanno tanto di contatti, ma

non comunicano. Comunicare è forse lasfida che noi dovremmo avere con i gio-vani. La comunicazione, la comunione.Insegnare loro che è bene l’informatica,sì, avere qualche contatto, ma questonon è il linguaggio: questo è un lin-guaggio “gassoso”. Il vero linguaggio ècomunicare. Comunicare, parlare... Equesto è un lavoro di filigrana, di “mer-letti” come dicono qui. È un lavoro dafare andando passo a passo. E a noispetta anche capire cosa significa per ungiovane vivere sempre “in connessione”,dove è andata la capacità di ra c c o g l i e rs iin sé stessi: questo è un lavoro per i gio-vani. Non è facile, non è facile, ma nonsi può andare con preconcetti o conl’imposizione puramente dottrinale, nelsenso buono della parola: “Tu devi farequesto”. No. Bisogna accompagnare,guidare, e aiutare affinché l’incontro conil Signore faccia loro vedere qual è lastrada nella vita. I giovani sono diversitra loro, sono diversi in tutti i luoghi,ma sono uguali nell’inquietudine, nellasete di grandezza, nella voglia di faredel bene. Sono uguali tutti. C’è la diver-sità e l’uguaglianza.

Forse [potrà servirvi] questo che mi èvenuto di dirvi, invece di leggere il di-scorso, che avrete per riflettere. Graziedel vostro lavoro! Non perdete la spe-ranza, e andate avanti, con gioia.

E adesso che vedo questo coraggiosoCappuccino dell’Islanda, finiamo conuna barzelletta. Al nord della sua terra,d’inverno fa 40 sotto zero. E c’era unsuo fedele che è andato a comprare unfrigo, e gli hanno chiesto: “Ma perchétu vai a comprare il frigo?” — “Per ri-scaldare mio figlio!”.

È mezzogiorno, preghiamo il ReginaCaeli insieme [Regina Caeli... Benedizio-ne].

A mezzogiorno di giovedì 6 giugnonella sala del Concistoro, il Papaha ricevuto in udienza i partecipantial congresso dei Centri nazionali perle vocazioni delle Chiese di Europa, svoltosia Roma, dal 4 al 7. Dopo il salutorivoltogli dal cardinale Angelo Bagnasco,presidente del Consiglio delle Conferenzeepiscopali europee (Ccee), il Ponteficeha consegnato il discorso preparatoimprovvisandone uno a braccio. Eccoil testo di quest’ultimo.

L’udienza ai membri della presidenza della Commissione degli episcopati dell’Unione europea (Comece)citata dal Pontefice durante l’incontro con gli animatori vocazionali del vecchio continente

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Felici, liberi e insieme

#francesco

Cari fratelli e sorelle,saluto tutti voi partecipanti a questoConvegno, che vuole favorire l’attua-zione del Sinodo dei Vescovi dedica-to ai giovani. Vi ringrazio per il lavo-ro che portate avanti nei rispettivicampi di servizio, e anche per lo sfor-zo di confrontarvi e condividere leesperienze. Da parte mia, vorrei indi-carvi alcune linee che mi stanno par-ticolarmente a cuore. Nell’Esortazio-ne apostolica Christus vivit ho inco-raggiato a «crescere nella santità enell’impegno per la propria vocazio-ne» (n. 3). Incoraggio anche voi, chelavorate nel cosiddetto “vecchio con-tinente”, a credere che «tutto ciò cheviene toccato da Cristo diventagiovane e si riempie di vita» (cfr.ibid., 1).

Le tre linee che vi indico sono: lasantità, come chiamata che dà sensoal cammino di tutta la vita; la comu-nione, come “humus” delle vocazioninella Chiesa; la vocazione stessa, comeparola-chiave da preservare, coniu-gandola con le altre: “felicità”, “lib er-tà” e “insieme”; e infine declinandolacome speciale consacrazione.

SANTITÀ

Il discorso sulla vocazione portasempre a pensare ai giovani, perché«la giovinezza è la stagione privile-giata delle scelte di vita e della rispo-sta alla chiamata di Dio» (Doc. Fina-le del Sinodo dei Vescovi sui giovani,140). Questo è bene, ma non dobbia-mo dimenticare che la vocazione è uncammino che dura tutta la vita. Infatti,la vocazione riguarda il tempo dellagiovinezza quanto all’orientamento ealla direzione da assumere in rispostaall’invito di Dio, e riguarda la vitaadulta nell’orizzonte della fecondità edel discernimento del bene da com-piere. La vita è fatta per portare frut-to nella carità e questo riguarda lachiamata alla santità che il Signore faa tutti, ciascuno attraverso la sua pro-pria strada (cfr. Gaudete et exsultate,10-11). Molto spesso abbiamo consi-derato la vocazione come un’avventu-ra individuale, credendo che riguardisoltanto “me” e non prima di tutto“noi”. In realtà, «nessuno si salva dasolo, ma si diventa santi insieme»(cfr. ibid., 6). «La vita dell’uno è le-gata alla vita dell’altro» (Gen 44, 30),ed è necessario che ci prendiamocura di questa comune santità di po-p olo.

COMUNIONE

La pastorale non può che essere si-nodale, vale a dire capace di dareforma a un “camminare insieme” ( c f r.

Christus vivit, 206). E la sinodalità èfiglia della comunione. Si tratta di vi-vere di più la figliolanza e la fraterni-tà, di favorire la stima reciproca, va-lorizzare la ricchezza di ciascuno, cre-dere che il Risorto può operare mera-viglie anche attraverso le ferite e lefragilità che fanno parte della storiadi tutti. Dalla comunione della Chie-sa nasceranno nuove vocazioni. Spes-so nelle nostre comunità, nelle fami-glie, nei presbitéri abbiamo pensato elavorato con logiche mondane, che cihanno diviso e separato. Ciò appar-tiene anche ad alcuni tratti della cul-tura odierna e la sofferta storia politi-ca dell’Europa è di monito e fa dasprone. Solo riconoscendoci vera-mente comunità — aperte, vive, inclu-sive — diventeremo capaci di futuro.Di questo i giovani hanno sete.

VO CAZIONE

La parola “vo cazione” non è sca-duta. L’abbiamo ripresa nell’ultimoSinodo, durante tutte le fasi. Ma lasua destinazione rimane il popolo diDio, la predicazione e la catechesi, esoprattutto l’incontro personale, cheè il primo momento dell’annunciodel Vangelo (cfr. Evangelii gaudium,127-129). Conosco alcune comunitàche hanno scelto di non pronunciarepiù la parola “vo cazione” nelle loroproposte giovanili, perché ritengonoche i giovani ne abbiano paura e nonpartecipino alle loro attività. Questaè una strategia fallimentare: toglieredal vocabolario della fede la parola“vo cazione” significa mutilarne il les-sico correndo il rischio, presto o tar-di, di non capirsi più. Abbiamo biso-gno — invece — di uomini e donne,laici e consacrati appassionati, ardentiper l’incontro con Dio e trasformatinella loro umanità, capaci di annun-ciare con la vita la felicità che vienedalla loro vocazione.

Fe l i c i t à

Questo — l’essere un segno gioioso— non è per nulla scontato, eppure èla questione più importante per ilnostro tempo, in cui la “dea lamente-la” ha molti seguaci e ci si accontentadi gioie passeggere. Invece la felicitàè più profonda, permane anchequando la gioia o l’entusiasmo delmomento scompaiono, anche quandosopraggiungono le difficoltà, il dolo-re, lo scoraggiamento, la disillusione.La felicità rimane perché è Gesù stes-so, la cui amicizia è indissolubile (cfr.Christus vivit, 154). «In fondo — dice-va Papa Benedetto — vogliamo unacosa sola: la vita beata, la vita che èsemplicemente vita, semplicementefelicità» (Enc. Spe salvi, 11). Alcuneesperienze di pastorale giovanile evocazionale confondono la felicitàche è Gesù con la gioia emozionante

e annunciano la vocazione come tut-ta luminosa. Questo non va bene,perché quando si entra a contattocon la carne sofferente dell’umanità— la propria o quella degli altri —,questa gioia scompare. Altri introdu-cono l’idea che discernere la propriavocazione o camminare nella vita spi-rituale sia una questione di tecniche,di esercizi dettagliati o di regole daseguire; in realtà, «la vita che Dio cioffre [...] è un invito a far parte diuna storia d’amore che si intrecciacon le nostre storie» (Christus vivit,252).

Libertà

È vero che la parola “vo cazione” aigiovani può fare paura, perché spessoè stata confusa con un progetto chetoglie la libertà. Dio, invece, sostienesempre fino in fondo la libertà di cia-scuno (cfr. ibid., 113). È bene ricordar-lo, soprattutto quando l’accompagna-mento personale o comunitario inne-sca dinamiche di dipendenza o, peg-gio, di plagio. Questo è molto grave,perché impedisce la crescita e il con-solidarsi della libertà, soffoca la vitarendendola infantile. La vocazione siriconosce a partire dalla realtà, inascolto della Parola di Dio e dellastoria, in ascolto dei sogni che ispira-no le decisioni, nella meraviglia di ri-conoscere — a un certo punto — checiò che vogliamo per davvero è ancheciò che Dio vuole da noi. Dallo stu-pore di questo punto d’incontro, lalibertà si orienta a una scelta dirom-pente d’amore e la volontà fa cresceregli argini capaci di contenere e inca-nalare verso un’unica direzione tuttala propria energia di vita.

Insieme

La vocazione — lo abbiamo già ac-cennato — non è mai soltanto “mia”.«I veri sogni sono i sogni del “noi”»(Veglia con i giovani italiani, 11 agosto2018). Nessuno può compiere unascelta di vita soltanto per sé; la voca-zione è sempre per e con gli altri.Penso che dovremmo riflettere moltosu questi “sogni del noi” perché ri-guardano la vocazione delle nostrecomunità di vita consacrata, i nostripresbitéri, le nostre parrocchie, i no-stri gruppi ecclesiali. Il Signore nonchiama mai solo come singoli, masempre all’interno di una fraternitàper condividere il suo progettod’amore, che è plurale fin dall’inizioperché lo è Lui stesso, Trinità miseri-cordiosa. Trovo sia molto fecondopensare alla vocazione in questa pro-spettiva. Anzitutto perché offre unosguardo missionario condiviso, poiperché rinnova la consapevolezza chenella Chiesa nulla si compie da soli;che siamo all’interno di una lungastoria orientati verso un futuro che èpartecipazione di tutti. La pastorale

vocazionale non può essere compitosolo di alcuni l e a d e r, ma della comu-nità: «ogni pastorale è vocazionale,ogni formazione è vocazionale e ognispiritualità è vocazionale» (Christusvivit, 254).

VO CAZIONI A UNA SPECIALECONSACRAZIONE

«Se partiamo dalla convinzioneche lo Spirito continua a suscitarevocazioni al sacerdozio e alla vitaconsacrata, possiamo “gettare di nuo-vo le reti” nel nome del Signore, conpiena fiducia» (ibid., 274). Voglio ri-badire con forza questa mia certezzaincoraggiandovi a impiegare ancorapiù energie nell’avviare processi e al-largare spazi di fraternità che affasci-na (cfr. ibid., 38) perché vive di Van-gelo.

Penso alle tante comunità di vitaconsacrata che operano capillarmentenella carità e nella missione. Pensoalla vita monastica, nella quale affon-dano le radici dell’Europa e che an-cora è capace di attrarre molte voca-zioni, soprattutto femminili: essa vacustodita, valorizzata e aiutata adesprimersi per quello che veramenteè, scuola di preghiera e di comunio-ne. Penso alle parrocchie, radicate nelterritorio e alla loro forza di evange-lizzare questo tempo. Penso all’imp e-gno sincero di innumerevoli sacer-doti, diaconi, consacrati, consacratee vescovi «che ogni giorno si spendo-no con onestà e dedizione al serviziodei giovani. La loro opera è una fore-sta che cresce senza fare rumore»(ibid., 99).

Non abbiate paura di accettare lasfida di annunciare ancora la voca-zione alla vita consacrata e al mini-stero ordinato. La Chiesa ne ha biso-gno! E quando i giovani incontranouomini e donne consacrati credibili,non perché perfetti, ma perché se-gnati dall’incontro col Signore, sannogustare una vita differente e interro-garsi sulla loro vocazione. «La Chie-sa attira l’attenzione dei giovani at-traverso il suo radicarsi in Gesù Cri-sto. Cristo è la Verità che rende laChiesa diversa da qualsiasi altrogruppo secolare in cui potremmoidentificarci» (Documento pre-sinodaledei giovani, 11).

Oggi la vita di tutti è frammentatae a volte ferita; quella della Chiesanon lo è di meno. Radicarsi in Cristoè la via maestra per lasciare che lasua opera ci ricomponga. Accompa-gnare e formare la vocazione è accon-sentire all’opera artigianale di Cristoche è venuto a portare il lieto annun-cio ai poveri, a fasciare le piaghe deicuori spezzati, a proclamare la libertàdegli schiavi e ai ciechi la vista (cfr.Lc 4, 18). Coraggio allora! Cristo civuole vivi!

E questo è il discorso consegnato

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Oltre i confinidelle appartenenzeetniche e religiose

Me s s a g g i odel Papa

Cerezo Barredo, murale del seminario claretiano a Guadalajara (Messico)

#giornatamissionaria

Battezzati e inviati:la Chiesa di Cristo

in missione nel mondo

Cari fratelli e sorelle,

per il mese di ottobre del 2019 ho chie-sto a tutta la Chiesa di vivere un tempostraordinario di missionarietà per com-memorare il centenario della promulga-zione della Lettera apostolica Ma x i m u m

proselitismo — ma una ricchezza da do-nare, da comunicare, da annunciare: ec-co il senso della missione. Gratuitamen-te abbiamo ricevuto questo dono e gra-tuitamente lo condividiamo (cfr. Mt 10,8), senza escludere nessuno. Dio vuoleche tutti gli uomini siano salvi arrivandoalla conoscenza della verità e all’esp e-rienza della sua misericordia grazie allaChiesa, sacramento universale della sal-vezza (cfr. 1 Tm 2, 4; 3, 15; CONC.ECUM. VA T. II, Cost. dogm. Lumen gen-tium, 48).

battezzato è una missione. Chi ama simette in movimento, è spinto fuori da séstesso, è attratto e attrae, si dona all’al-tro e tesse relazioni che generano vita.Nessuno è inutile e insignificante perl’amore di Dio. Ciascuno di noi è unamissione nel mondo perché fruttodell’amore di Dio. Anche se mio padre emia madre tradissero l’amore con lamenzogna, l’odio e l’infedeltà, Dio nonsi sottrae mai al dono della vita, desti-nando ogni suo figlio, da sempre, allasua vita divina ed eterna (cfr. Ef 1, 3-6).

Questa vita ci viene comunicata nelBattesimo, che ci dona la fede in GesùCristo vincitore del peccato e della mor-te, ci rigenera ad immagine e somiglian-za di Dio e ci inserisce nel corpo di Cri-sto che è la Chiesa. In questo senso, ilBattesimo è dunque veramente necessa-rio per la salvezza perché ci garantisceche siamo figli e figlie, sempre e dovun-que, mai orfani, stranieri o schiavi, nellacasa del Padre. Ciò che nel cristiano èrealtà sacramentale — il cui compimentoè l’Eucaristia —, rimane vocazione e de-stino per ogni uomo e donna in attesadi conversione e di salvezza. Il Battesi-mo infatti è promessa realizzata del do-no divino che rende l’essere umano fi-glio nel Figlio. Siamo figli dei nostri ge-nitori naturali, ma nel Battesimo ci è da-ta l’originaria paternità e la vera mater-nità: non può avere Dio come Padre chinon ha la Chiesa come madre (cfr. SanCipriano, L’unità della Chiesa, 4).

Così, nella paternità di Dio e nellamaternità della Chiesa si radica la nostramissione, perché nel Battesimo è insitol’invio espresso da Gesù nel mandatopasquale: come il Padre ha mandato me,anche io mando voi pieni di SpiritoSanto per la riconciliazione del mondo(cfr. Gv 20, 19-23; Mt 28, 16-20). Al cri-stiano compete questo invio, affinché anessuno manchi l’annuncio della sua vo-cazione a figlio adottivo, la certezza del-la sua dignità personale e dell’intrinsecovalore di ogni vita umana dal suo conce-pimento fino alla sua morte naturale. Ildilagante secolarismo, quando si fa rifiu-to positivo e culturale dell’attiva paterni-tà di Dio nella nostra storia, impedisceogni autentica fraternità universale chesi esprime nel reciproco rispetto della vi-ta di ciascuno. Senza il Dio di GesùCristo, ogni differenza si riduce ad in-fernale minaccia rendendo impossibile

illud del Papa Benedetto XV (30 novem-bre 1919). La profetica lungimiranza del-la sua proposta apostolica mi ha confer-mato su quanto sia ancora oggi impor-tante rinnovare l’impegno missionariodella Chiesa, riqualificare in senso evan-gelico la sua missione di annunciare e diportare al mondo la salvezza di GesùCristo, morto e risorto.

Il titolo del presente messaggio èuguale al tema dell’Ottobre missionario:Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristo inmissione nel mondo. Celebrare questo me-se ci aiuterà in primo luogo a ritrovare ilsenso missionario della nostra adesionedi fede a Gesù Cristo, fede gratuitamen-te ricevuta come dono nel Battesimo. Lanostra appartenenza filiale a Dio non èmai un atto individuale ma sempre ec-clesiale: dalla comunione con Dio, Padree Figlio e Spirito Santo, nasce una vitanuova insieme a tanti altri fratelli e so-relle. E questa vita divina non è un pro-dotto da vendere — noi non facciamo

La Chiesa è in missione nel mondo: lafede in Gesù Cristo ci dona la giusta di-mensione di tutte le cose facendoci ve-dere il mondo con gli occhi e il cuore diDio; la speranza ci apre agli orizzontieterni della vita divina di cui veramentepartecipiamo; la carità, che pregustiamonei Sacramenti e nell’amore fraterno, cispinge sino ai confini della terra (cfr. Mi5, 3; Mt 28, 19; At 1, 8; Rm 10, 18). UnaChiesa in uscita fino agli estremi confinirichiede conversione missionaria costan-te e permanente. Quanti santi, quantedonne e uomini di fede ci testimoniano,ci mostrano possibile e praticabile que-sta apertura illimitata, questa uscita mi-sericordiosa come spinta urgentedell’amore e della sua logica intrinsecadi dono, di sacrificio e di gratuità (cfr. 2Cor 5, 14-21)! Sia uomo di Dio chi predi-ca Dio (cfr. Lett. ap. Maximum illud).

È un mandato che ci tocca da vicino:io sono sempre una missione; tu seisempre una missione; ogni battezzata e

«Battezzati e inviati: la Chiesa di Cristoin missione nel mondo»: è lo stessodel mese missionario straordinario chesi celebrerà a ottobre prossimo, il temadel messaggio del Papa per la Giornatamissionaria mondiale, pubblicato domenica9 giugno, solennità di Pentecoste.

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qualsiasi fraterna accoglienza e fecondaunità del genere umano.

L’universale destinazione della salvez-za offerta da Dio in Gesù Cristo con-dusse Benedetto XV ad esigere il supera-mento di ogni chiusura nazionalistica edetnocentrica, di ogni commistionedell’annuncio del Vangelo con le poten-ze coloniali, con i loro interessi econo-mici e militari. Nella sua Lettera aposto-lica Maximum illud il Papa ricordava chel’universalità divina della missione dellaChiesa esige l’uscita da un’appartenenzaesclusivistica alla propria patria e allapropria etnia. L’apertura della cultura edella comunità alla novità salvifica diGesù Cristo richiede il superamento diogni indebita introversione etnica ed ec-clesiale. Anche oggi la Chiesa continuaad avere bisogno di uomini e donneche, in virtù del loro Battesimo, rispon-dono generosamente alla chiamata aduscire dalla propria casa, dalla propriafamiglia, dalla propria patria, dalla pro-pria lingua, dalla propria Chiesa locale.Essi sono inviati alle genti, nel mondonon ancora trasfigurato dai Sacramentidi Gesù Cristo e della sua santa Chiesa.Annunciando la Parola di Dio, testimo-niando il Vangelo e celebrando la vitadello Spirito chiamano a conversione,battezzano e offrono la salvezza cristiananel rispetto della libertà personale diognuno, in dialogo con le culture e lereligioni dei popoli a cui sono inviati.La missio ad gentes, sempre necessaria al-la Chiesa, contribuisce così in manierafondamentale al processo permanente diconversione di tutti i cristiani. La fedenella Pasqua di Gesù, l’invio ecclesialebattesimale, l’uscita geografica e cultura-le da sé e dalla propria casa, il bisognodi salvezza dal peccato e la liberazionedal male personale e sociale esigono lamissione fino agli estremi confini dellaterra.

La provvidenziale coincidenza con lacelebrazione del Sinodo Speciale sulleChiese in Amazzonia mi porta a sottoli-neare come la missione affidataci da Ge-sù con il dono del suo Spirito sia ancoraattuale e necessaria anche per quelle ter-re e per i loro abitanti. Una rinnovataPentecoste spalanca le porte della Chie-sa affinché nessuna cultura rimangachiusa in sé stessa e nessun popolo siaisolato ma aperto alla comunione uni-versale della fede. Nessuno rimangachiuso nel proprio io, nell’a u t o re f e re n -zialità della propria appartenenza etnicae religiosa. La Pasqua di Gesù rompe gli

angusti limiti di mondi, religioni e cul-ture, chiamandoli a crescere nel rispettoper la dignità dell’uomo e della donna,verso una conversione sempre più pienaalla Verità del Signore Risorto che donala vera vita a tutti.

Mi sovvengono a tale proposito le pa-role di Papa Benedetto XVI all’inizio delnostro incontro di Vescovi latinoameri-cani ad Aparecida, in Brasile, nel 2007,parole che qui desidero riportare e faremie: «Che cosa ha significato l’accetta-zione della fede cristiana per i Paesidell’America Latina e dei Caraibi? Peressi ha significato conoscere e accogliereCristo, il Dio sconosciuto che i loro an-tenati, senza saperlo, cercavano nelle lo-ro ricche tradizioni religiose. Cristo erail Salvatore a cui anelavano silenziosa-mente. Ha significato anche avere rice-vuto, con le acque del Battesimo, la vitadivina che li ha fatti figli di Dio peradozione; avere ricevuto, inoltre, lo Spi-rito Santo che è venuto a fecondare leloro culture, purificandole e sviluppandoi numerosi germi e semi che il Verbo in-carnato aveva messo in esse, orientando-le così verso le strade del Vangelo. [...]Il Verbo di Dio, facendosi carne in Ge-sù Cristo, si fece anche storia e cultura.L’utopia di tornare a dare vita alle reli-

gioni precolombiane, separandole daCristo e dalla Chiesa universale, non sa-rebbe un progresso, bensì un regresso.In realtà, sarebbe un’involuzione versoun momento storico ancorato nel passa-to» (Discorso nella Sessione inaugurale, 13maggio 2007: Insegnamenti III, 1 [2007],855-856).

A Maria nostra Madre affidiamo lamissione della Chiesa. Unita al suo Fi-glio, fin dall’Incarnazione la Vergine si èmessa in movimento, si è lasciata total-mente coinvolgere nella missione di Ge-sù, missione che ai piedi della croce di-venne anche la sua propria missione:collaborare come Madre della Chiesa agenerare nello Spirito e nella fede nuovifigli e figlie di Dio.

Vorrei concludere con una breve paro-la sulle Pontificie Opere Missionarie,già proposte nella Maximum illud comestrumento missionario. Le POM esprimo-no il loro servizio all’universalità eccle-siale come una rete globale che sostieneil Papa nel suo impegno missionario conla preghiera, anima della missione, e lacarità dei cristiani sparsi per il mondointero. La loro offerta aiuta il Papanell’evangelizzazione delle Chiese parti-colari (Opera della Propagazione dellaFede), nella formazione del clero locale(Opera di San Pietro Apostolo),nell’educazione di una coscienza missio-naria dei bambini di tutto il mondo(Opera della Santa Infanzia) e nella for-mazione missionaria della fede dei cri-stiani (Pontificia Unione Missionaria).Nel rinnovare il mio appoggio a taliOpere, auguro che il Mese MissionarioStraordinario dell’Ottobre 2019contribuisca al rinnovamento del loroservizio missionario al mio ministero.

Ai missionari e alle missionarie e atutti coloro che in qualsiasi modo parte-cipano, in forza del proprio Battesimo,alla missione della Chiesa invio di cuorela mia benedizione.

Dal Vaticano, 9 giugno 2019,Solennità di Pentecoste

Intenzione di preghiera per il mese di giugno

Lo stile del sacerdoteEssere il volto della Chiesa “in uscita” e “vicina”, pronta aintercettare i bisogni e le ansie delle persone, e a chinarsi sulleferite dell’uomo; il volto della Chiesa che annuncia il Vangelosoprattutto con la testimonianza della vita. È ciò che più volteha chiesto e chiede ai preti il Papa. E a loro ha dedicatol’intenzione per il mese di giugno affidata alla Rete mondiale dipreghiera attraverso il sito www.thepopevideo.org: «Preghiamoper i sacerdoti perché, con la sobrietà e l’umiltà della loro vita,si impegnino in un’attiva solidarietà, soprattutto, verso i piùpoveri». Mentre scorrono immagini raccolte in tutto il mondodi preti che, a fianco della gente, condividono la quotidianitàdella vita portando l’annuncio evangelico nella preghiera, nel

sostegno spirituale, nei sacramenti, ma anche nei lavoriquotidiani, nella condivisione delle emergenze e delle povertà,senza timore di “sporcarsi le mani”, il Pontefice puntal’attenzione proprio sullo «stile di vita dei sacerdoti». Esottolinea: «Non tutti sono perfetti, ma molti si mettono ingioco fino alla fine offrendosi con umiltà e gioia». Sono preti«vicini, disposti a lavorare sodo per tutti».Infine il Papa invita le comunità a rendere grazie al Signore«per il loro esempio e la loro testimonianza» e allo stesso tempoinvita a pregare affinché i presbiteri, i pastori, «con la sobrietà el’umiltà della loro vita, si impegnino in un’attiva solidarietà,soprattutto, verso i più poveri».

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PCessino le violenzein Sudan

C’è bisogno soprattuttodello Spirito per mettere ordinenella frenesia. Lo sottolineail Papa nell’omelia per la messadi Pentecoste, presieduta domenicamattina, 9 giugno, in piazzaSan Pietro. Al termine, primadella benedizione conclusiva,il Pontefice ha guidato la recitadel Regina caeli, ricordandola celebrazione di ringraziamentoper la conferma di culto del beatoMichele Giedroyć, svoltasiil giorno prima a Cracovia,e lanciando un appelloper il Sudan.

Ieri, a Cracovia, si è svoltala celebrazione diringraziamento per laconferma di culto del BeatoMichele Giedroyć, allaquale hanno preso parte iVescovi di Polonia eLituania. Questo eventoincoraggia i polacchi e ilituani a rinsaldare i legaminel segno della fede e dellavenerazione al BeatoMichele, vissuto a Cracovianel secolo quindicesimo,modello di umiltà e dicarità evangelica.Suscitano dolore epreoccupazione le notizieche giungono in questigiorni dal Sudan.Preghiamo per questopopolo, perché cessino leviolenze e si ricerchi il benecomune nel dialogo.Saluto tutti voi, pellegriniprovenienti dall’Italia e datante parti del mondo, cheavete partecipato a questacelebrazione: i gruppi, leassociazioni e i singolifedeli. Tutti incoraggio adaprirsi con docilitàall’azione dello SpiritoSanto, offrendo al mondo,nella varietà dei carismi,l’immagine di una fraternitàin comunione.Ci ottenga questa grazia laSanta Madre di Dio, allacui materna intercessione ciaffidiamo con fiducia filiale.

entecoste arrivò, per i discepoli, dopo cin-quanta giorni incerti. Da un lato Gesù era Ri-sorto, pieni di gioia lo avevano visto e ascolta-to, e avevano pure mangiato con Lui. Dall’al-tro lato, non avevano ancora superato dubbi epaure: stavano a porte chiuse (cfr Gv 20,19.26), con poche prospettive, incapaci di an-nunciare il Vivente. Poi arriva lo Spirito Santoe le preoccupazioni svaniscono: ora gli Apo-stoli non hanno timore nemmeno davanti achi li arresta; prima preoccupati di salvarsi lavita, ora non hanno più paura di morire; pri-ma rinchiusi nel Cenacolo, ora annunciano atutte le genti. Fino all’Ascensione di Gesù at-tendevano un Regno di Dio per loro (cfr At 1,6), ora sono impazienti di raggiungere confiniignoti. Prima non avevano quasi mai parlatoin pubblico e quando l’avevano fatto avevanospesso combinato guai, come Pietro rinnegan-do Gesù; ora parlano con p a r re s i a a tutti. Lavicenda dei discepoli, che sembrava al capoli-nea, viene insomma rinnovata dalla giovinezzadello Spirito: quei giovani, che in preda all’in-certezza si sentivano arrivati, sono stati trasfor-mati da una gioia che li ha fatti rinascere. LoSpirito Santo ha fatto questo. Lo Spirito nonè, come potrebbe sembrare, una cosa astratta;è la Persona più concreta, più vicina, quellache ci cambia la vita. Come fa? Guardiamoagli Apostoli. Lo Spirito non ha reso loro lecose più facili, non ha fatto miracoli spettaco-lari, non ha tolto di mezzo problemi e opposi-tori, ma lo Spirito ha portato nelle vite dei di-scepoli un’armonia che mancava, la sua, per-ché Egli è armonia.

Ar m o n i a dentro l’uomo. Dentro, nel cuore idiscepoli avevano bisogno di essere cambiati.La loro storia ci dice che persino vedere il Ri-sorto non basta, se non Lo si accoglie nel cuo-re. Non serve sapere che il Risorto è vivo senon si vive da Risorti. Ed è lo Spirito che favivere e rivivere Gesù in noi, che ci risuscitadentro. Per questo Gesù, incontrando i suoi,ripete: «Pace a voi!» (Gv 20, 19.21) e dona loSpirito. La pace non consiste nel sistemare iproblemi di fuori — Dio non toglie ai suoi tri-bolazioni e persecuzioni — ma nel ricevere loSpirito Santo. In questo consiste la pace, quel-la pace data agli Apostoli, quella pace che nonlibera dai problemi ma nei problemi, è offertaa ciascuno di noi. È una pace che rende ilcuore simile al mare profondo, che è sempretranquillo anche quando in superficie le ondesi agitano. È un’armonia così profonda chepuò trasformare persino le persecuzioni inbeatitudini. Quante volte, invece, rimaniamoin superficie! Anziché cercare lo Spirito tentia-mo di rimanere a galla, pensando che tuttoandrà meglio se passerà quel guaio, se non ve-drò più quella persona, se migliorerà quella si-tuazione. Ma questo è rimanere in superficie:passato un problema ne arriverà un altro el’inquietudine ritornerà. Non è prendendo ledistanze da chi non la pensa come noi che sa-remo sereni, non è risolvendo il guaio del mo-mento che staremo in pace. La svolta è la pacedi Gesù, è l’armonia dello Spirito.

Oggi, nella fretta che il nostro tempo ci im-pone, sembra che l’armonia sia emarginata: ti-rati da mille parti rischiamo di scoppiare, sol-

monizza, che dà l’armonia e dà unità alla di-versità. Soltanto Lui può fare queste due cose.

Oggi nel mondo le disarmonie sono diven-tate vere e proprie divisioni: c’è chi ha troppoe c’è chi nulla, c’è chi cerca di vivere cent’annie chi non può venire alla luce. Nell’era deicomputer si sta a distanza: più “social” ma me-no sociali. Abbiamo bisogno dello Spirito diunità, che ci rigeneri come Chiesa, come Po-polo di Dio, e come umanità intera. Che ci ri-generi. Sempre c’è la tentazione di costruire“nidi”: di raccogliersi attorno al proprio grup-po, alle proprie preferenze, il simile col simile,allergici a ogni contaminazione. E dal nido al-la setta il passo è breve, anche dentro la Chie-sa. Quante volte si definisce la propria identitàcontro qualcuno o contro qualcosa! Lo SpiritoSanto, invece, congiunge i distanti, unisce ilontani, riconduce i dispersi. Fonde tonalitàdiverse in un’unica armonia, perché vede anzi-tutto il bene, guarda all’uomo prima che aisuoi errori, alle persone prima che alle loroazioni. Lo Spirito plasma la Chiesa, plasma ilmondo come luoghi di figli e di fratelli. Figlie fratelli: sostantivi che vengono prima di ognialtro aggettivo. Va di moda aggettivare, pur-troppo anche insultare. Possiamo dire che noiviviamo una cultura dell’aggettivo che dimen-tica il sostantivo delle cose; e anche in unacultura dell’insulto, che è la prima risposta adun’opinione che io non condivido. Poi ci ren-diamo conto che fa male, a chi è insultato maanche a chi insulta. Rendendo male per male,passando da vittime a carnefici, non si vive be-ne. Chi vive secondo lo Spirito, invece, portapace dov’è discordia, concordia dov’è conflit-to. Gli uomini spirituali rendono bene per ma-le, rispondono all’arroganza con mitezza, allacattiveria con bontà, al frastuono col silenzio,alle chiacchiere con la preghiera, al disfattismocol sorriso.

Per essere spirituali, per gustare l’armoniadello Spirito, occorre mettere il suo sguardodavanti al nostro. Allora le cose cambiano: conlo Spirito la Chiesa è il Popolo santo di Dio,la missione il contagio della gioia, non il pro-selitismo, gli altri fratelli e sorelle amati dallostesso Padre. Ma senza lo Spirito la Chiesa èun’organizzazione, la missione propaganda, lacomunione uno sforzo. E tante Chiese fannoazioni programmatiche in questo senso di pia-ni pastorali, di discussioni su tutte le cose.Sembra che sia quella strada ad unirci, maquesta non è la strada dello Spirito, è la stradadella divisione. Lo Spirito è il bisogno primo eultimo della Chiesa (cfr S. Paolo VI, Udienza ge-n e ra l e , 29 novembre 1972). Egli «viene dov’èamato, dov’è invitato, dov’è atteso» (S. Bona-ventura, Sermone per la IV Domenica dopo Pa-squa). Fratelli e sorelle, preghiamolo ogni gior-no. Spirito Santo, armonia di Dio, Tu che tra-sformi la paura in fiducia e la chiusura in do-no, vieni in noi. Dacci la gioia della risurrezio-ne, la perenne giovinezza del cuore. SpiritoSanto, armonia nostra, Tu che fai di noi uncorpo solo, infondi la tua pace nella Chiesa enel mondo. Spirito Santo, rendici artigiani diconcordia, seminatori di bene, apostoli di spe-ranza.

Un cristianesimo senza Spiritoè solo un moralismo senza gioia

Me s s anella solennità

di Pentecoste

#copertina

lecitati da un nervosismo continuo che ci fareagire male a ogni cosa. E si cerca la soluzio-ne rapida, una pastiglia dietro l’altra per anda-re avanti, un’emozione dietro l’altra per sentir-si vivi. Ma abbiamo soprattutto bisogno delloSpirito: è Lui che mette ordine nella frenesia.Egli è pace nell’inquietudine, fiducia nello sco-raggiamento, gioia nella tristezza, gioventùnella vecchiaia, coraggio nella prova. È Coluiche, tra le correnti tempestose della vita, fissal’ancora della speranza. È lo Spirito che, comedice oggi San Paolo, ci impedisce di ricaderenella paura perché ci fa sentire figli amati (cfrRm 8, 15). È il Consolatore, che ci trasmette latenerezza di Dio. Senza lo Spirito la vita cri-stiana è sfilacciata, priva dell’amore che tuttounisce. Senza lo Spirito Gesù rimane un per-sonaggio del passato, con lo Spirito è personaviva oggi; senza lo Spirito la Scrittura è letteramorta, con lo Spirito è Parola di vita. Un cri-stianesimo senza lo Spirito è un moralismosenza gioia; con lo Spirito è vita.

Lo Spirito Santo non porta solo armoniad e n t ro , ma anche fuori, tra gli uomini. Ci faChiesa, compone parti diverse in un unico edi-ficio armonico. Lo spiega bene San Paolo che,parlando della Chiesa, ripete spesso una paro-la, “diversi”: «d i v e rs i carismi, d i v e rs e attività,d i v e rs i ministeri» (1 Cor 12, 4-6). Siamo diversi,nella varietà delle qualità e dei doni. Lo Spiri-to li distribuisce con fantasia, senza appiattire,senza omologare. E, a partire da queste diver-sità, costruisce l’unità. Fa così, fin dalla crea-zione, perché è specialista nel trasformare ilcaos in cosmo, nel mettere armonia. È specia-lista nel creare le diversità, le ricchezze; ognu-no la sua, diversa. Lui è il creatore di questadiversità e, allo stesso tempo, è Colui che ar-

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A

In ascolto del gridodella città di Roma

L’omeliadella veglia

di Pentecoste

#copertina

nche stasera, vigilia dell’ultimo giornodel tempo di Pasqua, festa di Penteco-ste, Gesù è in mezzo a noi e proclamaad alta voce: «Se qualcuno ha sete, ven-ga a me, e beva chi crede in me. Comedice la Scrittura: Dal suo grembo sgor-gheranno fiumi di acqua viva» (Gv 7,37-38).

È “il fiume d’acqua viva” dello SpiritoSanto che scaturisce dal grembo di Ge-sù, dal suo fianco trafitto dalla lancia(cfr. Gv 19, 36), e che lava e feconda laChiesa, mistica sposa rappresentata daMaria, nuova Eva, ai piedi della croce.

Lo Spirito Santo sgorga dal grembodi misericordia di Gesù Risorto, riempieil nostro grembo di una “misura buona,pigiata, colma e traboccante” di miseri-cordia (cfr. Lc 6, 38) e ci trasforma inChiesa-grembo di misericordia, cioè inuna “madre dal cuore aperto” per tutti!Quanto vorrei che la gente che abita aRoma riconoscesse la Chiesa, ci ricono-scesse per questo di più di misericordia— non per altre cose —, per questo di piùdi umanità e di tenerezza, di cui c’è tan-to bisogno! Si sentirebbe come a casa, la“casa materna” dove si è sempre benve-nuti e dove si può sempre ritornare. Sisentirebbe sempre accolta, ascoltata, beninterpretata, aiutata a fare un passoavanti nella direzione del regno di Dio...Come sa fare una madre, anche con i fi-gli diventati ormai grandi.

Questo pensiero alla maternità dellaChiesa mi fa ricordare che 75 anni fa, l’11giugno del 1944, il Papa Pio XII compìuno speciale atto di ringraziamento e disupplica alla Vergine, per la protezionedella città di Roma. Lo fece nella chiesadi Sant’Ignazio, dove era stata portatala venerata immagine della Madonnadel Divino Amore. L’Amore Divino è loSpirito Santo, che scaturisce dal Cuoredi Cristo. È Lui la “roccia spirituale”che accompagna il popolo di Dio neldeserto, perché attingendone l’acqua vi-va possa dissetarsi lungo il cammino(cfr. 1 Cor 10, 4). Nel roveto che non siconsuma, immagine di Maria Vergine eMadre, c’è il Cristo Risorto che ci parla,ci comunica il fuoco dello Spirito Santo,ci invita a scendere in mezzo al popoloper ascoltare il grido, ci invia per aprireil varco a cammini di libertà che porta-no a terre promesse da Dio.

Lo sappiamo: c’è anche oggi, come inogni tempo, chi cerca di costruire “unacittà e una torre che arrivi fino al cielo”

(cfr. Gen 11, 4). Sono i progetti umani,anche i nostri progetti, fatti al servizio diun “io” sempre più grande, verso un cie-lo dove non c’è più spazio per Dio. Dioci lascia fare per un po’, in modo da far-ci sperimentare fino a che punto di malee di tristezza siamo capaci di arrivaresenza di Lui... Ma lo Spirito del Cristo,Signore della storia, non vede l’ora dibuttare all’aria tutto, per farci ricomin-ciare! Noi siamo sempre un po’ “s t re t t i ”di sguardo e di cuore; lasciati a noi stes-si finiamo per perdere l’orizzonte; arri-viamo a convincerci di aver compresotutto, di aver preso in considerazionetutte le variabili, di aver previsto cosa ac-cadrà e come accadrà... Sono tutte co-struzioni nostre che si illudono di tocca-re il cielo. Invece lo Spirito irrompe nelmondo dall’Alto, dal grembo di Dio, lìdove il Figlio è stato generato, e fa nuo-ve tutte le cose.

Che cosa celebriamo oggi, tutti insie-me, in questa nostra città di Roma? Ce-lebriamo il primato dello Spirito, che cifa ammutolire di fronte all’i m p re v e d i b i l i -tà del piano di Dio, e poi trasalire digioia: “Allora era questo che Dio avevain grembo per noi!”: questo cammino diChiesa, questo passaggio, questo Esodo,questo arrivo alla terra promessa, la cit-tà-Gerusalemme dalle porte sempreaperte per tutti, dove le varie linguedell’uomo si compongono nell’armoniadello Spirito, perché lo Spirito è l’armo-nia.

E se abbiamo presenti le doglie delparto, comprendiamo che il nostro ge-mito, quello del popolo che abita inquesta città e il gemito del creato interonon sono altro che il gemito stesso delloSpirito: è il parto del mondo nuovo.Dio è il Padre e la madre, Dio è la leva-trice, Dio è il gemito, Dio è il Figlio ge-nerato nel mondo e noi, Chiesa, siamoal servizio di questo parto. Non al servi-zio di noi stessi, non al servizio dellenostre ambizioni, di tanti sogni di pote-re, no: al servizio di questo che Dio fa,di queste meraviglie che Dio fa.

«Se l’orgoglio e la presunta superiori-tà morale non ci ottundono l’udito, cirenderemo conto che sotto il grido ditanta gente non c’è altro che un gemitoautentico dello Spirito Santo. È lo Spiri-to che spinge ancora una volta a non ac-contentarsi, a cercare di rimettersi incammino; è lo Spirito che ci salverà daogni “risistematizzazione” dio cesana»(Discorso al Convegno diocesano, 9 mag-gio 2019). Il pericolo è questa voglia diconfondere le novità dello Spirito conun metodo di “r i s i s t e m a t i z z a re ” tutto.No, questo non è lo Spirito di Dio. LoSpirito di Dio sconvolge tutto e ci fa in-cominciare non da capo, ma da un nuo-vo cammino.

Lasciamoci allora prendere per manodallo Spirito e portare in mezzo al cuore

della città per ascoltarne il grido, il ge-mito. A Mosè Dio dice che questo gridonascosto del Popolo è arrivato sino aLui: Egli lo ha udito, ha visto l’o p p re s -sione e le sofferenze... E ha deciso di in-tervenire inviando Mosè per suscitare ealimentare il sogno di libertà degli Israe-liti e rivelare loro che questo sogno è lasua stessa volontà: fare di Israele un Po-polo libero, il suo Popolo, legato a Luida un’alleanza d’amore, chiamato a te-stimoniare la fedeltà del Signore davantia tutte le genti.

Ma perché Mosè possa realizzare lasua missione, Dio vuole invece che egli“scenda” con Lui in mezzo agli Israeliti.Il cuore di Mosè deve diventare comequello di Dio, attento e sensibile allesofferenze e ai sogni degli uomini, aquello che gridano di nascosto quandoalzano le mani verso il Cielo, perchénon hanno più appigli sulla terra. È ilgemito dello Spirito, e Mosè deve ascol-tare, non con l’o re c c h i o , con il cuore.Oggi chiede a noi, cristiani, di impararead ascoltare con il cuore. E il Maestro diquesto ascolto è lo Spirito. Aprire ilcuore perché Lui ci insegni ad ascoltarecon il cuore. Aprirlo.

E per metterci in ascolto del gridodella città di Roma, anche noi abbiamobisogno che il Signore ci prenda permano e ci faccia “s c e n d e re ”, scenderedalle nostre posizioni, scendere in mez-zo ai fratelli che abitano nella nostra cit-tà, per ascoltare il loro bisogno di sal-vezza, il grido che arriva fino a Lui eche noi abitualmente non udiamo. Nonsi tratta di spiegare cose intellettuali,ideologiche. A me fa piangere quandovedo una Chiesa che crede di essere fe-dele al Signore, di aggiornarsi quandocerca strade puramente funzionalistiche,strade che non vengono dallo Spirito diDio. Questa Chiesa non sa scendere, ese non si scende non è lo Spirito che co-manda. Si tratta di aprire occhi e orec-chie, ma soprattutto il cuore, ascoltarecon il cuore. Allora ci metteremo incammino davvero. Allora sentiremo den-tro di noi il fuoco della Pentecoste, checi spinge a gridare agli uomini e alledonne di questa città che è finita la loroschiavitù e che è Cristo la via che portaalla città del Cielo. Per questo ci vuolela fede, fratelli e sorelle. Chiediamo oggiil dono della fede per andare su questastrada. Amen!

«Lasciamoci prendere per manodallo Spirito e portare in mezzo al cuoredella città per ascoltarne il grido»:è l’esortazione che il Papa ha rivoltoalla Chiesa di Roma durante la messavespertina nella vigilia di Pentecoste,celebrata in piazza San Pietro sabato sera,8 giugno. Ecco l’omelia del Pontefice.

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Sono lieto di accogliervi all’inizio dei lavori del-la 92ª Assemblea Plenaria della RO A C O. Salutoil Cardinale Leonardo Sandri e lo ringrazioper le parole che mi ha rivolto, e con lui tuttoil personale del Dicastero e voi, membri delleAgenzie che da tutto il mondo vi radunateavendo a cuore il presente e il futuro delleChiese Orientali Cattoliche.

D all’ultimo nostro incontro anche per mesono state diverse le occasioni per incontrarerealtà legate al lavoro della Congregazione edi ciascuno di voi: penso ai recenti ViaggiApostolici in Bulgaria, Macedonia del Nord eRomania, ma soprattutto alla grande giornatadi preghiera e dialogo con i miei fratelli, i Pa-triarchi del Medio Oriente, lo scorso 7 luglio aBari.

In questi giorni, gli interventi dei Rappre-sentanti Pontifici di alcuni Paesi, come anchedei Relatori che sono stati scelti, vi aiuterannoa mettervi in ascolto del grido di molti che inquesti anni sono stati derubati della speranza:penso con tristezza, ancora una volta, al dram-ma della Siria e alle dense nubi che sembranoriaddensarsi su di essa in alcune aree ancorainstabili e ove il rischio di una ancora maggio-re crisi umanitaria rimane alto. Quelli che nonhanno cibo, quelli che non hanno cure medi-che, che non hanno scuola, gli orfani, i feriti ele vedove levano in alto le loro voci. Se sonoinsensibili i cuori degli uomini, non lo è quel-lo di Dio, ferito dall’odio e dalla violenza chesi può scatenare tra le sue creature, sempre ca-pace di commuoversi e prendersi cura di lorocon la tenerezza e la forza di un padre cheprotegge e che guida.

Ma a volte penso anche all’ira di Dio che siscatenerà contro i responsabili dei Paesi cheparlano di pace e vendono le armi per farequeste guerre. Questa ipocrisia è un peccato.

Un pensiero insistente mi accompagna pen-sando all’Iraq — dove ho la volontà di andareil prossimo anno —, perché possa guardareavanti attraverso la pacifica e condivisa parte-cipazione alla costruzione del bene comune ditutte le componenti anche religiose della socie-tà, e non ricada in tensioni che vengono daimai sopiti conflitti delle potenze regionali. Enon dimentico l’Ucraina, perché possa trovarepace la sua popolazione, le cui ferite provocatedal conflitto ho cercato di lenire con l’iniziati-va caritativa alla quale molte realtà ecclesialihanno contribuito. In Terra Santa, auspico cheil recente annuncio di una seconda fase di stu-

L’ira di Diocontro i mercantidi armi

dio dei restauri del Santo Sepolcro, che vedefianco a fianco le comunità cristiane dello Sta-tu quo, si accompagni agli sforzi sinceri di tuttigli attori locali ed internazionali perché giungapresto una pacifica convivenza nel rispetto ditutti coloro che abitano quella Terra, segnoper tutti della benedizione del Signore.

Gridano le persone in fuga ammassate sullenavi, in cerca di speranza, non sapendo qualiporti potranno accoglierli, nell’Europa che pe-rò apre i porti alle imbarcazioni che devonocaricare sofisticati e costosi armamenti, capacidi produrre devastazioni che non risparmianonemmeno i bambini. Questa è l’ipocrisia dellaquale ho parlato. Siamo qui consapevoli che ilgrido di Abele sale fino a Dio, come ricorda-vamo proprio a Bari un anno fa, pregando in-sieme per i nostri fedeli del Medio Oriente.

Insieme al lamento e al pianto, sentirete inquesti giorni voci di speranza e consolazione:sono gli echi di quella instancabile opera dicarità che è resa possibile anche attraverso cia-scuno di voi e gli organismi che rappresentate.Essa manifesta il volto della Chiesa e contri-buisce a renderla viva, in particolare alimen-tando la speranza per le giovani generazioni. Igiovani hanno il diritto di sentirsi annunciarela parola affascinante ed esigente di Cristo e,come abbiamo avuto modo di condividere du-rante l’Assemblea del Sinodo dei Vescovi delloscorso ottobre, quando incontrano un testimo-ne autentico e credibile non hanno paura diseguirlo e di interrogarsi sulla loro vocazione.Vi prego di proseguire e aumentare l’imp egnoperché nei Paesi e nelle situazioni che sostene-te i giovani possano crescere in umanità, liberida colonizzazioni ideologiche, con il cuore e lamente aperti, apprezzando le proprie radicinazionali ed ecclesiali e desiderosi di un futurodi pace e di prosperità, che non lasci indietronessuno e nessuno discrimini. Quest’anno, igiovani dell’Etiopia e dell’Eritrea — dopo latanto sospirata pace tra i due Paesi — abban-donando le armi sentono vere le parole delSalmo: «Hai mutato il mio lamento in danza»(30,12). Sono certo che i giovani sentono forteil richiamo a quella fraternità sincera e rispet-tosa di ciascuno, che abbiamo richiamato conil Documento sottoscritto ad Abu Dhabi insie-me al Grande Imam di Al-Azhar. Aiutatemi afarlo conoscere e a diffondere quella alleanzabuona per il futuro dell’umanità in esso conte-nuto. E impegniamoci tutti a preservare quellerealtà che ne vivono il messaggio già da anni,con un particolare pensiero alle istituzioni for-mative, scuole e università, tanto preziose spe-cie in Libano e in tutto il Medio Oriente,laboratori autentici di convivenza e palestredi umanità a cui tutti possano facilmente acce-d e re .

Vi ringrazio per tutto quello che fate. Pregoper voi. E voi, per favore, continuate a pregareper me. Grazie.

Nell’udienzaalla Roacoil Ponteficemanifestala volontàdi andare in Iraqil prossimo anno

#francesco

Un invito a mettersi «in ascolto del gridodi molti che in questi anni sono stati derubatidella speranza» è stato rivolto dal Papaai partecipanti alla plenaria della Roaco(Riunione opere aiuto Chiese orientali) ricevutiin udienza nella mattina di lunedì 10 giugnonella Sala del Concistoro.

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S

No alla dittaturadei risultati

ono contento di porgere il mio più cordiale sa-luto a tutti voi, che date vita nella città diNew York al Congresso mondiale dell’OIECsul tema: Educare all’umanesimo della fraternitàper costruire una civiltà dell’amore. Invio un sa-luto particolare alla vostra Presidente, SignoraAugusta Muthigani, e al Segretario generale,Signor Philippe Richard, come pure ai Segre-tari dei Comitati Regionali dell’OIEC e aimembri dei diversi organismi.

La vostra convinta partecipazione manifestala passione con cui vivete la missione educati-va nello spirito del Vangelo e secondo gli inse-gnamenti della Chiesa. Vi ringrazio per questoservizio, e attraverso di voi vorrei far giungerela mia sincera gratitudine a tutti quelli che la-vorano nell’insegnamento cattolico, fedeli laici,religiose, religiosi, sacerdoti. Il mio pensierova con affetto ai milioni di studentesse e stu-denti che frequentano gli istituti cattolici nellecittà e soprattutto nelle periferie, e anche alleloro famiglie. I giovani, come ho detto nellaGiornata Mondiale della Gioventù a Panamá,appartengono all’oggi di Dio e quindi sonoanche l’oggi della nostra missione educativa.

L’approfondimento che vi proponete di faresul contributo dell’educazione all’umanesimodella fraternità si pone in sintonia con la Di-chiarazione Gravissimum educationis del Conci-lio Vaticano II — cito il Concilio: «Tutti gli uo-mini di qualunque razza, condizione ed età, inforza della loro dignità di persona hanno dirit-to inalienabile ad una educazione che rispon-da alla loro vocazione propria e sia conformeal loro temperamento, alla differenza di sesso,alla cultura e alle tradizioni del loro paese, einsieme aperta a una fraterna convivenza congli altri popoli, al fine di garantire la vera uni-tà e la vera pace sulla terra». E continua: «Ifanciulli e i giovani [...] devono inoltre essereavviati alla vita sociale, in modo che, fornitidei mezzi ad essa necessari e adeguati, possa-no attivamente inserirsi nei gruppi che costi-tuiscono la comunità umana, siano disponibilial dialogo con gli altri e contribuiscano dibuon grado all’incremento del bene comune»(n. 1). Fino a qui il Concilio Vaticano II.

Pertanto, l’umanesimo che le istituzioni edu-cative cattoliche sono chiamate a costruire —come affermava San Giovanni Paolo II — èquello che «propugna una visione della societàcentrata sulla persona umana e i suoi dirittiinalienabili, sui valori della giustizia e dellapace, su un corretto rapporto tra individui, so-cietà e Stato, nella logica della solidarietà edella sussidiarietà. È un umanesimo capace diinfondere un’anima allo stesso progresso eco-nomico, perché esso sia volto alla promozionedi ogni uomo e di tutto l’uomo» (Discorso aidocenti universitari, 9 settembre 2000, 6). Que-sta prospettiva umanistica oggi non può noncomprendere l’educazione ecologica, che pro-muova una alleanza tra l’umanità e l’ambiente,nei diversi livelli dell’«equilibrio ecologico:quello interiore con sé stessi, quello solidalecon gli altri, quello naturale con tutti gli esseriviventi, quello spirituale con Dio» (Enc. Lau-dato si’, 210).

Si tratta di una sfida non facile, che certa-mente non si può affrontare da soli, isolata-mente. Anche per questo, la condivisione che

re» (Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 276). Aquesto processo di crescita in umanità tutti glieducatori sono chiamati a collaborare, sia conla loro professionalità sia con la testimonianzacoerente della loro vita, per aiutare i giovaniad essere costruttori attivi di un mondo piùsolidale e più pacifico. In modo particolare,le istituzioni educative cattoliche hanno lamissione di offrire orizzonti aperti alla trascen-denza, perché l’educazione cattolica “fa la dif-

vivete nei giorni del vostro Congresso èun’esperienza molto importante per compiereun lavoro di discernimento, di fronte alle op-portunità e alle difficoltà, e per rinnovare lavostra “scommessa educativa”, attingendo an-che dalle grandi testimonianze delle Sante edei Santi educatori, il cui esempio è un faroluminoso che può illuminare il vostro servizio.

Una delle principali difficoltà che l’educa-zione incontra oggi è la diffusa tendenza alladecostruzione dell’umanesimo. L’individualismo eil consumismo generano una competizione chesvilisce la cooperazione, offusca i valori comu-ni e mina alla radice le più basilari regole diconvivenza. Anche la cultura dell’i n d i f f e re n z a ,che avvolge le relazioni tra le persone e i po-poli, nonché la cura della casa comune, corro-de il senso dell’umanesimo.

Per fare fronte a questa decostruzione occor-re la sinergia delle diverse realtà educative. Laprima è la famiglia, in quanto luogo in cui siimpara a uscire da sé stessi e «a collocarsi difronte all’altro, ad ascoltare, a condividere, asopportare, a rispettare, ad aiutare, a convive-

A un convegnonegli Stati Uniti

sull’educazionecattolica

#videomessaggio

Pubblichiamo il testo del videomessaggioche il Papa ha inviato a conclusione dei lavoridel Congresso mondiale del Catholic InternationalEducation Office (Oiec), svoltosi dal 5 all’8giugno negli Stati Uniti d’America — p re s s oil Lincoln Campus della Fordham Universitydi New York — sul tema «Educareall’umanesimo della fraternità per costruireuna civiltà dell’a m o re » .

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f e re n z a ” coltivando nei giovani i valori spiri-tuali.

Ricostruire l’umanesimo significa ancheorientare il lavoro educativo verso le periferie,le periferie sociali e le periferie esistenziali. At-traverso il servizio, l’incontro e l’accoglienza, sioffrono opportunità ai più deboli e vulnerabi-li. In questo modo si cresce insieme e si matu-ra comprendendo i bisogni degli altri. Così lacomunità educativa, attraverso il paziente lavo-ro quotidiano, genera un’ampia inclusione, chesupera le mura della scuola e si estende con lasua forza trasformativa all’intera società favo-rendo l’incontro, la pace e la riconciliazione.Al riguardo, il Documento sulla fratellanza uma-na che ho di recente sottoscritto con il GrandeImam di Al-Azhar, offre elementi di riflessionee di azione.

Un altro pericolo che minaccia il delicatocompito dell’educazione è la dittatura dei risul-tati. Essa considera la persona come un ogget-to “da laboratorio” e non ha interesse per lasua crescita integrale. Ignora altresì le sue dif-ficoltà, i suoi sbagli, le sue paure, i suoi sogni,la sua libertà. Questo approccio — dettato dal-la logica della produzione e del consumo —pone l’enfasi principalmente sull’economia esembra equiparare artificialmente gli uominialle macchine.

Per vincere questo ostacolo occorre mettereal centro dell’azione educativa la persona nellasua integralità. A tale scopo l’educatore deveessere competente, qualificato e, al tempo stes-so, ricco di umanità, capace di stare in mezzoagli studenti per promuovere la loro crescitaumana e spirituale. L’educatore deve unire insé qualità di insegnamento e capacità di atten-zione e cura amorevole verso le persone. Perentrambi questi aspetti c’è bisogno di forma-zione permanente, che aiuti docenti e dirigentia mantenere alta la loro professionalità e, nellostesso tempo, a curare la loro fede e le loromotivazioni spirituali.

Oggi l’educazione deve affrontare anchel’ostacolo della cosiddetta “ra p i d a c i ó n ” (in in-glese ra p i d i f i c a t i o n ), che imprigiona l’esistenza

nel vortice della velocità, cambiando continua-mente i punti di riferimento. In questo conte-sto l’identità stessa perde consistenza e lastruttura psicologica si disintegra di fronte auna trasformazione incessante che «contrastacon la naturale lentezza dell’evoluzione biolo-gica» (cfr. Enc. Laudato si’, 18).

Al caos della velocità si deve rispondere re-stituendo al tempo il suo fattore primario, spe-cialmente nell’età evolutiva dall’infanziaall’adolescenza. Infatti, la persona necessita diun proprio percorso temporale per apprende-re, consolidare e trasformare le conoscenze.Ritrovare il tempo significa, inoltre, apprezzareil silenzio e soffermarsi a contemplare la bel-lezza del creato, trovando ispirazione per pro-teggere la nostra “casa comune” e attivandoiniziative volte a proporre nuovi stili di vitanel rispetto delle generazioni che verranno. Èun atto di responsabilità per i nostri posteri,di cui non possiamo disinteressarci!

Il vostro trovarvi insieme in questi giorni èuna grande opportunità per ravvivare lo slan-cio per l’educazione cattolica che ha fatto na-scere l’OIEC come rete mondiale di realtà na-zionali e internazionali. È altresì un’o ccasioneper raccogliere con entusiasmo l’attuale sfidaeducativa di un mondo globalizzato e digita-lizzato, nonché per rilanciare la disponibilitàalla cooperazione con gli Organismi interna-zionali.

Auguro, pertanto, a tutti voi di proseguirenella missione educativa con la gioia del fare ela pazienza dell’ascoltare. Non perdiamo la fi-ducia! Come diceva Santa Elizabeth Ann Bai-ley Seton, dobbiamo “guardare in alto” senzaalcun timore. Lavoriamo per liberare l’educa-zione da un orizzonte relativistico ed aprirlaalla formazione integrale di ciascuno e di tutti.

Vi ringrazio per il lavoro che fate per ren-dere le istituzioni educative luoghi ed espe-rienze di crescita alla luce del Vangelo, perrenderle “cantieri” di un umanesimo della fra-ternità per costruire la civiltà dell’amore. Pre-go per voi; e anche voi, per favore, pregateper me. Grazie!

#videomessaggio

La questionedel gender nell’educazione

Nel pomeriggio di lunedì 10 giugno, laCongregazione per l’educazione cattolica hapubblicato — sul sito web www.educatio.va — ildocumento «Maschio e femmina li creò». Per una via didialogo sulla questione del gender nell’educazione.«Nell’ultima decade i vescovi hanno mostratosempre più attenzione alla cosiddetta questione delgender, — spiega il cardinale prefetto GiuseppeVersaldi — ponendo quesiti alla Congregazione perl’educazione cattolica per quanto concerne le scuolee le università cattoliche. Durante i lavoridell’assemblea plenaria della Congregazione,svoltasi nel febbraio 2017, è affiorata l’e m e rg e n z adell’ideologia del gender in ambito educativo ed èstata presa la decisione comune di intervenire conuno scritto su tale delicato tema per aiutare quantihanno a cuore l’educazione cattolica. Al riguardo,l’Ufficio scuole ha predisposto un’agenda di lavoroe ha chiesto la collaborazione di esperti nellediverse discipline (pedagogia, scienzedell’educazione, filosofia, diritto, didattica,...) al finedi redigere una bozza del testo in cui si potesserocondividere alcune riflessioni e orientamenti che,pur richiamando la sostanza del dibattito circa lasessualità umana, indicassero principalmente ilmetodo di intervento di quanti sono impegnatinell’educazione delle nuove generazioni. In talemodo si intendeva superare ogni inconcludentecontrapposizione polemica. Il documento,

pubblicato dopo la consultazione dei competentidicasteri della Santa Sede, «invita ad affrontare laquestione del gender con un approccio dialogico. Inquesta materia in cui è alto il rischio difraintendimenti e conflitti ideologici, risultanoopportuni tre atteggiamenti: ascoltare, ragionare eproporre». Il nuovo testo ripropone la visioneantropologica cristiana che vede nella sessualità unacomponente sostanziale della personalità, un suomodo di essere, di manifestarsi, di comunicare congli altri, di sentire, di esprimere e di vivere l’a m o reumano. Pertanto, essa è parte integrante dellosviluppo della personalità e del suo processoeducativo: «Dal sesso, infatti, la persona umanaderiva le caratteristiche che, sul piano biologico,psicologico e spirituale, la fanno uomo o donna,condizionando così grandemente l’iter del suosviluppo verso la maturità e il suo inserimento nellasocietà» (Congregazione per la dottrina della fede,Persona humana, 1975, n. 1).Il nuovo documento viene ora affidato ai presidentidelle Conferenze episcopali con la volontà di farlogiungere a quanti hanno a cuore l’educazione, inparticolare alle comunità educative delle scuolecattoliche e a quanti, animati dalla visione cristianadella vita, operano nelle altre scuole, ai genitori, aglialunni, ai dirigenti e al personale, nonché ai vescovi,agli istituti religiosi, ai movimenti, alle associazionidi fedeli e ad altri organismi del settore.

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MARTEDÌ 11Servizio e gratuità

«Servizio» e «gratuità»: sono le due parolechiave attorno alle quali Papa Francesco hacostruito la meditazione della messa del matti-no. Sono le caratteristiche fondamentali chedevono accompagnare il cristiano «strada fa-cendo», ha detto il Pontefice, lungo quel cam-mino, quell’«andare» che sempre contraddi-stingue la vita, «perché un cristiano non puòrimanere fermo».

L’insegnamento viene direttamente dal Van-gelo: è lì che si ritrovano — come evidenziatodal brano di Matteo proposto dalla liturgiadel giorno (10, 7-13) — le indicazioni di Gesùper gli apostoli che vengono inviati. Una mis-sione che, ha detto il Papa, è anche quella«dei successori degli apostoli» e di «ognunodei cristiani, se inviato». Quindi, innanzi tut-to, «la vita cristiana è fare strada, sempre. Non

Non ci fa pagare». Si tratta, ha spiegato il Pa-pa, di un principio «che Dio ha usato connoi» e che noi dobbiamo usare «con gli altri».Ed è «una delle cose più belle» sapere «che ilSignore è pieno di doni da darci» e che all’uo-mo è chiesta solo una cosa: «che il nostro cuo-re si apra». Come nella preghiera del Padrenostro, dove «preghiamo, apriamo il cuore,perché questa gratuità venga. Non c’è rappor-to con Dio fuori dalla gratuità».

Considerando questo caposaldo della vitacristiana, il Pontefice ha quindi evidenziatodei possibili e pericolosi fraintendimenti. Così,ha detto, «delle volte, quando abbiamo biso-gno di qualcosa di spirituale o di una grazia,diciamo: “Mah, io adesso farò digiuno, faròuna penitenza, farò una novena...”». Tutto ciòva bene, ma «stiamo attenti: questo non è per“pagare “la grazia, per “a c q u i s t a re ” la grazia;questo è per allargare il tuo cuore perché lagrazia venga». Sia ben chiaro, infatti: «La gra-zia è gratuita. Tutti i beni di Dio sono gratui-ti. Il problema è che il cuore si rimpiccolisce,si chiude e non è capace di ricevere tantoamore, tanto amore gratuito». Perciò «ognicosa che noi facciamo per ottenere qualcosa,anche una promessa», lo facciamo per «allar-gare il cuore», queso «non è mercanteggiarecon Dio... No. Con Dio non si tratta». ConDio vale «soltanto il linguaggio dell’amore edel Padre e della gratuità».

E se questo vale nel rapporto con Dio, valeanche per i cristiani — «Gratuitamente avetericevuto, gratuitamente date» — e, ha sottoli-neato Francesco, specialmente per i «pastoridella Chiesa». La grazia «non si vende» ha ri-badito, aggiungendo: «Fa tanto male quandosi trovano dei pastori che fanno affari con lagrazia di Dio: “Io farò questo, ma questo co-sta tanto, questo tanto...“. E la grazia di Diorimane là e la salvezza è un affare». Tutto que-sto, ha ribadito con forza, «non è il Signore.La grazia del Signore è gratuita e tu devi darlagratuitamente». Purtroppo, ha spiegato, nellavita spirituale c’è «sempre il pericolo di scivo-lare sul pagamento, sempre, anche parlandocon il Signore, come se noi volessimo dareuna tangente al Signore». Ma il rapporto conil Signore non può percorrere «quella strada».

Quindi, ha ribadito il Pontefice, no alla di-namiche del tipo: «Signore se tu mi fai que-sto, io ti darò questo»; ma, eventualmente, sì auna promessa affinché con essa si allarghi ilproprio cuore «per ricevere» ciò che «è gratui-to per noi». E «questo rapporto di gratuitàcon Dio è quello che ci aiuterà poi ad averlocon gli altri sia nella testimonianza cristianasia nel servizio cristiano sia nella vita pastoraledi coloro che sono pastori del popolo diD io».

«Strada facendo»: così il Papa, al terminedell’omelia ha riassunto il suo ragionamento».«La vita cristiana — ha concluso — è andare.Predicate, servite, non “servirsi di”. Servite edate gratis quello che gratis avete ricevuto». Eha concluso: «La vita nostra di santità sia que-sto allargare il cuore, perché la gratuità diDio, le grazie di Dio che sono lì, gratuite, cheLui vuole donare, possano arrivare al nostroc u o re » .

L’omeliadel Pontefice

James Tissot«Gesù invia i settanta discepoli»

#santamarta

rimanere fermo». E in questo andare, cosa rac-comanda il Signore ai suoi? «Guarite gli infer-mi, predicate dicendo che il regno dei cieli èvicino, risuscitate i morti, purificate i lebbrosi,scacciate i demoni». Cioè: «Una vita di servi-zio».

Ecco il primo dato fondamentale evidenzia-to dal Pontefice: «La vita cristiana è per servi-re». Ed è molto triste, ha aggiunto, vedere«cristiani che all’inizio della loro conversioneo della loro consapevolezza di essere cristiani,servono, sono aperti per servire, servono il po-polo di Dio», e poi, invece, «finiscono perservirsi del popolo di Dio. Questo fa tantomale, tanto male al popolo di Dio». La voca-zione del cristiano quindi è «servire» e mai«servirsi di».

Proseguendo nella riflessione, Francesco èquindi passato a un concetto che, ha sottoli-neato, «va proprio al nocciolo della salvezza:“Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamentedate”. La vita cristiana è una vita di gratuità».Dalla raccomandazione di Gesù agli apostoliinviati si comprende chiaramente che «la sal-vezza non si compra; la salvezza ci è data gra-tuitamente. Dio ci ha salvato, ci salva gratis.

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GIOVEDÌ 6«L’attività delle Poste e dei Telefoni Vaticanisupera di gran lunga il piccolo territorio el’esigua popolazione residente: si apre alle ne-cessità di innumerevoli persone disseminatenel mondo intero». Lo ha detto il Papa al per-sonale dei due servizi della Direzione delle Te-lecomunicazioni, ricevuti con i loro familiarinella sala Clementina. «Da sempre, — ha ricor-dato Francesco — i Papi hanno attribuito gran-de rilevanza alla comunicazione con i capi diStato, con le comunità e i singoli fedeli dellediverse Nazioni, avvalendosi dei mezzi che of-friva la tecnica». E negli ultimi decenni hannochiamato a collaborare due benemerite fami-glie religiose: i Figli della Divina Provvidenza(orionini) e la società di San Paolo (paolini).

Nello stesso giorno un appello — ai «cristia-ni di tutte le confessioni», ai «credenti di altrereligioni» e agli «uomini di buona volontà», a«promuovere una vera fraternità universale, fa-vorendo una cultura dell’incontro e del dialo-go» che sia «attenta ai piccoli e ai poveri» — èstato lanciato da Francesco in occasione dellecelebrazioni promosse in Normandia per il 75˚anniversario del cosiddetto “D-D ay”, lo sbarcodegli Alleati che ha dato inizio alla liberazionedall’occupazione nazista. In un messaggio in-viato al vescovo di Bayeux-Lisieux, monsignorJean-Claude Boulanger, il Pontefice ha auspi-cato che la commemorazione «consenta, inEuropa, di riaffermare che la pace si basa sulrispetto di ogni persona, indipendentementedalla sua storia, sul diritto e il bene comune»e sulla «ricchezza morale trasmessa dalle pas-sate generazioni».

VENERDÌ 7All’altare della Cattedra della basilica Vati-

cana si sono svolte le esequie del cardinale

Come adulti non possiamo rubare ai bambini la capacità di sognare.Cerchiamo di favorire un contesto di speranza, dove i loro sogni

crescano e si condividano: un sogno condiviso apre la via a un nuovomodo di vivere. #NOChildLabourDay

@Pontifex, 12 giugno”Alla fondazione Centesimus

Annus pro Pontifice

Udienza ai cappellanidegli aeroporti

Elio Sgreccia, presidente emerito della Pontifi-cia Accademia per la vita, al termine dellequali Francesco ha presieduto il rito dell’ultimacommendatio e della valedictio. La messa è statacelebrata dal vice-decano del collegio cardina-lizio Giovanni Battista Re. «Ricordo il suo ge-neroso servizio alla Chiesa, — ha scritto il Papain un telegramma di cordoglio inviato alla ni-pote Palma Sgreccia — specialmente la prezio-sa e solerte opera in difesa del fondamentalevalore della vita umana, mediante una capilla-re azione di studio, di formazione e di evange-lizzazione».

SA B AT O 8«Promuovere la solidarietà economica, am-

bientale e sociale e la sostenibilità all’internodi un’economia più umana che consideri nonsolo la soddisfazione dei desideri immediati,ma anche il benessere delle future generazio-ni». È la sfida indicata da Francesco ai parte-cipanti al convegno internazionale promossodalla fondazione Centesimus Annus pro Ponti-fice sul tema «La dottrina sociale della Chiesadalle radici all’era digitale: come vivere la“Laudato si’“», ricevuti nella Sala Regia (fotoa sinistra). Nello stesso giorno il Papa si è ri-volto ai partecipanti a un incontro promossodal Catholic Charismatic Renewal Internatio-nal Service (Charis), incontrati nell’Aula PaoloVI, con un invito: «Andiamo verso l’unità:questa è la strada dello Spirito».

LUNEDÌ 10Tutelare la dignità e i diritti dei migranti: è

l’impegno pastorale chiesto dal Papa ai parte-cipanti al seminario mondiale dei cappellanicattolici dell’aviazione civile — organizzato dalDicastero per il servizio dello sviluppo umanointegrale — ricevuti nella Sala Clementina.

#7giorniconilpapa

«Memoria e speranzadi fecondità» sono stateraccomandate dal Ponteficeagli appartenentialla comunitàinternazionale NuoviOrizzonti, fondatada Chiara Amirante,a t t ra v e rs oun videomessagio inviatooccasionedel venticinquesimoanniversario dell’istituzione

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Cari fratelli e sorelle, buongiorno!Abbiamo iniziato un percorso di catechesi cheseguirà il “viaggio”: il viaggio del Vangelo nar-rato dal libro degli Atti degli Apostoli, perchéquesto libro fa vedere certamente il viaggio delVangelo, come il Vangelo è andato oltre, oltre,oltre... Tutto parte dalla Risurrezione di Cristo.Questa, infatti, non è un evento tra gli altri,ma è la fonte della vita nuova. I discepoli losanno e — obbedienti al comando di Gesù —rimangono uniti, concordi e perseveranti nellapreghiera. Si stringono a Maria, la Madre, e sipreparano a ricevere la potenza di Dio non inmodo passivo, ma consolidando la comunionetra loro.

Quella prima comunità era formata da 120fratelli e sorelle più o meno: un numero cheporta dentro di sé il 12, emblematico per Israe-le, perché rappresenta le dodici tribù, ed em-blematico per la Chiesa, per via dei dodici Apo-

l’orizzonte della gratuità e del dono di sé, finoa permettere al virus dell’orgoglio di infettarglila mente e il cuore trasformandolo da «amico»(Mt 26, 50) in nemico e in «guida di quelliche arrestarono Gesù» (At 1, 16). Giuda avevaricevuto la grande grazia di far parte del grup-po degli intimi di Gesù e di partecipare al suostesso ministero, ma ad un certo punto ha pre-teso di “s a l v a re ” da sé la propria vita con il ri-sultato di perderla (cfr. Lc 9, 24). Ha smessodi appartenere col cuore a Gesù e si è posto aldi fuori della comunione con Lui e con i suoi.Ha smesso di essere discepolo e si è posto aldi sopra del Maestro. Lo ha venduto e con il«prezzo del suo delitto» ha acquistato un ter-reno, che non ha prodotto frutti ma è statoimpregnato del suo stesso sangue (cfr. At 1, 18-19).

Se Giuda ha preferito la morte alla vita (cfr.Dt 30, 19; Sir 15, 17) e ha seguito l’esempio de-

gli empi la cui via è come l’oscurità e va in ro-vina (cfr. Pr 4, 19; Sal 1, 6), gli Undici scelgo-no invece la vita, la benedizione, diventano re-sponsabili nel farla fluire a loro volta nella sto-ria, di generazione in generazione, dal popolod’Israele alla Chiesa.

L’evangelista Luca ci fa vedere che dinanziall’abbandono di uno dei Dodici, che ha crea-to una ferita al corpo comunitario, è necessa-

Unità e libertà da se stessisono nel dna della Chiesa

L’udienza generalesugli Atti

degli Apostoli

Il saluto agli scout di Terrasanta venuti da Betlemme eai loro compagni del gruppoAgesci Roma 98 —della parrocchia di San Barnaba— che li ospitano in questi giorniper un gemellaggio

#catechesi

stoli scelti da Gesù. Ma ora, dopo gli eventi do-lorosi della Passione, gli Apostoli del Signorenon sono più dodici, ma undici. Uno di loro,Giuda, non c’è più: si è tolto la vita schiaccia-to dal rimorso.

Aveva iniziato già prima a separarsi dallacomunione con il Signore e con gli altri, a fareda solo, a isolarsi, ad attaccarsi al denaro finoa strumentalizzare i poveri, a perdere di vista

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È Camille Chenaux la tedofora che, a nome diAthletica Vaticana, ha presentato a Papa Francescoall’udienza generale di mercoledì 12 giugno, lafiaccola delle Universiadi per una benedizioneaperta a tutto il mondo universitario e sportivo,pronto a ritrovarsi a Napoli, dal 3 al 14 luglio, peruna manifestazione seconda solo alle Olimpiadi pernumeri e significati. La fiaccola, partita da Torino, eche l’11 giugno ha fatto tappa ad Assisi, staattraversando l’Italia — come segno di pace, dialogoe unità tra i popoli — per rilanciare i valori di fondodell’attività sportiva, vista anche come esperienza dicultura.Con l’atleta rappresentante della prima associazionesportiva costituita in Vaticano — dottoranda inscienze politiche e figlia di un professore dellaPontificia università Lateranense — c’erano ilpresidente della Federazione internazionale sportuniversitari, il russo Oleg Matytsin, il presidentedella Regione Campania, Vincenzo De Luca, ilcommissario straordinario per l’Universiade,Gianluca Basile, e il rettore dell’Università Federicoii di Napoli, Gaetano Manfredi. Dopo l’udienza,quattordici tedofori si sono alternati a correre sullestrade di Roma: tra loro campioni come il nuotatoreMassimiliano Rosolino ma anche studenti dellaLumsa, del Campus Bio-medico e dellaLateranense.

Lo sport per la pace

rio che il suo incarico passi a un altro. E chipotrebbe assumerlo? Pietro indica il requisito:il nuovo membro deve essere stato un discepo-lo di Gesù dall’inizio, cioè dal battesimo nelGiordano, fino alla fine, cioè all’ascensione alCielo (cfr. At 1, 21-22). Occorre ricostituire ilgruppo dei Dodici. Si inaugura a questo pun-to la prassi del discernimento comunitario, checonsiste nel vedere la realtà con gli occhi diDio, nell’ottica dell’unità e della comunione.

Due sono i candidati: Giuseppe Barsabba eMattia. Allora tutta la comunità prega così:«Tu, Signore, che conosci il cuore di tutti,mostra quale di questi due tu hai scelto perprendere il posto... che Giuda ha abbandona-to» (At 1, 24-25). E, attraverso la sorte, il Si-gnore indica Mattia, che viene associato agliUndici. Si ricostituisce così il corpo dei Dodi-ci, segno della comunione, e la comunionevince sulle divisioni, sull’isolamento, sullamentalità che assolutizza lo spazio del privato,segno che la comunione è la prima testimonianzache gli Apostoli offrono. Gesù l’aveva detto:«Da questo tutti sapranno che siete miei di-

scepoli: se avete amore gli uni per gli altri»(Gv 13, 35).

I Dodici manifestano negli Atti degli Apo-stoli lo stile del Signore. Sono i testimoni ac-creditati dell’opera di salvezza di Cristo e nonmanifestano al mondo la loro presunta perfe-zione ma, attraverso la grazia dell’unità, fannoemergere un Altro che ormai vive in un modonuovo in mezzo al suo popolo. E chi è que-sto? È il Signore Gesù. Gli Apostoli scelgonodi vivere sotto la signoria del Risorto nell’uni-tà tra i fratelli, che diventa l’unica atmosferapossibile dell’autentico dono di sé.

Anche noi abbiamo bisogno di riscoprire labellezza di testimoniare il Risorto, uscendodagli atteggiamenti autoreferenziali, rinuncian-do a trattenere i doni di Dio e non cedendoalla mediocrità. Il ricompattarsi del collegioapostolico mostra come nel DNA della comuni-tà cristiana ci siano l’unità e la libertà da séstessi, che permettono di non temere la diver-sità, di non attaccarsi alle cose e ai doni e didiventare m a r t y re s , cioè testimoni luminosi delDio vivo e operante nella storia.

E di uno sport che sia inclusione, tanto dacontribuire a un vero cambiamento di mentalità,sono stati testimoni in piazza San Pietro ancheLuca Pancalli, presidente del Comitato italianoparalimpico, e Andrew Parsons, a capodell’International Paralympic Committee, ilmassimo organismo mondiale che in questi giorni èriunito a Roma in vista dei Giochi di Tokyo 2020.Per Pancalli «il movimento paralimpico stasuscitando una nuova visione della disabilità: non èun peso o una punizione o una disgrazia ma, alcontrario, è un’opp ortunità».Di sport, ma anche di arte e cultura, hanno parlatoa Francesco i rappresentati dell’associazione «Lapassione di Yara», attiva da quattro anni nellaprovincia di Bergamo su iniziativa di Maura eFulvio Gambirasio: i genitori della tredicennebrutalmente uccisa il 26 novembre 2010. L’obiettivoè sostenere i più giovani nelle loro aspirazioni, conprogetti che aiutino i più svantaggiati socialmenteed economicamente. Con affetto Francesco haaccolto i rappresentanti dell’associazione «Materialidi scarto» che a Torino dal 2013, su impulso delparroco don Giampaolo Pauletto, promuoveconcretamente «il reinserimento di personesocialmente marginali mediante la produzioneartigianale di oggetti d’arte».

#catechesi

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di ENZOBIANCHI

D

La tavoladel Signoreè sempre tavolaper l’affamato

Domenica23 giugno

Santissimo Corpoe Sangue di Cristo

Luca 9, 11b-17

Arthur Melville«La processione del CorpusDomini» (Toledo 1890)

opo la festa della Trinità di Dio, celebriamooggi un’altra festa “dogmatica”, sorta a difesadella dottrina, per ricordare la verità dell’euca-ristia voluta da Gesù come memoriale nella vi-ta della Chiesa fino alla sua venuta gloriosa.Ogni domenica celebriamo l’eucaristia, ma laChiesa ci chiede anche di confessare e adorarequesto mistero inesauribile in un giorno parti-colare (il giovedì della seconda settimana do-po Pentecoste per la Chiesa universale, la se-conda domenica dopo Pentecoste in Italia).Facciamo dunque obbedienza e commentiamomediante un’esegesi liturgica il brano evangeli-co proposto dal Messale italiano.

Il cosiddetto racconto della “moltiplicazionedei pani” è attestato per ben sei volte nei van-geli (due in Marco e in Matteo, una in Luca ein Giovanni), il che ci dice come quell’eventofosse ritenuto di particolare importanza nellavita di Gesù. Nel vangelo secondo Luca, Gesùinvia i suoi discepoli ad annunciare la venutadel regno di Dio e a guarire i malati (cfr. Lc 9,2), mostrando che la missione affidatagli daDio con la discesa su di lui dello Spirito San-to (cfr. Lc 3, 21-22), rivelata nella sinagoga diNazaret (cfr. Lc 4, 18-19), era da lui estesa an-che alla sua comunità. Compiuta questa mis-sione, i discepoli fanno ritorno da Gesù e gliraccontano la loro esperienza, quanto cioè ave-vano fatto e detto in obbedienza al suo co-mando.

Gesù allora li prende con sé, portandoli indisparte per un ritiro, in un luogo vicino allacittà di Betsaida (cfr. Lc 9, 10). Ma le folle, sa-puto dove Gesù si era ritirato, lo seguono osti-natamente (cfr. Lc 9, 11a). Ed ecco che Gesù leaccoglie: aveva cercato un luogo di silenzio,solitudine e riposo per i discepoli tornati dallamissione e per sé, ma di fronte a quella genteche lo cerca, che viene a lui e lo segue, Gesùcon grande capacità di misericordia la acco-glie. È lo stile di Gesù, stile ospitale, stile chenon allontana né dichiara estraneo nessuno.Queste persone vogliono ascoltarlo, sentonoche egli può dare loro fiducia e liberarle, gua-rirle dai loro mali e dai pesi che gravano sulle

loro vite, e Gesù senza risparmiarsi annuncialoro il regno di Dio, le cura e le guarisce.Questa è la sua vita, la vita di un servo diDio, di un annunciatore di una parola affida-tagli da Dio.

Giunge però la sera, il sole tramonta, la lucedeclina, e i Dodici discepoli entrano in ansia.Dicono dunque a Gesù: «Congeda la follaperché vada nei villaggi e nelle campagne deidintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui sia-mo in una zona deserta!». La loro richiesta èall’insegna della saggezza umana, nasce dauno sguardo realistico, eppure Gesù non ap-prova quella possibilità razionale, ma chiedeloro: «Voi stessi date loro da mangiare». Conquesto comando li esorta a entrare nella dina-mica della fede, che è avere fiducia, mettere inmovimento quella fiducia che è presente inogni cuore e che Gesù sa ravvivare. Ma i di-scepoli non comprendono e insistono nel por-re di fronte a Gesù la loro povertà: hanno solocinque pani e due pesci, un cibo sufficientesolo per loro!

Ecco allora che Gesù prende l’iniziativa: or-dina di far sedere tutta quella gente ad aiuola,a gruppi di cinquanta, perché non si tratta so-lo di sfamarsi, ma di vivere un banchetto, unavera e propria cena, nell’ora in cui il sole tra-

#meditazione

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monta. Poi davanti a tutti prende i pani e ipesci, alza gli occhi al cielo, come azione dipreghiera al Padre, benedice Dio e spezza ipani, presentandoli ai discepoli perché li serva-no, come a tavola, a quella gente. È un ban-chetto, il cibo è abbondante e viene condivisoda tutti. Quelli che conoscevano la profezia diIsraele, si accorgono che è accaduto un prodi-gio che già il profeta Eliseo aveva fatto in tem-po di carestia, nutrendo il popolo affamato apartire dalla condivisione di pochi pani d’orzo

rola e desiderano condividere la sua vita. Se èvero che la dinamica dello spezzare il pane edel condividerlo trova nella celebrazione dellacena eucaristica, nella liturgia santissima, unadempimento, essa però è anche paradigma dicondivisione del nostro cibo materiale, il panedi ogni giorno. L’eucaristia non è solo ban-chetto del cielo, tavola del corpo e del sanguedel Signore, ma vuole essere magistero per lenostre tavole quotidiane, dove il cibo è abbon-dante ma non è condiviso con quanti hanno

(cfr. 2 Re 4, 42-44). Lo stesso compie Gesù, edopo il suo gesto avanza una quantità di ciboancora maggiore: dodici ceste. Nel cuore deidiscepoli e di alcuni dei presenti sorge così laconvinzione che Gesù è profeta ben più diElia e di Eliseo, è profeta anche più di Mosè,che nel deserto aveva dato da mangiare mannaal popolo uscito dall’Egitto (cfr. Es 16).

Ma qui viene spontaneo chiedersi: cosa si-gnifica questo evento? Normalmente si parladi “moltiplicazione” dei pani, ma nel raccontonon c’è questo termine. Dunque? Dovremmodire che c’è stata condivisione del pane, c’èstato lo spezzare il pane, e questo gesto è fon-te di cibo abbondante per tutti. In tal modocomprendiamo come ci sia qui una prefigura-zione di ciò che Gesù farà a Gerusalemme lasera dell’ultima cena: «Prese il pane, rese gra-zie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Que-sto è il mio corpo, che è dato per voi; fatequesto in memoria di me”» (Lc 22, 19). Lostesso gesto è ripetuto da Gesù risorto sullastrada verso Emmaus, di fronte ai due disce-poli. Anche in quel caso, al declinare del gior-no, invitato dai due a restare con loro (cfr. Lc24, 29), «quando fu a tavola, prese il pane,pronunciò la benedizione, lo spezzò e lo diedeloro» (Lc 24, 30). Tre episodi che recano lostesso messaggio: le folle, la gente, il mondoha fame del regno di Dio, e Gesù, che ne è ilmessaggero e lo incarna, sazia questa fame conla condivisione del cibo, con lo spezzare il suocorpo, la sua vita, offerta a tutti.

Ecco il mistero eucaristico nella sua essenza:non lasciamoci abbagliare da tante e varie dot-trine eucaristiche, ma accogliamo il misteronella sua semplicità. Cristo si dà a noi ed è ci-bo abbondante per tutti; una volta spezzato(sulla croce), si dà alla Chiesa, a noi, a tutticoloro che lo cercano e tentano di seguirlo, atutti quelli che hanno fame e sete della sua pa-

fame e ne sono privi. Per questo, se alla nostraeucaristia non partecipano i poveri, se non c’ècondivisione del cibo con chi non ne ha, alloraanche la celebrazione eucaristica è vuota, per-ché le manca l’essenziale. Non è più la cenadel Signore, bensì una scena rituale che soddi-sfa le anime dei devoti, ma in profondità èuna grave menomazione del segno voluto daGesù per la sua Chiesa! La tavola del corpodel Signore sempre dev’essere tavola della pa-rola del Signore e, insieme, tavola della condi-visione con i bisognosi.

Con la condivisone dei pani e dei pesci in-sieme alle folle Gesù inaugura un nuovo spa-zio relazionale tra gli umani: quello della co-munione nella differenza, perché le differenzenon sono abolite ma affermate senza che, d’al-tra parte, ne patisca la relazione segnata dafraternità, solidarietà, condivisione. Sì, dobbia-mo confessarlo: nella Chiesa si è persa que-st’intelligenza eucaristica propria dei primi cri-stiani e dei padri della Chiesa, vi è stato undivorzio tra la messa come rito e la condivisio-ne del pane con i poveri! E se nel mondo esi-ste la fame, se i poveri sono accanto a noi el’eucaristia non ha per loro conseguenze con-crete, allora la nostra eucaristia appare soloscena religiosa e — come direbbe Paolo — «ilnostro non è più un mangiare la cena del Si-gnore» (cfr. 1 Cor 11, 20).

Proprio davanti all’eucaristia cantiamo l’in-no che afferma: Et antiquum documentum novocedat ritui (“l’antico rito ceda il posto alla nuo-va liturgia”), ma in realtà restiamo ingabbiatinei riti e non riusciamo a celebrare il “rito cri-stiano”, “il culto secondo la Parola” (loghikè la-t re í a : Rm 12, 1), che è offerta in sacrificio deinostri corpi a Dio attraverso il servizio dei po-veri e l’amore fraterno vissuto «fino all’e s t re -mo» (Gv 13, 1).

#meditazione

Lorenzo e Jacopo Salimbeni«Il pellicano come simbolocristologico» (1416, Oratoriodi San Giovanni BattistaUrbino)

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#controcopertina

Alcuni hanno visto le loro vite e le loro case spezzatedal crollo del ponte Morandi a Genova, altri hannoconosciuto l’isolamento per l’inondazione che in Sardegnanel 2013 ha distrutto anche le loro scuole, altri ancorahanno sotto gli occhi ogni giorno illegalità e ingiustizienei quartieri più difficili di Napoli. Eppure non hannoceduto alla rassegnazione e investono tutto sulla speranza.Quattrocento bambini sono venuti in Vaticano per dirlopersonalmente a Papa Francesco, che li ha accolti a bracciaaperte — tra confidenze, consigli e domande — comeun nonno fa con i nipoti, in un clima di famiglia. Ed èstato il cortile di San Damaso a far da cornicealla settima edizione del «Treno dei bambini». E che,

in realtà, stavolta è anche «nave», visto che la metà

di loro è arrivata via mare dalla Sardegna: precisamente

da cinque comuni sconvolti dal ciclone Cleopatra che

nel novembre 2013 fece morti e spazzò via case e

opportunità di lavoro, «e anche due bambini che oggi

sarebbero stati qui con noi» hanno detto a Francesco.

«Un ponte d’oro in un mare di luce» è il titolo di questo

progetto concreto di inclusione — promosso dal Pontificio

consiglio della cultura in collaborazione con Ferrovie

italiane — che dal 2013 sta coinvolgendo tantissimi piccoli

provenienti dai contesti più periferici.

(sabato 8 giugno)