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Facoltà di Scienze Politiche Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali Tesi in Relazioni Internazionali La sicurezza europea dopo il Trattato di Lisbona Relatore Candidata Prof. Silvio Fagiolo Valentina Veccia 604012 Correlatore Prof. Carlo Jean ANNO ACCADEMICO 2007/2008

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Facoltà di Scienze Politiche

Corso di Laurea Magistrale in Relazioni Internazionali

Tesi in Relazioni Internazionali

La sicurezza europea dopo il Trattato di Lisbona

Relatore Candidata

Prof. Silvio Fagiolo Valentina Veccia

604012

Correlatore

Prof. Carlo Jean

ANNO ACCADEMICO 2007/2008

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Ai miei cari

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Indice Introduzione…………………………………………………………….. CAPITOLO 1 La PESD: situazione attuale 1.1 Le istituzioni alla base della PESD: struttura politico militare e

procedure ................................................................................................ 1.1.1L’Agenzia europea della difesa………………………………………….. 1.1.2L’OCCAR................................................................................................. 1.2 Il processo di avvio delle operazioni…………………………………… 1.3 Le operazioni militari e civili della PESD……………………………… 1.3.1 La nuova missione dell’Unione europea in Georgia………………………... 1.4 Il processo di pianificazione delle capacità militari……………………. 1.4 Le capacità civili dell’Ue……………………………………………….. CAPITOLO 2 Il Trattato di Lisbona: un punto di svolta per l’Europa della difesa?

2.1 Le nuove istituzioni della PESC/PESD………………………………… 2.2 I nuovi strumenti messi a disposizione della PESD……………………. 2.3 I nuovi mezzi di cooperazione utili alla difesa: cooperazioni rafforzate e strutturate…………………………………………………………….

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CAPITOLO 3 Francia e Stati Uniti tra Unione Europea ed Alleanza Atlantica 3.1 Gli interessi di una Francia europeista………………………………… 3.1.1 L’inizio di una quarta fase nell’architettura della sicurezza francese……… 3.2 Europa e PESD: una visione americana………………………………... 3.2.1 I successi della PESD nella percezione americana…………………………. 3.2.2 Le carenze della PESD: come risolverle secondo gli Stati Uniti…………… 3.3 US-NATO-UE: improving relations CAPITOLO 4 Nuovi fonti di legittimità e di consenso per la sicurezza europea dopo Lisbona 4.1 L’Europa tra globalizzazione e marginalizzazione…………………… 4.2 Come rivedere la Strategia di Sicurezza Europea……………………. 4.3 Verso quale Europa? Una nuova filosofia della sicurezza…………….

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CAP I

La PESD: situazione attuale

La Politica Europea di Sicurezza e Difesa rappresenta oggi lo strumento

principale della Politica Europea di Sicurezza Comune con il quale si intende “[…]

consentire all’Unione di sviluppare le proprie capacità civili e militari di gestione

delle crisi e di prevenzione dei conflitti su scala internazionale contribuendo così al

mantenimento della pace e della sicurezza internazionale, conformemente alla

Carta delle Nazioni Unite […]1”.

Nonostante le molte recriminazioni che sono emerse relativamente al

successo di un’iniziativa europea nel campo della difesa, mosse soprattutto dai

singoli Stati membri, sono stati questi ultimi che, nel corso degli anni, hanno

manifestato ed espresso una concreta volontà ed un reale impegno in quest’ambito.

A seguito dell’adozione del Trattato di Maastricht nel 19922, venne

introdotto per la prima volta il concetto di Common Foreign and Security Policy

nonché la prospettiva di una futura difesa autenticamente europea. Alla materia

veniva in questo modo riservato uno spazio nella tradizionale struttura “a tempio”

dell’Ue anche se la sua collocazione nel secondo pilastro, caratterizzato dal metodo

intergovernativo, limitava geneticamente la sua comunitarizzazione.

Questo elemento rappresenta sicuramente un primo passo verso

l’acquisizione della consapevolezza che un’azione europea concertata e coordinata

1 Cfr. definizione di PESD in Europa glossario in www.europa.eu. 2 Per un’analisi molto approfondita delle diverse tappe che hanno segnato la nascita e lo sviluppo della PESD, si veda F. Graziani, Lo spazio di sicurezza europeo. L’Unione europea e i suoi rapporti con la NATO e con l’OSCE, Editoriale Scientifica, Napoli, 2007, pp. 71 e ss..

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in quest’ambito, avrebbe rappresentato un valido complemento alla realizzazione di

risultati economici e politici.

Gli obiettivi inclusi nel Trattato di Maastricht del 1992 in materia di PESC

vennero tuttavia formulati in maniera ampia in modo tale da riflettere dei principi e

dei valori propri dell’Unione europea quali il rafforzamento e la tutela degli

interessi fondamentali, il mantenimento della pace e della sicurezza internazionali,

la promozione della democrazia e il rispetto dei diritti umani.

Il richiamo a tali valori non avrebbe infatti suscitato rivendicazioni nazionali

ma di fatto avrebbe significato entrare “in punta di piedi” in un settore nel quale, da

sempre, gli Stati membri avevano ribadito le proprie prerogative di sovranità.

Poiché le disposizioni introdotte dal Trattato di Maastricht in materia di

PESD non hanno carattere specifico, la loro realizzazione avrebbe dovuto essere

affidata piuttosto ad iniziative risorse e strumenti di diversa natura, aventi

soprattutto una caratterizzazione politica.

La PESD nacque proprio come risultato di tale orientamento e venne

sviluppata per rispondere a diversi eventi endogeni ed esogeni: da un lato la fine

della Guerra Fredda e di una minaccia comune, univoca e ben riconoscibile aveva

determinato un mutamento del quadro strategico e l’emersione di nuove ed

eterogenee sfide da affrontare; dall’altro lato, l’Unione cominciò a perseguire una

politica attiva e a percepirsi sempre più come un attore “geopolitico”.

Ciò che contribuì, più di ogni altra cosa, a gettare delle ombre su una reale

capacità operativa dell’Unione in merito alla protezione dei propri confini, furono le

crisi in Bosnia e in Yugoslavia le quali dimostrarono come non ci fosse una

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completa coincidenza tra le intenzioni e i mezzi a disposizione dell’Ue in materia di

sicurezza e di difesa. Un decisivo traguardo verso l’assunzione di maggiori

responsabilità sotto questo profilo, lo si raggiunse in occasione del Vertice di St.

Malo del 1998, durante il quale la Francia, desiderosa di realizzare una politica di

difesa tradizionalmente europea e la Gran Bretagna, convinta della necessità di non

poter prescindere dall’assistenza statunitense, approdarono a delle significative

decisioni.

Il nucleo essenziale di St. Malo consiste nella volontà dei due Stati di porre a

carico dell’Unione la gestione delle crisi internazionali anche se la Dichiarazione è

priva di qualsiasi riferimento al futuro dell’UEO3, incaricata fino a quel momento di

portare avanti missioni a guida Ue, le cosiddette Eu-led missions, dotandosi anche

degli assets e delle capacità militari NATO.

Mentre riguardo al ruolo della UEO le posizioni dei due Stati continuarono

ad essere divergenti, dal momento che la Francia era favorevole all’integrazione di

tale struttura nell’Unione mentre la Gran Bretagna proponeva la sua estinzione, i

due paesi trovarono un terreno comune relativamente alle finalità e all’ambito di

competenza della PESD in vista di un suo futuro sviluppo.

Secondo il disegno di St. Malo, infatti, l’Unione avrebbe dovuto disporre di

una capacità d’azione autonoma fondata su forze armate credibili e strutture

politiche e militari adeguate, ma non indipendenti dalla NATO e avrebbe dovuto

limitarsi alla realizzazione delle missioni Petersberg. Il metodo privilegiato per lo

sviluppo della PESD era ancora quello intergovernativo ed un ruolo centrale,

3 Unione dell’Europa Occidentale.

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nell’elaborazione della nuova politica, era assegnato soprattutto al Consiglio

Europeo.

Fu infatti in occasione dei due Consigli Europei di Colonia e di Helsinki che

vennero prese decisioni sostanziali e che si approntò un quadro operativo ed

istituzionale che dimostrò come venisse avvertita in maniera sempre più forte la

necessità per l’Europa di assumersi maggiori responsabilità e di ritagliarsi uno

spazio proprio in un campo nel quale l’assistenza degli Stati Uniti aveva fino a quel

momento giocato un ruolo centrale.

Sulla scia dell’iniziativa franco-britannica, salutata con favore anche dal

Consiglio Atlantico del 1999, in occasione del quale, tuttavia, venne ribadita la

necessità di scongiurare il rischio di inutili duplicazioni di forze, ad Helsinki si

sottolineò la “determination to develop an autonomous capacity to take decisions

and, where NATO as a whole is not engaged, to launch and conduct eu-led military

operations in response to international crisis4”, tanto che il Consiglio europeo del

1999 viene a ragione avvertito come un punto di svolta nella storia della difesa

europea.

Sono essenzialmente tre gli elementi che contraddistinguono la PESD e

tradizionalmente essi vengono identificati nella struttura organizzativa ed

istituzionale, nelle missioni/operazioni condotte a livello europeo e nelle capacità

militari e civili di cui l’Unione dispone.

4 Cfr. Common European Policy on Security and Defence in Presidency Conclusions, European Council, Helsinki, 10-11 December 1999.

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Risulta pertanto utile, dopo aver brevemente accennato alla nascita e allo

sviluppo della PESD, analizzare la situazione attuale in cui essa opera e le azioni in

cui è coinvolta senza tralasciare, tuttavia, una preliminare precisazione.

E’ infatti opportuno effettuare una distinzione tra gestione militare e gestione

civile delle crisi internazionali dal momento che esistono organi e strutture diverse

deputate ad organizzare e a pianificare le operazioni e le missioni che vengono

intraprese dall’Ue.

1.1Le istituzioni alla base della PESD: struttura politico militare e

procedure

Con decisione del Consiglio del 22 gennaio 20015, è stato istituito il

Comitato Politico e di Sicurezza (COPS), risultato ultimo di una volontà che era

stata espressa già in occasione del Consiglio europeo di Helsinki e cui era seguita

dapprima la creazione di un Comitato Politico e di Sicurezza interinale,

successivamente sostituito da quello permanente.

Il COPS ha il compito di seguire la politica europea di sicurezza e di difesa

nonché la politica estera di sicurezza comune e svolge un ruolo centrale nella

definizione della risposta europea in caso di crisi.

5 Cfr. Decisone 2001/78/PESC del Consiglio del 22 gennaio 2001, istitutiva del Comitato Politico e di Sicurezza.

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Nello specifico tale Comitato assiste il Consiglio nella definizione delle

politiche da elaborare; esamina i progetti di conclusioni del Consiglio Affari

Generali e coordina i differenti gruppi di lavoro nel campo della PESC.

Il COPS ha la funzione quindi di condurre il dialogo politico essendo

l’interlocutore privilegiato del Segretario generale/Alto Rappresentante nonché il

referente principale della NATO in materia di PESD. Tale organo inoltre lavora a

stretto contatto con il Comitato Militare dell’Unione europea dal quale riceve

direttive tecniche. Per quanto riguarda la gestione militare delle crisi, sono gli Stati

membri o la Commissione che si rivolgono al Comitato per informarlo delle azioni

o delle misure adottate o che essi intendono adottare. Senza pregiudizio per le

azioni intraprese dalla Commissione, il COPS ne esamina gli effetti e ne controlla la

messa in opera.

Il COPS valuta tutte le opzioni possibili allorquando si verifica una

situazione di crisi e propone al Consiglio, dal quale dipende, gli obiettivi politici da

perseguire avendo anche la possibilità di raccomandare allo stesso organo

l’adozione di un’azione comune.

Nonostante siano solitamente il Consiglio e la Commissione gli organi

deputati all’assunzione di decisioni giuridicamente vincolanti, l’articolo 25 del TUE

prevede che il Consiglio possa autorizzare il Comitato a prendere le decisioni

appropriate riguardanti il controllo politico e la direzione strategica dell’operazione

di gestione della crisi.

Nel caso in cui vi sia l’eventualità del lancio di un’operazione è quindi il

COPS che esamina le opzioni militari da intraprendere, che si occupa

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dell’elaborazione del piano operativo e, sulla base delle indicazioni del Comitato

Militare, esso emana una raccomandazione che viene trasmessa al Consiglio il quale

stabilisce quali saranno i compiti che il Segretario generale/Alto Rappresentante

dovrà intraprendere nell’esecuzione delle misure. Quest’ultimo inoltre, durante il

corso dell’operazione, può presiedere il COPS e orientare le attività del centro

situazionale che ad esso fornisce informazioni relative alla gestione della crisi

dovendo tuttavia, in ultima istanza, riferire al Consiglio.

Come detto il COPS è assistito dal Comitato Militare dell’Unione europea.

Tale organo è il centro di consultazione e di cooperazione militare tra Stati

membri dell’Unione europea nel campo della gestione delle crisi e della

prevenzione dei conflitti. Il CMUE è stato istituito con la stessa decisione del

Consiglio del dicembre 2001 che ha dato vita al COPS e, anche la sua creazione, era

stata approvata in occasione del Consiglio europeo di Helsinki.

Il Comitato è formato dai Capi di Stato Maggiore delle armate e si riunisce o

a livello dei Capi di stato Maggiore, o a livello dei loro Rappresentanti militari, che

li sostituiscono durante gli incontri settimanali.

Il Presidente del Comitato deve essere necessariamente un ufficiale a quattro

stelle designato dal Consiglio su proposta dei Capi militari d’armata (CEMA) e

dispone di un mandato di tre anni, salvo decisione contraria del Consiglio.

Egli rappresenta il Comitato di fronte al COPS e al Consiglio e fornisce al

primo organo delle consulenze militari adottate sulla base del consensus.

Nello specifico le indicazioni che il Comitato Militare dell’Ue può fornire

riguardano: gli aspetti militari relativi al controllo politico e alla direzione strategica

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delle operazioni; la valutazione dei rischi potenziali; il riesame degli obiettivi da

conseguire; la stima dei costi delle operazioni e delle esercitazioni e infine le

relazioni militari con i paesi candidati, i paesi terzi e le organizzazioni

internazionali.

In caso di crisi il Comitato Militare dell’Unione europea assume la direzione

militare e trasmette, su domanda del COPS, una direttiva generale allo Stato

Maggiore della Difesa sulla base delle sue analisi. Esso, inoltre, funge da organo di

raccordo tra lo Stato Maggiore della Difesa, che elabora le opzioni militari e

strategiche e il COPS, al quale fa raccomandazioni riguardanti il piano elaborato dal

comandante dell’ operazione.

Lo Stato maggiore dell’Unione europea6 è l’anello terminale della catena di

comando della PESD ed è composto da personale distaccato degli Stati membri, a

livello di generale o di ammiraglio. Lo Stato maggiore è subordinato al COPS ed

agisce sotto la sua direzione; anche l’Alto Rappresentante per la PESC gode di un

certo potere decisionale nei suoi confronti dal momento che tale organo, a

differenza del Comitato politico e di sicurezza e del Comitato militare, non è

collocato all’interno del Consiglio, ma in un dipartimento del Segretariato generale

del Consiglio, direttamente collegato al Segretario generale/Alto rappresentante per

la PESC.

Lo Stato maggiore assicura un legame tra il Comitato militare e in generale

gli organi politici e militari deputati alla gestione delle crisi, e le unità militari dei

singoli Stati membri. È responsabile della valutazione e della formulazione di

6 Cfr. Decisione istitutiva del Consiglio 2001/80/PESC., in particolare, per approfondimenti sulle sue funzioni, i paragrafi 3 e 4dell’allegato alla decisione istitutiva.

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raccomandazioni per quanto riguarda le capacità che gli Stati membri mettono a

disposizione dell’Unione europea ed identifica le forze nazionali e multinazionali

occorrenti.

A questi organi puramente militari sono state affiancate delle Agenzie.

Il Centro satellitare7 è stato istituito nel 2001 ed ha sostituito l’analoga

struttura propria dell’UEO, con il compito di rafforzare “the early-warning and

crisis-monitoring functions8” dell’Unione per contribuire allo sviluppo della PESC

e della PESD.

In situazioni di crisi le analisi prodotte da questo centro, le immagini dei

satelliti e i dati collaterali vengono fornite al centro situazionale e allo Staff militare

dell’Unione europea affinché possano formulare le loro opzioni strategiche.

L’attività del centro è posta sotto la supervisione del COPS e le richieste di

analisi possono provenire dalla Commissione e dagli Stati membri, ma anche da

organizzazioni internazionali9 e Stati terzi.

L’Istituto per gli studi sulla sicurezza, nato anch’esso nel 200110, svolge

compiti di ricerca contribuendo ad approfondire analisi in materia e ad intrattenere

una rete di scambi con altri istituti e think tank extraeuropei.

L’ Istituto svolge inoltre un ruolo essenziale anche all’interno del Collegio

europeo di sicurezza e difesa, creato nel luglio 2005 e avente come scopo lo

sviluppo di una cultura comune nell’ambito della sicurezza e della difesa. I

programmi di formazione vengono approntati da un comitato formato dagli Stati

7 Istituito con Azione comune 2001/555 PESC, in GUCE L 200del 25 luglio 2001. 8Cfr. Guide to the European Security and Defence Policy in www.rpfrance-ue.org. 9 Le immagini del Centro sono ad esempio state fornite alle Nazioni Unite per la missione MONUC nella Repubblica Democratica del Congo. 10 Azione comune 554/01 del 20 luglio 2001 in GUCE L 200 del 25 luglio 2001.

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membri, dal Segretariato generale del Consiglio, che ne coordina anche l’attività, e

dalla Commissione.

Va infine ricordata l’Agenzia della difesa europea11, cui sono state riservate

funzioni particolari al fine di migliorare le capacità di difesa europea. A tale organo

sono affidati compiti nel campo della costruzione delle capacità, della ricerca e

degli armamenti nonché quello di incoraggiare le iniziative nazionali e

multinazionali in grado di soddisfare le esigenze della PESD.

Alle agenzie e agli organi puramente militari si aggiungono poi quelli

politici, mutuati dal quadro istituzionale unico dell’Unione europea ed incaricati di

gestire le missioni a guida europea.

Al vertice della struttura istituzionale vi è il Consiglio europeo che,

nell’ambito del secondo pilastro, definisce le strategie comuni nonché i principi e

gli orientamenti generali della politica estera e di sicurezza comune “ivi comprese le

questioni che hanno implicazioni in materia di difesa12”.

Le funzioni più importanti a livello decisionale sono tuttavia assegnate al

Consiglio dell’Unione europea13 cui spetta il compito di adottare azioni e posizioni

comuni e di concludere accordi internazionali. A differenza di quanto accade nella

PESC, nell’ambito della politica di difesa il Consiglio può adottare atti soltanto

11 Azione comune 10556/4 del 12 luglio 2004. Alle funzioni e alla struttura dell’AED è dedicato il paragrafo 1.1.1 di tale elaborato. 12 Cfr.Art. 13. par. 1 TUE. 13 Il Consiglio si avvale a sua volta di una complessa struttura amministrativa. Le funzioni più importanti sono assegnate alla Presidenza che attua le decisioni adottate nell’ambito del Titolo V TUE , ha funzioni di rappresentanza internazionale dell’Unione ed è responsabile dei lavoro del Consiglio e della sua buona organizzazione. A conferire maggiore stabilità alla politica estera gestita essenzialmente dall presidenza del Consiglio, interviene la Troika, formazione che comprende oltre alla Presidenza in esercizio, che spesso da maggiore rilevanza alle questioni che hanno per essa maggiore rilevanza strategica, anche l’Alto Rappresentante/Segretario generale per la PESC, un membro della Commissione e ove necessario anche lo Stato deputato ad assumere la presidenza successiva. Si veda al riguardo il combinato disposto dei paragrafi 1-4 dell’art. 18 TUE che ha modificato la formazione della Troika prevista dal Trattato di Maastricht all’art. J.5, paragrafo 3.

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all’unanimità, ad eccezione delle regole dell’astensione semplice e dell’astensione

costruttiva che consentono di ricorrere alla maggioranza qualificata per l’assunzione

di decisioni in questo settore. A livello formale le decisioni in materia di PESD

spettano al CAGRE, Consiglio affari generali e relazioni esterne che si riunisce

nella formazione dei Ministri degli Esteri e di quelli incaricati degli affari europei,

affiancati anche dai Ministri della Difesa14.

La PESD è posta sotto la responsabilità dell’ Alto Rappresentante della

PESD, carica istituzionale creata con il Trattato di Amsterdam e ricoperta a partire

dal 1999 da Javier Solana che ha il compito di rappresentare l’Unione all’estero

nonché di indirizzarne l’azione per ciò che attiene al secondo pilastro, operando

ovviamente in accordo con il Consiglio. Quest’ultimo può assegnare all’Alto

Rappresentante specifiche funzioni di carattere diplomatico per le quali questi può

avvalersi dell’ausilio di Rappresentanti speciali, da lui nominati al fine di conferire

una maggiore coerenza all’azione esterna dell’Unione15.

Nel 200016 è stato poi istituito il Comitato incaricato degli aspetti civili della

gestione delle crisi internazionali che opera come gruppo di lavoro del Consiglio e

fornisce raccomandazioni anche al Comitato politico e di sicurezza in materia di

polizia, stato di diritto, amministrazione civile e protezione civile.

14 Tale pratica è stata introdotta a partire dal 1998 ed è stata formalizzata in occasione del Consiglio europeo di Helsinki del 1999. La prima riunione congiunte dei Ministri degli esteri e della difesa risale al 15 novembre 1999. 15 Con il documento 8287/96 del 27 giugno 1996, “Envoyés speciaux de l’UE: mode d’emploi concernant la procédure de nomination” è stato stabilito che, per consentire agli Stati membri di esercitare un controllo sull’operato degli Inviati speciali, di solito incaricati di intervenire in situazioni di crisi o di instabilità politica, questi dovessero essere nominati sulla base di un’azione comune, mentre ai sensi dell’art. 18 TUE la loro designazione avveniva ad opera del Consiglio che assegnava loro un mandato per problemi specifici. 16 Con decisione del Consiglio 2000/354/PESC del 22 maggio 2000, in GUCE L 127 del 27 maggio 2000.

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1.1.1 L’Agenzia europea della difesa

L’EDA, European Defence Agency è stata istituita nel quadro di un’azione

comune17 del Consiglio dei Ministri dell’Ue nel 2004 e la sua creazione rappresenta

una novità importante: secondo un’interpretazione restrittiva dell’art. 296 del TCE,

l’Unione non avrebbe infatti il diritto di intervenire nelle decisioni degli Stati

membri relativamente alla produzione e al commercio di armi.

Nonostante vi siano state precedenti iniziative18 di integrazione in materia di

difesa promosse da alcuni Stati membri dell’Ue, va evidenziato come esse, in realtà,

siano state condotte al di fuori del quadro comunitario mentre l’EDA è un’Agenzia

europea.

La European Defence Agency si propone nello specifico quattro obiettivi:

sviluppare le capacità in termini di difesa; promuovere la ricerca e la tecnologia

nello stesso settore; promuovere la cooperazione negli armamenti ed infine creare

un mercato europeo della difesa e rafforzare la European Defence, Technological

and Industrial Base.

Scopo dell’Agenzia è anche quello di contribuire ad orientare, sulla base

delle necessità che vengono identificate in termini di capacità, le spese militari degli

Stati membri in modo da evitare inutili duplicazioni e promuovere una maggiore

coerenza a livello europeo. Un più stretto dialogo ed una più intensa collaborazione

in materia di armamenti, nel settore della ricerca e della tecnologia e anche a livello

17 Azione comune 2004/551 PESC. 18 Ci si riferisce in particolare alla poco soddisfacente sperienza della WEAG (Western european Armament Group) e alla più efficace costituzione dell’OCCAR (Organization for Joint Armaments Cooperation) nel 1998.

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operativo, favorirebbe una ristrutturazione del mercato degli armamenti e progressi

su scala continentale.

Per quello che riguarda invece la struttura dell’EDA, innanzitutto va ribadito

che si tratta di un’agenzia dell’Ue, posta sotto il controllo del Consiglio europeo e a

capo della quale si trova l’Alto rappresentante per la PESC Javier Solana.

L’organo che adotta le decisioni più importanti19 dell’EDA è il Comitato di

Direzione; esso ha composizione plenaria, in quanto vi siedono i Ministri della

Difesa dei 26 Stati membri20 dell’Agenzia e un rappresentante della Commissione.

Durante i primi anni della sua esistenza, l’EDA ha conseguito dei risultati

incoraggianti tra i quali risulta opportuno menzionare la creazione di un Codice di

Condotta21 che riguarda i contratti in materia di acquisizione di materiale per la

difesa. Gli Stati membri che decidono di aderire allo schema intergovernativo

proposto dall’EDA, saranno chiamati a rispettare i principi cardine dell’iniziativa e

cioè la trasparenza e l’accountability, attraverso la pubblicazione, sul portale

dell’Agenzia, di tutte le opportunità di business per i fornitori di materiale bellico,

senza operare discriminazioni fondate sulla nazionalità.

In questo modo è stato possibile arginare un ostacolo fissato dallo stesso

Trattato istitutivo della CE: in materia di armamenti è infatti consentito agli Stati

membri, qualora sussistano dei motivi relativi alla loro sicurezza, di derogare alle

regole sulla concorrenza. Poiché questa condizione potrebbe essere invocata con

una discrezionalità assoluta, l’EDA ha ritenuto necessario introdurre tale Codice di

19 Il Comitato di Direzione, che si riunisce almeno due volte all’anno, si può formare anche a livello sub-ministeriale raggruppando i rispettivi direttori nazionali per gli armamenti, per le ricerche, i national capability planners e i responsabili politici. 20 I 27 Stati membri dell’UE ad eccezione della Danimarca. 21 Entrato in vigore nel luglio del 2006.

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Condotta al fine di regolamentare il settore dal momento che solitamente i Governi

degli Stati membri firmano i contratti in materia di difesa, fuori dal quadro di regole

sugli appalti pubblici previsto per il mercato interno della CE.

L’altro importante documento approvato dal Comitato Direttivo dell’EDA è

la Long Term Vision dell’ottobre 2006 che definisce i bisogni dell’Europa in termini

di capacità per il periodo 2020 – 2030. Tale strumento è stato elaborato in

collaborazione con diversi istituti di ricerca e con l’ausilio del Comitato Militare

dell’UE e della Task Force che si occupa al suo interno di pianificare le capacità

militari dell’Unione.

Sulla base della Long Term Vision è stato poi prodotto, nell’arco di 18 mesi,

il Capability Development Plan, approvato l’8 luglio del 2008 dai Ministri della

Difesa degli Stati Membri, del quale si è parlato anche in occasione del Gruppo

Politico-Militare UE-NATO22 dello scorso settembre. Durante tale incontro il

vicedirettore dell’EDA ha affermato che il CDP in realtà non è un piano e non è

neanche un documento di pianificazione ma è perlopiù uno strumento di ausilio per

indirizzare i piani di difesa nazionali.

Il CDP si colloca a metà strada tra l’identificazione delle carenze capacitive

del breve periodo individuate dopo aver stilato il Requirements Catalogue23, e le

esigenze che l’Europa incontrerà nel lungo periodo.

Tra le iniziative già all’esame del Comitato Direttivo dell’EDA la cui

importanza è stata tuttavia sottolineata dal Capability Development Plan vi è,

anzitutto, la maggiore disponibilità di elicotteri e lo sviluppo di un training tecnico

22 Si tratta di un incontro “liturgico” durante il quale i rappresentanti dell’EDA e della NATO espongono le iniziative e i programmi che attualmente le due organizzazioni stanno portando avanti. 23 Per le diverse fasi del processo di pianificazione delle capacità militari dell’UE si veda il par.

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e tattico che promuova una maggiore collaborazione tra Stati membri; altro

argomento interessante è quello che vede l’EDA protagonista di una European

Logistic Support Platform, nella quale l’Agenzia avrebbe la funzione di avvicinare

pianificatori e programmatori nazionali all’industria della difesa. Questo porterebbe

a maggiori benefici sia dal punto di vista dei militari, in quanto diminuirebbero le

inefficienze che possono verificarsi, sia dal punto di vista dell’industria in quanto

tali piattaforme consoliderebbero il lato della domanda e dell’offerta e quindi il

mercato degli armamenti.

La piattaforma sarà aperta a tutte le industrie militari degli Stati membri e

agli altri operatori interessati alle operazioni militari dell’Ue e, nelle parole di

coloro che ne hanno ipotizzato la creazione, rappresenterà una fonte di vantaggio sia

per l’Unione che per la NATO dal momento che tale connessione tra industry,

planners e commanders contribuirà a migliorare la logistica nelle operazioni

dell’Ue.

Questi sembrano essere gli argomenti sui quali oggi l’EDA è maggiormente

concentrata e una conferma di ciò la si é avuta in occasione dell’informale di

Deuville del 1° e 2 ottobre scorso, durante la quale il Ministro della Difesa francese

ha parlato delle diverse iniziative che l’Europa intraprenderà nei prossimi mesi e dei

progetti concreti che verranno probabilmente approvati nel mese di novembre.

Il direttore dell’EDA, in un’intervista rilasciata al termine della riunione, ha

affermato di aver discusso di alcuni programmi ai quali l’Agenzia sta lavorando e

che verranno lanciati il 10 novembre, in occasione della prossima riunione

informale dei Ministri della Difesa degli Stati membri. Fra le iniziative promosse vi

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sono: un sistema satellitare militare d’osservazione; un sistema di sorveglianza delle

frontiere marittime; il progetto di un futuro elicottero da trasporto sulla base di una

comune richiesta militare franco-tedesca ed infine un sistema aereo di sorveglianza

marittima. E’ stato inoltre specificato che sei degli Stati che partecipano al progetto

di trasporto aereo strategico hanno già ordinato gli A400M e stanno valutando se

spingere affinché tali apparecchi siano utilizzati per la creazione di una comune

flotta aerea europea24. Durante l’informale di Deuville si è discusso anche

dell’articolazione tra l’EDA e l’OCCAR25: un accordo di cooperazione tra le due

strutture dovrebbe essere concluso il 10 novembre prossimo ed i vantaggi di un

riavvicinamento potrebbero portare, secondo alcuni, a dei buoni risultati.

Cinque paesi e cioè Germania, Belgio, Paesi Bassi, Italia e Finlandia

avrebbero poi mostrato il loro interesse per un programma di ricerca riguardante un

futuro caccia mine che dovrebbe essere affidato all’EDA.

E’ forse opportuno fare un cenno, in questa sede, agli altri argomenti che

sono stati dibattuti durante l’informale di Deuville.

Anche se riguardano in maniera meno diretta l’EDA, tali aspetti implicano

comunque un ripensamento sia della formulazione delle necessità future

dell’Europa26, sia del tipo di operazioni/missioni nelle quali l’Ue sarà impegnata.

Innanzitutto il Ministro della difesa francese Hervé Morin ha annunciato che

la maggior parte dei suoi colleghi si è dimostrata favorevole ad una trasformazione

della missione in Bosnia-Herzegovina. Durante la prima giornata era stata avanzata

24 Le opzioni al riguardo potrebbero essere due: o la cessione di ore di volo ai paesi che abbiano bisogno degli A400M, o la creazione di una flotta multinazionale di tali apparecchi. 25 Si veda il Par. successivo. 26 Questo a dimostrazione del fatto che il CDP è uno strumento vivente in continuo mutamento a seconda delle esigenze incontrate.

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l’idea di sostituire l’attuale forza militare europea con una missione civile per

garantire l’impegno dell’Ue nella regione. Tale possibilità, tuttavia, ha incontrato le

riserve di almeno quattro paesi e cioè l’Italia, la Grecia , la Slovacchia e l’Ungheria

che, per diversi motivi27, non hanno permesso a questa proposta, che diventerà

decisione nel prossimo incontro formale, di ottenere l’unanimità.

Durante il secondo giorno di lavori si è evitato di parlare della fine

dell’operazione militare in Bosnia.Herzegovina anche perché il dispositivo militare

permetterebbe di conservare, attraverso gli accordi Berlin Plus, il legame con la

catena d’ordine della NATO. Dal momento che politicamente si richiama sempre

più spesso la necessità di una stretta collaborazione con la NATO, sarebbe

azzardato porre fine all’unica operazione realizzata in cooperazione con l’alleanza

atlantica.

I Ministri della Difesa degli Stati membri riuniti a Deuville hanno inoltre

raggiunto l’accordo sulla necessità di impegnarsi in una futura operazione navale

per lottare contro la pirateria al largo delle coste somale; dieci paesi28 avrebbero già

espresso la loro volontà di prendere parte, a diversi livelli, all’operazione che

dovrebbe essere coordinata con mezzi statunitensi e con eventuali mezzi della

NATO.

Sembra utile a questo punto soffermarsi su alcune brevi riflessioni.

Le proposte emerse durante la riunione di Deuville che vanno dalla necessità

di aerei di trasporto strategico all’avvio di nuove missioni o alla trasformazione di

27 Per quanto riguarda l’Italia ovviamente si fa riferimento al gran numero di uomini che prendono parte all’operazione e allo sforzo economico profuso. 28 Il Ministro della difesa francese ha citato: Francia, Germania, Spagna, Paesi Bassi, Belgio, Svezia, Lituania, Cipro e Regno Unito.

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altre, dimostrano come il peso di una Presidenza europea forte possa portare a delle

scelte che, magari, non sono ritenute indispensabili da tutti e 27 gli Stati membri

dell’Ue.

Questo ci consente di affrontare un discorso relativo alla PESD che viene da

alcuni29 vista non come uno strumento d’integrazione, bensì come uno strumento

selettivo e tale concetto sembra essere valido non solo da un punto di vista operativo

ma anche sotto il profilo decisionale. Se è vero infatti che le operazioni di polizia

“forte” vengono affidate ai paesi che dispongono di uomini altamente preparati e

aventi una lunga esperienza nei teatri più impegnativi, è vero anche che alcuni paesi

che hanno un peso politico ed economico maggiore sono in grado di presentare

come “imprescindibili” alcune misure o alcune iniziative che rimarrebbero soltanto

delle “aspirazioni” qualora restassero racchiuse tra le mura nazionali.

Una considerazione conclusiva va fatta anche con riguardo all’EDA e al suo

ruolo futuro: gli approcci britannico e francese alle politiche industriali della

difesa30 spiegano quanto sarebbe difficile per alcuni Stati membri31 essere

condizionati, nei fatti, da un’agenzia della difesa europea che possa richiedere una

maggiore condivisione nelle scelte di investimenti per promuovere una politica

europea degli armamenti.

Per ora, quello che sta accadendo, è che non sembra essere l’EDA ad

indirizzare le scelte industriali degli Stati membri quanto piuttosto alcuni di assi a

29 Sembra essere di questa opinione Gabriele Altana, Primo Consigliere MAE attualmente vice rappresentante presso il COPS alla Rappresentanza Permanente italiana presso l’UE che chi scrive ha avuto il piacere di intervistare in data 04/10/2008 presso gli uffici della Rappresentanza stessa a Bruxelles. 30 Si veda a tal proposito quanto scrive A. Pansa in La difesa europea, Il Melangolo, Genova, 2007, par. 7.2.2 e 7.3.1. 31 Che sono tra l’altro i maggiori contributori dell’EDA.

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spingere per la realizzazione di progetti o programmi che dovrebbero essere da

questa realizzati.

1.1.2 L’OCCAR

L’ Organisation Conjointe de Coopération en matière d'Armement fu

creata il 12 Novembre del 1996 sulla base di un accordo amministrativo tra i

Ministri della Difesa di Francia, Germania, Italia32 e Gran Bretagna. Il suo scopo

principale è quello di dar vita ad accordi più efficienti per la gestione di alcuni

programmi di armamento comune esistenti o futuri. I Ministri della Difesa dei

Quattro Stati fondatori firmarono successivamente un Trattato, la Convenzione

dell’OCCAR, che venne in seguito ratificata ed entrò in vigore il 28 gennaio 2001.

La Convenzione conferisce status legale all’OCCAR attribuendole una

personalità giuridica internazionale ed un’autonoma capacità negoziale.

Il Belgio e la Spagna hanno ratificato la Convenzione istitutiva

dell’organizzazione rispettivamente nel 2003 e nel 2005 mentre l’Olanda e il

Lussemburgo partecipano attualmente ad un programma, pur non essendo membri

dell’OCCAR.

Rispetto alle altre agenzie di procurement ad esempio della NATO,

l’organizzazione ha una struttura flessibile ed un carattere “federale”: essa gestisce

più programmi contemporaneamente mentre le Agenzie NATO si occupano di

32 L’Italia ha ratificato la Convenzione con la legge n.348 del 15 novembre 2008, GU 278 del 28 novembre 2000.

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specifici programmi. L’OCCAR presenta tuttavia anche delle caratteristiche comuni

ad altre agenzie multinazionali di procurement: il compito principale che le

contraddistingue è quello di gestire dei programmi di cooperazione relativi

all’acquisizione di sistemi d’arma ed in virtù di questo obiettivo esse possono agire

contrattualmente in nome proprio o per conto degli Stati membri.

L’OCCAR possiede tuttavia una propria “filosofia” di gestione dei

programmi di cooperazione che si concretizza in uno specifico modus operandi.

Il Business Model dell’organizzazione si contraddistingue infatti per

l’identificazione di una Missione, di una Visione e di alcuni Valori fondamentali.

La missione dell’OCCAR è quella di agevolare e gestire lo sviluppo di

programmi europei di collaborazione nel campo degli armamenti e della

realizzazione di dimostratori tecnologici per soddisfare meglio le esigenze dei

clienti; per quanto attiene alla visione dell’organizzazione, il suo fine ultimo è

quello di rappresentare un centro di eccellenza nel settore dell’acquisizione

cooperativa di equipaggiamenti per la difesa fondato su valori quali quello della

fiducia nel futuro dell’Europa, la professionalità, il lavoro di squadra,

l’atteggiamento positivo verso i cambiamenti, la diversificazione culturale e

l’integrità.

Alcuni dei principi ispiratori dell’OCCAR sono oggi stati trasferiti all’EDA,

l’Agenzia europea della difesa, che attualmente si occupa ad esempio

dell’armonizzazione dei requisiti della tecnologia, compito prima spettante

all’OCCAR; quest’ultima continua invece a promuovere l’ottimizzazione del

rapporto costo-efficacia, l’apertura ad altre Nazioni, pur essendo ad oggi di fatto un

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club delle Nazioni economicamente più avanzate, e lo sviluppo di una base

industriale competitiva.

Le attività dell’organizzazione e dell’EDA vengono spesso confuse anche se

la prima può essere considerata, a ragione, il “braccio operativo” dell’Agenzia di

difesa europea; il rapporto di collaborazione tra i due organismi, che sono partners,

si evince anche da alcuni dei compiti da essi svolti: anche l’OCCAR si propone

degli obiettivi di lungo periodo per il coordinamento dei fabbisogni, basati sui

principi di complementarità, reciprocità ed equilibrio e anch’essa mira a rafforzare

l’identità europea nel campo della sicurezza e delle difesa.

Tuttavia, nel preambolo della Convenzione istitutiva dell’OCCAR, vengono

definiti quelli che sono gli scopi precipui dell’organizzazione e cioè lo sviluppo di

nuovi metodi di gestione dei programmi, la realizzazione di procedure per garantire

contratti più efficaci, migliorare l’efficienza e ridurre i costi delle cooperazioni nel

campo degli armamenti ed infine incoraggiare la creazione di “prime contractors”

industriali transnazionali ed integrati.

L’integrazione di un nuovo programma da parte dell’OCCAR, richiede la

firma di tre documenti: in primo luogo l’Integration Decision, con la quale tutti gli

Stati membri decidono che il programma può essere integrato nell’OCCAR. Tale

decisione viene presa all’interno del Board of Supervisors, costituito dai Ministri

della Difesa o dai loro delegati di tutti i paesi membri, organo che dirige e

supervisiona l’OCCAR e tutti i comitati33 che ne fanno parte e decide in ogni

materia riguardante l’implementazione della convenzione istitutiva34.

33 Si tratta nello specifico del Comitato di Programma, che opera per conto del Consiglio di Programma, del Comitato per la policy ed i compiti futuri, del Comitato finanziario e del Comitato per la Sicurezza.

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L‘altro documento occorrente per l’integrazione di un nuovo programma è il

Memorandum of Understanding, accordo intergovernativo tra gli Stati partecipanti a

un programma ove vengono assunti gli impegni relativi al programma, definiti più

in dettaglio nella Programme Decision, decisione, legalmente vincolante, di tutti gli

Stati partecipanti al programma, inclusi gli Stati che non sono membri

dell’OCCAR35, che specifica le obbligazioni tra Stati partecipanti e OCCAR. La

Programm Decision definisce gli High Level Objectives del programma con

riferimento ai tempi di realizzazione, ai costi e alle prestazioni, stabilisce l’impegno

finanziario nel tempo ed indica la procedura contrattuale.

Infine i Contratti vengono stipulati o tra l’OCCAR e il contraente oppure tra

gli Stati partecipanti al programma ed il contraente. Mentre nel primo caso la

legislazione di riferimento dei contratti viene solitamente scelta secondo le

preferenze espresse dall’OCCAR, generalmente si tratta della legislazione in vigore

nello Stato in cui è ubicata la Divisione che pone in essere il programma36, nel

secondo caso, invece, la legislazione di riferimento viene scelta secondo le

Completano la struttura istituzionale dell’OCCAR, l’Ufficio Centrale, il Direttore e la Divisione di Programma. 34 L’implementazione della Convenzione OCCAR ad opera del BoS prevede inoltre: l’ammissione di nuovi Stati Membri con relativi diritti di voto; l’integrazione di nuovi programmi in OCCAR; l’approvazione del budget amministrativo e finanziario e del report finanziario annuale, nonché di ogni decisione relativa alle regole contabili e finanziarie ed alla gestione dell’organizzazione; procedure e regole per l’aggiudicazione dei contratti, così come la definizione delle clausole e delle condizioni standard; etc.. 35 Il Capitolo X della Convenzione, riguardante la Cooperazione con Stati non membri e organizzazioni Internazionali prevede, all’art. 37 che l’OCCAR può cooperare con altre organizzazioni e/o Istituzioni Internazionali e sottoscrivere accordi con esse; all’art. 38 viene poi specificato che la cooperazione può assumere la forma di partecipazione, da parte di uno Stato non Membro o di altre Organizzazioni Internazionali, in uno o più programmi. 36 In alternativa la legislazione di riferimento dei contratti, nel caso in cui l’OCCAR agisca in nome proprio, può essere quella in vigore nello Stato ove é ubicata la sede legale del contraente o nel principale posto di svolgimento delle attività di attuazione del contratto.

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preferenze espresse dagli Stati partecipanti e generalmente è quella vigente in uno

di essi37.

Veniamo ora ai programmi nei quali l’OCCAR è attualmente impegnata.

In primo luogo, se non altro per il risalto che viene dato a livello europeo a

tale programma, occorre parlare dell’A400M, un aereo da trasporto pesante che

dovrebbe andare incontro alle esigenze di trasferimento rapido di truppe e di risorse

sul campo delle operazioni.

Il 27 luglio del 2000 alcuni Stati, a seguito di una esplicita richiesta da parte

di tutti i membri della NATO di provvedere alla progettazione e alla creazione di

mezzi di trasporto che potessero essere utilizzabili anche su terreni ed in condizioni

meteorologiche difficili, si sono dimostrati favorevoli alla progettazione e creazione

dell’Airbus A400M. Il programma è stato lanciato ufficialmente ed integrato tra

quelli dell’OCCAR nel maggio del 2003 ed attualmente gli Stati che vi partecipano

sono la Francia, la Gran Bretagna, la Germania, il Belgio, l’Olanda, la Spagna e la

Turchia.

Al Sud Africa, acquirente dell’aereo ma non facente parte

dell’organizzazione, è stato attribuito, dal 2006, lo status di osservatore al

programma. La prima consegna, a fronte dei 180 aerei ordinati, è prevista per il

2010 e attualmente l’OCCAR sta prevedendo una serie di attività preparatorie per

37 Anche in questo caso esistono delle altre opzioni riguardo alla scelta della legislazione di riferimento in materia di contratti, in tutto e per tutto simili a quelle previste nel caso in cui l’OCCAR agisce per proprio conto.

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l’A400M nella fase del supporto in servizio, l’ultima tappa prima della dismissione

nel ciclo di vita di un prodotto38.

Si tratta di un mezzo altamente costoso che non rappresenta senza ombra di

dubbio una priorità se si fa un raffronto oggettivo tra costi e utilità. Alcuni Stati, la

Francia in primis, e insieme ad essa gli altri Stati che partecipano al programma,

stanno battendo molto sulla questione della necessità di trovare dei fondi comuni

per la realizzazione di mezzi di trasporto di truppe, ma ci si chiede se le loro

richieste siano del tutto disinteressate e orientate effettivamente a ridurre le carenze

che l’Europa ha in termini di capacità militari e che potrebbero probabilmente

essere colmate con la disponibilità di mezzi tecnicamente più semplici e quindi

meno costosi, o se esse siano invece condizionate dalla logica industriale nazionale.

Il programma BOXER rappresenta una grande collaborazione tra la

Germania e l’Olanda che porterà notevoli benefici operativi inclusa

l’interoperabilità tra le truppe, nonché importanti risparmi finanziari. La messa in

comune dei costi di sviluppo, le tecnologie e le economie di scala nella produzione

sono soltanto tre dei maggiori benefici derivanti da tale collaborazione. La

produzione in serie dei BOXERS, veicoli blindati multiruolo molto versatili, è

iniziata e nel 2009 cominceranno le consegne dei mezzi.

Sempre la Germania, questa volta insieme a Francia e Gran Bretagna, è

protagonista del programma COBRA. Si tratta di un radar contro-batteria che è in

servizio dal 2005 e la cui consegna agli Stati partecipanti è stata ultimata nel

maggio 2007. E’ stato implementato un sostegno comune nella fase del supporto in

38 Il ciclo di vita di un programma OCCAR è distinto in sei fasi: la preparazione, la definizione e lo sviluppo sono le tre tappe dell’integrazione del programma; la produzione, il supporto in servizio e la dismissione rappresentano invece le ultime tre fasi della gestione del programma.

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servizio e sono stati conclusi accordi con la Turchia affinché anch’essa partecipi a

questa fase.

Francia e Italia partecipano invece al programma FREMM39 che fa parte di

un progetto molto ambizioso ed innovativo riguardante la difesa navale europea.

Le fregate multiruolo saranno il risultato di tale programma, ufficialmente

integrato nell’OCCAR nel novembre del 2005 a seguito di un contratto inizialmente

siglato tra la Francia e l’organizzazione stessa per lo sviluppo e la produzione di 17

fregate e successivamente emendato, nel maggio del 2006, per integrare lo sviluppo

e la produzione di 10 fregate italiane.

Le 27 fregate saranno consegnate tutte entro il 2027 e ne verranno realizzate

tre versioni: anti-submarine warfare (ASM/ASW), land attack (AVT) e general

purpose (GP).

L’Italia prende inoltre parte, sempre insieme alla Francia, al programma

FSAF, che consiste in una famiglia di sistemi antimissile per la difesa aerea a medio

e lungo raggio la cui creazione è stata sancita dal Memorandum of Understanding

siglato dai due paesi nel 1988.

Il programma copre anche il munizionamento per il Programma PAAMS40, il

cui scopo è quello di fornire capacità di autodifesa sia su terra che in mare alle

future fregate. L’OCCAR si occupa quindi di gestire la fornitura di munizioni per

tali sistemi d’arma per conto degli Stati partecipanti al programma, al fine di

conseguire migliori economie di scala.

39 Future Multi-Mission Frigates. 40 Principal Anti Air Missile Systems, cui partecipa, oltre alla Francia e all’Italia, anche la Gran Bretagna.

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L’altro progetto attualmente integrato tra quelli dell’OCCAR, riguarda la

realizzazione di una nuova generazione di elicotteri, che ha preso il nome di

TIGER. Nel 1988 Francia e Germania furono i due paesi che lanciarono

un’iniziativa in questo senso per la costruzione dei primi due esemplari di elicotteri

da impiegare anche in operazioni difficili e in condizioni meteorologiche

particolari41.

A partire dal 2004 anche la Spagna partecipa al progetto volto allo sviluppo e

alla produzione dell’elicottero HAD42 al quale la Francia e la Germania hanno

deciso di prestare un’assistenza comune nella fase di supporto in servizio.

E’ attualmente al vaglio dell’OCCAR il dimostratore tecnologico ESSOR,

European Secure Software Defined Radio il quale ha come scopo finale quello di

fornire capacità alle industrie europee affinché queste sviluppino una rete

centralizzata di sistemi radio nel periodo compreso tra il 2010 e il 2015. Gli

obiettivi intermedi sono invece il miglioramento dell’interoperabilità tra Stati

europei, Stati Uniti e NATO; la promozione di un miglior coordinamento con i

sistemi di comunicazione civile e, da ultimo, fornire incentivi agli investimenti

europei in questo settore al fine di favorirne lo sviluppo.

A novembre, infine, è previsto il lancio del MUSIS, un programma satellitare

europeo che dovrebbe essere integrato tra quelli dell’OCCAR.

41 Le prime due versioni di elicotteri sono state la UHT (Unterstutzung Hubschrauber ) per la Germania e l’HAP Hélicoptère d’Appui Protection) per la Francia. 42 Hélicoptère d’Appui et Destruction - Helicoptero d’Apoyo y Destrucciòn.

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1.2 Il processo di avvio delle operazioni

Un’iniziale valutazione della necessità o meno di avviare una nuova

operazione viene portata avanti, a livello informale, tramite l’avvio di una serie di

consultazioni tra gli Stati membri e le istituzioni comunitarie che operano

nell’ambito della sicurezza.

Anche relativamente all’inizio di nuove “operazioni43”, bisogna effettuare

una distinzione tra quelle di natura militare e quelle civili. Mentre le prime, qualora

richiedano un intervento della NATO, devono essere il risultato di colloqui

preliminari avviati tra le autorità delle due organizzazioni e gli Stati membri44, in

quelle civili ad avere un ruolo di primo piano nell’assunzione di decisioni sono le

istituzioni europee ed in particolar modo la Commissione.

La preparazione delle operazioni militari spetta allo Stato maggiore45 che

fornisce una serie di opzioni al Comitato militare. Quest’ultimo organo è poi

incaricato di fornire raccomandazioni al COPS che prepara i lavori del CAGRE cui

spetta la decisione finale. Partecipano invece alla preparazione delle missioni civili

una serie di organi tra cui lo stesso Comitato militare, che, in questo caso, definisce

soltanto le questioni di sicurezza legate a missioni civili o di polizia, il Civcom e la

Commissione, oltre a vari uffici interni e direzioni del Consiglio.

43 Risulta opportuno, a questo punto, effettuare una precisazione terminologica. Il termine “operazione” viene di solito erroneamente attribuito sia alle azioni militari che a quelle civili. Si deve tuttavia parlare, nel primo caso di operazioni militari, nel secondo di missioni civili. 44 Se la missione militare, invece, non richiede l’intervento della NATO, i colloqui preliminari riguardanti i profili dell’intervento vengono avviati con lo Stato che si appresta a fungere da nazione-quadro. 45 Si veda il paragrafo precedente per una descrizione più dettagliata del quadro istituzionale in materia di PESD.

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Una volta che, a fronte di queste discussioni preliminari, vengono fissate la

tipologia, il mandato, gli obiettivi ed i mezzi a disposizione, il CAGRE adotta per

consenso un’azione comune. Gli Stati possono astenersi dovendo tuttavia, ad

eccezione della Danimarca, motivare la loro decisione46 e, qualora in base al

meccanismo della ponderazione previsto dal Trattato non si ottenga la maggioranza

qualificata dei voti, l’azione comune viene respinta.

Per quanto attiene invece alla fase di comando delle operazioni, dopo aver

ricordato che l’organo di coordinamento politico è il COPS, viene messo in pratica

per le operazioni militari che vengono condotte autonomamente dall’Ue, un

meccanismo noto come nazione-quadro in base al quale lo Stato membro che ha la

direzione dell’operazione assume su di se compiti e responsabilità e mette a

disposizione le proprie basi e strutture militari che divengono, di fatto, il quartier

generale dell’operazione.

Su proposta della Gran Bretagna e come soluzione ad una querelle che aveva

visto coinvolti da un lato Francia, Germania, Belgio e Lussemburgo47, desiderosi di

creare un quartier generale interamente europeo, e dall’altro Stati Uniti e Stati

membri ad essi vicini, intenzionati invece a non favorire un’ulteriore sviluppo

“autonomista” della PESD rispetto alla NATO, si decise di creare una cellula di

pianificazione civile-militare. Tale struttura permanente ha funzioni ausiliarie ed è

stata istituita all’interno dello Stato maggiore dell’Ue con il compito di affiancarsi

al quartier generale della nazione quadro. 46 La Danimarca è automaticamente esclusa dalla partecipazione a missioni militari. La clausola di opting out che è stata concessa alla Danimarca, non riguarda tuttavia anche le missioni civili o le decisioni di carattere procedurale o istituzionale. 47 L’iniziativa di tali paesi diede luogo al cosiddetto “incidente di Tervuren” dal nome della cittadina belga nella quale i suddetti Stati membri desideravano creare un dispositivo di comando interamente europeo. La proposta, come detto, suscitò la riprovazione di molti altri Stati membri e soprattutto degli Stati membri.

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Qualora il CAGRE lo ritenga necessario e dopo una delibera adottata

all’unanimità, esso può richiedere la partecipazione della NATO all’operazione che

si intende portare avanti sulla base degli accordi Berlin Plus48. Tali accordi

prevedono che l’Alleanza metta a disposizione dell’Ue le sue capacità di

pianificazione strategica e di comando. Il comando delle operazioni, affidato al

Comandante supremo delle forze armate in Europa si trova a Shape49, a Mons ,

vicino a Bruxelles, come previsto dall’accordo stesso.

1.3 Le operazioni militari e civili della PESD

L’ Unione europea è oggi impegnata in un gran numero di operazioni di

carattere militare e civile ed il suo impegno testimonia come da alcuni anni a questa

parte ci siano stati dei piccoli passi in avanti nella gestione militare delle crisi.

Cinque anni dopo il lancio della prima operazione militare, l’operazione

Concordia50, inaugurata il 31 marzo 2003, sono stati ottenuti dei risultati importanti

48 Tali accordi sono stati sottoscritti nel 1996 a Berlino ed hanno di fatto sostituito gli accordi precedentemente esistenti tra la NATO e la UEO che è stata progressivamente sostituita dall’Ue cui sono state devolute le funzioni che originariamente spettavano a tale organizzazione. 49 Supreme Headquarters of the Al lied Powers in Europe. 50 L’operazione Concordia nell’ex Repubblica jugoslava di Macedonia è la prima operazione militare dell’Unione europea attuata con il ricorso alle capacità della NATO. Essa costituisce il primo esempio di attuazione del partenariato strategico UE-NATO e di fatto il primo banco di prova delle intese Berlin Plus. La missione nacque come continuazione dell’operazione Allied Harmony condotta dalla NATO per garantire sicurezza e stabilità nell’area, necessarie per l’implementazione del piano Ohrid, concluso tra macedoni ed albanesi. Di fatto tuttavia, nonostante le operazioni fossero in mano all’Unione, il diritto della NATO ad una preventiva consultazione in ordine a tutte le attività di direzione strategica dell’operazione, faceva sì che l’autonomia dell’Ue nella gestione e nella direzione strategica della missione fosse soltanto presunta.

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e si sono realizzati dei progressi in quest’ambito, frutto soprattutto dell’esperienza

che l’Ue ha maturato nel corso delle operazioni precedentemente condotte51.

In particolare l’operazione EUFOR Althea è ad oggi considerata come un

successo e viene presa come riferimento per lo svolgimento di missioni successive.

In essa infatti l’Ue non ha dovuto semplicemente prendere il posto della

NATO, ma si è sostituita ad essa con l’obiettivo di arrivare ad un consolidamento

delle posizioni raggiunte dopo la stabilizzazione operata dalle forze NATO.

La Bosnia-Erzegovina ha infatti vocazione ad essere associata all’Ue e

pertanto quest’ultima sta aiutando lo Stato nel suo processo di nation-building e per

questo motivo è stato previsto che ci sarà un trasferimento di competenze militari

alle autorità bosniache nel prossimo ottobre 2008. La fine di tale operazione,

prevista per il 2009, è tuttavia subordinata al raggiungimento di due obiettivi: da un

lato la firma degli Accordi di Stabilità e di associazione con l’Ue, che è avvenuta

nel giugno del 2008, dall’altro un ritorno alla stabilità nell’area, oggi essenzialmente

condizionata dall’andamento della situazione in Kosovo52.

L’operazione Althea si iscrive perfettamente nel quadro delle operazioni

civili-militari che l’Europa intende gestire sempre più in maniera “globale”

occupandosi tanto degli aspetti di polizia, quanto di quelli riguardanti il

rafforzamento dello stato di diritto, l’amministrazione civile nonché lo sviluppo

economico e sociale.

51 Ci si riferisce in particolar modo alle operazioni EUFOR Artemis nella Repubblica Democratica del Congo, EUFOR Althea in Bosnia-Erzegovina EUFOR DR Congo ed Eufor Chad/RCA. 52 P. Bourlot, “Les opérations de la PESD” in Défense nationale et sécurité collective, 2008, p. 71 ss.

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Spetta ora alla presidenza di turno francese predisporre le misure per il

disimpegno entro il 2009 delle forze Ue in Bosnia-Erzegovina e definire quali

saranno le modalità delle future operazioni53.

Anche se l’area dei Balcani resta una priorità per l’azione dell’Unione

europea, sono oggi in corso operazioni in altre aree geografiche che sono piuttosto

espressione della politica europea di vicinato.

Nei paesi dell’ex Repubblica sovietica che sono diventati oggi vicini

dell’Europa dopo gli allargamenti del 2004 e del 2007, la PESD mantiene il suo

impegno in favore della stabilità e della gestione delle crisi. Sempre in Bosnia-

Erzegovina opera anche la missione di polizia dell’Unione europea che è subentrata,

il primo gennaio del 2003, alla Policy Task Force internazionale delle Nazioni

Unite54. Mentre nella prima fase, dal 2003 al 2005, l’obiettivo era essenzialmente

quello di monitorare e fare ispezioni, nella fase attuale, dopo una rinegoziazione

della missione con le autorità della Bosnia-Erzegovina, il compito è essenzialmente

quello di sostenere il processo di riforma della polizia locale e continuare a

sviluppare e a consolidare le capacità locali e la cooperazione regionale nella

difficile battaglia contro la criminalità organizzata.

Sempre nell’area dei Balcani occidentali, merita attenzione la missione

EULEX Kosovo, lanciata da un’azione comune del Consiglio il 4 febbraio del 2008.

Si tratta della più grande operazione civile mai lanciata in ambito PESD il cui

obiettivo è il rafforzamento dello stato di diritto nonché quello di contribuire alla

stabilità della regione. La missione lavorerà nel quadro della risoluzione 1244 del

53 Si veda quanto detto al Par. 1.1.1 sul dibattito apertosi in occasione dell’informale di Deuville del 1° e 2 ottobre 2008 relativamente a tale operazione. 54 Cfr. European Union Policy Mission in Bosnia and Herzegovina, in www.consilium.europa.eu.

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Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite e, nel periodo di transizione precedente

alla sua piena operabilità, svolgerà molte funzioni sotto l’ombrello dell’ Eu

Planning Team, creato nel 2006 a fini preparatori, in vista di un futura operazione di

crisis management nell’area, avente soprattutto carattere giuridico. L’Ue è presente

anche con un Rappresentante speciale per il Kosovo il cui scopo è quello di

assistere le autorità locali nonché quello di fornire la “local political guidance to the

EU Rule of Law Mission in Kosovo55”.

Nel Medio Oriente invece l’Ue è presente con tre operazioni: EUPOL

COPPS nei territori palestinesi, EU BAM Rafah ed infine Eujust Lex in Iraq.

Il 4 novembre 2005 il Consiglio ha lanciato la Missione di Polizia europea

nei territori palestinesi. La fase operativa è cominciata il 1°gennaio 2006 ed avrà

una durata di tre anni, durante i quali, l’obiettivo di lungo periodo è quello di fornire

supporto all’Autorità Palestinese nel concludere “sustainable and effective policing

arrangements56”.

Il 21 novembre 2005 il Consiglio europeo ha predisposto l’invio di una

missione di polizia nei territori palestinesi e l’UE è intervenuta come terza parte di

un accordo concluso lo stesso mese da Israele e l’Autorità palestinese e riguardante

l’accesso e il movimento lungo il confine di Rafah. La missione EUBAM Rafah è

divenuta tuttavia operativa solo nel giugno del 2007 quando la linea di

attraversamento, al confine con la striscia di Gaza, è stata aperta in presenza delle

truppe europee57.

55 Cfr. Mission Statement- International support for a European Union, in www.consilium.europa.eu. 56 Cfr. EU Police Mission in the Palestinian Territories (EUPOL COPPS), in www.consilium.europa.eu. 57 Il 19 maggio del 2008 il Consiglio europeo con un’azione comune ha deciso di estendere il mandato della missione fino al 24 novembre 2008.

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EUJUST Lex è la prima missione integrata di gestione civile delle crisi il cui

scopo è quello di favorire lo stato di diritto in Iraq. Si tratta di una missione molto

interessante alla quale partecipano attualmente 15 Stati membri.

L’obiettivo di tale operazione è quello di avviare, proprio all’interno degli

Stati membri, dei programmi di formazione indirizzati agli alti funzionari giudiziari

iracheni con il proposito di rafforzare lo stato di diritto e promuovere una cultura

fondata sul rispetto dei diritti umani. La missione mira anche a fornire delle

opportunità di sviluppo lavorativo ai magistrati, ai procuratori, agli ufficiali

penitenziari e sono infatti questi i settori nei quali maggiormente si concentra

l’attività di formazione degli alti funzionari. Tutto ciò, come predisposto dal capo

della missione EUJUST Lex Stephen White, deve essere fatto nel rispetto di tre

linee guida: la sicurezza, il coinvolgimento e la partecipazione ad ogni livello delle

autorità locali ed infine la flessibilità ed il rispetto delle esigenze irachene.

Esistono due gruppi di gestione della missione: il primo, quello di

coordinamento, ha sede a Bruxelles, mentre il secondo, molto più ristretto, si trova a

Baghdad e fornisce indicazioni importanti al centro principale sull’esito dei

programmi d’insegnamento.

Entrambi i gruppi facenti parte della missione, quello di coordinamento e la

cellula di collegamento che si trova in Iraq, sono formati da esperti in tre settori:

giudiziario, penitenziario e di polizia. Altri membri sono invece esperti nel settore

dei diritti umani, dell’amministrazione, della sicurezza e le loro competenze sono

essenzialmente trasversali, ciò che consente loro di spaziare in diversi ambiti

assicurando un reale impegno e dei risultati concreti che sono stati salutati con

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favore dalle stesse autorità irachene58. Il COPS ha accolto il suggerimento del

CIVCOM relativo ad un rinnovo del mandato della missione, che di fatto si

protrarrà fino al 30 giugno 2009, nel tentativo di avviare una partnership sempre più

stretta tra governo iracheno e Stati membri dell’Ue.

In Asia, l’UE è presente attualmente con una missione di polizia, iniziata a

giugno del 2007 nel più ampio contesto di un programma d’azione in quest’area.

L’obiettivo principale in questo caso è quello di assistere, sotto la guida del

Ministero degli Interni afgano, l’attività delle regioni e delle province e contribuire

all’elaborazione di “civilian policing arrangements59” conformi alle regole del

diritto internazionale. EUPOL AFGHANISTAN si inserisce nel contesto degli

sforzi già compiuti dal GPPO60 e da altre organizzazioni internazionali in materia di

stato di diritto e di polizia al fine di far convergere gli sforzi nazionali sotto un

unico cappello europeo.

L’ Africa rappresenta, da ultimo, l’area in cui l’Unione europea è

attualmente maggiormente impegnata e nella quale essa investirà sempre di più61.

Mentre veniva predisposta la cessazione delle attività di sostegno all’Artemis II in

Sudan, l’EUFOR TCHAD/RCA veniva spiegata nella zona orientale del Chad e nel

nord-est della Repubblica centrafricana, sulla base di un’azione comune del

Consiglio del 28 gennaio del 2008. Si tratta di una delle ultime tre missioni che

sono state lanciate durante il semestre di presidenza slovena, insieme a quella in

58 La missione, iniziata il 1° luglio del 2005, era stata intrapresa inizialmente a seguito di un invito dell’allora Primo Ministro del governo ad interim iracheno Al-Jaafari ed è continuata sotto i buoni auspici del suo successore, Nouri al Maliki che ha sostenuto la continuazione dell’operazione. 59 EU Police Mission in Afghanistan (EUPOL AFGHANISTAN) in www.consilim.europa.eu. 60 German Police Project Office. 61 Così P. Bourlot., in “Les opérations de la PESD”, op. cit., p. 75: “La plupart (des Etats membres) ont perçu les enjeux de ce qui se joue sur le continent africain pour l’Europe”.

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Kosovo62, e a quella in Guinea- Bissau, cominciata il 12 febbraio del 2008 a seguito

di un’azione comune del Consiglio.

L’operazione EUFOR Chad/RCA è autorizzata dalla risoluzione 1778 (2008)

del Consiglio di Sicurezza dell’ONU ed assegna all’Unione europea la gestione

militare delle presenza internazionale di quest’area. L’EUFOR deve contribuire alla

protezione dei rifugiati e dei profughi, creare le condizioni propizie per il loro

ritorno verso i luoghi di origine, facilitare l’erogazione degli aiuti umanitari e

assicurare la sicurezza delle missioni delle Nazioni Unite.

Questa iniziativa deve essere coerente con gli sforzi diplomatici forniti

dall’Unione per facilitare il dialogo all’interno del paese e della regione e con i

programmi comunitari posti sotto l’egida della Commissione. Le principali

caratteristiche di questa operazione, che la rendono molto interessante ed innovativa

sono, da un lato il fatto che si tratta della più grande della PESD63 e dall’altro il

fatto che essa è interamente europea. Tale operazione è infatti comandata da un

generale irlandese, Patrick Nash ed è formata da tre battaglioni polacchi, irlandesi e

francesi, questi ultimi rappresentanti la quasi totalità degli aiuti militari forniti.

Si tratta inoltre della prima operazione che, sin dall’inizio, è stata intrapresa

congiuntamente dalle Nazioni Unite e dall’Unione europea e nella quale la prima

organizzazione si occupa degli aspetti civili, mentre la seconda di quelli militari e

questo fa pensare ad un maggiore coordinamento delle attività intraprese dall’ONU

e dall’UE, quest’ultima sempre più intenzionata ad applicare una strategia globale

per la risoluzione dei conflitti che si avvale di diversi strumenti che vanno dalla

62 Si veda ante pag. 63 Nella missione sono impiegati 3250 soldati, di cui 2095 francesi.

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politica commerciale alla cooperazione allo sviluppo, passando per l’azione

umanitaria.

Anche l’operazione in Guinea-Bissau64, che mira a favorire la riforma del

settore della sicurezza attraverso un programma d’assistenza alle autorità locali al

fine di sgominare la criminalità organizzata e favorire il buon governo, presenta una

novità: si tratta della prima operazione pianificata dalla nuova capacità civile di

pianificazione e di condotta (CCPC).

Ancora in Africa l’Ue è presente con altre due missioni. L’EUPOL RD

Congo si sostituisce alla precedente missione EUPOL KINSHASA, prima missione

di polizia in Africa, conclusasi nel 2007 e avente l’obiettivo soprattutto di

monitorare le elezioni. La nuova missione inaugura invece una nuova fase in cui

l’Unione è ancora protagonista e che mira soprattutto, grazie alla presenza di 39

operatori europei, a promuovere il pieno rispetto dei diritti dell’uomo e dei bambini

nei conflitti armati e a migliorare il sistema di sicurezza e di polizia, senza in questo

sostituirsi agli operatori locali. L’operazione continuerà fino al 2009 con l’intento di

contribuire, con una presenza di lungo periodo, ad una piena riforma del settore

della sicurezza e ad una maggiore stabilità nella zona orientale del paese.

A seguito di una richiesta del governo congolese l’Ue ha deciso di avviare

anche un’altra operazione in quest’area, l’EUSEC RD Congo che dovrebbe

anch’essa fornire assistenza alle autorità locali affinché venga promossa una riforma

64 EU SSR Guinea.Bissau.

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del settore della sicurezza che segua le regole del diritto internazionale e che venga

portata avanti seguendo i principi di trasparenza e di rispetto dello stato di diritto65.

1.3.1 La nuova missione dell’Unione europea in Georgia

A seguito degli eventi verificatisi in Georgia la scorsa estate, l’Ue a 27 ha

saputo trovare un accordo tempestivo volto alla risoluzione della situazione,

avvalendosi soprattutto dell’opera di mediazione dell’attuale Presidente del

Consiglio europeo Nicolas Sarkozy.

La crisi tra Georgia e Russia è stata avvertita in maniera diversa dai vari Stati

membri e questo portava a pensare che difficilmente, nel breve periodo, si sarebbe

arrivati ad una situazione di stabilità nell’area balcanica.

Se i paesi dell’Est europeo sono impegnati a far percepire la Russia come

una minaccia agli altri membri occidentali dell’Ue e sono in questo appoggiati

dall’ala più conservatrice del panorama politico statunitense, nel resto dell’Europa

diversi Stati, come l’Italia ad esempio, hanno dei rapporti di collaborazione molto

intensa con la Russia e le relazioni tra i due paesi non hanno registrato significativi

mutamenti neanche dopo l’attacco dei carri armati russi alla capitale georgiana.

Anche se, in occasione del Consiglio europeo straordinario di Bruxelles,

tenutosi il 1° settembre scorso, si è fermamente condannata, nelle conclusioni della

Presidenza, la decisione unilaterale della Russia di riconoscere l’indipendenza

65 La missione dovrebbe anche fornire assistenza al Rappresentante speciale dell’Ue che opera nella regione africana dei Grandi Laghi.

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dell’Abkhazia e dell’Ossezia del Sud in violazione dei principi d’indipendenza,

sovranità e integrità territoriale riconosciuti dal diritto internazionale, si è altresì

sottolineato come in realtà i singoli Stati membri siano liberi di decidere, ciascuno

al proprio interno, della propria politica estera e del proprio sistema di alleanze

anche in ragione delle necessità di sicurezza che ciascuno di essi incontra, sempre

nel rispetto dei principi fondamentali del diritto internazionale.

Quest’ultima precisazione avrebbe potuto congelare, di fronte alle relazioni

di diversa natura che gli Stati facenti parte dell’UE intrattengono con la Russia, una

possibile azione dell’Unione europea in Georgia.

Tuttavia, nello stesso documento del Consiglio europeo, viene altresì

previsto l’avvio di una missione di sorveglianza europea “per sostenere tutte le

iniziative volte ad una soluzione pacifica e duratura dei conflitti in Georgia66”.

La decisione formale di intraprendere una nuova missione di sorveglianza

dell’Unione europea è stata presa dai Ministri degli Esteri dell’Ue, che durante il

Consiglio europeo dello scorso 15 settembre, hanno adottato l’azione comune e il

concetto operativo67 necessario per l’avvio di una nuova missione europea in

Georgia.

Si tratta di una missione civile d’osservazione autonoma in Georgia che ha

avuto inizio il 1° ottobre e che, come previsto dall’accordo in 6 punti dell’8

settembre 2008 concluso tra Ue, Georgia e Russia68, opererà in stretta

66 Cfr. Conclusioni della Presidenza del Consiglio europeo straordinario di Bruxelles del 1° settembre 2008, in www.consilium.europa.eu. 67 CONOPS. 68 Il piano di pace concordato da Medvedev e Sarkozy alla presenza anche di Putin come garante dell’impegno di Mosca a rispettare gli accordi, prevedono: il non ricorso alla forza, la cessazione immediata di tutte le ostilità, il libero accesso agli aiuti umanitari, il ritorno delle forze armate georgiane alle “postazioni permanenti”, il ritiro delle forze russe nelle posizioni precedenti al conflitto e infine l’avvio di un dibattito sul

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collaborazione con la missione parallela e già operativa degli osservatori

dell’OSCE, pur essendo separata da quest’ultima.

L’operazione, denominata MSUE, Missione di Sorveglianza dell’UE69, è

condotta dall’Unione nell’ambito della Politica europea di Sicurezza e di Difesa ed

ha alcuni obiettivi principali.

Innanzitutto essa ha il compito di provvedere, nel breve periodo70, alla

stabilizzazione dell’area ed in particolare avrà la funzione di sorvegliare e analizzare

la situazione nel pieno rispetto dell’accordo in 6 punti predisposto dall’Ue; in

secondo luogo essa dovrà promuovere una normalizzazione della situazione, con

particolare riferimento alla governance, allo stato di diritto e all’ordine pubblico ed

agevolare la sicurezza nei trasporti, nelle infrastrutture energetiche nonché il ritorno

dei profughi e dei rifugiati. Infine l’MSUE dovrà contribuire al ristabilimento della

fiducia favorendo, attraverso la facilitazione dei contatti tra le parti, la riduzione

delle tensioni esistenti.

Per quanto attiene invece alla struttura e ai parametri dell’operazione,

l’obiettivo iniziale era che la presenza europea raggiungesse un numero di almeno

200 osservatori71 fino alla data di avvio della missione. È significativo il fatto che

molti Stati membri72 si siano già dimostrati sin dall’inizio disposti a fornire uomini

futuro status delle repubbliche indipendentiste di Ossezia del sud ed Abkhazia, nelle quali resterà comunque un contingente “di pace”russo. 69 L’acronimo inglese è EUMM -EU Monitoring Mission -. 70La discussione tenutasi al Consiglio europeo del 15 e 16 settembre 2008, ha riguardato non tanto gli obiettivi a lungo termine della missione, quanto piuttosto la finalità immediata che consiste nel garantire l’applicazione dell’accordo dell’8 settembre e, in particolare, il ritiro dei russi dalle zone di sicurezza confinanti con l’Ossezia meridionale e l’Abkhazia che dovrebbe concludersi entro il 10 ottobre 71 La presenza europea in Georgia comprenderà uno staff di 350 persone, incluso il personale militare e 200 osservatori. 72 Nello specifico, al 30 settebre 2008, gli Stati membri che daranno contributi alla missione in termini di uomini sono 22.

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e materiale per la missione che, nonostante abbia una funzione soltanto di

monitoraggio, risulta essere molto importante in termini numerici.

Con riferimento all’organizzazione logistico-finanziara dell’operazione, il

Quartier generale è stato stabilito nella capitale georgiana e si avvarrà di uffici

regionali di coordinamento a Tbilisi/Basaleti, Gori, Poti e Zugdidi. Il budget messo

a disposizione dell’Ue è salito a 35 milioni di Euro73, fondi che dovranno coprire i

costi comuni dell’operazione, mentre i salari degli osservatori saranno a carico dei

paesi partecipanti. Il Consiglio ha inoltre previsto di convocare una Conferenza dei

donatori in favore della Georgia che si terrà nel mese di ottobre parallelamente alla

decisione presa, a latere del Consiglio, di approntare un pacchetto di aiuti finanziari

che potrebbe raggiungere i 500 milioni di euro per il 2008-2010, destinati a

migliorare la situazione per le popolazioni sfollate, a ricostruire le zone distrutte

durante il conflitto con la Russia e a finanziare nuove infrastrutture per il paese. La

durata dell’operazione prevista è di un anno ed a capo dell’EUMM è stato posto

l’Ambasciatore Hansjorn Haber.

73 Nelle conclusioni del consiglio del 15-16 settembre 2008 il budget previsto era invece di 31 miliardi di euro.

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1.4 Il processo di pianificazione delle capacità militari

L’attuale processo di pianificazione delle capacità dell’Unione europea,

segue un meccanismo piuttosto complesso per comprendere il quale è necessario

fissare uno schema mentale cui fare riferimento e che ha alla sua base dei

documenti che sono stati elaborati dal 2003 fino ad oggi.

Il punto di partenza è dato dalla European Security Strategy74 nata nel 2003 e

dal primo Headline Goal, anch’esso prodotto nello stesso anno.

Tali strumenti fissano rispettivamente il quadro strategico di riferimento nel

quale l’Europa si troverà ad agire nei prossimi anni e una prospettiva operativa di

lungo periodo necessaria a definire l’assetto delle capacità dell’Unione europea,

sulla base degli obiettivi che sono fissati nella seconda parte della Strategia sulla

Sicurezza europea.

A partire da questi due documenti si è innescato un processo culminato, nel

2005, nel Requirements catalogue, il catalogo nel quale è indicato quello di cui ha

bisogno l’Europa in termini di capacità militari. Attraverso l’Headline

Questionnaire si procede poi con il domandare a ciascuno Stato ciò che esso è in

grado di fornire all’arsenale europeo; gli Stati membri predispongono quindi una

lista nella quale indicano le forze che potranno mettere a disposizione dell’Ue75. Ha

a questo punto inizio la fase detta dell’SAE, ovvero quella della Scrutiny Assessment

Evaluation, durante la quale, sulla base del catalogo dei requisiti predisposto

dall’Unione, ciascuno Stato membro, a seconda delle sue disponibilità, fornisce

74 Da qui in avanti ESS. 75 Compilation of Member States Contributions.

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un’autovalutazione qualitativa delle sue possibilità militari, indicando lo stato in cui

si trovano i mezzi di cui è in possesso.

Attraverso il Clarification dialogue prende il via una fase durante la quale,

attraverso una negoziazione, gli Stati membri definiscono i margini di

miglioramento qualitativo che alcuni mezzi di cui dispongono potrebbero avere

sulla base delle richieste dell’Ue. Al termine di questa negoziazione viene elaborato

un rapporto, lo Scrutiny Report e con le informazioni ricevute dai singoli Stati

membri si arriva alla predisposizione di un Catalogo delle forze che include tutti

mezzi che, a partire dal 2010, gli Stati saranno in grado di fornire all’Ue, nella

migliore delle ipotesi e al massimo delle loro potenzialità tecnologiche e innovative.

Sulla base del Force Catalogue, che pertanto è un puro “libro dei sogni”,

vengono quindi identificate le carenze qualitative e quantitative riscontrate, elencate

in una lista76. Ha a questo punto inizio l’evaluation, ossia la valutazione dei rischi

che l’Europa potrà incontrare a fronte di tali shortfalls.

Da qui scaturisce un Orientamento Iniziale che conduce all’elaborazione del

Progress Catalogue, un documento programmatico elaborato a livello ministeriale

sotto la Presidenza portoghese con l’Headline Goal 2003; attualmente esso è stato

sostituito da un catalogo più recente approvato nel 2007, ma non è possibile

effettuare un confronto tra i due testi poiché quello che è oggi esistente è stato il

risultato di un processo molto diverso. Il Progress Catalogue indica di fatto i

progressi che sono stati compiuti in termini di capacità militari dall’Europa nel

periodo 2003-2007/08.

76 Generic Task List.

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Sulla base di Informazioni Addizionali ricevute dalla NATO e dalle

istituzioni europee, viene poi fissata una lista delle priorità, First prioritisation,

sempre sulla base delle carenze incontrate. Attualmente il processo di pianificazione

delle capacità militari dell’Unione europea si trova in una fase chiamata Addressing

shortfalls (short to medium term) durante la quale ci si chiede sostanzialmente cosa

si dovrà fare e quali azioni l’Ue dovrà intraprendere a fronte delle carenze che sono

state individuate.

Dal 2004, l’azione dell’Headline Goal Task Force è stata accompagnata da

quella dell’EDA, la European Defence Agency nella quale si fa sentire in maniera

forte il peso dei maggiori contributori che, in ordine d’importanza sono la Francia,

la Germania, l’Inghilterra e l’Italia. Al termine del 2010 è poi prevista una fase di

Review of Priorities durante la quale verranno nuovamente valutate le esigenze che

l’Europa incontra in quanto a capacità militari.

Dopo questa schematica presentazione delle fasi che sono state seguite

durante il processo di pianificazione delle capacità militari dell’Ue, è necessario

descrivere con più accuratezza i documenti che sono stati via via elaborati a

sostegno dell’azione degli esperti che hanno partecipato a tale processo.

Il testo cui si fa riferimento per gli orientamenti generali, elaborato da Javier

Solana ed approvato dal Consiglio dei Ministri nel dicembre 2003 è la ESS, nella

quale vengono indicate le nuove minacce che l’Europa dovrà fronteggiare, le

implicazioni politiche per l’Europa derivanti da tale sfide e gli obiettivi strategici

che l’Ue dovrà perseguire77.

77 Sulla ESS si veda per maggiori dettagli il capitolo successivo.

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Nel 2003 è stato altresì elaborato il Capability Development Mechanism, un

documento programmatico elaborato a livello militare e successivamente approvato

a livello ministeriale. Si tratta di un meccanismo disegnato per aiutare l’Unione

europea ad incoraggiare il raggiungimento, da parte degli Stati membri, dei loro

impegni in termini di capacità ed eventualmente a valutare e ridefinire i suoi

obiettivi capacitari. Esso opera essenzialmente in quattro aree: definizione dei

requisiti militari dell’Unione e dei contributi messi a disposizione dagli Stati

membri per il raggiungimento degli obiettivi prefissati dall’Unione; monitoraggio e

valutazione dei progressi; possibili rimedi alle carenze ed infine le relazioni con la

NATO nel campo delle capabilities. È stata a tal fine avvertita l’esigenza di creare

dei veri e propri cataloghi, dei quali si è parlato in precedenza, nei quali sono state

individuate rispettivamente le esigenze in termini di capacità dell’Ue, le forze messe

a disposizione degli Stati ed i progressi raggiunti78.

Il Meccanismo di sviluppo delle capacità ha inoltre predisposto la creazione

di un gruppo di lavoro del Comitato militare, l’Headline Goal Task Force che

definisce nel dettaglio le esigenze militari necessarie per conseguire gli obiettivi

europei in termini di capacità.

Possono fornire contributi militari all’Ue anche quei paesi che stanno

intraprendendo negoziati con l’Ue per il loro ingresso ma che di fatto non sono

ancora Stati membri. Tra questi vi sono la Turchia, l’Islanda, la Norvegia, membri

però della NATO e la Croazia e FYROM che non fanno parte né dell’Unione

europea né della NATO. Gli unici due Stati che hanno offerto contribuzioni militari

78 Si veda ante il riferimento al Requirements Catalogue, al Force Catalogue e al Progress Catalogne.

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all’Unione, tra i cinque sopraelencati, sono la Croazia e in misura molto maggiore la

Turchia.

A differenza di quanto accade nella NATO, tuttavia, gli Stati che stanno

negoziando il loro ingresso nell’Ue possono ritirare le loro proposte di contributi

militari: è stato questo il caso della Turchia che, dopo aver deciso di fornire un

grosso quantitativo di mezzi all’Europa ha ritirato la sua offerta dando in questo

senso un chiaro messaggio politico.

L’altro documento di fondamentale importanza che ha contribuito a definire

gli obiettivi che l’Europa deve darsi per lo sviluppo delle proprie capacità è

l’Headline Goal 2010 del maggio 2004, una rivisitazione in chiave più moderna del

precedente Headline Goal elaborato durante la conferenza di Helsinki del 1999.

Tale atto prescrive agli Stati membri “to be able by 2010 to respond with

rapid and decisive action applying a fully coherent approach to the whole spectrum

of crisis management operations covered by the Treaty of the European Union. This

includes Humanitarian and Rescue Tasks, Peacekeeping Tasks, Tasks of Combat

Forces in Crisis Management including Peacemaking79”; esso prevede inoltre la

revisione periodica degli obiettivi tenendo in considerazione la ESS e l’ambizione,

dal punto di vista decisionale, è quella di poter adottare delibere per il lancio di

operazioni militari nell’arco di cinque giorni a partire dall’approvazione del Crisis-

Management Concept da parte del Consiglio.

Tra le operazioni che le forze europee devono intraprendere vi sono quelle di

evacuazione in un ambiente non permissivo che comportano lo spiegamento di un

79 Cfr. Headline Goal 2010.

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numero molto elevato di uomini e mezzi militari. Parte delle disponibilità degli Stati

devono pertanto essere pronte nel caso si verifichino delle situazioni del genere.

Gli scenari operativi illustrativi sono cinque e oltre a quello sopra elencato, si

annoverano la stabilizzazione e la ricostruzione; la prevenzione dei conflitti;

l’assistenza alle operazioni umanitarie e la separazione delle Parti in Forze.

Sembra piuttosto inverosimile che questi scenari si verifichino

contemporaneamente tutti insieme e sarebbe pertanto necessario assumersi il rischio

di focalizzare l’attenzione su alcuni di essi e cioè su quelli che, dopo un’attenta

valutazione, sembrano oggettivamente più probabili in modo tale da evitare lo

spiegamento non necessario di mezzi che potrebbero essere convogliati verso altri

obiettivi80.

Dopo l’elaborazione del Progress catalogue, ci troviamo in una situazione

nella quale la domanda ricorrente è che cosa si deve fare a fronte delle mancanze in

termini capacitivi che l’Europa incontra e di cosa c’è bisogno per arrivare ad una

soluzione.

A queste domande si è cercato di rispondere attraverso il Capability

Development Plan. Si tratta di un documento approvato l’8 luglio scorso da parte

dei governi europei con lo scopo di guidare i futuri investimenti nazionali in materia

di difesa per creare delle opportunità di collaborazione e per orientare in maniera

coerente i loro “military requirements” nel medio-lungo periodo. Il CDP è stato il

risultato ultimo di lavori durati 18 mesi e condotti congiuntamente dall’EDA e dai

26 paesi ad essa partecipanti, dal Comitato Militare europeo e dal Segretariato

Generale del Consiglio europeo. Esso costituisce uno schema di riferimento per i 80 Sembra essere questo l’orientamento seguito anche dalla NATO.

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singoli Stati europei che, nel momento in cui definiscono programmi per lo

sviluppo delle loro capacità dovrebbero, nelle parole di Javier Solana, capo

dell’EDA, trovare il giusto equilibrio tra ambizione e risorse effettive.

Tale documento prende le mosse dal Long-Term Vision Report pubblicato

dall’EDA nel 2006 ed il suo obiettivo non è quello di sostituirsi ai programmi e ai

piani di difesa nazionale, quanto piuttosto quello di evitare frammentazioni nella

domanda di capacità militari e fissare delle priorità da conseguire.

Agli Stati è richiesto un ulteriore sforzo: l’elaborazione di un database

nazionale nel quale siano indicati i piani e i programmi di armamento che sono

avvertiti come prioritari e sulla base dei quali lo Stearing Board dell’Agenzia ha

individuato 12 specifici campi d’azione comune.

Il database dei programmi nazionali in atto e futuri costituisce lo Strand C

del Capability Development Plan, che insieme allo Strand B, rappresentato dai

bisogni futuri dell’Ue in termini di capacità, sono essenzialmente i presupposti

principali dell’EDA. Contribuiscono a definire il Piano sullo sviluppo delle

capacità, tuttavia, anche lo Strand A, rappresentato dall’Headline Goal 2010 e lo

Strand D, costituito dalle lezioni identificate. Questi ultimi due invece derivano

essenzialmente dall’azione del Comitato Militare che, attraverso l’HTF ha

provveduto a definire le diverse fasi del processo di pianificazione delle capacità

militari dell’Unione europea e ha altresì elaborato un resoconto delle carenze che

l’Ue incontra o dei risultati positivi ottenuti da un punto di vista operativo.

Nello specifico lo Strand A è caratterizzato da due fasi, delle quali si è

precedentemente parlato: l’Initial Orientation e la First Prioritisation. Dopo aver

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elaborato il catalogo delle forze sulla base delle capacità messe a disposizione dagli

Stati, si individuano le carenze e le ricadute che esse avranno sulle operazioni

europee, valutate in termini di rischio; segue quindi un Orientamento Iniziale nel

quale sono indicate carenze in tre ambiti essenzialmente: nella protezione, con

riferimento soprattutto alle componenti aeree e alle protezioni contro le mine; nella

deployability sono state individuate deficienze sia nella Medical Evacuation, cioè la

tempestiva evacuazione dei feriti, sia nell’attraversamento nel territorio

dell’operazione81: infine la valutazione iniziale ha portato all’identificazione, sulla

base delle lista delle capacità predisposta a livello nazionale, di un deficit in materia

di informazione. Sembra tuttavia piuttosto difficile che gli Stati membri diano

informazioni che possano essere condivise riguardo al loro sistema di intelligence,

sia in termini di risorse umane sia in termini di apparecchiature utilizzate per

intercettazioni o altre fonti di acquisizione di dati.

Sempre nella fase di valutazione viene poi individuata, come detto in

precedenza, una First Prioritisation: si tratta di una ricognizione delle capacità

militari di cui l’Europa è deficitaria e che risultano essere prioritarie, a fronte delle

carenze riscontrate. Tra le priorità identificate vi sono le operazioni di network tra

computer, la presenza di basi operative dislocate sul territorio, il trasporto sul

terreno delle operazioni e il rifornimento tra aerei in volo.

Passando ora all’analisi dello Strand B, essa ricalca fondamentalmente la

Long Term Vision dell’EDA e cioè la definizione delle esigenze che l’Europa

incontrerà negli anni a venire in termini di capacità militari.

81 Oggi si fa sempre più riferimento alla carenza di elicotteri ma in realtà spesso a mancare sono i camion e altri mezzi di trasporto che sarebbero prioritari rispetto ai primi avendo riguardo al loro rapporto utilità/costo.

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Tra le misure promosse vi è innanzitutto la necessità di condurre le

operazioni avvalendosi di personale altamente preparato e qualificato in modo tale

da assicurare un maggiore coordinamento nelle azioni intraprese. Viene altresì

proposto lo sviluppo di Adaptive Joint Forces e di una Persistent Intelligence a

sottolineare, ancora una volta, come il fattore umano sia determinante e sia una

risorsa critica.

Dal punto di vista operativo invece, lo Strand B mira al mantenimento della

libertà di manovra e allo sviluppo di una certa “agilità” strategica ed operativa.

Lo Strand C é costituito dalla creazione, da parte degli Stati membri, di un

database, accessibile agli altri paesi dell’Ue che contiene attualmente più di 3400

progetti a fronte, tuttavia, dei 900 attesi: questo ad indicare come in realtà i singoli

Stati siano piuttosto restii a rendere note e a divulgare descrizioni dei loro piani

militari e dei loro programmi di armamento, considerati una prerogativa nazionale.

Sulla base delle lezioni identificate infine, gli organi militari, ed in primis il

CMUE, assistito dall’HTF, hanno elaborato uno Strand D che elenca una serie di

parametri che devono necessariamente essere seguiti per migliorare l’operatività

dell’Unione: sviluppo di una dottrina di base; sostenibilità, ossia la previsione del

rimpiazzo e della rotazione delle forze con i mezzi e le facilità necessarie a seconda

dell’operazione. Anche se quest’ultima si sta svolgendo in un’area molto lontana

dal territorio degli Stati membri e anche se il grado di rischio è elevato e non vi

sono adeguate infrastrutture in loco, la sostenibilità deve essere assicurata per tutta

la durata dello spiegamento delle truppe; identificazione delle forze sia a livello

qualitativo che a livello quantitativo; l’interoperabilità dovrebbe essere il cuore del

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processo di pianificazione delle capacità militari dell’Ue: le spedizioni e le

operazioni multinazionali con una grande interazione tra strumenti civili e militari,

richiedono interoperabilità tra forze nazionali, all’interno di forze nazionali e con

gli attori civili.

L’equipaggiamento è solo uno degli aspetti rientranti nella definizione di

capacità militare e l’interoperabilità è legata ad altri aspetti che vanno dal

linguaggio usato alla procedure di training. La migliore forma di interoperabilità per

gli equipaggiamenti e i sistemi potrebbe essere l’utilizzo di uno stesso kit.

Una volta spiegate sul terreno, le joint forces degli Stati membri devono

essere in grado di operare in tutti i campi ed in tutte le situazioni che si paventano

loro nei teatri operativi, su terreni difficili e all’interno di città. Per questo devono

possedere combinazioni di stealth, velocità, superiorità informativa, connectivity,

protezione e devono, se necessario, essere letali. In ogni caso le truppe devono

essere spiegabili in tempi ridottissimi ed essere in grado di coprire grandi distanze

con notevole velocità in modo da poter sfruttare le possibilità tecnico-operative e

spiazzare il ciclo tattico e decisionale dell’avversario. L’ultima caratteristica

richiesta nel lungo periodo è la flessibilità per l’imprevisto, fermo restando

l’impossibilità di avere un quadro preciso di ciò che avverrà in futuro e di quali

potrebbero essere le mosse dell’avversario82.

82 Queste caratteristiche, denominate Key findings nello Strand D, sono richiamate anche in: “An Initial Long-Term Vision for European Defence Capability and Capacity Needs”, documento approvato dallo Stearing board dell’EDA il 3 ottobre 2006.

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1.5 Le capacità civili dell’Ue

La gestione delle crisi internazionali postula che accanto all’opzione militare,

venga svolta un’azione nel settore della prevenzione dei conflitti ed una

concomitante o successiva azione nella gestione degli aspetti civili delle crisi.

Le due nozioni di prevenzione e gestione delle crisi sono spesso usate

contemporaneamente ma nella realtà è necessario operare una distinzione

concettuale tra i due termini. La prevenzione agisce essenzialmente sulle cause che

possono portare a determinati conflitti mentre la gestione delle crisi agisce piuttosto

sui sintomi implicando il ricorso a personale non militare in una crisi già in atto o al

termine della stessa.

Nello specifico la nozione di gestione degli aspetti civili delle crisi indica

quell’insieme di attività che sono necessarie affinché si ripristini o si venga a creare

un clima di stabilità e di sicurezza che altrimenti non si potrebbe ottenere con la sola

azione militare. L’utilizzo alternativo, simultaneo o in sequenza di strumenti militari

e civili infatti è reso necessario dalle nuove tipologie di conflitti del post guerra

fredda che sono sempre più caratterizzate da una fase in cui, dopo aver raggiunto il

livello massimo di tensione, si arriva ad un momento in cui la rinascita della vita

politica e sociale interna è continuamente messa in discussione da eventi che

minano l’ordine pubblico e da focolai di violenza.

La gestione civile delle crisi internazionali è apparsa, fin dall’inizio, un

obiettivo maggiormente realizzabile rispetto alla gestione militare delle crisi stesse:

gli Stati membri vedevano in esso infatti uno strumento che avrebbe consentito, a

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costi minori, di soddisfare le esigenze dell’opinione pubblica consegnandole

un’immagine diversa e più “accettabile” della PESD.

In occasione del Consiglio europeo di Helsinki del 1999, i capi di Stato e di

governo adottarono una relazione sulla “Gestione non militare delle crisi da parte

dell’Unione europea” nella quale veniva prevista la necessità di creare i mezzi e le

risorse da impiegare in caso di missioni civili autonome dell’Ue o poste in essere

sotto l’egida dell’ONU. Fu proprio in questa occasione che si propose di istituire,

presso il Segretariato del Consiglio, un meccanismo di coordinamento che avrebbe

dovuto assumere il difficile compito di garantire una stretta collaborazione con i

servizi della Commissione in materia di gestione civile delle crisi, ambito nel quale

sussistono delle competenze anche in capo alla Comunità europea83.

Durante il Consiglio europeo di Feira del giugno 2000 vennero individuate

quattro priorità con riferimento agli aspetti civili di gestione delle crisi: la polizia,

per consentire all’Unione di portare avanti qualsiasi tipo di missione, inclusa

l’eventuale sostituzione di autorità governative di Stati decaduti: venne ritenuta

necessaria inoltre la messa a disposizione di 5000 ufficiali di polizia, 1000 dei quali

spiegabili nell’arco di 10 giorni; lo stato di diritto per rafforzare i sistemi giudiziari

e per supportare l’azione della polizia; l’amministrazione civile per creare un pool

di esperti in grado di intervenire tempestivamente nel caso in cui le autorità

governative fossero incapaci di farlo durante una crisi ed infine la protezione civile

con l’individuazione di tre gruppi che avessero la responsabilità di valutare il grado

83 La politica di gestione civile delle crisi si sostanzia in una politica complessa di tipo orizzontale che si serve degli strumenti del primo e del secondo pilastro in modo sinergico.

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di emergenza nelle situazioni di crisi e oltre 2000 esperti che potessero intervenire

rapidamente con il loro equipaggiamento per far fronte a diverse esigenze.

Nel corso degli anni e sulla base delle lessons learned è stata avvertita

l’esigenza di fronteggiare le situazioni di crisi con degli strumenti nuovi dal

momento che ci si rese conto che in fondo quello che mancava, in molti scenari

post-conflittuali, erano le strutture democratiche di base, indispensabili per riavviare

rapporti pacifici tra la stessa popolazione.

Come detto a proposito della programmazione delle capacità militari è

inevitabile che, per prevedere di cosa l’Europa avrà bisogno negli anni futuri in

termini di capacità civili, si guardi al passato: alle operazioni nelle quali ci sono

state alcune carenze capacitive o nelle quali ad esempio non erano stati individuati i

mezzi adeguati per affrontare una determinata emergenza, o, al contrario a quelle

che si sono rivelate dei successi.

Con le operazioni condotte tra il 2003 ed il 2005, l’Europa ha voluto

dimostrare che in termini di PESD era in grado di fare qualcosa e, in alcuni casi, di

farlo anche bene. Ciò che è necessario sottolineare tuttavia è che la PESD è e

continuerà ad essere non uno strumento di integrazione, ma uno strumento selettivo

e che pertanto parlare di Europa è il più delle volte improprio. Le operazioni, come

detto in precedenza, diventano sempre più complesse e i mezzi messi a disposizione

per risolverle devono essere articolati e rapidamente spiegabili; tuttavia, quando

devono essere portate avanti azioni di polizia “forte”, ad intervenire è di solito

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sempre lo stesso gruppo di paesi “eletti”: l’Italia, la Francia, la Germania, la Svezia

e la Gran Bretagna che partecipa però a contratto.84

La previsione futura è che ci saranno sempre più operazioni PESD e questo

implicherà inevitabilmente un aumento di spese per determinati paesi; risulterebbe

molto più semplice a livello europeo partecipare a delle operazioni di peacekeeping

organizzate dalle NU piuttosto che far fronte alle esigenze di personale europeo che

molto spesso, trovandosi ad operare in ambienti disagiati, fa richieste a Bruxelles

piuttosto pretestuose che rivelano una minore attitudine ed esperienza a fronteggiare

situazioni drammatiche nelle quali ovviamente, si deve fare a meno delle più

semplici necessità, come ad esempio l’acqua. Questo è uno degli indizi che porta a

far pensare ad una futura crisi di crescenza della PESD che sarà essenzialmente

determinata da due elementi: da un lato l’assenza di una reale consapevolezza di

quello che significa “mettere in piedi” un’operazione PESD, amministrarla e

definirne gli obiettivi di lungo periodo85; dall’altro lato l’aumento del numero delle

operazioni civili condotte dall’Ue determinerà un drenaggio di fondi provenienti

non tanto dai Ministeri degli Esteri dei paesi membri, quanto piuttosto dai loro

Ministeri degli Interni, di Giustizia e via dicendo.

Per quanto attiene al primo elemento molto spesso l’idealismo prende il

sopravvento sul realismo poiché non si può pensare che, tornando al caso

dell’Afghanistan, dopo quasi 30 anni di guerre, devastazioni di ogni genere,

violazione dei diritti umani, sia possibile ricostruire in poco tempo uno Stato

84 Altana. 85 I primi indizi di questa crisi di crescenza si sono avuti in Afghanistan dove la logistica raccapricciante e gli obiettivi troppo ambiziosi perseguiti, come ad esempio la riforma del settore della sicurezza o l’indottrinamento secondo parametri occidentali degli organi giurisdizionali nazionali

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moderno e un Paese prospero. L’Idealismo, sta nel proporsi obiettivi troppo

ambiziosi, pur nella consapevolezza che, per poterli raggiungere, e’ indispensabile

un impegno costante, generoso e di lungo periodo e che neanche questo, a volte,

porta ai risultati che ci si aspettava di ottenere.

Per quanto riguarda invece il drenaggio di fondi nazionali, alcuni paesi

europei hanno adottato degli escamotages volti ad impedire che le spese previste

per operazioni europee civili o militari vadano a ridurre le casse di un unico

ministero86, ma probabilmente questo contribuirà solo in scarsa misura a

mascherare e a rendere più accettabili le spese nell’ambito della difesa.

Se a Feira il piano d’azione concordato dagli Stati membri era focalizzato su

quattro aspetti e cioè, come si è visto in precedenza, polizia, stato di diritto,

amministrazione civile e protezione civile, oggi l’azione dell’Ue è volta soprattutto

a conseguire la riforma del settore della sicurezza negli Stati nei quali si assiste a

fenomeni di corruzione dilagante o nei quali non esiste alcun limite all’uso

spregiudicato della violenza.

A questa rivisitazione delle priorità si è giunti progressivamente nel corso

degli anni: in occasione dei due Consigli europei di Nizza del 2000 e di Goteborg

del 2001 l’attenzione veniva ancora riposta sulle capacità di polizia.

A Nizza vennero individuati due scenari per l’impiego delle forze di polizia

europee che avrebbero dovuto agire o in sostituzione della polizia locale, qualora

questa fosse stata incapace di intervenire nella situazione di crisi, o a sostegno della

86 La Svezia e la Finlandia, ad esempio, ad esempio, hanno stabilito con legge organica che il Ministero degli Interni si occuperà della gestione militare delle crisi: la Germania, dal canto suo, ha creato una sorta di organizzazione non governativa dipendente dal Ministero degli Affari Esteri che si occupa della gestione civile e militare delle crisi affidando tuttavia i compiti di polizia al livello federale o ai singoli lander.

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polizia locale. In occasione del Consiglio di Goteborg venne adottato un piano di

azione per le capacità nel settore della polizia volto a determinare l’entità degli

effettivi che gli Stati membri avrebbero dovuto mettere a disposizione entro il 2003,

il loro grado di preparazione, equipaggiamento e via dicendo.

Sulla base delle lezioni identificate e dei risultati conseguiti si intuì tuttavia

che alcuni aspetti, come ad esempio quello della protezione civile, per molto tempo

dipendente dalla DG Ambiente, non si erano dimostrati in realtà così efficienti per

la risoluzione delle crisi.

Con il Piano di azione europeo per lo sviluppo degli aspetti civili della

PESD87 si decise di aggiungere altri due settori di intervento rispetto a quelli

identificati a Feira e cioè il monitoraggio e la riforma del settore della sicurezza, che

è oggi al centro di quasi tutte le operazioni civili in cui l’Ue è coinvolta. Tra gli

scopi principali di tale piano88 vi era anche lo sviluppo di un “Obiettivo globale

2008”, che, prende le mosse da quanto previsto dall’Headline goal 2004 con

riferimento alla pianificazione delle capacità militari dell’Ue89. Anche in questo

caso viene infatti approntato, un Catalogo dei Requisiti, espressi in termini di

capacità civili, che viene poi confrontato con la lista delle contribuzioni degli Stati

membri al fine di identificare le carenze che l’Europa incontra nella gestione civile

87 Adottato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 17-18 giugno 2004. 88 Ta gli obiettivi vi erano inoltre, come indicato in “Guide to the European Security and Defence Policy” in www.rpfrance-ue.org:

- the establishment of rapidly deployable multifunctional teams for crisis-management missions, which can include experts in human rights, mediation, border control, disarmament and institutional reform;

- improved interoperability. i.e. the ability to act together, of personnel deployed in the field by harmonizing recruitment procedures and the professional training of people taking part in crisis-management missions;

- improved technical support procedures for operations, in particular financial aspects and procurement in order to reduce the constrains on rapid depolyment due to Community procedures.

89 Si veda il Par. precedente.

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delle crisi e prevedere i mezzi e le modalità per far fronte a queste deficienze nel

lungo periodo.

Anche il Civilian Headline Goal2008 si basa, da un lato sulle lezioni

identificate e sulle esperienze precedenti e dall’altro lato si rifà ai criteri generali

fissati dall’ESS del dicembre 2003. Il processo dell’Obiettivo globale 2008,

supervisionato dal Comitato politico e di sicurezza sostenuto dal Civcom, prevede

la costituzione di tre squadre speciali multi-funzione90 formate da esperti

dispiegabili sul terreno dell’operazione entro 30 giorni dall’adozione della

decisione. Tali squadre svolgono tre compiti essenzialmente: da un lato assicurare

una tempestiva presenza europea sul terreno e monitorare la situazione fornendo

raccomandazioni al Consiglio; in secondo luogo garantire un’iniziale operatività sul

teatro e infine rafforzare i meccanismi già esistenti di gestione della crisi sotto

l’egida dell’Alto Rappresentante per la PESC91.

Sulla base del Civilian Headline Goal 2008 sono stati raggiunti risultati

significativi relativamente allo sviluppo delle capacità civili92 e pertanto i Ministri

degli Stati membri, nella formazione Affari Generali e Relazioni esterne, hanno

stabilito, il 19 novembre del 2007, di adottare un nuovo Obiettivo civile per il 2010.

E’ stato previsto un nuovo Processo di Pianificazione civile e a partire da

quest’anno inizierà una fase di revisione degli scenari illustrativi che vengono

“immaginati” congiuntamente agli esperti che si occupano della pianificazione delle

90 Civilian Crisis Response Teams. 91 Per una identificazione più completa delle varie tappe del processo si veda: Objectif global civil pour 2008 du Secrétariat général du Conseil, Bruxelles, 7 décembre 2004. 92 Si veda a tal proposito il documento Final Report on the Civilian Headline Goal 2008, 19 novembre 2007, in www.consilium.europa.eu.

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capacità militari, alla quale seguirà l’individuazione delle capacità civili di cui

l’Europa avrà bisogno in futuro.

Tra gli obiettivi che il nuovo documento si propone di raggiungere vi è da un

lato una migliore qualità dell’azione dell’Ue nell’ambito delle sue missioni civili

che potrebbe essere promossa, ad esempio, con un ulteriore sviluppo dell’azione

comune condotta dalle forze di polizia integrate93 che potrebbero seguire uno stesso

programma di preparazione a carattere europeo secondo le esigenze della PESD;

dall’altro lato il Civilian Headline Goal 2010 promuove una maggiore disponibilità

degli Stati membri a fornire personale per compiere missioni civili; ed infine un

migliore coordinamento delle sinergie tra istituzioni europee, in particolare la

Commissione ed il Consiglio ed una più intensa collaborazione con gli altri

organismi multinazionali che si occupano di gestione civile delle crisi94.

93 IPU – Integrated Police Units e FPU- Formed Police Units. Le IPU sono nate su proposta italiana. 94 Civilian Headline Goal 2010, 19 novembre 2007, doc. 14823/07 in www.consilium.europa.eu.

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CAPITOLO II

Il Trattato di Lisbona: un punto di svolta per l’Europa della

difesa?

Il Consiglio europeo del 13 dicembre 2008 tenutosi a Lisbona, ha visto i Capi

di Stato e di Governo dei 27 Stati membri firmare un nuovo Trattato che modifica il

TUE ed il Trattato istitutivo della Comunità europea, che viene rinominato Trattato

sul funzionamento dell’Unione. Tale Trattato, che non rimpiazza quindi quelli

precedentemente esistenti95, dovrebbe entrare in vigore il 1°gennaio 2009 ma, dopo

il no del referendum irlandese, si aprono degli scenari sconosciuti per quanto attiene

alla possibilità di tale Trattato di dispiegare gli effetti che si propone.

L’eventualità della mancata entrata in vigore del Trattato, tuttavia, non

apparirebbe secondo alcuni un reale problema per quanto riguarda il futuro della

PESC e della PESD dal momento che è inevitabile che alcuni processi vadano

avanti a prescindere dall’esistenza o meno di determinati strumenti giuridici.

Il Trattato di Lisbona prevede dei cambiamenti importanti e la creazione di

nuovi strumenti in materia di politica estera e di difesa96 i quali sono accompagnati

da alcune evoluzioni istituzionali di carattere generale che dovrebbero contribuire a

modificare profondamente sia la concezione che l’esecuzione dei progetti europei di

difesa.

95 Il Trattato costituzionale, invece, semplificava e razionalizzava i trattati precedenti sostituendoli con un unico testo. 96 In realtà, per quanto riguarda il settore della Politica estera di sicurezza e di difesa, il nuovo Trattato riprende la maggior parte delle innovazioni che erano già presenti nel Trattato costituzionale.

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Le realizzazioni concrete che sono state compiute in materia di PESD a

partire dal vertice franco-britannico di St. Malo del 1998 sono state essenzialmente

il risultato di una volontà politica e di una mobilitazione degli Stati membri alla

quale non è seguito alcun adattamento o alcuna ridefinizione delle funzioni delle

istituzioni europee che si occupano di PESC e PESD all’interno dei Trattati.

Il Trattato di Lisbona ha come obiettivo quello di permettere “une

adéquation entre les besoins nouveaux créés par les avances de terrain de la

politique de défence européenne, symbolisées par les opérations militaires et civiles

sous drapeau européen, et leur encadrement institutionnel97”.

Di fatto la volontà di tener conto dei bisogni specifici della PESC e della

PESD può essere riscontrata, in particolare, in due disposizioni introdotte dal nuovo

Trattato che rappresentano le principali evoluzioni giuridiche da esso apportate: da

un lato il riconoscimento di una personalità giuridica dell’Unione europea; dall’altro

l’individuazione di una peculiarità della PESC.

Per quanto riguarda il primo aspetto, va sottolineato anzitutto che il Trattato

prevede la fine della struttura a pilastri ed attribuisce personalità giuridica unica

all’Unione europea98. Questo dovrebbe contribuire a conferire maggiore credibilità

all’immagine internazionale dell’Ue e a promuovere i suoi valori e i suoi interessi,

dal momento che l’Unione acquisirebbe la possibilità di concludere a suo nome

accordi internazionali in grado di vincolare le sue istituzioni e gli Stati membri.

97 Cfr. J. Cats- O. Perrine, “Le traitè de Lisbonne: un tournant pour l’Europe de la défence. Analyse des impacts du Traitè de Lisbonne en matière de défence, in Revue du marché commun et de l’Union européenne 2008, n. 520, luglio-agosto, p. 420 98 In realtà la personalità giuridica unica dell’Ue era già prevista dall’Art. I-7 del Trattato costituzionale nel quale veniva altresì sancita la successione dell’Unione europea alla Comunità europea.

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La “fusione” tra Comunità e Unione europea, tuttavia, non implicherebbe un

cambiamento o una messa in discussione di alcune procedure particolari che

continueranno ad essere distinte a seconda delle materie trattate e questo, di fatto,

non segnerebbe un effettivo superamento della struttura a pilastri.

E’ inoltre fatta salva la possibilità per gli Stati membri di adottare decisioni

autonome su un determinato argomento di politica estera, qualora l’Unione non sia

in grado di esprimere una posizione comune.

Con riferimento al riconoscimento della peculiarità della PESC, invece, il

nuovo art. 24 del TUE99 sottolinea, al secondo comma del primo paragrafo, che la

politica europea di sicurezza comune non si attua tramite atti legislativi ma è

soggetta a procedure specifiche che quasi sempre comportano una votazione

all’unanimità.

Il riconoscimento di un ambito d’applicazione proprio della PESC potrebbe

fornire una nuova base giuridica, permettendo di limitare le competenze

dell’Unione nelle materie rilevanti della PESC. In quest’ultimo ambito, in effetti, il

potere d’iniziativa della Commissione non potrebbe essere esercitato che attraverso

l’Alto Rappresentante dell’Unione che farebbe da intermediario.

Il riconoscimento della specificità della PESC consentirebbe, tra l’altro, di

evitare i continui fraintendimenti relativi alla ripartizione di competenze tra Unione

e Stati membri che non si verificano in altri ambiti ma che, invece, risultano

piuttosto frequenti in materia di politica estera dal momento che il Trattato si limita

ad enunciare che “la competenza dell'Unione in materia di politica estera e di

sicurezza comune riguarda tutti i settori della politica estera e tutte le questioni 99 Ex. Art 11 del TUE.

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relative alla sicurezza dell'Unione, compresa la definizione progressiva di una

politica di difesa comune che può condurre a una difesa comune100.

Attraverso le nuove disposizioni del Trattato ed alcune dichiarazioni si è

voluto quindi restringere l’ambito di competenza della PESC non in maniera diretta,

ma limitando le sue possibilità di sviluppo in senso più sovranazionale a favore di

una maggiore specificità delle politiche estere degli Stati membri101.

2.1 Le nuove istituzioni della PESC/PESD

Il Trattato di riforma prevede la creazione di alcune istituzioni che erano in

realtà già state introdotte nel Trattato costituzionale.

Si tratta nello specifico della figura dell’“Alto Rappresentante dell’Unione

per gli Affari esteri e la politica di sicurezza”, della Presidenza stabile del Consiglio

europeo ed infine del Servizio europeo per l’azione esterna.

L’Alto Rappresentante dell’Unione per gli Affari esteri e la politica di

sicurezza ha, nella sostanza, le stesse funzioni che il Trattato costituzionale

100 Nuovo art. 24, par. 1, I°comma. La formulazione attuale è quasi identica a quella del vecchio art. 11 del TUE. 101 Il rifiuto di una politica estera che mettesse in discussione le competenze degli Stati membri era uno dei quattro punti che la Gran Bretagna non voleva fossero messi in discussione durante la Conferenza intergovernativa conclusasi nell’ottobre del 2008. Il Ministro Blair, in una dichiarazione del 2007 aveva inoltre affermato: “[...] we will not accept a treaty that allows the charter of fundamental right sto change UK law in any way;[...] we will not agree t ogive up our ability to control our common law and sudicia and police system; [...]we will not agree to anything that moves to qualified majotrity voting something that can have a big say in our own tax and benefit system [...]”. Cfr. “Four concessions needed to avoid EU treaty referendum, says Blair”, in EUObserver, 18/06/2007.

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prevedeva per il Ministro degli Affari esteri dell’Unione102 ma si è deciso, su

istanza di alcuni paesi, Gran Bretagna in primis, di cambiare la sua denominazione.

Tale figura viene nominata dal Consiglio europeo a maggioranza qualificata

ed assume altresì la carica di vice-presidente della Commissione europea. Più che

ad una fusione dei due ruoli si assiste all’assunzione di un “doppio cappello” che

non sopprime le differenze di approccio tra il pilastro intergovernativo e quello

comunitario, ma che ne sottomette la gestione ad un’unica figura.

Questa duplice responsabilità potrebbe portare, da un lato, a dei vantaggi di

carattere funzionale, in quanto si riuscirebbe in questo modo a concentrare le

energie di un numero maggiore di persone verso programmi comuni ma, dall’altro

lato, ci potrebbe essere un sovraccarico di lavoro ed il rischio da scongiurare è che “

[…] il Consiglio finisca per considerare (l’Alto Rappresentante) soprattutto un

commissario e che la Commissione lo veda soprattutto come un agente del

Consiglio103.

L’Alto Rappresentante presiederà inoltre il Consiglio Relazioni Esterne,

l’attuale Consiglio Affari generali e Relazioni esterne104, che sarà separato dal

Consiglio Affari generali; quest’ultimo dovrebbe essere presieduto dallo Stato

membro che eserciterà la presidenza di turno.

Tale nuova figura ha l’obiettivo di condurre la PESC e la PESD e di

eseguirla in quanto “mandatario” del Consiglio al quale potrà rivolgere delle

102 Cfr. Art. I-27 del progetto di Trattato costituzionale che istituisce la figura del “Ministro degli Affari esteri dell’Unione”. 103 Cfr. A. Missiroli, Dopo la Costituzione, una politica estera comune, in Il mulino 2005, anno 54, n. 417, 1/2005, gennaio-febbraio, p. 115. Le sue considerazioni sono valide anche oggi, visto che non sono state apportate delle modifiche particolari al Trattato costituzionale relativamente alle funzioni del Ministro degli Affari esteri dell’Unione. 104 CAGRE.

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raccomandazioni in materia105. Questo potere dovrà d’altra parte essere combinato

con quello del Comitato politico e di sicurezza che “controlla altresì l'attuazione

delle politiche concordate, fatte salve le competenze dell'Alto Rappresentante106”.

Infine l’Alto Rappresentante ha la funzione di rappresentare l’Unione a

livello internazionale ed ha pertanto il compito di condurre il dialogo con i paesi

terzi e di esprimere la posizione dell’Ue nelle organizzazioni e nelle conferenze

internazionali oltre che all’interno del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni

Unite1

e del Consiglio europeo che conferisce una nuova identità politica

all’Un

ella Commissione Relazioni Esterne, abbia delle funzioni di

caratte

07.

La creazione della figura dell’Alto Rappresentante è complementare a quella

del President

ione.

Bisogna tuttavia notare che entrambe le figure hanno il compito di

rappresentare l’Unione nelle sue relazioni esterne per quanto attiene alle questioni

riguardanti la PESC e la PESD. Esiste quindi un rischio di conflitto di competenze

tra i due organi nonostante l’Alto Rappresentante, in quanto mandatario del

Consiglio e Presidente d

re esecutivo108.

105Cfr. nuovo Art. 30 del TUE. 106 Cfr. nuovo Art. 38 del TUE. 107 Le Dichiarazioni n°13 e 14 del Trattato di riforma sottolineano che non è rimessa in discussione l’appartenenza degli Stati membri ad organizzazioni internazionali, incluso il Consiglio di sicurezza delle NU. Questo, come fa notare M. Comelli, potrebbe implicare che qualora la posizione dei membri permanenti del Consiglio di sicurezza delle NU, tra i quali figurano anche la Gran Bretagna e la Francia, differisca da quella dell’Unione nel suo complesso, ne risulterebbe pregiudicato il ruolo dell’Alto Rappresentante. Cfr. M. Comelli, Il nuovo Trattato di riforma dell’Ue e la politica estera e di sicurezza europea: cosa cambia? in Servizio Studi e Affari internazionali n° 78, ottobre 2007, in www.senato.it. 108 Cfr. G. Combarieu, Aspects sécurité et défense du Traité modificatif de Lisbonne, in Défense nationale et sécurité collective, n° 3, 2008.

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L’altra grande novità introdotta dal Trattato di Lisbona consiste, come si è

accennato poc’anzi, nella creazione di una Presidenza permanente del Consiglio

europeo al fine di dare un volto ed una voce all’Ue.

Il Presidente è eletto a maggioranza qualificata dallo stesso Consiglio

europeo, dura in carica due anni e mezzo ed il suo mandato è rinnovabile per una

sola volta. Tale istituzione contribuirà a dare una maggiore continuità alla politica

estera e di sicurezza europea dal momento che verrà eliminato il meccanismo della

rotazione e sarà più semplice, per gli Stati terzi con cui l’Unione entra in contatto,

individuare una figura unica piuttosto che avere rapporti con la troika formata dal

Presidente della Commissione europea, dall’Alto Rappresentante e dal Presidente

del Consiglio europeo. Occorrerebbe tuttavia procedere ad una più netta definizione

dei ruoli che tali organi sono chiamati a ricoprire e questo dipenderà molto anche

dalle p

delle

indicaz

ersonalità che eserciteranno le funzioni di rappresentanza dell’Ue all’estero e

dalla loro capacità di ritagliarsi delle competenze più specifiche a fronte

ioni generali fornite dal Trattato109 .

La creazione di una Presidenza del Consiglio europeo ha visto poi il

riconoscimento ufficiale del Consiglio europeo quale istituzione dell’Unione.

Mentre nei Trattati attualmente in vigore il Consiglio europeo contribuisce a

dare all’Unione gli impulsi necessari al suo sviluppo e a definirne gli orientamenti

politici generali, il nuovo Trattato di riforma attribuisce a tale organo la funzione di

identificare gli interessi e gli obiettivi strategici dell’Unione e di definire e rendere

109 Per esempio la funzione di coordinamento delle posizioni internazionali degli Stati membri è divisa tra il Consiglio europeo ed il suo Presidente, e l’Alto Rappresentante dell’Unione, come fa notare M. Liebert-Champagne in Les impacts du Traité de Lisbonne en matière de défense in Défence nationale et sécurité collective, n° 7, 2008.

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operativa la PESC, insieme al Consiglio dell’Ue110. Al Consiglio europeo, viene

altresì riconosciuta la facoltà di adottare delle decisioni che possono riguardare le

relazio

iato generale del Consiglio e della

Comm

ricevuto l’istruzione di non comunicarlo all’esterno113. Dei primi orientamenti circa

il ruolo e la struttura di questo nuovo servizio, tuttavia, sono stati avanzati

ni dell’Unione con un paese o con una regione, oppure avere un approccio

tematico; esse definiscono inoltre la loro durata ed i mezzi che gli Stati membri e

l’Unione dovranno mettere a disposizione111.

L’ultima novità istituzionale prevista dal Trattato di Lisbona riguarda la

creazione di un Servizio europeo per l’azione esterna, incaricato di assistere l’Alto

Rappresentante. Il Trattato, in realtà, non dice molto riguardo alla composizione

esatta e al funzionamento di tale servizio ma indica solamente che esso “[…]lavora

in collaborazione con i servizi diplomatici degli Stati membri ed è composto da

funzionari dei servizi competenti del segretar

issione e da personale distaccato dai servizi diplomatici nazionali.

L'organizzazione e il funzionamento del servizio europeo per l'azione esterna sono

fissati da una decisione del Consiglio[…]112”.

La dichiarazione n°19 annessa al Trattato di Lisbona dispone che i lavori

relativi alla costituzione di tale servizio sarebbero dovuti cominciare a partire dalla

firma del Trattato stesso, avvenuta nel dicembre del 2007. Questi lavori sarebbero

di fatto già iniziati ma, dal momento che riguardano un argomento sensibile nel

contesto della ratifica del Trattato, i servizi delle diverse istituzioni europee hanno

110 Cfr. nuovo Art. 21 del TUE. 111 Cfr. nuovo Art. 22 del TUE. 112 Cfr. nuovo Art. 27 del TUE. 113 La commissaria Benita Ferrero Waldner ha indicato che una proposta finale della commissione dovrà essere presentata nel 2010. Cfr. P. Orosco – J. Cats, op. cit. p. 427.

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nell’ambito di alcuni think tank europei e l’idea che ne è emersa è che il SEAE

dovrebbe essere una struttura sui generis, un’agenzia ibrida dell’Ue, indipendente

sia dal Consiglio che dalla Commissione114.

2.2 I nuovi strumenti messi a disposizione della PESD

di riforma integra,

al fine

oni che

posson

i due documenti importanti: la

Europe

Prima di passare alla descrizione dei progressi che il Trattato di Lisbona

prevede in materia di Politica europea di sicurezza e di difesa, è necessario fare un

cenno a quelle pratiche che sono già operative ma che il Trattato

di conferire loro una base giuridica di livello più elevato.

In particolare, il Trattato di Lisbona amplia lo spettro delle operazi

o essere condotte dall’Unione, andando oltre le missioni Petersberg.

Il nuovo articolo 43 prevede infatti la possibilità di azione in materia di

disarmo, di consulenza e assistenza in materia militare, di prevenzione dei conflitti

e infine di stabilizzazione al termine dei conflitti aggiungendo, tra l’altro, che queste

missioni potranno contribuire alla lotta contro il terrorismo. Tramite l’inclusione di

queste nuove categorie di operazioni all’interno del Trattato di riforma, si sono

volute istituzionalizzare delle esigenze sulle quali già si era trovato un accordo a

partire dal biennio 2003-2004, con l’elaborazione d

an Security Strategy e l’Headline Goal 2010.

Il Trattato di riforma ripropone inoltre il tema dell’introduzione di una

clausola di salvaguardia che era già stato lanciato dalla Convenzione europea.

114 Cfr. A. Missiroli, “Introduction: a tale of two pillars- and an arch” in The Eu Forein Service:how to build a more efective common policy, Paper n° 28, novembre 2005, dell’European Policy Centre.

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Quest’ultima suggeriva infatti di inserire una clausola di difesa reciproca nel

sistema Ue la quale prevedesse che, qualora uno Stato membro dell’Ue avesse

subito un’aggressione armata sul suo territorio, gli altri Stati membri, su base

volontaria, avrebbero potuto decidere se intervenire al suo fianco con i mezzi da

essi co

trali, la questione è stata riproposta in termini diversi nel Trattato di

riform

questo settore rimangono conformi agli impegni assunti nell’ambito

nsiderati più indicati.

Per sfuggire ai possibili fraintendimenti di carattere strategico che potevano

sorgere relativamente al rischio di decoupling con l’Alleanza atlantica e al ruolo dei

paesi neu

a.

Innanzitutto la clausola di difesa reciproca sembrerebbe essere divenuta

vincolante per tutti visto che la versione consolidata del nuovo art. 47 § 7 del TUE

recita che “[…]qualora uno Stato membro subisca un'aggressione armata nel suo

territorio, gli altri Stati membri sono tenuti a prestargli aiuto e assistenza con tutti i

mezzi in loro possesso in conformità dell’art. 51 della Carta delle Nazioni

Unite[…]115; in secondo luogo sembra altresì scomparso il carattere di

“cooperazione più stretta116 aperta a tutti: nel Trattato è stato infatti introdotto un

riferimento sia ai paesi neutrali, cioè a quei paesi che non fanno parte né dell’Ue né

della NATO, sia agli Stati membri di quest’ultima organizzazione. Si specifica

infatti che “[…] ciò non pregiudica il carattere specifico della politica di sicurezza

e di difesa di taluni Stati membri […] e che “[…] gli impegni e la cooperazione in

115 Cfr. nuovo Art. 47 § 7 del TUE. 116 Così A. Missiroli quando parla della clausola di difesa reciproca proposta dalla Convenzione e successivamente modificata dalla Cig.

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dell’organizzazione del trattato del Nord-Atlantico che resta, per gli Stati che ne

sono membri, il fondamento della loro difesa collettiva […]117”.

In attesa di possibili precisazioni di carattere politico, l’introduzione della

clausola di difesa reciproca potrebbe essere vista come un contributo alla

definizione di ciò che dovrebbe essere la politica di difesa comune qualora essa

assumesse il significato di difesa comune. Tale clausola, dall’altro lato, pone delle

questioni sul ruolo delle politiche di difesa degli Stati neutrali118 nonché sulle

diverse opinioni che gli Stati membri hanno relativamente al futuro della UEO e

soprattutto del suo articolo V119.

Il Trattato introduce inoltre una clausola di solidarietà reciproca in base alla

quale gli Stati membri e l’Ue “[…]agiscono congiuntamente in uno spirito di

solidarietà qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia

vittima di una calamità naturale o provocata dall’uomo[…]120”.

Questa disposizione stabilisce che, nei casi in cui si verifichino le due

fattispecie previste dall’articolo stesso, gli Stati membri sono chiamati a mobilitare

tutti i mezzi di cui dispongono, compresi quelli militari; nonostante la sua

formulazione tale clausola non è stata oggetto di molte critiche dal momento che

può essere invocata solo per azioni anti-terrorismo che si svolgono all’interno del 117 Nuova clausola di difesa reciproca. 118 A. Demoulin ritiene in realtà che parlare dei paesi “non alignés” significa parlare anche di paesi nucleari come la Francia e la Gran Bretagna le cui politiche della difesa hanno un “carattere specifico” come indicato nello stesso art. 42.7 del nuovo TUE. Su questo punto si è aperto un dibattito dottrinale. Cfr. A. Demoulin, Traitè de Lisbonne: de l’assistence mutuelle à la défencemutuelle: oscillations et interpretations, in Revue du marché commun et de l’Union européenne, n°519, giugno 2008. 119 L’Art. 5 del Trattato di Bruxelles modificato, prevede infatti che nel caso in cui una delle Alte Parti contraenti sia oggetto di un’aggressione armata in Europa, le altre gli presteranno aiuto e assistenza, conformemente alle disposizioni dell’art. 51 della Carta della Nazioni Unite, con tutti i mezzi che sono in loro possesso, inclusi quelli militari. Il riferimento ai mezzi militari manca invece nel nuovo art. 42.7 del TUE che però rinvia direttamente alla NATO per quanto riguarda la realizzazione della difesa collettiva degli Stati che ne fanno parte mentre l’art. IV del Trattato di Bruxelles dispone che le parti contraenti coopereranno a stretto contatto con la NATO. 120 Cfr. Art. 222 del TFUE. Trattato sul Funzionamento dell’Ue.

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territorio europeo121. Il Trattato prevede che il Consiglio sia assistito, per quanto

riguarda l’attuazione di tale clausola, dal COPS e da un nuovo comitato istituito

presso il Consiglio il cui compito dovrebbe essere quello di promuovere e rafforzare

la cooperazione operativa in materia di sicurezza interna122.

L’assistenza reciproca in caso di attacco armato e la clausola di solidarietà in

caso di attacco terroristico o di catastrofe naturale potranno essere applicate “à la

carte”, a seconda della posizione adottata preventivamente dalle autorità dello Stato

europeo aggredito. Quest’ultima dipenderà dalle opzioni politiche, dall’analisi

dell’aggressione e della sua portata, dalla mobilitazione della comunità

internazionale e dalla reazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

E’ importante sottolineare come, con l’introduzione di queste due clausole,

l’Ue si sia dotata di strumenti di risposta di fronte alle nuove minacce ma, in ogni

caso, l’interpretazione giuridica e la pertinenza o la valutazione sulla legittimità

delle misure di risposta saranno sottoposte a controllo politico.

Ultima considerazione, con riferimento agli strumenti di cui la PESD può

avvalersi, va fatta a proposito dell’Agenzia europea della Difesa.

Si tratta di un’agenzia dell’Ue creata a livello politico nel 2004123 ma la cui

istituzionalizzazione è sancita dal nuovo Trattato di riforma. L’introduzione di un

apposito articolo sull’AED genera due tipi di conseguenze: da un lato questo

implica che qualsiasi tentativo di porre fine all’attività dell’agenzia necessiterà di

una revisione del Trattato, qualora, beninteso, questo entri in vigore; in secondo

121 L’inserimento di tale clausola, peraltro già prevista dal Trattato costituzionale, riprende il contenuto della Dichiarazione del Consiglio sulla lotta contro il terrorismo del 25 marzo 2004, adottata immediatamente dopo gli attentati di Madrid del’11 marzo 2004. 122 Cfr. Art. 71 del TFUE. 123 Azione comune 2004/551/PESC del 12 luglio 2004.

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luogo questa istituzionalizzazione dovrebbe consentire di mettere in risalto il lavoro

dell’agenzia.

2.3 I nuovi mezzi di cooperazione utili alla difesa: cooperazioni

rafforzate e strutturate

Il nuovo Trattato di riforma riprende poi dei concetti già esistenti nei Trattati

attualmente in vigore ma ne estende la portata anche al settore della difesa.

Il riferimento è alla nozione di “cooperazione rafforzata”, attualmente

prevista dal Trattato sull’Ue e riguardante sia l’Unione europea che la Comunità

europea.

In base al Trattato in vigore, l’avvio di una cooperazione rafforzata, che

richiede la partecipazione di un minimo di otto Stati, mira a realizzare un’unione

più stretta tra quegli Stati che desiderano approfondire la costruzione europea nel

rispetto del quadro istituzionale, degli obiettivi fissati dal Trattato nonché

dell’acquis comunitario. Le cooperazioni rafforzate, tuttavia, non possono

riguardare questioni aventi implicazioni militari o nel settore della difesa124.

Già l’art. I-43 del progetto della Convenzione permetteva tuttavia agli Stati

membri di avviare cooperazioni rafforzate in qualsiasi settore, approccio poi

mantenuto dalla Cig e condensato in alcune disposizioni del Trattato costituzionale

che prevedeva l’avvio di tali cooperazioni anche in settori che non fossero di

competenza esclusiva dell’Unione, comprese la PESC e la PESD, sia pure a

124 Cfr.Titolo VII del TUE.

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condizioni particolari. Queste disposizioni sono state riprese nel Trattato di riforma

che non fa riferimento alle limitazioni previste dal Trattato di Nizza e che invece

ribadisce che le cooperazioni rafforzate si possono realizzare, in linea di principio,

anche nel settore della PESC e della PESD con procedure specifiche.

In materia di difesa, inoltre, il nuovo Trattato di riforma introduce una forma

di cooperazione rafforzata denominata cooperazione strutturata permanente125 la

quale prevede che un gruppo di Stati in possesso di determinate caratteristiche,

possa rappresentare un modello di riferimento per favorire delle spinte in avanti nel

settore della PESD.

Tale previsione è legata ad un apposito protocollo contente i criteri della

partecipazione che implicano il conseguimento di elevate capacità militari e

operative attraverso “pacchetti” di forze nazionali e multinazionali, nonché la

partecipazione a programmi comuni nel quadro dell’Agenzia di difesa europea126.

Possono partecipare alle cooperazioni strutturate permanenti solo gli Stati in grado

di soddisfare dei criteri più elevati in termini di capacità militari e che hanno

sottoscritto degli impegni più stringenti in materia, in vista di missioni più

impegnative. Il Trattato di riforma, tuttavia, non prevede dei criteri precisi ed

esaustivi per partecipare a tale tipo di cooperazioni e anche il protocollo n°10,

allegato al Trattato stesso, in realtà ha un contenuto piuttosto vago ed ha consentito

solamente di operare un collegamento con il concetto dei Battlegroups e con

l’Agenzia europea della difesa, con particolare riferimento all’Obiettivo 2010 per

quanto riguarda le capacità militari dell’Ue.

125 Cfr. M Trybus- N. D. White, European Security Law, Oxford University Press, Oxford, 2007. p. 234 e ss.. 126 Cfr. Protocollo n°10 sulla cooperazione strutturata permanente istituita dall’articolo 42 del Trattato sull’Unione europea.

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Visto il carattere generale degli articoli 1 e 2 del Protocollo, spetterà al

Consiglio determinare i criteri che dovranno essere soddisfatti dagli Stati affinché

questi ultimi possano prendere parte a tale cooperazione e i requisiti di

partecipazione verranno elencati o nella decisione di autorizzazione alla

cooperazione strutturata permanente, o in una decisione precedente.

E’ inoltre importante sottolineare che la decisione relativa alla creazione di

una cooperazione strutturata permanente è presa dal Consiglio a maggioranza

qualificata e che non è fissato un numero minimo di partecipanti; questo sembra

essere un elemento positivo dal momento che le cooperazioni esistenti tra Stati

europei, al di fuori del quadro istituzionale dell’Ue, sono formate da un massimo di

sei Stati.

Con riferimento al funzionamento della CPS127, il Trattato prevede che, una

volta avviata tale cooperazione, le decisioni debbano essere adottate dal Consiglio

dell’Unione europea, all’unanimità degli Stati che vi prendono parte e potrebbero

essere predisposte, ad esempio, da un gruppo informale costituito dai Ministri della

difesa degli Stati membri che partecipano alla CSP128.

Dei dubbi permangono invece relativamente al contenuto delle cooperazioni

strutturate permanenti anche se, per mezzo delle stesse, sembrerebbero essere

realizzabili diverse azioni, ai sensi dell’art. 2 del Protocollo n° 10 allegato al

Trattato di Lisbona. Tale articolo, tuttavia, invita piuttosto gli Stati membri a

cooperare in determinati settori e a prendere delle misure concrete129 per rafforzare

la disponibilità, la flessibilità, l’interoperabilità e la capacità di spiegamento dei

127 Cooperazione Strutturata Permanente. 128 Così P. Orosco – J. Cats in Le traitè de Lisbonne, op. cit. p. 430. 129 La natura di tali misure non viene tuttavia precisata.

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mezzi che essi hanno a disposizione, non differenziandosi di molto da quanto

sancito nel Documento sullo sviluppo delle Capacità militari approvato lo scorso

luglio e richiamato dallo stesso articolo.

Bisogna tuttavia constatare che, i singoli Stati membri, non hanno la facoltà

di mettere in atto delle proprie iniziative dal momento che le decisioni riguardanti il

lancio di un’operazione possono essere adottate all’unanimità solo dal Consiglio.

Quest’ultimo, tuttavia, può “[…] affidare lo svolgimento di una missione,

nell'ambito dell'Unione, a un gruppo di Stati membri allo scopo di preservare i

valori dell'Unione e di servirne gli interessi[…]130 ”. Questo gruppo di Stati

potrebbe essere effettivamente rappresentato dagli Stati partecipanti alla CSP.

Sia i criteri di ammissione e di partecipazione ad una cooperazione

strutturata permanente, sia il suo contenuto sono molto flessibili e la realizzazione

concreta di questo tipo di cooperazioni dipenderà essenzialmente dalla volontà

politica degli Stati membri dal momento che i testi lasciano loro un margine di

manovra molto ampio.

Tuttavia le CSP presentano delle differenze rispetto alle cooperazioni

rafforzate dal momento che esse non richiedono un numero minimo di

partecipanti131, hanno un carattere strutturato e una portata più determinata e

soprattutto é in esse prevista una valutazione dei requisiti e delle capacità basata su

una vera e propria certificazione, come avviene all’interno della NATO.

In questo modo potrebbero essere individuati gli Stati in grado di condurre

delle future operazioni militari di rilievo a direzione Ue anche se in realtà questo

130 Cfr. Art. 42.5 del nuovo TUE. 131 Per le cooperazioni rafforzate è invece prevista la partecipazione di almeno un terzo degli Stati membri.

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criterio “selettivo” viene già utilizzato quando devono essere portate avanti delle

missioni civili implicanti azioni di polizia, nelle quali sia richiesta una preparazione

ed un equipaggiamento di alto livello.

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CAP III

Francia e Stati Uniti tra Unione europea ed Alleanza atlantica

In questo terzo capitolo l’attenzione sarà posta su due protagonisti della

PESD.

Da un lato l’analisi si soffermerà sul ruolo della Francia, paese attualmente

impegnato nel rilancio della politica di difesa europea e tradizionalmente contrario

ad una dipendenza dalla struttura integrata della NATO, che ha recentemente

annunciato, tuttavia, un riavvicinamento formale all’Alleanza atlantica; dall’altra

parte l’intenzione è quella di analizzare la visione che gli Stati Uniti hanno della

PESD.

Attraverso un’analisi delle diverse fasi della politica di difesa francese si

arriverà a descrivere quella che attualmente è la posizione di tale paese riguardo alla

PESD, qual è l’immagine che la Francia vorrebbe conferire alla politica di difesa

europea e soprattutto quali sono le iniziative che la Presidenza francese sta

promuovendo in questo periodo.

Tramite una descrizione delle attuali relazioni tra la NATO e l’Ue si vuole

poi arrivare a comprendere qual è la posizione degli Stati Uniti relativamente alle

azioni e ai progressi che l’Unione sta compiendo nel campo della difesa e che cosa è

ancora richiesto all’Europa affinché diventi un partner più responsabile e più

coerente.

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3.1 Gli interessi di una Francia europeista

La Francia tradizionalmente è sempre stata un paese interessato a conservare

la sua autonomia, soprattutto per quel che riguarda la politica di sicurezza e di

difesa.

Questa concezione affonda le sue radici nell’elaborazione di una vera e

propria dottrina della sicurezza, sviluppata all’alba della V Repubblica francese.

Nella concezione di Charles de Gaulle, infatti, soltanto una politica di

sicurezza e di difesa non condizionata da variabili esterne avrebbe consentito alla

Francia di conservare la sua autonomia politica, permettendole, allo stesso tempo, di

massimizzare il suo interesse nazionale.

Questa dottrina, che mette al centro di tutto l’autonomia e l’indipendenza

parigina nel campo della difesa e in quello politico, è stata poi portata avanti anche

dai successori di De Gaulle che ne hanno seguito le orme e che, di fatto, ancora non

riescono a prescindere da quella visione ultranazionalista della difesa che il generale

francese ha lasciato in eredità al suo paese.

Le origini di questo approccio e di questa attitudine vanno ricercate,

sicuramente, nel sentimento di accerchiamento che la Francia ha sempre provato,

dato dalla sua posizione geografica e soprattutto dagli eventi che hanno segnato la

sua storia, in particolare l’umiliazione subita nel 1940 da parte della Germania

hitleriana.

La convinzione che per la Francia non esistesse altra alternativa di protezione

che l’arma nucleare, venne incarnata da De Gaulle, il quale dubitava che gli Stati

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Uniti sarebbero intervenuti a difesa della Francia e dell’Europa in caso di attacco

sovietico.

La visione della politica estera di De Gaulle fu, secondo molti analisti,

fortemente condizionata dall’immagine che egli aveva delle relazioni bipolari e

“what constituted the gaullist model for French national security above all was a

foreign policy discourse laying out the precepts of France’s role in the world132”.

In particolare il modello gollista enfatizzava, collegandoli strettamente gli

uni agli altri, tre concetti e cioè “National independence, nuclear autonomy and the

search for grandeur133”.

L’indipendenza nazionale significava per De Gaulle innanzitutto proteggere

la sovranità francese e salvaguardare e promuovere gli interessi nazionali. La

formazione di coalizioni sarebbe risultata funzionale alla realizzazione del secondo

obiettivo mentre la partecipazione a delle vere e proprie alleanze avrebbe portato la

Francia a beneficiare di un eventuale accrescimento della potenza nazionale che

sarebbe stato in realtà ascrivibile all’intera alleanza.

Difendendo ancora una volta l’autonomia della Francia, De Gaulle concluse

che l’appartenenza alla NATO e la sottomissione ai desideri statunitensi non

rientravano più nell’interesse nazionale del suo paese.

Fu per questo motivo che nel 1966 la Francia si ritirò dalla struttura militare

integrata, scongiurando altresì il rischio di partecipare a dei conflitti che poco o

132 Cfr. R. Landrech, “Redifining Grandeur: France and European Security after the Cold War” in The promise and reality of European Security Cooperations: States, Interests and Istitutions, Greenwood Publishing Group, Londra, 1998 p. 87. 133 Ibidem.

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nulla avrebbero avuto a che fare con i suoi interessi nazionali e chiuse tutte le basi

militari straniere ancora presenti sul suo territorio.

Per quanto riguarda invece l’autonomia nucleare, il possesso di una force de

frappe nucléaire ha assunto nel corso degli anni un enorme valore soprattutto

simbolico tanto da essere messo al centro della dottrina sulla sicurezza nazionale

che, a partire da De Gaulle, “came to emphasise the centrality of the Sanctuary […]

protected by French strategic nuclear forces, and underlined that it was only the

nuclear weapons pertaining to a particular state which could credibly support to

offer that state security guarantee134”. L’arma nucleare, nonostante oggi non

costituisca un elemento della potenza francese, rappresenta tuttavia un simbolo che

non può più essere rimesso in questione.

Nella visione di De Gaulle, infine, la grandeur non poteva prescindere da

nessuno dei due elementi precedenti; quello di grandeur, tuttavia, è un concetto

molto complesso che denota, da un lato, il ritorno a quella “certaine idée de la

France” quale potenza legittimata internazionalmente ed in grado di ricoprire una

posizione di primo piano in vari settori: dall’economia alla cultura, dalla politica

alla “puissance” delle sue armi nucleari; dall’altro essa è sempre stata un modo dei

francesi di vivere il loro paese quale che sia il periodo considerato ma, dopo la

seconda guerra mondiale e il delineamento sull’orizzonte politico dei due grandi

blocchi, la Francia rischiava di vedersi relegata a paese di secondo grado e pertanto

134 J. Bryant, “France and NATO from 1966 to Kosovo: Coming Full Circle?” in European Security, Vol. 9, N° 3, London: Frank Cass & Co Ltd, Autumn 2000, p. 22, cit. da R. Hagelberg, “La question de l’architecture sécuritaire européenne: le Royaume-Uni, la france, l’Allemagne”, in L’Europe en formation, N° 3-4, décembre 2007, p. 17.

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l’ésprit de grandeur ha rappresentato quella motivazione in più dei francesi a fare

della Francia un paese degno del suo passato.

In generale possono distinguersi nella storia francese diverse fasi della

politica di sicurezza e difesa: una prima fase, che va dal 1958 fino alla fine degli

anni 80’, inizi degli anni 90’, in cui la Francia aveva come obiettivo quello di

propagare le sue ambizioni nazionali a livello europeo e di guadagnarsi il sostegno e

la collaborazione degli altri partners al fine di creare un’entità politica omogenea a

guida francese135; una seconda fase che comincia agli inizi degli anni 90’, durante la

quale la Francia rivalutò l’importanza del suo legame transatlantico e la sua

relazione con la NATO; un terzo periodo, iniziato attorno al 1997, durante il quale

emerse una certa frustrazione che portò la Francia a orientarsi nuovamente verso il

progetto europeo di difesa autonoma; infine l’attuale fase storica in cui si trova la

République potrebbe rappresentare un nuovo momento di riavvicinamento alla

NATO che dovrebbe concludersi, come annunciato dal presidente Nicolas Sarkozy,

con il rientro francese nella struttura integrata anche se a certe condizioni.

Durante gli anni 70’ e 80’ la Francia continuava a rifiutare l’ingresso nella

NATO e mentre già a partire dagli anni 60’, operava in favore di una maggiore

indipendenza della CEE dagli Stati Uniti, fu durante gli anni 80’ che il governo

francese capì che bisognava sviluppare e rafforzare le strutture europee piuttosto

che rientrare a far parte della NATO.

Questa convinzione portò ad un raffreddamento delle relazioni franco-

statunitensi dovuto, da un lato a motivazioni economiche e legate al commercio

internazionale, dall’altro al dibattito apertosi tra i due paesi relativamente al Burden 135 Si pensi ad esempio al piano Fouchet, lanciato su iniziativa francese e successivamente abbandonato.

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Sharing. Mentre Washington rivendicava una migliore ripartizione delle spese

militari richiedendo un aumento delle contribuzioni europee che fosse tuttavia

funzionale alla visione geostrategica degli Stati Uniti, altri paesi europei vicini alla

Francia cominciarono a mettere in discussione le relazioni transatlantiche.

Si cominciò allora a dubitare che una ripartizione delle spese più gravosa per

gli europei non avrebbe loro assicurato un grado di protezione proporzionato

all’impegno economico che veniva richiesto.

Di fronte a questa percezione gli Stati Uniti minacciarono di ritirare le loro

truppe dal Vecchio Continente qualora gli europei non si fossero assunti maggiori

responsabilità nella relazione transatlantica.

Questo aut aut non fece altro che rafforzare la convinzione francese che in

realtà l’interessamento degli Stati Uniti per l’Europa non avrebbe assicurato una

garanzia per la sicurezza europea. Dall’altro lato, tuttavia, il settore della difesa

europea era ancora troppo debole e poco sviluppato per poter fare a meno

dell’ombrello statunitense.

La Francia in questo periodo si impegnava affinché l’Europa trovasse delle

risposte proprie per far fronte al rovesciamento degli equilibri generato dal termine

della Guerra Fredda: l’Unione economica monetaria e la UEO rappresentano due

esempi del tentativo europeo di far fronte al mutato contesto internazionale e della

volontà di agire congiuntamente nel campo economico e in quello della difesa.

Il governo francese era inoltre convinto del fatto che bisognasse resistere a

qualsiasi tentativo mirante a perpetuare l’impatto e il ruolo della NATO in Europa

dal momento che non esisteva più la minaccia sovietica, percepita come un pericolo

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dall’intera comunità internazionale. Contribuì a riacutizzare le tensioni tra Francia e

Stati Uniti la proposta francese volta ad indebolire il ruolo degli USA all’interno

della struttura militare integrata, a tutto vantaggio di un’Europa che si sarebbe

assunta maggiori responsabilità nel campo della difesa.

Gli eventi che segnarono gli inizi degli anni 90’136, tuttavia, furono piuttosto

scoraggianti per la Francia che si rese conto dell’importanza del ruolo della NATO

e degli Stati Uniti e dell’inadeguatezza dei mezzi di cui l’Europa disponeva per far

fronte alle crisi che in quel periodo l’affliggevano. Di fronte all’evidenza la Francia

dovette riconoscere che in realtà la difesa europea era ancora troppo debole sia a

livello militare che a livello politico per affrontare da sola le sfide del nuovo sistema

di sicurezza internazionale e che di fatto non si poteva prescindere dalla NATO.

Fu attorno al 1992 che le relazioni tra la République e la struttura militare

integrata cominciarono a migliorare anche se nel Libro bianco della difesa

francese137 del 1994 ancora non veniva prospettata una reintegrazione nella NATO.

Il riavvicinamento della Francia alla NATO fu favorito non solo

dall’evidenza dell’impossibilità di reagire di fronte alle eterogenee minacce che

affliggevano il Vecchio Continente, ma soprattutto dall’intransigenza degli altri

partner europei che rifiutavano qualsiasi soluzione che non includesse la NATO.

La Francia pertanto cominciò a partecipare a quelle riunioni della struttura

militare integrata durante le quali venivano affrontati temi che riguardavano alcuni

suoi interessi fondamentali e nel 1995, con la Presidenza neo-gaullista di Jacques

136 Ci si riferisce, in particolar modo, all’instabilità creatasi nella moribonda Unione sovietica, al conflitto nell’ex-Jugoslavia e ai modesti risultati della PESC. 137 L’attuale Presidente della Repubblica francese Nicolas Sarkozy ha presentato un nuovo Libro bianco sulla difesa, il terzo della Va repubblica, dopo quello del 1972 e del 1994.

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Chirac, si decise che la Francia sarebbe rientrata a far parte del Comitato militare

restando tuttavia al di fuori della struttura gerarchica della NATO138.

A partire dal 1966 quindi la Francia ha avuto nei confronti delle

organizzazioni militari internazionali un approccio diverso: inizialmente le relazioni

permanenti erano legate al bisogno di dimostrare solidarietà nei confronti degli altri

partner europei; in un secondo momento, invece, “des moyens nationaux étaient

fournis ou se tenaient prets à etre fournis en échange d’une participation

proportionelle dans les organigrammes de commandement […]139 poiché la Francia

riteneva che sarebbe stato più semplice “europeizzare” la NATO dall’interno.

Questa continua lotta con gli statunitensi per ottenere delle posizioni di

comando non portò ad una reintegrazione completa della Francia nella NATO,

nonostante le condizioni per il suo ingresso le fossero favorevoli.

Jacques Chirac fu pertanto ampiamente criticato dall’opinione pubblica e dai

gruppi politici nazionali, tanto di destra quanto di sinistra, per la sua smania di

“brandire” a tutti i costi la dottrina gollista e per il rischio che fece correre alla

Francia di rimanere isolata dal punto di vista politico e militare mentre la NATO era

impegnata nel suo allargamento verso i paesi dell’Europa centro-orientale.

Questo secondo allontanamento della Francia dalla NATO segnò l’inizio di

una terza fase durante la quale Parigi si concentrò nuovamente sul progetto di una

politica di difesa autonoma europea che, di fatto, fino al 1997, non aveva avuto

degli sviluppi significativi.

138 Cfr. J. Walch, “La défence européenne, de l’autonomie à l’intègration” in Politique étrangère, Vol. 66 N°2, Paris, aprile-giugno 2001, p. 350. 139 Ibidem.

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Molti furono invece le novità che stimolarono in quell’anno il progetto di

difesa europea.

In primo luogo la dichiarazione franco-britannica di Saint Malo del 1998,

della quale si è già avuto modo di parlare nonché la decisione adottata nel 1999 di

incorporare la UEO nelle strutture dell’Unione; si ricordino inoltre i due Consigli

europei di Colonia ed Helsinki durante i quali gli Stati membri dell’Ue espressero la

volontà di conseguire risultati concreti nel campo della PESD migliorando la

capacità di azione e di risposta rapida dell’Unione140.

La Francia, riconoscendo i suo legami informali con la NATO nonché

avvertendo il rischio di rimanere isolata, rassicurò i suoi partner europei circa la sua

volontà di preservare le relazioni transatlantiche ribadendo tuttavia la sua intenzione

di portare avanti l’iniziativa europea nel campo della difesa.

Contemporaneamente si assistette ad un riavvicinamento delle posizioni

franco-tedesche ed in particolare rileva l’inserimento, nel piano francese per la

riforma delle istituzioni europee, di proposte che erano di fatto favorevoli alla

visione tedesca.

Il Presidente Chirac, il 6 marzo del 2002 propose, al Parlamento europeo di

Strasburgo, di definire una dichiarazione solenne che identificasse gli elementi

comuni della politica estera e aprisse “ alla possibilità di sottomettere la materia al

140 Questa valutazione fu fatta soprattutto a seguito della crisi in Kosovo del 1999 che secondo R. Hagelberg “a ouvert les yeux de la France sur la nécessité d’une intensification rapide des efforts afin d’acquérir les moyens d’agir indèpendammnet del Etats-Unis, dans l’optique des futures divergences de vue et de prioritè entre Américains et Européeens”. Cfr. quanto di ce l’autore in La question de l’architecture sécuritaire européenne., op. cit. p. 23.

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voto a maggioranza qualificata e a una certa comunitarizzazione del secondo

pilastro dell’Unione141” .

Questa dichiarazione, di fatto, sancisce un riavvicinamento tra la Francia e la

Germania ed é espressione di una precisa scelta di politica estera francese volta a

recuperare un ruolo di parità con la Germania nello scacchiere internazionale, nella

convinzione di non poter più giocare il ruolo di garante della politica europea

tedesca142. Ciononostante la Francia non rinunciò alla ricerca di una maggiore

libertà di manovra nella sua politica internazionale ed era convinta di poter

raggiungere questo obiettivo attraverso due strumenti: una più autonoma politica

estera e di difesa dell’Ue e attraverso l’affermazione di un sistema multipolare; fu

proprio relativamente a quest’ultimo aspetto che Francia e Germania trovarono un

terreno comune, dal momento che il concetto di un’Europe Puissance, oltre a

generare malumori all’interno dell’Alleanza Atlantica, suscitava delle titubanze

anche nella Germania143.

141 Questo rappresenta un elemento totalmente nuovo per una proposta francese ed è significativo che la Francia di Chirac fosse pronta a sacrificare alcune costanti della sua politica europea in vista di una rinnovata intesa franco-tedesca. Cfr. A. Colombo, L’Occidente diviso. La politica e le armi, Università Bocconi Editore, Milano, 2004, p. 106. 142 La Francia era infatti consapevole del fatto di aver perso gran parte della sua influenza al termine della guerra fredda e che l’unico modo per recuperarla, sarebbe stato quello di avvicinarsi alle posizioni della Germania. 143 La rinnovata intesa tra Berlino e Parigi del gennaio del 2003 sancisce una preferenza deidue paesi per il multilateralismo e per il diritto internazionale.

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3.1.1 L’inizio di una quarta fase nell’architettura della sicurezza

francese

Dopo aver rinsaldato i rapporti con i suoi principali partner europei,

l’obiettivo della Francia e del suo nuovo Presidente Nicolas Sarkozy è quello di

porre fine all’ isolazionismo francese e di reintegrare la République nella NATO.

Questo nuovo proposito potrebbe rappresentare l’inizio di una quarta fase

che dovrebbe consistere nella “recherche continuelle d’équilibre entre plus

d’influence au sein de l‘Alliance atlantique, tout en s’engageant à ce que l’UE se

dote d’une véritable autonomie dans les domaines sécuritaire et de défense144”.

Sembrerebbero essere due infatti le intenzioni annunciate anche nel Libro

Bianco della difesa e della sicurezza francese145: da un lato un riavvicinamento

della Francia alla NATO ed un sostanziale miglioramento delle relazioni

transatlantiche; dall’altro, un impulso sempre più forte all’Europa della difesa.

144 Cfr. R. Hagelberg, La question de l’architecture sécuritaire européenne., op. cit. p. 23. 145 Il Libro bianco della difesa e della sicurezza nazionale é stato elaborato, sotto gli auspici del Presidente della Repubblica, da una Commissione istituita con decreto del 30 luglio 2007 e dal consigliere di Stato Jean-Claude Mallet. Tale Commissione che ha iniziato ufficialmente la sua attività il 23 agosto 2007, è formata da appartenenti al mondo della politica da personale delle amministrazioni e da specialisti in materia di sicurezza e di difesa organizzati in sette diversi gruppi di lavoro e assistiti da membri delle forze dell’ordine e polizia. Gli obiettivi del Libro bianco sono i seguenti:

1. L’attuazione di una “analyse prospective” della sicurezza nazionale e dell’ambiente internazionale e di conseguenza l’attuazione delle missioni assegnate alle forze dell’ordine e ai mezzi di sicurezza nazionali ;

2. La definizione di una “stratégie globale de défense et de sécurité nationale”. Si tratta in effetti del primo libro bianco nel quale si parla congiuntamente, in uno stesso documento politico, di difesa e di sicurezza mentre in quelli del 1972 e del 1994 veniva trattato solo il tema della difesa nazionale.

3. La ridefinizione delle “capacités” necessarie a perseguire determinati obiettivi e a svolgere certe missioni;

4. Le “restructurations” e le riforme utili a garantire la coerenza tra i bisogni, i finanziamenti e le finanze pubbliche ;

5. Una profonda “réforme” del Ministero della Difesa e dello Stato per adattarli alle nuove esigenze.

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Per quanto riguarda l’ambizione europea, il Libro bianco propone delle

misure concrete che riguardano la difesa e la sicurezza dei cittadini, la sicurezza

degli approvvigionamenti energetici, l’industria e la preparazione militare.

Secondo Nicolas Sarkozy, “face à l’ampleur des menaces et des crises, le

développement d’une Europe de la défence efficace est une nécessité stratégique146”

ed è per questo che la difesa europea dovrebbe puntare, come sottolineato nel Libro

bianco, su quattro elementi in particolare: le capacità di gestione delle crisi; la

formazione e la preparazione del personale; un’industria europea razionalizzata e

competitiva ed infine una maggiore efficacia volta a proteggere i cittadini.

Per quanto riguarda il primo aspetto, la Francia propone in primo luogo di

costituire, in maniera progressiva, una capacità d’intervento di 60.000 uomini che

possano raggiungere anche teatri operativi lontani attraverso mezzi in grado di

trasferire con una grande velocità uomini ed equipaggiamenti.

Per colmare le difficoltà che l’Europa incontra relativamente a questo

aspetto, la Francia propone la messa in comune di alcuni mezzi tra paesi europei

quali ad esempio gli aerei di trasporto strategico e tattico in vista della creazione di

un futuro comando militare europeo per il trasporto aereo; la progettazione e la

creazione di elicotteri147 nonché, per migliorare le capacità aeronavali, la

contemporanea associazione di portaerei, unità aeree imbarcate e bastimenti di

scorte.

Sempre al fine di migliorare la gestione delle crisi, nel Libro bianco viene

altresì rivendicata una migliore capacità di analisi che dovrebbe fondarsi sulle

146 Cfr. J.D Giuliani in “L’Europe de la défence à l’aube de la présidence française” in Défense nationale et sécurité collective, N°7, 2008, p. 92. 147 Si pensi ad esempio ai lavori franco-britannici e franco-tedeschi a tal proposito.

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lessons learned a seguito delle operazioni condotte dall’Ue, dalle quali è emersa,

secondo gli esperti che hanno redatto il documento strategico francese, la necessità

di dotarsi di “moyens plus robustes de gestion civile des crises148”.

Al fine di rafforzare le capacità di pianificazione e di condotta delle

operazioni europee, la Francia propone inoltre di prendere le misure necessarie per

porre le operazioni militari e le missioni civili sotto un’unica direzione strategica a

Bruxelles. Infine, ciò che si evince dal Libro bianco, è la richiesta di una riforma

delle procedure di finanziamento delle operazioni esterne dell’Unione in favore del

principio della solidarietà finanziaria tra gli Stati membri, che dovrebbero devolvere

un budget significativo alla politica estera e di sicurezza comune.

Queste sono le proposte francesi relative al miglioramento delle capacità

dell’Unione che sono attualmente al centro del dibattito europeo. Tutti questi temi

infatti, sono stati affrontati in occasione della riunione informale dei Ministri della

Difesa europei riuniti a Deuville il 1° e 2 ottobre e probabilmente si trasformeranno

in decisioni in occasione del Consiglio europeo di novembre dal momento che

hanno incontrato il plauso della maggior parte degli Stati membri.

Sembra interessante soffermarsi sull’ultimo punto in particolare, relativo alla

riforma delle procedure di finanziamento delle operazioni condotte al di fuori del

territorio europeo. La Francia propone che il principio della solidarietà finanziaria

tra tutti gli Stati membri vada a sostituire quello del “contribuente-pagante”: questo

potrebbe permettere ad un paese di portare avanti delle operazioni in teatri lontani

nei quali ha degli interessi geopolitici, avvalendosi dei contributi di tutti gli altri

148 Cfr. “L’ambition européenne” in Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale in www.premier-ministre/gouv.fr.

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Stati europei, compresi quelli che in realtà non avrebbero intenzione di impegnarsi,

soprattutto economicamente, in operazioni ad essi estranee.

Il secondo elemento sul quale l’Europa dovrebbe puntare, riguarda la

formazione del personale militare e civile che, secondo i francesi, dovrebbe essere

comune a tutti gli Stati membri. Per questo motivo il Libro bianco della difesa

indica come strumenti concreti per la realizzazione di tale obiettivo la creazione di

un centro permanente di formazione e di gestione delle crisi, nonché di un

programma di scambio in materia di sicurezza e difesa149.

Nel documento strategico francese viene inoltre rilanciata la promozione di

un’industria europea della difesa e si considera che, dal momento che “la maitrise

nationale de toutes les capacités technologiques150” non è più alla portata del paese,

la Francia dovrà mantenere la sovranità su quelle capacità necessarie al

mantenimento della sua autonomia strategica e politica come la dissuasione

nucleare, il settore dei missili balistici, quello dei sottomarini d’attacco nonché la

sicurezza dei sistemi d’informazione. Per quanto riguarda invece l’insieme delle

altre capacità e delle tecnologie che la Francia intende acquisire, si considera che

debba essere il quadro europeo quello privilegiato.

Questo rilancio della cooperazione industriale in Europa implicherebbe

inoltre, secondo la visione dei francesi un’analisi comune dei bisogni militari, non

dettata dalle esigenze incontrate soltanto da alcuni paesi, il rafforzamento

dell’azione dell’Agenzia europea della difesa, che di fatto ha lanciato una serie di 149 In occasione del vertice informale di Deuville tenutosi il 1° e 2 ottobre 2008 nell’omologa cittadina, il Ministro degli Esteri francese ha parlato del possibile lancio di un Erasmus militare, un programma di scambio per completare la formazione nonché promuovere la specializzazione di militari provenienti dagli Stati membri dell’Unione europea. 150 Cfr. Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale in www.premier-ministre/gouv.fr.

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iniziative concrete in occasione dell’incontro di Deuville ed infine l’elaborazione di

regole comuni per il mercato degli equipaggiamenti della difesa, obiettivo la cui

realizzazione sembra piuttosto lontana e difficile.

La Francia ritiene inoltre che l’Europa debba assumersi maggiori

responsabilità anche nell’assicurare protezione ai propri cittadini e a tal fine le

misure proposte nel Libro bianco sono, da un lato, il rafforzamento della

cooperazione contro il terrorismo e la criminalità organizzata anche attraverso

misure preventive151 , dall’altro lo sviluppo di una protezione civile europea dotata

di un suo centro operativo, di una forza europea di sicurezza civile e di un servizio

civico europeo.

Considerati gli elementi sui quali, secondo quanto stabilito nel Libro bianco,

l’Unione dovrebbe lavorare per acquisire maggiore credibilità, è quindi evidente

come la Francia voglia utilizzare l’occasione della sua Presidenza di turno

all’Unione per rilanciare la difesa e la sicurezza europea.

Questo documento, infatti, a differenza dei precedenti due Libri bianchi, non

si occupa soltanto di questioni legate alla difesa ma parla anche di sicurezza; tali

aspetti sono distinti tra loro152 ma, nonostante ciò, vengono entrambi richiamati nel

testo che, da un lato, ha una natura strategica, in quanto mira a definire quello che

sarà il ruolo della Francia negli anni a venire prendendo in considerazione anche la

sicurezza, “afin d’inclure l’ensemble des domaines qui concourent à l’organisation

de l’Etat face aux crises et qui peuvent affecter les intérêts fondamentaux de la

151 Tali misure preventive potrebbero essere rappresentate da una cooperazione operativa sia contro gli attacchi ai sistemi informatici sia contro gli attacchi alle frontiere. 152Cfr. C. Jean, Manuale di Studi Strategici, Franco Angeli, Milano 2004, pp. 37 e ss..

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nation 153”; dall’altro ha carattere programmatico, dal momento che si tratta di una

dichiarazione, comprendente anche indicazioni operative, prodotta da un paese che

ha sempre spinto per il rilancio della difesa europea154 e che pertanto, in vista anche

del suo riavvicinamento alla NATO, non può essere più temuto dagli altri partner

europei.

Il secondo aspetto su cui poggia la nuova strategia di Sarkozy è il

riavvicinamento della Francia alla struttura integrata.

Dopo aver chiarito che nell’era della globalizzazione “[…]les enjeux de

securité[…]sont tels, que chacune (organisation) peut jouer son role, avec ses

méthodes et ses moyens propres155”, il Libro bianco precisa che la NATO e l’Ue

non hanno vocazione a farsi concorrenza in materia di sicurezza e di difesa in

quanto si tratta di due strutture diverse. La complementarietà tra le due

organizzazioni, pertanto, dovrebbe essere fondata sul “valore aggiunto” e sulla

peculiarità di ciascuna entità.

La NATO è l’organizzazione di difesa collettiva che unisce l’America del

Nord e l’Europa per fronte a gravi rischi d’aggressione ma essa dovrebbe

ugualmente dotarsi degli strumenti necessari per contrastare le nuove minacce che

potrebbero affliggere gli alleati; dall’altro lato, l’Unione, ha un carattere unico in

quanto è in grado di mobilitare una gamma completa di strumenti156 per

fronteggiare una determinata crisi e pertanto non può essere considerata, in maniera

153 Cfr. “Les principaux objectifs du nouveau Livre blanc”, in Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale in www.premier-ministre/gouv.fr. 154 L. Marta, “La sicurezza francese nella Nato e nell’Ue: la nuova strategia di Sarkozy” in Affari internazionali, 26 giugno 2008. 155 Cfr. “Une relation transatlantique rénovée” in Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale in www.premier-ministre/gouv.fr. 156 Militari, umanitari, diplomatici, finanziari.

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semplicistica e riduttiva, come l’agenzia civile della NATO anche se ha ancora

molti passi in avanti da compiere nel campo della gestione militare delle crisi.

Dopo aver considerato che la NATO ha subito una serie di cambiamenti

importanti dopo l’emanazione del precedente Libro bianco157, la Francia fa notare,

tuttavia, che esistono ancora delle difficoltà nella struttura integrata legate

soprattutto al dibattito sulla definizione delle missioni, sull’allargamento e sulla

mancanza di uomini e di mezzi per organizzare delle operazioni.

Il Libro bianco propone pertanto una “ricetta” sulla quale dovrebbe basarsi il

nuovo dibattito in seno al futuro della NATO, riprendendo temi molto cari alla

Francia: un’analisi comune delle nuove minacce da fronteggiare; una migliore

ripartizione delle responsabilità tra gli Americani e gli Europei ed infine una

razionalizzazione delle strutture di comando e di pianificazione.

Se da un lato quindi Parigi percepisce dei miglioramenti nella struttura

integrata ma soprattutto si rende conto che l’isolamento non rappresenta la

soluzione migliore per la République, dall’altro non rinuncia alla sua tradizionale

“anomalia” neanche quando annuncia la sua intenzione di rientrare all’interno della

NATO.

Il documento strategico elaborato per volontà di Sarkozy, infatti, precisa che

un nuovo riavvicinamento alla struttura di comando della NATO dovrà rispettare

alcuni principi fondamentali della difesa francese e in particolar modo dovrà

assicurare il mantenimento di una “pleine liberté d’appreciation des autorités

157 Si fa riferimento in particolare all’allargamento della NATO a 26 e presto a 28 o 29 membri, allo sviluppo di operazioni multinazionali, alla realizzazione di partenariati con paesi appartenenti a numerose regioni del globo e l’inizio di una fase di ristrutturazione delle sue strutture volta ad adattare l’organizzazione alle nuove forme di conflitti.

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politiques françaises158, la totale indipendenza nucleare della Francia e la libertà

d’impiego delle forze.

Per quanto riguarda la prima condizione posta dalla Francia, questo significa

che la piena partecipazione della République alla struttura integrata, non implicherà

l’automatico invio di truppe nazionali in operazioni della NATO; con riferimento al

secondo limite posto alla reintegrazione francese nell’alleanza militare, viene invece

ribadita la necessità di preservare il carattere di “potenza nucleare” della Francia159

sia in termini di capacità che in termini di strategia. Infine ciò che viene precisato

nel Libro bianco, è che nessuna forza francese sarà posta sotto il comando della

NATO in tempo di pace.

Nicolas Sarkozy è tuttavia convinto del fatto che il riavvicinamento dell’Ue e

della Francia alla NATO costituisce la conditio sine qua non per il rilancio di una

politica di difesa comune: “Je souhaite que dans les prochains mois nous avancions

de front vers le renforcement de l’Europe de la défence et vers la rénovation de

l’Otan et donc de sa relation avec la France. Les deux vont ensamble. Une Europe

de la défence indépendente et une Organisation atlantique où nous prendrions toute

notre place160”.

158 Cfr. “Une relation transatlantique rénovée” in Livre blanc sur la défense et la sécurité nationale in www.premier-ministre/gouv.fr. 159 Il riferimento all’indipendenza nucleare della Francia ha ormai un carattere piuttosto simbolico ma essa rappresenta un elemento imprescindibile della difesa francese. 160 Discorso di Nicolas Sarkozy in occasione dell’apertura della 15esima Conferenza degli ambasciatori, Parigi, 27 agosto, in www.elysee.fr.

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Questa considerazione è frutto di un’attenta valutazione politica che da anni

è maturata all’interno del quadro politico francese e che è confluita oggi nelle

posizioni di due famiglie principali: gli européistes e i bruxellistes161.

I primi, raggruppano tutti coloro che ritengono che l’Europa della difesa

costituisca di fatto l’alpha e l’omega della politica francese di sicurezza.

Gli europeisti incarnano pertanto una visione realista delle relazioni

internazionali nella consapevolezza che “à l’heure de la disparition des blocs, à

l’heure où seuls les grands ensembles régionaux peuvent espérer exister dans la

mondialisation, à l’heure de l’Union européenne, il serait vain de persister dans

une attitude néogaulliste 162”. Questa posizione è attualmente la più condivisa dai

partiti francesi e taglia, in maniera trasversale, i vari schieramenti politici163 anche

se con alcune varianti: i più realisti ritengono infatti che l’Europa possa essere un

moltiplicatore di potenza per la Francia, in grado di darle un’influenza superiore

rispetto alle sue forze; per gli altri, più “pacifisti”, l’Europa permetterebbe di

contenere le pulsioni nazionaliste che spesso emergono quando di parla di difesa ed

andrebbe a costituire l’avanguardia di una democrazia globalizzata.

161 Il dibattito relativo al ruolo che la Francia deve ricoprire all’interno della NATO é molto vecchio e risale ad un periodo precedente all’abbandono della NATO da parte della Francia. La vita politica francese si è tradizionalmente organizzata in tre famiglie con riguardo a questo tema: i néo-gaullistes, gli atlantistes, e gli européistes. Il primo gruppo è quello di più antica tradizione ed è rappresentato da coloro che considerano la NATO come espressione del potere americano e che pertanto ritengono che la Francia debba tenersi il più lontano possibile dalla struttura integrata. Politicamente questa famiglia raggruppa le due estremità dello scacchiere politico: comunisti a sinistra e lepénistes a destra sono i sostenitori più conosciuti di tale posizione anche se in realtà oggi l’indipendenza della Francia dalla NATO non rappresenta più un motivo di dibattito. Sul versante completamente opposto ci sono invece i cosiddetti atlantistes, coloro cioè che erroneamente vengono considerati come dei liberali tout court ma che in realtà pongono l’attenzione sulle questioni di politica e di sicurezza internazionale più che su quelle economiche ed assumono, in quest’ambito una posizione pro-americana. Per l’analisi delle altre due posizioni si veda il par. 2.1.1. 162 Cfr. O. Kempf, “Les Bruxellistes” in Défense nationale et sécurité collective, N° 1, 2008, p. 79. 163 Ci si riferisce in particolare ad alcuni esponenti dell’UMP e ad alcuni esponenti del PS. E’ opportuno precisare, tuttavia, che non tutti gli appartenenti a tali schieramenti politici, tuttavia, condividono queste posizioni.

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La grande novità risiede tuttavia nella comparsa di una nuova corrente,

quella dei cosiddetti “Bruxellistes”. Tra di essi vi sono molti esponenti della destra

ma ciò non toglie che anche dei rappresentanti politici legati alla sinistra ve ne

facciano parte. Ciò che contraddistingue questo nuovo gruppo e che merita

attenzione è un rinnovato pragmatismo e una ferma volontà di far mutare gli

equilibri attraverso l’adozione di strumenti nuovi.

Da quando l’idea di una reintegrazione della Francia nella NATO è stata

lanciata164, si è aperto un dibattito che è ancora in atto e che ha sostanzialmente

diviso il paese in due: da un lato vi sono coloro che ritengono che la NATO non

avrebbe più il ruolo centrale che ricopriva in passato e che gli altri Stati membri non

potrebbero comprendere che in realtà, rientrando a far parte della NATO, la Francia

rafforzerebbe la PESD; dall’altro lato vi sono invece coloro che si riconoscono

sostanzialmente in quanto sostenuto dal generale Bentégeat165, secondo il quale “si

la France normalise sa relation avec l’OTAN, les dossiers de la défence

européenne seront plus faciles à faire progresser166”. In realtà il nuovo Libro

bianco ha avuto il merito di riavviare un dibattito sul futuro ruolo della Francia nella

NATO ma parlare di un riavvicinamento del paese alla struttura integrata dipende

da quanto la République sarà in grado di rilanciare la PESD ; nel documento

strategico, infatti, non si parla del “quando” e del “come”167 avverrà questo

164 L’11 settembre 2007 il Ministro della Difesa francese Morin ha dichiarato a Tolosa la Francia aveva bisogno di “un changement de comportament politique […]au sein de l’OTAN” lasciando intendere, tuttavia, che una proposta concreta circa il riavvicinamento della Francia alla struttura integrata sarebbe stata lanciata dalla Commissione incaricata di redigere il Libro bianco della sicurezza e della difesa nazionale. 165 Il generale Bentégeat è l’attuale Presidente del CMUE. 166 Cfr. O. Kempf, “Les Bruxellistes”, op. cit., p. 83. 167 Sarkozy spera di completare il processo entro la fine del 2008, inizi del 2009 chiedendo in cambio che gli siano assegnati importanti posti di comando e che gli Stati Uniti accettino un maggiore autonomia europea relativamente allo sviluppo di capacità militari autonome. Cfr. R. Alcaro, V. Briani, A. Marrone, “Le

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rapprochement ma vengono soltanto enunciate le condizioni con le quali esso potrà

compiersi.

La reintegrazione della Francia nella NATO nei fatti è già avvenuta perché

sicuramente ad oggi la posizione che la République occupa all’interno della

struttura militare non è quella che il paese aveva in passato168. Poiché tuttavia,

l’approccio favorito attualmente dalla maggior parte dei francesi e dal suo

Presidente in primis, non é più volto a proporre un’alternativa tra l’Ue e la NATO

ma esso mira a rafforzare il ruolo della Francia nell’Unione europea e nella NATO,

é soprattutto sul versante delle iniziative europee in materia di PESD che la Francia

dovrà ricevere consensi e, nonostante le difficoltà derivanti dal no irlandese e dalle

possibili ripercussioni che esso avrà sull’entrata in vigore del Trattato di Lisbona,

essa sta facendo abbastanza anche se, soltanto cercando di equilibrare gli interessi di

tutti gli Stati membri, riuscirà ad ottenere consensi politici.

3.2 Europa e PESD: una visione americana

Al rilancio della politica europea di sicurezza e di difesa e agli impulsi dati a

questa materia dalla Presidenza francese al Consiglio europeo, si accompagna un

parziale cambio di orientamento degli Stati Uniti a sostegno di un maggior grado di

autonomia dell’Europa in tale settore.

politiche transatlantiche di Francia, Germania e Regno unito, in Osservatorio transatlantico, N°23, gennaio- febbraio- marzo 2008, in www.senato.it. 168 La Francia oggi contribuisce attivamente al budget e alle operazioni della NATO e ha negoziato per un centinaio di posti che le permettono di osservare i dibattiti all’interno della struttura. Quanto alla sua assenza dal Nuclear Planning Group e dal Defence Planning Committee è opportuno rilevare come questi ultimi due gruppi, in realtà, non rivestano più un ruolo centrale all’interno della struttura militare.

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Tale considerazione iniziale va tuttavia relativizzata ed è opportuno fare due

precisazioni.

In primo luogo, negli Stati Uniti non esiste una visione univoca riguardo alla

European Security and Defence Policy ma esistono diverse posizioni, espressione

dei numerosi dipartimenti dell’Amministrazione americana, del mondo accademico

e dei vari think tank che coprono lo spettro politico statunitense169.

Chantal de Jonge Oudraat170, ad esempio, individua tre scuole di pensiero

nella comunità politica degli USA che incarnano opinioni diverse circa lo sviluppo

di una politica di sicurezza e di difesa comune europea: gli skeptiks, i wary e i

cosiddetti conditional supporters. Quello che oggi spinge l’opinione pubblica a

parlare di un atteggiamento più favorevole da parte degli Stati Uniti nei confronti

dell’autonomia europea nell’ambito della security policy, é dovuto essenzialmente

al fatto che, nonostante le tre posizioni siano state sempre presenti, “dominance has

evolved among the three currents171”.

Gli skeptiks, come dice la parola stessa, sono convinti che in realtà la politica

di sicurezza e di difesa resti nelle mani dei decision makers dei singoli Stati membri

dell’Ue. Essi pertanto privilegiano le relazioni bilaterali poiché sono consapevoli

del fatto che alcuni Stati dell’Unione dispongono di capacità militari che si

differenziano, sia in termini numerici che in termini qualitativi, da quelle in

possesso di altri partners europei. Gli skeptiks fanno inoltre riferimento alle

mancanza di migliori capacità e alle ridotte spese militari da parte dell’Unione, 169 M. K. Metcalf, Major USA, Joint Staff Liaison to USEU – United States Delegation to the NATO Military Committe. 170 Chantal de Jonge Oudraat é Senior Fellow al Centre for Transatlantic Relations, SAIS, John Hopkins University e vice-pesidente del WIIS (Women in International Security). 171 C. de Jonge Oudraat, “U.S. Attitudes Evolve about EU Security Ambitions”, European Affairs Summmer/Fall 2007, in www.europeanaffairs.org.

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chiarendo che in realtà, per la maggior parte degli esponenti di questa corrente,

“ESDP is an irrelevant irritant 172”.

La seconda scuola di pensiero è rappresentata dai wary, coloro che, pur

riconoscendo gli sforzi che l’Europa sta compiendo per rafforzare la PESD, sono

turbati dall’atteggiamento di quei paesi europei, la Francia in primis, che ritengono

che lo sviluppo di una Politica europea di sicurezza e di difesa potrebbe essere lo

strumento per porre un argine allo strapotere americano e per contrastare un ordine

internazionale unipolare. I wary ritengono quindi che la PESD non farebbe altro che

esacerbare le differenze tra Stati Uniti ed Europa e duplicare le strutture della

NATO. Questa corrente era dominante verso la fine degli anni 90’ ed ha avuto un

nuovo seguito durante il corso della guerra in Iraq nel 2003; erano questi gli anni in

cui il ministro degli Esteri francesi Hubert Védrine affermava che la Francia non

poteva “accept either a politically unipolar world, nor a culturally uniform world,

nor the unilateralism of a single hyperpower. And that is why we are fighting for a

multipolar, diversified and multilateral world 173”.

Il terzo gruppo, infine, è quello rappresentato dai cosiddetti conditional

supporters. Si tratta di coloro i quali, sono consapevoli del fatto che l’Europa sta

compiendo dei passi in avanti in materia di politica di sicurezza e di difesa, ne

riconoscono i meriti, ma vogliono che questo progressivo sviluppo della PESD

avvenga “only on U.S terms174”. In questo senso essi favoriscono il rafforzamento

della difesa europea in quanto ciò renderebbe l’Europa un partner migliore e più

172 Ibidem. 173 H. Védrine, Ministro degli Esteri francese in, Address to French International Relations Institute, giugno 1998. 174 C. de Jonge Oudraat, “U.S. Attitudes Evolve about EU Security Ambitions”, cit.

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capace e permetterebbe agli alleati di fronteggiare i problemi relativi alla loro

sicurezza quando gli Stati Uniti non fossero in grado o non avessero intenzione di

intervenire. I sostenitori di questa corrente di pensiero ritengono inoltre che si

dovrebbe arrivare ad una divisione di compiti tra la NATO e l’Ue e che, mentre la

prima dovrebbe occuparsi delle “high-led missions”, all’Unione dovrebbe essere

affidata la fase di ricostruzione post-conflitto e di stabilizzazione.

Il filone dei conditional supporters rappresenterebbe oggi l’opinione

dominante anche nelle parole degli ufficiali statunitensi che sembrano essere

preoccupati non tanto dal fatto che lo sviluppo ulteriore della PESD possa

pregiudicare il ruolo della NATO e la sua influenza sull’Europa, quanto piuttosto

dal fatto che l’Unione non farà abbastanza, soprattutto dal punto di vista militare,

per dimostrare la sua intenzione di assumersi maggiori responsabilità e per

diventare un partner più credibile per gli Stati Uniti.

Nelle parole dell’ambasciatore statunitense presso la NATO, Victoria

Nuland, gli Stati Uniti “[…]need a Europe that is as strong and united as possible,

ready and willing to bear its full measure of responsability for defending our

common security and advancing our shared values […]Europe needs, the United

States needs, NATO needs, the democratic world needs – a stronger, more capable

European defence capacity175”. Il sostegno alla PESD tuttavia, nella prospettiva

dell’amministrazione statunitense, resta condizionato ai fatti e questi dimostrano

come, nonostante l’Europa stessa abbia percepito la necessità di un rafforzamento

175 Cfr. Discorso al Paris Press Club dell’ambasciatrice statunitense presso la NATO Victoria Nuland, febbraio 2008, in www.nato.usmission.gov.

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delle proprie capacità di difesa, i progressi concreti per sviluppare tali mezzi

procedono ancora a rilento.

Ciononostante le relazioni tra gli Stati Uniti e l’Europa sono sicuramente

migliorate rispetto alla rottura verificatasi nel 2003 a seguito delle divisioni

transatlantiche sulla guerra in Iraq.

Alcuni ritengono che in realtà la linea “bruxellista”, oggi prevalente in

Francia, sia appoggiata anche dall’altra parte dell’Atlantico e segni di fatto un

“revirement net de la politique américaine envers l’Europe de la défense176”.

Le motivazioni di tale cambio di orientamento nella percezione della PESD

da parte degli Stati uniti sarebbero, da un lato di natura militare, dall’altro di ordine

politico. Tra le cause del primo tipo rientrerebbero, in primo luogo, le difficoltà

incontrate dagli statunitensi in Iraq ed in Afghanistan: di fronte alla corruzione

dilagante e alle azioni di counterinsurgency gli statunitensi si sono dovuti arrendere

all’evidenza e al fatto che la superiorità militare, da sola, non avrebbe portato alla

stabilizzazione dell’area dal momento che quest’ultima deve avere come

precondizione la sicurezza che è ad oggi continuamente minata soprattutto in

Afghanistan; inoltre, l’altro fattore da tenere in considerazione, è che gli statunitensi

si sono resi conto che l’Europa della difesa ha ottenuto dei risultati e apprezza

l’impegno che essa dimostra in numerose operazioni; in particolar modo,

l’operazione EUfor CHAD è vista dagli americani come un’iniziativa molto

convincente dal momento che “l’ONU n’arrive pas à mettre en place sa mission

176 O. Kempf, “La nouvelle ligne américaine: oui à l’Europe de la défense”, in Défense nationale et sécurité collective, N° 4, 2008, p. 35.

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hybride au Soudan, et que l’OTAN a été incapable de convaincre les Africains de

venir dans la région, au-delà d’un soutien logistique éloigné et peu visible 177.

Per quanto riguarda invece le motivazioni di carattere politico che avrebbero

condotto a questo parziale rovesciamento di vedute statunitense a proposito del

ruolo della PESD, esse sono tendenzialmente tre: in primo luogo ciò che ha influito

sul “revirement” degli USA è stata la nuova “ligne bruxelliste” francese, accettata

da Washington; dall’altro lato la campagna elettorale statunitense, che si concluderà

prossimamente, ha visto i due candidati parlare di Europa e del ruolo che essa

dovrebbe assumere anche in materia di politica estera e di sicurezza per aumentare

la sua credibilità agli occhi degli USA; restano infine da considerare quali saranno

le posizioni che gli atri partner europei degli Stati Uniti adotteranno con riferimento

alla linea sposata da Sarkozy ma che, molto probabilmente, rifletteranno la tendenza

statunitense.

Il nuovo orientamento degli Stati Uniti, dettato da fattori di carattere politico

e militare, va tuttavia relativizzato in quanto da un lato evidenzia le luci e i successi

della PESD, dall’altro non manca di insistere sulle numerose ombre che ancora

oscurano la materia. A fronte delle ombre di cui si parlerà più avanti, l’America

propone delle soluzioni e delle indicazioni per mezzo delle quali gli Europei

possano dimostrare, non solo a parole, ma anche con i fatti, di essere dei partner

globali in materia di sicurezza e di difesa. L’altra considerazione che merita

attenzione riguarda il fatto che ovviamente le relazioni transatlantiche, nella visione

statunitense, devono continuare ad essere condotte accordando un’indiscutibile

primazia alla NATO. 177 Idem, p. 36.

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3.2.1 I successi della PESD nella percezione statunitense

Nonostante il no irlandese al Trattato di Lisbona, le innovazioni che esso

apporterebbe qualora entrasse in vigore, sono viste con favore dagli Stati Uniti che

le considerano dei nuovi strumenti in grado di rendere l’Europa un partner più

credibile, capace di comunicare meglio con gli USA e di coordinare più

efficacemente le loro azioni.

L’America sta cercando un’Europa che parli con una sola voce, come un

unico governo con un’unica politica estera; mentre trent’anni fa Henry Kissinger si

domandava chi bisognasse chiamare se si volesse parlare con l’Europa, ad oggi la

domanda che l’ex Segretario di Stato americano si pone è la seguente: “I think one

knows whom to call; I don’t think Europe has yet decided how to give answers to all

these questions178”. Nonostante gli Stati Uniti siano piuttosto ottimisti circa le

future relazioni con l’Unione e abbiano accolto con favore alcuni dei risultati

raggiunti in materia di PESD, quello che essi richiedono è un messaggio politico

solido e coerente proveniente dal Consiglio europeo e dagli Stati membri nel quale

venga altresì precisato il modo in cui una manifestazione di volontà scritta possa

essere trasformata in capacità operativa ed azioni.

Il Trattato di Lisbona, prevede, tra le altre cose che “the post of High

Representative for CFSP will be combined with that of vice-President of the

Commission thus bridging the gap between the Commission’s assistance and crisis

178 D. Bilefsky-B. Knowlton, “U:S. reaches out to a Europe that has yet to emerge”, in Financial Times, 27 aprile 2007.

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management179” e questa è, tra le innovazioni proposte dal Trattato di modifica,

quella che più è sostenuta dagli statunitensi in quanto permetterebbe di semplificare

e rendere più efficiente la comunicazione tra America ed Europa.

Per quanto riguarda invece le iniziative europee considerate positive da parte

degli Stati Uniti e che rappresentano ai loro occhi dei progressi compiuti nel campo

della PESD, l’esempio di cui spesso si parla è quello della creazione dei cosiddetti

Battlegroups ed in particolar modo il Nordic Battlegroup rappresenta, secondo gli

statunitensi, un esempio di buona cooperazione ed in generale un passo in avanti ai

fini del progressivo miglioramento delle capacità europee.

Il concetto di Battlegroups o gruppi tattici, venne lanciato nel 2004 dalla

Gran Bretagna e dalla Francia180 in un paper redatto con il contributo della

Germania “in parte per collegarsi ai piani NATO, e in parte anche per prepararsi

ad eventuali missioni ad alta intensità soprattutto in Africa181. Si trattava, nello

specifico, di rendere disponibili entro il 2007 un certo numero di battaglioni

composti da circa 1500 uomini ciascuno, mobilitabili entro cinque giorni e

spiegabili entro dieci, in grado di sostenere operazioni ad alta intensità nella loro

fase iniziale, prima di essere eventualmente raggiunti da forze di sostegno.

Nel giugno del 2004 il concetto di gruppi tattici venne approvato anche dal

Comitato militare dell’Unione europea e si stabilì che il numero iniziale di tali 179 H. Bentégeat, EU Military Committee Chairman, “The steps needed to move ESDP from theory to fact”, Europe’s World, Summer 2008, in www.europesworld.org. 180 L’idea di creare tali gruppi venne abbozzata in un primo summit tra i due paesi tenutosi a le Touquet nel febbraio del 2003 e venne successivamente resa più esplicita il 24 novembre 2004 durante un incontro bilaterale a Londra. In quell’occasione Francia e Gran Bretagna, sulla scorta dell’esperienza maturata durante l’operazione Artemis, fecero riferimento alla necessità di costituire “credible Battlegroup sized forces – of about 1,500 soldiers each with appropriate transport and sustainability […] so as to strengthen the EU rapid reaction capability to support United Nations’operations”. Cfr. “FRANCO- BRITISH SUMMIT LONDON, 24 NOVEMBER 2003 STRENGHTENING EUROPEAN COOPERATION IN SECURITY AND DEFENCE DECLARATION” in www.fco.gov.uk. 181 A. Missiroli - A. Pansa, La difesa europea, op. cit., p. 66.

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Battaglioni sarebbe stato di 13 e che, entro il 2007, l’Unione avrebbe raggiunto la

piena capacità operativa182.

Per quanto ad oggi i risultati prospettati nel 2007 sembrino difficilmente

realizzabili183, il concetto dei gruppi tattici europei segna, nell’ottica americana, un

esempio di effettiva trasformazione militare.

In particolare, gli statunitensi prendono come modello il Nordic Battlegroup

formato da Svezia, Finlandia Estonia e Norvegia. Nonostante non sia stato

impiegato infatti, tale gruppo tattico ha rappresentato “a catalyst for the entire

defence reform process […]”- e, secondo quanto affermato dal Comandante

Supremo delle forze armate svedesi, il generale Hakan Syrén – “the result that we

now see is something quite different from the reinforced mechanised battalion that

was the starting-point. It is now a flexible “force” with a modular composition184”.

L’ottenimento di questa forza “flessibile” ha richiesto significativi

cambiamenti per la Svezia tra i quali l’elaborazione di un nuovo concetto di

gestione del personale e delle risorse materiali, nonché nuovi programmi per il

comando, il controllo e la logistica. Gli Stati Uniti elogiano le modifiche promosse

da tale paese e ritengono che lo stesso approccio volto alla modernizzazione e alla

trasformazione delle forze in vista del raggiungimento di un obiettivo perseguito a

livello europeo, dovrebbe essere seguito dagli altri Stati membri dell’Unione ed

incoraggiato in questo senso dalle stesse istituzioni comunitarie.

182 Cfr. European Union Battlegroup Fact Sheet 2007, in www.consilium.europa.eu. 183 Attualmente rimangono dei dubbi circa la possibilità di trovare un secondo battaglione da impiegare durante il secondo semestre del 2009 e durante il secondo semestre del 2010 nonostante gli Stati membri abbiano annunciato la loro piena collaborazione al fine di raggiungere una Full Operational Capability, così come annunciato il 1° gennaio del 2007. Cfr. “The EU Battlegroups” in www.europarl.europa.eu. 184 Cfr. Hakan Syrén, “Turning an idea into reality - The Nordic Battlegroup ready for deployment”, 26 novembre 2007.

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Un altro segnale incoraggiante che è stato colto dagli Stati Uniti deriva dalla

velocità con la quale l’Unione è riuscita a decidere circa l’invio di una missione di

osservatori in Georgia per permettere l’applicazione dell’accordo in sei punti

negoziato da Nicolas Sarkozy con i due protagonisti del conflitto scoppiato

nell’agosto del 2008185.

Il fatto che nel giro di circa due settimane l’Ue sia stata in grado di adottare

una soluzione e l’abbia resa operativa già a partire dallo scorso ottobre, è una

dimostrazione del fatto che i paesi europei stanno effettivamente ricercando delle

soluzioni comuni in materia di politica estera di sicurezza e di difesa, anche se resta

ancora molto da fare in questo campo.

Sul piano formale è stata altresì guardata con approvazione la redazione del

Piano sullo Sviluppo delle Capacità dal momento che questo documento, adottato

nel luglio del 2008, rappresenta di fatto uno strumento che dovrebbe consentire

all’Agenzia europea della difesa, al Comitato militare e agli Stati membri di

approdare più facilmente a delle decisioni, di stimolare la loro cooperazione ed

infine di promuovere il lancio di “nouveaux programmes fedérateurs qui répondent

aux lacunes presente et futures de l’Ue186”. Gli Stati Uniti stanno pertanto

percependo dei mutamenti da parte dell’Unione per ciò che attiene allo sviluppo

delle capacità militari ma sono altresì convinti del fatto che la PESD sia in grado di

esprimere solo un soft power.

Quello che appare importante sottolineare in questa sede, tuttavia, è che gli

americani sono in ogni caso certi che le carenze europee in termini di capacità

185 Così tra gli altri, M. Metcalf 186 Cfr. Background note: Military capabilities - September 2008, in www.consilium.europa.eu.

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continueranno, anche in futuro, a rappresentare un limite alla propensione degli

Stati membri ad offrire contributi significativi alle missioni PESD e a quelle NATO.

Sono indicative, per precisare questa posizione e per smorzare gli entusiasmi di

coloro che percepiscono il riconoscimento da parte statunitense di alcuni successi

della PESD come una completa disponibilità nei confronti di un’Europa della difesa

autonoma, le parole pronunciate, durante l’ultimo Summit della NATO a Bucharest,

da Condoleeze Rice, che meritano di essere qui di seguito riportate: “I want to be

clear: We have never been concerned that Europe will do much. The question is,

will Europe do enough for its own defence, particularly given declining defense

budgets in Europe and the importance of getting new expeditionary capability, new

mobile capability so that you can go to the fight quickly, or go to the peacekeeping

quickly? That’s really the concern.187”.

3.2.2 Le carenze della PESD: come risolverle secondo gli Stati Uniti

Quello che gli Stati Uniti richiedono all’Europa è una migliore capacità di

azione e con questa espressione si intende soprattutto azione militare.

Per l’America, un’Europa in grado di agire significa un’Unione in grado di

fare in modo che gli eserciti nazionali abbandonino la loro tradizionale concezione

della guerra come un processo statico e si adattino sempre più alle esigenze di

coprire grandi distanze in tempi rapidi dando un’enfasi particolare alla capacità di

spiegamento delle truppe sul territorio. Questo significherebbe, nella visione

187 Cfr. C. Rice, Press briefing Hadley/Rice al summit della NATO di Bucharest del 3 aprile 2008, in www.whitehouse.gov.

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statunitense, eguagliare almeno i deployability targets fissati dalla NATO in un

prossimo futuro, dal momento che per ora questi parametri non vengono rispettati

nemmeno all’interno della struttura militare integrata.

Oltre alle aree nelle quali l’Europa presenta delle carenze in termini

capacitivi, che si sono trasformate in problemi gestionali in teatri operativi difficili

come l’Afghanistan ad esempio188, gli Stati Uniti riconoscono che in Europa

un’ulteriore difficoltà deriva dal multinazionalismo e da parametri che variano da

Stato a Stato e che inevitabilmente creano delle difficoltà in termini di

interoperabilità.

Accrescere la capacità europea di agire significa aumentare l’interoperability

facendo in modo che gli assetts nazionali possano essere assemblati in modo tale da

soddisfare le specifiche esigenze della missione. La questione dell’interoperabilità

va al di là delle discussioni che mettono a confronto gli standards europei con quelli

della NATO ma sottolinea, piuttosto, l’esigenza di livelli simili di innovazione tra

gli eserciti nazionali europei in modo tale da poter lavorare insieme con una base di

partenza qualitativamente e quantitativamente superiore.

L’altro problema che l’Europa deve risolvere per agire in maniera più

autonoma in materia di difesa e per rafforzare le sue capacità, riguarda la necessità

di concepire meglio le spese militari e convogliarle in maniera più opportuna.

Soltanto pochi Stati europei che fanno parte della NATO rispettano il livello

minimo di spesa militare fissato al 2% del PIL e la maggior parte degli eserciti

europei sono ancora “configurati” per difendere i confini nazionali.

188 Nello specifico i militari statunitensi hanno parlato di necessari miglioramenti per quanto riguarda i seguenti settori: Tactical lifts, C4-ISR(Command, Control,Communications, Computers, Intelligence, Surveillance eReconnaissance), Aerial refuelling, Unmanned Aerial Vehicles e Force Protection.

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Quello che gli Stati Uniti richiedono all’Europa è, in primo luogo, un

aumento delle spese militari finalizzato alla modernizzazione delle forze europee

per condurre guerre al di fuori del proprio territorio e, in secondo luogo, una

migliore concezione di come debbano essere impiegati i fondi per la difesa,

argomento che è stato dibattuto a più riprese anche all’interno dell’AED nonché in

vari think tank internazionali. In particolare, uno studio condotto dall’International

Institute for Strategic Studies nel 2008 ha evidenziato come “there is an imbalance

in most countries’ spending, with too much being spent to maintain existing

infrastructure through personnel costs, and too little on investment in modern

equipment and, in particular, on research into future technologies189”.

Tuttavia, l’Europa non è un unico Stato e tutte le decisioni riguardanti

l’incremento delle spese militari vengono adottate dai singoli governi nazionali che

si stanno impegnando molto nella riforma della sicurezza a livello interno, ma che

destinano ancora risorse insufficienti al settore delle difesa.

L’approccio statunitense inoltre tende a ricordare agli europei che c’è

bisogno di evitare che si producano inutili duplicazioni di risorse tra gli Stati

membri considerato, come detto in precedenza, che questi hanno significativamente

ridotto le loro spese militari a partire dal 1990. Uno dei modi per conseguire questo

obiettivo è quello di gestire meglio la fase di procurement degli armamenti. Parte

del denaro si perde infatti nei farraginosi e lenti processi di acquisizione dei

programmi, rendendo molto più lungo anche l’accesso alle nuove tecnologie.

189 IISS Press Release for 2008 Strategic Dossier: European Military Capabilities. Building Armed forces for Modern Operations, in www.iiss.org.

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Anche se è vero che ci sono stati dei problemi nei programmi di

collaborazione tra gli Stati membri, questo sembra essere il modo migliore per

assicurare capacità su larga scala. Se ci fosse un migliore coordinamento degli

“equipment requirements” l’offerta da parte dell’industria in Europa potrebbe

strutturarsi in maniera più efficiente ma “because demand is fragmented” – dal

momento che i singoli Stati membri a volte, pur avendo bisogno degli stessi

equipaggiamenti, falliscono nel tentativo di cooperare - “the supplier base is also

fragmentated190”.

Nel riconoscere l’unicità della PESD per l’attenzione da essa conferita alle

missioni civili, come confermato dalla creazione a Bruxelles di una cellula di

pianificazione delle capacità civili nonché dai contributi di EUPOL Afghanistan ed

EULEX Kosovo, la proposta statunitense è quella di concentrare gli sforzi europei

in missioni civili di ampia portata in quanto ciò potrebbe di fatto consentire

all’Unione di trasformare i programmi civili nel “flagship mechanism” della PESD.

Gli Stati membri, tradizionalmente “gelosi” della loro politica di difesa, sono anche

restii a dispensare risorse economiche per condurre operazioni militari e questi due

elementi, inevitabilmente, rendono difficile adottare delle delibere per consensus; le

missioni civili, al contrario, godono di una maggiore approvazione sia da parte

dell’opinione pubblica, sia da parte del mondo politico e questo aspetto, insieme al

fatto che l’Europa è in grado di disporre di un’ampia gamma di strumenti che ad

esempio mancano ala NATO, dovrebbero spingere l’Unione a specializzarsi nella

gestione civile delle crisi.

190 Ibidem.

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Questo approccio consentirebbe sia alla NATO che all’Ue di agire in

maniera ottimale in uno specifico settore eliminando qualsiasi problema di

duplicazione, sovrapposizione dei compiti e via dicendo. Tale soluzione proposta

dagli Stati Uniti, tuttavia, non mirerebbe a far scomparire del tutto l’“Europa

militare” che pure con molte difficoltà sta nascendo e alla quale si sta cercando di

dare un impulso maggiore.

Tornando all’esempio precedente dei Battlegroups, bisogna sottolineare

come tali raggruppamenti tattici siano stati costituiti per conseguire un obiettivo

preciso e cioé rappresentare degli strumenti per la gestione delle crisi da impiegare

per un periodo limitato di tempo, anche in vista di operazioni ad alta intensità.

Questa specifica finalità, tuttavia, non dovrebbe impedire l’utilizzo dei

raggruppamenti tattici anche per altre operazioni che richiederebbero un’azione

immediata e rapida. Queste forze in effetti hanno come obiettivo quello di

accrescere l’influenza strategica europea ma soltanto se si dimostra che esse sono

reali, altrimenti sarebbe piuttosto difficile per gli Stati membri continuare a

giustificare le spese per il loro addestramento ed il loro equipaggiamento.

Come precisato dal Chairman del Comitato militare dell’Unione europea, il

generale francese Henri Bentégeat, infatti, “time passes and a concept without real

committment in the field may eventually raise suspicions about its relevance191”.

I gruppi tattici in effetti potrebbero essere utilizzati per l’evacuazione di

truppe o di civili in situazioni di emergenza oppure in esercitazioni atte ad

assicurare la loro velocità d’intervento invece che restare non-operativi per sei mesi

mentre gli Stati membri continuano a dispensare risorse per il loro mantenimento o 191 H. Bentégeat, “The steps needed to move ESDP from theory to fact”, cit in www.europesworld.org.

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il loro ulteriore sviluppo. Se i gruppi tattici nazionali o multinazionali venissero

effettivamente messi alla prova gli Stati membri si assumerebbero delle reali

responsabilità per preparare in maniera ottimale i loro Battlegroups; questa verifica

operativa, inoltre, consentirebbe all’opinione pubblica europea di realizzare che, se

vengono sopportate delle spese per la difesa, è anche necessario abituarsi all’idea

dell’eventuale spiegamento delle forze sul terreno.

Gli statunitensi sposano, da questo punto di vista, le opinioni di alcuni

europei i quali ritengono che i Battlegroups dovrebbero essere utilizzati con

maggiore efficacia perché rappresentano uno strumento in grado di rispondere alle

esigenze di rapidità e di emergenza che caratterizzano i nuovi conflitti post-guerra

fredda; anche se è ancora presto per valutare i contributi che i gruppi tattici

potrebbero dare alla PESD, “questions may arise if they are not used within a few

years of reaching Full Operational Capability192”

3.3 US-NATO-UE: Improving relations

Gli Stati Uniti e l’Europa sono “condannati” a restare alleati, continueranno a

essere fortemente dipendenti l’uno dall’altro e guadagneranno molto da questa

partmership193. Questa affermazione così categorica in realtà descrive con efferata

verità l’attuale relazione esistente tra queste due entità.

Sono almeno tre le ragioni che giustificano tale posizione. 192 G. Lindstorm, “Enter the EU Battlegroups” Chaillot Paper 97, EUISS, Febbraio 2007, p. 60. 193 Cfr. M. Reichard, The UE-NATO Relationship: a legal and political perspective, Ashgate, London, 2006, p. 36 e seg.

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La prima motivazione ha carattere negativo: anche se gli Stati Uniti e

l’Europa ricercassero altri alleati per fronteggiare le sfide che un mondo sempre più

imprevedibile sottopone loro, quali potrebbero essere le alternative?

Per gli Stati Uniti, l’alternativa potrebbe essere rappresentata dall’Asia, con i

suoi mercati in continua espansione e con la sua popolazione crescente; tuttavia,

nonostante i rapporti commerciali tra gli Stati Uniti e l’Asia siano ad oggi di gran

lunga superiori rispetto a quelli che gli USA intrattengono con l’Europa, gli

statunitensi concludono soprattutto accordi bilaterali con i singoli paesi asiatici dal

momento che questi ultimi sono profondamente diversi gli uni dagli altri, incapaci

di costituire un fronte comune e di rappresentare un partner “uniforme” per gli Stati

Uniti. A questo si aggiunga il fatto che gli USA presentano degli interessi militari e

strategici in quest’area e che, anche quelle realtà che potrebbero rappresentare, per

dimensioni e popolazione, dei partner globali per gli Stati Uniti, come ad esempio la

Cina, presentano in realtà troppe differenze politiche e culturali rispetto all’America

per potersi sostituire all’Europa. Risulta pertanto maggiormente auspicabile per gli

Stati Uniti “to have differences and difficulties with countries that have similar

values and traditions than with those who have a different world view

altoghether194”.

Dall’altro lato, l’alternativa per l’Europa potrebbe essere rappresentata dalla

Russia. Rientra nell’interesse europeo continuare ad avere buone relazioni con tale

paese, nonostante i recenti eventi in Georgia e l’attuale tentativo russo di

promuovere il recupero di un nazionalismo d’altri tempi. A dividere queste due

realtà, ancora una volta, è la differenza di valori che renderebbe impossibile 194 A. Lejins, cit. in M. Reichard, op. cit., p. 37.

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qualsiasi tipo di alleanza strategica stabile nel tempo. A questo si aggiunga che la

dipendenza energetica di molti paesi europei dalla Russia verrebbe utilizzata sempre

più da quest’ultima come uno strumento di politica estera e che alcuni Stati membri

dell’Unione si opporrebbero sicuramente ad una duratura e forte partnership tra

Mosca e Bruxelles.

La seconda motivazione per la quale l’Europa e gli Stati Uniti continueranno

ad essere fortemente dipendenti anche negli anni a venire ha carattere positivo ed è

tutta interna all’Ue. La NATO rappresenta ancora l’espressione più importante delle

relazioni transatlantiche dal momento che per almeno dieci anni ancora, nonostante

i progressi che l’Europa sta compiendo nel campo della difesa, quest’ultima sarà

dipendente dagli assets militari della NATO e attraverso la struttura integrata gli

Stati Uniti sopperiranno alla ritrosia di molti Stati europei ad impegnarsi in una

cooperazione più efficace in materia di sicurezza e di difesa.

La terza ragione, infine, è di natura economica: il 60% degli investimenti

diretti esteri negli Stati Uniti provengono dall’Europa e il 70% degli IDE europei

sono indirizzati in America; inoltre gli USA e l’Europa rappresentano insieme il

40% del mercato globale. Alcuni ritengono che la cooperazione economica in realtà

rimanga l’unico elemento “sano” della relazione US-UE in grado di reggere l’intera

alleanza transatlantica.

Alle tre motivazioni che sono state elencate se ne potrebbero aggiungere

delle altre in grado di giustificare la continuazione delle relazioni transatlantiche e

di spiegare come in realtà essa rappresenti ancora un dato imprescindibile.

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Fatta questa premessa bisogna tuttavia considerare come le relazioni

transatlantiche si siano deteriorate negli ultimi anni e come il seme della discordia

tra europei e americani, che molti ritengono essersi insidiato all’inizio della guerra

in Iraq, sia nato subito dopo gli attentati dell’11 settembre.

La solidarietà dimostrata dagli Stati dell’Ue agli USA a seguito degli attacchi

terroristici del 2001, sembrava essere scomparsa circa diciotto mesi dopo e questo

perché, di fatto, tale evento “produced the most sleeping reorientation of US grand

strategy in over half a century195”. Gli Stati Uniti cominciarono pertanto a

giustificare il mancato rispetto di alcune regole del diritto internazionale con la

necessità di rifugiarsi in uno stato di legittima difesa perenne; gli europei , dall’altro

lato, non si vedevano minacciati dalle armi di distruzione di massa e dal terrorismo

internazionale e non si rendevano conto del dramma vissuto in prima persona dagli

Stati Uniti.

La distanza nella percezione della politica e delle priorità globali tra i due

partners transatlantici crebbe nel momento in cui lo strumento più visibile della

solidarietà tra Europei e Stati Uniti dopo l’11 settembre, e cioè l’Art. 5 della NATO,

venne messo da parte dall’amministrazione Bush nella sua campagna contro Al-

Qaida e il regime dei Talebani in Afghanistan. Questa mossa generò disappunto tra

gli europei e soprattutto venne percepita come una minaccia al principio

dell’indivisibilità della sicurezza e come un elemento che avrebbe potuto segnare un

deterioramento definitivo nelle relazioni tra le potenze occidentali196.

195 Cfr. Council of Foreign Relations, Renewing the Atlantic Partnership, spring 2004, p. 2. 196 Durante il corso della Guerra Fredda, le potenze occidentali avevano attraversato alcune fasi durante la quali la loro solidarietà era stata messa in discussione. Si pensi ad esempio a Suez, al ritiro francese dalla struttura integrata e alla guerra dello Yom Kippur.

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Nonostante ci fossero state delle precedenti minacce alla relazione tra gli

alleati, durante la guerra in Iraq, fu la prima volta in cui non si riuscì ad individuare

un singolo nemico né un principio guida in grado di colmare le differenti posizioni

tra statunitensi ed europei riguardo al modo di risolvere tale emergenza, agli

strumenti da utilizzare per farvi fronte e alle cause alla base dello scoppio delle

ostilità197”.

Ciò che ha reso l’Iraq un capitolo piuttosto difficile e particolare nella storia

delle relazioni transatlantiche è il fatto che “it was the first major crisis within the

alliance to take place in the absence of an agreed-upon danger198.

Anzitutto Stati Uniti ed Europa dovrebbero impegnarsi per fare in modo che

l’Iraq rappresenti soltanto un caso isolato in quanto i valori condivisi a livello

transatlantico non possono e non devono essere spazzati via da un singolo

avvenimento e per evitare che ciò accada è necessario valutare con attenzione i

risultati che tale spaccatura ha prodotto ma soprattutto le cause che l’hanno

generata. In effetti, proprio sulla base delle lessons learned identificate a seguito di

tale divaricazione tra i paesi occidentali dovrebbero essere ripensate le relazioni

transatlantiche avuto riguardo ad alcuni elementi fondamentali.

In primo luogo, va precisato che nessuna alleanza può funzionare in assenza

di una strategia comune o in presenza di strategie concorrenti. Se durante il corso

della Guerra Fredda gli Stati Uniti avevano messo a disposizione degli alleati la loro

197 “Was it Saddam Hussein and his alleged weapons of mass destruction? Was it Osama bin Laden and al-Qaeda, perhaps in league with Saddam Hussein? Was it the Americans themselves, determined to strike out at any available target after the injuries they had suffered on 9/11? Was it the Europeans,who had remained complacent in the face of new danger? Was it the United Nations, which had oscillated between action and paralysis in dealing with the situation?” Cfr. Council of Foreign Relations, op. cit. p. 9. 198 Ibidem.

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grand strategy senza imporla ma ricercando il consenso degli altri partner

occidentali, le cose sono parzialmente mutate durante l’amministrazione Bush.

Nonostante nella nuova strategia elaborata dopo gli attentati dell’11

settembre fosse stata enunciata la posizione che gli USA avrebbero assunto

relativamente all’Iraq e alla difesa della sicurezza nazionale, “the Bush

administration […] failed to win the support of key NATO members199”.

Le ragioni di questo fallimento evidenziano la necessità di ripensare

l’alleanza transatlantica e questo implica un cambio di atteggiamento sia da parte

degli Stati Uniti, sia da parte dell’Europa.

Gli Americani, da un lato, dovrebbero cercare di riproporre l’approccio che

aveva caratterizzato le relazioni con i partners europei soprattutto durante il periodo

della Guerra Fredda, arrivando a comprendere fino in fondo che anche in

un’alleanza in cui le capacità militari sono distribuite non in maniera uniforme,

l’opzione dell’unilateralismo comporta dei costi superiori rispetto a quelli derivati

dalla ricerca del consenso; gli europei, invece, dovrebbero capire che il pericolo non

proviene da Washington, e che né un atteggiamento di chiusura nei confronti degli

Stati Uniti, né un tentativo di far fronte da soli alle minacce che provengono da più

parti, potrebbero preservarli dai rischi che attualmente essi corrono.

Sembra che in realtà, in quest’ultimo periodo gli Stati Uniti e l’Europa

abbiano effettivamente imparato molto dalla lezione irachena nella convinzione che,

ciò che è necessario, non è l’ottenimento di un consenso formale tra i partner

transatlantici, quanto piuttosto la ricerca di una direzione comune da seguire.

199 Cfr. Council of Foreign Relations, op. cit., p. 10.

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