efficienza e qualità in diagnostica per immagini
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EFFICIENZA E QUALITA’ IN DIAGNOSTICA PER
IMMAGINI [Le prestazioni, il numero e il carico di lavoro dei
radiologi, le RMN]
Franco Pesaresi, Lucio Baffoni, Ennio Gallo, Luigi Oncini
[2007]
[Il presente lavoro presenta una analisi sull’andamento e la variabilità del numero delle prestazioni radiologiche prescritte, sul numero e sul carico di lavoro dei radiologi e sulla diffusione e produttività delle Risonanze magnetiche nucleari.]
1
Alcune parti del presente lavoro sono state pubblicate separatamente.
Il cap. 1.”Le procedure radiologiche” è stato pubblicato come segue:
Pesaresi F., Baffoni L., Gallo E., Oncini L., ”Imaging a mille declinazioni”, “Sanità Management”
n. 3/2004, Il Sole 24 Ore, 2004.
Il cap. 2.”Il numero dei radiologi” non è stato pubblicato in riviste.
Il cap. 3.”Il carico di lavoro dei radiologi” è stato pubblicato come segue:
Pesaresi F., Baffoni L., Gallo E., Oncini L., ”Il carico di lavoro dei radiologi”, “Mecosan” n.
48/2004, Sipis, 2003.
Il cap.4.”La risonanza magnetica nucleare (RMN)” è stato pubblicato come segue:
Pesaresi F., ”Risonanza magnetica nucleare: diffusione ed attività”, “Tendenze nuove” n.
2/2007, Il Mulino editore, 2007.
2
EFFICIENZA E QUALITA’ IN DIAGNOSTICA PER
IMMAGINI
Indice pagina
Introduzione 2
1. Le procedure radiologiche 5
2. Il numero dei radiologi 17
2.1. Il numero dei radiologi nei paesi industrializzati 17
2.2. Esiste uno standard di riferimento? 21
2.3. Procedure radiologiche eseguite da non-radiologi 22
2.4. Il numero dei radiologi in formazione 23
2.5. Conclusioni 24
Bibliografia 25
3. Il carico di lavoro dei radiologi 28
3.1. Metodo 1: procedure per radiologo 28
3.2. Metodo 2: il Foresterhill 31
3.3. Metodo 3: Management information systems (MIS) 31
3.4. Metodo 4: College Points 34
3.5. Metodo 5: Numero dei pazienti per radiologo 36
3.6. Metodo 6: le Corner Units 38
3.7. Metodo 7: Relative Value Scale (RVS) 39
3.8. Valutazioni 42
Bibliografia 45
4. La risonanza magnetica nucleare (RMN) 47
5.1. Gli esami di RMN 47
5.2. Stime sulle necessità di esami di RMN 48
5.3. La capacità produttiva di una RMN 51
5.4. Le apparecchiature di RMN 55
5.5. Norme per il bacino di utenza e la diffusione delle RMN 60
5.6. Conclusioni 64
Bibliografia 66
3
INTRODUZIONE
Il “medical imaging” nacque in Germania nel 1985 con la scoperta dei raggi X ad opera di
Roentgen. Dal 1900, i raggi X sono stati usati per la diagnosi delle fratture, calcoli biliari e renali,
oggetti estranei nel corpo e malattie del polmone. Il bismuto (metallo usato in medicina) venne
usato dal 1896 per permettere ai raggi x di raffigurare il tratto gastrointestinale.
L’innovazione dei raggi X ha provocato un cambiamento importante dell’organizzazione sanitaria
di tutti i paesi. Servizi di radiologia vennero realizzati nelle prime decadi del ‘900 e si espansero
rapidamente negli anni ‘20. La specialità della radiologia venne formalmente istituita negli anni ’30.
I medici conseguentemente guadagnarono il controllo completo dell’uso medico dei raggi X. La
radiologia medica rimase relativamente stabile fino all’introduzione del tomografo assiale
computerizzato (TAC) che venne introdotto nel mercato nel 1972 dalla EMI Co. (OTA, 1995). Poi
altri sviluppi e innovazioni si sono succeduti.
Il ruolo dei radiologi clinici ha subito significativi cambiamenti durante gli ultimi 25 anni. Alla
radiografia planare e alla radiografia con mezzo di contrasto si sono aggiunte le tecniche di
imaging trasversale, la radiologia con radionuclidi e le procedure interventiste.
Anche sul fronte medico più complessivo si è registrato un avanzamento tecnologico e delle
conoscenze biologiche continuo e tumultuoso. Questo ha comportato alcune conseguenze
inevitabili che rendono sempre più difficile l’esercizio di una gestione unitaria clinica, sia
diagnostica che terapeutica dell’ammalato. Infatti la segmentazione con cui si affronta la malattia, e
si verifica l’approccio al malato, è condizionata dallo stato di frammentazione dei saperi e delle
discipline superspecialistiche e dell’abitudine di una soluzione prevalentemente tecnologica dei
problemi clinici (Ministero Sanità, 2001).
Tutto questo ha fatto sì che la radiologia diventasse centrale nella gestione di quasi tutte le
discipline sanitarie. Conseguentemente, i radiologi clinici possono contribuire, in diversa misura,
alla gestione del paziente dalla selezione alla pianificazione della strategia dell’imaging, al
counselling, ottenendo il consenso informato, realizzando ed interpretando le procedure
radiologiche, valutando le immagini del paziente, impegnandosi nelle procedure di diagnostica
interventistica e terapeutica guidando gli interventi con l’imaging, assumendo le responsabilità per
il follow-up clinico e contribuendo al dibattito su tutta la gestione del paziente. Il ruolo della
radiologia è cruciale per le diagnosi efficienti, per la gestione e la dimissione dell’ampia
maggioranza dei pazienti dei servizi sanitari (BFCR, 2002).
La gestione di apparecchiature costose ha inoltre sollecitato politiche governative e/o aziendali di
contenimento dei costi e di promozione del miglioramento (e della misurazione) della produttività
degli operatori.
La volontà di migliorare l’efficienza complessiva del sistema e di ricondurre la frammentazione del
sapere medico verso l’unificazione ha portato ad una serie di iniziative quali:
la “clinical governance”;
la diffusione delle linee guida;
il miglioramento dell’efficienza attraverso la standardizzazione delle procedure e
l’accreditamento delle strutture.
L’obiettivo di questo lavoro è quello di approfondire gli aspetti legati all’efficienza e alla
organizzazione della radiologia del terzo millennio.
4
Bibliografia
Board of the faculty of Clinical Radiology (BFCR) The Royal College of Radiologists
(RCR), Clinical radiology: a workforce in crisis, Royal College of Radiologists, London,
2002.
Centro studi Ministero della Sanità, Relazione della Commissione per lo studio delle
problematiche dei servizi di diagnostica per immagini, ASI, n.28/2001.
U.S. Congress, Office of Technology Assessment (OTA), Health care technology and its
assessment in eight countries, OTA-BP-H-140, Washington, DC: U.S. Government Printing
Office, 1995.
5
1. LE PROCEDURE RADIOLOGICHE
Per affrontare le problematiche relative all’efficacia e all’efficienza in radiologia occorre conoscere
i dati relativi alle procedure radiologiche realizzate annualmente e alla loro tipologia, ma su questo
fronte le difficoltà sono spesso rilevanti almeno per il reperimento dei singoli dati nazionali.
Fortunatamente esistono i dati dell’United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic
Radiation (UNSCEAR) che, seppur non molto aggiornati, sono in grado di offrire un quadro
completo delle prestazioni radiologiche realizzate e dei relativi trends temporali per un numero
amplissimo di paesi. Dati sostanzialmente modesti sono invece disponibili in letteratura sull’attività
radiologica dei singoli paesi a riprova del fatto che nella gran parte di essi non esiste ancora un
sistema di rilevazione nazionale delle prestazioni radiologiche.
I dati dell’UNSCEAR dimostrano che il numero delle prestazioni radiologiche eseguite sono
cresciute costantemente dagli anni settanta ad oggi nella grande maggioranza dei paesi (Cfr. Tab.
1). Pochissime sono invece le nazioni in cui il numero di procedure radiologiche per mille abitanti
sembrano ridursi (Canada, Svizzera e forse Nuova Zelanda). L’altro dato eclatante che emerge è
l’estrema differenza che esiste fra un paese e l’altro nel numero di prestazioni radiologiche
realizzate per mille abitanti segno di grandi differenze nei modelli culturali diagnostici,
nell’organizzazione dell’assistenza sanitaria, nei sistemi di remunerazione delle prestazioni e nelle
aspettative della popolazione. Secondo l’UNSCEAR, negli anni 1991-1996 si passava dai 1.477
esami radiologici per mille abitanti del Giappone ai 489 del Regno Unito. L’Italia, in questo
panorama internazionale fornito dal’UNSCEAR, non è valutabile potendo contare su dati di circa
20 anni fa (Cfr. Tab. 1.1).
Tab. 1.1 – Esami radiologici annui per 1000 abitanti in un gruppo di paesi industrializzati.
Trends temporali 1970-1996 raccolti dall’UNSCEAR (esclusi esami dentali)
Nazione 1970-1979 1980-1984 1985-1990 1991-1996
Giappone 830 1.160 1.477
Belgio 1.290
Germania 990 1.050 1.254
Lussemburgo 810 1.046
Francia 840 990
USA 790 800 962
Canada 860 1.020 1.050 892
Portogallo 700 850
Svizzera 1.040 1.040 750
Italia 740
Norvegia 640 620 708
Finlandia 1.080 870 704
N. Zelanda 610 710 640
Olanda 570 550 530 598
Spagna 570
Svezia 590 520 568
Australia 490 560 565
Danimarca 510 510
Regno Unito 420 460 489
Media 748 754 792 812 Fonte: UNSCEAR (2000), (Survey of medical radiation usage and exposures)
I dati dell’UNSCEAR e i trends in essi evidenziati sono sostanzialmente confermati dai dati
provenienti da altre fonti come si può vedere dalla Tab. 1.2 anche se non mancano differenze anche
notevoli che riguardano la Francia, il Portogallo e la Finlandia. Si assumono quindi i dati
6
dell’United Nations Scientific Committee on the Effects of Atomic Radiation come punto di
riferimento principale integrandoli eventualmente con i dati sugli esami radiologici provenienti
dalle fonti più recenti, come nel caso dell’Italia.
Tab. 1.2 – Esami radiologici per 1000 abitanti in un gruppo selezionato di nazioni. Fonti
diverse dall’UNSCEAR. (esclusi esami dentali)
Nazione Anno n. procedure Anno n. procedure
USA 1990 1.000-1.300 2000 1.647
Giappone 1994 1.600
Germania 1990 1.200
Francia 1989 1.150*
Finlandia 1993 872 1996 1.100
Australia 1991 480 1999/2000 900-1000
Canada 1993 1.050 1996 900-1.000
Italia 1991 650** 2000 936
Svizzera 1998 762
Norvegia 1983 641 1993 710
N. Zelanda 1993 637
Svezia 1991 500 1997 570*
Olanda 1990 500 1993 552
Danimarca 1993 510
Regno Unito 1991 440 1997/98 492
Irlanda 1990 460
Portogallo 1990 330 1996 444 Note: * escluse mammografie. ** stima su dati della Lombardia (680 per mille abitanti) e su un territorio campionato (100.000 ab.) della provincia
di Bologna (750 per mille abitanti).
Fonte: A. Donzelli, Sanità Pubblica 1995, mod. Master 1996; Haarstad (1999), UNSCEAR 1993 report, Ministério da Saùde, Wall B. (2001), Aroua (2000), RANZCR (1999), MacEwan (1998), AMWAC (2001), Regione Lombardia (1999), Ministero della Salute (2002), ACR (2002).
Il reperimento dei dati rimane comunque una fase complessa. In Australia, per esempio, sono
diversi i soggetti che provvedono a pagare le prestazioni per cui è difficoltoso ottenere una accurata
misura dell’utilizzazione dei servizi radiologici. Il Royal Australian and New Zealand college of
Radiologists (RANZCR) stima il numero delle prestazioni radiologiche eseguite da specialisti
radiologi all’interno di un range di 800-900 procedure per 1.000 abitanti per anno. I dati di
Medicare includono anche alcune procedure rese da non-radiologi ma questa quota dovrebbe essere
assai contenuta. In effetti, nel 1999-2000, gli specialisti non-radiologi che forniscono prestazioni
radiologiche hanno registrato l’esecuzione solamente di circa un 10% del totale di 11,74 milioni di
prestazioni. Il “comitato forza-lavoro” del RANZCR ha dunque stimato nel range 900-1000
procedure l’anno per mille abitanti il totale delle prestazioni radiologiche registrate in Australia
(AMWAC, 2001).
In Italia, il numero delle prestazioni radiologiche è stato recentemente stimato sulla base di una
importante ricerca sulle radiologie italiane realizzata dal Ministero della salute i cui dati sono stati
resi noti nel settembre 2002.
Alla rilevazione del Ministero, realizzata nel 2000, ha risposto il 70% delle strutture pubbliche e
private esistenti per cui per avere un dato nazionale completo è stato necessario stimare le
prestazioni delle rimanenti strutture ed aggiungervi quelle ambulatoriali già monitorate dal sistema
informativo sanitario. L’indagine del Ministero ha censito 36.600.192 prestazioni radiologiche
realizzate nei servizi ospedalieri che hanno collaborato alla ricerca. Considerato che la rilevazione
non è stata esaustiva in quanto non tutti i servizi ospedalieri di diagnostica per immagini hanno
risposto è stata effettuata una stima dell’ammontare complessivo delle prestazioni erogate. Per la
stima si è tenuto conto sia del numero di ospedali mancanti sia della loro potenzialità di erogazione
del servizio. Inoltre, utilizzando i dati del Sistema informativo sanitario, in particolare i dati di
7
attività degli ambulatori extraospedalieri, è stata stimata l’incidenza delle prestazioni erogate da tali
strutture rispetto al totale. Sono state così stimate a livello nazionale, per l’anno 2000, 43.875.000
prestazioni ospedaliere di diagnostica per immagini a cui sono state aggiunte 10.383.000 prestazioni
radiologiche extra-ospedaliere tenuto conto che complessivamente il 20% delle prestazioni totali di
diagnostica per immagine sono mediamente erogate da strutture ambulatoriali extraospedaliere. A
livello territoriale, si registra al nord un maggior ricorso ai servizi di diagnostica per immagine
ospedalieri (più dell’85% delle prestazioni totali) mentre al sud e nelle isole circa un terzo delle
prestazioni sono erogate dalle strutture territoriali (Ministero della Salute, 2002).
In base a questi dati, l’Italia realizza annualmente 936 prestazioni di diagnostica per immagini ogni
1.000 abitanti (Cfr. Tab. 1.3) e si colloca nella parte medio-alta della graduatoria delle nazioni
dell’OCSE per consumo di prestazioni radiologiche (Cfr. Tab. 1.2).
Tab. 1.3 – Prestazioni di diagnostica per immagini effettuate in Italia nel 2000. (stima)
Regione popolazione stima
prestazioni
ospedaliere*
stima
prestazioni
extraospedaliere
totale
prestazioni
prestazioni
per 1.000
abitanti
Piemonte 4.289.731 3.685.692 550.736 4.236.428 988
Valle d’Aosta 120.589 73.021 10.911 83.932 696
Lombardia 9.121.714 8.554.672 1.278.284 9.832.956 1.045
Bolzano 465.264 673.485 91.839 765.324 1.645
Trento 477.859 544.649 74.270 618.919 1.295
Veneto 4.540.853 3.158.167 430.659 3.588.826 790
Friuli-V. Giulia 1.188.594 1.069.975 145.906 1.215.881 1.023
Liguria 1.621.016 1.443.167 215.546 1.658.713 1.023
Emilia Romagna 4.008.663 3.200.258 436.399 3.636.657 907
Toscana 3.547.604 3.031.686 665.492 3.697.178 1.042
Umbria 840.482 777.030 170.568 947.598 1.127
Marche 1.469.195 1.287.980 282.727 1.570.707 1.069
Lazio 5.302.302 3.785.473 830.957 4.616.430 871
Abruzzo 1.281.283 1.083.021 464.152 1.547.173 1.207
Molise 327.177 292.897 125.527 418.424 1.279
Campania 5.782.244 2.553.851 1.094.507 3.648.358 631
Puglia 4.086.608 2.691.249 1.153.392 3.844.641 941
Basilicata 604.807 434.108 186.046 620.154 1.025
Calabria 2.043.288 1.473.236 631.387 2.104.623 1.030
Sicilia 5.076.700 2.713.068 1.055.082 3.768.150 742
Sardegna 1.648.044 1.257.937 489.198 1.747.135 1.060
Italia 57.844.017 43.784.620 10.383.585 54.168.205 936 Legenda: *= comprese le prestazioni radiologiche rese in pronto soccorso.
Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero della Salute, 2002.
Queste stime sono sostanzialmente confermate dalla recente indagine multiscopo dell’ISTAT sulle
“Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” degli italiani negli anni 1999-2000. L’indagine
realizzata intervistando 140.000 individui ci permette di stimare un consumo annuo di 650
prestazioni radiologiche per ogni mille abitanti (calcolato proiettando su base annua quanto rilevato
per un periodo di 4 settimane), con esclusione delle prestazioni eseguite in regime di ricovero
ordinario o diurno (Istat, 2002). Se a queste prestazioni aggiungiamo quelle erogate durante i
ricoveri ospedalieri che stimiamo in 297 per mille abitanti (calcolato moltiplicando il tasso di
ospedalizzazione del 2000 che è stato pari a 212 per mille abitanti (Ministero Salute, 2002) per 1,4
che è il numero medio di prestazioni realizzate per paziente calcolato dalla SNR/SIRM (Snr-Sago-
8
Sirm, 1998) in 35 ospedali nel 1998) otteniamo 947 prestazioni radiologiche annue per mille
abitanti che è un numero quasi identico rispetto a quanto rilevato dal Ministero della Salute.
I dati del Ministero della Salute rilevano anche che oltre un terzo di tutte le prestazioni radiologiche
vengono effettuate per il pronto soccorso. All’interno di tali prestazioni il peso maggiore è costituito
dalle prestazioni di radiologia convenzionale che rappresentano il 35,5% del totale di tutte le
prestazioni di radiologia convenzionale; le TAC realizzate per il Pronto soccorso rappresentano
invece l’11,9% del totale, le ecografie il 9,8% mentre sono marginali le prestazioni di risonanza
magnetica (0,7%), di medicina nucleare (1,0%) e di angiografia interventistica (1,8%) realizzate in
emergenza. Grande è comunque la variabilità dei dati delle varie regioni italiane (Cfr. Tabb. 1.3 e
1.4).
Tab. 1.4 – Percentuale delle prestazioni effettuate in pronto soccorso rispetto al totale delle
prestazioni radiologiche. Italia 2000.
Regione radiologia ecografie TAC RMN angiografia
interventist
medicina
nucleare
emodinamica
Piemonte 42,9 11,7 14,7 1,2 2,3 1,6 3,1
Valle d’Aosta 54,8 35,8 32,8 0,0 1,2 2,3
Lombardia 36,5 8,3 10,3 0,7 1,4 0,8 3,2
Bolzano 29,0 6,2 7,2 0,2 0,8 6,8
Trento 40,4 5,4 13,1 0,5 0,4 0,0
Veneto 30,6 6,1 8,9 1,3 0,6 0,2 2,9
Friuli-V. G. 28,1 6,7 6,9 0,1 0,1 1,5 0,9
Liguria 34,4 11,4 13,7 2,8 3,4 1,5 18,1
E. Romagna 46,5 10,6 7,4 0,2 0,6 0,6 2,6
Toscana 30,2 11,3 13,6 0,5 3,8 1,1 14,9
Umbria 28,7 4,1 5,2 0,2 0,0 1,0
Marche 32,2 7,6 8,7 0,4 1,8 0,8
Lazio 41,9 13,9 13,1 0,2 1,3 0,7 1,6
Abruzzo 26,3 4,9 12,3 0,1 1,9 0,1 5,5
Molise 22,1 4,7 14,6 0,5 0,0 0,0
Campania 52,6 31,9 19,0 0,1 8,1 1,5
Puglia 22,2 3,2 8,1 0,4 0,9 0,1 1,4
Basilicata 20,1 13,0 5,7 0,1 0,0 0,0
Calabria 29,2 2,6 17,5 1,8 3,5 0,9
Sicilia 38,4 9,1 23,8 1,5 7,9 1,3 2,8
Sardegna 25,5 4,0 3,5 0,2 0,1 0,0
Italia 35,5 9,8 11,9 0,7 1,8 1,0 4,7 fonte: Ministero della Salute, 2002.
Il National radiological Protection Board (NRPB) ha recentemente completato una lunga ed ampia
ricerca sul numero e i modelli degli esami radiologici compresi gli esami dentali nel Regno Unito.
La ricerca ha riscontrato circa 42 milioni di esami radiologici medici e dentali nel Regno Unito
nell’anno 1997/98 che corrispondono a 704 esami per 1.000 abitanti. Escludendo gli esami dentali
si hanno 492 esami per 1.000 abitanti per anno. L’aspetto significativo è che dal 1983 al 1997/98 il
numero degli esami per abitante è rimasto sostanzialmente stabile mentre all’interno del numero
complessivo sono aumentate le mammografie e l’uso delle nuove tecnologie (Wall, 2001).
Sono di particolare interesse per il mondo radiologico le Tabb. 1.7 e 1.8 che indicano il numero
annuo di esami per 1.000 abitanti elencati per tipo di procedura radiologica. Si confermano anche in
queste tabelle le grandi difformità di uso dello strumento diagnostico radiologico le cui ragioni
vanno attentamente ricercate. Spiace dover rilevare l’assenza dei dati italiani, con la sola eccezione
delle prestazioni di TAC, dovuta alla mancata rilevazione dei flussi informativi relativi alle
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prestazioni radiologiche. Si tratta di un problema rilevante e cronico che non permette all’Italia di
comparare la propria attività con quella degli altri paesi e quindi di misurarsi con percorsi nuovi ed
ipotesi di riorganizzazione guidate dalla necessità di un uso appropriato dello strumento diagnostico
radiologico. A completamento di questa parte le Tabb. 1.9, 1.10 e 1.11 indicano la percentuale
annua di esami per tipo di procedura diagnostica rispetto al totale delle stesse. Dati che non
mancheranno di colpire i tecnici del settore.
Secondo l’UNSCEAR, dagli anni ‘70 al 1991-1996, quasi tutte le prestazioni indicate sono
aumentate esclusi gli esami al torace, le colecistografie e le urografie. Anche gli esami del tratto
gastrointestinale si stanno riducendo dopo aver avuto un andamento altalenante.
Complessivamente, nel decennio 1987/1996, sono diminuiti gli esami di radiologia convenzionale,
soprattutto a partire dal 1991, e sono invece costantemente aumentati gli esami con ultrasuoni, TAC
e RMN e le procedure interventistiche.
Questi trend sono confermati anche dal National radiological Protection Board (NRPB) che, come
abbiamo detto, ha recentemente completato una lunga ed ampia ricerca sul numero degli esami
radiologici realizzati nell’anno 1997/98 nel Regno Unito. In questo anno le mammografie per
screening sono state 23,7 per 1.000 abitanti mentre le prestazioni di RMN hanno costituito solo
l’1,7% del totale. Rispetto ai dati delle rilevazioni precedenti sono aumentate le mammografie e
l’utilizzo delle nuove tecnologie (Wall, 2001) come risulta anche dai dati del Board of the faculty of
Clinical Radiology (BFCR-RCR, 2002) presentati nella Tab. 1.5.
Tab. 1.5 - Inghilterra. aumento % rispetto all’anno precedente degli esami radiologici. Anni
1997-2000
Tipologia esami 1997 1998 1999 2000
Totale esami + 2,5% + 2,8% + 4,6% +4,8%
Plain films + 3,0% + 4,0% +5,5%
Ultrasuoni +1,0% + 9,5% + 7,1%
TAC + 11,2% + 16,1% + 4,9%
RMN + 35,3% + 10,5% + 3,2% Fonte: nostra elaborazione su dati BFCR-RCR (2002).
Lo stesso trend si è registrato in Australia come viene evidenziato nella Tab. 1.6.
Tab. 1.6 – Modificazioni nelle modalità delle prestazioni radiologiche in Australia .
Modalità % 1994 % 2001
Ultrasuoni 19,6 27,9
TAC 6,1 9,0
Radiologia diagnostica 72,2 58,9 (di cui 15% mammog.)
Medicina nucleare 2,2 2,4
RMN 0 1,7
TOTALE 100 100 Fonte: HIC Data: http://www.hic.gov.au
10
Tab. 1.7 – Numero annuo di esami per 1.000 abitanti per settore anatomico esplorato. Anni
1991-1996. 1° parte.
Nazione Torace Arti e articolaz.
Spina
dorsale
Pelvi e
bacino
Testa Addome Tratto gastrointest.
Colecisto-
grafia urografia
Australia 114 160 100 37 23 15 14 1 11
Belgio 260 nd nd nd nd nd nd nd nd
Canada 260 284 112 25 44 22 51 1 8
Finlandia 240 nd 42 14 51 8 7 nd 3
Germania 266 306 151 99 138 32 16 3 28
Giappone 648 172 159 15 63 97 133 6 14
Lussemb. 206 320 236 26 63 18 14 1 22
Olanda 120 67 43 25 33 9 19 0 11
Norvegia 181 181 53 59 3 8 17 nd 9
Svezia 136 136 34 40 8 8 16 1 11
Svizzera 215 247 73 49 36 22 7 2 8
Regno U. 141 147 40 31 28 21 11 1 5
Media 211 202 95 38 44 24 28 2 12 Legenda: nd= dato non disponibile. Fonte: UNSCEAR (2000) (Survey of medical radiation usage and exposures)
Tab. 1.8 – Numero annuo di esami per 1.000 abitanti per tipo di procedura radiologica. Anni
1991-1996. 2° parte.
Nazione Mammografia TAC Angiografia Procedure
interventistiche
Totale di tutti
gli esami
Australia 27 52 6,8 565
Canada 79 41 7,0 0,3 892
Finlandia 34 25 1,7 704
Francia nd 33
Germania 68 64 24 2,2 1.254
Giappone 5,6 1.477
Grecia 87
Italia 29
Lussemburgo 50 76 13 1.046
Olanda 47 32 0,6 1,3 600
Norvegia 48 11 708
Portogallo 20 30 850
Spagna 15 2,0 0,6
Svezia 80 39 8,1 3,0 568
Svizzera 29 43 11 4,7 750
Regno Unito 27 21 5,2 4,5 489
USA 91 962
Media 46 45 8,6 2,3 836 Legenda: nd= dato non disponibile. Fonte: UNSCEAR (2000) (Survey of medical radiation usage and exposures).
11
Tab. 1.9 – Percentuale (%) annua di esami per settore anatomico esplorato rispetto al totale.
Anni 1991-1996. 1° parte.
Nazione Torace Arti e articolaz.
Spina
dorsale
Pelvi e
bacino
Testa Addome Tratto gastrointest.
Colecisto-
grafia urografia
Australia 21 28 18 6,6 4 2,7 2,4 0,2 2
Canada 29 32 13 2,8 4,9 2,4 5,8 0,1 0,9
Finlandia 34 6 1,9 7,2 1,2 1 0,4
Germania 21 24 12 7,9 11 2,5 1,2 0,2 2,2
Giappone 44,2 12 11 1 4,3 6,5 9 0,4 0,9
Lussemb. 20,1 31 23 2,5 6 1,7 1,4 0,1 2,1
Olanda 20 11 7,2 4,2 5,5 1,6 3,2 0 1,8
Norvegia 25,9 26 7,5 8,3 0,4 1,1 2,3 1,3
Svezia 24 24 6 7 1,4 1,4 2,9 0,1 2
Svizzera 29 33 9,7 6,6 4,8 2,9 0,9 0,2 1,1
Regno U. 29 30 8,1 6,3 5,8 4,2 3,2 0,2 0,9
Media 27 25,1 11 5 4,9 2,6 3 0,2 1,4 Fonte: nostra elaborazione su dati UNSCEAR (2000) (Survey of medical radiation usage and exposures).
Tab. 1.10 – percentuale (%) annua di esami per tipo di procedura radiologica. Anni 1991-
1996. 2° parte.
Nazione Mammografia TAC Angiografia Procedure
interventistiche
Totale di tutti
gli esami
Australia 4,7 9,2 1,2 100
Canada 8,9 4,6 0,8 0,04 100
Finlandia 4,8 3,5 0,2 100
Germania 5,4 5,1 1,9 0,2 100
Giappone 0,4 100
Lussemburgo 4,8 7,3 1,2 100
Olanda 7,8 5,3 0,1 0,2 100
Norvegia 6,7 1,5 100
Portogallo 2,4 3,5 100
Svezia 14 6,8 1,4 0,5 100
Svizzera 3,8 5,7 1,4 0,6 100
Regno Unito 5,5 4,4 1,1 0,9 100
USA 9,5 100
Media 6,2 6,0 1,1 0,4 836 Fonte: nostra elaborazione su dati UNSCEAR (2000) (Survey of medical radiation usage and exposures).
Tab. 1.11 – Percentuale delle procedure radiologiche effettuate negli Stati Uniti.
Modalità HMO data (non
Medicare) 1995-1997
ACR study 1995 Medicare 1997
Ultrasuoni 12-19% 12-19% 15,5%
TAC 8-12% (RMN+TAC) 4-7% 6,8%
Radiografie generali 51-61% 61-66% 64%
Medicina nucleare 2-3% 2-4% 4,1%
RMN (vedi TAC) 1-4% 1.4%
Angiografia/radiologia
interventistica
0,5-1% 1-4% 3,7%
Mammografia 14-20% 4,5%
Fluoroscopia 0,5% 0,1-3% Non disponibile Fonte: RANZCR, 1999.
12
In sostanza dunque nel panorama internazionale assistiamo ad una ampia variabilità nel numero e
nella tipologia delle prestazioni e ad una costante crescita degli esami radiologici sostenuta
soprattutto dall’uso delle più recenti tecnologie diagnostiche che sono in forte aumento.
Le cause della crescita delle prestazioni sono sicuramente diverse. Queste includono lo sviluppo
tecnologico, la richiesta di una più completa informazione diagnostica prima di un trattamento, la
richiesta del medico di avere tutte le informazioni possibili per evitare i rischi di controversia
(BFCR-RCR, 2002), le modalità di remunerazione delle prestazioni radiologiche e l’organizzazione
sanitaria con particolare riferimento al ruolo dei prescrittori delle prestazioni e al livello dell’offerta
dei servizi.
Non deve stupire l’ampia variabilità nella pratica medica che esiste da sempre in tutte le pratiche
della medicina da quelle diagnostiche a quelle terapeutiche e che è stata riscontrata sia a livello
micro (in delimitate zone geografiche) che a livello macro (nel confronto fra le varie nazioni). E’
ampiamente provato che indipendentemente dal Paese e dalla procedura considerata i medici
esercitano la loro professione con differenze anche notevoli. Questa ampia variabilità richiede la
ricerca di spiegazioni plausibili, per ragioni etiche, sanitarie ed economiche, affinché si possa
determinare quanta parte di essa possa avere una giustificazione clinica e quanta invece costituisca
una prova di inefficienza e di inefficacia dell’intervento sanitario soprattutto quando le ampie
variazioni geografiche non siano sostenute da valide motivazioni (Celin). Infatti essa ha gravi
ricadute sul sistema sanitario sia dal punto di vista economico che dal punto di vista della credibilità
del sistema. Infatti la dimostrazione che uno stesso paziente possa ricevere un diverso trattamento
non motivato dal suo stato di bisogno ma dal diverso luogo di cura colpisce non soltanto il principio
dell’equità nell’accesso alle cure ma l’efficacia complessiva del sistema. Tale variabilità può
dipendere da diversi aspetti ma soprattutto:
dalla diversità di offerta dei servizi sanitari nei vari territori, legata a scelte programmatorie;
dalla volontà dei pazienti (ovvero dalle loro preferenze o dalle aspettative che hanno nei
confronti del medico);
dalla discrezionalità della decisione medica.
Attorno a questo ultimo tema sono state sviluppate varie ipotesi che cercano faticosamente di
spiegarla. Due sono le ipotesi principali in letteratura:
1. la teoria dell’incertezza professionale, secondo cui la variabilità medica è determinata dal
differente valore che il singolo medico attribuisce (a causa di inadeguata informazione o dei
limiti della conoscenza medica) a procedure terapeutiche alternative e/o a pratiche utili per
soddisfare il bisogno di salute del paziente;
2. La teoria del disaccordo professionale, secondo cui i medici sarebbero in disaccordo su
quanto praticare al paziente. Essa ricorre per esempio quando un medico pur conoscendo un
trattamento non lo prescrive perché non ne ha fiducia o lo ritiene “non conveniente” per uno
specifico paziente.
La variabilità nelle prestazioni non riguarda solo le diverse nazioni ma anche le diverse regioni e
all’interno di queste le diverse ASL. Uno studio del 2011 ha evidenziato che il Friuli Venezia Giulia
ha un tasso standardizzato di prestazioni di diagnostica per immagini (461 per mille abitanti) che è
la metà di quello dell’Emilia Romagna (926 per mille abitanti) (Nuti et al., 2011). Da che cosa
dipendono livelli così differenti di fruizione di prestazioni? Lo stesso studio ha messo in evidenza
che la variabilità nell’utilizzo di prestazioni diagnostiche da parte dei residenti non sembra
dipendere dalla presenza di erogatori privati né da un effetto sostituzione tale per cui in taluni
territori si predilige un certo tipo di esame diagnostico mentre in altri si preferisce un esame
alternativo, con conseguenti spostamenti fra i tassi di prestazioni per TC ed RMN. L’analisi di Nuti
ed altri (2011) ha messo in evidenza che vi sono alcune tipologie d’indagine, che peraltro sono
anche fra le più frequenti, quali ad esempio, la TC del capo, la risonanza magnetica
muscoloscheletrica o della colonna, che presentano la maggiore variabilità fra i territori e che
pertanto sono quelle a maggior rischio di inappropriatezza. Per tali prestazioni potrebbero essere
13
attivate azioni che responsabilizzino maggiormente i prescrittori – soprattutto i medici di medicina
generale - sull’effettiva utilità diagnostica degli esami.
Occorre inoltre rammentare che la variabilità medica non dipende solo dai medici, ma da un
contesto più ampio come la programmazione ospedaliera e territoriale, l’organizzazione
dell’assistenza, il sistema di remunerazione del medico, il contesto culturale di riferimento ecc., che
finiscono per influenzare il processo decisionale del medico: la risposta al problema deve
coinvolgere quindi i vari livelli fornendo risposte coerenti che sappiano intervenire positivamente
anche sulla riduzione della variabilità della pratica medica. Oggi è possibile migliorare la situazione
mettendo in atto una serie di indicazioni quali le linee guida, i percorsi diagnostici, i corsi di
aggiornamento professionale (Rosito et al., 2002). Questa è anche la posizione del Piano sanitario
nazionale 1998-2000 che, a questo proposito, afferma che l’ampia variabilità nella risposta
assistenziale rinvia a problemi di appropriatezza nell’utilizzazione delle risorse e, soprattutto, a
potenziali iniquità nell’accesso e nella utilizzazione dei servizi sanitari. Obiettivo delle professioni
sanitarie dovrebbe essere, sempre secondo il PSN 1998-2000, quello di avviare un processo di linee
guida consensuali, che rappresentino, da un lato, un terreno di accordo professionale sulle migliori
strategie diagnostico-terapeutiche alla luce delle conoscenze scientifiche e, dall’altro, un elemento
di trasparenza nei rapporti con il pubblico (DPR 23/7/1998).
Per spiegare la variabilità medica nel campo della prescrizione radiologica molto importante è
anche il ruolo che i radiologi svolgono nella soluzione dei quesiti diagnostici. Quest’ultimo è un
aspetto decisivo perché è noto che uno squilibrio nella definizione dei ruoli o nella prassi dei singoli
gruppi di operatori (medici di base, medici specialisti ambulatoriali, medici ospedalieri, radiologi)
può portare a moltiplicare la richiesta di indagini, spesso non pertinenti e pertanto inutili, o con
l’inviare il paziente da uno specialista all’altro senza più quella capacità clinica di gestione unitaria
del malato insieme alla sua malattia, producendo inoltre un evidente sperpero di risorse.
La prima necessità è dunque quella di una medicina di base competente in grado di svolgere il
proprio ruolo di selezione dei problemi sulla base dell’anamnesi e dell’esame obiettivo e che in
conseguenza di ciò sappia porre i giusti quesiti diagnostici. Occorre quindi partire dal lato clinico
per perseguire l’itinerario diagnostico più appropriato in termini di costo/efficacia per il paziente e
per la società. Spesso accade infatti che alla diagnostica per immagini viene chiesto, dalla medicina
generale e specialistica, un contributo “aspecifico e incongruente” perché inconsistente e non
pertinente è la domanda.
Occorre infine una nuova competenza, da parte del radiologo, relativa al saper gestire le
informazioni tecnologiche integrando clinica e immagini e “un nuovo rapporto dialogante fra
radiologo e colleghi della medicina e della specialistica il cui anello di congiunzione sarà il contesto
clinico. Al medico di medicina generale e allo specialista non radiologo” il compito di prospettare
quesiti e problemi clinici da risolvere e non tecniche di esame da eseguire; “al radiologo il compito
di risolvere il problema clinico prospettato utilizzando in modo logico, razionale e professionale le
tecniche e le metodiche di cui realisticamente dispone” (Ministero Sanità, 2001).
In conclusione, dagli anni ’70 in avanti le prestazioni radiologiche sono costantemente aumentate
seppur in modo lento. Sin dagli anni ’80 si sono prodotti cambiamenti nella tipologia di esami
realizzati con una costante riduzione degli esami di radiologia convenzionale ad fronte di una più
ampia crescita di ecografie, TAC, RMN e di prestazioni interventistiche. Molti elementi hanno
inciso su questi trends ma soprattutto il grande sviluppo tecnologico in questo settore e il
mutamento culturale e delle aspettative degli assistiti che sempre più richiedono una completa
informazione diagnostica prima di ogni trattamento o per verificare una diagnosi. Oltre a questi
argomenti un grande peso hanno anche le richieste mediche finalizzate ad evitare i rischi di
controversia legale, i sistemi di remunerazione delle prestazioni, il livello di offerta dei servizi ed il
sistema delle prescrizioni delle prestazioni. Questa ampia varietà di cause che, ovviamente hanno
uno sviluppo ed un peso diversi nei vari paesi, hanno determinato anche una ampia variabilità tre le
14
varie nazioni, ma anche tra le varie regioni italiane sia nel numero delle prestazioni per mille
abitanti sia nella tipologia delle prestazioni che vengono erogate.
La variabilità medica rappresenta un problema per gli aspetti di equità, di efficienza e di efficacia
del sistema. Infatti, non possono non suscitare reazioni le ipotesi di una diversità di trattamento di
pazienti con lo stesso bisogno assistenziale o di pazienti a cui si eroga una prestazione inutile o
sproporzionata o a cui non si propone il trattamento conosciuto più efficace. A questo tipo di
problemi non si possono dare risposte settoriali perché queste non sono in grado di modificare
positivamente la realtà. Occorre affrontare in modo globale la problematica prospettando una serie
di iniziative in modo da non offrire vie d’uscita opportunistiche. Occorre pertanto mettere in campo
una serie integrata di iniziative come l’adozione di linee guida, di percorsi diagnostici, di corsi di
aggiornamento professionale. Occorre valorizzare le figure dei medici di medicina generale e dei
radiologi. Ai primi spetta il compito di proporre, non prestazioni diagnostiche, ma quesiti clinici
mentre ai secondi il compito di risolvere il quesito clinico utilizzando gli strumenti più appropriati
della diagnostica per immagini. Si tratta in sostanza anche di recuperare il ruolo di consulente
clinico del radiologo.
Il presente lavoro ha evidenziato inoltre la mancanza di una serie di dati o di ricerche in grado di
leggere ed interpretare la realtà e di supportare i necessari cambiamenti organizzativi di cui il
settore ha bisogno. In particolare si rileva la mancanza di conoscenze adeguate sui seguenti aspetti
che, se affrontati, potrebbero dare un contributo importante per il governo clinico e gestionale del
settore:
rilevazione analitica delle prestazioni radiologiche su base nazionale;
ricerca sul peso delle cause che determinano il costante aumento delle prestazioni radiologiche;
ricerca sulle cause che determinano l’ampia variabilità nel numero e nella tipologia delle
prestazioni radiologiche erogate alla popolazione.
15
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16
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17
2. IL NUMERO DEI RADIOLOGI
2.1. Il numero dei radiologi nei paesi industrializzati
L’Italia è il paese al mondo con il più alto numero di radiologi per milione di abitanti, in base ai
dati disponibili. L’Italia, infatti, nel 1998 aveva 124 radiologi per milione di abitanti mentre la
media dei paesi indicati nella Tab. 1 era di circa 78 radiologi. Nelle altre nazioni i dati sono
estremamente differenziati passando dal minimo rappresentato dal Giappone che ha appena 27
radiologi per milione di abitanti fino al dato massimo (124,1) rappresentato appunto dall’Italia (Cfr.
Tab. 2.1).
Tab. 2.1 - Radiologi per milione di abitanti nei paesi industrializzati.
Nazione Anno* Radiologi Anno** radiologi
Italia 1991 95 1998 124,1
Belgio 1997 123,0
Francia 1986 49,8 2000 121,0
Austria 1998*** 120,0
Islanda 1998*** 112,0
Svezia 1991 100,0 1997 103,0
Finlandia 1991 85,0 1999 92,0
Stati Uniti 1991 61,0 2000 90,7
Norvegia 1991 83,0 1999 85,0
Danimarca 1991 62,0 1998 78,0
Lussemburgo 1997 127,9 2000 74,9
Svizzera 1997 69,0
Germania 1991 44,0 1996 66,0
Spagna 1991 63,0 1998*** 62,0
Canada 1991 71,0 2001 60,2
Portogallo 1991 42,0 1998 60,0
Australia 1986 45,4 2000 59,9
Nuova Zelanda 1997 60,0 2000 57,0
Olanda 1998 47,0
Irlanda 1998 47,0****
Regno Unito 1999 45,0
Giappone 1997 27,0
Media 1996-2001 78,3 Note: *dato meno recente disponibile, ** dato più recente disponibile. *** l’annualità indicata potrebbe essere leggermente imprecisa. **** il dato si
riferisce solo ai radiologi ospedalieri.
Fonte: Ministére de l’emploi e de la solidarité (2001), The Dartmouth atlas of the health care (1996), U.S. Bureau of the Census (2001) , Smets et al. (1999), AIHW (2000), Canadian Medical Association (2001), NZHIS (2001); RANZCR (1999, 2001); O’Donnell C., Stuckey J. (1995) (per i dati del
1991); Pesavento (2001), Sibbald (1999), BFCR-RCR (2002), NOMESCO (2001), Audit Commission (2002), CIHI (2003).
Il numero dei radiologi è in costante crescita nella maggioranza dei paesi. Le motivazioni sono
diverse ma sono in genere sostenute dall’aumento del carico di lavoro con specifico riferimento
all’utilizzo di nuove tecnologie. Ultrasuoni, TAC, RMN e l’imaging con radionuclidi hanno
permesso il miglioramento dell’accuratezza della diagnosi in una ampia varietà di condizioni. Le
moderne attrezzature producono immagini multiple che richiedono un tempo significativamente più
lungo di revisione e di interpretazione. C’è stato un significativo sviluppo nel numero e nella
complessità delle procedure interventistiche inclusa l’angioplastica, l’embolizzazione vascolare,
l’inserimento di stent, l’aspirazione e il drenaggio di fluidi raccolti e le biopsie percutanee. Ci sono
non solo tempi consumati in procedure ma anche bisogno di counselling prima delle procedure e
18
per ottenere il consenso informato, le cure post-procedure e la gestione del follow-up. Questo
richiede relazioni con il personale medico di reparto e lo sviluppo di protocolli e percorsi
assistenziali. I dati evidenziano che siamo di fronte non solo al tendenziale aumento delle
prestazioni radiologiche nella gran parte dei paesi ma che questo aumento è dovuto soprattutto
all’aumento di prestazioni nelle aree radiologiche più specialistiche che prevedono l’utilizzo di
TAC, di ultrasuoni, di RMN e di procedure interventistiche. Proprio quelle procedure che
richiedono un maggior impegno anche in termini di tempo e il diretto coinvolgimento del radiologo
nel definire il protocollo dell’imaging, la supervisione della procedura e la refertazione delle
immagini multiple che questa indagine produce.
Il coinvolgimento medico nella gestione sia a livello dipartimentale che a livello aziendale è
aumentato notevolmente. Questo vale sia per i direttori delle unità operative di radiologia chiamati a
significativi compiti gestionali che per gli altri radiologi che in genere vengono chiamati a
contribuire alla pianificazione delle attrezzature, alla revisione dell’uso del materiale di consumo
(cateteri ecc.), allo sviluppo e alla manutenzione di protocolli assistenziali/linee guida e alla
verifica delle strategie di protezione della radiazione (BFCR-RCR, 2002).
La tabella 2.2 tenta di riassumere i principali fattori che influenzano l’offerta e il bisogno di
radiologi e dei servizi di radiologia.
Tab. 2.2 – Fattori che influenzano la domanda e l’offerta di radiologi.
Fattori che influenzano l’ offerta di radiologi
e di servizi di radiologia
Fattori che influenzano il bisogno di radiologi
e dei servizi di radiologia
Fattori collegati alla formazione e all’interesse
suscitato dalla specialità
Livelli e meccanismi di finanziamento e
rimborso
Pensionamento/logorio dei radiologi Aspettative e domanda degli assistiti
Obbligazioni contrattuali degli occupati Avanzamenti tecnologici e teleradiologia
Sistema di accreditamento struttura/professione
e/o di certificazione professionale
Crescita ed invecchiamento della popolazione
Produttività incluso l’impatto tecnologico e la
ristrutturazione dei servizi
Organizzazione dell’assistenza sanitaria
Partecipazione femminile alla professione
radiologica ed adesione al part-time
Nuove malattie ecc.
Incremento della complessità delle procedure Dipendenza/affidabilità clinica della radiologia
Offerta di personale di supporto Servizi e programmi di screening
Questioni della globalizzazione come
l’emigrazione internazionale e il reclutamento
del personale
Peso della sostituzione dei radiologi con:
altri gruppi medici
personale tecnico
tecnologia per la diagnosi assistita (per
esempio computer CAD)
Aspetti medico legali che riguardano gli
specialisti radiologi
Aspetti medico legali che riguardano lo
specialista
Linee guida cliniche/formazione dello specialista Fonte: nostra revisione documento RANZCR, 2001.
Raggiungere una qualche forma di bilanciamento fra domanda ed offerta di radiologi è un compito
difficile ma necessario.
In futuro la crescita dei radiologi continuerà? Un recente studio (AMWAC, 2001) ha concluso
affermando che le procedure radiologiche, in Australia, continueranno a crescere, sia in volume che
in complessità, ed ha stimato una crescita annua della forza lavoro dell’1,5% per anno per i prossimi
10 anni necessaria per far fronte all’incremento dei bisogni previsti. Questa percentuale di crescita
stimata include le componenti relative alla crescita della popolazione e della vecchiaia ed anche la
crescita della complessità del lavoro.
19
Questa percentuale è minore rispetto alla quota di crescita della domanda statunitense recentemente
stimata al 3,5% per il volume delle procedure ed al 5,5% per il Relative Value Units (RVU)
(RANZCR, 2001). Secondo le stime dell’ACR (L’associazione dei radiologi statunitensi), negli
USA, ci sono circa 25.000 radiologi in attività (anno 2000), esclusi i medici nucleari. Tale numero è
in crescita. Cinque anni fa il numero stimato dei radiologi era di 23.000 e i dati dell’ACR indicano
che il numero cresce ogni anno di 500 nuovi radiologi. Sunshine ha previsto che saranno 27.500 fra
5 anni e 30.000 nella prossima decade (Pesavento, 2001). C’è stato un periodo, negli anni passati, in
cui questa crescita continua ha provocato un eccesso di offerta di radiologi in concomitanza con
l’avvento del “managed care”. Alcuni dati recenti suggeriscono alcuni miglioramenti negli equilibri
del mercato del lavoro dopo però che si sono realizzate alcune riduzioni nel numero dei radiologi
(Sunshine JH, 1998). Le unità operative invece non crescono della stessa misura perché negli USA
si registra lo strano fenomeno di numerosi team radiologici che lavorano per più ospedali. Nel 1995
l’ACR stimava che circa 2.600 gruppi medici lavoravano per più radiologie, una quota assai
rilevante. Oltre alle strutture ospedaliere le radiologie possono esser collocate anche in strutture
ambulatoriali che in USA si chiamano “freestanding imaging center”. Le statistiche del 1992
avevano rilevato 3.200 di queste strutture incluse quelle di radioterapia. Autori come Sunshine
pensano però che allo stato attuale esse si siano ridotte a circa 2000 (Pesavento, 2001).
Anche in Inghilterra c’è stata una crescita nel numero di radiologi ma questa è stata inferiore a
quella che si è registrata nei medici delle varie specialità. Infatti, nel periodo 1992-1997 mentre i
radiologi aumentavano del 3,7%, il totale dei medici cresceva del 4,6% producendo un ulteriore
aumento di richieste di prestazioni radiologiche. Occorre inoltre tener conto che la pressione sul
carico di lavoro di radiologi è stata intensificata dalla emanazione delle linee guida nazionali per
aumentare il turn-over di pazienti ospedalieri conseguente alla riduzione dei letti e all’incremento
della day-surgery ed ovviamente dalla maggiore complessità delle prestazioni richieste. Questo
processo è stato particolarmente visibile negli ultimi anni che hanno visto una espansione della
attività chirurgica, soprattutto in ortopedia, nello sforzo delle aziende sanitarie di massimizzare le
loro entrate. A questo proposito sorge la necessità di definire anche l’impatto dello sviluppo di
discipline diverse da quelle radiologiche dato che alcune specialità influiscono pesantemente (per
esempio l’ortopedia) sull’attività del servizio radiologico, mentre altre hanno un modesto impatto
sul carico di lavoro complessivo (BFCR-RCR, 2002).
In tre nazioni invece si è registrato il fenomeno inverso e cioè quello della riduzione dei radiologi.
Questo è accaduto in Canada, Lussemburgo e Nuova Zelanda. In Canada diversi studi realizzati nel
1980 e nel 1992 hanno suggerito agli organismi governativi di frenare la formazione degli
specialisti in radiologia che nel 1991 erano 71 per milione di abitanti. Così, nel 1992, la conferenza
dei ministri provinciali della sanità decise di ridurre del 10% ogni anno il numero degli specialisti
radiologi da formare. Questi provvedimenti negli anni successivi hanno cominciato a far sentire i
loro effetti tanto che nel 2000 i radiologi canadesi erano 60 per milione di abitanti (Sibbald, 1999).
Nel 2002 la situazione non era sostanzialmente cambiata (60,8 radiologi per milione di abitanti).
Oltre a questo il Canada ha sperimentato nuove forme organizzative per il settore radiologico.
Interessante è l’esperienza della provincia canadese del Manitoba che ha dimostrato con un
programma integrato per la radiologia finalizzato alla razionalizzazione delle spese e al
miglioramento del servizio ai pazienti di poter ridurre i costi del sistema, ridurre il personale
addetto e ridurre anche le prestazioni radiologiche. Infatti dal 1993 al 1996 le prestazioni
radiologiche sono passate da 972 a 886 per mille abitanti (incluse le prestazioni di medicina
nucleare) (MacEwan, 1998). L’Associazione dei radiologi canadesi (CAR) ritiene comunque che ci
sia una situazione di carenza dei radiologi destinata ad accentuarsi se non si aumenterà
immediatamente il numero degli specialisti da formare almeno del 25% (CAR, 2001).
Non sono molti i paesi che denunciano una carenza più o meno evidente di radiologi. Fra queste
nazioni vi è l’Australia che nel 2000 aveva circa 1.148 specialisti radiologi in attività. Dal 1990 al
2000 i radiologi sono cresciuti quantitativamente del 42,3% mentre la popolazione è cresciuta del
12,4%. I radiologi sono dunque aumentati di 3,4 volte rispetto alla popolazione. Ciononostante
20
l’associazione dei radiologi australiani ritiene che ci sia ancora una carenza di radiologi nel
territorio nazionale anche se essa non appare drammatica. Infatti secondo le rilevazioni della stessa
organizzazione, nel 2000 erano 37 i posti vacanti di radiologo nel settore pubblico per cui la stessa
associazione, per sanare la situazione chiede un aumento di ulteriori 60 posti di radiologi da mettere
in formazione per i prossimi tre anni rispetto agli attuali 200 (RANZCR, 2001).
Nel Regno Unito i radiologi sono solo 45 per milione di abitanti, un dato tra i più bassi fra i paesi
censiti. Questo dato è influenzato dalla tradizionale divisione dei ruoli all’interno delle radiologie,
dove i tecnici di radiologia producono direttamente le immagini diagnostiche ed i radiologi le
interpretano. Questa situazione recentemente sta cambiando sotto la spinta della ricerca di una
maggiore produttività. In molti ospedali il ruolo dei tecnici di radiologia è stato esteso per includere
nuove mansioni. In molti dipartimenti di radiologia i tecnici di radiologia eseguono le iniezioni
endovenose (90% degli ospedali), emettono i referti ecografici (80% degli ospedali), realizzano i
clisma opachi all’interno di protocolli concordati (70% degli ospedali) e refertano le radiografie
effettuate nel dipartimento di emergenza (30% degli ospedali). In questo modo gli inglesi stanno
dando una risposta alla carenza di radiologi soprattutto per dare una risposta rapida per alcune
prestazioni che richiedono tempi lunghi di realizzazione (come per l’appunto i clisma opachi e le
ecografie). Oltre all’estensione verso l’alto del ruolo dei tecnici di radiologia si assiste, nel Regno
Unito ad una estensione anche del ruolo dei operatori tecnici dell’assistenza OTA che collaborano
direttamente con i tecnici di radiologia. Agli OTA viene spesso delegata la funzione di supportare il
tecnico di radiologia per esempio posizionando il paziente durante l’esame o assemblando insieme
radiografia e referto. Il numero totale di OTA (helpers) usati come supporto dei tecnici e dei
radiologi è aumentato del 46% dalla metà degli anni ’90 passando da 893 a 1.307. Si è verificato
che l’aumento maggiore si è realizzato proprio in quegli ospedali che hanno esteso le funzioni
anche dei tecnici (Audit Commission, 2002). Una survey periodica del Ministero della Sanità
inglese ha rivelato che nel marzo del 2002 i posti vacanti dei radiologi erano pari al 7,7% di quelli
in organico (Department of health, 2002). Complessivamente in tutto il Regno Unito dovrebbero
essere vacanti circa 200 posti di radiologo secondo il Ministero. Il Royal College of Radiologists
ritiene invece che per soddisfare l’attuale carico di lavoro, senza allungare gli orari di lavoro,
servano altri 1.245 radiologi (RCR, 2002). I dati hanno dimostrato che nel periodo 1993-1998 il
carico di lavoro è aumentato del 10% mentre in questi ultimi due anni sembrerebbe essere
aumentato mediamente del 4,5%. Il RCR e il Medical Wokforce advisory Team stimano che il
numero di radiologi richiesti per adempiere il carico di lavoro al 2010, assumendo solo un modesto
incremento del carico di lavoro pari al 2% per anno, sarà di 3.300. Questo significa la necessità di
formare 150 radiologi in più per anno per 5 anni rispetto agli attuali (BFCR-RCR, 2002).
Più complessa appare la situazione dell’Italia che nel 1998 con 7.143 radiologi (9° disciplina per
diffusione) risultava il paese con il più alto numero di radiologi e ciononostante anche il paese che
lamenta la più elevata carenza di specialisti. Infatti, anche secondo una commissione di studio del
Ministero della Sanità “Il numero di specialisti in radiologia e medicina nucleare è inferiore alle
attuali esigenze per circa il 15-20%”. Questa carenza avrebbe determinato un ulteriore carico di
lavoro che è aumentato ogni anno proprio per l’utilizzo di quelle tecnologie ad alto contenuto di
professionalità come ultrasuoni, TC e RM, SPECT e PET. La stessa Commissione ritiene poi che
“questo incremento non sembra avere a breve una soluzione se non attraverso l’introduzione di una
migliore gestione del processo, il miglioramento della tecnologia, specie nel settore degli ultrasuoni
e della RM, il governo della richiesta con opportune attività ed informazione ai medici di medicina
generale per ridurre le richieste incongrue” (Ministero della sanità, 2001). Ancora, la commissione
ministeriale ha evidenziato delle carenze di personale anche nel settore dei tecnici sanitari di
radiologia medica. Il numero di corsi attivati dalle università è stato inferiore al numero delle
precedenti scuole regionali in sede ospedaliera e quindi vi è stata una marcata riduzione del numero
delle classi. Il numero di diplomati per il 2002 non raggiungerà che il 50% del turnover dei
pensionamenti. La situazione su questo fronte è destinata ad aggravarsi nei prossimi anni se non si
accrescerà il numero dei tecnici di radiologia da formare.
21
Sul fronte organizzativo recenti dati ministeriali ci permettono di stimare in circa 1.360 i servizi di
radiodiagnostica, un terzo dei quali privati, pari a circa uno ogni 42.000 abitanti. Circa due terzi di
questi servizi hanno un consistente carico di lavoro. Infatti il 71% dei servizi lavora per 6 o 7 giorni
la settimana e il 62% del totale dei servizi di radiodiagnostica lavora per almeno 9 ore al giorno.
Infine solo il 15% dei servizi non è organizzato con turni di guardia medica o di reperibilità
(Ministero della Salute, 2002a). Le unità di offerta radiologica sono invece molte di più risultando
essere pari complessivamente a 3.002 di cui 1.595 pubbliche (Ministero della sanità, 2002b). Si
tratta di una unità di offerta radiologica ogni 19.000 abitanti, dato che probabilmente contribuisce a
determinare la forte domanda di medici radiologi.
Contraddittoria è invece la situazione della Francia. Gli specialisti radiologi crescono costantemente
ma questo aumento è assorbito soprattutto dal settore libero-professionale e la professione stima che
la densità dei radiologi permetta di soddisfare tutti i bisogni della popolazione. Tuttavia si registra
un 11,5% di posti vacanti negli ospedali generali pubblici. Non esiste dunque un problema di
demografia medica, ma è preoccupante il fatto che gli specialisti formati non si dirigono verso
l’occupazione negli ospedali generali pubblici. Questo avviene perché il sistema di remunerazione
per atto rende assai più remunerativo il lavoro nel “secteur liberal” (Nicolas, 1998). Il forte
potenziamento delle grandi tecnologie radiologiche, sostenuto anche dal governo, richiederà però
per il futuro una riorganizzazione del settore o un aumento di medici radiologi.
In sostanza, i dati in nostro possesso ci dicono che è stata riconosciuta una carenza di radiologi in
quelle nazioni che hanno effettivamente una presenza tra le più basse in assoluto di radiologi per
milione di abitanti. E’ il caso per l’appunto del Giappone, del Regno Unito, dell’Australia e forse,
nei prossimi anni, del Canada (anche se in questo caso la carenza non viene riconosciuta dai livelli
governativi). Del tutto atipica risulta essere la situazione italiana che riesce a mettere insieme la
dotazione più elevata di radiologi e la carenza in assoluto più grave. Come questi due dati possano
essere compatibili resta un mistero.
2. Esiste uno standard di riferimento?
L’interpretazione di questi dati internazionali è comunque resa più complessa dal fatto che non
esistono nella letteratura dei validi standard di riferimento sulla distribuzione ottimale dei
radiologi, ammesso che un tale dato sia ottenibile in un settore così notevolmente influenzato
dall’innovazione tecnologica e dall’organizzazione sanitaria. Gli unici standard conosciuti sono
quelli dell’Italia, del Royal College of Radiologists inglese e del Canada la cui associazione dei
radiologi ritiene ottimale la presenza di 77 radiologi per milione di abitanti, un parametro vicino alla
dotazione media di radiologi nei paesi industrializzati (Cfr. Tab. 2.3). In Italia invece, negli ultimi
20 anni due documenti, di diversa valenza, si sono occupati di questo aspetto. Il primo è del 1984.
Il CIPE, nel ripartire il fondo sanitario nazionale di parte corrente aveva fissato alcuni parametri per
i servizi di radiologia diagnostica, da sottoporre a verifica applicativa. Fra l’altro si diceva che il
carico di lavoro per radiologo era costituito da 8.500/9.000 esami l’anno (Delib. CIPE 20/12/1984).
Tab. 2.3 - Standard di riferimento relativi alla diffusione degli specialisti radiologi.
Nazione Standard radiologi per
milione di abitanti
Fonte
Regno Unito 54 Royal college of radiologists,
2002
Canada 77 Association Canadienne des
Radiologistes, 2001
Italia 90 Deliberazione CIPE 20/12/1984 (sviluppo dei parametri in essa indicati)
Italia 180 Ministero della Sanità, 2001
22
Utilizzando questo parametro ed applicandolo alle prestazioni annualmente realizzate in Italia
abbiamo calcolato lo standard relativo alle necessità di specialisti radiologi previsti dall’atto e che è
pari a 90 radiologi per milione di abitanti.
Il secondo documento è invece assai più recente ed è costituito dalla “Relazione della commissione
per lo studio delle problematiche dei servizi di diagnostica per immagini”, istituita dal Ministero
della sanità e che ha concluso i suoi lavori nel 2001. In essa si legge che esistono forti differenze tra
le diverse figure professionali nel panorama sanitario europeo che non permettono di potersi riferire
ad un modello standard. Pertanto, afferma sempre la Commissione, si può ritenere che in
condizioni tecnologiche medie sia necessario 1,8 specialista radiologo e 3-4 TSRM ogni 10.000
abitanti (Ministero della sanità, 2001). Tale proposta non viene però supportata da alcun
argomento. Non si può fare a meno di rilevare come il parametro indicato in questo ultimo
documento per i medici radiologi sia assolutamente privo di realismo e di validità (mancanza di
argomentazioni) soprattutto alla luce di quanto contenuto nella Tab. 2.1.
3.Procedure radiologiche eseguite da non-radiologi
Il quadro non è però completo se non si dice che nei vari paesi esaminati anche altri medici, oltre ai
radiologi, effettuano, in varia misura, procedure radiologiche. In Germania e in Lussemburgo i
radiologi sono addirittura una minoranza rispetto ai medici non radiologi che effettuano attività
radiologica mentre in Giappone si stima che circa il 50% delle procedure radiologiche possono
essere realizzate da non radiologi. Negli altri paesi, nei primi anni novanta, i medici non radiologi
che effettuavano procedure radiologiche erano mediamente il 10-20% del totale dei radiologi (Cfr.
Tab. 2.4).
Tab. 2.4 - Medici che effettuano procedure radiologiche. (1991-1996)
NAZIONE Medici che effettuano procedure
radiologiche per milione di abitanti
Radiologi per milione di abitanti (1991-
1996)
Germania 405 66
Lussemburgo 246 n.d.
Grecia 171 n.d.
Svezia 125 100
Francia 119 100
Belgio 113 n.d.
Finlandia 111 85
Australia 107 57
Italia 106 95
Giappone 94 n.d.
USA 92 80
Norvegia 88 83
Olanda 87 n.d.
Irlanda 77 n.d.
Canada 74 64
Danimarca 59 n.d.
Portogallo 54 42
Regno Unito 41 34 Note: esclusi dentisti. n.d.= dato non disponibile Fonte: UNSCEAR (2000) (Survey of medical radiation usage and exposures) e Tab. 1.
In altre situazioni taluni atti medico-tecnici vengono delegati ad altre figure professionali così
come abbiamo visto nel caso del Regno Unito e così come accade nel caso dell’ecografia. In molti
paesi europei è spesso il personale tecnico specializzato (manipolateur délectroradiologie médicale,
sonographers, radiographers, ecc.) che realizza l’esame ecografico. In Europa, questo accade nel
Regno Unito, in Olanda, nella Repubblica Ceca, in Grecia, in Ungheria, in Norvegia, in Finlandia,
in Portogallo e in Austria (ISRRT, 2003). La stessa cosa accade negli Uniti e in Canada. Il tecnico
23
abilitato realizza le ecografie sotto la responsabilità del medico radiologo che è il solo abilitato a
poter proporre gli esami complementari che egli ritiene utile. Il medico radiologo è inoltre il solo a
poter confrontare i risultati dell’ecografia con altri esami di diagnostica per immagini ed in
particolare relativi alla TAC o alla RMN. Il tecnico abilitato, nei paesi precedentemente citati,
realizza un esame ecografico standardizzato eseguendo la produzione di immagini-tipo per ciascun
esame. Il ruolo del tecnico abilitato prevede l’accoglienza del paziente, comporta l’avviamento
dell’ecografo e il controllo del suo buon funzionamento, la realizzazione della tecnica di
esplorazione secondo dei protocolli precisi preparati dai medici come precedentemente indicato. Il
tecnico abilitato provvede a registrare gli esami e nella gran parte dei paesi europei e negli Stati
Uniti e in Canada, consegna al radiologo un rendiconto delle procedure di esplorazione che servirà,
con le immagini ed eventualmente un supporto informatico complementare, alla realizzazione del
referto a cura del medico radiologo responsabile.
Naturalmente non in tutti i paesi questo accade. In Francia, per esempio, la realizzazione di un
esame ecografico è interamente realizzato dal radiologo, dall’esplorazione ecografia al referto
medico. L’analisi delle diverse esperienze dei paesi dove il tecnico abilitato realizza l’esame
ecografico ha però evidenziato che questo accade quando lo stesso beneficia di una formazione
complementare specialistica in ecografia. Infatti, in Europa essa è in generale di un anno aggiuntivo
alla formazione necessaria per ottenere la qualifica di tecnico di radiologia mentre negli Stati Uniti i
“sonographers” hanno una formazione specifica da due a tre anni in ecografia, dopo la formazione
di base di due anni di “radiographers”. In Canada, alla formazione di base pluridisciplinare che dura
tre anni si aggiunge una formazione specialistica in ecografia che dura circa un anno.
Si può dunque affermare che molti paesi hanno già conferito o delegato ai tecnici abilitati la
realizzazione degli esami di ecografia. Questo si fa sempre sotto la responsabilità di un medico che
assicura la redazione del referto. Il tecnico abilitato garantisce la realizzazione dell’esame secondo
un protocollo standardizzato. La competenza in ecografia richiede una formazione specifica della
durata da uno a tre anni che deve prevedere una consistente parte pratica (Berland, 2003).
Negli Stati Uniti è molto sviluppata anche la pratica della ecocardiografia realizzata da non medici
con l’approvazione della più importante scientifica, l’American society of Echocardiography
(ASE), che rappresenta circa 2.500 ecocardiografisti cardiaci. Naturalmente, anche in questo caso,
l’ecocardiografista non-medico è un professionista che ha seguito un corso specializzato nel settore
della diagnostica cardiaca che lo ha formato per realizzare delle ecocardiografie secondo i
protocolli e le tecniche in vigore. L’ecocardiografista deve poter effettuare dei calcoli a partire dai
dati dell’ecocardiografia per poi trasmettere le sue valutazioni al medico che interpreterà lo studio.
E’ chiaro che la responsabilità della valutazione finale dello studio spetta al medico e non
all’ecocardiografista (Berland, 2003).
4.Il numero dei radiologi in formazione
Il numero dei radiologi dipende soprattutto dal numero di specialisti che viene formato
annualmente. E’ su questo ultimo dato che si concentrano le politiche governative tese allo sviluppo
della disciplina o al suo contenimento. Come abbiamo già visto in Canada, la conferenza dei
ministri provinciali della sanità decise nel 1992 di ridurre del 10% ogni anno la formazione degli
specialisti radiologi perché il loro numero era ritenuto eccessivo, così che in 10 anni – dal 1991 al
2000 – il loro numero scese di 10 unità per milione di abitanti (Cfr. Tab. 2.1). Solo nel 2001 gli
specializzandi ammessi annualmente sono tornati ad aumentare di un terzo circa rispetto agli anni
passati. Nel Regno Unito invece si è registrata la politica opposta e non poteva essere
diversamente vista la dotazione di radiologi. Infatti, c’è stato un significativo aumento nel numero
dei radiologi in formazione negli anni compresi fra il 1995 e il 2000. Alla fine del 2005 circa 600
nuovi radiologi nel Regno Unito avranno completato la loro formazione e saranno disponibili
(BFCR-RCR, 2002). Essendo dunque espressione di politiche e di realtà diverse, anche in questo
caso grandi sono le differenze fra i vari paesi nella determinazione del numero di radiologi da
formare annualmente (Cfr. Tab. 2.5).
24
Tab. 2.5 – Radiologi in formazione per anno in alcune nazioni.
Nazione Specializzandi di radiologia per milione di abitanti/anno
Svezia 20,5
Belgio 18,3
USA 15,0
Nuova Zelanda 15,0
Regno Unito 13,0
Australia 9,9
Italia 7,1-7,8
Canada 1,9 Fonte: RANZCR (1999), Decreto MIUR 20/5/2003, Medical training review panel (2001), CIHI (2003).
Tra le nazioni di cui conosciamo il dato, al punto più elevato troviamo la Svezia che forma
annualmente 20,5 radiologi per milione di abitanti mentre al livello più basso, in questa occasione,
troviamo il Canada e poi l’Italia. Occorre però rammentare che in molti paesi europei, diversamente
dall’Italia, non sempre la specialità in radiologia porta alla professione di radiologo.
In Italia, per il 2002/2003 il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca ha
determinato in 405 il numero degli specialisti di radiodiagnostica da formare pari a 7,1 per milione
di abitanti (Decreto Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della ricerca 20/5/2003). A questo
numero si può aggiungere il personale medico di ruolo privo di specializzazione, in servizio presso
le unità di radiologia, nel limite del 10% dei posti assegnati a ciascuna scuola di specializzazione. In
questi ultimi anni il Ministero della sanità e quello dell’Università hanno costantemente aumentato
il numero degli specialisti radiologi in formazione fino al 2001, tanto che sono addirittura
raddoppiati fra il 1997/98 e il 2001/2002. In questi ultimi due anni accademici gli specializzandi di
radiologia ammessi sembrano essersi assestati attorno alle 405 unità annue a cui si può aggiungere
un eventuale 10% (Cfr. Tab. 6). Nel 2003/2004 dovrebbero salire al massimo storico con
l’ammissione di 436 specializzandi.
Il Ministero è arrivato a questa determinazione, sulla base delle indicazioni delle regioni e delle
università, senza una consapevolezza della reale situazione e dei trend di settore in corso.
Tab. 6 – Italia. Medici specialisti in radiologia da formare nelle scuole di specializzazione.
anno accademico fabbisogno determinato dal
Ministero della Sanità
specialisti in formazione per
milione di abitanti
1997-1998 205 3,6
1998-1999 233 4,0
1999-2000 262 4,5
2000-2001 430-473* 7,4-8,2
2001-2002 406-447* 7,2-7,9
2002-2003 405-445* 7,1-7,8 Note: *negli a. a. 2000/01, 2001/02 e 2002/03 ai posti assegnati si può aggiungere il personale medico di ruolo privo di
specializzazione, in servizio presso le unità di radiologia, nel limite del 10%.
Fonte: Ministero della Sanità Decreto 22/7/1998, 3/8/1999, 26/6/2000, 20/4/2001; Ministero dell’istruzione dell’università e della
ricerca Decreto 20/5/2003.
2.5.Conclusioni
In conclusione possiamo dunque dire che la crescente diffusione di tecnologie diagnostiche sostiene
una costante crescita della presenza dei radiologi nella maggioranza dei paesi industrializzati,
crescita che sarà tanto più elevata laddove più basso è il livello della diffusione dello specialista
radiologo. In questo quadro la situazione dell’Italia risulta del tutto atipica e di difficile spiegazione
avendo la dotazione di radiologi più alta del mondo e nel contempo anche la percezione della più
grave carenza (15-20%) degli stessi radiologi. Evidentemente, questa contraddizione deve trovare
25
una spiegazione ed una soluzione che va ricercata innanzitutto nell’organizzazione dell’assistenza
sanitaria (distribuzione ed efficienza delle strutture radiologiche), nella valutazione delle prestazioni
erogate, nell’organizzazione del lavoro e nei carichi di lavoro degli operatori. Alcune risposte
possono venire dunque:
da una pianificazione delle grandi apparecchiature radiologiche e delle unità operative di
diagnostica per immagini che ricerchi una maggiore efficienza ed un carico di lavoro adeguato
per ogni singola unità erogatrice di prestazioni;
da tutte le iniziative (linee guida, percorsi diagnostici, coinvolgimento e formazione dei medici
di medicina generale, uso del quesito diagnostico nella richiesta della prestazione, ecc.) atte a
ridurre le prestazioni inappropriate;
da una più attenta pianificazione della forza lavoro necessaria al settore;
da una revisione delle funzioni delle singole categorie professionali estendendo le funzioni dei
tecnici di radiologia che possano così meglio supportare e qualificare il lavoro dei medici.
Questa strada è stata sperimentata da vari paesi come il Regno Unito che per sostenere il lavoro
dei medici radiologi, peraltro presenti in numero assai basso, hanno esteso le funzioni dei tecnici
di radiologia e degli OTA (oggi OSS) chiamando i primi a supportare (in qualche caso
sostituire) maggiormente i medici e i secondi a supportare i tecnici (ad esempio nel posizionare
il paziente).
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28
3. IL CARICO DI LAVORO DEI RADIOLOGI
Il carico di lavoro dei radiologi e quindi anche la loro produttività (in termini di prestazioni
radiologiche effettuate) è un parametro difficile da misurare e comparare. Eppure questo è un
terreno obbligato su cui lavorare dato che la radiologia è una disciplina che, più di altre, si presta
alla standardizzazione delle procedure ed anche perché il carico di lavoro dei medici radiologi è
aumentato in modo evidente durante il corso degli anni. Avere a distribuzione uno strumento per
misurare il carico di lavoro all’interno di un Servizio di diagnostica per immagini è importantissimo
sia per valutarne l’attività sia per distribuire in modo equilibrato il lavoro fra i vari medici. I
radiologi hanno un carico di lavoro formato da prestazioni assai diverse che vanno dall’eseguire
radiografie di un ferito, alle procedure di posizionamento di stent arteriosi, dall’angioplastica ad
altre procedure interventistiche che richiedono tempi ed impegni diversi di esecuzione che vanno
considerati nella loro variabilità e complessità.
Per definire il carico di lavoro per radiologo occorre disporre di informazioni corrette e complete
sia sulle unità di personale in attività che sulle prestazioni ripartite per tipologie Negli ultimi anni
sono state diverse le metodologie relative alla determinazione del carico di lavoro, che sono state
sperimentate in europa e nel Nord-America. I principali sistemi, che di seguito vengono analizzati,
sono:
a) il numero di esami eseguiti per radiologo;
b) il “Foresterhill”;
c) i “College Points”;
d) il Management information systems (MIS);
e) il numero dei pazienti trattati per radiologo;
f) le “Körner Units”;
g) la “Relative Value Scale” (RVS).
3.1. Gli esami per radiologo
Il metodo più semplice e più usato misura il numero totale di esami eseguito in un anno e lo divide
per il numero dei radiologi che li hanno realizzati. Il parametro delle procedure per radiologo per
anno, sebbene ampiamente pubblicato, è soggetto a notevoli limitazioni ed errori soprattutto se
viene utilizzato per valutare la produttività di un servizio radiologico o di un gruppo di operatori
dato che non tiene conto del case-mix delle procedure eseguite. Infatti la valutazione del solo
numero di esami significa ottenere degli indicatori che:
sono eccessivamente influenzati dalle metodiche tradizionali, poco costose ed impegnative;
non tengono conto dei contenuti tecnologici, economici e professionali delle prestazioni nonché
del diverso tempo necessario per la loro esecuzione.
Nel 1993 il Royal College of Radiologists (RCR, 1993), in un rapporto sulla produttività indicò che
un carico di lavoro accettabile per un gruppo di radiologi che eseguono un mix normale di casi
sarebbe stato di 12.500 esami per radiologo per anno. Questo dato venne poi fortemente contestato
dal mondo accademico perché non aveva una giustificazione scientifica basata sull’evidenza e
perché ritenuto troppo elevato per poter permettere al radiologo universitario di offrire una buona
qualità clinica e l’esecuzione degli impegni non-clinici essenziali all'interno del tempo contrattuale.
(BFCR-RCR, 2002). Nonostante le critiche, il RCR ha raccomandato, anche per il 1999, un carico
di lavoro che è approssimativamente simile a quello del 1993 con la sola variante che è costituita
dal generico richiamo alla necessaria considerazione al mix delle prestazioni (RANCZ, 2001).
Nel 1997 la sezione neozelandese dell’Associazione dei radiologi australiani e neozelandesi
(RANCZ) ha raccomandato un carico di lavoro per un radiologo a tempo pieno di 7.500/15.000
procedure per anno; il parametro più elevato ricorre in presenza di un una bassa complessità del mix
di lavoro mentre l’indice più basso ricorre in presenza di un operatore universitario o di un’attività
radiologica di alta complessità. Questo significa, assumendo 250 giorni lavorativi per anno, una
29
attività per radiologo di 30-60 procedure al giorno o di circa 35-70 al giorno assumendo 220 giorni
lavorativi per anno (RANCZ, 2001).
In Italia è stato addirittura un organo interministeriale, il CIPE (Comitato interministeriale per la
programmazione economica), che nel 1984 ha indicato il carico di lavoro dei radiologi come pari a
8.500/9.000 esami/anno per radiologo (media ponderata) ed anche quello dei tecnici di radiologia
nella misura di 4.000 esami/anno per figura professionale. Per i radiologi universitari veniva invece
previsto un carico di lavoro mediamente più basso del 40% circa, presumibilmente per permettere
l’attività di didattica e di ricerca. Successivamente, nel 1992, la Conferenza Stato-Regioni nel
tentativo di definire i livelli uniformi di assistenza, poi fallito perché l’atto non è mai stato
approvato, confermava nel documento istruttorio i due ultimi parametri.
Rileviamo dunque che solo in tre paesi sono stati stabiliti, soprattutto dalle società scientifiche, dei
carichi di lavoro di riferimento che presentano peraltro significative disomogeneità. Trasferire
questi parametri anche negli altri paesi appare non corretto dato che la produttività ottimale è
strettamente correlata al mix delle tipologie di prestazioni eseguite che, come abbiamo visto nelle
Tabb. 1.8, 1.9 e 1.10, varia molto da un paese all’altro.
Per l’Italia invece si pone semmai il problema di aggiornare un parametro che, essendo stato
elaborato ben 18 anni fa, non riflette più le profonde trasformazioni tecnologiche ed organizzative
che hanno attraversato la Diagnostica per immagini in questi anni.
Recentemente una ricerca del Ministero della Salute italiano ha calcolato il carico di lavoro effettivo
del personale ospedaliero di radiologia attraverso una ricerca che ha valutato l’attività di 1.017
ospedali pubblici e privati su 1.419 (Ministero della Salute, 2002). Dal punto di vista della
disponibilità dei dati si tratta della ricerca più importante mai realizzata in Italia sull’attività delle
radiologie che ha però il difetto di utilizzare, non avendone altre a disposizione, l’inadeguata
metodologia di ripartire in modo indifferenziato le prestazioni fra il personale dipendente.
Tab. 3.1 – Italia. Carico di lavoro del personale ospedaliero operante dei Servizi di diagnostica
per immagini. anno 2000.
Regione Prestazioni per unità di personale
(compresi amministrativi)
Prestazioni (escluse ecografie)
per tecnico di radiologia Prestazioni per medico
Piemonte 1.362 2.648 5.800
Valle d'Aosta 811 1.391 6.085
Lombardia 1.568 3.355 6.917
Prov. Auton. Bolzano 2.162 3.525 10.809
Prov. Auton. Trento 1.728 3.205 8.435
Veneto 1.801 3.823 8.640
Friuli Venezia Giulia 1.332 2.649 6.412
Liguria 1.376 2.632 6.110
Emilia Romagna 1.156 2.218 4.905
Toscana 1.258 2.450 4.984
Umbria 1.384 2.644 5.067
Marche 1.456 2.655 6.131
Lazio 1.280 2.590 4.772
Abruzzo 1.609 3.136 6.243
Molise 1.443 2.332 6.232
Campania 1.415 2.516 5.085
Puglia 1.647 3.114 6.219
Basilicata 2.058 3.493 8.009
Calabria 1.505 3.104 5.563
Sicilia 1.273 2.717 3.957
Sardegna 1.186 2.331 3.689
Italia 1.423 2.823 5.723 Fonte: Ministero della Salute, 2002.
30
La ricerca ha evidenziato che negli ospedali italiani il carico di lavoro medio è pari a 5.723
prestazioni annue per medico. La variabilità fra le regioni è molto ampia vedendo da un lato la
Sardegna con un carico di lavoro per medico pari a 3.689 prestazioni radiologiche annue e dall‘altro
lato la provincia autonoma di Bolzano i cui medici realizzano 10.809 prestazioni l’anno (Cfr. Tab.
3.1). Occorre notare che una differenza di 1 a 3 non appare in alcun modo giustificata dalle
differenti organizzazioni ospedaliere o da una diversa composizione interna delle prestazioni a
meno che non sia motivata da un qualche problema nella rilevazione dei dati. La ricerca del
Ministero ha calcolato anche il carico di lavoro dei tecnici di radiologia in 2.823 prestazioni medie
annue per singolo tecnico. Nel calcolo non sono computate le ecografie che sono effettuate dal
personale medico.
Ma se quella appena indicata è la produttività media dei medici radiologi ospedalieri, più elevata
sembra essere quella di tutti i radiologi italiani ospedalieri ed extraospedalieri. Infatti se dividiamo
tutte le prestazioni di radiologia realizzate nel 2000 (che secondo la ricerca ministeriale sono pari a
54.168.205) per il numero di medici radiologi stimati in attività nel 2000 abbiamo una produttività
media per medico pari a 7.073 prestazioni annue, di un quarto superiore a quella dei medici
ospedalieri. Questi dati dovrebbero farci presumere, se i dati a disposizione sono corretti, che la
produttività dei medici radiologi extraospedalieri, per la diversa organizzazione del lavoro, è
notevolmente superiore a quella dei medici ospedalieri. In realtà sappiamo che questi dati sono
fortemente influenzati dal diverso case-mix delle prestazioni che possono richiedere tempi di
esecuzione assai diversi.
Il Workforce advisory board della RANZCR e la AMWAC radiology working party stimano che la
media annuale del carico di lavoro dei radiologi australiani è nell’ordine di 13.500-14.000
procedure (considerando sia i radiologi a tempo pieno che quelli part-time). Questo indice è stato
ottenuto dai dati del MBS-HIC che indicano il numero delle procedure per radiologo fornitore-
Medicare per anno (circa 9.000 per il 1999-2000), a cui è stato applicato un fattore correttivo che
prende in considerazione il fatto che Medicare (MBS) rappresenta solo una frazione del volume
totale delle prestazioni radiologiche realizzate in Australia (questa frazione è stimata al 65%,
sebbene non ci siano dati completi che sostanzino questa stima. La produttività del radiologo
australiano a tempo pieno potrebbe essere più grande delle 13.500-14.000 procedure annue già
calcolate, ma questo maggior numero di prestazioni dipende dalla definizione di full-time. Il tempo
pieno comporta approssimativamente 55 procedure per 250 giorni lavorativi all’anno, o
approssimativamente 63 procedure per 220 giorni lavorativi. Un rapporto su un ampio gruppo di
radiologi privati indica una produttività corrente di 70-75 pazienti al giorno per radiologo o,
approssimativamente, 85-90 procedure al giorno (assumendo il rapporto procedure/pazienti come
pari a 1,2), o approssimativamente 19.000 procedure per anno (assumendo 220 giorni lavorati per
anno).
Il RANZCR e l’AMWAC credono che il carico di lavoro medio stimato annuo per radiologo come
riportato nel rapporto 2000 del RANZCR workforce survey pari a circa 18.000 procedure per
radiologo molto probabilmente rappresenta una sovrastima (Cfr. Tab. 3.2) (RANZCR, 2001).
Nel 1995-1996, negli Stati Uniti, il carico di lavoro medio per radiologo a tempo pieno (FTE) era di
11.600 procedure radiologiche per anno, con un apparente (ma non scientificamente validato)
incremento del 5% rispetto al dato del 1991/92. Il numero medio di procedure per anno varia
sostanzialmente in relazione alla dimensione/tipologia del gruppo di appartenenza dei radiologi.
Per esempio, le procedure per anno sono 13.200 per i radiologi che appartengono a gruppi di 2-4
radiologi mentre è di 10.300 nei gruppi di 11 o più radiologi. La variazione era invece ancora più
grande tra i radiologi accademici che avevano una media di 8.000 (9.700-6.200) procedure annue.
Data la larga variabilità del numero annuale di procedure all’interno e attraverso le varie tipologie
dei gruppi, le medie calcolate possono rappresentare soltanto delle indicazioni che confermano
comunque come il carico di lavoro sia aumentato rispetto ai precedenti 4 anni (Sunshine et al.,
1998). Pochi anni dopo, nel 1998/1999, il numero medio delle procedure radiologiche realizzate
31
annualmente dai radiologi statunitensi era diventato 12.800 (+3,4% annuo). Dentro questa media ci
sono dati assai differenziati visto che il 25% dei radiologi realizzava mediamente 9.100 esami
l’anno mentre un altro 25% ne realizzava 15.600. Rilevanti differenze permangono anche fra il
personale medico accademico che realizzava 9.400 procedure l’anno ed il personale non
accademico privato che realizzava 13.600 esami l’anno (Bhargavan, Sunshine, 2002).
I dati disponibili sul carico di lavoro procedure/radiologo/anno presentano, nel mondo, dati di
grandissima difformità (Cfr. Tab. 3.2). Si passa dalle 5.535 procedure all’anno della Svezia alle
18.500 della provincia canadese del Manitoba (la media per quanto possa essere poco significativa è
di 13.500 procedure). In questo quadro l’Italia sembra registrare un carico di lavoro tra i più bassi
anche se occorre ripetere che questi ultimi dati relativi all’Italia così come quelli degli altri paesi
non sono immediatamente comparabili riflettendo un’attività radiologica realizzata in anni diversi e
con una diversa composizione (per tipologia di prestazione) nei vari paesi. Per contro, tali dati non
vanno neanche sottovalutati perché rappresentando i contenuti della letteratura internazionale sono
comunque in grado di evidenziare differenze e tendenze che meritano una presa d’atto, una
valutazione e i necessari approfondimenti. Da questo punto di vista occorre cercare di comprendere
se il carico di lavoro che la tab.3.2 assegna ai radiologi italiani è rappresentativo della effettiva
realtà, se esso si avvicina o meno ad un carico di lavoro ottimale ed infine quali sono le cause che
sembrerebbero collocare l’Italia tra le nazioni con il più basso carico di lavoro dei propri radiologi.
Tab. 3.2 – Numero annuale di procedure radiologiche per radiologo.
Nazione Numero annuo di procedure per
radiologo
Anno fonte
Manitoba,
Canada
18.500 1993 McEwan DW, 1994
Australia 18.014 (15.385 le donne e 18.628 i radiologi uomini)
2000 RANZCR workforce survey, 2000
Regno Unito 17.000-18.500
Weir J., 1998, 1999
Francia 16.500 1989 Nostra elaborazione dei dati
contenuti nelle Tab. 1.2 e 2.1
Canada 16.405 1993 Nostra elaborazione dei dati
contenuti nelle Tab. 1.2 e 2.1
Regno Unito 15.200 (10.000-22.500 per ospedali non d’insegnamento
e 4.000-12.000 per ospedali di insegnamento)
Dyson R., 1996
Nuova
Zelanda
10.100-17.500 Medlicott J., 1997
Australia 13.500-14.000 2000 RANZCR Workforce advisory board
e la AMWAC radiology working
party
USA 12.800 1998/99 Bhargavan M, Sunshine JH, 2002
Svizzera 9.075 1998 Nostra elaborazione dei dati
contenuti nelle Tab. 1.2 e 2.1
Portogallo 8.555 1991 Nostra elaborazione dei dati
contenuti nelle Tab. 1.2 e 2.1
Italia 5.723 (a)
7.073 (b)
2000 (a) solo prestazioni ospedaliere
(b) complessivo
Svezia 5.535* 1997 Nostra elaborazione dei dati
contenuti nelle Tab. 1.2 e 2.1 * escluse mammografie.
32
In questi anni, in molti paesi come l’Australia (Cfr. Tab. 3.3), il Canada, il Regno Unito e gli
USA, il volume del carico di lavoro dei radiologi è cresciuto superando la produttività degli anni
’80 ed inoltre questa crescita è stata accompagnata anche da un aumento della complessità del
lavoro (RANZCR, 2001).
Tab. 3.3 – Produttività dei radiologi australiani. Anni 1996-1998
Radiologo maschio Radiologo femmina totale
Procedure settimanali realizzate per
radiologo. Media 1996
320 321 320
Procedure settimanali realizzate per
radiologo. Media 1998
412 373 404
Procedure settimanali realizzate per
radiologo. Mediana 1996
305 307 305
Procedure settimanali realizzate per
radiologo. Mediana 1998
357 355 357
Fonte: nostra elaborazione su dati RANZCR 1999
In conclusione, si può dire che il parametro delle procedure per radiologo per anno utilizzato per
evidenziare il carico di lavoro degli operatori, seppur molto utilizzato in letteratura, rappresenta un
indicatore grezzo ed inappropriato per calcolare la produttività perché considera allo stesso modo
procedure che richiedono tempi ed impegno assai diversi del radiologo. Ciononostante i dati a
disposizione relativi a questo sistema sono in grado di evidenziare un carico di lavoro crescente e
una grande diversità nel carico di lavoro dei radiologi dei vari paesi che richiede ulteriori
approfondimenti per verificarne le cause.
3.2. Il Foresterhill
Il sistema Foresterhill è stato sviluppato in Aberdeen ed usato in Scozia per la stima del carico di
lavoro fino agli anni novanta. Il sistema è basato sul calcolo del tempo di coinvolgimento dei
radiologi nelle singole procedure. Queste sono state ripartite in cinque classi ad ognuna delle
quali è stato assegnato un numero di unità che variano da 7 a 90 secondo l'ammontare medio del
tempo necessario per la procedura. Il numero totale di procedure per classe è registrato, valutato e
convertito in unità totali e questo dato offre il carico di lavoro quotidiano o mensile. Il sistema
permette di definire il carico di lavoro radiologico totale del reparto realizzato durante l’orario di
lavoro normale, tenendo conto dei turni, delle chiamata di emergenza e degli eventuali spostamenti
tra ospedali che possono essere richiesti agli operatori. Per il referto di una radiografa del torace è
stato stabilito un tempo di 3 minuti per cui sono stati indicati approssimativamente in 75 i referti
per una sessione di 3,5 ore (1 NHD) del medico radiologo. Altre categorie di refertazione come le
ecografie, gli esami con il bario, le TAC, gli esami con la RMN, le procedure di interventistica e le
altre indagini sono state introdotte successivamente per mezzo di ulteriori pesi temporali basati
sull’unità di tempo dell’RX del torace. I gruppi così formati hanno permesso la definizione di un
numero standard di esami per unità di tempo. Gli ultimi dati raccolti nei primi anni ‘90 hanno
evidenziato che i radiologi scozzesi realizzavano, in media, circa il 30-50% di esami in più
rispetto al carico di lavoro standard. L’estrapolazione di questi dati proponeva una media 48 ore di
lavoro teorico per settimana per ogni radiologo.
3.3. Il Management information systems (MIS)
Recentemente il Canada ha approvato ed ora sta implementando un sistema informativo per la
gestione del Servizio sanitario denominato MIS (Management information systems) che ha lo
33
scopo di misurare e comparare l’uso delle risorse in relazione alle attività attraverso l’integrazione
dei dati finanziari, di attività e clinici. Fra le varie funzioni del sistema vi è anche quella della
misurazione del carico di lavoro degli operatori sanitari. Il sistema di misurazione dei carichi di
lavoro considera il tempo necessario agli operatori riguardo all’adempimento delle funzioni della
loro unità operativa. L’unità di misura utilizzata è quella dei minuti che riflette il tempo che è stato
utilizzato per mettere in atto le svariate attività dell’unità operativa a cui si riferisce. I dati del carico
di lavoro possono essere utilizzati per:
la valutazione della prestazione della unità operativa;
avere uno strumento informativo su cui fondare l’utilizzo del personale;
supportare i processi di pianificazione e bilancio;
condurre analisi comparative dentro e tra i servizi sanitari.
Il MIS è costruito per moduli relativi alle singole discipline sanitarie. Il sistema per la rilevazione
del carico di lavoro in radiologia è operativo dal 1° aprile 2002. Secondo le linee guida del MIS, il
principio base da ricordare quando si sviluppa un tempo standard è che c’è da determinare quanti
minuti in media si utilizzano per eseguire una particolare attività. Il tempo calcolato deve essere il
tempo medio che il fornitore del servizio medio impiega per compiere l’attività in circostanze medie
per il destinatario del servizio medio.
Per condurre uno studio sul tempo standard per le attività ogni unità operativa/fornitore:
designa un membro dello staff esperto dell’attività che sia responsabile di cronometrare l’attività
preparando una documentazione relativa, etc;
determina i compiti compresi dentro ogni attività includendo la preparazione, l’intervento, la
pulizia e il tempo di refertazione;
cronometra il differente personale che esegue tutti i compiti relativi ad una attività in differenti
giorni della settimana e in differenti orari. Include solo il tempo produttivo escludendo il tempo
di attesa o altri tempi improduttivi;
cronometra tutte le fasi con tanti tempi quanti richiesti (il numero delle misurazioni dipenderà
dalla variabilità di tempo di ogni fase). Se i tempi variano marcatamente, esegue ulteriori
misurazioni. Se una attività è eseguita raramente, è accettabile completare e documentare la
misurazione una volta sola;
fa la media dei valori di tempo per determinare il tempo standard per l’attività;
archivia tutta la documentazione relativa allo studio dei tempi per una futura consultazione;
riconduce lo studio nel tempo per confermare la validità degli standard determinati. Questo deve
essere fatto quando anche quando il personale ritiene che lo standard non riflette più la pratica
corrente, quando l’unità operativa inizia a fornire servizi di differente tipo, quando sono
implementati nuovi dati sui carichi di lavoro, etc.
Queste procedure si realizzano utilizzando un programma elaborato e reso disponibile da una
agenzia governativa, il Canadian institute for health informazion (CIHI). L’esperienza è così
recente che non ci sono ancora dati per valutare l’efficacia e la sensibilità del sistema adottato ma
ciò che va rilevato e che caratterizza l’originale esperienza canadese è che esso si basa:
su una iniziativa promossa dal governo ed accettata dalle province canadesi e che quindi si sta
diffondendo su tutto il territorio nazionale;
calcola il carico di lavoro di tutte le unità operative tenendo conto, per ognuna, delle specificità
delle singole discipline;
si basa su una metodologia e su un software uguali in tutto il territorio nazionale;
mette a disposizione uno strumento predisposto per un utilizzo flessibile e diversificato nelle
varie realtà.
34
3.4. Il College Points
Il Royal College of Radiologists (RCR), nel tentativo di valutare il tempo speso dai radiologi per le
varie tipologie di esami ha introdotto un sistema denominato College Points. Questi individuano il
lavoro necessario per i diversi esami di radiologia attraverso la definizione di una serie di pesi. I
tempi vanno da meno di 4 minuti (un punto) a più di 80 minuti (25 punti). Il sistema non riferisce
né la complessità dell'investigazione né l'esperienza necessaria del radiologo ma solamente il tempo
direttamente associato con la procedura radiologica. Sulla base dei College Points, lo stesso RCR,
ha proposto il carico di lavoro ottimale per ogni radiologo che, utilizzando i punti, ognuno dei quali
vale 4 minuti, prevede il raggiungimento di 50 punti per ogni sessione di lavoro/NHD e di 350 punti
per ogni settimana di lavoro per ogni radiologo. Ogni sessione ha una durata di 3 ore e mezzo. In
questo modo si può assegnare un carico di lavoro e poi valutarne l’esecuzione indipendentemente
dal tipo di mix di prestazioni eseguite da ogni singolo radiologo. Il limite principale del sistema è
che esso è stato elaborato utilizzando unità di radiologia non reclutate su base nazionale e senza
validare i dati in un grande studio multicentrico.
I dati di carico di lavoro proposti sono basati sui tempi di esecuzione completa delle procedure
radiologiche inclusa la refertazione e il suo controllo. Essi non comprendono invece le interruzioni
telefoniche, le discussioni con medici e le altre attività cliniche o amministrative che possono avere
un effetto significativo sulla produttività di una sessione di lavoro/NHD. Inoltre, i dati non
riflettono l'impatto che l’insegnamento al personale più giovane può avere sulla produttività con
effetto negativo sul numero di procedure realizzate in una sessione/NHD.
Secondo il Royal College of Radiologists questo metodo (che considera il tempo per esame per
radiologo) dovrebbe essere usato nella pianificazione del lavoro di ogni radiologo anche per
ripartire in modo equo i carichi di lavoro all’interno di ogni servizio. Pertanto, la somma dei piani di
lavoro dei singoli radiologi:
fornisce un'indicazione realistica del carico di lavoro di tutta l’unità operativa di diagnostica
per immagini;
è in grado di dare indicazioni sulle necessità di personale medico per far fronte alle
prestazioni richieste.
Il carico di lavoro proposto dal RCR per uno specialista radiologo è indicato nella Tab. 3.4 in
relazione alle specifiche prestazioni radiologiche.
Tabella 3.4 - Carichi di lavoro suggeriti dal RCR per un radiologo
Esami Esami per sessione-NHD Minuti per prestazione
Radiologia generale 70 3
ecografie 14 15
fluoroscopia bario (pasto opaco o boccone di bario) 12 17,5
fluoroscopia bario (clisma opaco) 6 35
TAC 9 23,3
RMN 8 26,2
Procedure interventistiche vascolari 3 70 Fonte: ns. elaborazione su dati BFCR-RCR, 1999.
Occorre però ricordare che i pesi del College Points non tengono in alcun conto le interruzioni, le
consultazioni con gli altri colleghi o le telefonate con i medici di base, attività queste che possono
essere frequenti e che incidono sulla produttività degli specialisti. Tali attività di collaborazione e
di relazione con gli altri medici sono però una parte importante ed inscindibile del lavoro e della
responsabilità del radiologo che, proprio con essa, contribuisce alla gestione dei problemi clinici e
diagnostici e alla continuità di cura del paziente. Occorrerebbe pertanto considerare anche questo
tempo di lavoro e di conseguenza modificare i carichi di lavoro standard.
35
Il carico di lavoro annuale per ogni specialista può essere identificato con i parametri indicati dalla
Tab.3.4 e varierà dipendendo dal numero di sessioni/NHDs e dal tipo di prestazioni eseguite. Le
differenze quantitative possono anche essere rilevanti a parità di carico di lavoro. Per esempio, un
radiologo che fa principalmente routine, con una quota di ecografie ed una serie di fluoroscopie
potrebbe fare 13.948 esami in sette sessioni/NHDs mentre un radiologo interventista con
solamente una sessione/NHD di refertazione generale e due sessioni di RMN/TAC o ultrasuoni
potrebbe eseguire solamente 4.576 esami circa nello stesso anno. Per queste valutazioni si è
considerato un anno lavorativo composto da 44 settimane di lavoro effettivo tenendo conto delle
ferie, dei permessi di studio ecc. degli operatori inglesi. È interessante però rilevare che una
attività radiologica più equilibrata nella tipologia di prestazioni da eseguire e che include sessioni di
refertazione, ecografie, TAC e fluoroscopia sviluppate in sette sessioni di lavoro, produrrebbe un
carico di lavoro simile alla raccomandazione del 1993 del RCR pari a 12.500 esami per anno.
Secondo il Royal College of Radiologists il confronto fra il numero delle prestazioni effettivamente
eseguite dai radiologi e il numero di quelle proposte nelle raccomandazioni dello stesso RCR
evidenziano un eccessivo carico di lavoro dei radiologi inglesi non realizzabile all’interno delle 10
sessioni/NHD previste dal contratto di lavoro per i medici a tempo pieno. Questo restringe
significativamente la possibilità dei radiologi di contribuire agli altri aspetti della professione come
la consulenza e la collaborazione con gli altri medici, la continuità della cura, lo sviluppo
professionale e le altre attività per migliorare il servizio fornito dal reparto ai pazienti.
Il RCR raccomanda che i parametri individuati vengano utilizzati in modo tale da assicurare un
appropriato equilibrio tra carico di lavoro e operatori a disposizione. A questo proposito:
la metodologia che utilizza il tempo/esame dei radiologi dovrebbe essere usata nello
sviluppo del programma di lavoro dei singoli radiologi;
il carico di lavoro generale dovrebbe essere diviso fra tutti i radiologi dell’unità operativa,
dando un appropriato riconoscimento alle sub-specialità organizzate all’interno delle unità di
Diagnostica per immagini;
tutti i piani di lavoro dovrebbero essere rivisti annualmente ;
Sessioni/NHDs dedicate dovrebbero essere previste per la radiologia generale
(convenzionale) nel piano di lavoro;
Il tempo utilizzato per le consulenze e le collaborazioni con gli specialisti di altre discipline
deve essere considerato come parte dello standard del carico di lavoro di sessione;
il numero di sessioni/NHDs per reperibilità deve riflettere l'impegno richiesto e l'intensità di
lavoro;
il carico di lavoro dell’unità operativa di radiologia deve essere previsto all'interno delle
sessioni/NHDs previste dal contratto. Il dipartimento di diagnostica per immagini dovrebbe
identificare le sessioni aggiuntive necessarie per realizzare il completamento del lavoro e
garantire queste ultime previo un nuovo accordo economico con l’Azienda sanitaria;
una formula matematica dovrebbe essere sviluppata e perfezionata per calcolare l’incidenza
dello sviluppo di altre specialità sul lavoro della radiologia medica (BFCR, RCR, 1999).
Nella stessa direzione del lavoro del RCR va, probabilmente, anche la recente relazione della
“Commissione per lo studio delle problematiche dei servizi di diagnostica per immagini”, istituita
dal Ministero della sanità, che ha proposto dei carichi di lavoro, illustrati nella Tab. 3.5, definendo,
per ciascun tipo di apparecchiatura, il numero minimo di esami attesi per turno di lavoro e le unità
di personale (medico, tecnico e infermieristico) necessarie al funzionamento delle apparecchiature,
tenuto conto anche dei turni di ferie del personale. Al personale non va computata la trascrizione
del referto e le attività amministrative per le quali deve essere previsto un personale ad hoc”
(Ministero della sanità, 2001).
La stessa Commissione ministeriale non ha però illustrato il percorso, le fonti o le ricerche
effettuate per arrivare alla citata determinazione né le modalità di utilizzo della tabella stessa.
36
Tab. 3.5 – Scheda bozza carichi di lavoro e personale.
Apparecchiatura n. medio esami
per turno di
lavoro
Medico
specialista
TSRM infermiere
Rx tradizionale 50 0,5 1 0,2
Rx digitale 60 0,5 1 0,2
Ortopantomografia 60 0,5 1
Mammografia 24 1 1,3 0,1
Ecografia 24 1 0,3
TAC convenzionale 12 1 1,3 0,2
TAC spirale 21 1,5 1,3
Risonanza 12 1 1,3 0,1
Angio-interventistica 3 2 1,3 0,3
Emodinamica 3 2 1,3 0,5
Med. nucleare sc. planare 15 0,7 1,3 0,2
Med. nucleare whole body 12 0,7 1,3 0,3
Medicina nucleare SPECT 12 0,7 1,3 0,3
Medicina nucleare PET 10 0,7 1,3 0,5 Fonte: Ministero della sanità (2001).
Abbiamo dunque registrato almeno quattro sistemi di determinazione del carico di lavoro che
tengono conto esclusivamente del tempo di lavoro di ogni tipologia di prestazione: il Foresterhill, il
MIS, il College Points e la tabella della Commissione del Ministero della Sanità italiano. Di questi
però il Foresterhill è già stato abbandonato, il MIS canadese è partito da pochissimi mesi mentre la
tabella ministeriale non è stata ancora applicata per cui l’unico sistema abbastanza sperimentato
appare essere il College Points proposto dal Royal College of Radiologists anche se anche questo
sistema presenta un grande limite. Esso infatti non tiene conto del tempo extra-esame del radiologo
che pure impegna lo specialista in incarichi gestionali, nel lavoro di consulenza e collaborazione
con gli altri medici ai fini diagnostici e terapeutici nonché nel contatto reiterato con i pazienti anche
ai fini della continuità assistenziale.
3.5. Il numero dei pazienti per radiologo
In Italia, la ricerca di un sistema per la determinazione del carico di lavoro ha portato
all’elaborazione del modello SNR-SAGO-SIRM per la misurazione dell’attività del radiologo che
utilizza l’indicatore peso/paziente combinando il contributo di tempo e di professionalità individuali
necessarie per ogni singolo paziente in relazione alla procedura radiologica prescritta.
Nel 1994 è stato pubblicato il nomenclatore SIRM-SNR che espone analiticamente in 716 voci
tutte le prestazioni erogabili in ambiente radiologico sia per la diagnostica che per l’interventistica.
Per ogni voce vengono riportati:
i tempi necessari per il personale medico e paramedico e quindi i relativi costi riferiti al valore
del salario del tempo;
il costo dell’ammortamento macchine più le spese generali;
il costo dei materiali di consumo.
Per superare la relatività temporale dei prezzi veniva introdotto il concetto di peso adimensionale è
ottenuto dividendo il costo relativo della singola prestazione per il valore arbritario di lire 20.000.
Per esempio il peso del personale medico per una data prestazione per la quale sono necessari 20
minuti veniva così ottenuto:
tempo necessario 20’ x 1.200 lire minuto = 24.000 lire;
peso adimensionale =1,2 (24.000 : 20.000 ).
37
In questo caso era stato elaborato un tempario analitico per tutte le singole prestazioni riferito a
radiologi, tecnici, personale infermieristico e amministrativo. Si trattava però di tempi non
sperimentati sul campo e non validati su di un grande numero di servizi e nel caso di prestazioni
multiple si ottenevano tempi standard molto lunghi. Il nomenclatore era gestibile con difficoltà a
causa dell’alto numero di voci (Il Radiologo 3 /1994).
Nel 1995 veniva presentato un nuovo progetto SNR-SIRM che prevedeva la semplificazione con
recupero dei dati in macroaggregati omogenei ed il calcolo, in via sperimentale, dei carichi di
lavoro riferiti a tali macroaggregrati, su tutto il territorio nazionale. Veniva costituita una
commissione di esperti SNR-SIRM e veniva coinvolta, per l’assistenza tecnica e statistica, la Sago
(società di ricerca per la organizzazione sanitaria). La ricerca si sviluppò in due fasi. La prima fase
si svolse tra il 1996 ed il 1997 e consentì di identificare:
una classificazione di sintesi delle prestazioni radiologiche ottenuta dall’aggregazione di
prestazioni omogenee, prendendo a riferimento il nomenclatore del 1994, in 8 voci.
I punti/prestazione intesi come i tempi medi in minuti del radiologo per le prestazioni accorpate
come da rilevazione sperimentale (la maggior parte delle prestazioni di radiologia tradizionale
registrava un tempo/radiologo di 10 minuti e solo per poche tipologie veniva previsto un tempo
maggiore per cui il tempo medio risultava 10,7).
Il rapporto prestazioni/paziente inteso come il numero medio di prestazioni effettuate per ogni
paziente. Esso permette di evitare le disomogeneità nel conteggio degli esami che sono
consentite dal nomenclatore del 1994, ma anche dal nomenclatore ministeriale.
I punti/paziente intesi come il prodotto dei due precedenti fattori e che rappresentano i minuti di
impegno del radiologo per quella tipologia di paziente, considerando però che le prestazioni
successive alla prima (effettuate nella stessa sessione diagnostica) richiedono mediamente un
impegno del radiologo pari al 50% della prestazione singola.
I punti/paziente (relativo) corrisponde ai minuti precedentemente calcolati divisi per 10 e quindi
trasformati in peso dimensionale (Panorama della Sanità n 33/96).
Nella tabella 3.6 è riportata la classificazione di sintesi delle prestazioni ed i corrispondenti sistemi
di punteggi (punti prestazione e punti paziente) ottenuti dalla ricerca. Il case-mix utilizzato si
riferisce all’attività di un mese (novembre 1995) svolta nei servizi radiologici di 34 ospedali che
hanno utilizzato il citato nomenclatore della SIRM. Nel campione erano presenti anche i servizi di
Neuroradiologia.
Tab. 3.6 – Classificazione di sintesi delle prestazioni radiologiche e sistemi di punteggi
elaborato dalla SNR-SAGO-SIRM.
Classificazione Prestazioni
rilevate
Punti-
prestazione
Rapporto
prestazioni/pazienti
Punti-
paziente
Punti-
paziente
(relativo)
1. radiologia tradizionale 91.669 10,7 1,4 12,8 1,3
2. digerenti 2.859 47,5 1,0 47,5 4,8
3. urubiligrafie 2.978 56,7 1,3 65,2 6,5
4. mammografie 6.516 29,2 1,0 29,2 2,9
5. ecografie 30.763 32,3 1,6 42,0 4,2
6. TC 15.239 47,8 1,2 52,6 5,3
7. RM 2.182 64,7 1,2 71,2 7,1
8.angiografie/interventistica 2.567 97,4 2,1 158,8 15,9
Varie (biopsie eco-tc) 5,3
TOTALE 154.773 23,6 1,4 29,0 2,9 Fonte: SNR, SAGO, SIRM, (1998).
Nella seconda fase dello studio (condotta nel periodo maggio-ottobre 1997) veniva poi determinata
la produttività effettiva in un nuovo campione di 27 centri italiani tra i quali venivano ricompresi
molti dei precedenti 34, che mettevano a disposizione i dati dell’anno 1996 per un totale di dati
38
relativi ad oltre 1.234.000 pazienti. Considerando tutta l’attività radiologica programmabile, con
esclusione dell’attività di pronto soccorso radiologico in guardia attiva, secondo questa ricerca la
produttività annua effettiva media ottenuta a livello complessivo risultava pari a:
8,7 punti medi per ora di lavoro medico (nell’ipotesi della detrazione delle 4 ore settimanali
per l’aggiornamento: totale 1.350 ore annuali);
7,7 punti medi per ora di lavoro medico (nell’ipotesi senza detrazione delle 4 ore settimanali
per l’aggiornamento: totale 1.558 ore annuali).
Ogni punto corrisponde ad un impegno medio di circa 7-8 minuti. La variabilità degli indici di
produttività oscilla di circa il 30% in più e in meno attorno al valore medio. (SNR, SAGO, SIRM,
1998). Questi dati denotano uno scostamento rilevante rispetto al comportamento medio effettivo
dei servizi radiologici.
L’idea di realizzare un sistema di misurazione delle prestazioni che prende in considerazione i
pazienti invece delle singole prestazioni è innovativa nel panorama internazionale anche se non c’è
evidenza che esso possa rispondere meglio di altre impostazioni alle domande del settore. Peraltro
non essendo i nomenclatori (utilizzati) univoci in tutta Italia, la sola entità misurabile senza
equivoci è il paziente (nel 1996, in alcune regioni, l’adozione del tariffario regionale ha modificato
significativamente il numero delle prestazioni a parità di numero dei pazienti). Inoltre tale sistema è
in grado di disincentivare naturalmente gli esami radiologici inutili ma ha un punto debole laddove
assegna un “peso” predeterminato alle prestazioni plurime nel singolo paziente risultante dalla
media del campione, ma che potrebbe differire notevolmente nei vari centri.
Questo sistema non si è molto diffuso nelle unità di radiologia perché non corrisponde al tariffario
del SSN, non è utilizzabile (senza transcodifica) ai fini contabili per il pagamento delle prestazioni,
richiede un software specifico per un utilizzo che interessa l’unità operativa ma non l’azienda
sanitaria. I dati calcolati mantengono un range troppo elevato di approssimazione pari al 30% in più
o in meno. Tutti questi elementi richiedono l’elaborazione di un sistema che sappia diffondersi in
tutte le realtà italiane fornendo l’adeguato supporto al management radiologico.
3.6. Le Körner Units
Le Körner Units vennero introdotte in Inghilterra e nel Galles per offrire un metodo di calcolo del
carico di lavoro che tenesse conto del case-mix delle prestazioni radiologiche. Il sistema venne
progettato per valutare la complessità degli esami raggruppando gli stessi in sei categorie in base al
costo mentre il contributo del radiologo veniva misurato su una base standard del 20% senza tener
conto della complessità e del tempo necessari allo specialista per l’esame stesso (Cfr. Tab. 3.7).
Le Körner Units, per un certo periodo, sono state utilizzate a livello ospedaliero come guida per la
determinazione del carico di lavoro poi la loro l’importanza si è notevolmente ridotta soprattutto
con l’avvento delle procedure con immagini computerizzate e con tecniche interventistiche. Le
Körner Units, infatti, non riflettono accuratamente i costi delle prestazioni e la durata del
coinvolgimento dei radiologi in queste prestazioni che tanto peso hanno invece nel lavoro attuale
delle radiologie. Lo stesso Servizio Sanitario Inglese (NHS) non raccoglie più i dati ad esse relative
anche se alcuni reparti continuano ad usarle. Inoltre continuano ad essere usate in alcune ricerche
per misurare e compare la produttività e i costi delle prestazioni radiologiche. Recentemente la
Audit Commission ha potuto verificare un costo medio per Körner Units del 14% più bassa nei
grandi ospedali rispetto a quelli piccoli. Questo potrebbe voler dire che nelle grandi strutture si
riesce meglio ad ammortizzare gli alti costi fissi delle apparecchiature e si realizza un livello più
elevato di efficienza (Audit Commission, 2002).
39
Tab. 3.7 – Categorie, prestazioni e pesi delle Körner Units
Categorie
Körner Units
prestazioni ricomprese nella categoria peso delle
Körner Units
A Refertazione esame radiologico (esclusi esami in corsia e
discussioni)
1
B
Esami in corsia
2,5
Ecografia generale
Ecografia ginecologica
Ecografia ostetrica
C
Discussione esami radiologici
6
TAC
Digerente
Clisma opaco
D
Procedure diagnostiche eco-guidate (incl. tutte le biopsie e gli
agoaspirati)
12
Procedure diagnostiche imaging-guidate (incl. tutte le biopsie e gli
agoaspirati)
E Esami radiologici in scopia (incl. cistografia, cavernosografia,
flebografia)
30
Mammografia escluso lo screening
F
RMN
60
Arteriografia diagnostica
Procedure interventistiche vascolari (terapeutiche)
Procedure interventistiche non-vascolari (terapeutiche) Fonte: Audit Commission, 2002.
3.7. Il Relative Value Scale (RVS)
Negli Stati Uniti si utilizza, dal 1992, un nuovo meccanismo di pagamento di tutte le prestazioni
mediche, la “scala di valori relativi basata sulle risorse utilizzate” (Resource Based Relative Values
Scale - RBRVS) che è un meccanismo di pagamento prospettico dei medici simile al DRG ma che è
volto a riflettere il valore delle risorse richieste per fornire la prestazione. Il sistema è
particolarmente interessante perché interviene sia sulle prestazioni ambulatoriali che su quelle
mediche ospedaliere.
Il meccanismo precedente, in vigore fino al 1991, lasciava ampia autonomia ai medici nella
definizione delle tariffe relative alle loro prestazioni che anche in ospedale sono di tipo libero-
professionale. Questo aveva portato ad un aumento delle spese mediche (crescita doppia rispetto al
PIL nei 20 anni precedenti) e ad uno scarso controllo sia sulla quantità che sulla qualità/intensità
delle prestazioni rimborsate dal programma Medicare. Il nuovo sistema RBRVS, avviato nel 1992, è
invece un indice relativo delle risorse assorbite per erogare le 7.500 prestazioni che sono state
catalogate e che comprendono quasi tutte le attività mediche e chirurgiche. I “costi medi” di queste
prestazioni tengono conto:
del lavoro impiegato per fornire ogni singola prestazione;
dei costi generali relativi all’esercizio della professione medica;
dei costi relativi al periodo di addestramento del medico.
La scala non viene definita con dei valori monetari ma con degli indici. Spetta al Congresso USA,
annualmente, stabilire il valore delle tariffe attraverso l’approvazione di un fattore di conversione
degli indici. I valori relativi sono poi aggiustati in base ad un indice di costo geografico, per tenere
conto dei diversi costi per l’esercizio della professione medica nelle diverse parti degli USA.
40
Questo sistema, nella sua prima fase, ha incontrato opposizioni fortissime che hanno portato il
Congresso ad una sua applicazione graduale. Le critiche sono dovute al fatto che il nuovo sistema
ha radicalmente mutato il sistema tariffario penalizzando notevolmente le prestazioni ad alto contenuto tecnologico ed alcune prestazioni chirurgiche mentre ha valorizzato quelle di medicina di
base e le visite ambulatoriali.
Ciononostante la “scala di valori relativi basata sulle risorse utilizzate” ha rappresentato, al
momento della sua introduzione nei primi anni novanta, un passo avanti perché finalmente ha
messo a disposizione un sistema tariffario unico basato anche sull’impegno di lavoro. Il sistema
RBRVS è oggi utilizzato per la remunerazione delle prestazioni erogate per conto del programma
Medicare ma la classificazione è ancora poco equilibrata nei “pesi” assegnati alle singole
prestazioni ed è inadeguata nella parte relativa alla qualità delle prestazioni.
All’interno di questo sistema valido per tutte le discipline si sono invece approvate delle regole
particolari per tre settori che sono l’anestesia, il laboratorio d’analisi e la radiologia affinché si
tenesse conto delle loro specificità. Per la radiologia tutto questo ha significato approvare un
proprio specifico sistema denominato Relative Value Scale (RVS).
Nella professione radiologica, la RVS è stata sviluppata nel corso di diversi anni. Nel 1965
l’American College of Radiologists (ACR) ha deciso di sostituire lo schema precedente basato sui
valori relativi con dei valori basati sul tempo e sullo sforzo dedicati dal radiologo per ogni singola
prestazione (Moorefield, 1993). Nel 1988 l’ACR ha sviluppato una Scala di valore relativo per le
procedure radiologiche anche per rispondere alle pressioni del Governo federale sul contenimento
dei costi. La scala rifletteva il lavoro medico e i costi di esecuzione di ogni singola procedura. La
RVS risultante è stata poi accettata dal programma Medicare che, con qualche aggiustamento e
correzione, ne ha fatto il sistema di pagamento delle prestazioni radiologiche.
Successivamente l’ACR ha scelto di utilizzare tre indagini per raccogliere i dati utili per una
valutazione della validità della Scala di valore relativo. La prima indagine ha misurato la
complessità di una procedura in termini di tempo, sforzo mentale, abilità tecnica, controllo di
qualità ed assicurazione e danno potenziale della procedura al paziente. Una metodologia di
comparazione è stata scelta invece per definire il livello di complessità di 45 procedure mentre una
altra ricerca è stata portata a termine per stabilire il costo delle 740 procedure radiologiche,
coinvolgendo 400 unità operative di radiologia. Per valutare i dati venne costituito un Panel di
consenso che comprendeva un comitato di coordinamento (16 radiologi) e sette panels specializzati.
Questi ultimi vennero incaricati di verificare, sulla base dei dati pervenuti, le discrepanze principali
fra il vecchio sistema RVS basato sul valore e il nuovo RVS basato sul tempo e lo sforzo del
radiologo. In generale poche discrepanze sono state identificate; tuttavia le inadeguatezze più
rilevanti sono state rilevate per le procedure più complesse. Ciò era dovuto al fatto che quando i
valori sono stati stabiliti molte nuove procedure “high-tech” si stavano usando da poco e i radiologi
non avevano ancora una adeguata conoscenza di queste. Con il tempo, queste procedure sono
diventate più ordinarie e quindi, diversamente dal passato, diventava più facile effettuare una
corretta valutazione di grandezza delle prestazioni stesse. Inoltre i panels hanno rilevato che è
difficile da valutare la differenza nell’impegno fra una procedura molto semplice e una molto
difficile. Anche se una comparazione delle procedure è stata utilizzata, i processi di valutazione di
grandezza tendono a comprimere la differenza fra le procedure semplici e quelle complesse, con
il risultato che le prime ne escono sopravvalutate e le seconde sottostimate. Sulla base dei dati
raccolti e delle valutazioni del comitato di coordinamento e dei panel specializzati vennero
comunque apportate delle modifiche allo schema di RVS che venne completato definitivamente nel
1988. La Relative Value Scale risultante contiene oggi tre insiemi di RVS: la RVU (relative value
unit) globale, la RVU professionale e la RVU tecnica. La prima è la somma delle altre due.
Nel 1992, la RVS formulata dall’American College of Radiologists venne incorporata nel sistema di
pagamento delle prestazioni statale Medicare. L’agenzia governativa Health Care Financing
Administration (HCFA) che provvede al pagamento delle prestazioni ha diviso la componente
professionale della RVS in tre parti: lavoro, spese di esecuzione e spese di malpratica sulla base
41
delle percentuali storiche di costo di esecuzione per radiologi che non possiedono la loro propria
apparecchiatura (BFCR, RCR, 1999).
La componente professionale della RVS (PCWRVU) viene usata solitamente come lo strumento
base per misurare il prodotto del lavoro dei radiologi statunitensi attraverso l’elaborazione di una
serie di indici specifici come l’indice di produttività/rendimento, l’indice di disponibilità e
l’indicatore di intensità illustrati nella Tab. 3.8.
Tab. 3.8 – indici ed indicatori usati per misurare il lavoro dei radiologi statunitensi.
indici ed
indicatori
formula di calcolo definizione
indice di
rendimento
PCWRVU totali diviso le ore fornite
disponibili totali (TASH)
rappresenta la media della componente
professionale della RVU per ora fornita disponibile
indice di
disponibilità
ore fornite disponibili totali (TASH)
per anno (che è pari a 2080 ore = 40
ore per 52 settimane) diviso il totale
dei radiologi a tempo pieno equivalente
(FTE) per anno.
rappresenta la misura del tempo disponibile
espresso in ore lavorative annue per radiologo
FTE.
indicatore di
intensità
PCWRVU totali diviso le procedure
totali effettuate.
rappresenta una misura del grado di difficoltà delle
procedure realizzate in pratica. Il risultato del
calcolo fornirà il numero medio della componente
professionale della RVU per procedura. Più alto
sarà il numero e più grande sarà il grado di
difficoltà della procedura media effettuata. Fonte: Radiology business management association, sito web.
Le formule per il calcolo degli indici sono destinate a stabilire una metodologia per misurare la
performance della pratica e a valutare la sua efficienza relativamente alla produzione del lavoro. Per
stabilire una base su cui confrontare pratiche diverse e rendere possibile una comparazione nel
tempo e con un mix di procedure diverse, si è scelto di usare la componente professionale del lavoro
della RVU (PCWRVU) come lo standard di misura. La RVU offre un piano comune su cui basare
tutte le procedure dove la quantità di lavoro richiesto per realizzare ogni indagine è confrontata con
il lavoro richiesto per leggere un esame del torace (dove la componente professionale del lavoro
RVU è uguale a 0,19).
L’indice di rendimento (Cfr. Tab. 3.8) è derivato tabulando tutte le procedure effettuate nella pratica
moltiplicando il codice di ogni procedura per il relativo peso in termini di fattore lavoro che per
l’appunto si chiama PCWRVU (Cfr. Tab. 3.9). Quando i PCWRVU totali per tutte le procedure
sono stabiliti, quel numero viene diviso per le ore fornite disponibili totali (TASH). TASH è il
totale del tempo che i radiologi mettono a disposizione per il lavoro con esclusione delle ferie, delle
ore di chiamata non sul luogo, delle ore per l’ECM, delle riunioni del personale, delle conferenze,
ecc. .
Non è sempre necessario comparare l’indice di rendimento con altre unità operative o con altre
realtà. Se per esempio ci poniamo la domanda se sia necessario aggiungere un altro radiologo al
personale si può comparare l’indice di rendimento attuale con quello degli anni precedenti. Questo
potrebbe dimostrare se c’è stato un aumento del carico di lavoro. Il vantaggio dell’uso di standard
sviluppati all’interno della pratica è che essi confrontano più direttamente il diverso modo di
funzionare delle diverse unità operative. Naturalmente il confronto può portare a situazioni
imbarazzanti per chi deve prendere decisioni dato ci sono unità che possono aver deciso di avere un
passo veloce ed altre che possono aver deciso di avere un passo meno serrato.
L’indice di disponibilità si calcola dividendo il TASH per il numero di medici a tempo pieno
equivalente (FTE) e rivela un valore che può essere confrontato con altre unità operative per
determinare il tempo utilizzato nella pratica radiologica.
42
Tab. 3.9 – definizioni standard utilizzata per misurare il rendimento dei radiologi statunitensi.
termini tecnici definizione
PCWRVU’s totali rappresenta il numero delle procedure radiologiche effettuate moltiplicate
per la componente professionale (PCWRVU) della RVS relativa ad ogni
procedura. I valori della RVU sono pubblicati nel registro federale del
25/11/1991 e successive modificazioni.
Total available staffed hours
(TASH) =
ore fornite disponili totali
rappresenta il totale di tutte le ore che un radiologo è disponibile per
leggere pellicole e svolgere le indagini e gli studi. Non sono quindi
comprese le ore relative alle ferie, alle chiamate non sul luogo, all’ECM,
alle riunione del personale, alle conferenze, alle giornate fuori sede, ecc.
full time equivalent (FTE) =
personale medico a tempo
pieno equivalente
rappresenta il numero minimo di ore lavorate per essere considerato a
tempo pieno. Per esempio, un medico che lavora un terzo delle ore di un
medico a tempo pieno viene considerato 0,33 FTE. Un radiologo che ha
cominciato a lavorare il 1° aprile (e cioè 9 mesi in un anno) viene
considerato 0,75 FTE.
procedure totali effettuate rappresenta la somma totale di tutte le procedure radiologiche realizzate. Fonte: Radiology business management association, sito web.
L’indicatore di intensità è usato per stabilire la quantità media di unità di lavoro derivate dalla
pratica per procedura. Questo contribuirà a determinare il carattere del lavoro dato che se il numero
è molto elevato, una ampia quantità di elevati PCWRVU è stata realizzata, come per esempio gli
esami di RMN. Se il numero è molto basso vorrà dire invece che tantissime piccole procedure di
PCWRVU sono state realizzate come per esempio gli esami del torace. Nella maggior parte dei casi
si ottengono dei numeri intermedi che rivelano una miscela media di procedure di alto e di basso
valore (RBMA, sito web).
Con l’introduzione di questo sistema la letteratura statunitense si è conquistata il ruolo di
referente principale per la misurazione della produttività del radiologo con la misura del “lavoro
medico della RVU per radiologo per anno” (BFCR, RCR, 1999).
Pertanto degli studi sulla produttività dei radiologi americani si trovano con un una relativa facilità
per cui è stato verificato, per esempio, che il carico di lavoro, nel 1992, non ha differito
sostanzialmente dalle medie calcolate per il 1989 o il 1986. La media delle procedure di radiologia
diagnostica aveva un valore relativo (RVU) di 2,45, mentre l’unità di valore relativo (RVU) per
radiologo a tempo pieno era mediamente di 27.000 unità (RVU/FTE) (BFCR, RCR, 1999).
Successivamente invece il carico di lavoro dei radiologi americani, calcolato con il sistema
RBRVU, è aumentato, mediamente del 4% annuo, soprattutto per l’aumento degli esami più
impegnativi come quelli di TAC, RMN ed interventistici (Conoley, 2000; Bhargavan, Sunshine
2002).
3.8. Valutazioni
La produttività dei radiologi varia moltissimo fra un paese e l’altro ma anche all’interno di uno
stesso paese. L’Audit Commission inglese ha verificato, nel 2002, un rendimento assai diverso fra i
vari dipartimenti di radiologia, fra radiologi, fra tecnici di radiologia e fra ospedali. L’indagine ha
evidenziato anche che i radiologi consultant che lavorano negli ospedali di insegnamento sono i più
produttivi ma questo è probabilmente dovuto all’ampio utilizzo dei medici in formazione che non
viene contabilizzato. Le differenti produttività sono causate da diversi fattori. Ci sono fattori, per
esempio, che limitano la precisione della misura della produttività come la corretta assegnazione del
peso assegnato al case-mix delle prestazioni che deve riflettere l’intensità delle risorse utilizzate per
ogni esame. Tuttavia l’ampia variazione nella produttività per particolari tipi di ospedali richiede
delle ulteriori indagini quanto meno per comprendere come mai e per quali accorgimenti
organizzativi taluni dipartimenti di radiologia hanno una elevata produttività (Audit Commission,
2002).
43
Non è facile valutare il carico di lavoro ovvero la produttività dei radiologi nonostante che da vari
anni e in varie parti del mondo si stiano sperimentando vari sistemi di valutazione. La ricerca di un
sistema che possa andare bene è stata resa fino ad oggi impraticabile dalla diversità delle singole
esperienze nazionali che hanno sistemi ed organizzazioni sanitarie diverse. Pensiamo per esempio al
diverso sistema di remunerazione dei radiologi nel mondo o al loro orario di lavoro. Ebbene, per
limitarci a questo ultimo aspetto, i radiologi generalmente lavorano per un numero di ore superiore
rispetto a quanto previsto nel contratto di lavoro. Questo è stato dimostrato in un ricerca che ha
evidenziato che il tempo di lavoro medio per settimana dei radiologi inglesi era 48 ore contro una
previsione contrattuale di 10 sessioni (NHDs) di 3,5 ore per un medico a tempo pieno (BFCR-
RCR, 2002). I radiologi australiani lavorano mediamente 48,6 ore per settimana. I maschi 49,9 ore
mentre le femmine 42,2 ore per settimane. Le ore di lavoro settimanali sono più elevate nella fascia
di età 35-54 anni (RANZCR, 2001). Su questi dati influisce anche la presenza femminile dato che è
quella che più frequentemente utilizza il part-time. Infatti, il 28% circa delle radiologhe australiane
sono in part-time per cui, in genere, lavorano meno di 35 ore settimanali. Le radiologhe sono
comunque in crescita (tra gli specializzandi rappresentano in genere tra il 30% e il 41% degli iscritti
totali) mentre oggi rappresentano tra il 13% come in Belgio e il 27% come nel Regno Unito del
totale dei radiologi. La media nei paesi industrializzati è invece del 20% (RANZCR, 1999).
Le valutazioni su questo capitolo inducono infine a richiedere un ulteriore approfondimento sulla
produttività dei radiologi italiani. I dati grezzi elaborati a questo proposito indicherebbero un basso
carico di lavoro dei radiologi italiani rispetto ai colleghi delle altre nazioni; indicazione questa che
va verificata ed eventualmente indagata nelle sue cause.
Anche per questo oggi è assolutamente indispensabile disporre di uno sperimentato e rigoroso
sistema di valutazione del lavoro in radiologia sia per le aziende sanitari che per gli operatori stessi.
La carrellata sui vari sistemi di valutazione ha evidenziato l’assenza di un modello che possa
soddisfare tutte le esigenze. Probabilmente vale la pena di abbandonare l’idea di trovare un modello
universale già bello e pronto. L’inventario dei vari sistemi serve invece a darci utili indicazioni sul
modello di valutazione che serve in Italia. Da questo punto di vista alcune indicazioni sorgono
spontanee. Innanzitutto il modello americano delle RVS essendo basato soprattutto sul costo delle
prestazioni non è utilizzabile in Italia dove i medici non sono pagati a prestazione. Così come non si
può utilizzare il sistema del numero di prestazioni per medico radiologo perché non tiene conto
dell’impegno che richiedono prestazioni assai diverse. Il modello più appropriato in Italia appare
dunque essere quello del peso/tempo da assegnare alle prestazioni. Un sistema per intenderci che
parta dall’esperienza dei College Points ma che consideri nel tempo delle prestazioni anche il tempo
medio che i medici utilizzano anche per la clinical governance e per i compiti gestionali. Uno
strumento rigoroso e validato che possa essere utilizzato facilmente in tutte le diagnostiche per
immagini italiane e che pertanto abbia anche le seguenti caratteristiche:
semplicità di uso;
uniformità di applicazione in tutto il territorio nazionale;
basso costo di gestione;
totale integrazione nel sistema informativo dell’azienda sanitaria.
Questo significa che lo strumento per il calcolo del carico di lavoro dei radiologi deve fondarsi sul
sistema informativo delle aziende sanitarie e da queste deve essere gestito in modo automatico nel
momento stesso in cui vengono registrate le singole prestazioni. Ciò comporta che il sistema di
valutazione del carico di lavoro deve essere agganciato al nomenclatore nazionale e valutare le
singole prestazioni e non il carico di lavoro per singolo paziente. Naturalmente a questa
impostazione di carattere generale potranno essere apportati dei correttivi (semplici ed automatici)
nei casi in cui si erogano più prestazioni per lo stesso paziente dato che i tempi di esecuzione si
riducono notevolmente (Per esempio la seconda prestazione effettuata sullo stesso paziente
potrebbe “pesare” la metà della prestazione intera).
Questo potrebbe essere lo standard base a cui si deve poi aggiungere una quota percentuale di
lavoro per impegni non legati all’esecuzione della prestazione radiologica. Essa può variare in
44
relazione al ruolo del medico. Il peso del lavoro manageriale sarà per esempio più ampia per un
direttore di unità o di dipartimento e meno per gli altri medici. Tale percentuale potrebbe essere
indifferenziata a livello nazionale o (meglio ancora in questa fase iniziale) stabilita a livello
aziendale previa trattativa tra radiologi e direzione generale per tener conto delle realtà locali
aziendali e degli impegni di cui devono farsi carico i singoli radiologi.
45
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47
4. LA RISONANZA MAGNETICA NUCLEARE (RMN)
4.1. Introduzione
La risonanza magnetica nucleare (RMN) è una tecnologia che è comparsa sperimentalmente negli
anni settanta per poi svilupparsi a livello di uso clinico sin dai primi anni ottanta. La prima
immagine di RMN venne pubblicata da Lauterbur dell’Università dello stato di New York nel 1973.
L’unità prototipo di RMN venne sviluppata negli USA, in Inghilterra e in Olanda nei tardi anni ’70.
La RMN esegue test diagnostici che offrono immagini ad alta risoluzione ed elevato contrasto di
ogni area del corpo. Una macchina RMN crea un campo magnetico statico, invia onde radio nel
corpo e misura la risposta delle sue cellule. Il computer della macchina, utilizzando questi dati, è
capace di creare immagini di sezioni variamente orientate del corpo.
Tali immagini sono simili a quelle prodotte dalla TAC ma con importanti differenze. Una TAC
identifica con i raggi X le differenze di densità. La RMN identifica le differenze di ambiente
chimico correlate alla presenza degli atomi di idrogeno dell’acqua.
La RMN, inoltre, non impiega radiazioni ionizzanti potenzialmente pericolose così come invece
fanno la TAC ed altre metodiche radiologiche. Possono essere ottenute immagini da aree del corpo
dove la TAC fallisce nel produrre immagini diagnostiche.
Nonostante la sua potenzialità, l’iniziale diffusione della RMN nella gran parte delle nazioni è stata
meno rapida di quella della TAC. L’introduzione e la diffusione sono state rallentate innanzitutto
dalla recessione economica dei primi anni ’80. Allo stesso tempo le autorità sanitarie si sono
dimostrate restie ad investire pesantemente nella RMN prima della realizzazione di alcune
esaurienti valutazioni circa l’utilità e il campo di azione della nuova tecnologia.
La RMN è stata dunque ripetutamente e formalmente valutata ma con ricerche di scarso valore
scientifico sia negli anni ’80 che nei primi anni ’90. Queste valutazioni hanno comunque
concordato sul fatto che la RMN è una attrezzatura diagnostica affidabile che produce
informazioni utili. La letteratura ha dimostrato che la RMN è superiore alla TAC, suo principale
competitore, per l’investigazione e la caratterizzazione delle lesioni del sistema nervoso centrale e
dell’apparato osteoarticolare. In altre malattie l’efficacia delle RMN è similare a quella della TAC e
la vantaggiosa sostituzione di altre procedure con la RMN non è stata dimostrata (esclusa la
mielografia ) mentre è sicuro che l’introduzione della RMN ha prodotto un considerevole aumento
dei costi (OTA, 1995).
In questi ultimi anni sono stati progettati e realizzati dei miglioramenti nella tecnologia del magnete
per aumentare l’intensità di campo e la qualità di immagini della RMN. La nuova tecnologia
prevede magneti di più elevata intensità e gradienti potenti con applicazione della RMN nelle
investigazioni sull’ictus e in angioRM (angiografia con risonanza magnetica) per valutare
aneurismi e malattie occlusive vascolari con sostituzione delle più costose ed invasive procedure
di angiografia tradizionale. Ci si aspetta anche una crescita della risonanza magnetica cardiaca,
una tecnica associata con la diagnostica cardiaca per l’anatomia e la funzione, visualizzabili in una
sola prova. L’innovazione e gli sviluppi tecnologici della RMN indirizzeranno l’utilizzo della
macchina nelle aree interventistiche, in particolare in neurochirurgia. Altri miglioramenti saranno
indirizzati al miglioramento del comfort del paziente. Le più vecchie unità di RMN chiuse non sono
molto confortevoli e non sono pochi i pazienti che provano un consistente disagio nell’eseguire
l’esame a causa della conformazione della macchina e del suo rumore. I miglioramenti
tecnologici, consentono con RMN aperte di soddisfare anche le esigenze di qualità dell’immagine
dei radiologi, per cui l’attenzione si sposterà sempre più verso questo tipo di macchine. Tutti questi
fattori determinano un crescente interesse per questa tecnologia (Imaging advisory committee
Alberta, 2001).
48
4.2. Gli esami di RMN
Gli esami di RMN sono in costante crescita in tutto il mondo. Negli ospedali inglesi, per esempio,
essi sono passati da 7 per ogni 1.000 abitanti nell’anno 1995/96 a 19 nel 2004/2005. Negli Stati
Uniti, l’aumento degli esami è stato costante ed inarrestabile. La IMV Medical Information
Division ha stimato che le procedure di RMN per mille abitanti sono passate dalle 26 del 1991 alle
83 del 2003. In altri termini, in 12 anni le procedure si sono quadruplicate passando da 6,6 milioni
nel 1991 a 24,2 milioni nel 2003. Una crescita annua pari a un milione e mezzo di esami in più
per ogni anno (Cfr. Tab. 4.1). Tali procedure sono eseguite per il 43,3% in strutture extra
ospedaliere (prestazioni in crescita come peso percentuale), per il 48,9% in ospedali (peso
percentuale in leggera crescita) e per il 7,8% in macchine mobili (percentuale in diminuzione)
(IMV, 2002, 2006).
Tab. 4.1 – Procedure di RMN per mille abitanti negli Stati Uniti
anno Procedure di RMN per mille abitanti
1991 26
1992 31
1993 30
1994 32
1995 35
1996 37
1997 40
1998 44
1999 50
2000 57
2001 64
2002 76
2003 83 Fonte: IMV, 2003, 2003, 2006.
Per quel che riguarda l’Italia gli unici dati disponibili sono quelli contenuti nella Indagine
multiscopo sulle “Condizioni di salute e ricorso ai servizi sanitari” delle famiglie realizzata
dall’Istat negli anni 1999-2000. L’indagine dell’Istat ha rilevato che in un mese 2,4 persone su mille
hanno effettuato un esame diagnostico con la RMN. L’indagine non tiene conto delle prestazioni
eseguite sulle persone ricoverate in ospedali o altre strutture residenziali. Trasferendo questo dato su
base annua ed aggiungendo le stime relative alle prestazioni ospedaliere si possono stimare almeno
35 accertamenti annui per mille abitanti. La stima è comunque assai prudente tenuto conto che si
sono considerate le prestazioni per i ricoverati nella stessa percentuale della totalità dei cittadini e
che non si sono considerate le prestazioni plurime effettuate sulla medesima persona (Istat, 2002).
I dati in nostro possesso sono assai diversificati passando appunto dalle 83 prestazioni per anno
degli Stati Uniti del 2003 alle 7,5 dell’Australia del 1999 ma queste differenze sono poco indicative
in quanto fanno riferimento ad anni diversi e troppo lontani, per procedure ed esami che sono in
forte e costante crescita. I vari paesi da un anno all’altro hanno infatti continuato ad aumentare le
prestazioni di RMN. Inoltre occorre aggiungere che la letteratura disponibile non ha aiutato a
reperire dati più aggiornati segnalando una difficoltà informativa che appare molto diffusa in molti
paesi. La GE Medical Systems, in verità, ha comunicato dei dati molto più recenti di quelli reperiti
in letteratura ma che non sempre coincidono con altri dati in nostro possesso affermando comunque
che nel 2001 si sono effettuate le seguenti scans per mille abitanti: Germania 39, Giappone 29,
Francia 20, Italia 17 e Regno Unito 11 (Imaging Advisory Committee Alberta, 2001).
Il numero di esami che vengono eseguiti sono molto diversi da un paese all’altro a causa soprattutto
dalla diversa disponibilità di apparecchiature nel territorio (Caicoya, 2000) che evidentemente
induce ad una diversa prescrizione come viene evidenziato anche nella Tab. 4.2 che vede ai primi
49
posti per consumo di esami i paesi con il maggior numero di RMN. I dati in essa contenuti, come
abbiamo già rilevato, non sono sempre comparabili provenendo spesso da anni diversi.
Per verificare e misurare in maniera scientifica la relazione fra la disponibilità di apparecchiature di
RMN e numero di esami dobbiamo far ricorso alla statistica ed in particolare a quella parte che ci
permette di analizzare l’interdipendenza dei caratteri quantitativi.
Tab. 4.2 – Numero degli esami di RMN per 1.000 abitanti all’anno.
PAESE anno Prestazioni per
1.000 ab.
RMN per un
milione di ab.
USA 2003 83 24,2
Italia 2000 35 7,3
Canada 2004 25,5 (a) 5,5
MEDIA 1996/2004 21,0 7,2
Finlandia 1997 13,6 7,3
Svezia 1996 13,1 (c) 6,8
Austria 1997 12,6 8,4
Germania 1997 12,2 6,2
Inghilterra 2004/2005 18,9 (b) 5,0
Belgio 1997 10,8 3,2
Francia 1997 10,2 2,4
Danimarca 1997 9,4 4,4
Australia 1999 7,5 5,9 Note: (a) esclusi bambini fino a 14 anmni) e gli esami di emergenza; (b) solo RMN pubbliche; (c) stima.
Fonte: Olsson (2001), Department of health and aged care (2000), AHTAC (1997), AHTAC (1997), Lavayssiere and Cabee (1995), England DoH Hospital activity statistics, Imaging Advisory Committee Alberta, 2001; IMV Medical information division (2002, 2006); Istat, 2002; CIHI (2003,
2005), Sharona et ali.
Abbiamo pertanto utilizzato il coefficiente di correlazione lineare di Bravais-Pearson per misurare
la relazione lineare che esiste fra la dotazione di RMN per milione di abitanti di ogni singola
nazione e il numero di esami per mille abitanti. In questo caso la diversa annualità dei dati non
influisce sul risultato. Il coefficiente r (che si calcola con il rapporto fra la covarianza e il prodotto
degli scarti quadratici medi dei due caratteri) può variare tra il risultato -1 e +1. Nel secondo caso
(+1) vi è perfetta relazione lineare tra apparecchiature di RMN ed esami e all’aumentare del primo
carattere e cioè il numero delle RMN aumentano anche gli esami e viceversa. Il risultato ottenuto
dal calcolo del coefficiente di correlazione lineare di Bravais-Pearson è stato di r=0,92 vale a dire
che c’è una relazione lineare concordante elevatissima il che significa che è dimostrato che la
variabilità nell’uso degli esami di RMN è dovuto in grandissima parte alla diversa disponibilità
delle apparecchiature. La statistica ci permette di calcolare anche in che misura la presenza delle
macchine di RMN influisce sul numero di esami realizzati in una determinata nazione. A questo
proposito occorre utilizzare il coefficiente di determinazione R2 che esprime la forza della
relazione lineare esistente fra le due variabili utilizzate (RMN ed esami). Ebbene in questo caso
abbiamo R2=0,84 il che significa che la variabilità del numero di esami per mille abitanti è
espressa per l’84% dalla dotazione di apparecchiature di RMN mentre il restante 16% dei valori
degli esami possono essere spiegati dalla variazione di altri fattori diversi dalla disponibilità di
macchine di RMN. Una volta verificata la stretta relazione fra RMN ed esami possiamo valutare
statisticamente, anche la dimensione del rapporto di dipendenza del secondo carattere dal primo,
calcolando il coefficiente e la retta di regressione. Il calcolo del coefficiente di regressione (Y=B0 +
B1 X) ha prodotto il risultato 2,1; questo significa che quando il numero delle RMN per milione di
abitanti (X) aumenta di una unità, il numero di esami per mille abitanti (Y) cresce in media di 2,1
unità.
50
Queste correlazioni non vanno sottovalutate perché stiamo parlando di elementi diversi
dall’effettivo bisogno di esami che però influenzano il numero complessivo di esami realizzati.
In conclusione possiamo affermare che gli esami di RMN sono costantemente e prepotentemente in
aumento in tutto il mondo. Tale crescita è sostenuta soprattutto dalla crescente diffusione delle
apparecchiature di RMN tanto che esiste una relazione statisticamente molto forte fra numero delle
RMN per milione di abitanti e il numero di esami per mille abitanti, provata dal fatto che si registra
un maggior numero di esami per mille abitanti proprio laddove sono disponibili più
apparecchiature.
4.3. Stime sulle necessità di servizi di RMN
Le necessità dei servizi di RMN sono collegate, soprattutto, alla dimensione della popolazione e
all’area geografica di riferimento. Quando si prova a determinare il numero più appropriato di
servizi di RMN per la popolazione di riferimento, appaiono però tre principali difficoltà:
1. non c’è consenso sul livello appropriato di esami RMN per mille abitanti;
2. la popolazione si sposta facilmente per i trattamenti sanitari dalle aree decentrate ai
capoluogo regionali per cui la popolazione effettiva che usa quella particolare
apparecchiatura medica potrebbe essere sensibilmente superiore alla popolazione di quella
particolare area geografica;
3. si registrano considerevoli variazioni nel numero di esami realizzati e nei loro tempi di
esecuzione da parte delle unità di RMN, anche in rapporto alle diverse caratteristiche delle
apparecchiature impiegate.
E’ dunque molto difficile stimare il numero di servizi necessari per la popolazione anche perché
occorre tenere conto di aspetti difficili da quantificare come le modificazioni nelle applicazioni
cliniche delle RMN e l’impatto della sostituzione di altre modalità diagnostiche con la RMN.
Un rapporto del 2000 del Governo australiano ha analizzato il problema della pianificazione dei
servizi di RMN (Department of Health and aged care, 2000) al fine di soddisfare in modo
appropriato le necessità della popolazione australiana. Il Ministero della Sanità australiana,
utilizzando le opinioni prevalenti degli esperti consultati, arriva a stimare che il numero richiesto di
esami che incontra la domanda è pari a 180.000 per anno che è pari a 9,4 esami per mille abitanti
(Department of Health and aged care, 2000). Un dato assai lontano da quello proposto
dall’Associazione canadese dei radiologi (CAR) che raccomanda per il 2001 ben 37,6 esami per
mille abitanti. La provincia canadese dell’Alberta (in Canada le province equivalgono alle nostre
regioni) attraverso un importante programma di investimenti che puntava a raddoppiare il numero
di RMN presenti nel 2000, si proponeva di raggiungere entro il 2001 l’obiettivo minimo di 24 esami
annui per 1.000 abitanti. Raggiunto questo primo obiettivo, la provincia canadese si proponeva, nel
medio periodo, di creare le condizioni per realizzare la raccomandazione dell’Associazione
canadese dei radiologi che propone 37,6 esami l’anno. Per il 2006 sarebbero comunque necessari
esami compresi fra 39 e72 l’anno per mille abitanti per la provincia dell’Alberta. La loro effettiva
determinazione dipenderà dall’uso di criteri di appropriatezza (Imaging Advisory Committee
Alberta, 2001).
Nel 2002 è intervenuto anche il Ministero della sanità francese affermando che il ricorso alla RMN
dovrà costituire il 10% di tutte le prestazioni radiologiche, tenuto conto che tale percentuale era del
5% e come tale insufficiente, per il basso numero di macchine, a soddisfare tutte le richieste
(Ministére de l’emploi et de la solidarité, 2002).
In definitiva sono dunque pochissime, a livello internazionale, le ricerche e le valutazioni sulle
effettive necessità di esami di RMN e quelle disponibili, anche per i differenti contesti in cui
operano, esprimono delle differenze così ampie da non poter rappresentare dei punti di riferimento
certi (Cfr. Tab. 4.3).
51
Tab. 4.3 – Stime sulle necessità di esami di RMN per mille abitanti
Fonte obiettivi o stime degli esami
necessari
esami per mille abitanti
Australia, ministero della sanità necessità per il 2001 9,4
Alberta, Canada obiettivo per il 2001 24
Associazione canadese dei
radiologi (CAR)
esami raccomandati per il 2001 37,6
Alberta, Canada esami necessari nel 2006 39-72 Fonte: Department of Health and aged care (2000), Imaging Advisory Committee Alberta (2001)
4.4. La capacità produttiva di una apparecchiatura di RMN
Australia
Una ricerca del 2000 del Ministero della sanità australiano, dopo una consultazione con le ditte
costruttrici, i radiologi ed altri soggetti interessati, ha stabilito che la media del tempo necessario per
un esame di RMN è compreso fra 40 e 50 minuti. Diversi pareri raccolti nella ricerca ministeriale
hanno stimato la capacità di una RMN in 3.000-4.000 esami all’anno. Anche un rapporto
precedente dell’AHTAC (Australian health technology advisory committee) del 1997 stimava che
in media una RMN di 1,5 tesla può realizzare 4.000 esami all’anno. La tab. 4.4 dimostra la
potenzialità di esami di una RMN in base al tempo di attività.
Tab. 4.4 – Capacità potenziale di una RMN in base ai tempi di attività Tempo
di
esame
in
minuti
Ore
giornaliere
di attività
Totale
esami
per
giorno
Esami totali per
settimana
Esami totali per anno –
settimana di 5 giorni
Esami totali per anno –
settimana di 7 giorni 5
giorni/sett.
7
giorni/sett.
50
settimane/anno
52
settimane/anno
50
settimane/anno
52
settimane/anno
40 7 10,5 52,5 73,5 2.625 2.730 3.675 3.822
40 8 12 60 84 3.000 3.120 4.200 4.368
40 10 15 75 105 3.750 3.900 5.250 5.460
40 12 18 90 126 4.500 4.680 6.300 6.552
45 7 9,3 46,5 65,1 2.325 2.418 3.255 3.385
45 8 10,6 53 74,2 2.650 2.756 3.710 3.858
45 10 13,3 66,5 93,1 3.325 3.458 4.655 4.841
45 12 16 80 112 4.000 4.160 5.600 5.824 Fonte: Department of health and aged care (2000).
I dati in possesso del Ministero della sanità australiana dimostrano che gli attuali servizi di RMN
non sono operativi al pieno delle loro capacità. Infatti gli esami annui realizzati dalla maggioranza
delle RMN australiane sono compresi fra 2.000 e 3.000 esami. Il 78% delle RMN ha prodotto un
numero inferiore a 3.500 esami per anno. Il 52% delle RMN ha realizzato un numero inferiore a
2.500 esami per anno, soprattutto in impianti collocati in aree non metropolitane (Department of
health and aged care, 2000). La produttività delle macchine australiane è comunque cresciuta nel
corso degli anni. Nel 1988/89 le RMN realizzavano mediamente 2.300 esami all’anno per macchina
mentre nell’anno 1995/96 le RMN pubbliche hanno eseguito mediamente 3.536 esami lavorando al
90% delle potenzialità mentre le RMN private hanno eseguito mediamente 2.250 esami lavorando
al 60% delle loro potenzialità. Le potenzialità complessive erano dunque sfruttate al 73,3%
(AHTAC, 1997).
Il documento del Ministero australiano afferma che il numero potenziale di esami per anno di ogni
unità di RMN pari a 3.500 esami, lavorando per 5 giorni alla settimana, possa essere facilmente
raggiunto dalla gran parte delle apparecchiature australiane. Se il limite massimo di esami richiesti è
52
uguale a 180.000-200.000 per anno questi possono essere realizzati da 57 RMN, ipotizzando una
capacità media per apparecchiatura di 3.500 esami all’anno. Ma i dati sull’attività delle RMN
australiane ci dicono che le unità non operano al massimo delle loro capacità (Department of health
and aged care, 2000). La gran parte delle RMN pubbliche hanno lavorato 60-80 ore alla settimana.
Uno studio ha verificato un numero medio di ore lavorative a settimana pari a 67 per le RMN
pubbliche e di 50 per le RMN private, la media complessiva era di 60 ore. Si è stimato che le RMN
private potrebbero realizzare 40.000 esami in più all’anno se lavorassero con i tempi delle
apparecchiature pubbliche (AHTAC, 1997).
Francia
Anche in Francia il sistema assicurativo dei rimborsi per le RMN è basato su un break-even point di
4000 esami l’anno per macchina ma che può arrivare anche a 4.500 (AHTAC, 1997). Nella realtà
le apparecchiature pubbliche realizzavano, nel 1997, mediamente un numero (4.285) anche
superiore di esami (Vaknin). In alcune realtà, la carenza di macchine ha portato ad un loro uso ben
più intensivo. Infatti, nel 2000, le 5 macchine della Region Centre (capoluogo Orléans) hanno
realizzato 30.853 esami pari ad una media di 6.171 esami per macchina (ARH du Centre, 2002).
Canada
Un paese che sembra sfruttare in modo ottimale le apparecchiature di RMN pare essere il Canada.
In tale paese, nel 1997, il numero medio annuo di esami per RMN era di 3.653, effettuati in 64 ore
di lavoro medio per settimana, con un rendimento di 1,1 esame per ora (Rankin, 1999).
Sempre in Canada, la provincia della Alberta (oltre 3 milioni di abitanti) ha realizzato un complesso
modello (modello non lineare gestito da un software specifico chiamato Stella) per calcolare la
necessità del numero delle RMN una volta definito l’obiettivo in termini di esami annui. L'analisi
non-lineare utilizzata nel modello offre la possibilità di predire effetti probabili in dipendenza di
un set di regole o di variabili di decisione. E’ interessante a questo proposito riprendere le
assunzioni relative alla produttività poste alla base del modello, che sono le seguenti:
attesa massima: 24 ore per le emergenze, 30 giorni di calendario per le urgenze e 90 giorni di
calendario per le prestazioni non urgenti (ipotizzando altresì il 20% del volume degli esami per
le emergenze, il 40% di volume per le urgenze e il 40% per le altre prestazioni);.
accesso: emergenze 7 giorni per settimana, urgenze e non-urgenze 5 giorni per settimana;
turni di 8 ore;
ogni RMN può lavorare fino ad un massimo di 16 ore giornaliere più le emergenze. La
produttività è stata valutata in 1.8 esami per ora basandosi su RMN di 1.5 Tesla;
un radiologo può leggere 20 esami di RMN in un turno di 8 ore;
i radiologi lavorano 40 ore per settimana e sono assenti per 6 settimane per anno;
il personale tecnico lavora 40 ore per settimana e ed hanno 4 settimane di ferie per anno.
Lo sviluppo del modello ha dimostrato che 12 macchine di RMN opportunamente distribuite e nelle
condizioni date, sono in grado di garantire 24 esami l’anno per mille abitanti in tutto il territorio
della provincia di Alberta. Per ottenere questo risultato però 6 di quelle macchine devono lavorare
16 ore al giorno. 14 macchine (di cui 7 lavorano per 16 ore al giorno) invece sono in grado di
garantire 30 esami all’anno per mille abitanti. Il modello ha altresì dimostrato che è possibile senza
grandi conseguenze ottenere gli stessi risultati, rispettando le condizioni stabilite, abbassando da
90 a 60 i giorni entro cui esaminare i pazienti non urgenti. E’ interessante notare che le macchine
non vengono collocate in luoghi diversi ma vengono concentrate in soli 6 siti tenendo conto della
capacità di attrazione dei vari ospedali e per ridurre le necessità di personale (Imaging Advisory
Committee Alberta, 2001). Questo significa che il modello adottato dalla provincia canadese della
Alberta prevede una produttività media annua di 6.000 esami per macchina da ottenere prevedendo
un tempo medio per esame di 33 minuti e che la metà (6) delle macchine a disposizione lavorino per
16 ore al giorno. (Imaging Advisory Committee Alberta, 2001). L’impegno in questo settore ha
53
portato a risultati interessanti dato che nel 2004 la media delle prestazioni di tutte le RMN canadesi
era di 5.168 prestazioni annue, il dato più elevato fra quelli nazionali conosciuti.
Italia
Sensibilmente più bassa è invece la produttività delle macchine italiane dato che, nel 2000, le RMN
pubbliche hanno realizzato mediamente 2.705 prestazioni mentre quelle private 2.649. Tale
produttività media si colloca sotto la media nel panorama internazionale anche se ci sono regioni
come la Toscana, il Friuli-V.G., la Basilicata, il Molise o la provincia autonoma di Trento dove la
produttività media per apparecchiatura supera le 3.600 prestazioni annue (Cfr. Tab. 4.5).
Tab. 4.5 – Numero di prestazioni per ogni apparecchiatura di RMN. Anno 2000.
Regione RMN pubbliche RMN private
Piemonte 2.041 3.229
Valle d’Aosta 430
Lombardia 2.440 3.140
Bolzano 3.023 2.709
Trento 3.893
Veneto 3.531 697
Friuli-V. G. 4.317
Liguria 2.266
E. Romagna 2.981 2.145
Toscana 3.908 2.206
Umbria 3.095
Marche 3.606
Lazio 3.057 4.881
Abruzzo 1.619 427
Molise 3.694
Campania 1.239 1.243
Puglia 2.694 4.729
Basilicata 3.608
Calabria 1.640 1.331
Sicilia 1.967 1.586
Sardegna 2.059 850
Italia 2.705 2.649 Fonte: Ministero della Salute (2002).
Per aumentare la produttività delle RMN e per poter ridurre in modo significativo le liste d’attesa il
gruppo di lavoro specifico del Ministero della sanità, propone un utilizzo su più turni di lavoro delle
apparecchiature che deve essere prevista normalmente nella fascia 7-21 ove esistono liste d’attesa
superiori a limiti ragionevoli (Ministero della sanità, 2001). Alcune regioni hanno provato a
stabilire degli standard per migliorare l’efficienza produttiva delle apparecchiature. Lo standard
operativo di riferimento della Regione Marche (DCR 238/1995) è di almeno 5.000 prestazioni
annue, considerando un servizio su due turni (12 ore/die) per 6 giorni la settimana con una
prestazione media ogni 45 minuti. Tali standard (5.000 prestazioni/anno) nelle aree dell’entroterra a
bassa concentrazione demografica possono essere derogati. Più bassa è la previsione della Valle
d’Aosta (L.R.13/1997) che prevede un carico di lavoro minimo annuo di 3.518 esami ma la cosa
potrebbe essere giustificato da un bacino di utenza regionale di soli 120.000 abitanti (Cfr. Tab.
4.13).
Comparazione
I dati raccolti ci permettono di affermare che le realtà nazionali che hanno una dotazione di
apparecchiature di RMN inferiore alla media registrano una produttività più elevata rispetto alle
54
altre nazioni maggiormente dotate. Si tratta di un dato che non stupisce. Evidentemente la forte
pressione della domanda che si concentra su un numero non elevatissimo di apparecchiature ha
portato ad un loro utilizzo più intensivo. Così nei primi posti per produttività delle RMN troviamo il
Canada, la Francia e l’Inghilterra, tutte nazioni che hanno una dotazione di RMN inferiore a 6
macchine per milione di abitanti mentre la media internazionale ha raggiunto quota 10,6.
Tab. 4.6 – La produttività delle RMN in vari paesi
nazioni o regioni Anno numero
annuo
prestazioni
standard
media
prestazioni
annue eseguite
per RMN
minuti
necessari
per esame
ore
settimanali
di lavoro per
RMN
Canada 2004 5.168 66 media
Francia 1997 4.285
Inghilterra 2004/2005 3.780
Belgio 1997 3.666
Australia 1995/1996 3.500-4.000 3.536 pubbliche
2.250 private 40-45 67 RMN
pubbliche
50 RMN private
60 media
USA 2003 3.440 70 media
Italia 2000 2.705 pubbliche
2.649 private
30 (proposta
Ministero) 14 ore al giorno (proposta Ministero)
Danimarca 1997 2.631
Austria 1997 2.428
Germania 1997 1.950
Finlandia 1997 1.944 Fonte: nostra elaborazione su dati Department of health and aged care (2000), AHTAC (1997), Rankin (1999), Imaging Advisory Committee Alberta (2001), NHS MRI Scanners (2006), Ministero della sanità (2001), Ministero della salute (2002, 2005), CIHI (2003, 2005); IMV (2005); Vaknin et
ali.
La produttività delle RMN è molto importante non solo per gli aspetti assistenziali ma anche e
soprattutto per gli aspetti economici. La provincia canadese di Alberta, usando i dati forniti dai
principali produttori di apparecchiature di RMN, ha stimato, nel 2001, il costo di gestione delle
macchine al fine di calcolare il costo variabile per esame (scan) in relazione al volume delle
prestazioni. I dati dimostrano che il costo complessivo di ogni esame si riduce all’aumentare del
numero di esami realizzati annualmente da ogni apparecchiatura di RMN. Si passa da un costo per
scan di € 168 per RMN che realizzano 3.500 esami l’anno a € 156 per quelle che realizzano 7.000
esami fino ad arrivare a € 150 per quelle che ne realizzano annualmente 10.000, con una riduzione
dei costi del 12% (Cfr. Tab. 4.7). I calcoli dell’Imaging Advisory Committee della provincia
canadese dell’Alberta hanno tenuto conto di tutti i costi di gestione senza tener conto invece dei
costi di acquisto, di realizzazione e di aggiornamento delle apparecchiature.
Tab. 4.7 – Alberta, Canada. Costo complessivo per esame (scan) di RMN
esami per anno per RMN costo complessivo per esame in €
3.500 168
5.000 159
7.000 156
10.000 150 Fonte: nostra elaborazione su dati Imaging Advisory Committee Alberta, 2001.
Secondo il Comitato una riduzione dei costi potrà avvenire con l’abbassamento delle spese di
esercizio attraverso l’uso di PACS, l’abolizione dei film e l’adozione di un archivio di immagini
55
all’interno di una rete provinciale accessibile e garantita. (Imaging Advisory Committee Alberta,
2001).
Da questa varietà di dati, seppur incompleti, è possibile trarre delle indicazioni di carattere generale.
Risulta evidente che la produttività media delle apparecchiature tende costantemente a crescere. La
tendenza delle autorità sanitarie è di aumentare tale produttività media collocandola tra le 4.500 e le
5.500 prestazioni l’anno soprattutto prolungando l’orario giornaliero di attività delle macchine
(mediamente 12 ore al giorno) sia per soddisfare la crescente domanda dell’utenza sia perché
l’aumento della produttività può portare ad una riduzione del 10% circa del costo unitario degli
esami.
4.5. Le apparecchiature di RMN La prima RMN è stata installata nel Regno Unito, nel 1978. Da allora la diffusione delle RMN è
cresciuta costantemente anche se ci sono paesi importanti come la Nuova Zelanda che hanno
installato la prima apparecchiatura solo nei primi anni ’90. In Canada è stata introdotta come
strumento di ricerca nel 1982/83 in centri accademici dell’Ontario e della British Columbia. I primi
impieghi clinici risalgono però al 1985. L’Italia, come la maggior parte dei paesi, ha installato la
prima RMN a metà degli anni ’80 (Cfr. Tab. 4.8).
Tab. 4.8 – Anno di installazione delle prima Risonanza magnetica nucleare per nazione.
Nazione Anno di installazione della prima RMN
Regno Unito 1978
Stati Uniti 1980
Finlandia 1982
Olanda 1982
Canada 1982/83
Francia 1983
Svezia 1984
Australia 1984/86
Italia 1984/86
Svizzera 1984
Grecia 1987
Nuova Zelanda 1990/92 Fonte: OTA (1995).
Le apparecchiature di RMN, nonostante l’alto costo, si sono diffuse molto velocemente soprattutto
nei primi anni novanta anche se la loro distribuzione nei paesi dell’OCSE è estremamente
diversificata (Cfr. Tab. 9). Nel 2004, al livello più alto troviamo il Giappone addirittura con 35,3
apparecchiature di RMN ogni milione di abitanti seguito dagli Stati Uniti con 24,2 macchine e dalla
Islanda con 17,1 mentre al livello più basso si colloca la Grecia con 2,3 macchine.
Il dato degli Stati Uniti è probabilmente sovrastimato a causa del fenomeno delle RMN mobili.
L’IMV ha censito nel 2003 ben 7.034 sistemazioni (“location”) di RMN negli Stati Uniti comprese
quelle in cui arrivano le RMN mobili che presumibilmente toccano più sedi. La sovrastima è
comunque contenuta se teniamo conto che le RMN mobili realizzano solo il 7,8% delle prestazioni
(percentuale peraltro in diminuzione). E’ pertanto probabile che la sovrastima non superi 3,5
apparecchiature per milione di abitanti.
L’Italia con 13,4 apparecchiature per milione di abitanti (pari ad una RMN ogni 75.000 abitanti),
dopo essere stata fino a tutti gli anni novanta sotto la media OCSE, si colloca oggi (2004)
sensibilmente al di sopra della media dei paesi industrializzati che registrano 9,9 apparecchiature
per milione di abitanti (Cfr. Tab. 4.9).
56
Tab. 4.9 – Apparecchiature di Risonanza magnetica nucleare per milione di abitanti nazione 1986 1990 1996 2000 2004
Giappone nd 6,5 18,8 23,2 (1999) 35,3 (2004)
Stati Uniti 4,6 8,4 16,0 17,5 (1999) 24,2 (2003)
Islanda nd 3,9 7,4 10,7 17,1
Austria nd 1,2 (1989) 7,4 10,9 14,9
Svizzera 0,6 3,9 12,4 12,9 14,3
Finlandia nd 2,4 6,5 9,9 14,0
Italia 0,3 1,3 3,5 (1995) 7,3 13,4
Lussemburgo nd 2,6 2,4 4,6 11,1
Danimarca nd 2,5 4,0 (1994) 6,6 10,2
Svezia 0,6 1,5 6,8 7,9 (1999) nd
Spagna nd 0,7 (1989) 3,2 4,8 7,7
Belgio nd 2,0 3,2 (1997) 6,0 6,8 (2003)
Germania 0,7 2,3 2,3 (1995) 4,9 6,6
Regno Unito 0,2 1,0 3,4 5,1 5,0
Canada 0,3 0,7 1,5 3,1 5,5
Portogallo nd 0,8 2,8 2,8 (1999) 3,9 (2003)
Olanda 0,3 0,9 3,7 nd nd
N. Zelanda 0,0 0,0 (1989) 2,7 2,6 (1999) 3,7 (2003)
Australia 0,2 1,0 3,0 3,5 3,7
Francia 0,4 1,2 2,3 2,6 3,2
Grecia nd 0,4 1,2 2,0 (1998) 2,3 (2002)
Media OCSE 0,7 2,2 5,4 7,5 10.6
Legenda: nd= dato non disponibile. Fonte: OECD Health Data 2006, 2003, 2001, 2000, 1999, 1998; Hailey et Al. (1993); Jerjen e Muller (1994); Ministero Salute (2005, 2002), Centre
for health service studies (1999), European observatory on health care systems (1999), Banta (1995), Informations hospitalieres (2000), OTA (1995), UNSCEAR (2000), AHTAC (1997), CCOHTA (2003). IMV; CIHI 82005)
Anche in questo caso le differenze regionali sono notevoli e non sempre giustificabili; si passa
infatti dalla dotazione minima della Provincia autonoma di Trento che ha una RMN ogni 166.000
abitanti alla dotazione del Molise (seguita a ruota dalla Valle d’Aosta) che ha una apparecchiatura
ogni 29.000 abitanti (Cfr. Tab. 4.10).
Il percorso australiano
L’introduzione e la diffusione della RMN in Australia ha seguito un diverso modello rispetto a
quello della TAC dato che in questo caso si è effettuata una procedura nazionale di valutazione
della nuova tecnologia. Il programma australiano per l’introduzione e la valutazione della RMN ha
avuto la sua origine in un rapporto di sintesi del NHTAP (organismo di valutazione delle tecnologie
sanitarie) che considerava l’apparecchiatura come un metodo diagnostico per immagini costoso, in
rapida evoluzione e promettente ma che doveva essere valutato prima di una sua ampia diffusione
in Australia. Le raccomandazioni del rapporto vennero accettate dal Governo australiano che decise
una valutazione della RMN che rispondesse ai quesiti relativi al costo probabile della nuova
tecnologia, al suo realistico campo di applicazione, ai probabili benefici comparati con i metodi
esistenti, alla performance tecnica e all’area di debolezza.
57
Tab. 4.10 – Italia. Distribuzione delle RMN nel 2004.
Regione Popolazione RMN
private
extra-
ospedaliere
RMN
pubbliche
extra-
ospedaliere
RMN
private
ospedaliere
RMN
pubbliche
ospedaliere
Totale
RMN
RMN per
milione di
abitanti
Piemonte 4330172 23 - 14 33 70 16,2
Val d’Aosta 122868 1 - - 3 4 32,5
Lombardia 9393092 42 - 50 51 143 15,2
Bolzano 477067 2 - 2 5 9 18,9
Trento 497546 - - - 3 3 6,0
Veneto 4699950 28 - 4 40 72 15,3
Friuli-V. G. 1204718 3 - 4 9 16 13,3
Liguria 1592309 8 - - 17 25 15,7
E. Romagna 4151369 - 1 16 22 39 9,4
Toscana 3598269 14 - 1 26 41 11,4
Umbria 858938 2 1 - 8 11 12,8
Marche 1518780 4 - 4 16 24 15,8
Lazio 5269972 21 - 46 41 108 20,5
Abruzzo 1299272 2 - 6 8 16 12,3
Molise 321953 6 - 1 4 11 34,2
Campania 5788986 29 - 15 18 62 10,7
Puglia 4068167 8 1 7 24 40 9,8
Basilicata 596546 1 - - 4 6 10,1
Calabria 2009268 4 - 9 8 21 10,4
Sicilia 5013081 11 - 12 18 41 8,2
Sardegna 1650052 2 - 3 16 21 12,7
Italia 58462375 211 3 194 374 782 13,4 Nota: le strutture private considerate sono tutte accreditate. Fonte: nostra elaborazione su dati del Ministero salute (2005), e Istat sito web.
Al momento dell’avvio della valutazione australiana poche erano le conoscenze circa l’uso clinico e
le performance della RMN. Informazioni provenienti da altre nazioni avevano un uso limitato nel
contesto australiano. Diversi dei primi studi erano “poveri” ed, in alcuni casi, non applicabili a
differenti sistemi sanitari. Il governo australiano cercando una ampia valutazione di tutti gli aspetti
della nuova tecnologia, aveva previsto che un ampio range di possibili esami e malattie venissero
considerate. Lo studio venne realizzato nei dipartimenti radiologici di 5 ospedali pubblici con la
direzione generale di un comitato tecnico del NHTAP e la collaborazione e il monitoraggio del
Segretariato del Panel creato ad hoc. Nel periodo dello studio nessun finanziamento pubblico venne
reso disponibile per le RMN al di fuori di quanto previsto nello studio stesso. Venne realizzato uno
specifico studio su 2.810 esami consecutivi presso il Royal North Shore Hospital di Sidney il quale
ha fornito dati di follow-up su 2.100 casi. L’accuratezza della RMN in un numero di condizioni
venne considerata nel dettaglio e l’impatto clinico venne valutato sulla base delle opinioni dei
clinici di riferimento. L’impatto della tecnica fu evidente in 104 casi dove la chirurgia venne
evitata, in 55 dove le procedure invasive vennero evitate, in 151 dove la RMN guidò la chirurgia o
migliorò il planning chirurgico e in 175 dove una corretta diagnosi venne stabilita dopo risultati
imprecisi della TAC o di altri tests. Un altro studio considerò il follow-up di 1.119 pazienti
consecutivi esaminati all’ospedale “Sir Charles Gaidner” di Perth per immagini del cranio o della
colonna. Le risultanze furono che la RMN dava un contributo dominante per la diagnosi finale di
neoplasie o di disordini vascolari ma era meno significativa per la malattia della materia bianca
(white matter), inclusa la sclerosi multipla. In una alta proporzione di casi, anche altri tipi di esami
hanno influenzato la diagnosi finale. Seguendo le raccomandazioni del NHTAP del 1990 alla fine
della valutazione, il Governo accolse l’ipotesi di sviluppo di una rete di unità di RMN negli
58
ospedali di insegnamento (universitari), prevedendo 18 RMN da collocare nei centri con le
maggiori responsabilità neurochirurgiche. I finanziamenti governativi continuarono ad essere
incanalati solo verso queste unità, ed i rimborsi tariffari non erano previsti per ulteriori servizi
forniti da strutture radiologiche private, eccettuato un numero limitato di casi indirizzati dagli
ospedali pubblici verso le strutture private. Le decisioni sul livello di finanziamento per le unità di
RMN pubbliche vennero stabilite sulla base dei dati sui costi ottenuti nella valutazione. Il limitato
numero di esami richiesti alle strutture private e finanziati dal governo erano confermate dalle linee
guida di consensus sulle RMN sviluppate durante la valutazione.
Nonostante questa politica di limitato finanziamento governativo dei servizi, il numero delle RMN
private è cresciuto molto, successivamente al 1990. All’inizio del 1992 c’erano 7 RMN pubbliche e
16 private in Australia, (1,3 per milione di abitanti) una proporzione un po’ più bassa di quella
registrata in diversi paesi europei ma in incremento verso le 41 unità previste per la fine del 1994
(2,3 per milione di abitanti). In conclusione si può dire che l’introduzione e l’uso della RMN è stata
fortemente influenzata dalla valutazione effettuata dal NHTAP (OTA, 1995).
Anche negli anni successivi il governo australiano ha sempre governato direttamente la diffusione
delle apparecchiature disponendo annualmente il loro convenzionamento. Nel 2005 erano infatti
112 le risonanze magnetiche nucleari autorizzate a lavorare per il sistema pubblico Medicare.
Il percorso canadese
La prima valutazione effettuata dal MSSS (Ministero della sanità) del Quebec (Canada) nel 1991
considerava la RMN un servizio appropriato per i centri universitari anche se la “superiorità
diagnostica” della RMN rimaneva non provata. La previsione delle necessità era comunque stimata
in 8 unità nella intera provincia, 3 delle quali erano già in funzione e 3 in costruzione. Questa stima
è stata sostenuta da un successivo rapporto del CETS (Centro valutazione tecnologie) sulle RMN in
Quebec. Tale rapporto, sottolineando che la tecnologia RMN si stava sviluppando molto
velocemente e che la sua superiorità rimaneva non provata, raccomandava che la priorità per
l’acquisto fosse data ai centri universitari con una significativa casistica neurologica e
neurochirurgica. Il CETS identificava 55 casi specifici nei quali la superiorità diagnostica della
RMN era largamente accettata dalla comunità scientifica. Questa visione moderata ha fortemente
contribuito alla diffusione relativamente lenta della RMN in Quebec.
Inoltre, alla fine degli anni ’80, l’economia canadese piombò in una severa recessione e divenne
opinione generale che il livello di indebitamento del governo sarebbe diventato presto intollerabile.
In quelle circostanze economiche e politiche l’attenzione del governo verso le tecnologie sanitarie
costose e non direttamente “salva vita” diventò minima. Oltre alle condizioni socio-economiche
citate, si sono fortemente accresciute e sviluppate anche le strutture e le esperienze canadesi di
valutazione dell’efficacia degli interventi medici. Questo ha influenzato sia direttamente che
indirettamente la linea politica, ma più in generale sembra aver contribuito a creare un ambiente in
cui i dati scientifici sono diventati un crescente ed importante input per le scelte politiche. Nel caso
della RMN i dati sulla sua efficacia sono rimasti per diversi anni sufficientemente aperti a diverse
interpretazioni, il che ne ha limitato una larga diffusione (OTA, 1995). In questi ultimissimi anni
però i segnali di crescita delle apparecchiature sono evidenti e generalizzati; anzi si può dire che il
Canada ha fatto uno dei balzi più notevoli dato che in soli 8 anni ha quasi quadruplicato la propria
dotazione passando da 1,5 macchine per milione di abitanti nel 1996, a 3,1 nel 2000 ed infine a 5,5
nel 2004, (CIHI, 2005).
Questo è accaduto non soltanto in Canada. Il Belgio ha recentemente deciso di raddoppiare il
numero delle RMN. All’inizio del 2001 il Ministro della sanità francese ha autorizzato
l’installazione di 85 nuove RMN per arrivare in tempi brevissimi a 280 macchine che porterà la
Francia ad almeno 5,8 macchine per milione di abitanti. Recentemente anche il National
development fund ha previsto l’attivazione di 50 nuove RMN in Inghilterra. Per cui il settore
59
continuerà a crescere anche nel breve e nel medio periodo e forse anche a ritmi maggiori,
compatibilmente con le politiche di contenimento della spesa sanitaria.
RMN pubbliche e private
Anche per quel che riguarda la proprietà delle apparecchiature di RMN la situazione è molto
diversificata. Ci sono paesi come gli Stati Uniti dove la proprietà delle apparecchiature è
prevalentemente privata e paesi come il Canada dove è prevalente la proprietà pubblica. In base ai
pochi dati in nostro possesso, appare però prevalente la proprietà privata delle RMN fra i paesi
dell’OCSE (Cfr. Tab. 4.11). Questo dato dipende essenzialmente dall’alto costo delle
apparecchiature, dalle politiche autorizzatorie e di remunerazione delle prestazioni applicate nei vari
paesi.
Tab. 4.11 – Proprietà delle RMN.
Nazione Anno Numero RMN Di cui private % RMN pubbliche
Canada 2003 176 18 90
Francia 1999 182 69 62
Italia 2004 782 405 48
Australia 1996 54 32 41
Portogallo 1998 27 22 18
Spagna 1999 175 Meno del 50%
USA 2003 7034 bassa Fonte: AHTAC (1997); Ministero della Salute (2002); IMV, CIHI (2005), bibliografia.
RMN ospedaliere ed extraospedalire
Le apparecchiature di RMN sono collocate soprattutto in ambiente ospedaliero ma sono in costante
aumento quelle extraospedaliere (Cfr. Tab. 4.12).
Tab. 4.12 – Distribuzione delle RMN in ambiente ospedaliero ed extraospedaliero.
Nazione Anno Numero
complessivo
RMN
Numero RMN
extraospedaliere
% RMN
ospedaliere
Olanda 2001 136 5 96
Canada 2004 176 28 84
Finlandia 2001 37 7 81
Italia 2004 782 214 73
Francia 2001 224 76 66
USA 1997 4.000 1.600 60
Austria 1998 68 38 44*
Portogallo 1998 27 22 19 Leggenda: * negli ospedali per acuti.
Fonte: Ministero della Salute (2005); Imaging advisory committee (2001); CIHI (2003, 2005), bibliografia, COCIR (2003).
Quelle ospedaliere sono prevalentemente pubbliche mentre quelle extraospedaliere sono soprattutto
private. In Italia la grande maggioranza di macchine, pari al 73% sono collocate negli ospedali
pubblici e privati ma ci sono paesi, come l’Austria, dove le RMN ospedaliere sono una minoranza
(il 44%) rispetto al totale. Comunque anche in Italia sono in forte crescita le RMN private extra-
ospedaliere mentre quelle pubbliche extra-ospedaliere sono rarissime. Stessa tendenza anche in
Canada dove le RMN extraospedaliere (free-standing imaging facilities) erano il 2% nel 1997 ma
costituivano già il 16% alla fine del 2004 (CIHI, 2005). Negli Stati Uniti, nel 1997, erano presenti
60
4.000 RMN delle quali 900 erano collocate in centri ambulatoriali (freestanding imaging centers),
700 erano collocate in mezzi mobili e le rimanenti 2.400 erano collocate in ambienti ospedalieri
(Imaging advisory committee, 2001).
4.6. Norme per il bacino di utenza e la diffusione delle RMN
Un aspetto decisivo per la diffusione delle apparecchiature di RMN e per la loro omogenea
distribuzione nel territorio è costituito dalle norme che le autorità sanitarie hanno emanato per la
loro autorizzazione all’esercizio dell’attività. Non si fa qui riferimento agli aspetti tecnici relativi
alle installazioni quanto alle norme relative alla pianificazione della distribuzione delle RMN nel
territorio e agli eventuali obiettivi che stanno alla base dell’intervento programmatorio.
Dovendo semplificare possiamo dire che esistono due orientamenti generali nel mondo
industrializzato: da una parte i paesi che non pongono alcun vincolo alla diffusione delle macchine
di RMN e dall’altra invece quei paesi che hanno cercato di governare l’uso di queste importanti e
costose tecnologie.
Fanno parte del primo gruppo “liberale” paesi come gli Stati Uniti, la Svizzera, il Portogallo e la
Grecia.
Negli Stati Uniti infatti non ci sono vincoli quantitativi per l’installazione di apparecchiature di
RMN e questo ha portato ad una enorme diffusione della tecnologia inferiore solo a quella del
Giappone. Secondo l’American Healthcare Radiology Administrators servirebbe una RMN ogni
125.000 persone (Imaging advisory committee, 2001) mentre l’attuale distribuzione è pari a una
RMN ogni 41.000 abitanti.
Al terzo posto nel mondo per dotazione di RMN troviamo invece la Svizzera dove la competenza
per l’autorizzazione all’esercizio delle apparecchiature di RMN è assegnata ai Cantoni che in
questo campo lasciano piena libertà d’iniziativa per cui non c’è alcun bisogno di autorizzazione per
le grandi tecnologie radiologiche. Anche in questo caso, tale orientamento ha sviluppato una forte
presenza di apparecchiature, soprattutto private. In questi ultimissimi anni i Cantoni, sollecitati da
una spesa crescente stanno prendendo dei provvedimenti che vanno in un senso diverso. Nel 2001 il
solo Canton Neuchatel ha adottato una norma che prevede l’autorizzazione per l’installazione delle
grandi attrezzature radiologiche mentre altri tre Cantoni, Ginevra, Vaud e Ticino, avevano in
discussione dei progetti di legge sullo stesso argomento. Il disegno di legge governativo del Canton
Ticino prevede testualmente che “l’autorizzazione è concessa a meno che sia dimostrato un
fabbisogno già sufficientemente coperto”.
Il Portogallo invece viene da una tradizione diversa e il suo attuale atteggiamento politico viene dal
desiderio di recuperare un ritardo storico. E’ accaduto infatti che il Portogallo, nel 1988, ha
approvato una regolamentazione (Decreto-Lei 445/1988), valida sia per il settore pubblico che per
quello privato, che prevedeva una RMN ogni 3 milioni di abitanti che ha quasi bloccato la
diffusione della tecnologia diagnostica quando nel resto d’Europa i bacini della popolazione di
riferimento erano almeno 10 volte più piccoli. Così il Portogallo è rimasto ai valori di diffusione
della tecnologia più bassi riscontrabili tra i paesi dell’Unione Europea. Successivamente, nel
tentativo di sviluppare una più ampia diffusione delle RMN e di recuperare le distanze dagli altri
paesi dell’Europa, il Governo, nel 1995 (Decreto-Lei 95/1995 e Resolucao 61/1995), ha tolto ogni
vincolo per l’installazione di queste apparecchiature (mentre ha lasciato dei vincoli per la
radioterapia, la PET e l’angiografia digitale).
In sostanza i paesi che non hanno posto vincoli per l’installazione delle grandi apparecchiature
diagnostiche hanno visto, in genere, un grande sviluppo delle RMN che però ha portato ad una
dotazione spesso considerata eccessiva (escluso il Portogallo) tanto che in alcuni, pochi, di questi
casi si comincia a ragionare di normative più restrittive.
61
Negli altri paesi ci sono invece delle regole o degli standard che regolano la diffusione delle RMN
nel territorio nazionale o regionale al fine di garantire a tutti l’accesso alla tecnologia e di
contenerne i costi.
Tra i paesi più prudenti si colloca l’Australia. Il Ministero della sanità australiano in un rapporto
dedicato alle RMN, sulla base di dati e di valutazioni sui bisogni e sulla produttività delle RMN che
abbiamo illustrato nei paragrafi precedenti, ha stabilito che per assicurare un sufficiente accesso
agli esami di RMN è opportuno un aumento del numero di RMN finanziate dal sistema pubblico. Il
Ministero ha dunque deciso, nel 2006, di aumentare fino a 112 unità le RMN pubbliche (eligible
for Medicare benefit). Le nuove RMN vanno collocate soprattutto nelle aree non metropolitane
dove la popolazione ha oggettivamente meno possibilità di accesso alle prestazioni della RMN. Le
RMN pubbliche passerebbero a una ogni 179.000 abitanti. Le nuove RMN dovranno essere
collocate in aree non adeguatamente servite nel rispetto dei seguenti criteri:
La RMN deve essere collocata all’interno di una struttura generale di diagnostica per
immagini;
L’apparecchiatura deve disporre di appropriato specialista (Department of health and aged
care).
In Italia, il Ministero della Sanità con circolare del novembre del 1991, ha indicato il bacino di
utenza per l’installazione di apparecchiature di RMN, corrispondente ad una macchina ogni 300.000
abitanti. Nel 1992, la Conferenza Stato-Regioni, nel tentativo di definire i livelli uniformi di
assistenza, poi fallito perché l’atto non è mai stato approvato, riproponeva nella bozza di
documento un bacino di utenza di una RMN fino a due Tesla in 300.000 abitanti.
Successivamente con DPR 542/1994 sono state stabilite le norme per l’autorizzazione all’uso delle
RMN, modificando le precedenti normative. La norma stabilisce quanto segue:
RMN “settoriali” con valori di campo statico di induzione magnetica non superiori a 0,5 Tesla:
non sono soggette a autorizzazione all’installazione ed all’uso.
RMN con valori di campo statico di induzione magnetica compresi fra 0,5 Tesla e 2 Tesla: sono
soggette ad autorizzazione all’installazione da parte della regione o provincia autonoma. La
collocazione deve rispettare i seguenti criteri:
a) adeguamento alla domanda di prestazione attuale o prevista secondo quanto stabilito dalla
programmazione sanitaria della regione o della provincia autonoma;
b) integrazione con le strutture specialistiche già esistenti finalizzata al loro utilizzo multi-
specialistico di diagnostica mediante immagini o mono-specialistico limitatamente a unità
autonome di diagnosi e cura di elevata qualificazione cardiologia e/o cardio-chirurgica,
neurologica e/o neurochirurgia; ospedali specializzati ortopedico-traumatologici.
RMN con valori di campo statico di induzione magnetica superiore a 2 Tesla: Sono soggette a
autorizzazione all’installazione e all’uso da parte del Ministero della Sanità. L’autorizzazione
deve essere rinnovata ogni 5 anni. La collocazione è consentita esclusivamente presso grandi
complessi di ricerca e studio ad alto livello scientifico (università ed enti di ricerca, policlinici,
IRCCS), ai fini della validazione clinica di metodologie di RM innovative.
In sostanza, sin dal 1994, la competenza relativa all’autorizzazione e alla diffusione delle
apparecchiature di RMN è nelle mani delle regioni. Ciononostante, nel 2001, il Ministero della
Sanità, con la costituzione di un suo gruppo di lavoro, ha voluto dare delle indicazioni nella
convinzione che le necessità legate ad un buon livello di assistenza sanitaria e di prevenzione
devono prevedere una dotazione minima per il bacino di utenza che deve tener conto della presenza
e della complessità delle strutture ospedaliere comprese nel territorio. Il documento ministeriale
conclude affermando che anche in riferimento a standard internazionali appare utile ipotizzare un
rapporto di riferimento tra RMN e numero di potenziali pazienti pari a un tomografo a risonanza
magnetica ogni 50.000-60.000 abitanti (Ministero sanità, 2001). Gli standard internazionali a cui fa
cenno il documento ministeriale non vengono però citati o richiamati né sono stati reperiti, con tali
contenuti, nelle ricerche da noi effettuate (come si può verificare anche negli orientamenti delle
altre nazioni industrializzate (Cfr. Tab. 4.14) .
62
La competenza nella pianificazione della diffusione delle RMN è dunque nelle mani delle regioni
che ne possono disporre come meglio credono.
La Regione Marche, per esempio, nel 1995 ha approvato un atto con cui fissa i criteri oggettivi che
consentono una corretta individuazione degli ospedali presso cui installare le grandi
apparecchiature diagnostiche ad alta tecnologia e di conseguenza ha individuato il numero e la
collocazione di TAC e RMN. L’installazione di tali apparecchiature avviene previa autorizzazione
delle Giunta Regionale. A questo proposito la regione ha fissato un numero di prestazioni attese
pari a 60 per mille abitanti/anno non distinguendole fra TAC e RMN.
Più recentemente il Veneto con due deliberazioni ha stabilito le procedure per l’autorizzazione delle
RMN integrali e per la verifica della congruità di tali investimenti, con l’evidente intento di
pianificare gli interventi e di governare la spesa in questo settore. Il Veneto in particolare ha
stabilito (DGR 3223/2002) che le RMN sono soggette ad autorizzazione (programmatoria)
regionale, indipendentemente dalle modalità onerosa o non direttamente onerosa d’acquisizione. Le
richieste di autorizzazione saranno prese in considerazione solo se presentate dai direttori generali
interessati che ne giustifichi l’economicità in termini di costo/efficacia nonché la congruenza
rispetto al profilo funzionale del presidio ospedaliero presso il quale si intende situare
l’apparecchiatura. Per quanto riguarda gli erogatori privati, l’acquisizione delle prestazioni in
regime di accreditamento prodotte dalle RMN è subordinato sia all’effettiva necessità di
acquisizione di tali prestazioni ai fini dell’erogazione dei livelli essenziali di assistenza, sia a
condizioni di congruità rispetto al profilo funzionale attribuito alla struttura dalla programmazione
regionale, analogamente agli erogatori pubblici. Con una precedente deliberazione (DGR
1775/2002) il Veneto aveva deciso di sottoporre a verifica di congruità tutti gli investimenti in
grandi attrezzature sanitarie programmati dalle aziende sanitarie da sottoporre alla regione che
quindi diventa la procedura standard per accedere alla autorizzazione “programmatoria” . A questo
proposito la regione Veneto ha individuato un sistema di parametri interconnessi da sottoporre a
valutazione con riferimento ai fini della decisione di investimento, che sono i seguenti:
a) congruità con la programmazione regionale e con quella attuativa aziendale;
b) coerenza della struttura edilizia/fisica e tecnologica esistente e/o programmata;
c) adeguatezza delle capacità professionali e dell’organizzazione sanitaria aziendale;
d) miglioramento nei valori di efficacia diagnostico-terapeutica;
e) aumento del livello di efficienza dei processi produttivi;
f) contenimento dei costi di esercizio nel periodo di utilizzo;
g) economicità della modalità di acquisizione prescelta.
Recentemente anche la regione Puglia ha stabilito il fabbisogno di RMN per il territorio regionale.
Si tratta di una RMN ogni 120.000 abitanti e frazione con riferimento al territorio della ASL,
escluse quelle delle aziende ospedaliere e degli IRCCS. Questo significa un totale di 40 RMN pari a
una ogni 102.000 abitanti. Le apparecchiature eccedenti il suddetto fabbisogno sono escluse dal
processo di accreditamento.
Tab. 4.13 – Italia. Norme regionali sulla distribuzione delle RMN
Regione Anno
della
norma
Utenza media
per RMN
Carico minimo di
lavoro/RMN Apparecchiature
programmate
Uso
apparecchiature
Puglia 2006 102.000 40
Liguria* 2000 108.000 15 Almeno 12h/giorno
Valle d’Aosta 1997 119.610 3.518 esami/anno 1 -
Marche 1995 300.000 5.000 esami/anno 5 Almeno 12h/giorno
per 6 giorni a settim. Note: * solo ospedali pubblici. Fonte: Valle d’Aosta L.R. 13/1997; Toscana L.R. 8/2000; Marche D.C.R. 238/1995, Puglia R.R. 3/2006.
Nella Tab. 4.13 vengono indicati gli orientamenti di quattro regioni italiane che non sono però
ancora sufficienti a delineare un quadro tendenziale italiano per la varietà degli orientamenti e per i
63
differenti momenti in cui sono state adottate le varie deliberazioni, aspetto questo ultimo in grado di
influenzare sensibilmente i contenuti dei vari atti. In questa sede si può solo rilevare come questi
orientamenti siano tutti abbastanza lontani dalla realtà complessiva italiana che registra una
apparecchiatura di RMN ogni 75.000 abitanti.
La Francia, con una circolare del 2002, ha dato una serie di indicazioni che dovrebbero essere
seguite dalle regioni nella concessione delle autorizzazioni al funzionamento delle RMN, di cui
hanno la responsabilità proprio dal 2002. Innanzitutto le regioni devono privilegiare gli ospedali.
Solo dopo aver soddisfatto le necessità degli ospedali si potranno rilasciare autorizzazioni anche a
strutture private ambulatoriali. Ma non in tutti gli ospedali si potrà prevedere l’installazione della
RMN ma solo in quelli più complessi. Infatti gli ospedali sono stati classificati nelle seguenti
quattro tipologie:
ospedali con plateau technique de proximité, per ospedali con meno di 10.000 ricoveri annui,
essenzialmente in Medicina;
ospedali con plateau technique diversifié, per ospedali che realizzano una attività medico-
chirurgica dell’ordine di 10.000-20.000 ricoveri;
ospedali con plateau technique étendu, per ospedali che hanno una attività di almeno 20.000
ricoveri annui che coprono la maggior parte delle patologie;
ospedali con plateau technique complet, per gli ospedali più importanti come i centri
ospedalieri-universitari.
Tab. 4.14 – Norme relative all’autorizzazione e al bacino di utenza delle RMN.
Nazione Chi concede l’autorizzazione per le RMN Norme vigenti:
Abitanti per una
apparecchiatura
di RMN
Norme vigenti:
RMN per
milione di
abitanti
Portogallo Approvata nel 1995 una nuova regolamentazione che ha tolto
ogni vincolo per l’installazione di RMN
Nessun vincolo Nessun vincolo
Stati Uniti La competenza è dei singoli Stati. Nessun vincolo Nessun vincolo
Svizzera La competenza è dei Cantoni che non hanno previsto, escluso il
Canton Neuchatel, alcuna autorizzazione per le grandi tecnologie
radiologiche (2001).
Nessun vincolo Nessun vincolo
Grecia Non ci sono limitazioni sulla introduzione di nuove tecnologie Nessun vincolo Nessun vincolo
Austria la presenza delle grandi tecnologie viene stabilita in un Piano
degli investimenti degli ospedali e delle alte tecnologie che viene
approvato in un accordo fra lo Stato federale e le regioni
austriache (1999).
92.000 10,9
Italia Le autorizzazioni al funzionamento sono concesse dalle regioni.
Alcune regioni programmano il numero massimo di RMN
autorizzabili.
fra 50.000 e
60.000 (indicazione del
ministero)
16,7-20 (indicazione del
ministero)
fra 102.000
e 300.000 (regioni)
3,3-9,8 (regioni)
Francia Dal 2002 le autorizzazioni vengono rilasciate dalle regioni nel
rispetto degli standard nazionali. fra 140.000
e 190.000
5,3-7,1
Lussemburgo Un recente regolamento governativo ha stabilito un elenco di
apparecchiature fra cui la RMN che per l’installazione hanno
bisogno di pianificazione nazionale.
106.500 9,4
Belgio La diffusione delle RMN è stabilita con decreto del Governo
(2000). 192.000 5,2
Australia Il Ministero della Sanità decide il numero massimo di RMN
pubbliche (2000). 179.000 5,6
Fonti: Department of health and aged care, 2000; The European observatory, 2001; Moniteur Belge, 1999; Arreté 21/12/2001, Pereira (1999).
La circolare ministeriale prevede la RMN solo nelle ultime due tipologie.
64
Infine, occorre rammentare che, nel Belgio, un servizio con RMN può essere gestito in un ospedale
che ha realizzato un numero annuo di 15.000 ricoveri, di cui almeno i due terzi comportano almeno
una notte (Moniteur Belge, 1999) mentre nel Lussemburgo, un recente regolamento governativo ha
previsto 4 RMN da collocare esclusivamente negli ospedali principali.
In conclusione, si può dire che ci sono paesi in cui non è richiesta l’autorizzazione dell’autorità
sanitaria per l’esercizio di nuove RMN al fine di verificarne la compatibilità con la
programmazione sanitaria dove però sono elevati i rischi di eccesso di offerta. Nella maggior parte
dei paesi, invece, la presenza delle RMN viene pianificata dalle autorità sanitarie e quindi le nuove
attivazioni sono sottoposte ad autorizzazione preventiva. I bacini di utenza indicati dalle varie
nazioni sono molto differenziati in relazione alle diverse densità demografiche, alle diverse
necessità e organizzazioni sanitarie passando dalle indicazioni del gruppo di lavoro del Ministero
della sanità italiano che prevede una RMN ogni 50.000-60.000 abitanti al Belgio che la prevede
ogni 192.000 abitanti anche se la maggior parte delle indicazioni sono concentrate nel range 90.000-
190.000 abitanti. La cosa che più colpisce, anche nei paesi con tradizione federalista, è che la
pianificazione della diffusione delle RMN è una competenza che è rimasta, con esclusione
dell’Italia, nelle mani dei singoli governi che periodicamente stabiliscono (e spesso finanziano) le
RMN da attivare. La Francia solo dal 2002 ha trasferito questa competenza alle regioni. Questo
ultimo aspetto è probabilmente giustificato dall’alto costo delle apparecchiature e dal loro effetto
complessivo sulla spesa sanitaria (Cfr. Tab. 4.14).
4.7. Conclusioni
La RMN ha rappresentato uno dei principali settori di sviluppo della radiologia medica nelle
ultime due decadi. La sua superiorità rispetto alle modalità di radiologia convenzionale risiede
essenzialmente nel fatto che l’apparecchiatura non usa le radiazioni ionizzanti e non richiede l’uso
di mezzi di contrasto iodati. La RMN inizialmente è stata usata nella valutazione del sistema
nervoso centrale e dell’apparato muscolare-scheletrico. Le più recenti applicazioni includono la
valutazione dei vasi sanguigni (angioRM ) nonché la valutazione dello stroke (AHTAC).
In futuro, ulteriori avanzamenti tecnologici miglioreranno la velocità e la qualità dell’imaging per
cui si assisterà ad una ulteriore e costante espansione nell'uso della RMN per indicazioni cliniche
specialmente nel campo delle neuroscienze, dell’ortopedia, della chirurgia vascolare e della
cardiologia. Di sicuro interesse gli studi sulle applicazioni della spettroscopia sia per applicazioni
neuro che “body”, utilizzando magneti con campo superiore a 2 Tesla.
Macchine aperte per favorire l’agio del paziente, macchine per uso specialistico e il più basso costo
dei magneti di 1,5 Tesla costituiranno il traino per un ulteriore e un costante aumento della
diffusione delle apparecchiature. La RMN diventerà una apparecchiatura ordinaria delle unità di
diagnosticala sua diffusione è prevista in costante soprattutto laddove più alta è la spesa sanitaria
pro-capite (Ho, 2005). Molti paesi europei e americani hanno recentemente approvato dei
programmi relativi ad una maggiore diffusione delle apparecchiature di RMN nel loro territorio
nazionale per cui, almeno per il breve e medio periodo, è prevista una crescita sostenuta della
presenza di tali apparecchiature che influenzerà tutti i paesi industrializzati.
Stime sulle effettive necessità di esami di RMN appaiono oggi difficili da fare dato che la quantità
di esami attualmente realizzati sono influenzati significativamente dalla presenza delle
apparecchiature e da prescrizioni di prestazioni inappropriate.
L’accesso agli esami di RMN dovrebbe essere regolato dalla definizione di un percorso e da
standard uniformi estesi a tutto il territorio che includono la definizione delle categorie di urgenza, i
tempi di attesa e i criteri di appropriatezza dell’imaging. I criteri di appropriatezza dovrebbero
essere stabiliti per un predeterminato gruppo di condizioni e le linee guida e le politiche che
rispettano questo criterio devono essere pubblicate estesamente ed integrate nei sistemi informativi
della radiologia (RIS) che ne ordinano i processi. I criteri di appropriatezza basati sulla migliore
evidenza clinica saranno le chiavi per far incontrare le aspettative del pubblico e dei medici
65
prescrittori. Tali criteri rappresentano un contributo decisivo nella gestione dell’utilizzazione della
RMN ed avranno un impatto significativo sull’uso corretto dell’imaging radiologico in un
determinato gruppo di condizioni morbose e serviranno, inoltre, a definire le condizioni nelle quali
la RMN è la “migliore prima indagine”. Un percorso di questo tipo è stato avviato dalla Francia
che già con una circolare del 2002 ha definito le indicazioni principali per gli esami con la RMN
(Ministére de l’emploi et de la solidarité, 2002).
Occorre inoltre definire dei criteri condivisi per la priorità di accesso alle prestazioni in modo da
rendere quanto più omogenee possibili le modalità di valutazione. L’obiettivo è quello di
identificare i livelli di priorità ed i relativi tempi massimi previsti per l’esecuzione dell’indagine
radiologica da parte dei pazienti esterni.
La RMN è una tecnologia molto costosa per cui molti degli sforzi futuri dovranno essere diretti
verso la ricerca di un miglior rapporto costo-efficacia e verso studi sugli outcomes della macchina
che provino l’appropriatezza dell’imaging di più alto costo. Interventi vanno indirizzati anche verso
l’informazione pubblica ai cittadini ed ai pazienti relativamente all’uso della RMN e alla sua
appropriatezza clinica per promuovere delle aspettative corrette o ragionevoli basate sull’evidenza
clinica (Imaging advisory committee Alberta, 2001). Le unità di RMN dovrebbero funzionare al
pieno delle loro capacità per generare l'uso più efficace e i costi più bassi per esame. Per il futuro è
atteso un aumento della produttività media per macchina compreso fra il 10% e il 20% su base
annua per attestarsi fra le 4.500 e le 5.500 prestazioni annue. Nella ricerca di un più elevato livello
di efficienza l’introduzione del PACS può rappresentare un avanzamento significativo per
migliorare l’accesso alle immagini e per ridurre i costi di pellicole e di gestione (Imaging advisory
committee Alberta, 2001).
Processi di questa complessità ed importanza per poter essere gestiti in modo efficace hanno
bisogno di essere governati e sostenuti dalle autorità sanitarie per cui è ipotizzabile ed auspicabile
che le autorità continuino ad intervenire, oltre che nella pianificazione della rete delle RMN, anche
nella promozione di un suo uso più efficiente ed appropriato nella convinzione che questa sia una
condizione indispensabile per un uso razionale ed ottimale delle apparecchiature di RMN e per un
equo accesso da parte dei pazienti.
66
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