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GAIO VALERIO CATULLO 1 I Carmina docta Il percorso è l’occasione per conoscere da vicino alcuni dei cosiddetti carminadocta, nome che si ricava dall’espressione utilizzata dallo stesso Catullo nel carme 65, quando parla delle doctae vir- gines, le Muse ispiratrici della sua poesia. In particolare vengono presentati brani di un epitala- mio (il carme 61), una porzione di epillio (il carme 64) e la traduzione di un poemetto compo- sto in greco da Callimaco (carme 66). Dalla lettura sarà possibile ricavare conoscenze di questo tipo di poesia “impegnata”, alla quale però non risultano estranei temi cari alla poesia catulliana, come la celebrazione del foedus e della fides. Si potrà inoltre osservare le modalità di utilizzo del mito, constatare il ricorrere di alcuni fondamenti della poetica ellenistica, esaminare il modo in cui i modelli letterari greci vengono variati dal poeta e adattati al pubblico romano. A. DIOTTI, S. DOSSI, F. SIGNORACCI, Res et fabula © SEI 2012 Pagine digitali LAT/ITA TESTO 1 Carmina 61 ITA TESTO 2 Carmina 64, 124-201 ITA TESTO 3 Carmina 66 Per le nozze di Torquato: un esempio di epitalamio Il carme 61 di Catullo è un epitalamio, vale a dire un canto nuziale, una specie di cantilena – il ritmo cantilenante è ottenuto anche grazie alla scelta metrica operata dal poeta, che utilizza versi brevi come i ferecratei e i gliconei – composto in occasione delle nozze di un amico, Lucio Manlio Tor- quato, con Vibia Aurunculeia. Il carme può essere suddiviso in cinque sezioni. La prima è un’invoca- zione ad Imeneo, il dio protettore delle nozze, e si sviluppa fino al v. 45. Segue un’interrogativa reto- rica («c’è un dio cui più si devono rivolgere gli amanti riamati?») che apre la parte dell’inno dedicata alle lodi del dio (vv. 46-75). La terza sezione deve immaginarsi cantata di fronte alla porta della casa della sposa, dove dobbiamo pensare sia giunto il corteo nuziale; essa è un’esortazione a che la sposa sia condotta a casa di Torquato (vv. 76-120). La quarta parte è quella che più di ogni altra si avvicina ai fescennini, infatti comprende battute salaci e allusioni piccanti, e dobbiamo immaginarla recitata dal coro mentre scorta la sposa a casa dello sposo (vv. 121-210). Infine l’inno si conclude con il tradizionale augurio di felicità e di fecondità agli sposi (vv. 211-235). Si riportano la prima sezione (vv. 1-45), parte della quarta (vv. 184-210) e l’ultima (vv. 211-235). Metro: gliconei e ferecratei 2ç6116ç2 2ç6116ç Collis o Heliconii cultor, Uraniae genus, qui rapis teneram ad virum virginem, o Hymenaee Hymen, 5 o Hymen Hymenaee, cinge tempora floribus suave olentis amaraci, Carmina, 61 TESTO 1

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GAIO VALERIO CATULLO 1

I Carmina doctaIl percorso è l’occasione per conoscere da vicino alcuni dei cosiddetti carmina docta, nome che siricava dall’espressione utilizzata dallo stesso Catullo nel carme 65, quando parla delle doctae vir-gines, le Muse ispiratrici della sua poesia. In particolare vengono presentati brani di un epitala-mio (il carme 61), una porzione di epillio (il carme 64) e la traduzione di un poemetto compo-sto in greco da Callimaco (carme 66). Dalla lettura sarà possibile ricavare conoscenze di questotipo di poesia “impegnata”, alla quale però non risultano estranei temi cari alla poesia catulliana,come la celebrazione del foedus e della fides. Si potrà inoltre osservare le modalità di utilizzo delmito, constatare il ricorrere di alcuni fondamenti della poetica ellenistica, esaminare il modo incui i modelli letterari greci vengono variati dal poeta e adattati al pubblico romano.

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Pagine digitali

LAT/ITA TESTO 1 Carmina 61ITA TESTO 2 Carmina 64, 124-201ITA TESTO 3 Carmina 66

Per le nozze di Torquato: un esempio di epitalamio Il carme 61 di Catullo è un epitalamio, vale a dire un canto nuziale, una specie di cantilena – il ritmocantilenante è ottenuto anche grazie alla scelta metrica operata dal poeta, che utilizza versi brevicome i ferecratei e i gliconei – composto in occasione delle nozze di un amico, Lucio Manlio Tor-quato, con Vibia Aurunculeia. Il carme può essere suddiviso in cinque sezioni. La prima è un’invoca-zione ad Imeneo, il dio protettore delle nozze, e si sviluppa fino al v. 45. Segue un’interrogativa reto-rica («c’è un dio cui più si devono rivolgere gli amanti riamati?») che apre la parte dell’inno dedicataalle lodi del dio (vv. 46-75). La terza sezione deve immaginarsi cantata di fronte alla porta della casadella sposa, dove dobbiamo pensare sia giunto il corteo nuziale; essa è un’esortazione a che lasposa sia condotta a casa di Torquato (vv. 76-120). La quarta parte è quella che più di ogni altra siavvicina ai fescennini, infatti comprende battute salaci e allusioni piccanti, e dobbiamo immaginarlarecitata dal coro mentre scorta la sposa a casa dello sposo (vv. 121-210). Infine l’inno si concludecon il tradizionale augurio di felicità e di fecondità agli sposi (vv. 211-235).Si riportano la prima sezione (vv. 1-45), parte della quarta (vv. 184-210) e l’ultima (vv. 211-235).

Metro: gliconei e ferecratei 2ç6116ç22ç6116ç

Collis o Heliconiicultor, Uraniae genus,qui rapis teneram ad virumvirginem, o Hymenaee Hymen,

5 o Hymen Hymenaee, cinge tempora floribussuave olentis amaraci,

Carmina, 61

TESTO 1

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flammeum cape laetus, huchuc veni, niveo gerens

10 luteum pede soccum; excitusque hilari die,nuptialia concinensvoce carmina tinnula,pelle humum pedibus, manu

15 pineam quate taedam. namque Vibia Manlio,qualis Idalium colensvenit ad Phrygium Venusiudicem, bona cum bona

20 nubet alite virgo, floridis velut enitensmyrtus Asia ramulisquos Hamadryades deaeludicrum sibi roscido

25 nutriunt umore. Quare age huc aditum ferensperge linquere Thespiaerupis Aonios specus,nympha quos super irrigat

30 frigerans Aganippe,ac domum dominam vocaconiugis cupidam novi,mentem amore revinciens,ut tenax hedera huc et huc

35 arborem implicat errans. Vosque item simul, integraevirgines, quibus advenitpar dies, agite in modumdicite «o Hymenaee Hymen,

40 o Hymen Hymenaee», ut libentius, audiensse citarier ad suummunus, huc aditum feratdux bonae Veneris, boni coniugator amoris. […]

Io Hymen Hymenaee io,185 io Hymen Hymenaee.

vos bonae senibus viriscognitae bene feminae,collocate puellulam.Io Hymen Hymenaee io,

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190 io Hymen Hymenaee. iam licet venias, marite:uxor in thalamo tibi est,ore floridulo nitens,alba parthenice velut

195 luteumve papaver. At, marite, (ita me iuventcaelites) nihilo minuspulcer es, neque te Venusneglegit. Sed abit dies:

200 perge, ne remorare. Non diu remoratus es,iam venis. Bona te Venusiuverit, quoniam palamquod cupis cupis et bonum

205 non abscondis amorem. Ille pulveris Africisiderumque micantiumsubducat numerum prius,qui vestri numerare volt

210 multa milia ludi. ludite ut lubet, et breviliberos date. Non decettam vetus sine liberisnomen esse, sed indidem

215 semper ingenerari. Torquatus volo parvulusmatris e gremio suaeporrigens teneras manusdulce rideat ad patrem

220 semihiante labello. Sit suo similis patriManlio et facile insciisnoscitetur ab omnibus,et pudicitiam suae

225 matris indicet ore. Talis illius a bonamatre laus genus approbet,qualis unica ab optimamatre Telemacho manet

230 fama Penelopeo. claudite ostia, virgines:lusimus satis. At boniconiuges, bene vivite etmunere assiduo valentem

235 exercete iuventam.

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O tu che abiti sul colle d’Elicona,figlio di Urania,tu che rapisci la tenera vergineper consegnarla al marito, o Imeneo Imene, o Imene Imeneo,cingi le tempie di maggioranaintrecciata in fiorite corone, gradevolmente odorosa,prendi festoso il velo color della fiamma, quaggiù vieni, quaggiù, calzando i piedi candidi come la neve nelle gialle scarpette,giulivo per una giornata di gioia, cantando fra noi gli inni nuziali con voce argentina,batti la terra col piede, con la manoscuoti la fiaccola fatta di pino.Perché con bell’auspicio Vibia si unisce a Manlio,bella come Venere, che vive sul monte Idalio,quando venne al giudice frigio; è una vergine di smagliante bellezza,come un mirto d’Asia con i teneri rami in fiore, che le ninfe Amadriadiper deliziarsenenutrono di stillante rugiada.Vieni dunque volgendo il passo fin qui;lascia gli antri aoniidella rocciosa Tespie,che la ninfa Aganippeirriga di fresca acqua di fonte,chiama alla casa la padrona di casa,innamorata del nuovo sposo,cingendole il cuore d’amorosa passione, come l’avvinghiata edera, errando qua e là, circuisce il tronco.Anche voi, tutte insieme, vergini illibate, per le quali un simile giorno è vicino, su cantate ritmicamente: «O Imeneo Imene,o Imene Imeneo»,perché, più volentieri, udendoche lo si invoca al suo compito, volga qui il passolui che è la guida della Venere onesta,lui che congiunge gli onesti amori.[…]

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L’Elicona è il monte tradizionalmente detto delleMuse; Urania è appunto una delle Muse, che secondo ilmito era madre di Imeneo; il padre invece era Apollo.

Il monte Idalio si trovava sull’isola di Cipro, vicino allacittà che portava lo stesso nome (Idalio), sede di un fa-moso santuario dedicato a Venere. Lì, secondo il mito, av-venne la consegna del premio alla dea più bella da partedi Paride, detto nel testo «giudice frigio».

2.

1. Le Amadriadi o Driadi erano originariamente le ninfedelle querce. Successivamente il nome passò a indicarele ninfe dei boschi.

Aonii è aggettivo che equivale a “beoti”. In Beozia, in-fatti, vicino al monte Elicona stava la città di Tespie, ci-tata poco dopo, e allo stesso luogo rimanda la citazionedi Aganippe, una naiade il cui nome era associato con lafonte omonima posta in prossimità dell’Elicona. Le Museerano chiamate anche Aganippidi, dal nome della fonte.

3.

4.

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Su, Imene Imeneo, su,su, Imene Imeneo.Voi, oneste consorti,onestamente sposate con anziani mariti, sistemate la giovine sul letto. Su, Imene Imeneo, su,su, Imene Imeneo.Ormai tu puoi venire, o marito; hai nel letto nuziale tua moglie, che splende nel visino fiorente come petali di camomilla o come scarlatto papavero.Anche tu, marito, mi siano testimoni i numi celesti, non sei meno bello. Venerenon si scorda di te. Il sole sta tramontando; affrettati, non indugiare.A lungo non hai indugiato;ora sei qui. Che Venere onestati abbia a proteggere, poiché ciò che tu concupisci lo concupisci dinanzi alla gente e non sei costrettoa celare il tuo amore onorato.Calcoli prima il numerodei granelli di sabbia africana o delle stelle lucenti, colui che vuole sommarele molte migliaia dei vostri giochi d’amore.Amatevi come v’aggrada e in poco tempo dateci figli. Non s’addice a un casato così antico restare senza figlioli, ma convieneche procrei di continuo.Voglio un Torquato piccolino che, dal seno della madre, tendendo le morbide manine,sorrida dolcemente a suo padrecon la boccuccia socchiusa.Sia somigliante a suo padre Manlio; sia riconosciuto facilmente da tutti, anche da chi non lo sa, e attesti col voltola fedeltà nuziale della madre.Tale sia l’elogio, che provenendoda una madre onorata attesti il lignaggio, quale è la fama eccezionale che,per la castissima madre, ancora oggi rimaneal figlio di Penelope, Telemaco.Sprangate le porte, o vergini.Lo scherzo è finito. Voi, coniugi onesti, vivete felici emettete alla prova il giovanile vigore compiendo assiduamente il dovere di sposi.

(trad. di F. Della Corte)

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Il lamento di Arianna abbandonata Il carme 64 è un epillio di argomento erotico-mitologico che, secondo i canoni della poetica callima-chea e neoterica, sostituisce il poema epico che non offre, proprio per la sua ampiezza, garanzia diaccurato labor limae. L’argomento è costituito dalle nozze di Peleo e Teti, esempio di amore felicefondato sul foedus e sulla fides, ma al suo interno, attraverso la tecnica alessandrina dell’ékphrasis,si inserisce la storia dell’amore infelice di Arianna e Teseo. La narrazione prende avvio dalla raffigu-razione che orna la coperta del talamo nuziale. L’immagine della fanciulla sola sul lido che scorge inlontananza la flotta di Teseo che si allontana veloce campeggia sulla coperta. La scena trova il suomomento culminante nel lamento di Arianna abbandonata dall’uomo a cui aveva salvato la vita sa-crificando quella del proprio fratello, il Minotauro.I modelli dell’eroina sono numerosi, dalla Medea euripidea abbandonata da Giasone a quella prota-gonista della tragedia di Ennio, fino alla protagonista del III libro delle Argonautiche di Apollonio Rodio.Dell’Arianna catulliana si ricorderanno a loro volta Virgilio nel tratteggiare la figura di Didone nel IVlibro dell’Eneide e nella narrazione - nel IV libro delle Georgiche - della vicenda di Orfeo ed Euridice,che costituisce un vero e proprio epillio, e Ovidio nelle Heroides. Una caratteristica comune dei carmina docta, in particolare di questo e del carme 68, è la capacità diCatullo di rendere soggettivo il mito, di proiettare i suoi sentimenti nella vicenda mitica, cosicché que-sti carmi non si distaccano molto dal resto del liber. A questo proposito è interessante istituire un con-fronto tra il lamento di Arianna (vv. 139-148) e il carme 70, appartenente alla terza sezione del liber.Le parole con cui Arianna lamenta la mancata fedeltà ai giuramenti da parte di Teseo ricalcano le pa-role con cui Catullo dichiara che non bisogna prestar fede ai giuramenti delle donne, che vanno scritti«sul vento e sull’acqua che porta via». La situazione è la stessa, anche se nel carme 64 lo sviluppo èpiù ampio rispetto alla concisione epigrammatica del carme 70, e il linguaggio più aulico. La diffe-renza sta nel fatto che nel carme 64 è Arianna a lamentarsi del comportamento dell’amato, mentrenel carme 70 è Catullo a dolersi della violazione della fides da parte di Lesbia. C’è dunque una chiaraidentificazione di Catullo in Arianna, entrambi sofferenti per l’infedeltà della persona amata, per la vio-lazione di quella fides di cui un tempo gli dei si facevano garanti e che ora è calpestata e offesa.

Narra la leggenda che ella smaniò col cuore in fiamme, spesso emise grida acute dal fondo del petto,e stravolta sovente salì sui monti scoscesiper spingere lo sguardo dall’alto sui flutti immensi del maree sovente corse incontro alle onde del mare increspato,sollevando sulle gambe denudate le morbide vesti,e mesta pronunciò queste parole fra i lamenti di morteed emise freddi singhiozzi col viso irrorato di lacrime: «Ah! così tu, traditore, toltami al focolare domestico,o traditore Teseo, mi abbandonasti su una spiaggia deserta? È così che tu fuggi, sprezzando la potenza dei numi,e dimentico, ahimè!, porti a casa i tuoi esecrati spergiuri? Nulla ha potuto piegare il proposito della tua mente crudele? Non avevi clemenzache inducesse il cuore snaturato ad impietosirsi di me? Non questo promettevi un giorno con parolesuadenti a me sventurata, non queste speranze infondevi;ma un lieto matrimonio, ma un bramato imeneo.Tutte promesse vane, che i venti ora disperdono all’aria.E non vi sia più donna che creda ai giuramenti di un uomo,

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Imeneo è sinonimo di nozze; si noti la ridondanza delle parole di Arianna, che ripete nel breve giro di un unicoverso il medesimo concetto («lieto matrimonio ... bramato imeneo»).1.

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che speri sincera la parola di un uomo:gli uomini, fino a che smania il capriccio di ottenere qualcosa, non temono di far giuramenti, non risparmiano mai le promesse; ma appena è saziato il piacere della voglia d’amore, non temono più le parole, non si curano dei loro spergiuri.Mentre tu eri afferrato dal vortice della morte,ti salvai, e senza esitazioni preferii che morisse il fratellopiuttosto di non esserti, o traditore, vicina nell’estremo pericolo; come ricompensa verrò data preda alle fiere e agli uccelli,e, morta, non avrò chi mi seppellisca con una manciata di terra. Qual è la leonessa che ti generò sotto rupe deserta,qual è il mare che ti concepì e ti gettò fuori dalle onde di spuma, quale Sirte, quale Scilla rapace, quale mostruosa Cariddi,perché così mi ricompensi di averti salvato la vita che amavi? Se davvero non pensavi a sposarmi, perché temevi i crudeli comandi del padre severo,avresti almeno potuto condurmi alla casa dei tuoi;come una schiava ti avrei servito, con giuliva fatica,delicatamente lavando nelle limpide acque i tuoi candidi piedi,stendendo sul tuo letto una coltre scarlatta.Ma perché invano mi lamento, impazzita per la sventura, volgendomi ai venti ignari, che, privi di udito,non possono ascoltare il messaggio, né rispondere a voce?Eccolo già arrivato nel mezzo del mare,mentre qui, su quest’alghe deserte, non si vede un essere umano.Così la sorte crudele, colpendomi oltre misura,nella mia ultima ora, non lascia che orecchio ascolti i lamenti. Giove, che tutto puoi, oh! Se mai fin dal principio le navi cecropie non avessero toccato le rive di Cnosso, e se, portando il tributo di morte all’invincibile toro, lo spergiuro nocchiero non avesse legato a Creta la gomena, e malvagio, mascherando sotto soavi apparenze intenzioni crudeli, non avesse riposato, ospite nella mia casa!Dove mi rifugerò? Misera, a quale speranza posso ora aggrapparmi? Salirò sopra i monti dell’Ida? Ahimè! Da questi mi separa l’ampio gorgo della minacciosa distesa del mare.Spererò nell’aiuto del padre? Fui io ad abbandonarlo,per seguire il giovane Teseo, che grondava ancora sangue del fratello!O mi posso consolare con l’amore fedele del marito?Ma non è lui che fugge, curvando nelle onde i flessibili remi?E poi è un litorale senza case; l’isola è deserta;e non si schiude una strada d’uscita, con le onde del mare che mi cingono; mezzo per fuggire non v’è; non v’è speranza; tutto è silenzio, tutto deserto, tutto si presenta funereo.Tuttavia gli occhi non mi diverranno languidi per la morte,né il mio corpo spossato smarrirà i suoi sensi,Prima che io tradita chieda ai celesti il giusto castigo,e ne invochi la divina protezione nella mia ora suprema.Voi, Eumenidi, che punite i delitti degli uomini, vendicandovi 5

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Sirte, Scilla e Cariddi sono tre punti ritenuti partico-larmente pericolosi dai naviganti. La Sirte si trova neipressi delle coste libiche; Scilla e Cariddi nello stretto diMessina, la prima sulle coste calabre, la seconda suquelle sicule.

L’aggettivo «cecropie» si riferisce al mitico re di AteneCecrope e indica le navi dell’ateniese Teseo.3.

2. Gli antichi conoscevano due catene montuose cheprendevano il nome di Ida; la prima, a cui fa riferimentoqui Catullo si trovava nell’isola di Creta; l’altra nei pressidi Troia.

Le Eumenidi sono le Erinni o Furie, dee della vendettafamiliare. La loro tradizionale iconografia le voleva conserpenti al posto dei capelli.

4.

5.

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con il castigo, voi che avete la fronte ricinta da una chioma di serpi, rivelatrici dell’ira che spira dal petto, qui, qui venite, udite i miei lamentiche misera, ohimè!, sono costretta ad emettere dalle mie intime fibre, priva di tutto, adirata, impazzita per l’amore che mi acceca.Poiché questi veraci lamenti mi escono dal fondo del cuore,voi non lasciate che le mie pene rimangano senza vedetta;ma come Teseo fu smemorato, nel lasciarmi qui sola, così smemorato, o dee, colpisca se stesso ed i suoi».

(trad. di F. Della Corte)

La Chioma di BereniceQuesto carme risale al periodo successivo alla morte del fratello e al ritorno a Verona, traduzione inlatino di un poemetto che Callimaco aveva composto tra il 246 e il 245 a.C. Si tratta di un lavoro fa-ticoso e impegnativo su più fronti. Innanzitutto, come dice lo stesso Catullo nel carme 65 (v. 16) concui egli dedicò la traduzione all’amico Ortensio Ortalo, si tratta di expressa carmina, cioè di «versi tra-dotti» non nel modo tradizionalmente seguito dai poeti latini, che preferivano vertere, cioè rimaneg-giare il modello originale, adattandolo a mentalità e costumi romani. Il verbo exprimere, infatti, de-nuncia la volontà di mantenersi il più possibile fedele ai contenuti e alla forma dell’originale greco.Così facendo, Catullo inaugura di fatto una nuova stagione nella storia della traduzione da opere gre-che; influenzato dai principi del neoterismo, egli esprime un’attenzione filologica nei confronti dei mo-delli ellenistici, che fino ad allora non aveva trovato posto a Roma. La fedeltà al testo callimacheo im-plica inoltre un esercizio attento dal punto di vista linguistico e retorico, in modo che l’aderenzaall’originale traspaia anche nell’eleganza formale della traduzione, nella precisione delle rifiniture,nell’esatto mantenimento dell’apparato erudito e dottrinale. Non a caso la scelta di Catullo cadde suCallimaco, considerato dai neoterici il campione della perfezione formale e il modello assoluto dilepos e doctrina.Il testo callimacheo, però, venne scelto da Catullo anche per un altro motivo. La vicenda di Berenice,che consacra un ricciolo della sua chioma agli dèi, per ottenere il ritorno dalla guerra del marito, di-venta simbolo di uno dei valori costantemente celebrati dal poeta veronese nei suoi carmi: la fides. A raccontare la vicenda, nell’epillio, è lo stesso ricciolo di capelli, che con toni enfatici tratta temi con-geniali alla poetica catulliana: la sofferenza d’amore, la fedeltà all’amato, la forza del legame coniu-gale. Si osservi la ricchezza di elementi eruditi, ripresi dal mito e mescolati alle conoscenze geogra-fiche dell’autore, intrecciati in forme eleganti che conferiscono raffinatezza al poemetto.

Chi distinse ogni luce del cielo infinitoe il sorgere e il tramonto scoprì delle stelle, e come s’oscuri lo splendore di fuocodel sole veloce, e in quale tempo s’allontanino gli astri, e come furtivamente, tenero amore sotto le rupi del Latmoattiri lontana Trivia dal suo aereo giro;quello stesso Conone scorse nella luce celeste 3

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Il Latmo è una catena montuosa tra la Ionia e laCaria, dove, secondo il mito, la Luna (che compare nelverso successivo col nome di Trivia) incontrava di nasco-sto il bellissimo Endimione.

La Luna era detta Trivia, perché identificata anche conArtemide (Diana per i Romani), ed Ecate (o Proserpina),signora degli Inferi.

2.

1. Conone di Samo fu un celebre astronomo, vissutoalla corte di Tolomeo III Evergete. Fu lui ad identificare ilricciolo della regina Berenice con un gruppo di stelleposto tra la costellazione del Leone e quella della Verginee a denominare questa nuova costellazione celeste«Chioma di Berenice», con intento adulatorio nei confrontidel sovrano.

3.

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me, chioma staccata dal capo di Berenice, chiara, lucente chioma che lei promisea molti dei, tendendo soavi le braccia,quando il re, ora potente per le nuove nozze,partì per devastare le terre degli Assiri,con il dolce ricordo delle lotte notturne, vinte forzando la purezza della vergine.Forse la nuova sposa odia Venere? O deludela gioia del padre e della madre con lacrimefalse alle soglie della stanza nuziale?Ch’io sia dimenticata dagli dèi, se quel pianto è vero. Questo, con molti lamenti, mi disse la reginaquando lo sposo partì verso tremende battaglie.E tu allora, sola, dicevi di non piangereil letto deserto, ma la triste partenzadell’amato fratello. Quale ansia profonda tormentava il tuo cuore. E cometremava il petto; e svanirono i sensi,o ti sfuggì la mente. Ma io so che fermo era l’animo tuo già da fanciulla. O la giusta vendetta più non ricordi, che nessuno più forte di te aveva osato,e per la quale ora sei regina? Ma che parole tristi tu dicevi salutando lo sposo,o Giove, e quante lacrime asciugava la tua mano! E quale Dio potente mutò l’anima tua? Forse gli amanti non possono vivere lontani dal corpo adorato? E allora, per il dolce sposo, per il suo ritorno, sacrificando un toro, mi promettesti agli dei. E in poco tempo conquistata l’Asia, il re l’unì alle terre dell’Egitto.E ora, accolta fra gli dei, io sciolgo il voto antico.lo non volevo, o regina, staccarmi dal tuo capo,non volevo: lo giuro per te e per la tua vita:e chi giura così, invano, abbia una giusta pena.Ma chi pretende d’essere uguale al ferro?Anche il monte famoso in riva al mare, il più altosu cui passa luminoso il figlio di Thia,fu tagliato, quando i Medi crearono un nuovo8

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La citazione degli Assiri vuole richiamare l’impresabellica condotta da Tolomeo III Evergete contro Seleuco,re di Siria (e quindi degli Assiri), nel 246 a.C., appenadopo le nozze con Berenice. È per propiziare il ritorno acasa dello sposo che Berenice sacrificò un ricciolo dellasua chioma, poi rapito in cielo dagli dèi e trasformato innuova costellazione.

Tolomeo III era in realtà il cugino di Berenice, figlia diMaga, re di Cirene, e di Apamane, a sua volta figlia di An-tioco I di Siria. All’atto delle nozze, la principessa portò indote al re egizio la Cirenaica. Sopravissuta al marito, ellaresse il trono d’Egitto in nome del figlio, Tolomeo IV, cheperò nel 221 a.C. la fece assassinare. Tolomeo III e Be-renice vengono definiti fratelli, nel testo catulliano, inomaggio alla tradizione egizia, secondo cui il faraone e lasua sposa erano identificati coi fratelli divini Osiride edIside.

5.

4. L’affermazione un po’ oscura richiama la vicendadella congiura ai danni di Demetrio, principe di Macedo-nia, in cui fu coinvolta la quindicenne Berenice. Lamadre di Berenice (Apamane) voleva imporre alla figliale nozze con Demetrio, che tra l’altro era l’amante dellamadre stessa. Ribellatasi al volere materno, Bereniceuccise Demetrio, risparmiò la vita di Apamane e sposòTolomeo.

Il figlio di Thia è il Sole, che aveva per padre Iperionee per madre, appunto, Thia.

Il monte di cui si parla è l’Athos, nella penisola Calci-dica. Durante la seconda guerra persiana, Serse fece ta-gliare l’istmo del monte Athos, ricavandone un canale checonsentisse all’imponente flotta dei Persiani (Medi) ditransitare più agevolmente.

6.

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mare e sulle navi i giovani barbari passaronoin mezzo all’Athos. E se monti così alticedono al ferro, come possono resistere le chiome?Stermina, o Giove, la razza dei Calibi,che primi, sotto terra cercarono vene del ferro e poi, ostinati, ne vollero piegare la durezza. Le trecce mie sorelle, separate da meda poco tempo, piangevano la mia sorte, quando il figlio dell’etiope Memnone, nato da lui solo, il cavallo alato di Arsinoe locrese, venne da me battendo l’aria con l’ali e, sollevandomi in volo per l’alteombre celesti, mi pose in grembo a Venere.E Venere stessa, abitatrice grecadelle rive di Canopo, mandò il messaggeroperché nel cielo divino fra le varie stellenon stesse ferma solo la corona d’orotolta alle tempie di Arianna, ma anche noi vi splendessimo, chiome promesse in voto,recise a un capo biondo. E fresca ancora di pianto la dea mi pose negli spazi, nuova stellafra le antiche. Ed io, sfiorando gli astri della Vergine e dell’ardente Leone, prossima a Callisto,volgo al tramonto, quasi come guida, prima del lento Boòte, che a stento s’immerge tardi nell’Oceano profondo. E se di notte io sento il passo dei piedi divini,e poi la luce mi rende a Teti biancheggiante, ora, con tua buona pace, o vergine Ramnusia,dirò la verità senza timore, pure se le stelle con aspre parole mi tormentino, dirò i segreti pensieri del mio cuore: che non tanto m’allieta

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I Carmina docta Pagine digitali

I Calibi sono una popolazione mitica delle coste delMar Nero. Secondo la tradizione avevano scoperto il ferroe affinato l’arte della sua lavorazione.

Memnone era il re d’Etiopia, che, secondo quantonarra il mito, corse in aiuto dello zio Priamo durante laguerra di Troia. Ucciso da Achille, ebbe da Zeus il donodell’immortalità. In una delle tanti versioni del mito,dalle ceneri di Memnone sarebbe nato un uccello, pro-babilmente uno struzzo, che nel testo catulliano sarebbeil «cavallo alato» incaricato di portare il ricciolo di Bere-nice in cielo. Un’altra interpretazione propenderebbe aidentificare nel «cavallo alato» il fratello di Memnone, Ze-firo.

Arsinoe II era moglie di Tolomeo II e madre di Tolo-meo III ed era venerata come una dea, con l’appellativo diArsinoe Afrodite, in un tempio posto sul promontorio Zefi-rio, vicino ad Alessandria. È a lei che Zefiro obbedisce,portando in cielo il ricciolo di Berenice. L’appellativo «lo-crese» usato da Catullo in riferimento ad Arsinoe non èchiaro, a meno che non lo si voglia riferire a Zefiro, dalmomento che gli abitanti di Locri, in Magna Grecia, eranodenominati «epizefiri», perché esposti ai soffi del vento.

Canopo è una città del delta del Nilo, a oriente diAlessandria.12.

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9. I versi si riferiscono alla corona d’oro che Arianna ri-cevette in dono da Dioniso e che poi fu mutata in costel-lazione celeste.

Qui si fa menzione delle tre costellazioni collocate vi-cino alla Chioma di Berenice: la Vergine, il Leone e Calli-sto. Quest’ultima è la più nota Orsa Maggiore. Narra in-fatti il mito che Callisto era una ninfa del corteo diArtemide, votata come tutte le compagna della dea allacastità. Sedotta da Zeus, venne trasformata dalla gelosasposa del dio, Era, nella costellazione dell’Orsa Mag-giore.

Ad ovest della Chioma di Berenice si trova un’altra co-stellazione, quella di Boòte, che si muove lentamente in-torno all’asse celeste. Essendo considerata la custodedell’Orsa Maggiore viene denominata anche Artofilace(che in greco significa appunto «custode dell’Orsa»).

Teti è una delle divinità ancestrali, simbolo della fecon-dità. Sorella e sposa di Oceano, gli partorì più di tremila figli(i fiumi della Terra) e altrettante figlie (le Oceanine). Nel testodi Catullo indica per metonimia il mare, in cui, secondo l’im-maginario collettivo, vanno a tuffarsi di giorno le stelle.

Ramnusia è l’epiteto dato a Nemesi, la dea della ven-detta, così denominata a causa di un santuario a lei de-dicato a Ramnunte, in Attica.

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la mia sorte, quanto mi duole d’essere lontana, per sempre lontana dal capo della mia regina, con la quale soltanto nel suo tempo di fanciulla fui senza profumi. Ma di quanti, poi, odorai! O voi che le torce nuziali unirono nel giorno sospirato, non abbandonate il corpo allo sposo scoprendo il seno, né levate la veste, senza prima versare a me i dolci unguenti del vasetto d’onice, i vostri profumi, o voi che onorate il casto letto delle nozze.Ma se alcuna s’abbandona ad altri amori,beva la polvere leggera le sue vane offerte:io non chiedo nulla alle donne senza fede;e voglio invece che sempre la concordia,o spose, e sempre amore abiti con voi.E se guardando gli astri, o regina, placherai Venere,tu, nei giorni solenni, non lasciarmi privadi sacrifici di sangue, ma a me dedicanumerose offerte. Riprendano le stelleil loro corso: e ch’io torni chioma di regina?E presso all’Acquario arda pure Orione!

(trad. di S. Quasimodo)

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Orione e l’Acquario sono due costellazioni tra loro molto distanti. Affermare che stiano vicino nel cielo allude forsea un impossibile sogno di sospensione di ogni ostacolo al compimento dei desideri umani.18.

RIEPILOGO DEL PERCORSO

1 I carmina docta hanno elementi che li distinguono dal resto del liber di Catullo:a sapresti dire quali temi affrontati nei passi proposti non trovano riscontro nei altri carmi delle altre se-

zioni?b quale funzione riveste il mito nei passi letti?

2 Anche nei carmina docta, tuttavia, ritornano temi già affrontati nelle altre sezioni:a quali sono questi temi? Quali di essi compaiono nei testi letti?b che significato ha trattare della fides in un contesto non lirico, ma epico?

3 Nel carme 66 quali elementi ti sembrano tipici dell’alessandrinismo? Ad esempio:a il poeta fa sfoggio di erudizione? In quali precise occasioni?b è presente il mito? In quali proporzioni (accennato di tanto in tanto, ribadito spesso...)?c è presente una certa ricercatezza nella costruzione delle frasi?d viene tenuto in conto il principio dell’eleganza formale? In quali passaggi si nota?

4 Concentrati ora sugli aspetti più propriamente letterari:a quali forme metriche hanno i passi letti?b quali dei testi letti hanno un modello nella letteratura greca?c come viene “romanizzato” il genere greco dell’epitalamio? d quali elementi propri dell’ellenismo riscontri nei testi letti? e quali sono invece gli elementi più specificamente neoterici?