appunti di biomeccanica aa 2011_12
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Prof.ssa M. Gabriella Trisolino
maria.trisolino@uniurb.it
A.A. 2011/12
APPUNTI di BIOMECCANICA
Laurea triennale, L-22
Obiettivi formativi
Il corso si propone di fornire allo studente nozioni specifiche delle leggi della fisica applicate al movimento umano e alla
meccanica muscolare, oltre alla conoscenza dei principi di funzionamento delle strumentazioni elettroniche per la
valutazione biomeccanica.
Programma
- PROGRAMMA LEZIONI TEORICHE
- Leggi della meccanica
- Contrazione muscolare
- Regimi di contrazione muscolare
- Meccanismi della forza
- Espressioni della forza
- Elettromiografia di superficie
- Principi di funzionamento delle strumentazioni
PROGRAMMA ESERCITAZIONI PRATICHE
- Analisi di uno SJ con misurazione simultanea della variazione della posizione e velocità del baricentro.
- Analisi di movimenti alla leg-press con misurazione simultanea della variazione angolare al ginocchio e della
velocità di spostamento del carico
- Costruzione di una curva F/V con esercizio alla panca
- Nozioni generali sulla piattaforma di forza e analisi di uno SJ, CMJ, Drop Jump eseguiti su piattaforma di forza
con misurazione della variazione angolare al ginocchio
- Analisi del segnale elettromiografico durante Drop Jump eseguito a diverse altezze di caduta, studio del
fenomeno del ritardo elettromeccanico, studio della relazione fra forza isometrica e segnale elettromiografico
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Modalità didattiche, obblighi, testi e modalità di accertamento.
Lezioni frontali e laboratori pratici
Testi: Testi di studio:
- Dispense fornite dal docente.
- S. J. Hall. “Basic Biomechanics”. McGraw-Hill 2007.
- V. Zatsiorsky, W. Kraemer – “Scienza e pratica dell’allenamento della forza”. Ed.
Calzetti Mariucci 2008.
- Bosco C. “LA FORZA MUSCOLARE. Aspetti fisiologici ed applicazioni pratiche”. S.S.S.
Roma, 1997.
Esame scritto ed orale
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BIOMECCANICA: definizione e prospettive
Dal 1970 la comunità scientifica internazionale ha adottato il termine di biomeccanica per
descrivere la scienza che si occupa dello studio delle proprietà meccaniche dei sistemi
biologici. Per sistemi viventi (biosistemi) intendiamo:
a) gli organismi completi (per es. l’uomo);
b) i loro organi, i loro tessuti ed anche i liquidi ed i gas in loro contenuti (sistemi interni
dell’organismo);
c) i raggruppamenti di organismi (per es. una coppia di acrobati; due lottatori).
La biomeccanica si divide in due grandi aree di studio:
� la micromeccanica che studia la struttura e le funzioni delle singole unità motorie;
� la macromeccanica che analizza la cinematica e la dinamica dei rapporti e delle
forze, esogene ed endogene, che interagiscono nel movimento in toto.
La biomeccanica utilizza gli strumenti della meccanica, branca della fisica che
comprende l’analisi e le azioni delle forze, e studia gli aspetti anatomici e funzionali degli
organismi viventi. Statica e dinamica sono le due maggiori sottobranche della meccanica.
La statica è lo studio dei sistemi che mantengono uno stato di moto costante, che è, sia in
quiete (senza movimento) o in movimento con velocità costante.
L’allenamento sportivo, sia rivolto verso lo sport di alto livello sia verso la semplice attività
sportiva, oggi non può più essere basato sull’empirismo, il suo posto è ormai stabilmente
occupato dai diversi rami della scienza, in particolare dalla fisica e dalla fisiologia.
Le leggi della fisica e della fisiologia nel movimento umano non possono essere
analizzate separatamente ma armonizzate tra loro, la biomeccanica ha il compito di fare
questo.
La biomeccanica studia i movimenti meccanico-fisiologici degli animali ed in particolare
dell’uomo.
L’uomo compie tutti i suoi movimenti per mezzo del sistema locomotore.
Il sistema locomotore può essere considerato come un insieme di motori (muscoli striati)
capaci di trasformare energia chimica in meccanica compiendo lavoro su di una macchina
4
(sistema delle leve ossee) che utilizza tale lavoro per promuovere il moto del corpo o di
sue parti rispetto all’ambiente esterno (G. A. Cavagna).
Lo scopo principale della biomeccanica è di creare le basi scientifiche della tecnica
sportiva, per poter applicare efficacemente le forze ed avere il miglior rendimento finale.
L’apparato muscolo-scheletrico
L’apparato locomotore dell’uomo, costituito dai muscoli, dallo scheletro, dalle articolazioni
e dai tendini, è il sistema biologico deputato a resistere alla forza di gravità e a produrre
movimento.
La muscolatura scheletrica, la cui contrazione dipende dal controllo cosciente, grazie alla
capacità di trasformare l’energia chimica in lavoro meccanico e calore, rappresenta il
motore del sistema. Il muscolo, sotto l’aspetto meccanico è caratterizzato da elevata
potenza relativa (rapporto peso/potenza) ed è capace di esprimere forze per unità di
superficie muscolare dell’ordine di 5-8 kg/cm2. La forza massimale che ciascun muscolo è
in grado di generare non è costante, poiché dipende anche dal suo grado di
accorciamento.
Se sottoposti a sforzi sistematici, i muscoli danno luogo a fenomeni di adattamento agli
stimoli esterni che, dal semplice miglioramento del tono muscolare (es. fitness) producono
uno stato di ipertrofia muscolare con aumento considerevole della forza (es. body building
e pesistica) in tutte le espressioni (forza massima, esplosiva, resistente, ecc.). Ricordiamo
che ad alti livelli di forza massima, sebbene non espressamente richiesti in ogni disciplina
sportiva, costituiscono un requisito essenziale posto alla base dell’allenamento di
qualunque altra manifestazione della forza muscolare.
I muscoli ricoprono pressoché interamente la superficie scheletrica alla quale
prevalentemente si inseriscono, contribuendo largamente a determinare, insieme allo
scheletro, la forma del corpo.
I muscoli presenti nel nostro organismo sono circa cinquecento, quasi tutti pari e
simmetrici. Si distinguono in muscoli delle regioni assiali e muscoli delle regioni
appendicolari. I primi comprendono i muscoli del dorso, della testa, del collo, del torace e
dell’addome. I secondi si distinguono in muscoli degli arti superiori (muscoli della spalla,
del braccio, dell’avambraccio e della mano) e in muscoli degli arti inferiori (muscoli
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dell’anca, della coscia, della gamba e del piede). I tendini, costituiti da tessuto fibroso a
fasci paralleli, hanno il compito di trasferire le forze muscolari alle ossa in determinati punti
di inserzione.
Lo scheletro, con funzione principale di sostegno, effettua continui cambiamenti nel corso
della vita (cambiamenti di forma, percentuale dei costituenti, proprietà meccaniche) per
effetto del costante rimodellamento osseo. Il fenomeno è favorito dall’esercizio fisico. È
noto, infatti che una persona che si sottoponga ad intensa attività muscolare, non solo
aumenta la massa e la forza dei propri muscoli, ma irrobustisce anche le ossa in risposta
alle maggiori sollecitazioni cui sono sottoposte. Nonostante la apparente staticità, quindi, il
tessuto osseo è in continuo rinnovamento attraverso incessanti meccanismi di
riassorbimento e neosintesi di tessuto che si svolgono nell’intero arco di vita. La funzione
dell’osso, oltre che statica, è anche metabolica, partecipando il tessuto osseo al
metabolismo calcio-fosforo. L’apparato scheletrico è costituito da ossa, cartilagini,
articolazioni. Il numero delle ossa, a sviluppo completo, dopo il 25° anno di età, è di poco
superiore a 200. Il tessuto osseo viene detto compatto se le lamelle ossee che lo
costituiscono sono stipate parallelamente formando strutture compatte e molto regolari,
oppure spugnoso se le stesse sono disposte formando trabecole irregolari, delimitanti un
labirinto di spazi intercomunicanti, detti midollari.
Nel tessuto osseo si riconoscono le cellule e una matrice intercellulare, organica e
inorganica. Alla matrice organica, fibre collagene soprattutto, l’osso deve la sua resistenza
alla trazione e alla compressione, mentre i costituenti inorganici sono responsabili della
sua durezza e rigidità. Nonostante tali caratteristiche, l’osso è molto leggero e questo
binomio tra massima resistenza e minor peso è dovuto alla sua composizione chimica e
alla sua mirabile architettura interna. in particolare, nell’osso spugnoso, le lamelle sono
orientate in modo da formare archi di resistenza alle pressioni, secondo un principio di
miglior sfruttamento del materiale.
Le articolazioni costituiscono le giunture tra i segmenti dello scheletro e ne permettono la
connessione stabile. Regolano inoltre direzione ed ampiezza dei movimenti agendo come
elementi passivi sotto l’azione della muscolatura striata volontaria.
La cartilagine articolare costituisce la superficie di contatto tra i capi articolari. Essa è più
spessa nelle articolazioni sottoposte a maggior carico e nei punti ove c’è maggior attrito.
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La cartilagine articolare si caratterizza per le sue elevate proprietà meccaniche di
resistenza ed elasticità.
La capsula articolare costituisce un involucro ermeticamente chiuso intorno alla cavità
articolare. Si distinguono in essa due strati:
uno esterno costituito da tessuto connettivo compatto, che in alcune zone si
irrobustisce notevolmente così da costituire strutture tendiniformi dette
legamenti. Essi contribuiscono alla stabilità della articolazione grazie alla loro
elevata resistenza alla trazione. I legamenti possono essere indipendenti
dalla capsula fibrosa e trovarsi sia all’interno della cavità articolare
(legamenti intrarticolari), sia all’esterno della capsula, per collegare tratti
scheletrici tra loro distanti;
uno interno, detto membrana sinoviale, costituita da tessuto connettivo
denso, che produce il liquido sinoviale, il quale umetta e lubrifica le superfici
articolari, rendendo possibili movimenti accompagnati da attriti interni molto
ridotti.
Bibliografia:
FIPCF. BIOMECCANICA SPORTIVA: teoria e applicazioni. S.S.S: Roma 2003
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LEGGI DELLA FISICA
Le leggi della fisica sono formulate in termini di grandezze fisiche, vale a dire di quantità
misurabili, caratterizzate da un valore numerico e da un’unità di misura.
Si definisce quindi una grandezza fisica una caratteristica di un corpo o di un fenomeno
che può essere sottoposta a misura, il cui esito sarà un numero corredato da una
corrispondente unità di misura. L’unità di misura può essere definita come la grandezza
assunta come campione che permette il confronto con una grandezza omogenea.
Una grandezza fisica è quindi una entità che si può misurare, confrontare e sommare con
altre della stessa specie. Es. lunghezze, massa, tempo, velocità, ecc.
Le grandezze, inoltre, possono essere scalari e vettoriali.
Si dicono scalari quelle caratterizzate pienamente dalla misura e unità di misura
(lunghezza, tempo, massa, energia, potenza, ecc.)
Si dicono vettoriali quelle per le quali bisogna dare anche direzione e verso (velocità,
accelerazione, forza, quantità di moto, ecc.)
Si possono avere due tipi di misure tra grandezze:
• Misura diretta
• Misura indiretta.
La misura diretta consiste nel confronto diretto fra la grandezza da misurare e una
grandezza ad essa omogenea assunta come unità.
Una misura si dice indiretta quando il valore della grandezza che si vuole determinare è
ottenuta eseguendo la misura di altre grandezze dalle quali dipende quella in esame.
Un esempio di misura diretta è quello della misura della lunghezza, essa viene eseguita
confrontando direttamente la lunghezza dell’oggetto in esame con un segmento di
riferimento definito “metro”, assunto come unità di misura.
L’esempio di una misura indiretta è quello della grandezza velocità. Essa è derivata dalla
misura di altre, sfruttando la relazione fisico matematica che la collega, precisamente dalla
lunghezza e dal tempo v = s/t.
Si deduce da questo che nell’insieme di tutte le grandezze fisiche è possibile definire
l’unità di misura di alcune di esse e derivare poi da queste le unità di misure delle altre
grandezze.
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Le grandezze la cui unità di misura è scelta indipendentemente dalle altre sono dette
grandezze fondamentali; le grandezze la cui unità di misura è derivata dall’unità delle
grandezze fondamentali si dicono grandezze derivate.
Le grandezze fondamentali sono sette (tabella 1).
Nella tabella 2 sono riportate alcune delle più importanti grandezze derivate ed utilizzate in
ambito sportivo.
Tab 1 grandezze fondamentali
Nome grandezza Nome dell’unità Simbolo corrispondente
Lunghezza Metro m
Massa chilogrammo kg
Tempo Secondo S
Temperatura Kelvin K
Corrente elettrica Ampere A
Intensità luminosa Candela Cd
Quantità di materia Mole mol
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GRANDEZZE Fisiche UNITA’ DI MISURA S.I.
Nome simbolo Nome simbolo
Velocità V mmeettrrii aall sseeccoonnddoo mm//ss
Spazio percorso SS MMeettrrii mm
Tempo (intervallo di) TT;; tt SSeeccoonnddoo ss
Accelerazione,
acc di gravità
aa,, gg MMeettrroo aall sseeccoonnddoo ppeerr sseecc.. mm//ss22
Forza FF NNeewwttoonn NN
Lunghezza LL;; ll MMeettrroo mm
Potenza PP WWaatttt WW
Massa MM KKiillooggrraammmmoo kkgg
Lavoro (=energia) LL JJoouullee JJ
Peso (forza di gravità) PP NNeewwttoonn NN
Angolo aa,,bb,, αααααααα,,,,,,,,ββββββββ RRaaddiiaannttee rraadd
Velocità angolare ωωωωωωωω rraaddiiaannttii aall sseeccoonnddoo rraadd//ss
Energia EE JJoouullee jj
Momento di una forza MM nneewwttoonn ppeerr mmeettrroo NN**mm
Frequenza FF;; ff,,νννννννν HHeerrttzz HHzz
Mole MMooll MMiilllliimmoollii mmmmooll
Tab 2 Grandezze fisiche
10
O
A
V
r
MECCANICA DEI CORPI
la meccanica è quella parte della fisica che studia il movimento dei corpi, per ragioni
didattiche è tradizionalmente divisa in :
1. statica: si occupa delle condizioni di equilibrio dei corpi;
2. cinematica: descrive il movimento dei corpi;
3. dinamica: studia le relazioni tra il movimento e le cause che lo producono.
Le applicazioni di biomeccanica utilizzano i concetti propri tanto della statica, quanto della
cinematica e della dinamica dei corpi. Molte delle principali grandezze fisiche usate
(velocità, accelerazioni, forze, momenti, ecc.) sono di natura vettoriale, esse obbediscono
ad un’algebra diversa rispetto a quella delle grandezze scalari comunemente note a tutti.
Per questa ragione, è necessario conoscere le principali operazioni con i vettori al fine di
potere applicare; con rigore scientifico, le leggi della meccanica allo studio dei gesti
sportivi.
Mentre le grandezze scalari sono caratterizzate soltanto dall’intensità, espressa mediante
un numero che ne misura la grandezza (es. massa, volume, tempo,ecc.).
Le grandezze vettoriali, invece, non vengono definite soltanto da un numero (intensità),
ma, per essere individuate e precisate in modo completo, richiedono anche una direzione,
un verso ed un punto di applicazione. Pertanto, le grandezze vettoriali vengono
graficamente rappresentate con dei segmenti orientati chiamati vettori. Appartengono alla
classe delle grandezze vettoriali gli spostamenti, le velocità, le accelerazioni, i momenti,
ecc.
il vettore (V)
la sua direzione (r)
verso >
il punto di il applicazione (O)
lunghezza segmento OA
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Sulle grandezze vettoriali si effettuano operazioni di tipo grafico, nelle quali, oltre
all’intensità del vettore, si tiene conto dei suoi parametri geometrici (direzione e verso). Tra
le numerose operazioni con i vettori, si ritiene utile, in questa sede, richiamarne due: la
somma tra vettori complanari e la scomposizione di un vettore secondo due direzioni
assegnate.
Somma di due vettori
Nel caso particolare che i due vettori giacciono sulla stessa retta (hanno quindi la stessa
direzione), la loro somma (R) si riduce ad una operazione algebrica tra i due moduli,
tenendo conto del verso fig.2
Fig.2 Somma di vettori di uguale direzione: a) vettori concordi; b) vettori discordi.
Nel caso, più generale che i due vettori abbiano direzione diversa (vettori concorrenti), la
somma dei due vettori si effettua con una semplice costruzione grafica che prende il nome
di “regola del parallelogramma”.
Il vettore risultante ( R ) è rappresentato in direzione, verso e intensità della diagonale del
parallelogramma costruito sui vettori di partenza.
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La figura 3 rappresenta una applicazione della composizione di due vettori concorrenti.
Fig. 3 Somma di vettori concorrenti.
Se i due vettori di partenza V1 e V2 sono tra loro perpendicolari, allora l’intensità della
risultante si può determinare con precisione matematica, applicando il teorema di
Pitagora:
R = 22 21 VV +
Scomposizione di un vettore secondo due direzioni assegnate
Ogni vettore può essere considerato come somma di due vettori, chiamati componenti.
Scomporre un vettore V secondo due direzioni, significa individuare i due vettori
componenti V1 e V2 agenti sulle direzioni assegnate 1 e 2, tali che la loro somma dia il
vettore di partenza.
Fig. 4 Scomposizione di un vettore.
I due vettori componenti V1 e V2 si ottengono conducendo dalla punta del vettore V la
parallela alla direzione 1 fino ad intercettare la retta 2, quindi conducendo dalla punta del
vettore V la parallela alla direzione 2 fino ad intercettare la retta 1. i vettori V1 e V2 trovati,
oltre ad avere le direzioni volute, ammettono come risultante il vettore di partenza V.
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Elementi di trigonometria
Di notevole importanza risulta in molti problemi fisici la conoscenza delle funzioni angolari.
Sono funzioni matematiche che associano un numero all’ampiezza di un angolo. In questa
sede ci limiteremo a definire il seno, il coseno e la tangente di un angolo.
Consideriamo una circonferenza che abbia il centro nell’origine degli assi di riferimento e
raggio pari a 1 (fig. 5).
Fig. 5 funzioni trigonometriche.
Si definisce seno dell’angolo α α α α l’ordinata del punto P cioè il segmento QP, inoltre si
definisce coseno dell’angolo α α α α l’ascissa di P cioè il segmento OQ.
Infine, definiamo la tangente di un angolo come il rapporto tra seno e coseno di
quell’angolo:
tgα = α = α = α = sen α / α / α / α / cos α α α α
α
r
P
Q O x
y
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Ricordiamo alcune proprietà notevoli dei triangoli che ci saranno utili nel prosieguo della
trattazione:
In un triangolo rettangolo la misura di un cateto è uguale al prodotto dell’ipotenusa per il
seno dell’angolo opposto al cateto o per il coseno dell’angolo adiacente al cateto stesso.
In un triangolo rettangolo la misura di un cateto è uguale a quella dell’altro cateto
moltiplicata per la tangente dell’angolo opposto al primo.
Richiamiamo alcune grandezze che trovano ampia applicazione nello studio dei problemi
della biomeccanica.
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La statica
Concetto di forza e suoi elementi.
In fisica si definisce forza ciò che è capace di deformare o di modificare lo stato di quiete o
di moto di un corpo. Semplificando, possiamo definire la forza come una spinta o una
trazione.
Classificazione delle forze in biomeccanica
Le forze interne sono forze che agiscono all’interno del soggetto o del sistema di cui
studiamo il movimento.
Il corpo umano è un sistema di organi, strutture, ossa, muscoli, tendini, legamenti,
cartilagine ed altri tessuti. Queste strutture esercitano forze le une sulle altre. Il muscolo
tira i tendini, che tirano le ossa. Nelle articolazioni, le ossa premono sulla cartilagine, che
spinge su altra cartilagine e ossa. Quando tirano le forze agiscono sulle estremità di una
struttura interna, le forze interne tirando producono forze di trazione, la struttura è in
tensione. Se le forze di spinta agiscono sulle estremità di una struttura interna, le forze
interne spingendo producono una forza di compressione, e la struttura è in fase di
compressione. Le forze interne tengono insieme gli elementi quando la struttura è in
tensione o in compressione.
Le forze esterne sono quelle forze che agiscono su un oggetto a causa della sua
interazione con l'ambiente che lo circonda.
Possiamo classificare delle forze esterne come delle forze
� con contatto
� senza contatto
La maggior parte delle forze sono delle forze di contatto. Queste si verificano quando gli
oggetti si toccano. Le forze senza contatto sono delle forze che si verificano anche se
gli oggetti non si toccano. L’attrazione gravitazionale della terra è una forza senza
contatto. Altre forze senza contatto includono delle forze magnetiche e delle forze
elettriche.
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Elementi che caratterizzano una forza:
� Intensità (valore della forza espresso in newton o kg).
� Direzione (è la linea lungo la quale la forza agisce. In ogni direzione vi sono due
sensi di spostamento).
� Verso (indica il senso proprio dello spostamento).
� Punto di applicazione (indica il punto materiale al quale è applicata la forza).
Nella figura 6 si evidenziano due forze (F1 e F2) con lo stesso punto di applicazione (p)
che agiscono nella stessa direzione (r) ma con verso diverso (verso della freccia).
Fig 6
MOMENTO DI UNA FORZA (o torque)
Si definisce momento di una forza rispetto ad un punto, un punto perpendicolare al piano
determinato dal punto e dalla forza, diretto verso l’alto se la rotazione avviene in senso
antiorario, verso il basso se la rotazione avviene in senso orario, e avente come intensità
il prodotto dell’intensità della forza per la distanza dal punto (fig 7).
Fig 7 Momento di una forza
M = F * b
FF11 FF22pp rr
PP bracciobraccio
FF
17
Fig 8
Nella figura 8 si evidenzia come al variare del braccio di leva si modifica il momento della forza, di conseguenza valori
diversi di forza creano equilibrio.
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Cinematica
La cinematica studia il moto senza tener conto né delle cause che l’hanno prodotto, né
delle caratteristiche dei corpi che si muovono. Per la cinematica non esistono corpi in
movimento, ma solo “punti” mobili. Un corpo, per quanto esteso e pesante, è considerato
un semplice punto materiale nel quale s’immagina concentrato tutto il corpo che si muove
in uno spazio.
Il moto di un punto materiale è determinato se è noto la sua posizione istante per istante.
Per determinare la posizione di un punto P occorre fissare un sistema di riferimento p.e. il
SISTEMA CARTESIANO. La posizione del punto è individuata da una terna di numeri (x,
y, z) chiamate coordinate del punto P.
Ogni corpo in movimento percorre una linea definita traiettoria, ossia l’insieme delle
posizioni successivamente occupate da un punto materiale nello spazio.
La traiettoria può essere rappresentata da una linea retta o curvilinea Fig 9.
Fig 9
Il moto di un punto lungo la sua traiettoria si studia considerando le posizioni che esso
occupa entro determinati intervalli di tempo. La distanza tra due successive posizioni si
definisce spazio percorso.
Al variare del tempo t varia anche lo spazio percorso s, per questo si dice che lo spazio è
funzione del tempo. La formula che esprime tale funzione si dice legge del moto e può
essere rappresentata anche graficamente, riportando il tempo e lo spazio in un sistema di
assi cartesiani Fig 10.
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Fig. 10 Nel diagramma spazio-tempo di un moto uniforme appare evidente la costante del rapporto s/t.
Premesso che un punto si dice in quiete se la sua posizione spaziale rimane immutata nel
tempo, si dice in moto se in tempi successivi occupa posizioni diverse, definiamo
traiettoria seguita dal punto l’insieme di queste posizioni occupate nel tempo.
Si definisce velocità media il rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato.
Nel Sistema Internazionale (S.I.) si misura in metri al secondo.
Vm = s/t
Dove s è lo spazio percorso; t il tempo impiegato.
Se la velocità è costante e la traiettoria è rettilinea il moto si definisce:
moto rettilineo uniforme.
Le formule inverse sono:
s = v * t per calcolare lo spazio
t = s / v per calcolare il tempo.
Naturalmente la velocità vera, istante per istante, potrà essere diversa dalla velocità
media.
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La cinematica tiene conto di quattro principali grandezze:
� Posizione (spazio)
� Velocità
� Accelerazione
� Tempo
e da questo si possono ricavare quattro principali tipi di MOTO:
� MOTO RETTILINEO UNIFORME
� MOTO UNIFORMEMENTE VARIO
� MOTO NATURALMENTE ACCELERATO
� MOTO CIRCOLARE
Moto rettilineo uniforme
Il moto uniforme è quello di un punto che percorre spazi uguali in tempi successivi uguali,
ad esempio dire che un corpo viaggia a 25 m/s significa che il corpo percorre 25 metri in
un secondo, 50 metri in due secondi e così via secondo un rapporto spazio-tempo che si
mantiene costante, tale rapporto è la velocità del corpo:
V = S/T numericamente riportato nella tab 3.
Spazio
m
Tempo
s
s/t
25
50
100
150
5
10
20
30
5
5
5
5
Tab 3
Dalla formula della velocità si ricava che lo spazio percorso corrisponde al prodotto della
velocità per il tempo: S = V * t.
21
La relativa formula sintetizza la legge del moto uniforme vale a dire “gli spazi percorsi sono
proporzionali ai tempi impiegati a percorrerli”.
Il moto rettilineo uniforme, il più semplice di tutti i moti, è molto importante in fisica poiché
è il moto di un corpo su cui non agiscono forze.
Un punto si dice in quiete, rispetto ad un sistema di riferimento se rispetto a tale sistema,
la sua posizione spaziale rimane immutata nel tempo, si dice in moto se in tempi
successivi occupa posizioni diverse, definiamo traiettoria seguita dal punto l’insieme di
queste posizioni occupate nel tempo.
Si definisce velocità media il rapporto tra lo spazio percorso ed il tempo impiegato.
Nel Sistema Internazionale (S.I.) si misura in metri al secondo.
Vm = s / t
Dove s è lo spazio percorso; t il tempo impiegato.
Se la velocità è costante e la traiettoria è rettilinea il moto si definisce:
moto rettilineo uniforme.
Le formule inverse sono:
s = v * t per calcolare lo spazio
t = s / v per calcolare il tempo.
Naturalmente la velocità vera, istante per istante, detta velocità istantanea, potrà essere
diversa dalla velocità media.
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Esercizi
a) Determinare la velocità media di un corridore che ha percorso i cento metri in 9.2 sec.
La velocità media sarà: Vm = s/t = 100/9.2 = 10.87 m/s.
b) Un atleta corre alla velocità di 7 m/s. Determinare quanto tempo impiega per coprire la
distanza di 3 metri.
Il tempo impiegato si calcola t = s/v = 3/7 = 0.43 secondi.
c) Nella corsa dei 100 metri due atleti, A e B, realizzano i tempi riportati nella seguente
tabella:
metri Tempi atleta A Tempi atleta B
10 1.87 1.81
20 2.95 2.88
30 3.86 3.77
40 4.74 4.65
50 5.60 5.54
60 6.44 6.40
70 7.29 7.27
80 8.12 8.11
90 8.98 9.00
100 9.84 9.87
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Calcoliamo il tempo parziale nei tratti di 10 m e la velocità media del tratto.
metri Tempo 10m velocità A (m/s) Tempo 10m velocità B (m/s)
0-10 1.87 5.3 1.81 5.5
10-20 1.08 9.3 1.07 9.3
20-30 0.91 11.0 0.89 11.2
30-40 0.88 11.4 0.88 11.4
40-50 0.86 11.6 0.89 11.2
50-60 0.84 11.9 0.86 11.6
60-70 0.85 11.8 0.87 11.5
70-80 0.83 12.0 0.84 11.9
80-90 0.86 11.6 0.89 11.2
90-100 0.86 11.6 0.87 11.5
Supponendo che l’atleta B nell’ultimo tratto di 10 m si sia mosso di moto rettilineo
uniforme, calcoliamo la distanza tra i due atleti al momento che il primo (A) tagliava il
traguardo.
Nell’ultimo tratto (90-100), nel tempo pari a 9,84- 9,00 = 0,84 sec. l’atleta B compie uno
spazio pari a v* t = 11,5 * 0,84 = 9,66 m che si aggiungono ai 90 metri già percorsi, per un
totale di 99,66 metri.
L’atleta A nel frattempo ha tagliato il traguardo dei 100 metri, pertanto la distanza tra i due
atleti sarà di 100-9,66 =0,34 m = 34 cm.
Nella pratica, spesso la velocità viene misurata in unità estranee al Sistema
Internazionale, esempio in Km/h. Occorre ricordare che per trasformare la velocità
espressa in m/s nella equivalente in Km/h, è necessario moltiplicare il numero per 3,6.
Esempio: un corridore corre alla velocità di 5 m/s. Determinare la sua velocità in km/h.
V = 3,6 * 5 = 18 km/h
Viceversa per trasformare i km/h in m/s occorre dividere il numero per 3,6.
Esempio: una palla da tennis viaggia alla velocità di 80 km/h. Determinare la sua velocità
in m/s:
v =80/3,6 = 22,2 m/s
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Moto uniformemente vario
Il moto vario è un moto che avviene con velocità variabile, tale variazione di velocità è
dovuta all’accelerazione.
Si parla di moto uniformemente vario poiché l’accelerazione è costante.
Per tenere conto della variazione della velocità si introduce un’altra grandezza fisica
fondamentale: l’accelerazione
L’accelerazione è la misura della variazione di velocità nell’unità di tempo.
Si chiama accelerazione l’aumento di velocità nell’unità di tempo,
si chiama accelerazione negativa, o decelerazione, la diminuzione di velocità nell’unità di
tempo.
a = v / t
v = a * t
t = v / a
am = (v2-v1) / (t2-t1) =
tv
ma ∆∆=
Un caso di particolare interesse di moto vario è il moto rettilineo uniformemente
accelerato: è quello di un corpo che si muove su una traiettoria rettilinea con
accelerazione costante.
Le formule che descrivono questo tipo di moto sono fondamentalmente due:
S = S0 + V0 * t + ½ * a * t2
V = V0+ a * t
a queste si può aggiungere
asvv 220 +=
che da la velocità finale quando non si conosce il tempo.
Dove:
S è lo spazio percorso
S 0 è lo spazio percorso all’istante iniziale
V0 la velocità all’istante iniziale
a è l’accelerazione
t il tempo
25
Quando S0 e V0 sono uguali a 0
2*2
1tas =
Da cui si possono ricavare le formule inverse:
a
st
2=
2
2
t
sa =
Esercizio
a) Una automobile parte con una velocità iniziale V0= 3 m/s e spazio iniziale S0 = 5 m con
accelerazione costante pari a 2 m/s2. Calcolare lo spazio percorso dopo 10 secondi e la
sua velocità finale.
Applicando la formula di cui sopra si ha:
S = S 0 + V0 * t + 2
1 * a * t2
S = 5 + 3 * 10 + 2
1* 2 * 102 = 5 + 30 + 100 = 135 metri
V = V0+ a * t
V = 3 + 2 * 10 = 3 + 20 = 23 m/s
b) Un bilanciere viene spinto verso l’alto partendo dal petto.
Considerato che viene accelerato con una accelerazione costante di 4 m/s2 quanto spazio
percorrerà in 0,5”
2*2
1tas = =
25,0*42
1= 25,0*2 = 0,50 m
26
c) Un bilanciere viene spinto verso l’alto partendo dal petto.
Considerato che viene accelerato con una accelerazione costante di 4 m/s2 quanto tempo
impiegherà per spostarsi di 38 cm.
a
st
2= =
4
38,0*2=
2
38,0= 19,0 = 0,43 s
Moto naturalmente accelerato
Un caso molto importante è quello della caduta dei corpi. Un corpo cade subendo
un’accelerazione di 9,81 m/s2 , il suo moto detto naturalmente accelerato.
L’accelerazione di gravità è indicata con “g” quindi g = 9,81 m/s2 .
Tutti i corpi cadono con la medesima accelerazione. Questo comporta, che raggiungano la
medesima velocità dopo un uguale intervallo di tempo dal momento della caduta. In altre
parole, la velocità di caduta è indipendente dal peso. Da questo si evince che la velocità
cresce proporzionalmente al tempo: V = g * t (fig 11).
Mediante la legge del moto naturalmente accelerato è possibile calcolare anche lo spazio
percorso durante la caduta, misurando il tempo impiegato a percorrere detto spazio. Si
può quindi affermare che gli spazi percorsi sono proporzionali al quadrato dei tempi
impiegati a percorrerli:
s = g * t2/2 (fig 11).
Fig 11 spazio percorso e velocità raggiunta di un corpo, soggetto alla forza di gravità in ciascuno dei 4 secondi.
Alla fineAlla fine
del 1° secdel 1° sec
Alla fineAlla fine
del 2° secdel 2° sec
Alla fineAlla fine
del 3° secdel 3° sec
Alla fineAlla fine
del 4° secdel 4° sec
m 4,9m 4,9
m m
19,6219,62
m m
44,1444,14
m m
78,4878,48
V=g=9,81 V=g=9,81
m/sm/s
V=2g=19,62 V=2g=19,62
m/sm/s
V=3g=29,43 V=3g=29,43
m/sm/s
V=4g=39,24 V=4g=39,24
m/sm/s
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Il moto di caduta dei corpi rappresenta un caso particolare di moto rettilineo
uniformemente accelerato. In questo moto la traiettoria è verticale e l’accelerazione
assume, sul nostro pianeta, il valore medio pari a
g = 9,81 m/s2.
La velocità raggiunta da un corpo che cade da un’altezza h quando arriva a terra
(trascurando la resistenza dell’aria), si calcola con la formula:
V = hg **2
Il tempo di caduta si calcola come:
t = V/g
Esercizio
Una palla è lasciata cadere dalla quiete da una altezza di 2 metri. Calcolare con quale
velocità arriva a terra e il tempo impiegato (trascurando la resistenza dell’aria).
V = hg **2
V = 2*8,9*2 = 2,39 = 6,26 m/s
Se vogliamo trasformare i m/s in km/h dobbiamo moltiplicare per 3,6,
quindi 6,26 * 3,6 = 22,5 km/h
Il tempo impiegato è dato da t = V/g = 6,26/9,8 = 0,064 secondi
Il peso del corpo è dato dalla somma vettoriale di due forze di natura diversa:
forza gravitazionale Fg = G * Mt * m/R2 =mg essendo
2R
GMg t=
forza centrifuga Fc = m* ω2∗ �R (trascurabile)
dove:
G è la costante gravitazionale universale = 6,67*10-11 22
Kg
Nm=
Mt è la massa della terra = 5,98 *1034kg
R è il raggio del pianeta = 6,38* 106m
m è la massa del corpo
ω è la velocità di rotazione del pianeta
srad /86400
2π= R
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Moto circolare
Il moto di un punto si definisce circolare quando la sua traiettoria è una circonferenza o un
arco di circonferenza.
Il moto circolare si dice uniforme quando il punto percorre archi uguali in tempi uguali,
vale a dire quando la velocità di rotazione è costante.
Nel moto circolare la velocità di rotazione si distingue in:
• Velocità angolare, indicata con ω
• Velocità periferica o tangenziale, indicata con V. (fig 12).
La velocità angolare è l’angolo descritto nell’unità di tempo; si esprime generalmente in
radianti/sec.
Un angolo di 1 radiante è dato da un arco la cui lunghezza è pari al raggio
1 rad = 57°17’44,8” (fig 13).
Fig 12 Fig 13
Ogni circonferenza è lunga 2 Π r, perciò un angolo di 360° vale 2π (6,28) rad.
Altro parametro da tenere in considerazione è il numero di giri che compie il punto sulla
circonferenza e se questi sono confrontati con il tempo si deve parlare di frequenza.
La frequenza è il numero di cicli compiuto in un secondo e si indica con f per questo la
velocità angolare si scrive ω = 2ΠΠΠΠf.
f si misura in Hertz, Hz o s-1
La velocità periferica o tangenziale, è la velocità posseduta da un punto M sulla traiettoria
circolare e si esprime in metri/sec. tale velocità è un vettore tangente alla traiettoria.
Tenendo conto anche della frequenza, la formula della velocità periferica di un moto
circolare diventa: v = 2π r f = ω r.
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L’inverso della frequenza prende il nome di periodo, si indica con T e corrisponde al tempo
impiegato dal punto mobile per compiere un giro.
fT
1= T si misura in sec..
Nei moti curvilinei (molto frequenti nell’apparato locomotore dell’uomo) è particolarmente
utile l’introduzione di una nuova grandezza, la velocità angolare, definita come rapporto tra
l’angolo descritto dal raggio vettore e il tempo impiegato.
ω ω ω ω (omega) = angolo descritto / tempo impiegato
essa si misura in radianti al secondo (rad/s).
il radiante (rad), unità di misura degli angoli molto usata in ambito tecnico, è definito come
rapporto tra l’arco rettificato e il raggio della circonferenza.
L’unità radiante è uguale all’arco che, rettificato, risulti uguale al raggio.
Esiste la seguente corrispondenza con i comuni gradi sessagesimali:
1 rad = 57,3° = 57° 17’
La velocità angolare (ω) è legata alla velocità lineare V dalla seguente notevole relazione:
V = ω ∗ R
Dove R rappresenta il raggio o la distanza del punto del centro di rotazione.
Dalla relazione V = ω ∗ R risulta che nei moti di rotazione la velocità (V) dei punti del
corpo cresce proporzionalmente alla distanza del centro di rotazione (unico punto a
velocità nulla).
Per quanto riguarda direzione e verso del vettore velocità, in generale occorre ricordare
che per qualunque moto curvilineo, la velocità è sempre tangente alla traiettoria come
illustrato nella figura 14
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Fig. 14 Vettore velocità
I movimenti consentiti dalle diverse articolazioni del corpo umano sono soprattutto di
rotazione. Conseguentemente le traiettorie seguite dai diversi punti sono curvilinee. Si
possono ottenere facilmente moti complessivi di traslazione su una retta come risultato
della composizione di più moti curvilinei elementari. Alzare un braccio verticalmente verso
l’alto comporta (es. distensione in alto con manubrio), l’esecuzione di due moti
sincronizzati di rotazione dell’avambraccio attorno al gomito e del braccio attorno
all’articolazione scapolo-omerale. Tutti i possibili moti di rotazione dei segmenti corporei,
inoltre, sono necessariamente incompleti in quanto non sono consentite rotazioni di 360°.
Esercizio
a) La velocità di rotazione della ruota di una bicicletta è pari a 160 giri/min. se il raggio
della ruota è pari a 35 cm, calcolare la velocità del ciclista.
Possiamo esprimere la velocità di rotazione in giri/h moltiplicarla per 60 (quanti sono i
minuti contenuti in un’ora):
Vr = 60 * 160 = 9,600 giri/h
Lo spazio percorso dalla ruota in un giro (in assenza di slittamento) è pari alla lunghezza
della sua circonferenza:
d = 2* 3,14* R = 2 * 3,14 * 0,35 = 2,2 metri
la velocità di traslazione del ciclista sarà:V = 9,600 giri/h * 2,2 m = 21,120 m/h = 21,1 km/h
b) Se in una leg-extension la leva viene spinta dalla posizione di 90° a quella di 180° in
2,0”, quanto varrà la velocità angolare media?
Spostamento = 90°
Tempo = 2,0”
Velocità angolare = .sec/45"0,2
90°=
°
Se trasformiamo in radianti avremo 57° 17”/45°= 1,27 rad/sec
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I moti su traiettorie curve sono sempre accompagnati da un accelerazione centripeta
diretta verso il centro di curvatura, dovuta alla variazione della direzione del vettore
velocità.
Ac = V2 / R
Dove R è il raggio di curvatura.
L’accelerazione centripeta si può esprimere anche in funzione della velocità angolare (ω):
Ac = ω 2 / R
Esercizio
Durante una gara di bob una squadra affronta una curva di raggio pari a 8 metri con una
velocità di 95 km/h. Calcoliamo a quale accelerazione centripeta si trovano sottoposti gli
atleti.
Trasformiamo la velocità espressa in km/h in m/s dividendo per 3,6:
V = 95/ 3,6 = 26,39 m/s
L’accelerazione centripeta risulta:
Ac = V2/R = 26,392 / 8 = 87,05 m/s2
Tale accelerazione è pari a quasi 9 volte l’accelerazione di gravità.
Se nel moto curvilineo si verifica una variazione del modulo della velocità, nasce inoltre
una accelerazione tangenziale (At = ∆v / ∆t) che si somma settorialmente alla
accelerazione centripeta (Ac = ω 2 / R), per ottenere l’accelerazione totale del corpo.
Riepilogando, i moti elementari che abbiamo analizzato sono:
• il moto rettilineo uniforme: è il caso di moto più semplice avvenendo su traiettoria
rettilinea con velocità costante. Si caratterizza per l’assenza di accelerazione di
qualsiasi tipo.
• Il moto rettilineo uniformemente accelerato: avviene su traiettoria rettilinea con un
accelerazione tangenziale costante. La velocità sarà variabile istante per istante. Se
l’accelerazione è positiva la velociotà aumenta nel tempo, se l’accelerazione è
negativa la velocità diminuisce e il corpo rallenta il suo moto.
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• Il moto circolare uniforme: si sviluppa su una traiettoria circolare con velocità, in
intensità, costante. Si caratterizza per la presenza della accelerazione centripeta.
A questi si aggiunge il moto di un proietto o proiettile che è il moto di un corpo lanciato
obliquamente nello spazio con data velocità, in assenza di resistenza dell’aria. Sono
molte le specialità sportive (pallacanestro, calcio, lancio del giavellotto, salto in lungo,
ecc,.) nelle quali, l’atleta o l’attrezzo, seguono il moto di questo tipo.
Si dimostra che la traiettoria descritta dal baricentro del corpo lanciato, trascurando la
resistenza dell’aria, è una parabola di equazione:
Y = X* tgθ - (g * X2) / ( 2* cos2θ* V2)
Fig. 15 Traiettoria del proiettile
La massima distanza orizzontale percorsa dal corpo si definisce gittata.
La gittata, si calcola con la formula seguente:
d = (V02 / g) * sen (2* θ)
dove:
V0 velocità iniziale
g accelerazione gravitazionale pari a 9,8 m/s2
θ angolo di lancio
La massima distanza orizzontale (dmax) si ottiene per un angolo di lancio θ pari a 45°
(in presenza di aria quest’angolo si riduce notevolmente).
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d max = V02 / g ( massima gittata teorica)
La massima altezza raggiunta dal corpo si calcola con la seguente formula.
h max = ½ * g * V0y2
avendo indicato con V0y la componente verticale della velocità iniziale:
V0y = V0 * sen θ
Passando dal caso teorico al caso reale, in qualunque tipo di salto la prestazione dipende
sia dalla velocità dello stacco che dall’angolo che il vettore velocità (applicato nel
baricentro del corpo dell’atleta) forma con il piano orizzontale. La parabola teorica,
deformata dall’azione frenante dell’aria, sarà più o meno alta o lunga a seconda della
combinazione di questi parametri.
Nei lanci (peso, giavellotto, martello e disco) la gittata dipende anche dall’altezza di rilascio
dell’attrezzo. Questa a sua volta dipende dalle caratteristiche individuali dell’atleta
(caratteristiche antropometriche, tecnica, ecc.).
Sia nei lanci che nei salti la traiettoria del prodotto del proietto dipenderà sempre dalle sue
caratteristiche aerodinamiche in relazione agli effetti del moto dei filetti fluidi che si
determinano attorno ad esso.
Esercizio a) Supponiamo che un atleta esegua un salto lungo 8,10 metri staccando da terra con una
velocità iniziale di 9,2 m/s.
calcolare la differenza tra il salto reale in presenza della resistenza del’aria e la gittata
teorica.
La massima gittata teorica risulta (per θ = 45°) :
d max = V2 /g = 9,22 / 9,81 = 8,63 m
la differenza 8,63 – 8,10 = 0,53 m = 53 cm, è da mettere in relazione con l’azione frenante
esercitata dall’aria sul corpo dell’atleta (attrito del mezzo).
34
b) un giocatore di pallacanestro esegue il lancio della palla con un angolo di 45° e la
deposita nel canestro a una distanza di 5 metri ad una altezza di 1,5 metri sopra la quota
di lancio. Calcoliamo la velocità iniziale della palla (fig.16)
Dai dati risulta che per x= 5 m il valore
dell’ordinata y deve essere pari a 1,5 m.
Tenuto conto che per θ = 45° si ha:
tg 45° = 1 e cos2 45° = 0,5
Fig.16 Parabola del pallone
sostituendo nell’equazione della traiettoria i valori si ottiene:
1,5 = 5 – ( 9,8 * 52) / ( 2 * 0,5 * V2)
Risolvendo rispetto all’incognita V si ha:
V =
5,3
245 = 8,36 m/s
35
L’equilibrio statico e la stabilità
La statica dei corpi studia le condizioni affinché un oggetto inizialmente fermo non si metta
in movimento e mantenga nel tempo la sua posizione (stabilità dell’equilibrio).
È necessario introdurre adesso il concetto fisico di forza, una grandezza di cui è facile
intuire il significato sulla base delle comuni esperienze del nostro vivere quotidiano. Se per
questa ragione il termine forza è molto diffuso nel linguaggio di tutti i giorni, dal punto di
vista fisico occorre riflettere sul fatto che la forza non è una proprietà dei corpi (come la
massa, la temperatura, la resistenza elettrica, ecc.) ma una azione che si esercita tra
corpi. Tale azione può esercitarsi tra corpi posti a contatto (es. forze di attrito, spinte, ecc.).
Le forze possono provocare due diversi tipi di effetti sui corpi sui quali agiscono:
• effetto statico se il corpo viene deformato
• effetto dinamico se il corpo subisce una accelerazione
Gli effetti statici delle forze sui corpi (deformazioni e stati tensionali) dipendono dalle loro
caratteristiche meccaniche.
Gli effetti dinamici delle forze vengono studiati in fisica (dinamica dei corpi). In questa sede
ci limiteremo soltanto allo studio dei principi della dinamica necessari alla comprensione di
alcuni problemi elementari che si riscontrano frequentemente in ambito sportivo.
In relazione alle precedenti osservazioni, dal punto di vista fisico, possiamo definire la
forza come una azione capace di deformare i corpi (effetto statico) o di variarne lo stato di quiete
o di moto (effetto dinamico).
Come già osservato in precedenza, la forza è una grandezza vettoriale. Essa pertanto
deve essere trattata con le regole dell’algebra vettoriale. Nel sistema internazionale di
misura la forza è espressa in Newton. Si definisce Newton la forza capace di imprimere
l’accelerazione unitaria (1 m/s2) ad un corpo di massa unitaria (1kg).
Considerato che nel linguaggio comune la forza sovente espressa in kg (peso),
ricordiamo, per le necessarie conversioni, che un kg corrisponde a 9,8 Newton.
1kg = 9,8 N
36
Nelle nostre applicazioni, spesso per semplicità, assumeremo che un kgp equivalga a 10
Newton.
Un caso particolarmente importante di forze parallele e discordi è quello in cui le forze
hanno uguale intensità. In questo caso il sistema ammette risultante nulla, però le due
forze non si fanno equilibrio. Se le applichiamo ad un corpo rigido, infatti, osserveremo che
esso si pone in rotazione. Un sistema siffatto prende il nome di coppia di forze. Si
definisce coppia di forze un sistema costituito da due forze parallele, discordi e di uguale
intensità. Si dice braccio della coppia la distanza (d) tra le due rette d’azione delle forze.
Si definisce, momento (M) di una coppia, il vettore perpendicolare al piano della coppia,
avente come modulo il prodotto della forza F per il braccio d:
M = F * d
diretto verso l’alto se la rotazione è antioraria e verso il basso se la rotazione è oraria.
Si definisce momento di una forza rispetto ad un punto un vettore perpendicolare al piano
determinato dalla forza e dal punto, uscente se la rotazione è antioraria, entrante se la
rotazione è oraria ed avente come modulo M = F * d
Fig. 17 Coppia di forze e momento
È evidente che il momento di una forza rispetto ad un punto non cambia se la forza trasla
sulla retta d’azione (in quanto il braccio non cambia), inoltre il momento si annulla solo se
il punto appartiene alla retta d’azione della forza (braccio uguale a zero).
37
Fig. 18 Momento della forza in posizioni diverse nel curl con manubrio
Nella figura è rappresentato il braccio flesso a 90° che sostiene un peso W (allenamento
dei bicipiti con manubri). Il momento resistente del peso rispetto al punto di rotazione (O) ,
che qui coincide con l’articolazione del gomito, è pari al prodotto della distanza (d) per il
peso W.
M = W * d
Il momento resistente varia con continuità come indicato nel diagramma in figura, in
quanto la distanza d non è costante ma varia da zero fino ad un valore massimo circa pari
alla lunghezza dell’avambraccio. Nella posizione A il momento resistente sarà Ma= W * da,
nella posizione B il momento resistente diventa Mb= W * db, conseguentemente la forza
che il muscolo dovrà sviluppare varia sensibilmente nelle diverse posizioni
dell’avambraccio nonostante il carico esterno (W) rimanga costante.
In realtà anche il braccio della forza muscolare (distanza tra la forza muscolare e il centro
istantaneo di rotazione) varia durante il movimento entro un certo intervallo di valori
possibili. Nelle analisi biomeccaniche complesse, caratterizzate da maggiore precisione di
calcolo, bisogna tenerne conto.
38
Per studiare le condizioni di equilibrio statico facciamo inizialmente riferimento ad un corpo
rigido (astrazione fisica), cioè un corpo che per ipotesi sia non deformabile ma che può
soltanto muoversi per effetto delle forze applicate.
Le equazioni principali della statica di un corpo rigido sono due:
� equilibrio della traslazione: risultante delle forze uguale a zero
� equilibrio alla rotazione: momento risultante uguale a zero.
In formule:
R = 0
M = 0
Dove per risultante (R) si intende la somma vettoriale di tutte le forze agenti sul corpo e
per momento (M) il momento risultante di tutte le forze calcolate rispetto ad un punto. Si
dimostra che qualsiasi sistema di forze agenti su un corpo rigido è sempre riconducibile ad
una forza risultante e ad una sola coppia.
Quindi la sola condizione risultante di tutte le forze agenti sul corpo sia uguale a zero non
è sufficiente a garantire che il corpo non si muova. Per la condizione di quiete occorre
infatti impedire che il corpo possa mettersi in rotazione. Perciò è necessaria anche la
seconda condizione:
M = 0
L’applicazione di queste equazioni risulta particolarmente utile sia nello studio delle leve
del corpo umano, sia al fine di individuare il complesso di sforzi interni che gravano sulle
ossa e sui muscoli, sia nella progettazione delle macchine utilizzate in palestra nel body
building. In quest’ultimo caso, grazie all’impiego di leve e pulegge (fisse o mobili) si
determinano opportune variazioni di direzione, verso e intensità della forza resistente, con
conseguente differenziazione delle condizioni di carico sui muscoli oggetto
dell’allenamento. L’uso di pulegge eccentriche (a braccio variabile) consente, inoltre di
modulare la forza nel corso del movimento in modo da sollecitare i muscoli con sforzi
variabili secondo precisi criteri biomeccanici.
39
L’impiego delle macchine, oltre che per una diversa modalità di allenamento, si differenzia
dall’uso (più antico) di pesi liberi (manubri e bilancieri) anche in relazione alle seguenti
valutazioni:
• Bilancieri e manubri: consentono movimenti più naturali in cui sono chiamati a
concorrere anche i muscoli fissatori, sviluppano la coordinazione e rendono
possibili anche esecuzioni esplosive.
• Macchine: consentono un maggior isolamento muscolare disimpegnando i muscoli
sinergici e fissatori e scaricando nel contempo le zone non interessate, comportano
una ridotta velocità esecutiva con movimenti standardizzati e poco naturali.
È nostra convinzione che l’uso alternato di entrambi i sistemi di allenamento (ambedue a
carico artificiale), oltre a rendere il lavoro in palestra più vario, giova ad un potenziamento
muscolare completo e dettagliato.
40
Macchine semplici
Si definisce macchina semplice qualunque dispositivo nel quale una forza motrice (F)
riesce ad equilibrare una forza resistente (R) antagonista avente caratteristiche di intensità
o di direzione diversa dalla prima.
Macchine semplici
Si definisce vantaggio di una macchina il rapporto tra la forza resistente e la forza motrice:
V = R/F
Si possono verificare tre casi:
a) se V> 1 la macchina si dice vantaggiosa (F< R)
b) se V =1 la macchina si dice indifferente (F=R)
c) se V < 1 la macchina si dice svantaggiosa (F>R)
Nel primo caso, in cui V >1, la forza motrice sarà minore della forza resistente, quindi la
macchina consente un vantaggio meccanico. Infatti con una forza F si riesce ad
equilibrare una forza resistente R maggiore di F.
Nel secondo caso, in cui V =1, la macchina si dice indifferente. La forza F sarà uguale alla
forza resistente R. La macchina , pur non conseguendo alcun vantaggio in termini di
intensità delle forze, riesce ugualmente utile in quanto consente di variare la retta di
azione della forza.
Nel terzo caso, in cui V<1, la macchina è svantaggiosa. Occorre una forza F superiore alla
resistenza per ottenere l’equilibrio.
Conoscendo il vantaggio V di una macchina, la forza motrice F necessaria ad equilibrare
la forza resistente R sarà:
F = R / V
Macchina
(V) F R
41
Pertanto in una macchina con vantaggio pari a 5, una resistenza di 20 kgp sarà equilibrata
da una forza attiva di 4 kgp.
Tra le macchine semplici, in biomeccanica assumo fondamentale importanza le leve. Esse
costituiscono il complesso delle catene cinematiche su cui si fonda la possibilità di
movimento dell’uomo. Le forze dovute alla contrazione muscolare, infatti, vengono
trasmesse alle diverse parti dei segmenti ossei attraverso un sistema di leve che ne
modifica l’intensità e la direzione.
Le leve del corpo umano risultano il più delle volte particolarmente svantaggiose
(V << molto minore di 1), in quanto i muscoli scheletrici, inserendosi in prossimità
dell’articolazione, hanno un braccio di leva molto corto. Ciò comporta una notevole
amplificazione degli sforzi muscolari rispetto alle resistenze da vincere (peso proprio,
carichi esterni, inerzie, attriti, ecc.) a fronte, però di una maggiore ampiezza e velocità di
movimento: minimi cambiamenti di lunghezza muscolare determinano, infatti, escursioni
significative all’estremità della leva ossea.
In definitiva, il risultato dell’azione muscolare sulle catene articolari si traduce nel
mantenimento di una posizione di equilibrio (compensando tempestivamente le numerose
possibili azioni destabilizzanti), ovvero, nella realizzazione di un movimento che può
caratterizzarsi non soltanto per l’entità della forza dinamica che esprime, ma anche per il
valore estetico o per perfezione stilistica del gesto.
La leva è una macchina semplice costituita da un corpo rigido generalmente
monodimensionale (con una dimensione prevalente sulle altre), capace di ruotare attorno
ad un punto fisso detto fulcro (O), al quale sono applicate le due forze antagoniste F ed R.
Si definisce braccio della potenza o della forza motrice (bF) la distanza esistente tra la
forza motrice (F)e il fulcro (O), analogamente si definisce braccio della resistenza (bR) la
distanza esistente tra la forza resistente (R) e il fulcro (O) ( vedi figura).
42
Fig. 19 leve di primo, secondo ,terzo genere
Il vantaggio di una leva si calcola eseguendo il rapporto tra il braccio della potenza e il
braccio della resistenza:
V = bF/bR
Anche per le leve distinguiamo tre casi:
a) se bF > bR, allora V>1 la leva sarà vantaggiosa (F<R)
b) se bF < bR, allora V < 1 la leva sarà svantaggiosa (F>R)
c) se bF = bR, allora V = 1 la leva sarà indifferente ( F=R)
qualunque sia il vantaggio di una leva, essa sarà in equilibrio se il momento della forza
resistente sarà uguale al momento della forza motrice. A seconda delle reciproche
posizioni occupate dal fulcro e dalle due forze antagoniste (R e F), le leve vengono
suddivise in tre gruppi:
43
Leve di primo genere (interfulcrata): se il fulcro è compreso tra la potenza e la resistenza
(es. forbici, tenaglie, ecc.). una leva di primo genere può essere vantaggiosa, indifferente
o svantaggiosa a seconda del rapporto bF/bR.
Fig.20 Leva di primo genere
Leva di secondo genere (interresistente): se la resistenza è compresa tra la potenza e il
fulcro (es. schiaccianoci, remo della barca, ecc). una leva di questo tipo è sempre
vantaggiosa in quanto bF>bR.
Fig.21 Leva di secondo genere
Leve di terzo genere (interpotente): se la potenza è compresa tra il fulcro e la resistenza
(es. pinzette). Una leva di questo tipo è sempre svantaggiosa in quanto bF< bR.
Fig.22 Leva di terzo genere
Esempi:
a) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in figura
bF = 60 cm, bR = 20 cm, R = 12 kg
Il vantaggio risulta:
V = bF/bR = 60/20 = 3 > 1 leva vantaggiosa
AA FF
RR bF = 60 cm bR = 20 cm
44
La forza F necessaria per vincere la resistenza R = 12 Kg sarà :
F = R/V = 12 /3 = 4 kg
Per equilibrare 20 Kgp occorrono 4 Kgp.
b) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in figura
bF = 50 cm
bR = 10 cm
R = 20 kg
Il vantaggio risulta:
V = bF /bR = 50/10 = 5> 1 leva vantaggiosa
c) calcolare il vantaggio e la forza attiva F nella leva indicata in fig.
bF = 5 cm
bR = 10cm
R = 8 kg
Il vantaggio risulta:
V = bF/bR =5/10 = 0,5 < 1 leva svantaggiosa
La forza F necessaria per vincere la resistenza R = 8 kg sarà:
F = R/V = 8/0,5 = 16 kg
AA
RR F
bF = 50 cm
bR = 10
20 kg
AA RR
F 5 cm 5 cm
45
Il BARICENTRO o centro di gravità o centro di massa
Nella biomeccanica delle azioni motorie, risultano di rilevante importanza l’ubicazione del
baricentro del corpo umano (punto di applicazione della forza peso) e i metodi (analitici o
sperimentali) per la sua determinazione. La posizione eretta risulta mediamente
individuabile in corrispondenza della seconda/terza vertebra lombare, varia sensibilmente
a seconda della disposizione geometrica dei segmenti corporei e dipende, in generale, da
alcuni fattori come l’età il sesso, l’attività sportiva praticata, la costituzione individuale.
Fig. 20
Se immaginiamo un corpo costituito dall’insieme di tante piccole particelle elementari
(atomi o molecole) ciascuna avente il proprio peso, possiamo definire il peso del corpo
come la risultante di tutte queste forze parallele applicate, alle singole particelle e il
baricentro come il punto di applicazione di detta risultante. Quindi il baricentro di un corpo
rappresenta il punto di applicazione della sua forza peso. Per alcuni corpi omogenei aventi
forma regolare, il baricentro coincide con il centro geometrico (es. corpo sferico,
parallelepipedo, ecc.), per altre figure più complesse è possibile individuarne la posizione
mediante la risoluzione di appropriate equazioni matematiche.
Il baricentro di una persona in posizione diversa da quella eretta può anche trovarsi fuori
dal corpo. Basti ricordare che il baricentro di una ciambella ricade nel suo centro
geometrico che è esterno al corpo stesso. La ricerca del baricentro di un corpo può essere
condotta sperimentalmente ovvero analiticamente, come nei casi che esamineremo in
seguito.
46
F G
P O d h
Equilibrio dei corpi appoggiati
Un corpo rigido appoggiato su un piano orizzontale, soggetto soltanto al proprio peso, si
mantiene in equilibrio fin tanto che la verticale condotta per il suo baricentro ricade
all’interno della superficie di appoggio. In questo caso il tipo di vincolo (appoggio),
garantisce l’equilibrio alla traslazione ma non necessariamente l’equilibrio per le rotazioni.
Fig.21
Fig.22
Fig.23
La condizione di equilibrio per un corpo appoggiato può essere turbata dalla azione di una
forza orizzontale applicata ad una certa altezza.
Con riferimento alla fig 24 indichiamo con:
• P il peso del corpo (applicato sul baricentro G)
• O il punto di possibile rotazione
• F un’azione orizzontale destabilizzante applicata al
baricentro
• h l’altezza del baricentro
• d la distanza tra il peso e il punto O Fig.24
47
Il peso del corpo esercita una azione stabilizzante nei confronti dell’equilibrio data dal
momento:
Ms = P * d (momento stabilizzante)
La forza esercita una azione destabilizzante il cui il momento vale:
Md = F * h (momento destabilizzante)
Ci sarà equilibrio alla rotazione se il momento stabilizzante è superiore ( al limite uguale)
al momento destabilizzante.
Fig 25 fig 26
Si definisce grado di stabilità al ribaltamento il rapporto tra i due momenti:
g.s. = Ms / Md
la condizione di equilibrio alla rotazione sarà espressa dalla disuguaglianza:
Ms / Md > 1 (al limite uguale)
Tanto più il grado di stabilità supera l’unità tanto maggiore sarà la stabilità dell’equilibrio al
ribaltamento del corpo.
La ricerca del baricentro nel caso di sistema costituito da due masse risulta di grande
semplicità. Considerando due masse M1 e M2 ad una certa distanza d.
Con riferimento al disegno indichiamo:
• d1 la distanza tra il baricentro e la massa M1
• d2 la distanza tra il baricentro e la massa M2
• d la distanza tra le masse (d= d1+ d2)
• G il baricentro del sistema (posizione incognita).
48
Fig. 27
Equazioni che consentono di individuare la posizione del baricentro, per un sistema
costituito da due masse, sono:
d1 = [M2/ (M1 + M2)] * d
d2 = [M1/ (M1 + M2)] * d
è facile verificare che per due masse uguali il baricentro si pone ad ugual distanza trai i
corpi, se invece le due masse sono diverse il baricentro si sposta verso la massa
maggiore.
Applichiamo le formule appena viste al caso di un
pesista che al termine dell’esercizio di slancio, ha
portato il bilanciere nella posizione di massima
altezza
Fig. 28
Indichiamo con:
Ma la massa dell’atleta (kg 80)
Mb la massa del bilanciere (kg 120)
d la distanza tra i due baricentri parziali (1m)
applicando le formule risolutive troviamo:
da = [Ma/ (Ma + Mb)]* d = [120/(80+120)] * 1 = 0,6 m
db = [Mb/ (Ma + Mb)]* d = [80/(80+120)] * 1 = 0,4 m
M1 M2 G
d1 d2
49
quindi il baricentro complessivo del sistema si trova 60 cm più in alto del baricentro
dell’atleta. Naturalmente è facile verificare che viene soddisfatta l’uguaglianza da + db = d
L’innalzamento del baricentro non giova alla stabilità dell’equilibrio in quanto riduce il
grado di sicurezza al ribaltamento.
Nel caso di un sistema costituito da tre masse (a,b,c), con riferimento agli assi cartesiani
XY, le formule per l’individuazione delle coordinate del baricentro del sistema sono le
seguenti:
Xg = ( Ma* Xa + Mb * Xb + Mc* Xc ) / ( Ma + Mb + Mc)
Yg = ( Ma* Ya + Mb * Yb + Mc* Yc ) / ( Ma + Mb + Mc)
Calcoliamo la posizione del baricentro per un sistema di tre masse costituito dall’arto
superiore flesso a 90°.
Baricentro dell’arto superiore
Con riferimento alla figura si hanno:
Mm massa della mano ( 0,4 kg)
Ma massa avambraccio (1,2 kg)
Mb massa del braccio (2 kg)
50
Applicando le formule di cui sopra otteniamo:
per l’ascissa: Xg = ( Ma* Xa + Ma * Xa * Mm* Xm ) / ( Ma + Mb + Mm)
sostituendo: Xg = ( 2 * 11 + 1,2 * 24 + 0,4* 24) / ( 2 + 1,2 + 0,4) = 60,4/ 3,6 = 16,8 cm
per l’ordinata: Yg = ( Ma* Ya + Mb * Yb + Mc* Yc ) / ( Ma + Mb + Mc)
sostituendo: Yg = ( 2 * 0 + 1,2 * 12 + 0,4* 30 ) / ( 2 + 1,2 + 0,4)= 26,4/ 3,6 =n7,3 cm
Quindi le coordinate del baricentro complessivo del sistema sono:
Xg = 16,8 cm
Yg = 7,3 cm
Utilizzando le suddette formule (estese ad n masse), la ricerca de baricentro di qualunque
sistema può agevolmente essere effettuata note che siano le masse parziali e i relativi
baricentri.
51
LE CARRUCOLE E LE MACCHINE PER LA CULTURA FISICA
La carrucola fissa è costituita da una ruota rigida fissata ad un sostegno centrale
mediante una staffa e dotata di una scanalatura nella quale viene fatta passare una fune.
Ad un capo della fune viene applicata la resistenza (R) dall’altro capo la forza attiva (F). la
carrucola fissa può essere considerata come una leva di primo genere a bracci uguali,
pertanto essendo il vantaggio pari a 1, risulta F = R. si tratta quindi di una macchina
indifferente ma è molto utile nella pratica perché cambia la direzione e il verso della forza
rispetto alla resistenza R.
Fig. 29 Carrucola fissa, carrucola mobile, carrucola a raggio variabile.
Nella carrucola mobile un capo della fune è fisso mentre sull’altro è applicata la forza
attiva F. alla staffa viene applicata la resistenza R. si tratta di una leva di 2° genere avente
il braccio della potenza coincidente con il diametro della ruota ed il braccio della resistenza
pari al raggio.
52
Pertanto:
Bf = 2 bR
Da cui discende:
V = bF/ bR = 2 bR / bR = 2
Quindi la carrucola mobile è una macchina vantaggiosa con vantaggio pari a due.
Ne consegue la relazione:
F = R /2
Quindi per vincere una resistenza R occorre una forza pari alla metà di R.
Un’altra macchina semplice che trova largo impiego nelle macchine per la cultura fisica è
la carrucola a raggio variabile detta camme. La ruota ha una curvatura variabile
secondo un profilo studiato in modo tale da adattare il carico in maniera fisiologica alla
forza di contrazione muscolare. Ciò permette di aumentare l’efficacia dell’allenamento, di
ridurre gli eccessi di tensione a carico delle strutture tendinee e di rendere l’esecuzione più
confortevole.
Fig. 30
53
Esempi:
Fig. 31
a) allenamento dei tricipiti alla poliercolina. La macchina schematizzata in figura è
composta da 4 carrucole fisse (A, B, C, D) ed una carrucola mobile (E) nella quale viene
applicato il peso P.
Fig. 32
Le quattro carrucole fisse, essendo macchine indifferenti, non alterano l’intensità della
forza trasmessa ma ma ne derivano soltanto la direzione. L’inserimento della carrucola
mobile E ( vantaggio pari a 2), comporta una riduzione del 50% della forza motrice rispetto
la forza resistente. Pertanto la forza S che si trasmette sulle braccia, sarà pari alla metà
del peso applicato sulla macchina, e di verso opposto:
S = P/2
54
b) allenamento dei dorsali, variante rematore.
La macchina schematizzata nella figura consente di allenare i dorsali con un movimento
simile al rematore.
Fig. 33
Le carrucole (A, B, D) sono fisse, la carrucola C è mobile. La forza resistente P, in questa
configurazione, non è applicata nel fulcro della carrucola mobile C, bensì lungo la fune che
la avvolge. Pertanto il vantaggio della macchina risulta invertito e sarà pari a ½ . se il
carico applicato è pari a P, la macchina trasmetterà sulle braccia una forza pari al doppio
del peso, avente direzione orizzontale.
S = 2 * P
55
MOMENTI D’INERZIA
Si definisce momento d’inerzia di una massa m rispetto un asse X la quantità (scalare):
J = m * R2 ( kgm2)
Dove R è la distanza tra la massa e l’asse di riferimento x.
La tabella che segue fornisce i valori dei momenti d’inerzia di alcuni solidi geometrici
elementari rispetto al loro asse baricentro del corpo umano, in posizione eretta, rispetto
l’asse baricentro longitudinale:
Solido Momento d’inerzia
Cilindro pieno di raggio r rispetto a un asse
longitudinale
J = ½ * M * r2
Asta sottile di lunghezza L rispetto a una
retta perpendicolare passante per il centro
J = 1/12 * M * L2
Sfera piena di raggio r rispetto a un
diametro qualunque
J = 2/5 * M * r2
Soggetto in posizione eretta rispetto
all’asse longitudinale
J = 1,0 / 1,3
Tabella 4
L’importante teorema di Huygens-Steiner (teorema del trasporto) mette in relazione il
momento d’inerzia di un corpo rispetto a un asse baricentrico x, con il momento d’inerzia
dello stesso corpo rispetto a qualunque altro asse x? Parallelo al primo:
J = JG + M * d2
dove
JG = momento d’inerzia baricentro avente direzione x
J = momento d’inerzia rispetto a un asse x’ parallelo ad x
M = massa del corpo
d = distanza tra i due assi x – x’
56
dal teorema di Huygens-Steiner deduciamo che per qualunque corpo il momento d’inerzia
rispetto ad un asse x baricentrico assume il minimo valore rispetto a tutti gli infiniti assi
paralleli ad x.
Fig. 34
57
L’EQUILIBRIO DEI CORPI IMMERSI
Altresì interessante risulta in biomeccanica la determinazione delle condizioni di equilibrio
dei corpi immersi (sport acquatici) soggetti alla spinta di Archimede esercitata dal liquido e
l’analisi del regime della pressione idrostatica alle differenti profondità. Archimede ha
legato il suo nome all’importante principio idrostatico che stabilisce le condizioni di
galleggiamento di qualunque corpo immerso:
Principio di Archimede: “ Qualunque corpo immerso in un fluido ( liquido o gas) riceve una
spinta (S) verticale, diretta dal basso verso l’alto, pari al peso del fluido spostato”.
I corpi in acqua, quindi, non pesano meno, ma vengono sostenuti dal liquido con una forza
diretta verso l’alto. La spinta di Archimede, nell’acqua, si ottiene moltiplicando il peso
specifico dell’acqua (Ps) per il volume (V) del corpo immerso:
S = Ps * V
Per l’acqua assumiamo Ps = 10000 N/m2
Si possono ottenere tre casi:
a) P< S condizione di galleggiamento (es. navi)
b) P=S equilibrio (es. sottomarino stabile ad un certa profondità)
c) P>S il corpo affonda (es. moneta nell’acqua)
Fig. 35
58
Quando una forza si distribuisce sopra una superficie è molto utile ricorrere al concetto di pressione.
Si definisce pressione il rapporto tra la forza che agisce perpendicolarmente alla superficie stessa.
La formula della pressione è:
P = F/S (N/m2)
La pressione atmosferica dovuta al peso della colonna che sovrasta il pianeta mediamente vale 1 kg/
cm2, pari a circa 100000 N/m2.
La pressione idrostatica (P) che si determina ad una certa profondità (h) sotto il livello dell’acqua
cresce proporzionalmente con la profondità secondo l’equazione
P = Ps * h
Dove Ps indica il peso specifico dell’acqua pari a circa 10000 N/m3.
È utile ricordare che nell’acqua marina, ogni dieci metri di profondità la pressione idrostatica cresce
di una atmosfera.
Come è noto un sommergibile può navigare a profondità costante, inoltre può scendere o risalire a
seconda della quantità di acqua immagazzinata al suo interno in appositi cassoni a tenuta stagna. I
sottomarini scendono in immersione imbarcando acqua fino ad ottenere che il proprio peso superi in
intensità la spinta di Archimede (che invece non può variare in quanto il volume rimane costante).
Per riemergere, viene espulsa l’acqua attraverso un sistema ad aria compressa, fino a quando il peso
del sottomarino diventa inferiore alla spinta di Archimede che è pari al peso dell’acqua spostata
dalla parte immersa dello scafo (volume immerso).
Il corpo umano galleggia naturalmente ma presenta, in posizione verticale, una linea di
galleggiamento posta superiormente all’altezza del naso e la cui esatta posizione dipende dalle
caratteristiche antropometriche individuali. Attraverso diversi stili di nuoto (libero, dorso, rana e
farfalla), coordinando opportunamente i movimenti, si portano il naso e la bocca oltre il livello
dell’acqua per permettere la respirazione. Mentre la spinta di Archimede provvede ad equilibrare il
peso del nuotatore, l’azione propulsiva necessaria a vincere la resistenza all’avanzamento
dell’acqua è sviluppata dall’azione degli arti e dipende dalla frequenza dei movimenti.
59
Problema campione
a) calcoliamo quale è la forza complessiva che si esercita sulla superficie globale di un sub,
supposta pari a 1,6 m2, posto in posizione orizzontale alla profondità di 10 metri sotto il livello del
mare .
la pressione alla profondità di 10 metri vale:
P = Ps * h = 10000 N/m3 * 10 m = 100000 N/m2.
Dalla formula P = F/S ricaviamo
F= P* S = 100000 N/m2 * 1,6 m2 = 160000 N = 16000 kg.
La forza complessiva che agisce sulla superficie del sub è pari a circa 16 tonnellate. È un numero
impressionante ma in realtà si tratta di una forza distribuita che agisce su ogni punto della superficie
con direzioni variabile. Essa determina soltanto un effetto statico di compressione sul corpo ma
nessun effetto dinamico.
b) calcoliamo qual è il massimo numero di persone che può sopportare una zattera circolare di due
metri di diametro, alta 70 cm.
Il volume (V) della zattera si calcola moltiplicando la superficie di base (Π∗ R2) per l’altezza (h):
V = Π∗ R2 * h = 3,14 * 1 * 0,7 = 2,2 m3
La massima spinta di Archimede sarà:
S = Ps * V = 10000 N/ m3 * 2,2 m3 = 22000 N = 2200 Kg.
Se il peso medio di una persona è pari a 70 kg, trascurando il peso della zattera,
otteniamo:
n = 2200 / 70 = 31,4 numero di persone
quindi la zattera potrà reggere al limite 31 persone.
c) calcolare le dimensioni che deve avere un paio di sci affinchè la pressione sulla neve
esercitata dallo sciatore pesante 75 kg, non superi il valore di 0,03 kg/cm2.
60
Dalla formula della pressione ricaviamo:
S= F/P = 75/0,03 = 2500 cm2 (trascurando il peso proprio degli sci)
Questa superficie si può ottenere con due sci aventi una lunghezza di 2 m e larghezza
6,25 cm, infatti:
S = 2* 6,25* 200= 2500 cm2
61
LE FORZE DI ATTRITO
Sono forze che si oppongono al movimento dei corpi sottraendo ad essi energia
meccanica convertendola in calore (energia termica, la forma più degradata dell’energia)
Se non ci fossero gli attriti l’energia meccanica si conserverebbe.
Distinguiamo tre tipi di forze resistenti:
a) attrito radente (o di scivolamento) Fa,r = Ka *N
b) attrito volvente (o di rotolamento) Fa,v = Kv* N/R
c) attrito del mezzo (liquido o gas) Fa,m = ½ ρ CSV2 ( regime turbolento)
dove
N è la forza premente
R è il raggio della ruota
ρ è la densità del mezzo
C indica il coefficiente di forma (dedotto sperimentalmente)
S indica la superficie trasversale (sezione maestra).
L’attrito radente si oppone al movimento relativo di due corpi che scivolano uno sull’altro.
La forza di attrito radente è direttamente proporzionale alla forza premente e dipende dalla
natura dei corpi a contatto. Non dipende, invece, dall’estensione della superficie di
contatto.
Fa,r = Ka *N
Al momento del distacco il coefficiente di attrito radente è pari a circa 2-3 volte il valore
che assume durante il moto. Ciò significa che la forza massima di attrito quando il corpo è
fermo è minore della forza di attrito durante il movimento.
62
La tabella seguente fornisce alcuni valori del coefficiente di attrito radente con la
distinzione tra il caso statico Ks e il caso dinamico Kd:
materiali Ks Kd
Gomma - asfalto 0,7 – 0,8 0,5 – 0,7
Gomma - ghiaccio 0,2 0,1
Legno- ghiaccio 0,3 0,15
Legno - neve 0,05 0,03
Acciaio - ghiaccio 0,03 0,015
L’attrito può essere ridotto lubrificando le superfici a contatto ovvero dotando il corpo di
ruote. L’attrito volvente risulta infatti molto minore di quello radente. È per questa ragione
che usiamo veicoli muniti di ruote piuttosto che farli strisciare sulla strada.
Problema campione
Calcoliamo il valore della forza di attrito radente che rallenta il moto del disco in gomma in
una partita di hockey su ghiaccio assunto che la massa del disco è pari a 0,17 kg.
Il peso del disco è
P = m*g = 0,17 * 9,81 = 1,67 N
Dalla tabella ricaviamo il valore di K:
K = 0,1 gomma su ghiaccio
La forza di attrito sarà:
Fa = K * P = 0,1 * 1,67 = 0,167 N
Qualunque gesto sportivo avviene in aria o in acqua, perciò nella dinamica del movimento
è spesso necessario considerare la resistenza del mezzo. Nel lancio di attrezzi, l’attrito
63
dell’aria e degli effetti collegati (effetto Magnus) possono apportare sensibili cariazioni di
traiettoria. Talvolta questi effetti vengono vantaggiosamente sfruttati dagli atleti con
tecniche idonee ( calcio, tennis, pallavolo, ecc).
Fa,m = ½ ρρρρ CSV2
la resistenza del mezzo dipende dalla sua densità, dalla forma del corpo, dalla sua
superficie maestra, ed è generalmente proporzionale al quadrato della velocità. Pertanto,
per velocità di penetrazione modestre, la resistenza dell’aria ha una influenza trascurabile
sul corpo in movimento, quando invece le velocità sono elevate (ciclismo, sci, pattinaggio,
ecc) occorre tenerle debitamente in conto. Negli sport acquatici, per la grande densità
dell’acqua rispetto all’aria, la resistenza del mezzo assume un ruolo di primo piano.
Frequentemente le forze di attrito sono indesiderate perché si oppongono al movimento
con perdita di energia meccanica e sviluppo di calore, ma in tante situazioni le forze di
attrito risultano essenziali, come nella locomozione, per esempio, dove l’attrito con il suolo
risulta indispensabile ai fini della deambulazione.
Abbiamo già visto che tutti gli oggetti, trascurando la resistenza dell’aria, cadono a terra
con una accelerazione (g) uguale a 9,81 m/s2. in pratica, frequentemente, la resistenza
dell’aria può avere un effetto non più trascurabile, basti pensare ai diversi moti di caduta di
una piuma e di un sasso. Il problema dell’attrito con il mezzo è piuttosto complesso, le
osservazioni sperimentali dimostrano che lasciando cadere corpi pesanti da altezze
notevoli la velocità non cresce indefinitamente (secondo l’equazione v =g *t, valida nel
vuoto) ma raggiunge dopo un certo intervallo di tempo, una velocità massima detta
velocità limite che dipende dalle caratteristiche del fluido e del corpo. Ciò è espresso nel
grafico
64
Fig. 36
La velocità limite si ottiene allorquando la resistenza aerodinamica (R) uguaglia il peso del
corpo (P). in queste condizioni, infatti, R = P, si realizza pertanto la condizione di equilibrio
dinamico indicata dal primo principio della dinamica. La risultante delle forze esterne è
uguale a zero e il corpo procede di moto rettilineo uniforme.
Nel caso del corpo umano, la velocità limite viene raggiunta dopo pochi istanti (8-10 sec) e
si attesta intorno ai valori che vanno dai 190 km/h ai 250 km/s. il paracadute, offrendo con
la sua particolare forma una grande resistenza all’avanzamento, riduce notevolmente la
velocità di caduta fino a valori dell’ordine dei 20 -26 km/h.
65
ESERCIZI PER IL POTENZIAMENTO MUSCOLARE
Piegamenti sulle braccia
Analizziamo un esercizio a corpo libero noto a tutti, sportivi e non, utilizzato per il
potenziamento di una parte della muscolatura del cingolo scapolare, in particolare dei
muscoli pettorali: i piegamenti sulle braccia. L’esercizio sfrutta come resistenza il peso del
corpo. Ci proponiamo di determinare come si distribuisce l’intero peso tra le braccia e i
piedi a contatto con il suolo.
Osserviamo le forze esterne agenti sul corpo dell’atleta e le rispettive linee d’azione:
• W proprio peso (70 kg)
• Rb forza sulle braccia(incognita)
• Ra reazione vincolare sui piedi (incognita)
Ipotizziamo che il movimento avvenga mediante una rotazione rigida di tutto il corpo
attorno ad un punto di rotazione, individuato nella zona di contatto fra la punta dei
piedi e la terra.
Fig. 37
Scopo dell’esercizio è trovare l’aliquota del peso dell’atleta che si scarica sulle due
braccia.
66
È sufficiente scrivere l’equazione di equilibrio alla rotazione intorno al punto O (cerniera):
W* 100 – Rb * 160 = 0
da cui:
W * 100 = Rb * 160
(la reazione vincolare Ra non compare nell’equazione perché non produce alcun momento
dato che passa per il centro di rotazione)
da cui ricaviamo la forza incognita:
Rb = W * 100 / 160 = W * 0,63
Quindi circa il 62% del peso dell’atleta si scarica sulle braccia.
Se il peso dell’atleta è di 70 kg la forza sulle braccia risulta:
Rb = 70 * 0,63 = 43,4 kg
La restante parte Rp = W – Rb costituisce l’aliquota del peso che si scarica sul pavimento
attraverso i piedi.
Con le dovute differenze, l’esercizio equivale alla distensione su panca con bilanciere da
43 kg. La rimanente parte del peso corporeo (27 kg) grava sui piedi che fungono da
cerniera.
L’analisi teorica e i tracciati elettromiografici mostrano l’importanza della giusta distanza
tra le mani. Avvicinandole, una parte dello sforzo si trasferisce dai pettorali ai tricipiti, e
questo implica maggiore impegno muscolare per l’atleta. Data l’impossibilità di modificare
il peso corporeo, questo semplice accorgimento consente, di modulare il carico sui
muscoli interessati.
67
L’allenamento dei bicipiti
La flessione dell’avambraccio si ottiene attraverso l’azione combinata di tre muscoli
principali: bicipite, brachiale e brachio-radiale (o lungo supinatore). I primi due si
inseriscono vicino all’articolazione (picco braccio di leva), braccio-radiale a notevole
distanza (grande braccio di leva).
Nel movimento di flessione del gomito la reale distribuzione delle forze tra i tre muscoli
agonisti dipende sia dall’angolo di flessione che dalla dinamica del movimento. Sia gli
studi teorici che i tracciati EMG dimostrano che quando il gomito è flesso a 90° il muscolo
maggiormente attivo è il bicipite che unisce l’omero con il radio. Il gomito da un punto di
vista biomeccanico è formato dall’accoppiamento delle articolazioni radio-ulnare e radio-
omerale che garantisce il movimento di prono supinazione a qualunque angolo di
flessione.
Approssimando l’articolazione del gomito ad una cerniera cilindrica in cui convergono
l’omero da una parte e le ossa dell’avambraccio(radio e ulna posti parallelamente e tra
loro articolati) dall’altra, analizziamo la condizione di equilibrio statico nell’allenamento dei
bicipiti con manubrio.
Figura: un peso W pari a 6 kg è sostenuto dall’avambraccio posto in posizione orizzontale.
L’angolo fra l’omero e l’avambraccio è per semplicità di 90°. Il peso dell’avambraccio Wb
sia di 2 kg applicato nel suo baricentro posto ad una distanza di 14 cm dalla cerniera
costituita dall’articolazione del gomito. Nel disegno sono indicate l’azione del muscolo
bicipite (Fb) applicata alla distanza di 5 cm dalla cerniera e la reazione articolare (Ra)
dell’omero sull’avambraccio. Per lo studio dell’equilibrio occorre concentrare l’attenzione
su tutte le forze che agiscono su di esso che per maggiore chiarezza riepiloghiamo:
W: peso del manubrio 6kg
Wb: peso dell’avambraccio 2 Kg
Fb: forza esercitata dal bicipite nel punto di inserzione (incognita)
Ra: reazione articolare esercitata dall’omero sull’avambraccio (incognita)
68
Fig. 38
Scriviamo l’equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera:
W * 38 + Wb* 14 = Fb*5
N. B. Nell’equazione non compare Ra in quanto la forza passa per la cerniera e quindi non
produce momento.
Dall’equazione ricaviamo l’incognita Fb:
Fb = (W * 38 + Wb * 14) / 5
Sostituendo si ha:
Fb = (6* 38 + 2 * 14)/ 5 = ( 228 + 28) /5 = 256 / 5 = 51,2 kg
Per calcolare l’intensità della reazione articolare Ra è sufficiente scrivere l’equazione di
equilibrio alla traslazione verticale:
Ra + Wb + W = Fb
Da cui ricaviamo Ra = Fb – Wb –W
69
Sostituendo i valori ai simboli si ha:
Ra = 51,2 – 2 – 6 -= 43,2 kg
Riepilogando si ha
Fb = 51,2 kg
Ra = 43,2 kg
Si noti che essendo una leva particolarmente svantaggiosa, una forza di 6 kg sostenuta
dalla mano, tenuto conto del peso proprio dell’arto, determina sul bicipite, muscolo oggetto
dell’allenamento, una forza di oltre 50 kg, quasi 9 volte superiore a quella del manubrio.
La forza che si trasferisce sull’omero è pari a 43,2 kg, per il principio di azione e reazione
essa risulta orientata verso l’alto producendo sull’osso uno sforzo di compressione.
Ciò vale in condizioni statiche (esercizio isometrico) quindi in assenza delle forze
dinamiche che intervengono durante il movimento, determinando, come vedremo in
seguito una distribuzione delle forze.
L’allenamento dei deltoidi
L’insieme dell’articolazione della spalla, del gomito e del polso costituisce, con i rispettivi
segmenti ossei, una catena cinematica aperta dotata di grande mobilità. Grazie all’azione
sinergica di più muscoli motori, l’arto superiore è capace di notevoli prestazioni in termini
di velocità, forza e precisione di movimento. Per i nostri fini occorre considerare il sistema
costituito da braccio, avambraccio e mano come un unico segmento rigido incernierato
nell’articolazione della spalla. Tale articolazione, invero assai complessa, risulta costituita
tra il cingolo scapolare ( formato dall’unione mobile della clavicola con la scapola) e
l’articolazione scapolo-omerale. I due gruppi sono indipendenti e costituiscono un sistema
staticamente indeterminato, ma per semplicità possono essere considerati come un’unica
unità funzionale. I muscoli deltoidi circondano la spalla e ne definiscono sia il profilo che
l’ampiezza, e forse perché le spalle grandi in un uomo sono sempre state considerate
sinonimo di forza fisica, i culturisti curano con grande attenzione lo sviluppo muscolare dei
tre fasci, laterale, anteriore e posteriore che costituiscono il deltoide. L’articolazione della
70
spalla consente la circonduzione del braccio, movimento complesso che avviene mediante
rotazioni sui tre assi dello spazio, cui i deltoidi partecipano attivamente.
Nelle aperture laterali con manubri, la cinematica del moto interessa in particolare il piano
frontale. Il movimento di abduzione (allontanamento laterale del braccio dal corpo
dell’atleta) comporta una contrazione concentrica a carico del deltoide mentre il
contrapposto movimento di adduzione (avvicinamento laterale del braccio al corpo)
determina sullo stesso muscolo una contrazione eccentrica grazie alla quale si
ammortizza il moto verso il basso dell’attrezzo. La massima escursione laterale del braccio
conduce lo stesso in posizione orizzontale, ogni ulteriore sollevamento dell’attrezzo
produce un inutile stato di stress a carico della colonna vertebrale. Nell’esercizio
considerato partecipa attivamente anche il muscolo sovra spinoso (agonista) mentre il
trapezio agisce soprattutto da fissatore nei confronti della spalla.
Analizziamo lo schema statico dell’esercizio comunemente utilizzato per l’allenamento del
deltoide rappresentato in figura 39, nella quale è indicato il braccio che sostiene il
manubrio in posizione orizzontale. Questa è la condizione di massimo sforzo per il
deltoide in quanto il braccio di leva del peso assume il massimo valore corrispondente alla
lunghezza dell’arto.
Fig.39 allenamento del deltoide
Lo schema statico relativo è disegnato in figura 33 dove sono indicate tutte le forze che
agiscono sull’arto con le relative distanze dalla cerniera, che qui è rappresentata dalla
articolazione della spalla(O):
W peso del manubrio (8 kg)
Wb peso del braccio (3 kg)
Fd forza esercitata dal deltoide (incognita)
Ra reazione articolare (incognita)
71
Fig.40 Allenamento dei deltoidi, schema statico
Applichiamo l’equazione di equilibrio alla rotazione attorno alla cerniera in condizioni
statiche:
W * 62 + Wb * 28 = Fd * 3,5
Risolvendo rispetto Fd si ottiene:
Fd = ( W* 62+ Wb * 28) / 3,5
Sostituendo i valori ai simboli si ha:
Fd = ( 8* 62+ 3 * 28) / 3,5 = ( 496 + 84) / 3,5 = 165,7 kg
Notiamo come l’applicazione di un peso W ad un grande distanza dal fulcro della leva (62
cm) produca, insieme al peso proprio del braccio, una notevole amplificazione dello sforzo
a carico del muscolo deltoide, che viceversa ha un braccio di leva di pochi cm.
72
Flessione del rachide
La colonna vertebrale è composta da 24 segmenti ossei (vertebre) articolate tra loro
mediante cuscinetti fibrosi (dischi intervertebrali) che, oltre a conferire al rachide una
notevole mobilità, assolvono alla importante funzione di ammortizzare le forze che
attraversano la colonna. Si tratta di una struttura unica nel suo genere nel corpo umano
che, oltre a rappresentare un organo di sostegno per gli organi endotoracici e per il cingolo
scapolo-omerale, esercita una azione protettiva nei confronti delle delicatissime strutture
nervose contenute nella colonna (midollo spinale)
Dal punto di vista biomeccanico, il rachide è una struttura particolarmente complessa e
pertanto è necessario formulare alcune ipotesi esemplificative.
Una situazione di grande interesse, non solo in ambito sportivo ma anche in tutte quelle
innumerevoli situazioni in cui un soggetto si trova impegnato nel sollevare un peso da
terra, è oggetto dello studio seguente.
Ipotiziamo che una persona di 70 kg sollevi un peso da 20 kg mantenendo le gambe
distese e piegando il tronco in avanti con un angolo di 40 gradi nel piano sagittale come
rappresentato in figura 42.
Trascurando per semplicità la curvatura della colonna e immaginandola perfettamente
dritta, rigida e incernierata in corrispondenza dell’articolazione dell’anca, assumiamo come
riferimento spaziale un sistema di assi ortogonali di
cui l’asse delle X sia coincidente con la direzione
della colonna vertebrale. In relazione allo schema
statico di figura 42, le forze esterne agenti sul rachide
sono:
W peso da sollevare (20 kg)
Wt peso del tronco (35 kg)
Ra reazione articolare (incognita) inclinata di un
angolo α (incognito) rispetto all’asse della colonna
(asse delle X)
Fm azione esercitata dai muscoli paravertebrali
(incognita) supposta inclinata di 8° rispetto l’asse
X con braccio pari a 6 cm.
Fig. 42
73
Dove si è supposto che il peso del tronco corrisponda al 50% del peso dell’intero corpo
(fig. 43)
Fig 43
Al fine di calcolare l’azione muscolare Fm a carico dei muscoli paravertebrali scriviamo
l’equazione di equilibrio dei momenti intorno alla cerniera:
W * 30 + Wt* 22 = Fm * 6
Da cui ricaviamo:
Fm = ( W + 30 + Wt * 22) / 6
Sostituendo i numeri:
Fm = ( 20 * 30 + 35 *22) / 6 = (600 + 770) / 6 = 1430 / 6 = 228 kg
Per calcolare la componente Ra,x della reazione articolare scriviamo l’equazione di
equilibrio alla traslazione secondo l’asse X:
W * cos 50° + Wt * cos 50° * Fm * cos 10° = Ra,x
Sostituendo i numeri:
74
Ra,x,= 20 * 0,64 + 53 * 0,64 + 228 * 0,98 = 12,8 * 22,4 * 223,4 = 259 kg
Analogamente per calcolare la componente Ra,y scriviamo l’equazione di equilibrio alla
traslazione secondo l’asse Y:
Ra,y + Fm * sen 10° = W * sen 50° + Wt sen 50°
Da cui, isolando Ra,y otteniamo:
Ra,y = W * sen 50° + Wt * sen 50° - Fm * sen 10°
Sostituendo i numeri:
Ra,y = 20 * 0,77 +35 * 0,77 - 228 * 0,17 = 15,4 * 26,95 – 38,8 = 3,6 kg
Possiamo senz’altro ritenere trascurabile l’azione tagliente (Ra,y = 3,6 kg) concludendo,
quindi che la reazione vincolare Ra risulta di direzione pressochè coincidente con l’asse
della colonna e di notevole intensità ( 2,6 quintali).
Considerazioni:
1. data l’inclinazione della forza muscolare Fm ( qui supposta pari a 10°) soltanto una
piccola aliquota della stessa concorre al movimento di rotazione, la maggior parte
della forza determina un’azione di compressione sui corpi e sui dischi invertebrali;
2. il sollevamento di pesi anche modesti, se eseguito in modo scorretto, può produrre
una notevole e dannosa compressione dei dischi del distretto lombare con
deformazioni permanenti, che costituiscono spesso la causa delle patologie di
origine meccanica (anche gravi), a carico del rachide;
3. risulta di fondamentale importanza, per la salute dell’atleta, la padronanza delle
corrette tecniche di esecuzione di determinati esercizi per il potenziamento
muscolare che comportano azioni di carico gravose per la colonna vertebrale (es.
squat, stacchi da terra,ecc.):
4. meritevole di attenzione da parte di tutti, per le considerazioni sopra esposte,
dovrebbe essere l’acquisizione dello schema motorio del sollevare insegnata nei
corsi di sollevamento pesi;
75
5. le ipotesi esemplificative poste alla base del calcolo risultano, nel caso in esame,
assai riduttive e schematiche ma giovano alla semplicità espositiva. I risultati
numerici, come già ricordato in premessa, devono intendersi soltanto indicativi della
reale distribuzione degli sforzi interni ma riteniamo che possano stimolare, sia nel
tecnico che nell’atleta, qualche utile momento di riflessione sul rispetto che merita
l’apparato di sostegno del busto con le sue delicate funzioni.
76
La dinamica
La dinamica studia i corpi in movimento, tenendo conto delle loro caratteristiche, del tipo di
moto e delle forze che entrano in gioco.
La dinamica si fonda su tre principi o leggi di Newton:
� 1a legge o principio d’inerzia.
� 2a legge o legge di proporzionalità.
� 3a legge o principio di azione e reazione.
• Il principio d’inerzia afferma che ogni corpo tende a mantenere il suo stato di quiete
o di moto rettilineo uniforme finché non intervengono forze esterne a modificarlo. La
proprietà generale di un corpo di mantenere il proprio stato di quiete o di moto si
chiama INERZIA (fig 44)
Fig. 44
• Il secondo principio dice che una forza costante applicata ad un corpo produce
un’accelerazione che è direttamente proporzionale all’intensità della forza. La legge
fondamentale della dinamica si può riassumere nella relazione: F = m * a
Questo concetto può essere riassunto con gli esempi di fig (45, 46 e 47). Una forza F che
agisce su una massa m1 produrrà un’accelerazione a1, se la stessa forza agisce su una
massa m2 che è esattamente la metà di a1 produrrà un’accelerazione che risulterà essere
il doppio di a1.
77
Fig 45
Fig.46
Nella figura 46 si evidenzia che raddoppiando il valore della forza, che agisce sulla stessa
massa, si raddoppia anche il valore dell’accelerazione.
Fig 47
L’esempio di figura 47 mostra che dimezzando la forza e la massa si ottiene la stessa
accelerazione.
78
Massa e Peso
� Il peso di un corpo corrisponde alla forza di gravità che agisce su di esso; mentre la
massa si può considerare come la quantità di materia di cui è costituito un corpo,
liberato dalla forza di gravità.
� L’unità di misura della massa è il chilogrammo.
� L’unità di misura della forza è il Newton (N).
� Se ad una massa di 1 kg viene applicata una forza che crea un’accelerazione di
1 m/s2 si ha un’unità di forza definita Newton.
� La stessa massa, sotto l’azione del suo peso (1 kg-forza) si muove con
un’accelerazione di 9,8 m/s2.
1 kg = 9,81 N
• Il terzo principio della dinamica enuncia che se un corpo esercita un’azione su un
altro corpo, questo ultimo reagisce con una forza uguale e contraria sul corpo
agente. Sinteticamente: ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e
contraria.
Esercizio
a) Quanto pesa un giocatore di basket con una massa di 95Kg?
95 Kg* 9,81 = 932 N
79
IMPULSO DI UNA FORZA E VARIAZIONE DELLA QUANTITÀ DI MOTO DEL CORPO
SU CUI HA OPERATO
Partendo dall’equazione in precedenza descritta F = m * a e moltiplichiamo entrambi i
termini per il tempo t in secondi, durante il quale agisce la forza sulla massa di un corpo si
ha: F * t = m * a * t.
Accelerazione per tempo ci dà la velocità perciò l’uguaglianza precedente diventa
F * t = m * v.
Il prodotto F * t è chiamato impulso della forza.
Il prodotto m * v è chiamato quantità di moto.
L’impulso di una forza è uguale alla quantità di moto impressa al corpo sul quale
detta forza ha agito per un dato tempo.
Quando si analizza l’impulso generato da un soggetto ad esempio in salto verticale, si
deve parlare di impulso netto (Fig 48).
Fig 48
Analizzando il salto verticale di un soggetto il cui peso è di kg 54, per elevare il suo
baricentro di 27 cm si registra una forza di 850 N. Questo valore di forza non è il valore
reale che permette il salto di 27 cm bensì è la somma del peso del soggetto più la forza
realmente applicata per saltare 27 cm.
La formula dell’impulso deve essere così scritta:
I = (F – m * g)*t
dove F è il valore complessivo di forza,
m * g è il peso del soggetto in pratica 54 per 9,81 che vale 530 N;
pertanto l’impulso netto diventa I = (850 – 530)*t = 320 * t
L’impulso netto è uguale a 320 N * t.
80
LAVORO e POTENZA
Si definisce lavoro (L) il prodotto dell’intensità di una forza (F) per lo spostamento (s):
L = F * s
Si definisce potenza (W) il lavoro compiuto nell’unità di tempo:
Potenza = L / t
Possiamo scrivere
Potenza = F * s / t
ma s/t corrisponde alla velocità
quindi
Potenza = F * v
ENERGIA
Si definisce energia l’attitudine a compiere lavoro.
L’unità di misura dell’energia è il joule.
Energia potenziale E = m * g * h
Energia cinetica E = m * v2/2
81
REGIMI DI CONTRAZIONE
I regimi di contrazione muscolare si possono riassumere nel seguente modo:
A. ISOMETRICO
B. ANISOMETRICO: Concentrico, eccentrico e pliometrico
Regime isometrico
Il regime isometrico consiste in una contrazione muscolare senza spostamento delle leve
e dei punti di inserzione per cui durante la contrazione isometrica il muscolo sviluppa
tensione ma non produce movimento esterno.
In condizioni isometriche si riescono a sviluppare tensioni superiori a quelle concentriche
fig 49
Fig 49 curva di Hill
Come si evidenzia dalla figura 49 carichi molto elevati vengono spostati con velocità
molto basse prossime allo zero e l’ultimo carico sollevato viene considerato il carico
massimo o RM (ripetizione massima) (fig 49 punto indicato col cerchio). Nella RM si
raggiungono tensioni elevate ma non massimali. La massima tensione si raggiunge contro
una resistenza fissa e quindi con velocità zero cioè con una contrazione isometrica (fig 49
punto indicato dalla freccia)
82
Negli anni sessanta l’allenamento isometrico aveva raggiunto una notevole popolarità;
successivamente si è notato che questo metodo non produceva i risultati sperati
soprattutto per la sua aspecificità rispetto ai gesti sportivi.
Le esercitazioni isometriche trovano una valida applicazione nel campo riabilitativo e della
rieducazione post-traumatica. Si propongono, a titolo informativo, i principali metodi di
lavoro isometrico Fig. 50
Fig 50 Principali metodi isometrici (da Cometti 2003)
L’isometria massimale consiste nel produrre tensione massimale su resistenze fisse per
una durata massima di sei secondi. Per isometria totale si intende sviluppare tensioni
non massimali ma mantenute fino all’affaticamento totale. I carichi da utilizzare variano dal
50 a 90% del carico massimo.
Il metodo più utilizzato, che a livello empirico ha dato risultati soddisfacenti, è lo “stato
dinamico”. Questo metodo comprende un movimento dinamico abbinato ad uno statico,
ad esempio nell’esercizio di squat, l’atleta nella fase di risalita si arresta a metà del
movimento per almeno tre secondi per poi terminare il movimento in modo esplosivo
utilizzando carichi del 50-60% del carico massimo. Questo metodo è particolarmente
indicato nel periodo competitivo (Fig 50).
83
Fig 51 Esempio di stato-dinamico nell’esercizio di squat (Da Cometti).
REGIMI ANISOMETRICI
Per regime anisometrico si intende una contrazione in cui si produce variazione di
lunghezza del muscolo per cui si può avere un accorciamento o un allungamento. Da
queste due modalità di variare la lunghezza del muscolo si definiscono tre regimi di
contrazione:
1. regime concentrico
2. regime eccentrico
3. regime a carattere pliometrico
REGIME CONCENTRICO
Un movimento concentrico consiste in una contrazione muscolare in cui i capi articolari si
avvicinano, cioè in una contrazione priva di qualsiasi movimento che possa provocare
prestiramento delle fibre. L’esempio classico del movimento concentrico è il movimento
eseguito nel test di squat jump. Altri movimenti concentrici sono ad esempio: salire le
scale, camminare o correre in salita, alzarsi dalla sedia ecc.. Sono considerati esercizi
concentrici anche quegli esercizi composti da una fase eccentrica ed una concentrica
come lo squat in quanto le tensioni, nella fase eccentrica, sono di bassa intensità e
soprattutto il tempo di accoppiamento, cioè il tempo impiegato per invertire il movimento è
molto “lungo” perciò da non annoverare tra i movimenti pliometrici. La tensione massima
che si può ottenere con una contrazione concentrica è quella che si ottiene con l’ultimo
84
carico che il soggetto è in grado di vincere. Questo carico viene definito carico massimo
(CM) o ripetizione massima (RM) (fare riferimento alla figura 49)
REGIME ECCENTRICO
Il movimento eccentrico è un movimento in cui il muscolo si contrae, ma i capi articolari si
allontanano tra di loro, cioè il muscolo non riesce a vincere la resistenza esterna.
L’esempio classico di lavoro eccentrico si ha quando si esegue l’esercizio di squat con un
carico superiore al carico massimo. Altri esempi di esercizi eccentrici puri, se pur di
intensità inferiore, sono: correre in discesa, scendere le scale, salti in basso privi della
successiva fase di risalita ecc.. Le tensioni che si sviluppano nelle contrazioni eccentriche
sono superiori a quelle ottenute nei movimenti concentrici ed isometrici fig 51 parte sinistra
Fig 52
Fig 53
Il lavoro eccentrico è da considerare molto intenso e soprattutto provoca molti disagi a
livello muscolare. Si verificano rotture a livello del sarcomero (banda Z) di conseguenza
l’intera miofribilla, inoltre si hanno lesioni a livello del tessuto connettivo e a livello di
giunzione tra muscolo e tendine (figura 53). Per questi motivi richiede periodi lunghi di
recupero, perciò da collocare molto lontano da impegni di gare. Bisogna proporlo con
molta cautela, solo con atleti di alto livello e con molti anni di allenamento sulle spalle
85
REGIME PLIOMETRICO
Il regime pliometrico è definito anche ciclo “stiramento-accorciamento”. Tutti i movimenti
pliometrici sono composti dai due regimi eccentrico e concentrico. Per essere definito regime
pliometrico bisogna che i movimenti eccentrici-concentrici avvengano in tempi brevissimi. Tutti i tipi
di balzi sono da definirsi esercizi pliometrici. Come detto precedentemente, il fattore rilevante per
ottenere la massima efficacia muscolare dovuta allo stiramento, è il tempo di “accoppiamento”
(Bosco 1982). Viene definito tempo di “accoppiamento” il tempo che intercorre tra la fase di
stiramento e quella di accorciamento, in altri termini il tempo impiegato ad invertire il
movimento, cioè il passaggio dalla velocità negativa (fase eccentrica) alla velocità positiva (fase
concentrica). Bosco ha dimostrato che più breve è il tempo di accoppiamento, più elevata è la
restituzione di energia potenziale Fig 54.
Fig 54 La figura mostra le forze registrate su una piattaforma di forza (figura centrale) in tre
differenti test SJ, CMJ e DJ; il rilevamento elettromiografico (parte in basso) ed il tempo di
“accoppiamento” (parte in alto). Si evidenzia che dove è minore il tempo di “accoppiamento” (DJ) si
registra una maggior attività elettrica ed un maggior sviluppo di forza.
86
ANALISI DEL MOVIMENTO DEI VARI REGIMI DI CONTRAZIONI
Parallelamente ai regimi di contrazione bisogna analizzare i tipi di movimenti che le
varie contrazioni muscolari permettono di compiere al corpo umano o parti segmentarie di
esso. I movimenti che l’uomo compie si possono riepilogare in:
� ISOTONICO
� ISOCINETICO
� AUXOTONICO O AUXOMETRICO
Ai rispettivi regimi di contrazioni si possono associare i tipi di movimenti che la contrazione
produce secondo il seguente schema:
MOVIMENTO ISOTONICO
In movimenti con contrazioni solo concentriche, solo eccentriche o ecc/conc (pliometriche)
con carichi gravitazionali, varia la lunghezza del muscolo ma rimane costante il carico.
Per questo motivo i movimenti eseguiti con carichi gravitazionali vengono definiti
movimenti isotonici.
Regimi di contrazioni: concentrico
eccentrico
pliometrico
Tipi di movimenti: Isotonico
Isocinetico
auxtonico
Regime isometrico
Non produce
movimento
87
Analisi di un movimento concentrico
Nella fig 55 si può notare il grafico di uno spostamento concentrico, il movimento inizia
dalla posizione zero e nell’unità di tempo cresce positivamente fino a raggiungere il punto
più alto.
Fig 55
Velocity
Velocity
Vel
ocity
[m/s
]
Time[s]
-0.5-1.0-1.5
0.00.51.01.52.02.53.0
1.5 1.7 2.0 2.2
Fig 56
In un movimento concentrico la velocità è sempre positiva. Come si può notare dal grafico
di fig 56 la velocità da zero aumenta fino a raggiungere un picco positivo per poi ridursi
fino a riportarsi a zero alla fine del movimento (apice della curva dello spostamento fig 55)
L’esempio classico del movimento concentrico è il movimento eseguito nel test di squat
jump.
Position
Loadpos
Pos
ition
[cm
]
Time[s]
0
20
40
60
80
1.5 1.7 2.0 2.2
88
Analisi di un movimento eccentrico
In un movimento eccentrico la velocità presenta solo una fase negativa. L’andamento della
velocità si evidenzia nella figura 57. essa parte da zero e raggiunge un picco negativo per
poi diminuire di nuovo fino a tornare a zero quando il movimento raggiunge il punto più
basso (vedere curva dello spostamento fig 58).
Fig 57
Position
Loadpos
Pos
ition
[cm
]
Time[s]
0
10
20
30
40
1.6 2.1 2.6 3.1
Fig 58
Il regime eccentrico presenta vantaggi e svantaggi così sintetizzati:
Vantaggi: Tensione superiore del 30% rispetto all’isometria
Differente sollecitazione delle fibre
Efficace se accoppiato con lavoro concentrico
Svantaggi: Disadattamento notevole
Lungo recupero
Carichi pesanti
Velocity
Velocity
Vel
ocity
[m/s
]
Time[s]
-0.5
-1.0
-1.5
-2.0
0.0
0.5
1.6 2.1 2.6 3.1
89
Analisi di un movimento pliometrico
In un movimento con il doppio ciclo stiramento-accorciamento la velocità presenta una
fase negativa ed una positiva fig 59, la parte della curva tra le due linee verticali si riferisce
alla velocità della parte negativa.
Velocity
Velocity
Vel
ocity
[m/s
]
Time[s]
-0.5
-1.0
-1.5
-2.0
-2.5
0.0
0.5
1.0
1.5
2.0
2.5
3.0
1.15 2.11 3.06 4.02
Fig 59
La figura 60 mostra il tracciato dello spostamento di un movimento pliometrico, la parte
della curva tra le due linee verticali si riferisce alla fase negativa del movimento.
Position
Loadpos
Pos
ition
[cm
]
Time[s]
0
20
40
60
80
1.15 2.11 3.06 4.02
Fig 60
90
MOVIMENTO ISOCINETICO
Nell’ambito delle contrazioni concentriche, eccentriche o isometriche, l’uomo attraverso
particolari apparecchiature, è riuscito ad ottenere contrazioni muscolari e quindi movimenti
a velocità costante. In natura non esistono movimenti isocinetici cioè a velocità costante.
Queste macchine sono definite isocinetiche di conseguenza il movimento che ne
scaturisce viene chiamato isocinetico. La caratteristica di queste macchine è quella di
realizzare una contrazione muscolare che permette di eseguire un lavoro muscolare a
velocità costante. In questo tipo di contrazione, a differenza di quanto avviene in una
attivazione muscolare naturale, il muscolo non può assolutamente creare accelerazione,
dato che le condizioni meccaniche delle macchine isocinetiche permettono solo di
eseguire un lavoro muscolare a velocità costante fig 61
L’utilizzo primario di queste apparecchiature è nel campo della riabilitazione ed in fisiatria.
Fig 61 velocità angolare della gamba durante estensione del ginocchio eseguita su dinamometro isocinetico a diverse
velocità angolari 100°-400°/s (da: Ostering, 1986,1).
Nelle figure 62 e 63 viene messo a confronto l’andamento della velocità rispettivamente in
un movimento isocinetico ed in un movimento eccentrico-concentrico. Nel movimento
isocinetico si nota un andamento costante della velocità mentre nel movimento naturale si
evidenzia un picco negativo della velocità (fase eccentrica) ed un picco positivo (fase
concentrica).
91
Fig 62 Fig 63
Velocity
Velocity
Vel
ocity
[m/s
]
Time[s]
-0.5-1.0-1.5-2.0-2.5-3.0
0.00.51.01.52.02.53.0
92
MOVIMENTO AUXOTONICO
Prevalentemente con un regime di contrazione concentrica è possibile, sempre con
particolari attrezzi ottenere un tipo di movimento definito auxotonico.
Un movimento auxotonico prevede un aumento del carico durante lo spostamento con
conseguente aumento della tensione muscolare
Attraverso una contrazione si ha un andamento della tensione muscolare che aumenta
gradualmente fino a raggiungere un picco per poi diminuire e tornare a zero figura 64.
Fig 64(da Stelvio Beraldo)
Questo tipo di movimento è possibile ottenerlo
eseguendo esercizi con elastici. L’elastico offre
all’inizio del movimento una determinata
tensione stabilita dal soggetto che risulta essere
inferiore di quella che si registra alla fine della
contrazione quando l’elastico ha subito il
massimo allungamento (fiura 30).
Fig 65 (da Stelvio Beraldo)
93
ANALISI DI UNA CONTRAZIONE ISOMETRICA
In una contrazione isometrica si analizza solo lo sviluppo della forza in funzione del tempo
fig 66
Fig 66 Relazione forza tempo durante tre tipi di contrazione isometrica (Da Bosco)
In una contrazione isometrica la forza sviluppata in funzione del tempo dipende dal livello
d’attivazione del Sistema Nervoso Centrale. Pertanto si possono avere diverse modalità di
sviluppo della forza per ottenere la forza massimale.
Le diverse modalità si possono così sintetizzare:
a) Attivazione lenta
b) Attivazione normale
c) Attivazione rapida.
94
Force
Force1
For
ce[N
]
Time[s]
-200
0
200
400
600
800
1000
0.01 3.34 6.67 10.00
Con un’attivazione lenta la
tensione viene sviluppata
lentamente. L’incremento della
forza avviene principalmente
attraverso un incremento
sempre maggiore di unità
motorie e quindi da un
aumento della frequenza di
stimolo fig 67.
Fig 67
Con un’attivazione normale la tensione viene sviluppata attraverso un aumento
progressivo del reclutamento delle unità motorie e di frequenza di stimolo fig 68.
Force
Force1
For
ce[N
]
Time[s]
-200
0
200
400
600
800
0.01 3.34 6.67 10.00
Fig. 68
Con un’attivazione rapida la tensione viene sviluppata rapidamente poiché
contemporaneamente tutte le unità motorie vengono reclutate e la frequenza degli stimoli
aumenta sin dall’inizio della contrazione fig 69.
95
Force
Force1
For
ce[N
]
Time[s]
-500
0
500
1000
1500
0.0 1.9 3.7 5.6
Fig. 69
96
LA FORZA MUSCOLARE
Cenni generali sul sistema neuromuscolare
La forza e la velocità, due parametri prodotti dal muscolo scheletrico, sono alla base di
qualsiasi movimento che l’uomo compie. Apparentemente questi due parametri sembrano
molto dissimili tra loro ma in realtà, essendo prodotti dallo stesso sistema, la dinamica
della contrazione muscolare è la stessa: la dimensione del carico esterno determina con
quale velocità e forza deve essere spostato il carico.
Il sistema che produce forza e velocità è definito sistema neuromuscolare.
Esso è composto dal sistema nervoso definito anche
sistema neurale e dalla parte muscolare o sistema miogeno.
Il muscolo si contrae e produce movimento in quanto viene
eccitato da uno stimolo che parte dall’area motoria del
cervello e si trasmette attraverso il midollo spinale, da qui
attraverso un motoneurone arriva sulle fibre muscolari.
(Fig.70)
Fig 70 sistema neuromuscolare
Le fibre muscolari a loro volta sono formate da sottili filamenti chiamati miofibrille che a
loro volta contengono l’unità funzionale del muscolo: il sarcomero fig. 71
Fig. 71 – Rappresentazione schematica delle componenti principali preposte alla realizzazione del
movimento (da: Sale),
97
IL SARCOMERO
Analizzando la singola miofibrilla si notano su di essa delle linee traverse che si ripetono
all’incirca ogni 2,5 micron quando il muscolo è rilasciato. Queste linee trasversali
conferiscono al muscolo la caratteristica struttura striata. Queste linee, facilmente
individuabili, sono definite linee Z e la zona che si trova tra le due linee viene definito
sarcomero fig 72. Il sarcomero è l’unità funzionale della miofibrilla. All’interno del
sarcomero si trovano due tipi di filamenti uno più sottile chiamato actina ed uno più spesso
definito miosina fig 73. La miosina a sua volta presenta dei prolungamenti, che si
dispongono a 90° con i filamenti di miosina stessa fig 74. Questi prolungamenti vengono
definiti teste della miosina. . Quando la fibra muscolare viene raggiunta da uno stimolo
nervoso i filamenti di actina e miosina, attraverso le teste della miosina, reagiscono
formando il cosiddetto “cross-bridge” ponte actomiosinico, per mezzo del quale i due
filamenti scorrono uno sull’altro accorciando il sarcomero. Con l’accorciamento dei vari
sarcomeri si produce tensione che viene trasmessa mediante i tendini alle ossa.
Fig 72
98
Fig 73
Fig 74
I ponti che si stabiliscono tra i filamenti di actina e miosina costituiscono la contrazione e
nello stesso tempo producono forza. Per far si che i ponti di actina e miosina si formino e
quindi avvenga la contrazione c’è bisogna di energia e questa viene fornita da un
composto denominato acido adenosintrifosforico ATP. La capacità di produrre lavoro è
determinata dalle caratteristiche muscolari che trasformano energia biochimica in energia
meccanica. Appena la membrana muscolare viene colpita dallo stimolo nervoso viene
liberata una sostanza denominata acetilcolina (ACh). L’acetilcolina ha la proprietà di
depolarizzare la membrana sarcoplasmatica e precisamente dei tubuli traversi (Tubuli T).
La depolarizzazione dei tubuli traversi causa la liberazione del Ca++. Il calcio si lega con il
99
complesso la troponina C-Tropomiosina (figura 75). La troponina C è una proteina che
inibisce la formazione dei ponti di actomiosina. Inibita la Troponina C dal calcio si formano
i legami tra testa della miosina e l’actina e questi traggono energia dalla scissione dell’ATP
per mezzo di un enzima chiamato ATP-asi. La contrazione muscolare persiste finché vi è
presenza di calcio a livello di astina e miosina. Quando la stimolazione del muscolo cessa
il calcio fuoriesce e si ristabilisce la condizione di inibizione tra troponina-tropomiosina e
filamento di miosina (figura 76) (Da W. D. Mcardle, F. I. Katch e V. L. Katch)
.
Fig 75
100
Fig 76
Quando un messaggio dal cervello viene inviato al muscolo questi risponde all’impulso
con una singola contrazione fig 77a, al sopraggiungere di un secondo impulso la
contrazione diventa maggiore; una serie di impulsi ravvicinati provoca un tetano
ravvicinato fig 77c fino ad arrivare al tetano completo fig.77d, normalmente la fascia delle
frequenze è compresa tra 8 e 50-60 hertz. Il tempo per sviluppare la tensione durante una
singola contrazione fig 77 può essere di circa 100 ms, mentre la tensione massimale che
viene raggiunta durante il tetano non è mai inferiore di 200-300 ms.
101
Fig 77
Una volta che lo stimolo nervoso raggiunge la fibra muscolare e l’actina e la miosina
reagiscono provocando la contrazione, la tensione sviluppata viene trasmessa alle ossa
attraverso le strutture di tessuto connettivo, i tendini. Occorre sottolineare che prima che i
tendini possano trasmettere le tensioni sviluppate dalle componenti contrattili alle strutture
ossee occorre un certo tempo. La tensione sviluppata non si trasmette immediatamente
alle ossa ma questo si verifica con un certo ritardo. Il ritardo è dovuto al tempo necessario
per stirare gli elementi elastici in serie dei muscoli fig 78.
Fig 78 modello di contrazione concentrica del muscolo cardiaco che inizia con una fase isometrica dove la
componente contrattile (CC) si accorcia e provoca lo stiramento degli elementi elastici in serie (SEC) (AB). Il
movimento avviene quando la forza di spostamento della componente contrattile degli elementi in serie è
uguale o supera leggermente la forza prodotta dal carico P (B-C) (da Braunwald, 1967).
102
MECCANISMI DELLLA FORZA
Quando descritto precedentemente, è in sintesi il sistema che permette all’uomo di
produrre forza in generale. La possibilità per un atleta di produrre forza e velocità sempre
più elevata dipende da diversi fattori che possiamo così sintetizzare:
1 Tipi di fibre muscolari
2 Sezione traversa delle fibre (grandezza del diametro delle fibre definita
IPERTROFIA)
3 Reclutamento delle fibre
a Reclutamento e frequenza
b La sincronizzazione
c Efficienza neuromuscolare
4 Coordinazione intra e intermuscolare
5 Fattori legati allo stiramento
a Fenomeni eccitatori ed inibitori della contrazione muscolare
b Caratteristiche elastiche del muscolo
Le fibre muscolari
Nel muscolo sono state classificate due tipi di fibre:
� Fibre rosse chiamate più comunemente fibre lente o toniche, definite anche di tipo I o
con sigla inglese definite Slow twitch fibres ST
� Fibre bianche chiamate più comunemente fibre veloci o fasiche o di II tipo o con sigla
inglese definite Fast twitch fibres FT
Le fibre del tipo I sono fibre rosse perciò lente, caratterizzate da metabolismo aerobico,
producono basse tensioni per un periodo di tempo molto lungo. Sono fibre molto
vascolarizzate e si affaticano poco. I substrati utilizzati per la risintesi dell'ATP sono glucidi
e lipidi.
Le fibre del tipo IIa sono fibre di tipo intermedio, il metabolismo è misto anaerobico-
aerobico, sviluppano una tensione media e sono mediamente vascolarizzate.
Le fibre del tipo IIb sono fibre rapide per eccellenza, sviluppano altissime tensioni, sono
scarsamente vascolarizzate, il metabolismo è di tipo anaerobico, si affaticano
rapidamente. Fig. 79
Ogni individuo possiede percentuali di fibre bianche e rosse in quantità diverse e questo è
dettato solo da fattori genetici per cui atleti con percentuali di fibre bianche maggiore
103
rispetto alle rosse sono in grado di esprimere gradienti di forza esplosiva superiore rispetto
ad atleti con maggior numero di fibre rosse Fig. 80. La percentuale di fibre presente in un
muscolo determina la caratteristica di muscolo veloce o resistente. Un muscolo con un’alta
percentuale di fibre bianche è un muscolo che esprime più velocità rispetto ad un muscolo
con prevalenza di fibre rosse. Nella Fig. 81 si nota come soggetti con percentuali di fibre
bianche a carichi bassi esprimano maggiore velocità rispetto a soggetti con percentuali
maggiori di fibre rosse.
Fig 79 da: Cometti modificato
Fig. 80 relazione forza tempo registrata durante l’esecuzione
di SJ eseguiti da soggetti veloci (%FT>60) e lenti (%FT<40)
(da: Bosco e Komi, 1976b)
Fig.81 Esempio della relazione forza veloci nei
tipi lenti e rapidi (da: Bosco 1983)
104
L'obiettivo principale dell'allenamento è quello di migliorare le caratteristiche dei due tipi di
fibre in funzione della disciplina sportiva praticata e questo è possibile se si somministrano
stimoli specifici. Stimoli errati possono provocare adattamenti non desiderati soprattutto a
carico delle fibre rapide, infatti, queste pur mantenendo le caratteristiche di fibre fasiche
possono subire modificazioni a livello di metabolismo. Questo accade prevalentemente a
carico delle fibre del tipo IIa, che hanno un metabolismo misto, quindi sollecitazioni lente e
prolungate ne esaltano prevalentemente il metabolismo aerobico.
Ipertrofia
Sottoponendo il muscolo ad allenamenti con carichi elevati (forza massima) si provocano
modificazioni strutturali alle fibre muscolari. Queste aumentano di dimensione e
precisamente aumenta la sezione traversa. Questo fenomeno viene definito ipertrofia.
Essa è dovuta principalmente all’aumento del materiale contrattile del muscolo.
Le cause dell'ipertrofia sono:
a) Aumento delle miofibrille
b) Sviluppo degli involucri muscolari (tessuto connettivo)
c) Aumento della vascolarizzazione
d) Aumento del numero di fibre (iperplasia). Argomento questo ancora molto discusso
e criticato da diversi ricercatori, perciò da non prendere in considerazione fig. 82.
Fig. 82 Le cause dell’ipertrofia (da: Cometti)
105
Ogni fibra muscolare, che sia essa lenta o veloce, è composta da un elevato numero di
miofibrille e sono proprio queste ad aumentare sia di volume sia di numero quando il
muscolo è sottoposto a lavoro con carichi molto pesanti. Le fibre interessate all'aumento di
volume riguardano entrambi i tipi (lente e rapide), ma l'aumento maggiore avviene a carico
delle fibre rapide fig. 83; l’immobilizzazione del muscolo provoca un’ipotrofia che interessa
maggiormente le fibre rapide (Mac Dougall e coll. 1980) fig. 84
Fig. 83 Evoluzione delle fibre rapide e lente in seguito a 16 settimane di allenamento e 8 settimane di sospensione
dell’allenamento (da: Hakkinen e coll. 1981)
Fig 84 Modello delle variazioni morfologiche che avvengono come risposta allenamento della forza massima e
dell’immobilizzazione.
Con l’allenamento la sezione traversa delle miofibrille aumenta in proporzione diretta all’incremento della dimensione
e del numero (a). Con l’immobilizzazione la sezione delle fibre decresce in proporzione alla sezione delle miofibrille (b).
(da: Mac Dougall, 1986 modificato)
106
I metodi utilizzati per lo sviluppo dell'ipertrofia sono molti e diversi tra loro. Qualsiasi
metodo si utilizzi, esso deve rispettare alcuni principi essenziali per far sì che si verifichi
l'effetto voluto. Gli allenamenti per lo sviluppo dell’ipertrofia devono essere eseguiti con
carichi compresi tra il 70 ed il 85 % di una RM, per permettere la stimolazione di tutte le
unità motorie disponibili, perciò un numero elevato di fibre muscolari. Il numero di
ripetizioni non deve essere superiore a 10. Carichi elevati (90%) consentono un numero
limitato di ripetizioni (2-3 rip.) perciò sono stimolati solo i processi nervosi. Carichi inferiori
al 70% permettono di eseguire un numero di ripetizioni elevato ma non si attivano tutte
fibre perciò si innescano solo i processi metabolici deputati alla resistenza. Lavorando con
carichi che ci permettono di eseguire al massimo 10 ripetizioni, si attivano i processi
connessi alla sintesi proteica, essenziale per l'aumento della massa muscolare Fig. 85.
Fig.85 Rappresentazione dei carichi e del numero di ripetizioni utilizzati per migliorare la forza max o l’ipertrofia
(da: Cometti, 1988)
Possiamo affermare che la causa principale dell'ipertrofia è dovuta principalmente
all'aumento del materiale contrattile del muscolo, tuttavia altri due elementi concorrono, se
pur in modo meno marcato, all’aumento del volume muscolare:
• Tessuto connettivo
• Vascolarizzazione
107
Diversi autori (Stone 1988, Viidik 1986, Golspink 1985) hanno notato che all’aumento del
volume delle miofibrille si accompagna un aumento del tessuto connettivale che avvolge le
miofibrille. Le modificazioni avvengono prevalentemente a carico dell’elemento principale
del tessuto connettivale che è il collagene, composto di tre catene di aminoacidi.
L’altro elemento che concorre all’ipertrofia è l’aumento della vascolarizzazione. Si è
riscontrato un aumento di vasi capillari per fibra soprattutto in atleti che praticano sport di
resistenza e culturisti, mentre nessun risultato significativo si è avuto su atleti che
eseguono esercizi di forza come i sollevatori di pesi.
Reclutamento delle fibre
Lo sviluppo della forza nel corso di un movimento naturale o gesto sportivo, dipende da
una complessa serie di movimenti, controllati e coordinati da una complicata sequenza di
attivazione neuromuscolare. Lo sviluppo e la regolazione fine della forza viene effettuato
da un sistema centrale (Sistema Nervoso Centrale) che si serve poi di un sistema
periferico (nervi periferici) per portare l’ordine ai muscoli Fig 86.
Fig 86 la figura mostra una sezione del midollo spinale ed i motoneuroni afferenti (in entrata al midollo) e i neuroni
efferenti (in uscita dal midollo).
108
Le fibre muscolari si contraggono ed esprimono tensione per effetto di stimoli nervosi che
dal sistema nervoso centrale raggiungono le fibre stesse attraverso un motoneurone. Il
complesso funzionale costituito da un motoneurone spinale alfa e dalle fibre che esso
innerva viene definito UNITA’ MOTORIA fig. 87.
La maggior parte dei muscoli è costituita da 100 a 700 unità. Es. muscolo flessore di un
dito ci sono 120 unità motorie per un totale di 41000 fibre, il gastrocnemio è controllato da
580 unità motorie per un totale di fibre di 1030000.
Il numero di fibre per unità motoria varia a secondo dei muscoli, ad esempio si va dalle tre
fibre per il muscolo estrinseco dell’occhio alle circa 1730 fibre per il soleo (Aubert).
Es. muscolo flessore delle dita l’unità motoria contiene 340 fibre, il gastrocnemio ne
contiene 1800.
Fig 87 unità motoria
La contrazione di una fibra muscolare è sempre massimale, pertanto anche la
stimolazione di una unità neuromotoria comporta uno sviluppo di forza massimale.
la contrazione simultanea di tutte le fibre di una unità motoria viene definita: LEGGE
DEL TUTTO O NULLA
Può sembrare a prima vista che il muscolo sappia compiere contrazioni solo massimali ma
in realtà è in grado di sviluppare innumerevoli varietà di tensioni.
La graduazione della forza sviluppata dipende dalla possibilità di variare la
frequenza di stimolazione delle unità neuromotorie e dalla possibilità di variare il
numero delle unità neuromotorie stimolate.
Il meccanismo che regola il numero di unità motorie da reclutare per sviluppare
tensioni diverse viene definito reclutamento.
109
Reclutamento e frequenza
Tra i fattori neurogeni, quello che subisce i primi adattamenti all’allenamento della forza
massimale è quello relativo al reclutamento di nuove unità motorie (reclutamento spaziale)
Successivamente con l’allenamento migliora la capacità di reclutare sempre più unità
motorie nel medesimo tempo (reclutamento temporale).
Il reclutamento temporale è spiegato nel seguente modo:
il muscolo risponde ad un impulso con una contrazione, al sopraggiungere di un secondo
impulso la contrazione diventa maggiore; una serie di impulsi ravvicinati provoca un tetano
ravvicinato o clono, fino ad arrivare al tetano completo Fig.88, normalmente la fascia delle
frequenze è compresa tra 8 e 50-60 hertz.
Fig 88 Reclutamento temporale
Per i movimenti rapidi può arrivare anche ai 150 hertz. La forza massima si può ottenere
anche con frequenze di 50 hertz, ed anche se la frequenza arriva a 150 hertz non vi sono
incrementi di forza massima bensì un miglioramento della pendenza della curva Fig.89,
questo fenomeno è particolarmente interessante per tutti i gesti sportivi di tipo esplosivo.
110
Fig. 89 una stimolazione a 50Hz è sufficiente per produrre forza massimale (a). se si aumenta la frequenza (b)
aumenta la pendenza della curva e quindi lo sviluppo rapido della forza (secondo Grimby e coll. 1981)
Le frequenze fino a 50-60 hertz sono strettamente legate al reclutamento spaziale e per
raggiungerle c'è bisogno in ogni caso di carichi elevati. Sollevare carichi elevati in tempi
molto brevi permette di arrivare a frequenze intorno ai 100 hertz, mentre con movimenti
esplosivi espressi in tempi brevissimi (100ms) si arriva a frequenze di 150 hertz. La
capacità di emettere impulsi di stimoli ad alta frequenza è l’ultima fase di miglioramento
del sistema nervoso. Per produrre adattamenti stabili occorre un periodo di tempo molto
lungo; di contro c’è il fatto che l’adattamento regredisce velocemente in assenza di
allenamento.
Fig. 90 Rappresentazione dei fenomeni di reclutamento nell’aumento di forza (Fukunaga 1976)
L’effetto positivo dello stimolo, all’inizio dell’allenamento, agisce prevalentemente sul
numero di fibre da reclutare.
Un soggetto sedentario normalmente recluta solo il 30-50% delle unità a disposizione, Fig
90 dopo alcune settimane di lavoro il soggetto è in grado di esprimere più forza grazie ad
111
un maggior reclutamento di unità motorie, mentre con il proseguire del tempo la causa del
miglioramento di forza diventa l'ipertrofia.
Il reclutamento delle fibre muscolari è normalmente spiegato con la legge di Henneman
che mostra come le fibre lente siano reclutate prima delle rapide. La Fig 91 evidenzia che
per carichi leggeri sono reclutate fibre lente, per un carico medio si reclutano fibre
intermedie e solo con carichi elevati si attivano fibre veloci. Questa legge oggi è stata
rimessa in discussione quando si parla di movimenti balistici. La legge rimane valida solo
se i movimenti con carichi leggeri sono spostati a basse velocità cioè se si passa da
esercizi eseguiti blandamente come la corsa lenta e si va verso esercizi di forza. In
movimenti balistici le unità motorie rapide vengono reclutate senza che siano sollecitate le
fibre lente fig. 92
Fig 91 Il reclutamento delle fibre rispetto all’intensità del carico (Costill 1980)
112
Fig 92 Modello ipotetico di reclutamento delle varie unità motorie lente (ST) intermedie (FTa) e veloci (FTb) (da: Stuart
ed Enoka 1983)
Studi condotti da Bosco e Komi hanno dimostrato che soggetti ricchi di fibre veloci nei
muscoli degli arti inferiori, ottenevano risultati migliori nel salto verticale. Questo fa
pensare che se pur gli sviluppi di forza sono molto bassi, 30-40% della forza massima
isometrica, l’intervento delle unità fasiche è dominante sulle toniche.
La sincronizzazione
Come detto nel paragrafo precedente la capacità di emettere impulsi di stimoli ad alta
frequenza è l’ultima fase di miglioramento del sistema nervoso. Quest’ultimo adattamento
ci porta ad un altro meccanismo di produzione della forza: la sincronizzazione.
La sincronizzazione la possiamo definire come la capacità di reclutare tutte le fibre nello
stesso istante. Quindi la sincronizzazione ci porta ad un ulteriore miglioramento della forza
e soprattutto al miglioramento della forza esplosiva. Secondo Sale (1988) la
sincronizzazione delle unità motorie non porta ad un aumento della forza massima ma ad
una capacità di sviluppare forza in tempi più brevi. La sincronizzazione è regolata da un
particolare sistema inibitorio composto da interneuroni chiamate cellule di Renshaw fig.
93. Queste cellule formano un sistema di sicurezza con l’effetto di deprimere l’attività dei
motoneurone. Il risultato è pertanto una diminuzione della frequenza di scarica del
motoneurone, per cui viene impedita un’eccessiva attività con eventuale sovraccarico del
muscolo.
113
Un miglioramento della sincronizzazione con conseguente inibizione del circuito di
Renshaw, si può avere attraverso esercitazioni molto intense come ad esempio balzi
pliometrici
Fig 93 Cellula di Renshaw
Nella Fig. 94 sono schematizzati i rapporti tra reclutamento e sincronizzazione nel corso di
una contrazione muscolare. Inizialmente si migliora la capacità di reclutare un maggior
numero di unità motorie, successivamente migliora la capacità di reclutarle in un tempo
minore e per ultimo aumentare la frequenza di stimolo che porta alla sincronizzazione.
Fig.94 Rappresentazione schematica dell’intervento dei diversi meccanismi nella regolazione della forza (da: Cometti)
114
FATTORI LEGATI ALLO STIRAMENTO
Generalmente un muscolo preventivamente allungato, con piccole variazioni, esprime nel
successivo accorciamento una forza maggiore rispetto ad una semplice contrazione
eccentrica. La conseguenza di questo fenomeno dipende:
� Sollecitazione del sistema nervoso
� Proprietà visco-elastiche del muscolo
Fattori eccitatori ed inibitori
L'importanza delle esercitazioni pliometriche è quella di stimolare il sistema
neuromuscolare tale da provocare sollecitazioni che permettono di sviluppare, in tempi
molto brevi, elevatissimi livelli di forza ad alte velocità. La condizione essenziale per avere
elevati sviluppi di forza, è quella di una limitata variazione angolare delle articolazioni
interessate. Le esercitazioni pliometriche stimolano fortemente, con il meccanismo
stiramento-accorciamento, sia le strutture miogene (parte contrattile del muscolo) che
quelle neurogene (sistema nervoso). La stimolazione più importante avviene a livello
neurogeno dove vengono ad essere sollecitate due funzioni tra l’altro in contrasto tra loro:
inibitoria ed eccitatoria. L’equilibrio che si crea tra gli stimoli inibitori e quelli eccitatori
influenzano le condizioni di realizzazione della prestazione.
L’unità motoria è costituita da un motoneurone, chiamato più precisamente
alfamotoneurone, e dall’insieme di fibre che esso innerva. L’alfamotoneurone riceve
informazioni o meglio stimoli dal Sistema Nervoso Centrale (SNC) e le trasmette alle fibre,
le quali si contraggono. Oltre a ricevere informazioni dal SNC, l’alfamotoneurone riceve
altre informazioni provenienti, al momento dell’allungamento, da fibre afferenti le quali
inviano, attraverso motoneuroni chiamati betamotoneuroni, ulteriori stimoli che vanno a
sommarsi a quelli provenienti dal SNC potenziandolo e permettendo un maggior
reclutamento. Questa funzione eccitatoria è definita riflesso miotattico o riflesso da
stiramento.
Il segnale che dal muscolo arriva al sistema nervoso centrale proviene da particolari
recettori situati in parallelo con le fibre muscolari definiti fusi neuromuscolari. I fusi neuromuscolari sono recettori posti nei muscoli che forniscono messaggi riguardo
la lunghezza del muscolo, più precisamente delle fibre muscolari, vengono definiti anche
recettori di allungamento Fig 95
115
Fig 95 descrizione schematica dei fusineuromuscolari.
Quando un muscolo viene stirato contemporaneamente vengono sollecitati anche i fusi
neuromuscolari che inviano un segnale al sistema nervoso centrale. Se lo stiramento è
seguito in tempi brevissimi da una contrazione concentrica il segnale proveniente dai fusi
si somma al segnale volontario proveniente dal sistema nervoso centrale rafforzandolo.
Oltre a sollecitazioni eccitatorie ve ne sono altre inibitorie provenienti dai tendini dove
sono situati particolari sensori chiamati corpuscoli tendinei del Golgi (GTG) fig 96.
Fig 96 recettori del Golgi e meccanismo inibitorio.
116
I recettori del Golgi sono recettori di forza, ed essendo posti in serie rispetto al muscolo
rispondono alle variazioni di forza che si sviluppano ai capi tendinei.
La funzione dei GTG è di inibire, o più semplicemente evitare, eccessivi sviluppi di forza
che potrebbero provocare infortuni muscolari. Bosco (1985) ha dimostrato che i GTG
hanno funzione inibitoria quando si raggiungono altezze di cadute eccessive nel Drop
jump/salto in basso (caduta da diverse altezze con successivo salto verticale).
L’allenamento con esercitazioni pliometriche innalza la soglia di eccitabilità dei recettori del
Golgi in modo da avere una migliore risposta neuromuscolare, cioè un maggior sviluppo di
forza. La migliore risposta neuromuscolare si ha quando gli stimoli eccitatori del riflesso
miotattico superano gli stimoli inibitori esercitati dai GTG. Nella fig. 97 si può notare la
differenza di risposta dell’attività elettrica di un soggetto allenato ed uno non allenato.
Fig. 97 Registrazione elettromiografica del gastrocnemio durante un
salto pliometrico cadendo da 1,1 m, in un soggetto allenato (sotto) e non
allenato (sopra).
L’attività elettromiografica del soggetto allenato al momento del
contatto sale per tutto il tempo, mentre il non allenato mostra una
depressione iniziale dovuta ad inibizione (da Schmidtbleicher e Gollhofer,
1982)
Proprietà visco-elastiche del muscolo
Nelle esercitazioni pliometriche, oltre alle componenti già descritte, oltre ad una risposta
positiva a livello dell’attività elettrica vi sono altre componenti che danno ulteriori vantaggi
ai fini di maggiori sviluppi di forza. I vantaggi derivano dalle componenti elastiche, le quali,
una volta prestirate, restituiscono energia che va a sommarsi alla contrazione concentrica,
per un ulteriore contributo allo sviluppo di forza. Un fattore molto importante ai fini
dell’efficacia muscolare dovuta ad uno stiramento, è il tempo di “accoppiamento” (Bosco
1982), cioè il tempo che divide la fase di stiramento con la fase di accorciamento. Bosco
117
ha dimostrato che più breve è il tempo di accoppiamento, più elevata è la restituzione di
energia potenziale.
La quasi totalità degli sport presentano gesti tecnici con componenti a carattere
pliometrico, perciò è importante inserire nell’allenamento esercitazioni che sollecitano la
componente di allungamento-accorciamento. Nella Fig 98 si riassumono i punti più
importanti dello stiramento muscolare.
Fig 98 Riepilogo circa le considerazioni applicative relative allo stiramento muscolare (da: Cometti)
Meccanismo della contrazione e relativo sviluppo di forza
(Relazione forza-lunghezza)
Altro meccanismo per comprendere a fondo lo sviluppo della forza è il rapporto tra lo stato
di allungamento del muscolo e la capacità di produrre forza.
La relazione forza-lunghezza è un elemento molto importante che ci permette di
comprendere meglio la forza sviluppata da un muscolo.
118
La forza sviluppata da un muscolo deve essere messa in relazione con la lunghezza del
muscolo stesso, in altre parole il muscolo non è in grado di sviluppare la stessa forza a
lunghezze diverse. Questo concetto quasi sempre viene visto sotto un altro punto di vista
e precisamente forza sviluppata e angolo di lavoro. Sappiamo che al variare dell’angolo
varia lo sviluppo della forza. In effetti quello che varia al variare dell’angolo è la lunghezza
del muscolo. Ad esempio il bicipite brachiale alla sua massima estensione è in grado di
sviluppare una forza molto bassa, man mano che il braccio si flette la forza sviluppata è
sempre maggiore fino a raggiungere il massimo ad un angolo di 90°. Superato l’angolo di
90° la forza tende di nuovo a diminuire fino ad essere quasi nulla alla massima flessione
(figura 99). Questo fenomeno è spiegabile attraverso l’analisi della contrazione dei singoli
sarcomeri. La lunghezza del muscolo dipende dall’allungamento dei singoli sarcomeri.
Infatti i sarcomeri di un muscolo, alla sua massima estensione, si presentano come in
figura 100. La quantità di ponti di miosina che si possono legare all’actina sono un numero
ridotto per la scarsa sovrapposizione dei rispettivi filamenti di actina e miosina. Man mano
che il sarcomero si accorcia aumentano i ponti di miosina che possono attivarsi per una
maggior sovrapposizione di filamenti. Quando si raggiunge la condizione in cui tutti i ponti
della miosina possono legarsi all’actina si ha il massimo sviluppo di forza di un singolo
sarcomero e di conseguenza del muscolo stesso (figura 101). Superata questa condizione
il sarcomero continua ancora ad accorciarsi fino alla massima sovrapposizione dei
filamenti di actina e miosina ed in questa fase la forza tende diminuire sensibilmente fino a
diventare pressoché nulla (figura 102).
119
Fig 99
Fig 100
Fig 101
Lunghezza del
Tensione
Lunghezza del
Tensione
120
Fig 102
Questo fenomeno è maggiormente visibile nello schema presentato dal da G. A. Cavagna
di figura 103 che ci mostra il diagramma forza-lumghezza.
Fig 103 La parte superiore della figura mostra un diagramma forza-lunghezza di una singola fibra muscolare:
sull’ordinata la forza espressa come per cento del valore massimo, sull’ascissa è indicata la lunghezza del sarcomero
(in millesimi di mm: µm). nella parte inferiore della figura sono illustrati, schematicamente, i rapporti tra actina e
miosina alle lunghezze del sarcomero indicate dalle frecce sul diagramma forza-lunghezza (da 1 a 6). [Da Gordon,
Huxley e Julian (1966): modificata].
Lunghezza del sarcomero
Tensione sviluppata
121
L’ALLENAMENTO DELLA FORZA
Definizione di Forza:
Svariate sono le definizioni che i vari ricercatori hanno formulato per classificare la
forza:
� “La forza muscolare si può definire come la capacità che i componenti intimi
della materia muscolare hanno di contrarsi, in pratica di accorciarsi”. (VITTORI)
� “La forza è la capacità del muscolo scheletrico di produrre tensione nelle varie
manifestazioni”. (VERCHOSANSKIJ)
� “Si può definire la forza dell’uomo come la sua capacità di vincere una
resistenza esterna o di opporvisi con un impegno muscolare”. (ZACIORRSKIJ)
Semplificando le definizioni citate, si può affermare che la forza si identifica nella
capacità del muscolo di esprimere tensione
Essendo molteplici le tensioni che un muscolo può esprimere si vengono ad avere
espressioni di forza che possiamo così sintetizzare:
1. FORZA MASSIMA
2. FORZA ESPLOSIVA
3. RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE
4. RESISTENZA MUSCOLARE
• La forza massima si può definire come la capacità del sistema neuromuscolare di
sviluppare la più alta tensione possibile, per vincere una resistenza elevata, senza
limitazione di tempo.
• La forza esplosiva, anche se in modo improprio, si può definire come la capacità del
sistema neuromuscolare di esprimere elevati gradienti di forza nel minor tempo
possibile, in modo da imprimere al carico da spostare la maggior velocità possibile.
• E’ interessante sottolineare che all’espressione di forza esplosiva coincide la massima
potenza muscolare. La massima potenza muscolare generalmente si ottiene con
sviluppi di forza pari al 30-40% della forza massima e con velocità di accorciamento
pari al 35-45% di quella massima.
• La resistenza alla forza veloce non è altro che la capacità di esprimere elevati sviluppi
di forza esplosiva ripetuti per tempo relativamente lungo
122
• La resistenza muscolare è la capacità del muscolo di produrre bassi sviluppi di forza
prolungati per lungo tempo.
Le varie espressioni di forza precedentemente menzionate: forza massima, forza
esplosiva, resistenza alla forza esplosiva e resistenza muscolare possono essere
classificate in conformità a principi biologici. Queste espressioni si possono classificare
tenendo in considerazione sia gli aspetti neuromuscolari che servono a modulare la
tensione, sia gli aspetti metabolici che ne determinano la durata. Pertanto la forza
massima e la forza esplosiva sono caratterizzate da fattori neurogeni, mentre la resistenza
alla forza esplosiva e la resistenza muscolare sono caratterizzate da fattori metabolici.
Questa classificazione ci porta a fare una distinzione tra sport individuali e sport di
squadra.
Gli sport individuali si possono dividere in due gruppi, uno dove prevale la forza esplosiva
e quindi la velocità connessa alla forza (corsa veloce, salti, lanci, ecc.), l’altro gruppo dove
prevalgono i fattori metabolici a determinare la prestazione (maratona, sci di fondo,
ciclismo, ecc.).
Per quanto riguarda gli sport di squadra bisogna considerare due aspetti molto importanti:
1. ESPLOSIVITA’
2. RIPETIZIONE.
Spesso sorge il dubbio su quale delle due caratteristiche bisogna soffermarsi. Gli sport di
squadra sono caratterizzati da sforzi di tipo esplosivo che vengono ripetuti molte volte
quali correre più veloci, saltare più in alto, arrivare prima dell’avversario sulla palla e nel
frattempo recuperare la fatica nel più breve tempo possibile. Per questi motivi, si cade
molte volte nell’errore di impostare la preparazione atletica sul lavoro di resistenza, basato
sulla convinzione che sforzi di bassa intensità e a ritmo lento sono di gran lunga superiore
a quelli di tipo esplosivi cioè brevi e rapidi. Analizzando un qualsiasi sport di squadra ci si
rende conto che, in effetti, gli sforzi di bassa intensità sono di gran lunga superiori a quelli
di azioni esplosive. A mio avviso non bisogna lasciarsi influenzare dalla loro quantità, per
impostare il lavoro, ma capire che il risultato è determinato, se pur da quantità inferiori, da
sforzi esplosivi. Alla luce di quanto detto la preparazione atletica, deve essere impostata al
miglioramento di ciascuna azione esplosiva cioè: saltare più in alto, correre più veloce o
schiacciare con la massima potenza. Perciò si può affermare, senza ombra di dubbio, che
123
il potenziamento muscolare cioè l’allenamento della forza, è alla base dello sviluppo
dell’esplosività e quindi del risultato sportivo.
In conclusione si può riassumere che la preparazione fisica, per gli sport di squadra, deve
avere questa successione temporale:
1. MIGLIORAMENTO DELLE QUALITA’ NEUROMUSCOLARI (Tutte le espressioni
della forza) in altre parole MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI QUALITATIVI
DELL’ALLENAMENTO
2. MIGLIORAMENTO DEI PROCESSI METABOLICI (aerobico ed anaerobico) cioè
MIGLIORAMENTO DEI PARAMETRI TEMPORALI DELL’ALLENAMENTO.
La forza esplosiva deve costituire la base della preparazione fisica, la resistenza viene
allenata successivamente.
CONSIDERAZIONI PRATICHE SULLA FORZA
Nella maggior parte degli sport, l’incremento della prestazione è dato dal miglioramento
della velocità del gesto tecnico, questo significa sviluppare elevati gradienti di forza nel
minor tempo possibile, vale a dire migliorare la forza esplosiva
124
Per capire meglio il miglioramento della forza esplosiva analizziamo la relazione forza-
velocità (fig. 104).
F i g . 1 0 4 R e l a z i o n e fo r z a / v e l o c i t à tr a c a r i c o s o l le v a to e v e lo c it à d i sp o s t a m e n t o
0
1 00
2 00
3 00
4 00
5 00
6 00
7 00
8 00
9 00
1 0 00
0 0 ,2 0 ,6 1 1 ,4 1,8 2 V m /s
F N
F o r z a m a s s im a
F o rz a e s p l o s iv a
Si nota dalla figura che, al diminuire del carico da spostare, diminuisce la forza ed
aumenta la velocità. Appare chiaro che la forza massima si estrinseca con velocità basse,
mentre, quella esplosiva, con velocità alte. Migliorare la forza esplosiva significa spostare
la curva forza-velocità verso destra. Questo, però, non è sempre possibile poiché la forza
esplosiva è legata alla forza massima, perciò, per migliorarla, occorre migliorare anche
quest’ultima.
Spesso si esalta troppo lo sviluppo della forza massima trascurando l’elemento velocità.
Così facendo, si corre il rischio di cadere nell’errore di diventare “troppo forti”, cioè capaci
di sollevare un carico maggiore, ma allo stesso tempo più lenti.
Questo perché, nell’allenamento della forza, spesso si prende in considerazione un solo
aspetto, vale a dire la forza stessa, trascurando un altro importantissimo parametro, cioè
la velocità con cui la forza si manifesta.
Utilizzando solo il carico massimo come parametro di riferimento (sistemi tradizionali come
metodo piramidale, ripetizioni massime RM, metodo a contrasto), si trascura il parametro
più efficace per creare adattamenti specifici e concreti, cioè l’intensità del carico.
L’intensità si può definire il modo con cui si sposta un carico, cioè la velocità di
spostamento, poiché è proprio la velocità con cui è realizzato il movimento che favorisce il
miglioramento e, quindi, l’adattamento di un processo biologico, anziché di un altro.
125
Oggi si sono distinte la percentuale del carico e l’intensità per allenare le varie espressioni
di forza:
Alla luce di queste considerazioni una programmazione razionale e personalizzata non
può essere formulata basandosi su esperienze empiriche. Oggi sono state messe a punto
attrezzature (Muscle Lab Bosco Sistem) che consentono di valutare e controllare
sistematicamente l’allenamento di ogni atleta prendendo in considerazione le
caratteristiche muscolari di ogni individuo. Per il miglioramento della forza nelle sue varie
espressioni si prende in considerazione il valore della potenza, essendo questo
parametro, il prodotto della forza per la velocità. Prendendo in esame questo parametro
vediamo di seguito quali sono i campi di intervento per allenare le varie espressioni di
forza.
FORZA MASSIMA
Per quanto riguarda la forza massima, si consiglia di utilizzare carichi compresi tra il 70 e il
100% del CM (carico massimo), in questo modo si è certi di sollecitare tutte le unità
motorie possibili. Con carichi prossimi a quelli massimali possiamo stimolare con forti
sollecitazioni, il sistema neuromuscolare, per periodi relativamente lunghi (700 – 900 ms.).
Con carichi al di sotto del 70% del CM possiamo, sì avere un reclutamento massimale, ma
con tempi di lavoro molto ridotti rispetto ai carichi maggiori. L’effetto allenante per la forza
massimale consiste nella stimolazione protratta nel tempo fig. 105. Il valore della potenza
nelle ripetizioni non deve scendere al di sotto del 90% di quello massimale fig. 106.
126
Fig 105 Attività elettromiografica registrata nei muscoli estensori del ginocchio
(quadricipite femorale) durante l’esecuzione di uno squat jump, ½ squat con un carico pari
al 50% e con un carico pari al 250% del peso corporeo. Si evidenzia come nello squat
jump l’entità dell’attivazione mioelettrica è di gran lunga maggiore di quella che si ottiene in
prestazioni di ½ squat. Nello stesso tempo si può notare che la durata dello stimolo, nello
squat jump, è solo il 40% di quello che si registra nel ½ squat eseguito con sovraccarico
del 250% del peso corporeo (da: Bosco e coll. 1996)
127
Fig 106
FORZA ESPLOSIVA
Fattori collegati allo sviluppo della forza esplosiva
La capacità di sviluppare gradienti di forza esplosiva in forma balistica, caratterizza
molte discipline sportive. La forza esplosiva rappresenta la qualità muscolare
fondamentale ai fini della prestazione agonistica. I fattori che sono stati individuati e
correlati alla sua manifestazione (Bosco 1995) sono i seguenti:
1. frequenza degli impulsi nervosi che dal cervello arrivano ai muscoli;
2. numero delle fibre muscolari a cui vengono inviati i messaggi;
3. Influenza del biofeedback delle cellule di Renshaw dei propriocettori (o fusi muscolari),
dei corpuscoli tendinei del Golgi (GTO), dei recettori articolari, insieme ad altri, a livello
spinale e/o sopraspinale;
4. Tipo di fibre muscolari (fibre veloci (FT), e/o lente (ST), ed intermedie (FTR);
5. Dimensione e tensione prodotta da ciascuna fibra muscolare, che dipendono
rispettivamente dalle masse e dal peso molecolare della struttura proteica che
costituisce la fibra;
ALLENAMENTO PER LA FORZA MASSIMA
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1
Velocità m/s
pot W 100%pot W 90% Forza N
CARICO : 70% - 100% 1 RM
POTENZA : > 90% della max
Fo
rza
N/P
ote
nza
W
128
6. Condizioni fisiologiche in cui si trova la fibra muscolare prima che venga sviluppata la
forza esplosiva (stato di riposo, attivo), cioè se il lavoro concentrico o positivo viene
eseguito dopo uno stiramento attivo (lavoro eccentrico) del muscolo, o se viene
prodotto partendo da condizioni di riposo;
7. Stato di allenamento in cui la fibra muscolare si trova; questo interessa sia il
comportamento neuromuscolare che metabolico della fibra stessa;
8. Livello di concentrazione del testosterone in circolo.
La forza muscolare e la velocità sviluppate dal lavoro muscolare sono difficili da
distinguere l’una dall’altra. Ambedue vengono prodotte dallo stesso meccanismo di
controllo e guida, che è il sistema neuromuscolare. La velocità di contrazione di un
muscolo dipende dall’entità del carico esterno; con carichi alti si ottengono velocità basse
e viceversa (Hill 1938). Il prodotto della forza estrinsecata e della velocità sviluppata
determinano la potenza meccanica che il muscolo può realizzare con quel determinato
carico. Un muscolo sviluppa la potenza massima (Pmax) generalmente quando la forza
raggiunge il 35-45% della forza massimale (Fmax), ed il 35-45% della massima velocità di
accorciamento (Vo); questo si verifica sia nel muscolo isolato (Hill 1938) che in vivo
(Bosco e coll. 1982).
La forza esplosiva si può identificare con la potenza massima, dato che rappresenta
l’espressione più elevata di produzione lavoro, in brevissimo tempo, che coinvolge sia i
meccanismi neuromuscolari che quelli morfologici e strutturali.
Il miglioramento della forza massima avviene prima con adattamenti e modificazioni di
origine nervosa e, successivamente, seguono complesse trasformazioni e mutamenti
morfologici che conducono all’ipertrofia muscolare. E’ possibile che i fattori neurali
agiscano a diversi livelli del sistema nervoso centrale e periferico.
Questo determina come risultato finale un’attivazione massimale di tutte le fibre muscolari
(Millner-Brown et coll. 1975). Ciò significa avere la possibilità di stimolare istantaneamente
un altissimo numero di fibre muscolari, che in definitiva sono quei processi che
determinano la forza esplosiva.
Adattamento neurogeno significa inoltre, migliorare la coordinazione intra ed
intermuscolare che conduce ad un risparmio d’energia metabolica, oltre che all’incremento
della velocità d’esecuzione di un movimento.
129
Studi condotti su atleti, avevano indotto a pensare che l’allenamento della forza massima
determinasse un miglioramento del sistema di reclutamento delle varie fibre muscolari.
Pertanto, essendo questo collegato alla forza esplosiva, ne favorirebbe il miglioramento.
Le interazioni tra la forza esplosiva e quella massima sono state per lungo tempo
considerate gli unici legami biologici tra le due espressioni di forza. Infatti queste mostrano
tra loro basi comuni di natura metabolica, strutturale e neurogena. Tra queste, le ultime
sembrano possedere maggiori legami funzionali.
Per tale ragione, quando la velocità d’esecuzione diventa fattore indispensabile per la
riuscita della prestazione, si cerca di migliorare la forza esplosiva sia con metodologie
dirette, sia attraverso il miglioramento della forza massima.
Per allenare la forza esplosiva, si consigliano carichi leggeri che si aggirano tra il 20% e il
70% del CM con sviluppi di potenza sempre massimali, con valori compresi tra il 90 e il
100% di quello max. Per avere alti sviluppi di forza esplosiva debbono essere coinvolte
prevalentemente le fibre bianche, pertanto l’esecuzione del movimento deve essere più
veloce possibile. Con carichi al di sotto del 70% per ottenere il massimo sviluppo di
potenza sia la forza sia la velocità devono essere massimali. E’ importante in questo tipo
di lavoro un recupero totale fig.107.
Fig. 107
IPERTROFIA MUSCOLARE
L’ipertrofia, cioè incremento di massa muscolare, non è da considerare un’espressione di
forza bensì un meccanismo strutturale che influenza la forza massima, Per allenarla si
ALLENAMENTO PER LA FORZA ESPLOSIVA
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s
Forza N/Potenza W
pot W 100%
pot W 90%
Forza NCARICO : 20% - 70% 1 RM POTENZA : > 90% della max
130
utilizzano carichi compresi tra il 70% e il 85% del CM con sviluppi di potenza tra l’80%e il
90% della Max (fig. 108). La scelta delle percentuali del carico è dettata dal fatto che esso
deve essere sufficientemente alto per permettere la stimolazione di tutte le unità motorie
disponibili e quindi il maggior numero di fibre, ma non superiore al 85% perché limiterebbe
il numero di ripetizioni. I valori della potenza non devono superare il 90% in quanto
insorgerebbe precocemente la fatica limitando il numero delle ripetizioni, pertanto non si
attivano i processi metabolici utili per l’ipertrofia. Valori al di sotto dell’80%
significherebbero velocità basse, perciò reclutamento di fibre lente che non producono
sostanziali incrementi di massa muscolare al contrario delle fibre bianche.
Fig 108
ALLENAMENTO PER IPERTROFIA
0
10
20
30
40
50
60
70
80
90
100
0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s
Forza N/Potenza W pot W 100% pot W 90% pot W 80% Forza N CARICO : 70% - 85% 1 RM
POTENZA : 80% - 90% della max
131
RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE
I carichi da utilizzare si aggirano tra il 20 e il 50% del CM con valori di potenza tra l’80% e
il 90% della Max (fig. 109).
Fig 109
RESISTENZA MUSCOLARE
Carichi di lavoro compresi tra il 20 e il 50% del CM. I valori della potenza devono essere
compresi tra il 60 e l’80% della Max (fig. 110).
Fig 110
ALLENAMENTO PER LA RESISTENZA ALLA FORZA VELOCE
0
10 20 30 40 50 60 70 80 90
100
0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s
Forza N/Potenza W
pot W 100%pot W 90%pot W 80%Forza N
CARICO : 20% - 50% 1 RM POTENZA : 80% - 90% della max
ALLENAMENTO PER LA RESISTENZA
0 10 20 30 40 50 60 70 80 90
100
0 0,1 0,3 0,5 0,7 0,9 1 Velocità m/s
Forza N/Potenza W
pot W 100% pot W 80% pot W 60% Forza N
CARICO : 20% - 50% 1 RM
POTENZA : 60% - 80% della max
132
Per tutte le espressioni di forza elencate, compresa l’ipertrofia muscolare, il numero delle
ripetizioni, per ogni serie eseguita, non sono più stabilite a priori, ma sono determinate in
base ai valori di potenza sviluppati per ogni serie. I valori della potenza devono rimanere
entro il range indicato per ogni espressione di forza, tutto questo oggi è possibile attuarlo
con le moderne attrezzature che si trovano in commercio.
L’apparecchiatura attualmente più utilizzata è quella realizzata dal Prof. Bosco denominata
Muscle Lab Bosco-System, composta di sensori che collegati alle normali macchine di
muscolazione o al bilanciere libero, è capace di rilevare fenomeni meccanici dovuti alla
contrazione muscolare, quali ad esempio lo spostamento che il carico subisce ed il tempo
impiegato per il movimento. Oltre a questi due parametri, il Muscle Lab fornisce anche i
valori della Forza espressi in Newton, la Potenza Max e la Potenza Media per ogni serie di
lavoro. Questo strumento, oltre alla valutazione delle caratteristiche muscolari, trova facile
ed utile applicazione per la guida e la personalizzazione del carico di lavoro
nell’allenamento.
133
ASPETTI NEURONALI DELLA FORZA
Elettromiografia
Per elettromiografia (EMG) si intende l’insieme delle tecniche per il rilievo,
l’elaborazione, la rappresentazione e l’interpretazione dei segnali elettrici generati,
durante la contrazione volontaria o indotta, dai muscoli scheletrici. (De Luca e
Knaflitz, 1992)
Tipi di elettromiografia:
• ELETTROMIOGRAFIA DI SUPERFICE: realizzata mediante elettrodi di superficie
applicati nella parte sovrastante il muscolo da analizzare
• ELETTROMIOGRAFIA INTRAMUSCOLARE: realizzata mediante aghi introdotti nel
muscolo da indagare.
In questa circostanza viene trattata solo l’elettromiografia di superficie.
L’elettromiografia intramuscolare risulta essere una pratica invasiva perciò può essere
trattata solo da personale medico.
L’elettromiografia di superficie può essere eseguita da tutti ma solo a scopo valutativo e
non per scopi diagnostici.
Il segnale che si registra con l’elettromiografia di superficie può essere di due tipi a
secondo degli strumenti utilizzati:
• Segnale grezzo
• Segnale rettificato
Il segnale grezzo è visualizzato nella figura 111, si può notare come vi siano picchi positivi
e negativi del segnale, oltre a momenti in cui i picchi sono molto alti e più serrati tra di loro.
Queste fasi stanno ad indicare che il segnale elettrico che arriva al muscolo è molto più
intenso e con frequenza più alta.
Questo tipo di segnale è molto difficile da interpretare e tradurre in aspetti pratici
soprattutto per i meno esperti di elettromiografia.
134
fig 111
Vi sono oggi strumenti in commercio che forniscono un segnale molto più semplice da
leggere come in fig 112. Questo tipo di segnale viene definito “segnale rettificato”.
Fig 112
Il tracciato del segnale viene RETTIFICATO, calcolato come i valori medi del segnale base
(Average Rectified Value AVR) o anche come i valori della radice quadrata dei valori medi
elevati al quadrato (Root Mean Square RMS) segnale di fig 113
Il passaggio da un segnale grezzo ad un segnale rettificato viene illustrato nella fig 114.
Fig 113
Il segnale grezzo evidenziato in rosso viene rettificato, cioè trasformato in un segnale tutto
positivo (curva blu) secondo il metodo della Root Mean Square.
EMGrms
VL sx
VL dx
EM
G[m
V]
Time[s]
0.000
0.002
0.004
0.006
0.008
0.010
1.1 1.8 2.6 3.4
135
Altro metodo per quantizzare il segnale elettromiografico è quello del calcolo dell’’integrale
in funzione del tempo (IEMG) della curva RMS; con questa sigla s’intende il volume
(quantità) totale rispetto al tempo totale dell’esercizio fig 115.
Fig 115
Nella figura 116 viene messo in evidenza le diverse risposte del segnale elettrico
registrate in contrazioni isometriche fino all’affaticamento e con carichi diversi rispetto al
carico massimo del soggetto in esame.
Nel grafico si evidenzia come varia l’attività elettrica al variare del carico utilizzato e alla
durata della contrazione in un test di isometria totale. Si nota come all’aumentare del
carico vi è un incremento dell’attività elettrica. L’aumento dell’attività elettrica si ha sin
dall’inizio della contrazione dovuto ad un maggior numero di fibre da reclutare per
sostenere un carico maggiore. L’attività elettrica, durante tutto il tempo della contrazione,
tende ad aumentare e questo si verifica proporzionalmente per tutti e tre i carichi. Questo
fenomeno è spiegabile dal fatto che il muscolo è costretto, per stanchezza delle fibre
reclutate inizialmente, a reclutare sempre nuove fibre sino alla fine della contrazione.
136
Fig 116
Efficienza neuromuscolare
L’incremento di forza che un muscolo ottiene dopo un periodo di allenamento, è dovuto a
adattamenti e modificazioni sia della parte miogena sia della parte neurale.
Questi miglioramenti portano ad un diverso rapporto tra forza sviluppata ed attività elettrica
prodotta dal sistema nervoso centrale EMG/Forza. Una decremento di questo rapporto
dovuta ad un riduzione dell’attività elettrica ed un aumento della forza evidenzia un
fenomeno definito da Bosco efficienza neuromuscolare.
Questo fenomeno è spiegabile con l’esperimento riportato di seguito sulle conseguenze
dell’allenamento incrociato effettuato sugli arti superiori.
Effetti di allenamenti incrociati hanno dimostrato un aumento di forza sull’arto
controlaterale non allenato (Ikai e Fukunaga 1970, Houston e coll. 1983, Komi e coll.
1978). Sono stati condotti degli studi su ambedue gli arti superiori e si è notato che
allenando un solo braccio, si ottengono miglioramenti di forza anche sull'altro arto non
allenato.
Nella Fig 117 si nota l'effetto di un allenamento di forza su un braccio allenato ed uno non
allenato. L'incremento di forza per il braccio allenato è dato sia da un miglioramento della
parte miogena, evidenziato da un aumento della massa muscolare, sia da un livello di
attivazione nervosa maggiore.
Per l'arto non allenato l'aumento di forza è dato solo da un incremento dell'attività nervosa.
137
Nella Fig 118 si evidenzia il miglioramento dell’EMG in funzione della forza prima e dopo
l'allenamento. Il miglioramento consiste in una diminuzione dell'attività elettrica per
esprimere la stessa forza, vale a dire una maggiore efficienza neuromuscolare, mentre
nell'arto non allenato si osserva un miglioramento nervoso per esprimere più forza
massima. I miglioramenti che si ottengono sul braccio non allenato, sono dovuti solo ed
esclusivamente ad un incremento dell'attività elettrica ottenuto dalla stimolazione dell'altro
braccio.
Fig. 117 Effetto di un allenamento di forza sul braccio allenato ed il braccio non allenato
(secondo Moritani e De Vries 1979)
138
Fig 118 risultati di un allenamento di forza sul braccio allenato ed il braccio non allenato
(secondo Moritani e De Vries 1979)
Concludendo si può riassumere dicendo che l’incremento di forza che un muscolo ottiene
dopo un periodo di allenamento, è dovuto a adattamenti e modificazioni sia della parte
miogena sia della parte neurale.
RITARDO ELETTROMECCANICO
Quando un muscolo si contrae per muovere una leva ossea, si verifica sempre un
fenomeno definito “ritardo elettromeccanico”. L’inizio della contrazione muscolare non
coincide mai con l’inizio del movimento da parte della leva ossea su cui il muscolo
s’inserisce mediante il tendine. Il movimento della leva ossea avviene sempre in ritardo
rispetto all’inizio della contrazione muscolare, questo accade poiché il tendine, che lega il
muscolo all’osso, presenta una certa elasticità e solo dopo aver raggiunge una certa
rigidità, riesce ad applicare forza alla leva ossea e produrre movimento. La tensione viene
trasmessa ai tendini con un certo ritardo per stirare gli elementi elastici in serie nei muscoli
fig 119
139
Fig 119 Il punto A momento prima della contrazione, punto B inizio della contrazione ed allungamento del tendine,
punto C inizio del movimento del carico esterno.
Nella figura 120 si può notare l’incremento dell’attività elettrica (spazio tra i due marker
verticali parte bassa del grafico) e l’inizio della velocità (spazio tra i due marker parte alta
del grafico, curva verde). L’intervallo di tempo che intercorre tra i due marker, è il tempo
utile a stirare il tendine e solo dopo inizia il movimento del carico esterno. Il tempo utile a
stirare il tendine è definito ritardo elettromeccanico.
Fig 120
Velocity[m/s]
0.0
0.7
1.3
2.0
-0.1-0.2 0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
Velocity Force Power
0
1025
2050
3075
4100
VL sx RF sx RF dx VL dx
EMG
[%]
Time[s]
0
50
100
150
200
250
300
-0.1-0.2 0.0 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
140
ANALISI DEI FATTORI INIBITORI
Nella figura 85 si può notare l’esempio di un fenomeno inibitorio riscontrato su un atleta
nell’esercizio di ½ squat. Nella parte superiore della figura si evidenziano i parametri della forza
(linea blu), della potenza (linea rossa) e della velocità (linea verde) e nella parte inferiore della
figura abbiamo i tracciati dell’EMG dei muscoli del vasto laterale e del retto femorale sinistro e
destro.
Fig 121
Il punto dove si trova il marker viola è il momento in cui l’atleta termina la fase eccentrica
del movimento di ½ squat ed inizia la fase concentrica. La posizione del marker verde
indica il punto in cui l’atleta raggiunge la massima velocità negativa. In questo istante
l’atleta, dopo una decontrazione iniziale, inizia a contrarsi prima per frenare il carico e in
seguito invertire il movimento. Proprio in questa fase l’atleta registra un elevato sviluppo di
forza e sarà tanto maggiore quanto maggiore sarà la velocità di discesa. La velocità di
discesa dipende dallo stato di decontrazione muscolare che l’atleta ha nella fase
eccentrica. In altri termini se l’atleta nella fase di discesa si contrae e quindi scende più
lentamente, la tensione muscolare al momento dell’inversione del carico sarà minore. Al
contrario si avranno elevate tensioni se la fase eccentrica viene eseguita con la massima
decontrazione. Quando i meccanismi di difesa, in questo caso i corpuscoli tendinei del
Golgi, rilevano tensioni elevate tali da poter produrre danni al sistema muscolo-tendineo,
questi mandano impulsi inibitori in modo da controllare lo stato di eccitazione a cui deve
essere sottoposto il sistema muscolo tendineo onde evitare dannose e pericolose
Vel
ocity
[m/s
]
-0.7
-1.3
0.0
0.7
1.3
2.0
0.0 0.5 1.0 1.5
Velocity Force Power
0
1000
2000
3000
4000
VL sx RF sx RF dx VL dx
EM
G[%
]
Time[s]
0
100
200
300
400
500
600
0.0 0.5 1.0 1.5
141
sollecitazioni. La fig 121 mette in risalto un fenomeno di inibizione dovuta ad una tensione
troppo elevata, infatti, l’attività elettrica della fase eccentrica risulta essere elevata e nella
successiva fase concentrica subire un decadimento. In un movimento privo di inibizioni
l’EMG della fase concentrica risulta essere più alta di quella eccentrica.
La fig 122 evidenzia un’attività elettrica con andamento diverso rispetto al test precedente.
Si può notare che il segnale EMG tra la fase eccentrica e quella concentrica ha un
andamento crescente quindi non sono presenti fenomeni inibitori.
Fig 122
La coordinazione intermuscolare
Molti studi dimostrano che il miglioramento della forza è specifico, cioè un progresso
ottenuto in un determinato esercizio, ad esempio lo squat, non è sempre accompagnato
da un miglioramento della forza in un altro esercizio. Ciò significa che incrementi di forza
in parte sono dovuti alla coordinazione di quei muscoli che intervengono e che sono
specifici per quel determinato esercizio. Di solito gli esercizi utilizzati per lo sviluppo della
forza, nelle sue varie espressioni, sono molto diversi dal gesto tecnico, per questo è
importante che l'allenamento della forza sia combinato con altri esercizi che si avvicinano
sempre più alla tecnica specifica della disciplina praticata. Questi esercizi in gergo
vengono definiti esercizi di forza speciale e specifica ed ogni disciplina sportiva ha i propri
esercizi speciali.
Velocity[m
/s] -0.7
-1.3
0.0
0.7
1.3
2.0
0.0 0.5 1.0 1.5
Velocity Force Power
0
1075
2150
3225
4300
VL sx RF sx RF dx VL dx
EM
G[%
]
Time[s]
0
100
200
300
400
0.0 0.5 1.0 1.5
142
Altro fenomeno che rientra tra la coordinazione intermuscolare è il rapporto tra muscoli
agonisti ed antagonisti, la cosiddetta co-contrazione degli antagonisti. La contrazione dei
muscoli agonisti a volte è accompagnata da una simultanea contrazione degli antagonisti,
soprattutto durante esercitazioni molte rapide ed intense. Questo fenomeno si verifica
spesso in atleti poco evoluti tecnicamente o su atleti che apparentemente non accusano
nessun problema ma che, in effetti, presentano il muscolo interessato non in perfette
condizioni fisiche. Questo fenomeno costituisce una sorta di meccanismo di difesa.
Fig 123 Rappresentazione dei relativi ruoli di adattamento neurale e morfologico all’allenamento di forza massimale
(modificato da: Sale, 1988).
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