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Prigioniera del vichingo

Sexy fantasie al castello

Titoli originali delle edizioni in lingua inglese: The Captive

No Risk Refused Harlequin Blaze

© 2010 Joanne Rock © 2012 Carolyn Hanlon

Traduzione di Giovanna Cavalli Traduzione di Anna De Figueiredo

Tutti i diritti sono riservati incluso il diritto

di riproduzione integrale o parziale in qualsiasi forma. Questa edizione è pubblicata per accordo con

Harlequin Enterprises II B.V. / S.à.r.l Luxembourg. Questa è un'opera di fantasia. Qualsiasi riferimento a fatti o

persone della vita reale è puramente casuale.

Harmony è un marchio registrato di proprietà Harlequin Mondadori S.p.A. All Rights Reserved.

© 2012 Harlequin Mondadori S.p.A., Milano

Prima edizione Harmony Temptation ottobre 2012

Questo volume è stato stampato nel settembre 2012 presso la Rotolito Lombarda - Milano

HARMONY TEMPTATION

ISSN 1591 - 6707 Periodico mensile n. 300 del 18/10/2012

Direttore responsabile: Alessandra Bazardi Registrazione Tribunale di Milano n. 128 dello 07/03/2001

Spedizione in abbonamento postale a tariffa editoriale Aut. n. 21470/2LL del 30/10/1981 DIRPOSTEL VERONA

Distributore per l'Italia e per l'Estero: Press-Di Distribuzione Stampa & Multimedia S.r.l. - 20090 Segrate (MI)

Gli arretrati possono essere richiesti contattando il Servizio Arretrati al numero: 199 162171

Harlequin Mondadori S.p.A.

Via Marco D'Aviano 2 - 20131 Milano

JOANNE ROCK

Prigioniera del vichingo

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Prologo

Wessex, 885 D.C. Li hanno chiamati secoli bui, un'epoca in cui gli uomini più ardimentosi salivano al potere con la forza della spada. Era l'era dei re anglosassoni e delle guerre per il dominio delle fertili coste dell'Inghilterra. Un giovane Alfredo il Grande re-gnava sul Wessex, unico sovrano che riuscì a concludere una pace precaria con la stirpe di guerrieri più temuta al mondo al-lora conosciuto. I Vichinghi. Fieri e orgogliosi, gli uomini del Nord giunsero armati di spade e asce, di vigore e coraggio. Uno di loro si distinse per astuzia e ferocia e il suo nome veniva sussurrato tra i nemici come quello di un demone spaventoso: Wulf Geirsson. Erede di una delle due famiglie reali, era stato bandito dalla madrepatria per crimini rimasti avvolti nel mistero. Partì alla conquista di nuove terre, seminando terrore in lungo e in lar-go, seguito da uomini fedeli fino alla morte. Nessuno avrebbe immaginato che proprio lui, il più valoroso tra i Vichinghi, avrebbe affrontato la battaglia più importante della vita contro una donna sassone, sola e indifesa, capace però di un'audacia pari alla sua.

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«Se dovrò ricamare un altro petalo di rosa, giuro che sguaine-rò il coltello e me lo pianterò in corpo.» Gwendolyn di Wes-sex gettò via la camicia da notte su cui stava penando da ore. Primo, detestava tenere un ago in mano. E secondo, perché perdere tempo ad abbellire un indumento che il suo futuro e ancora sconosciuto marito le avrebbe comunque strappato di dosso? Le altre donne nella sala la fissarono quasi inorridite, come se non desiderassero altro dalla vita che cucire minuscoli boc-cioli di seta sulla biancheria del corredo nuziale. Come se non sognassero che di scaldare il letto di un uomo. Gwendolyn non aveva nessuna fretta di risposarsi, benché sapesse che era inevitabile, come per ogni ricca vedova sassone. Le nobildonne che sedevano in cerchio, in quel caldo gior-no di primavera, non apprezzavano quella felice condizione quanto lei. Gwendolyn non aveva mai pianto la morte del crudele cavaliere che era stata costretta a sposare a diciotto anni. E che si era persino preso delle concubine, mentre com-batteva contro i nemici venuti dal Nord. Gerald era stato tra-fitto da una lama normanna, alcune lune prima, lasciandola sola. In attesa che il signore del castello le imponesse un altro matrimonio. Cosa non avrebbe dato per poter decidere della propria vita. Per poter avere il futuro nelle sue mani. Aveva imparato a

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pensare con la sua testa sin da piccola, grazie ai suoi genitori, due ricchi studiosi che avevano girato il mondo. Erano morti lungo la strada per Roma. Distrutta dal dolore, Gwen aveva passato il resto dell'infanzia sotto la custodia di Richard di Alchere, un ambizioso conte che – appena se n'era presentata l'opportunità – l'aveva costretta a sposarsi. Salvo poi ritrovar-sela sulla porta di casa due estati dopo. Vedova. A soli vent'anni. E adesso quell'individuo assetato di potere, sempre pronto a baciare il reale fondoschiena di Alfredo il Grande, stava pro-gettando chissà quale altro piano per le prossime nozze della sua protetta. Richard era il signore più potente del Wessex. Presidiava un tratto di costa strategico, che un tempo era appartenuto in gran parte al padre di Gwendolyn. Subito dopo la morte dell'uomo, il conte – che possedeva le terre confinanti – se n'era appropriato con il pretesto di accogliere la piccola orfa-na. Per quanto vicine, la sua tetra fortezza non aveva niente in comune con l'oasi di pace e cultura dei genitori di Gwen-dolyn, che usavano ospitare studiosi da tutto il mondo nella preziosa biblioteca. Il conte di Alchere, invece, non era capa-ce di vedere oltre la punta della sua spada. Governava con la forza bruta. Del resto il re aveva bisogno della forza militare come degli uomini di scienza. Anzi di più, a dire il vero. Quando il suo primo marito era stato ucciso in battaglia, Gwendolyn si era ritrovata di nuovo prigioniera del tronfio e borioso Richard. Era stata lei a mandargli un messaggero, ap-pena saputo della morte di Gerald, certa che il conte di Alche-re le avrebbe volentieri mandato una scorta per farla tornare da lui. Per quanto lo detestasse, era sempre meglio che finire nelle grinfie dei famigliari di Gerald. Pur di tenersi l'eredità, l'avrebbero costretta a sposare il fratello Godric, altrettanto rozzo e violento.

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Ora le sue enormi ricchezze erano tornate sotto il controllo del re, e Gwendolyn era al sicuro nella gelida fortezza di Al-chere, dove quegli avidi parenti non avrebbero mai potuto toccarla. Ma il prezzo era stata la sua libertà. Sollevò il viso verso il sole caldo che filtrava dalle alte fi-nestre. Lei e le altre vedove erano confinate all'interno del ca-stello per paura di improvvise incursioni dei Danesi, avvistati lungo la costa. «Lady Gwendolyn, cosa penserà il tuo futuro marito se i tuoi bauli saranno pieni solo di vecchi abiti cuciti quando eri sposata con un altro?» Lady Margery era a caccia del terzo, perciò si considerava un'esperta in materia. E tutte quelle vec-chie galline la ammiravano per questo. Non che qualcuna di loro fosse davvero in là con gli anni. Margery, a ventiquattro, era la più grande. Le cinque donne erano state radunate nella fortezza durante la guerra per volere del re. Erano merce di valore. Una preziosa contropartita da offrire in cambio di alleanze politiche. «Non ho ancora sottoscritto nessun contratto nuziale» sot-tolineò Gwendolyn per la decima volta in due settimane. A-veva fatto di tutto perché le cose restassero così, dato che la sola idea di un secondo matrimonio le gelava il sangue. «E comunque perché mai un uomo dovrebbe curarsi dei ricami sulla camicia da notte di una signora, quando il suo unico scopo è spogliarla il più in fretta possibile?» Rabbrividì disgustata. Gerald l'aveva sempre trattata con brutalità, specie i primi mesi di matrimonio. Poi, circondatosi di numerose concubine, si era presentato più di rado, ma l'in-timità con lui era rimasta disgustosa. Dolorosa. Gwendolyn non capiva come alcune donne potessero parlare dei doveri coniugali con rossori e risolini. Lei non aveva mai provato al-cuna tenerezza nel letto di suo marito. «Forse è per questo che lord Richard sta incontrando così tante difficoltà nel combinare un matrimonio per te vantag-

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gioso» ricominciò lady Margery, sollevando lo sguardo dall'a-razzo che stava ricamando. «Non ti crede capace di compor-tarti con un minimo di decoro per un'estate, figuriamoci un anno.» Gwendolyn chiuse gli occhi e lasciò che quelle parole irri-tanti le scivolassero addosso, invece che prendere a schiaffi Margery, come avrebbe meritato. Aspettò che le altre smettessero di ridere – povere sciocche – e si alzò in piedi, desiderando di poter correre fuori sui prati verdi piuttosto che restare rinchiusa in un salone che puzzava di muffa, in quell'avvilente compagnia. «Lord Richard non ha nessun problema a trovarmi un pre-tendente.» Anzi, la giovane età e le ingenti ricchezze ereditate la rendevano una sposa molto ambita, se non altro. Gwen non si illudeva che la ricercassero per il carattere sottomesso o per la bellezza fuori dal comune. Però gli anni passati con Gerald l'avevano resa ancora meno disposta a soddisfare le voglie sconce di un uomo. «Gli ho soltanto chiesto più tempo per va-lutare meglio i candidati e dargli la mia opinione.» Questa era la versione che preferiva. E tutto sommato con-teneva un pizzico di verità. «Lady Gwendolyn, sappiamo bene che il conte ti ha impo-sto di restare fuori dai pasticci per almeno un anno prima di lasciarti scegliere un marito da sola» ribatté Margery, taglien-te, affondando l'ago nella tela. «E se ti ha concesso questo be-neficio è solo perché è sicuro che non ci riuscirai. Prima del raccolto sarai costretta a sposarti, che ti piaccia o no.» In effetti Gwendolyn possedeva una certa abilità nel met-tersi nei guai. E se c'era la possibilità di irritare il suo arrogan-te signore non se la lasciava scappare. Aveva passato parecchi anni alla fortezza – non come quelle vedove che andavano e venivano sotto la sua potente protezione – perciò sapeva bene quanto potesse essere meschino e ingiusto. L'aveva persino costretta a bruciare i libri che aveva portato con sé dalla casa

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paterna, perché a suo giudizio il troppo studio l'avrebbe indot-ta alla superbia. Non fece in tempo a rispondere per le rime a quella smor-fiosa di Margery perché le porte si spalancarono all'improvvi-so e un paggetto di circa nove anni si precipitò nel salone. «Signore, presto, dovete rifugiarvi nella roccaforte.» Nella foga, rovesciò un cesto di fili e calpestò il bordo di un arazzo appena terminato. «Le navi normanne si sono avvicinate alla costa.» Compreso il pericolo imminente, Gwendolyn dimenticò al-l'istante il bisticcio con Margery e la noia devastante della conversazione. Le incursioni degli uomini del Nord erano già costate molte vite, forzieri d'oro e l'innocenza di parecchie fanciulle. Questi Vichinghi erano assassini e razziatori che avevano seminato devastazione ovunque fossero sbarcati. L'unica parte dell'Inghilterra che non erano riusciti a conqui-stare era il Wessex. Il re Alfredo aveva respinto gli assalti e negoziato una tregua. Ma quando si aveva a che fare con il diavolo, chi poteva giurare che avrebbe mantenuto la parola? Solo un pazzo non avrebbe avuto paura. «Sbrigatevi, per carità» la implorò ancora il piccolo paggio, gli occhi spalancati dal terrore. «Le navi sono arrivate dal Nord, dove la vista è nascosta dagli alberi. La sentinella non sa se...» «Tu vai pure» gli ordinò Gwendolyn, indicandogli la dire-zione in cui si erano precipitate le altre ragazze, in un turbine di vesti colorate. «Io devo prima prendere una cosa dalla mia stanza.» Era riuscita a salvare uno dei libri di suo padre dalla furia incendiaria del conte. Non avrebbe permesso che quel-l'oggetto così prezioso fosse fatto a pezzi dagli invasori. Il bambino la tirò per la manica. «Non c'è più tempo. Mi è stato ordinato di portarvi subito dentro la roccaforte e di chiu-dere il portone.»

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Come se esistesse un posto sicuro, quando piombava il ter-rore normanno! I pirati vichinghi avvertivano il profumo di un ricco bottino a molte leghe di distanza e nella categoria rien-trava di sicuro un castello fortificato zeppo di danarose eredi-tiere. Gwendolyn era convinta che sarebbe stata molto più al sicuro sulle mura, piuttosto che stipata nella rocca con gli altri tesori. Comunque, in quel momento, l'unica cosa che contava era recuperare il diario di suo padre. L'ultimo legame con i suoi genitori che nessuno le avrebbe strappato dalle mani. «Hai fatto il tuo dovere» disse al paggio, seguendolo alla porta. Giunti al corridoio che sbucava nel cortile, però, Gwen lo scansò risoluta. «Puoi raccontare pure che mi sono rifiutata di seguirti, ma a meno che tu non pensi di trascinarmi via con la forza, io non me ne andrò di qui, non ancora.» Quello prima la fissò risentito. Poi scosse le spalle e scap-pò, lasciandola sola. Lord Richard sarebbe andato su tutte le furie, se lo avesse saputo. E già quello era un buon motivo per rimanere, no? Inoltre, per quel che ne sapeva, forse il conte di Alchere, con il beneplacito del re, poteva aver deciso di barat-tare qualche ricca vedova sassone per tenere lontani i Vichin-ghi. Forse era quello il vero scopo per cui le aveva radunate al castello. Non per tenerle al sicuro, ma per usarle come merce di scambio con il nemico. E Gwendolyn non aveva intenzione di sacrificarsi per rinsaldare il trattato di pace con dei barbari sanguinari. Sollevandosi le gonne corse nella sua stanza. Prese in fretta il libricino e se lo infilò nella giarrettiera che reggeva le calze, stringendo bene il nastro. Quindi si guardò attorno, riflettendo se c'era qualcos'altro da portare via. Col cuore in gola, arraffò una manciata di anelli e li infilò in un piccolo borsellino ap-peso al corsetto. E mentre si precipitava alla porta, agguantò il manto nuziale di pura seta appeso al vessillo con lo stemma di

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famiglia, e se lo sistemò sui capelli raccolti a treccia intorno alla testa. Era il pezzo più prezioso del suo guardaroba. Il cerchio era tempestato di gioielli dal valore inestimabile. Se la fortezza fosse stata espugnata, era meglio tenerlo con sé che lasciarlo incustodito. Fuggì nemmeno fosse una ladra, diretta alle scale che por-tavano giù nel cortile. A un tratto udì il suono di un corno e delle grida. La curiosità lottò con il buonsenso. E vinse. Erano già arrivati gli invasori? La battaglia era imminente? Avvertì l'odore salmastro del mare. Sentì che era cambiato il vento. Come il giorno in cui i suoi genitori erano partiti per Roma e lei, chissà come, aveva intuito che la sua vita non sa-rebbe mai più stata la stessa. Riconobbe quel brivido. E decise che preferiva affrontare il proprio destino piuttosto che nascondersi. Se fosse salita sulle mura, forse avrebbe visto in anticipo cosa stava per succede-re... Era abituata ad arrampicarsi dovunque nella fortezza, velo-ce e silenziosa come un gatto. Come quando si era appesa alle travi per lasciar cadere un grosso ragno peloso nella birra del conte, subito dopo il rogo dei suoi libri. Sperava che fosse ve-lenoso, non era stata così fortunata. Corse su verso i bastioni, piena di speranza e di coraggiosa incoscienza. E più ci pensava e più era certa che Richard di Alchere avrebbe sacrificato le sue ricche vedove, pur di salva-re la fortezza dai Vichinghi. Quelle canaglie normanne, una volta che avrebbero avuto in mano le ereditiere sassoni, a-vrebbero potuto reclamarne terre e possedimenti e il re Alfre-do glieli avrebbe concessi, come aveva fatto in passato, per mantenere la pace. Gwendolyn non lo avrebbe tollerato. Non voleva un sasso-ne per marito, figuriamoci un barbaro del Nord. Tremava al

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solo pensiero. Se dover soddisfare le voglie di suo marito era stato doloroso, non poteva immaginare lo strazio di dividere il letto con un uomo grande il doppio. Mai. Piuttosto sarebbe scappata. Poteva persino pagarsi un protettore perché la por-tasse in salvo da qualche parte. A Roma, magari. O in uno dei Paesi di cui suo padre le parlava con tanto entusiasmo... Prima, però, aveva bisogno di capire che cosa stava succe-dendo davvero fuori dal castello. Mentre si arrampicava sugli scalini alti e ripidi, il borsellino pieno di anelli le ondeggiava contro la gamba. Annusò l'odore di fumo salire dalla bottega del fabbro e udì il rumore del metallo battuto sull'incudine. I segnali della battaglia. Sgusciò senza fare rumore fino alla torre di guardia. Non c'erano sentinelle, su quel lato. L'ansia le torse lo stomaco. Una cosa era certa, comunque. Le navi che si erano avvicinate alla costa, sotto le mura del castello, erano diverse da quelle che aveva visto finora. Basse e snelle, le drakkar dei Vichinghi avevano scafi lun-ghi e stretti, fitti di remi, con teste di drago – o di altre fanta-stiche e mostruose creature intagliate nel legno – che svetta-vano fiere sulla prua e incutevano timore anche a notevole di-stanza. Giù in basso il cortile ferveva di attività. Spade, scudi e fa-retre piene di frecce piumate venivano distribuite ai guerrieri. Nei calderoni messi sul fuoco bolliva qualche intruglio che sarebbe stato versato sopra chiunque fosse tanto folle da sca-lare le pareti. Sarebbe stato sufficiente a tenere lontani i predoni? Gwendolyn sentì nell'aria l'odore della paura. Il conte di Alchere si era sempre vantato dell'impenetrabilità della sua roccaforte, ma non aveva ancora dovuto affrontare il flagello dei razziatori venuti dal freddo che saccheggiavano le case, bruciavano le abbazie e rapivano le donne. Le velocissime navi, almeno una ventina, stavano toccando

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terra, scivolando silenziose sulla riva. Molti uomini erano già balzati giù, armati fino ai denti. Perché gli arcieri di Alchere non provavano a colpirli? Forse era davvero pronto a conce-dere agli invasori ciò che chiedevano, pur di tenerli a bada. Da lassù, Gwendolyn realizzò che non c'era alcuna possibi-lità di scappare dalla fortezza, tantomeno a cavallo, senza es-sere vista e quindi catturata. Avanzò carponi fino all'angolo opposto del parapetto. Il grosso degli soldati del conte si era radunato sul lato sud, il più vicino al punto in cui erano sbar-cati i Danesi. Incapace di resistere alla curiosità, Gwendolyn si sporse per guardare con i propri occhi. Vide degli omaccioni giganteschi, con i volti di pietra che riflettevano la loro predisposizione alla guerra. Calzoni di pel-le fasciavano gambe muscolose, mentre tuniche leggere sven-tolavano nella brezza contro toraci massicci di circonferenza sovrumana. Questa stirpe di barbari, che aveva conquistato metà Britannia, era spaventosa come se l'era immaginata. Tenendo fermo il manto nuziale per evitare che svolazzasse al vento, segnalando la sua presenza, Gwen cercò di controlla-re l'ondata di panico che le chiudeva la gola. Non poteva per-mettersi di finire nelle mani di quei bruti saccheggiatori che le avrebbero fatto del male, come Gerald. Forse peggio. Il terrore le esplose nell'animo quando vide che il conte di Alchere usciva a cavallo per incontrare la masnada di guerrie-ri. Il gesto di chi è pronto a trattare la pace, anziché combatte-re per essa. Mio Dio. Non intendo diventare un pegno di amicizia offer-to a qualche voglioso danese. Ritraendosi di scatto dal parapetto, col cuore che le martel-lava nel petto, cercò di pensare a dove poteva nascondersi. Frammenti di pietra si sgretolavano sotto ai suoi piedi, a ogni passo. Nessun luogo era davvero sicuro. Doveva...

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Spinto dal vento, il manto delicato si impigliò nella roccia ruvida e la seta sottile si lacerò. Cercò di liberarlo con le mani tremanti. Era stata una sciocca a indossarlo. Piuttosto avrebbe dovuto legarselo in vita, ma non credeva di dover scappare...» «Ahi!» Nella fretta si era tirata i capelli. E ancora non era riuscita a staccare il lembo di stoffa. Si riaccostò al muraglio-ne e riprovò. Stavolta funzionò. Proprio in quel momento però il costone di pietra si sbriciolò sotto al suo piede facendola scivolare. Gwendolyn annaspò nell'aria, mulinando le braccia senza trovare un appiglio. In uno spaventoso lampo di lucidità rea-lizzò che sarebbe caduta nel vuoto, spezzandosi il collo sulle rocce sottostanti. All'ultimo istante però due braccia forti come tronchi la af-ferrarono per la vita, tirandola indietro, a un soffio dal bara-tro. Impossibile. Un miracolo. Il cervello non riusciva a spie-garsi cosa fosse successo. Si ritrovò con la schiena contro il parapetto e il sedere a terra. Stretta in un abbraccio d'acciaio. Il sollievo esplose in lei. Si era salvata da una morte certa. Voltandosi verso il suo soccorritore, con il velo nuziale strappato che pendeva di traverso, scoprì un dettaglio che la portò subito a rimpiangere di non essersi sfracellata al suolo. Perché l'uomo a cui doveva la vita non era un coraggioso guerriero sassone, ma il più terrificante nemico che potesse immaginare. Era stata salvata da un Vichingo.

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