bari economica n.4 - 2010
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Bari Economica n.4 - 2010TRANSCRIPT
a Giustizia è precondizione per lo sviluppo economico di una società. Oltre che per la piena realizzazione della
democrazia, dello sviluppo sociale, della buona politica”.
Questo è uno dei concetti che amo ripetere quando – come relatore – sono chiamato a parlare di Legalità. Non è uno
slogan. Non è una frase a effetto per catturare l’attenzione di chi mi ascolta. E’ davvero il punto di partenza per una
comunità che vuole crescere dal punto di vista economico-sociale-politico: e senza Giustizia non c’è crescita. Per questo
motivo scrivere un intervento sulla rivista della Camera di Commercio di Bari, “Bari Economica”, è per me particolarmente
stimolante e spero possa costituire una sorta di riflessione per tutti gli operatori economici baresi che nell’ente si
riconoscono.
Una riflessione che porti in maniera sinergica a trovare nuovi spunti per un discorso sulla Giustizia e sulla Legalità che
traduca in fatti le parole, spesso troppo facili da pronunciare.
Due mesi fa, in piena estate, di fronte all’emergenza criminalità, a numerosi fatti di sangue che si sono verificati (alcuni
di natura mafiosa) a Bari e in provincia, lanciai un appello ai cittadini: costruire una “Legalità organizzata” che potesse
contrastare la criminalità organizzata. Un’anti-mafia sociale accanto a quella investigativa per combattere insieme la
mafia. Un appello a non girare lo sguardo ogni qualvolta si era testimoni di un reato (dal piccolo spaccio all’omicidio)
o a trovare il coraggio della denuncia quando si era vittima di un sopruso (dall’estorsione alla violenza fisica e sessuale).
Non senza una promessa: la Procura e le Forze dell’Ordine non avrebbero lasciato “solo” nessuno.
Dopo quell’appello ho registrato molteplici riscontri e commenti. Tantissimi quelli dei politici. Oggi posso tranquillamente
ammettere che fra quelli che mi hanno fatto più piacere – e spiegherò, di seguito, il perché - sono stati: la lettera del
presidente della Camera di Commercio di Bari, Luigi Farace (ricca di spunti per una comune riflessione), e la visita di
una delegazione della Confcommercio di Bari, guidata dal presidente Sandro Ambrosi, per una maggiore collaborazione.
Leggere – come ha scritto il presidente Farace – che “è sano un clima sociale nel quale possa svilupparsi un’economia
“L
A sinistra: in un climasociale di insicurezza,la non fiducia trovaespressione nell’autotuteladi spazi e oggetti
altrettanto sana” ha per me un doppio significato: intanto che il mio appello a una “Legalità
organizzata” non solo non è caduto nel vuoto, ma che a farlo proprio sono soggetti che
più di altri hanno difficoltà oggettive a tradurre in atti parole troppo facili (a volte) da
pronunciare. Mi ha fatto capire che l’Ufficio che io guido non è “solo” nell’ azione giudiziaria
(e nulla è più pericoloso per un magistrato che percepire la “solitudine” rispetto al contesto
in cui esplica la propria attività); che come Procuratore di Bari posso contare su esponenti
autorevoli della società civile, che sono anche protagonisti di quel tessuto produttivo-
economico, persone vere e coraggiose pronte a scendere in prima linea per difendere i
valori della legalità. Perché non bisogna, certo, essere un Procuratore per capire che per
voi (operatori commerciali) coniugare i valori della Legalità e della Giustizia richiede
più coraggio rispetto ai comuni cittadini. Sono consapevole che per le categorie che fanno
parte della Camera di Commercio spesso non è facile trovare il coraggio della denuncia:
in ballo c’è un’intera vita professionale, aziende e negozi che danno lavoro, molto spesso,
non solo al proprietario, ma anche a decine e decine di dipendenti. So bene che per il
commerciante o l’imprenditore o l’operatore economico-finanziario che decide di non
sottostare alla logica del criminale - che ha come metodo la violenza e l’oppressione per
imporre il proprio predominio, per sottomettere le proprie vittime dell’usura o delle estorsioni – non è sempre facile
denunciare, perché magari in altre occasioni (vissute direttamente o indirettamente), poi, ci si è sentiti “soli”, abbandonati
dallo Stato. E, forse, è proprio nella parola “soli” che si nasconde la chiave di una possibile e prima soluzione: il
magistrato non deve sentirsi “solo”, ma anche il cittadino, ma soprattutto
l’operatore commerciale, non deve sentirsi mai “solo”. Le battaglie contro
il racket dell’usura e delle estorsioni non possono e non devono essere
combattute da singoli imprenditori e commercianti. Le associazioni anti-
racket servono proprio a questo: a rendere comuni battaglie che sarebbero
perse in partenza se fossero condotte in solitudine.
Vi voglio riferire – e voglio farlo in modo particolare su questa rivista,
proprio perché è diretta a un circuito di lettori interessati professionalmente
a questi temi – di un’intercettazione telefonica effettuata all’interno di un’inchiesta sulla Camorra. Una telefonata fra
due mafiosi napoletani che non sarà mai pubblicata su nessun giornale perché non è “ricca” di pettegolezzi, di cronaca
rosa per dirla tutta. Due estorsori che si stanno dividendo il territorio di Napoli: chi doveva andare a chiedere il pizzo
in quella strada piuttosto che in un’altra. Ma quando uno dei due dice all’altro di andare a “visitare” i commercianti
“La Giustizia è precondizione per losviluppo economico di una società.Oltre che per la piena realizzazione
della democrazia, dello sviluppo sociale,della buona politica”
di una famosa via del centro partenopeo,
l’altro risponde che non lo avrebbe mai fatto
perché i negozianti di quella zona erano tutti
soci dell’associazione anti-racket e un secondo
dopo lo avrebbero denunciato alle Forze
dell’Ordine.
Morale: insieme contro la mafia si può. Si
può con realtà associative, attive anche sul
nostro territorio, ma si può anche con nuove
formule, come quella che stanno sperimen-
tando - come ho avuto modo di leggere nei giorni scorsi su una rivista nazionale - le Camera di Commercio di Reggio
Emilia, Modena, Caltanisetta e Crotone che hanno sottoscritto fra di loro un “Patto della legalità contro le mafie”, un
circuito camerale che in sinergia con le istituzioni del territorio, Procure comprese, possa costituire una sorta di barriera
alla criminalità organizzata che tenta di allungare i suoi “tentacoli” nel tessuto economico del territorio dove opera. Gli
enti camerali si sono trasformati in veri e propri “investigatori”, hanno passato al setaccio centinaia di imprese impegnate
nel settore dei Trasporti o dell’Edilizia privata per capire se e come le organizzazioni criminali si possano essere infiltrate.
I casi sospetti sono, poi, segnalati alla Procura di competenza. Ho sempre letto che il presidente nazionale dell’Unioncamere
nei prossimi giorni sottoporrà lo stesso Patto anche ad altre Camere di Commercio. Io mi auguro che fra quelle che lo
sottoscriveranno al più presto vi sia quella di Bari. Sarebbe sicuramente un esempio concreto di come si possa nei fatti
realizzare quella “Legalità organizzata” che veda come protagonisti anche gli operatori economici. Anzi, soprattutto loro.
Antonio Laudati, Procuratore della Repubblica di Bari
A sinistra: il Procuratoredella Repubblica di Bari,Antonio LaudatiIn alto: uno scorcio delquartiere San Paolo di Bari
“Sono consapevole che per le categorie chefanno parte della Camera di Commercio spessonon è facile trovare il coraggio della denuncia:in ballo c’è un’intera vita professionale, aziendee negozi che danno lavoro, molto spesso,non solo al proprietario, ma anche a decinee decine di dipendenti”
a crisi finanziaria ha messo a dura prova il sistema economico internazionale, colpendo duramente ed indiscriminatamente
tutte le economie e mettendo a rischio la moneta unica e l’intero progetto europeo.
Con queste considerazioni iniziali il presidente regionale di Confartigianato Francesco Sgherza ha aperto alla Fiera del
Levante i lavori della Giornata dell’Artigianato, giunta alla 56a edizione.
Ma il modello che resiste e che sta consentendo al Paese di non essere travolto è quello rappresentato dalle piccole e
medie imprese dell’Italia produttiva. Esse resistono ma per loro rimanere a galla è azione assai ardua, tanto che il rapporto
SVIMEZ sul Mezzogiorno ci conferma che l’economia meridionale è stata colpita più di altre dalla crisi, sommando la
situazione congiunturale alle antiche carenze strutturali.
E tra le carenze del nostro Sud non possiamo non comprendere le infrastrutture assai lontane dagli standard minimi che
si vorrebbero in un sistema economico virtuoso, aggravate dalle difficoltà di carattere decisionale e programmatico delle
Regioni e dello Stato e dai tempi esasperatamente lunghi per la conclusione delle opere.
Criminalità organizzata e lavoro irregolare contribuiscono - come ha detto Scherza - a frenare ogni velleità di sviluppo,
penalizzando la libertà d’iniziativa.
Confartigianato chiede a gran voce che la politica torni ad occuparsi seriamente del Mezzogiorno, con azioni anticongiunturali
che rilancino lo sviluppo e favoriscano la crescita economica e la coesione sociale, nel campo delle infrastrutture,
dell’innovazione, della ricerca. Ma è anche fondamentale che si mettano a disposizione della Puglia e delle regioni
meridionali le risorse nazionali dei FAS, uscendo dall’attuale situazione di stallo, nell’interesse delle imprese del sud.
In tema di politiche di incentivi Confartigianato sollecita la Regione a moltiplicare ogni sforzo per sburocratizzare i rigidi
criteri per l’accesso da parte delle imprese ai contributi in conto interesse e in conto impianti di cui al “Titolo II” (ex
Artigiancassa).
Altra nota dolente denunciata da Confartigianato è la disfunzione cronica in ogni atto dell’attività amministrativa e
Confartigianato chiede che la politica torni ad occuparsi seriamentedel Mezzogiorno. Necessari interventi nel campo delle infrastrutture,dell’innovazione, della ricerca, per la crescita economica e la coesione sociale
L
A sinistra: nella foto LoredanaCapone, vicepresidenteRegione Puglia, AntonioLaforgia, presidenteConfartigianato Bari, FrancescoSgherza, presidenteConfartigianato Puglia, MicheleCozzi, giornalista, FedericoPirro, docente universitario,Annabella De Gennaro,assessore al Comune di Bariph. Archivio BE
dei servizi pubblici, che incide negativamente sulla qualità della vita dei cittadini come delle imprese. Giustizia, trasporti,
lavori pubblici, servizi locali sono a livelli inaccettabili rispetto allo standard minimo. Il dato più evidente di tale
disfunzione è rappresentato dai tempi insostenibili della Pubblica Amministrazione, sia per l’affidamento delle commesse,
sia per i tempi di pagamento, responsabili in moltissimi casi della chiusura di aziende di minori dimensioni.
Ma cosa chiedono gli imprenditori, che a torto vengono visti come piagnoni ma che invece sono l’unica componente
economica in grado di tenere in piedi il Paese?
Infrastrutture, migliore accesso al credito, una politica efficace di in-
centivazione, investimenti per innovazione e ricerca, sostegno e valo-
rizzazione del capitale umano, un fisco equo, una giustizia veloce.
Un nodo di criticità nella rapida diffusione dello strumento regionale
di incentivi alle imprese è rappresentato dal rapporto con il sistema
bancario che non ha ancora completamente assimilato le nuove procedure.
Questa la difesa d’ufficio di Loredana Capone, assessore regionale allo
Sviluppo Economico e vice presidente della Regione che ha tuttavia
precisato come siano già state avviate per il Titolo II oltre 1700 pratiche
per 320 milioni di euro che però vanno velocizzate nel loro iter istruttorio.
La Regione sta emanando ulteriori bandi per la ricerca destinati alle piccole e medie imprese del territorio che stanno
dimostrando grande propensione ad investire in tale campo. In arrivo anche un bando per lo start up che conterrà
“E’ anche fondamentale che simettano a disposizione della Puglia
e delle regioni meridionali le risorsenazionali dei FAS, uscendo dall’attuale
situazione di stallo, nell’interessedelle imprese del Sud”
anche la possibilità di ottenere finanziamenti per il passaggio generazionale d’impresa.
Secondo il prof. Federico Pirro nell’attuale fase economica è necessaria una “grande campagna
d’autunno” delle imprese, finalizzata alla sensibilizzazione ed alla pressione delle ammi-
nistrazioni locali per l’avvio o l’accelerazione di politiche a sostegno del settore. Il processo
di crescita di competitività delle piccole imprese deve passare non solo attraverso l’utilizzo
di adeguati incentivi, ma anche garantendo infrastrutture adeguate, accesso al credito,
snellezza burocratica. Va inoltre favorito il dialogo con le grandi aziende, il cui benessere è
indispensabile per la lo sviluppo del tessuto di piccole imprese che operano nella subfornitura,
come anche il rapporto con il mondo della ricerca e dell’Università al fine di definire protocolli
d’intesa per il trasferimento di tecnologia, formazione d’eccellenza, tecniche gestionali.
Anche la Provincia di Bari cerca di compiere ogni sforzo - come ha detto il presidente
Francesco Schittulli - nel rafforzare il legame tra piccole imprese e territorio, puntando alla
qualificazione del capitale umano attraverso la formazione. Ma ha poche risorse, tra l’altro
bloccate dal patto di stabilità, ed inoltre è ancora in attesa delle deleghe che la Regione
stenta a conferire.
La Regione legiferi, ma lo sviluppo del territorio sia demandato a Comuni e Province.
Assente il sindaco di Bari, l’assessore De Gennaro ha sottolineato l’esigenza di una sussidiarietà
orizzontale, in grado di creare una rete di rapporti tra istituzioni e società civile.
Conclusioni affidate ad Antonio Laforgia, presidente di Confartigianato Bari, presente alla manifestazione insieme al
presidente Luigi Farace, che ha sottolineato come la Camera di Commercio di Bari si sia fatta interprete delle esigenze
delle imprese di minori dimensioni, portatrici di valori fondati sulla componente di familiarità e tradizione, con la centralità
della persona umana nel progetto imprenditoriale.
E fra le principali iniziative assunte dalla Camera di Commercio, Laforgia ha ricordato il bando di 2 milioni di euro per
il rafforzamento dei fondi rischi dei confidi e il bando di 1 milione di euro per l’inserimento occupazionale dei disoccupati
e la qualificazione professionale attraverso l’apprendistato.
Confartigianato proporrà alla Regione l’organizzazione di una grande Conferenza Regionale sul settore tesa ad individuare
misure e procedure per favorirne la crescita, consapevole come lo sviluppo del Mezzogiorno ed il riequilibrio del divario
territoriale tra le varie aree del Paese sia il presupposto per costruire il futuro del territorio. Come ha detto Sgherza a
conclusione del convegno, “diamoci buona politica e ci sarà sviluppo economico”.
Mario Laforgia, direttore Confartigianato Bari
A sinistra: Francesco Schittulli,presidente Provincia di Bari,Loredana Capone, vicepresidenteRegione Puglia, Antonio Laforgia,presidente Confartigianato BariIn alto: Francesco Sgherza,presidente ConfartigianatoPugliaph. Archivio BE
Importantissima anche nelle relazioni fra persone e istituzioni
La fiducia, per una nuova etica degli affari
a recente crisi economica ha messo in discussione molti
degli atteggiamenti fondamentali, sia dal punto di vista
antropologico che etico. Uno di questi - non il solo, ma
certamente tra i più importanti - è quello della fiducia: si
va dalla fiducia nei mercati a quella tra gli operatori, dalla
fiducia nell’affidabilità di alcune operazioni a quella interna
agli ambienti economici e via discorrendo. Partiamo con
il richiamare innanzitutto cosa intendiamo per fiducia. Essa,
in ogni ambiente umano, a scuola o all’università, in
un’organizzazione economica o politica, in una comunità
di fede religiosa o in un’associazione culturale – direbbe
Emmanuel Mounier - riveste un posto eminente e costituisce
un sentimento irriducibile, in quanto ha origine nella fiducia
incondizionata del bambino nell’adulto. Di là passa ad essere
fiducia nell’altro, nelle istituzioni1.
Quando diciamo mi fido - dei miei genitori, di alcuni miei
insegnanti e colleghi di lavoro, del responsabile della mia
comunità di fede religiosa, del mio medico e del consulente
della mia banca, del presidente di quel partito o associa-
zione culturale, di alcuni politici e così via – in fondo
stiamo dicendo che, da queste persone, mi aspetto che si
comportino in una certa maniera e ciò succede. Per esempio
affermare che mi fido del mio medico, vuol dire aspettarsi
che mi accolga, mi comprenda, sia capace di dare un nome
alla mia malattia o disagio e sappia come intervenire per
risolverla. Ovviamente, tutto questo, non come un automa
ma come una persona che unisce competenza scientifica,
tatto, maturità umana ed etica.
Il processo del mi fido, dal punto di vista antropologico,
come precisa la Douglas, comprende tutti i generi di aspira-
zioni, richieste, diritti, aspettative, esigenze2. La fiducia nasce
e si sviluppa nel momento in cui sappiamo e sentiamo che
Il mercato, se c'è fiducia reciproca e generalizzata, è l'istituzioneeconomica che permette l'incontro tra le persone, che si scambianobeni e servizi per soddisfare bisogni e desideri e promuove emancipazione
A sinistra:ph. Saverio De Giglio
L
di Rocco D’Ambrosio 27
1 Cfr. E. MOUNIER, Traité du caractère, Seuil, Paris 1947 ; trad. it. Trattato del carattere, Paoline, Cinisello B. 1990, pp. 660-
661; per una trattazzione del tema rimando al mio Come pensano e agiscono le istituzioni, di imminente uscita con EDB,
Bologna.2 Cfr. M. DOUGLAS, Risk and Blame, Routledge, London and New York 1992; trad. it. Credere e pensare, il Mulino,
Bologna 1994, p. 90.
tali aspettative saranno realizzate. Il riferimento al sapere
e al sentire ci porta così ad affermare che la fiducia coinvolge
sia la dimensione cognitiva che emotiva; senza escludere
né l’una né l’altra.
Precisati questi punti possiamo ora introdurre una defini-
zione. «Fiducia – scrive Antony Giddens - significa confidare
nell’affidabilità di una persona o di un sistema in relazione
a una determinata serie di risultati o di eventi, laddove
questo confidare esprime una fede nella probità o nell’amore
di un altro oppure nella correttezza di principi astratti
(sapere tecnico)»3.
Perché possiamo fidarci di un’istituzione, la sua affidabilità
deve essere valutata in termini di probità, di amore e di dati
tecnici. I tre termini richiamano tre sfere della nostra vita:
il comportamento onesto (per i greci l’èthos eccellente o la
probitas latina), la dimensione emotiva e quella cognitiva.
Ovviamente è facile distinguere i tre elementi in sede teorica;
sul piano pratico è quasi impossibile. Si pensi, per esempio,
ad una trattazione economica o a una qualsiasi relazione
nel campo degli affari: quante e in quale modo emozioni,
cognizioni e professionalità sono coinvolti!
Consideriamo allora i tre elementi - probità, amore e dati
tecnici – come il telaio su cui si tesse la fiducia. Se si prende
come esempio fondamentale quello della fiducia nei genitori
– dalla psicologia ritenuta matrice di riferimento per le
altre relazioni istituzionali4 - ci si accorge come il rapporto
del figlio con i suoi genitori è un insieme di affetti, aspettative
esaudite, conoscenza di comportamenti provati nel tempo.
Nel mondo economico quanto appena esposto va collegato
alle finalità proprie che una transazione o processo produt-
tivo porta con sé. Mi riferisco al nodo cruciale del profitto,
il quale, se eticamente e legalmente fondato, va accolto
come un elemento del rapporto fiduciario, senza demoniz-
zarlo, da una parte, né esaltarlo dall’altra. Tuttavia il profitto
non potrà mai essere elemento costitutivo della fiducia,
come i precedenti tre, in quanto esso è un valore aggunto
che gli operatori introducono, in tutta sincerità e onestà. In
altri termini la fiducia è sempre e comunque fatta di probità,
amore e dati tecnici e, nel momento in cui la si vive nel
mondo economico, essa “convive” con il dato del profitto.
E’ una convivenza di fatto obbligatoria perché non si
possono fare affari senza un minimo di fiducia, sia dal
punto di vista etico che pratico. Come, al tempo stesso, non
si può pensare che il canale del profitto si dissolva comple-
tamente nel rapporto fiduciario. Si ricorderebbe che business
is business, ma anche la fiducia è fiducia! Quindi l’attenzione
al profitto va collocata nella sfera dei dati tecnici della
fiducia: nella valutazione che l’operatore economico fa
dell’intero rapporto fiduciario, una parte è riservata al
profitto, sempre inteso e vissuto in termini etici e legali,
altrimenti non si possono né fare affari, né dare fiducia.
Nel mondo degli affari, come in ogni istituzione, va da sé
A destra:ph. Tony Giangiulio
3 A. GIDDENS, The Consequences of modernity, Polity Press, Cambridge 1990; trad. it. Le conseguenze della modernità, il
Mulino, Bologna 1994, p. 42.4 Cfr. G. P. QUAGLINO, Psicodinamica della vita organizzativa. Competizione, Difese, Ambivalenza nelle relazioni di lavoro,
R. Cortina, Milano 1996, pp. 127-138; il mio Come pensano e agiscono le istituzioni, in imminente uscita da EDB, Bologna.
che la fiducia non è automatica: non basta aderire ad
un’istituzione per fidarsi di essa. Ciò che pensiamo e
sentiamo di un’istituzione è frutto di un cammino storico,
necessitiamo di tempi congrui per verificare probità, amore
e dati tecnici. Come dire che la fiducia si costruisce nel
tempo e vari sono i percorsi di costruzione e consolidamento.
La ricerca svolta da Robert Putnam sulle regioni italiane
costituisce un documentato esempio di quanto la storia
delle istituzioni sia uno degli elementi che condiziona pro-
fondamente il loro funzionamento e la fiducia che si ha in
esse5. Sul versante economico il dato è confermato dal fatto
che lo stesso sviluppo in Italia, specie nel sud, non procede
con la stessa velocità e in questo tipo di disparità l’elemento
fiducia andrebbe considerato maggiornamente. Si tratta
cioè di valutare quali caretteristiche socio-culturali generano
fiducia e di quale tipo essa sia e come viene poi trasferita
nell’ambito economico.
Non va inoltre dimenticato che il rapporto di fiducia neces-
sita anche di attenta valutazione. Gli operatori economici
tendono a ridurre questa valutazione ai puri dati tecnici,
invece essa deve riguardare tutti e tre i dati costitutivi. La
fiducia, infatti, non è un atto di fede cieca. Essa è il frutto di
una ponderata valutazione. Possiamo dire di fidarci di
un’istituzione perché siamo in possesso di dati che ci
permettono di superare la soglia della mera speranza e ritenere
che le nostre aspettative in essa saranno esaudite6; per
esempio che un’affare vada in porto secondo quanto ci
stiamo aspettando. Ha scritto chiaramente George Simmel:
29
5 Cfr. R. D. PUTNAM, Making Democracy Work, Princeton University Press 1993; trad. it. La tradizione civica nelle regioni
italiane, Mondadori, Milano 1993, p. 215; ID., Bowling alone: The collapse and revival of the American community, Princeton
University Press 2000 e Democracies in flux, Oxford University Press 2002.6 Cfr. A. MUTTI, Capitale sociale e sviluppo. La fiducia come risorsa, il Mulino, Bologna 1998, p. 42.
«Chi sa completamente non ha bisogno di fidarsi, chi non
sa affatto non può ragionevolmente fidarsi»7. Qualche
anno prima lo stesso Simmel aveva scritto che tutti i
rapporti tra le persone riposano sul sapere che uno ha dell’altro.
La fiducia, valutata e verificata nel tempo, porta chi aderisce
ad un’istituzione a diventare soggetto attivo in essa, ad
offrire, cioè, il proprio contributo di cooperazione. Esiste,
infatti, uno stretto rapporto tra fiducia e cooperazione, come
afferma con estrema chiarezza Putnam: «la fiducia è il
lubrificante della cooperazione»8. Ciò significa che decido
di spendermi per gli altri, all’interno di un’istituzione, perché
mi fido. Dove per fiducia – vale la pena ricordarlo – inten-
diamo fondamentalmente il riconoscere il valore dell’altro,
la sua potenzialità relazionale e la sua disponibilità ad
operare per il bene, nella misura in cui ragionevolmente
si prevede che l’altro risponderà positivamente al mio
invito-atteggiamento di collaborazione. Questo tipo di
atteggiamenti richiama un principio etico noto: quello
della solidarietà. Riguardo a essa va precisato che la lette-
ratura scientifica considera i due termini, cooperazione e
solidarietà, strettamente collegati, visto che il termine
cooperazione si riferisce al concorso e alla collaborazione
nella realizzazione di qualcosa, mentre il termine solidarietà
fa riferimento al sentire un vincolo, un legame con l’altro
tanto da operare in suo favore9.
Tuttavia in molti ambienti economici si registra più atten-
zione alla collaborazione che alla cooperazione, forse
perché la prima genera profitto, la seconda no. Variante
di questo approccio è anche quella visione secondo cui
qualsiasi atteggiamento di cooperazione e solidarietà è
vissuto solo se a costo zero. In altri termini si accetta di non
guadagnare niente e di non avere ritorni di alcun tipo, ma
a condizione che l’altruismo non costi assolutamente niente.
E’ come dire che si è generosi solo nella misura in cui
oggetto della mia generosità è il superfluo o quanto è
destinato ad essere buttato via. Se invece si tratta di risorse
a me preziose (tempo, beni economici, potere) la mia
generosità non può realizzarsi. Non ci vuole molto a
spiegare l’assurdità di tale pretesa: non esiste atteggiamento
di cooperazione e solidarietà che non costi qualcosa, anche
se piccola e nascosta. La ricerca della solidarietà a costo
zero è indice della perdita del potere del dono10.
Tutti questi riferimenti culturali ci portano a prendere
coscienza di quanto sia affermata un’antropologia negativa,
di stampo hobbesiano, secondo cui la persona ha poco o
nessun valore, e su tutto deve emergere solo l’interesse,
mentre ogni cooperazione è frutto di logiche mercantili.
C’è allora da chiedersi: tutte le relazioni, interne ed esterne,
7 G. SIMMEL, Sociologie. Untersuchungen über die Formen der Vergesellschaftung, Leipzig 1908; trad. it. Sociologia, Milano
1989, p. 299.8 R. D. PUTNAM, Making Democracy Work, ed. it. cit., p. 201.9 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, Roma 1987, cap. V.10 Cfr. P. GILBERT – S. PETROSINO, Il dono. Un’interpretazione filosofica, Il Melangolo, Genova 2001; G. JERVIS,
Individualismo e cooperazione, cit., p. 220; R. D’AMBROSIO - R. PINTO, La Malpolitica, Di Girolamo, Trapani 2009.
A destra:ph. Christian Mantuano;
ph. Vittorio Arcieri
di un’istituzione economica possono essere ridotte a sole
dinamiche utilitaristiche, a puro scambio di utilità di ogni
genere? In termini scientifici il riferimento è alla posizione
di Mancur Olson, il quale nel suo The Logic of Collective
Action ritiene che qualsiasi azione sociale è ispirata dalla
logica del calcolo costi-benefici, per cui l’interesse di
ciascuno porta alla non partecipazione. Individui razionali
e ispirati dal proprio interesse non si comporterebbero –
afferma Olson - in modo tale da conseguire il loro interesse
comune o di gruppo11. In questa prospettiva non c’è spazio
per nessuna fiducia nell’altro, per nessuna forma di coo-
perazione e di collaborazione, di solidarietà, di altruismo
e di gratuità. La ricerca empirica, però, ha dato torto ad
Olson, perché continua a riscontrare motivazioni di impe-
gno nelle istituzioni che non possono essere ridotte alla
sola logica di scambio.
In sintesi la fiducia tende a scomparire proprio dove la
brama esclusiva di profitto e la sete di potere governano quasi
totalmente12. Dove tutto viene sottoposto ad un calcolo
sul guadagno e sulle perdite, la fiducia e la cooperazione
sono escluse, perché esse fanno più perdere che guadagna-
re. E’ questa mentalità che porta gli stati a smantellare il
Welfare State perché poco conveniente; porta le compagini
sindacali a mobilitarsi solo per tutelare in maniera corpo-
rativa gli interessi dei propri iscritti (o all’affarismo di
scambio con le aziende a cui appartengono i propri iscritti);
porta i partiti politici a operare solo per il conseguimento
del potere e degli interessi individuali e non per il bene
comune, e così via. Sono tutte dimostrazioni di una visione
in cui ogni atto di cooperazione e solidarietà deve essere
ricambiato. Le modalità di pagamento possono essere di-
verse: cognitive, emotive, materiali, sessuali, ritorni in
termini di immagine, potere, protezioni e fama. Si pensi
all’ipocrisia che accompagna atti di beneficenza di singoli
e di gruppi, in cui sono stati calcolati, in maniera quasi
maniacale, tutti i possibili guadagni e ritorni di quello che
si sta donando o, si dovrebbe dire meglio, vendendo.
Molto bella un’annotazione dell’enciclica Caritas in Veritate:
il mercato, se c'è fiducia reciproca e generalizzata, è
l'istituzione economica che permette l'incontro tra le persone,
in quanto operatori economici che utilizzano il contratto
come regola dei loro rapporti e che scambiano beni e servizi
tra loro fungibili, per soddisfare i loro bisogni e desideri.
È interesse del mercato promuovere emancipazione, ma per
farlo veramente non può contare solo su se stesso, perché
non è in grado di produrre da sé ciò che va oltre le sue
possibilità. Esso deve attingere energie morali da altri soggetti,
che sono capaci di generarle13.
Rocco D’Ambrosio, docente di Filosofia Politica presso la Facoltà
di Scienze Sociali della Pontificia Università Gregoriana di
Roma
31
11 Cfr. M. OLSON, The Logic of Collective Action. Public Goods and the Theory of Group, Harvard University Press, 1965;
trad. it. La logica dell’azione collettiva. I beni pubblici e la teoria dei gruppi, Feltrinelli, Milano 1983, p. 14.12 Cfr. GIOVANNI PAOLO II, Sollicitudo rei socialis, Roma 1987, n. 37.13 Cfr. BENEDETTO XVI, Caritas in Veritate, Editrice Vaticana, Città del Vaticano 2009, n. 35.
a politica agricola comunitaria (Pac), nata nel 1957 con
il Trattato di Roma, ha rappresentato il fattore aggregante
di maggior rilievo e la più importante politica economica
dell’Unione Europea.
Negli ultimi vent’anni, la Politica agricola comunitaria è
stata contrassegnata da un lungo percorso di riforma. Un
ciclo, avviato nel 1992, e poi proseguito con “Agenda 2000”
e la riforma di medio termine del 2003, ha indirizzato e
incoraggiato un ruolo attivo degli agricoltori nella
produzione di valori ambientali (biodiversità, paesaggio,
lotta al cambiamento climatico) e sociali (sicurezza
alimentare e benessere animale in primo luogo). Il percorso
di riforma, ancora in corso, sul futuro della Pac - post 2013
- si intreccia ora con una fase storica di cambiamenti
straordinari connessi con le funzioni produttive e socio
ambientali svolte dagli agricoltori.
L’evoluzione demografica globale, secondo le stime delle
Nazioni Unite la popolazione mondiale è destinata a
superare i 9miliardi entro il 2050, e la corrispondente crescita
dei consumi pongono la necessità di soddisfare una
domanda di cibo in forte crescita e, dall’altro, quella di
arginare il deterioramento delle risorse naturali del pianeta.
Due sfide in cui l’agricoltura svolge un ruolo cruciale, sia
come momento fondamentale della catena di produzione
alimentare, sia come gestore di una vasta superficie del
suolo (il territorio europeo è classificato per il 91% come
rurale ed è gestito in larga parte da aziende agricole)
entrambe funzioni fondamentali per assicurare una crescita
equilibrata della società e dell’economia europea.
Strategia Europa 2020Il dibattito sul futuro della Pac si inserisce nella nuova
prospettiva della strategia dell’Unione europea per il 2020,
che è stata lanciata dalla Commissione il 3 marzo 2010, da
titolo “Europa 2020: una strategia per la crescita intelligente,
sostenibile e inclusiva”.
Obiettivo centrale è la promozione di una crescita
intelligente, sostenibile e solidale. Gli obiettivi esplicitamente
definiti dalla strategia sono: innalzamento del tasso di
occupazione ad almeno il 75% (oggi il 69%); aumento della
spesa per ricerca e sviluppo al 3% del prodotto interno
lordo, che oggi risulta pari soltanto al 2% del pil; conferma
L
degli obiettivi in materia di cambiamenti climatici (202020);
riduzione del tasso di povertà del 25%; diminuzione della
percentuale di abbandono scolastico dal 15% a meno del
10% e ampliamento dall'attuale 31% al 40% del volume dei
trentenni con istruzione universitaria.
Nel documento “Europa 2020” il ruolo dell’agricoltura
appare sottovalutato rispetto alla funzione nodale ricoperta
dalla Pac in termini sociali, ambientali ed economici per il
futuro dell’Europa. La fornitura di beni pubblici, sia per
quanto riguarda il contributo sociale, arginando l'esodo dai
territori, sia per quanto riguarda lo sviluppo economico
delle regioni rurali, dall'agriturismo alla produzione di
importanti denominazioni d'origine e indicazione
geografiche protette (Dop e Igp), sia per quanto riguarda la
tutela ambientale, dall'utilizzo all'irrigazione dei terreni per
evitare il progressivo processo di desertificazione, sia in
termini di crescita produttiva, di mantenimento
occupazionale nelle aree rurali (circa 30 milioni di addetti
nel settore agricolo) e di lotta al cambiamento climatico
sono aspetti cruciali che riguardano il futuro della nuova
Pac che dovranno trovare spazio all’interno delle altre
innumerevoli priorità ed esigenze dell’Unione europea.
La Pac e il bilancioUno dei temi cruciali del dibattito sulla nuova Pac riguarda
l’ammontare di spesa per l’agricoltura e la sua distribuzione
tra Stati, probabilmente tale argomento procederà di pari
passo con il dibattito sugli interventi.
Notoriamente, i detrattori della Pac sottolineano il suo
rilevante peso nel bilancio comunitario, secondo questa
visione la Pac è destinata a perdere quote di bilancio a favore
di altre voci. I sostenitori della Pac invece sottolineano
come la stessa sia di gradimento per i consumatori e i
cittadini, inoltre molti paesi contributori netti al bilancio
la considerano accettabile un rispetto ad altre politiche più
redistributive. Essa infatti appare comunque una politica
collaudata e molto bene incardinata nel sistema
amministrativo dell’Ue e degli Stati membri mentre l’altra
grande politica comune, quella di coesione, oggi sembra
messa peggio, mentre le politiche dell’agenda di Lisbona
sono state un mezzo fallimento proprio sul versante del
loro effettivo gradimento politico e della loro fattibilità
all’interno delle politiche degli stati membri.
Da queste considerazioni scaturisce che il vero pericolo
per la Pac non è tanto nella concorrenza con le altre
politiche, questa c’è, ma è meno rilevante rispetto al passato,
e non dovrebbe avere conseguenze devastanti. Piuttosto,
la vera questione è quanta Europa avremo in futuro: se
ancora ci sarà la volontà politica di mantenere l’attuale
bilancio o se piuttosto esso non subirà un secco
ridimensionamento, al di sotto dell’attuale 1% del PIL.
E’ chiaro, infatti, che se il bilancio Ue dovesse ridursi, la
Pac subirebbe tagli che potrebbero essere molto pesanti.
Mentre invece se si ipotizza il mantenimento dell’attuale
dimensione del bilancio Ue (1% del PIL), probabilmente
ci sarebbe una sostanziale conferma delle attuali risorse
finanziarie per la Pac (ovvero lo 0,5% del Pil) - fig. 1 -.
Obiettivi e beneficiariRimarranno gli attuali temi (sostegno al reddito, garanzia
dei mercati, condizionalità) oppure la nuova Pac si
concentrerà su nuovi obiettivi?
I beneficiari della Pac saranno tutte le imprese agricole o
solo le “vere imprese professionali”?
Queste domande aleggiano nei diversi dibattiti che si
stanno svolgendo in tutta Europa. Nella versione più
rigorosa accanto ad una serie di standard e di regole comuni
per la salvaguardia della concorrenza, l’unico obiettivo
della Pac dovrebbe essere la produzione di beni pubblici
di livello europeo, che nè il mercato da solo nè le politiche
a livello locale sono in grado di assicurare e che per lo più
riguardano servizi ambientali, paesaggistici e territoriali
di natura transfrontaliera. In questo quadro, oltre agli
agricoltori, i beneficiari della politica agricola possono
essere anche tutti i soggetti in grado di contribuire alla
produzione dei suddetti beni pubblici nelle aree rurali.
Diversamente, chi pensa che la Pac debba anche e
soprattutto mantenere e valorizzare l’agricoltura europea
come settore capace di produrre cibo sano e di qualità,
considera gli agricoltori i principali beneficiari della Pac.
In Italia, che più di altri Paesi sconta un problema di
estrema polverizzazione aziendale, si è esplicitamente
suggerita, anche da fonti ministeriali, l’opportunità di
rivedere l’applicazione dell’art. 28 del regolamento
orizzontale, per restringere la platea dei beneficiari alle
“vere” imprese agricole, ovviamente da definire con
parametri obiettivi. Il futuro del Pua (pagamento unico
aziendale) è la questione più concreta e ineludibile in cui
ci si imbatte quando si pensa alla Pac da disegnare per il
dopo 2013. Tutti, infatti, concordano sull’insostenibilità a
lungo termine della forma attuale del Pua, specie laddove
(come in Italia) esso è ancora calcolato su base storica e
dà luogo ad ingiustificabili (ed inique) differenze di
trattamento tra agricoltori, anche quando si tratta di
soggetti del tutto simili, sia nello status che nei
comportamenti.
L’estrema concentrazione degli aiuti è comunque un dato
di fatto in tutta Europa. 880 grandi beneficiari, lo 0.02%
delle aziende, riceve oltre 500.000 euro, il 2,5% dei
pagamenti. All’estremo opposto, 2,5 milioni di aziende,
il 50% dei beneficiari, riceve meno di 1.250 euro; il 77%
dei beneficiari, 3,7 milioni di aziende, riceve meno di 5.000
euro. L’11% delle aziende europee è escluso dal regime
del pagamento unico.
Si profila una proposta, in varianti più o meno radicali
ed in tempi di applicazione più o meno rapidi, è quella
di un suo “spacchettamento”:
• una parte (ridotta rispetto ai livelli attuali, ad esempio
150-200 euro/ettaro) erogata a tutti gli agricoltori in misura
analoga come “zoccolo duro” di sostegno;
• fisso al reddito, in cambio della condizionalità
obbligatoria;
• una parte riservata alle zone con svantaggi naturali, ad
esempio la montagna, per cui si rovescia la situazione
esistente; infatti, gli attuali pagamenti diretti assegnano
maggiori risorse alla pianura e alle zone ad agricoltura
intensiva; in futuro potrebbe essere l’inverso, ovvero la
montagna potrebbe beneficiare di pagamenti diretti più
elevati rispetto alla pianura;
• una parte, selettiva, data in cambio di specifici
comportamenti orientati alla fornitura di beni pubblici
ambientali.
In linea di massima, la componente comune del Pua
potrebbe rimanere tutta a carico del bilancio Ue, mentre
i pagamenti selettivi, modulati a livello nazionale o locale,
andrebbero cofinanziati, sul modello di quanto accade
con le attuali misure del secondo pilastro. Ovviamente,
all’interno di un impianto di questo tipo, si può pervenire
ad approdi molto diversi in termini di cambiamento
rispetto allo status quo: da qualcosa di molto vicino ad
una Pac attuale condita con maggiori dosi di
regionalizzazione e di misure tipo Art. 68, ad una revisione
anche molto profonda dell’impianto della politica e dei
parametri con cui modularla.
I tempi della riformaI tempi della riforma sono difficilmente prevedibili per
via delle diverse variabili che concorrono, fortemente
interrelate, e dalle loro tante combinazioni, che possono
dar luogo a risultati molto diversi e diversamente
appetibili per i vari interessi in gioco:
- l’esito del più generale dibattito sul bilancio Ue, sia in
termini di riforma del sistema delle risorse proprie e delle
entrate sia, soprattutto, in termini di ammontare di spesa
complessiva da destinare alle politiche comuni nell’Ue-
27;
- l’ammontare di spesa per la Pac e l’estensione o meno
del principio del cofinanziamento al primo pilastro o a
sue componenti;
- la distribuzione della spesa agricola tra Stati membri,
oggi fortemente squilibrata a danno dei 10 nuovi entrati,
che pongono con forza una richiesta di riequilibrio;
- il mantenimento dell’attuale struttura dicotomica della
Pac in due pilastri con procedure di spesa rigidamente
differenziate e la (ri)collocazione delle diverse misure
nell’uno o nell’altro pilastro; oppure la possibilità di
definire pacchetti di misure differenziati per obiettivi e
per le diverse procedure di (co)finanziamento, a
prescindere dai pilastri;
- il destino del Pua, sia come ammontare di risorse che
rimarranno al suo interno che della modalità con cui esso
sarà eventualmente “spacchettato”;
- l’eventuale revisione e razionalizzazione della platea
dei beneficiari della Pac, sia in termini di Pua che di
interventi dell’attuale secondo pilastro.
ConclusioneIl sostegno all’agricoltura italiana, ammonta nel complesso
- agevolazioni e trasferimenti - a 16 miliardi l’anno. Il 37,5%
provengono dal bilancio comunitario; il 25% dalle regioni;
il 6,5% dallo Stato; il 31% sono agevolazioni contributive
e fiscali. La Pac e il bilancio comunitario rappresentano la
principale fonte di finanziamento dell’agricoltura italiana.
La considerazione che nel nostro Paese ci sia nei fatti una
sostanziale rinuncia alla politica agraria nazionale, rafforza
la convinzione che la Pac potrà, negli anni essere il
principale strumento a sostegno delle imprese e per la
modernizzazione dell’agricoltura italiana. Ciò che pesa è
l’assenza di un dibattito nel Paese e tra Governo e
rappresentanze sociali su una questione così importante
per il nostro futuro. Le imprese agricole italiane soffrono
la concorrenza esercitata dai paesi che hanno il vantaggio
di minori costi contributivi e minori regole produttive,
derivanti dalla possibilità che “attori ed operatori” che si
collocano al di fuori del sistema di regole comunitarie
continuino ad avvantaggiarsi rispetto ai nostri agricoltori.
Ad esempio, si può lavorare sull’idea di usare (anche) la
Pac come leva per mettere in trasparenza i meccanismi di
formazione dei prezzi dei prodotti agroalimentari e per
ridurre i margini di rendita e di inefficienza presenti nelle
relative filiere, possibilmente contribuendo a correggere
la distribuzione del valore e del potere di mercato tra i
diversi soggetti, attualmente troppo sperequata a danno
della parte agricola e dei consumatori.
Franco Catapano, direttore regionale Cia Puglia
Protagoniste di un assetto più moderno della governance
Le CdC fra federalismo e sussidiarietà
opo 17 anni, dallo scorso febbraio, le Camere di
Commercio hanno una nuova normativa di riferimento,
il D.Lgs. 25 febbraio 2010, n, 23, che ne rivede ruolo,
compiti e funzioni, modalità organizzative e governance,
delineandone un profilo più moderno.
La nuova legislazione mette in pratica i principi enunciati
nel Titolo V della Costituzione e recepisce la più recente
giurisprudenza della Corte Costituzionale (sentenze n.
477 del 2000 e n. 374 del 2007). Il progetto, ambizioso, è
volto a ridisegnare i compiti fra pubblico e privato (4°comma, art. 118 Costituzione, “Stato, Regioni, Città
metropolitane, Province e Comuni favoriscono l'autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo
svolgimento di attività di interesse generale, sulla base
del principio di sussidiarietà”) e promette di delegare
poteri e responsabilità dal centro alla periferia (comma 1,
art. 118 Cost.) e dalla Pubblica amministrazione ai corpi
intermedi della Società (4° comma, art. 118 Cost.). Ma
anche a dare respiro alle comunità locali, alle associazioni,
ai movimenti di varia natura, alla filantropia, alle imprese
oltre che a incoraggiare risposte innovative ai bisogni, più
in linea con le caratteristiche dei territori, in grado di
mobilitare capacità e risorse. Nella prospettiva di un nuovo
modello di Stato che valorizzi livelli di governo fondati
sull’autonomia; che riconosca l’esistenza di Enti
rappresentavi esponenziali di corpus intermedi (art. 2
Cost., “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti
inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni
sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede
l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà
politica, economica e sociale”) come la comunità delle
imprese delle Camere di Commercio; che riconosca, così,
il valore sociale del “fare impresa”, (art. 41 Cost.
“L'iniziativa economica privata è libera”).
Le CdC autonomie funzionaliL’articolo 1 della riforma, D.Lgs. 25 febbraio 2010, n. 23,
definisce le Camere di Commercio “enti pubblici dotati
di autonomia funzionale” e ancora lo svolgimento delle
loro funzioni al principio di sussidiarietà di cui all’articolo
118 della Costituzione.
Il concetto di autonomia funzionale richiama l'esistenza
D
Gli enti camerali con la recente riforma ottengono un espresso riconoscimentoquali soggetti partecipi allo sviluppo economico ed una posizione
d’avanguardia nel perseguimento degli interessi generali delle imprese
A destra: il palazzo dellaCamera di Commercio di Bari
di enti rappresentativi "esponenziali" di formazioni sociali
parte di una comunità più ampia. La comunità delle
imprese trova rappresentanza nelle Camere di Commercio.
Riconoscere a detti enti la giusta collocazione nel quadro
delle istituzioni del Paese è un passaggio fondamentale
che può contribuire a rilanciare le politiche di sviluppo
dei territori attraverso un’azione, diretta ed organica,
funzionale a promuovere il sistema delle imprese.
La normativa attribuisce alle Camere di Commercio
funzioni di interesse generale relative al sistema delle
imprese che non siano attribuite dall’Ordinamento alle
Amministrazioni statali, alle Regioni e agli Enti locali (art.
2); nonché funzioni delegate dallo Stato e dalle Regioni
ed i compiti derivanti da accordi o convenzioni
internazionali, informando la loro azione al principio di
sussidiarietà. Tali funzioni e compiti vanno:
dall’internazionalizzazione alla semplificazione
amministrativa; dalla promozione dell’innovazione e del
trasferimento tecnologico alla promozione del territorio;
dalla tenuta del Registro delle Imprese all’alternanza
scuola-lavoro; dalla giustizia alternativa alla vigilanza sul
mercato e la tutela dei consumatori. E sono, inoltre, svolti
a rete con un’azione coordinata a vari ambiti territoriali
(regionale, nazionale, internazionale) attraverso una logica
di sistema, richiamata dal secondo comma dell’art. 1: “Le
Camere di Commercio italiane, le Unioni regionali delle
Camere di Commercio, l'Unione italiana delle Camere di
Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura, di seguito
denominata: «Unioncamere», nonché i loro organismi
strumentali costituiscono il Sistema camerale italiano...”
di Giuseppe Lorusso ph. Rocco De Benedictis (Today) 39
a promozione degli interessi generali delle imprese e delle
economie locali. Un’assoluta novità normativa che
riconosce non solo l’Istituzione camerale nella sua
accezione di autonomia funzionale, quale interlocutore
per lo sviluppo locale, ma, altresì, un ruolo al Sistema
camerale che scaturisce dalla necessità di raccordo con le
Amministrazioni centrali, delle Regioni e degli Enti
territoriali, nonché dall’esigenza di coordinamento delle
iniziative delle singole Camere di Commercio.
Rafforzato risulta, pertanto, il ruolo delle Unioni regionali
(art. 6) che diventano associazioni obbligatorie nonché
dell’Uniocamere - Unione italiana delle Camere di
Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura -, ente
con personalità giuridica di diritto pubblico, con funzioni
di servizio, di rappresentanza e di coordinamento al fine
di assicurare la massima efficienza, in una logica di sistema,
attraverso un’adeguata e necessaria collaborazione con
le amministrazioni centrali dello Stato - Ministero dello
Sviluppo Economico, Ministero dell’Economia e delle
Finanze, Dipartimento della Funzione Pubblica - e a livello
locale, in particolare con le Regioni.
Attività, compiti e funzioni possono essere svolti
congiuntamente da più Camere e a più livelli al fine di
realizzare la massima efficienza dei servizi offerti e nel
perseguimento dell’economicità, nell’ottica di ottimizzare
le risorse impiegate e di contenerne i costi. Direttamente
o mediante la partecipazione con altri soggetti pubblici
o privati, ad organismi anche associativi, ad enti, consorzi
e a società (comma 4, art. 2) ed anche costituendo aziende
speciali, quali propri organismi strumentali.
L'inserimento dei professionisti nei Consigli camerali;
l’introduzione del nuovo parametro del diritto annuale
versato per calcolare la rappresentatività; l’obbligo di
trasmettere gli elenchi degli iscritti da parte delle
associazioni; l'attenzione alle pari opportunità e
all'imprenditoria femminile; la responsabilizzazione delle
associazioni nell’indicare i componenti dei consigli, sono
tutti segni di un rapporto più maturo con il territorio e
con le imprese. E lo stesso tema delle elezioni dirette
rappresenta, ancora, un’opportunità aperta (prevista
dall’articolo 12, comma 8).
Ma le imprese oggi chiedono soprattutto efficienza e le
Camere, grazie alla riforma, potranno dare risposte
concrete a queste domande.
La sussidiarietà è il criterio di riferimento per
razionalizzare l’azione delle Camere di Commercio anche
rispetto all’attività di interesse generale svolta dagli
organismi associativi rappresentativi di categoria. Evitando
sovrapposizioni e spreco di risorse pubbliche. È, inoltre,
elemento di coordinamento di interventi pubblici di
sviluppo economico in relazione agli interessi generali
dell’imprenditoria.
L’Istituzione camerale assume con la riforma, D.Lgs. 25
febbraio 2010, n. 23, un espresso riconoscimento normativo
quale soggetto partecipe allo sviluppo economico ed una
posizione d’avanguardia nel perseguimento degli interessi
generali delle imprese in quanto espressione
rappresentativa delle stesse.
Il dialogo quale bussola del federalismoNel cammino verso un assetto più federalista e moderno
delle articolazioni di governo del territorio, la bussola che
dovrà guidare le istituzioni è quella del dialogo, ed è
proprio in questo quadro che il Sistema camerale dovrà
farsi promotore di un rapporto più forte con le
rappresentanze delle autonomie locali, in una logica di
collaborazione tra soggetti dotati di specifica autonomia
nei rispettivi ambiti istituzionali.
Il superamento del vecchio criterio del parallelismo tra
funzioni legislative e funzioni amministrative a favore
del criterio della sussidiarietà ha rappresentato una
modernizzazione importante del nostro ordinamento
permettendo una maggiore considerazione della
dimensione dei problemi e della adeguatezza dei soggetti
istituzionali chiamati a risolverli.
Con il decentramento avviato negli anni ‘90 è stato
adeguatamente valorizzato il ruolo delle Camere di
commercio previsto dalla legge di riforma n. 580 del 1993,
non solo perché è stata prevista una riserva volta
direttamente a salvaguardare le loro funzioni, ma anche
e soprattutto perché si è attuata una forma di
decentramento che non è stata più (com'era stato invece
nel D.P.R. 616/77) solo verso gli enti territoriali, ma che,
in conformità al principio di sussidiarietà, è avvenuta sia
verso gli enti territoriali sia verso gli enti funzionali.
La legge n. 580 del 1993, in particolare, ha esaltato
l’autonomia degli enti camerali, ne ha reintrodotto il
carattere rappresentativo attraverso l’istituzione dei
Consigli camerali, e ha sancito e rafforzato il ruolo delle
Camere di Commercio quali istituzioni di sevizio delle
imprese e di raccordo tra imprese e mercato e tra imprese
e Pubblica Amministrazione. Essa ha rappresentato,
pertanto, una tappa importante verso lo sviluppo di un
nuovo modello di Stato, che valorizza livelli di governo
fondati sull’autonomia.
Con il decentramento amministrativo le autonomie
funzionali (tra cui le Camere di Commercio) quindi
ricevono un primo chiaro riconoscimento sul piano
normativo. La cosiddetta legge “Bassanini”, per la prima
volta dà riconoscimento normativo alla categoria delle
41Tabella 1 - I numeri del Sistema camerale
autonomie funzionali, con una norma di salvaguardia
dei compiti “esercitati localmente in regime di autonomia
funzionale dalle Camere di Commercio, Industria,
Artigianato, Agricoltura e dalle Università degli Studi”.
Il provvedimento segna un passaggio fondamentale e
precisa anche che il criterio di prossimità, in base al quale
scegliere l’ente da preferire, è da intendere non soltanto
in senso territoriale, ma anche in senso funzionale: questo
significa, ad esempio, che per gli imprenditori l’istituzione
più “vicina" è la Camera di Commercio.
Lo stesso provvedimento, inoltre, introduce esplicitamente
il principio di sussidiarietà quale criterio per i rapporti
non solo tra le istituzioni a base territoriale, ma tra queste
e le altre istituzioni (quali le Camere di Commercio) e tra
le istituzioni e la società.
Come ha evidenziato la Corte Costituzionale nella
sentenza n. 477 del 2000, i poli della nuova configurazione
delle CCIAA consistono, precisamente, nell’autonomia
e nella rappresentatività, e tali principi informatori hanno
consentito la successiva inclusione delle Camere di
Commercio nel processo federalista in quanto autonomie
funzionali. Non legate al circuito della rappresentanza
politica generale, ma espressione del "pezzo" di società
civile cui si rivolge la loro azione. Espressione dalla
comunità delle imprese della provincia, rispetto alla quale
sono le istituzioni pubbliche più vicine.
In questo senso si è orientato in più occasioni il legislatore,
come con la c.d. legge La Loggia – la legge n. 131 del 2003
– che include, tra i principi che debbono informare la
riallocazione delle funzioni amministrative, quello del
rispetto, anche ai fini dell’assegnazione di ulteriori
funzioni, delle attribuzioni degli enti di autonomia
funzionale”.
Va considerato, inoltre, che nella cd “riforma della riforma”
– la legge costituzionale approvata nel 2005 dal Parlamento
e poi respinta con il referendum – era stata inserita, in
modo condiviso da maggioranza e opposizione, anche
una nuova formulazione dell’articolo 118 della
Costituzione, che dava pieno riconoscimento
costituzionale alle autonomie funzionali e, quindi, alle
Camere di Commercio, attribuendo anche allo Stato la
competenza legislativa sulla materia.
In linea con questo percorso e con la giurisprudenza
costituzionale (in particolare la sentenza n. 374/07), è
intervenuto il legislatore statale con il decreto legislativo
di riforma delle Camere di Commercio n. 23/2010, che
ha espressamente riconosciuto le Camere quali enti di
autonomia funzionale ancorandone l’attività al principio
Tabella 2 - Interventi di promozionedell’economia locale nel 2009
di sussidiarietà di cui all’art. 118 della Costituzione.
All’art. 1 della legge n. 580/93 di riordinamento delle
Camere di Commercio, così come modificata dal decreto
legislativo di riforma n. 23/2010, si prevede infatti che
“le Camere di Commercio (…) sono enti pubblici dotati
di autonomia funzionale che svolgono (…) sulla base del
principio di sussidiarietà di cui all'articolo 118 della
Costituzione, funzioni di interesse generale per il sistema
delle imprese, curandone lo sviluppo nell'ambito delle
economie locali.”
Anche l’art. 2, relativo ai compiti ed alle funzioni del
Camere, prevede che “Le Camere di Commercio,
singolarmente o in forma associata, esercitano, inoltre, le
funzioni ad esse delegate dallo Stato e dalle Regioni,
nonché i compiti derivanti da accordi o convenzioni
internazionali, informando la loro azione al principio di
sussidiarietà”.
Il Sistema cameraleIn un quadro istituzionale che tende al policentrismo
nell’assetto dei poteri e dei luoghi di decisione politica,
le Camere di Commercio, sistema di amministrazioni
radicate sul territorio e capaci di strutturarsi in rete e di
sviluppare sinergie, assumono in maniera sempre più
evidente un ruolo di “cerniera” tra i vari localismi e la
dimensione nazionale dell’azione di governo, in favore
della crescita economica e dello sviluppo imprenditoriale.
Un Sistema, riconosciuto come tale anche a livello giuridico,
nell’ambito del nuovo testo della riforma della legge
580/93, che si sviluppa attorno a 105 punti cardine (le
Camere di Commercio in Italia) che interagiscono, e si
integrano, per offrire al mondo produttivo un canale
privilegiato di accesso all’economia globale ed a servizi
sempre più evoluti. Un esempio di P.A. dinamica,
moderna ed interconnessa a livello nazionale ed
internazionale, a valere sulle molteplici strutture di
collaborazione, assistenza e rappresentanza, presenti ed
operative in Europa e all’estero (Tab. 1)
Più di 250 milioni di euro l’ammontare degli interventi
di promozione economica realizzati dalle Camere per il
sostegno e la promozione dell’economia nell’anno 2009.
La quota più consistente di risorse messe in campo per
il finanziamento dell’attività di internazionalizzazione:
77 milioni di euro, pari ad oltre il 30% dell’ammontare
complessivo. L’innovazione e la tutela della proprietà
industriale hanno rappresentato il secondo grande ambito
di intervento con un ammontare di circa 44 milioni di
euro (oltre il 17% del totale) destinati al sostegno di
attività ed iniziative di creazione, gestione e promozione
e utilizzo dell’innovazione tecnologica ai fini
imprenditoriali (Tab. 2).
Circa il 70% delle risorse complessivamente impiegate
nel 2009 per finanziare le attività promozionali deriva
dal bilancio delle singole Camere di Commercio, vale a
dire dai proventi ed introiti derivanti dagli importi del
diritto annuale e dei diritti di segreteria versati dalle
imprese del territorio; risorse che le Camere traducono,
coerentemente con la propria mission istituzionale, in
servizi ed iniziative tese a favorire la crescita e lo sviluppo
del sistema produttivo locale.
Giuseppe Lorusso, funzionario Camera di Commercio di Bari
43
L’esperimento politico lanciato dal leader britannico Cameron
Big Society, meno Stato più SocietàParte dall’Inghilterra questa nuova visione politica che vuole dare piùpotere a cittadini e territori, rendendoli responsabili dei servizi locali,limitando l’onnipresenza dello Stato. Come fare di più con meno risorse
eno Stato più Società. E’ lo slogan della Big Society,
l’interessante esperimento politico che mira a ridisegnare
i confini fra pubblico e privato. Negli Stati Uniti ha ispirato
il programma di Obama e in Inghilterra quello di Cameron.
“Il leader britannico ha vinto le elezioni – ha scritto lo
scorso settembre Maurizio Ferrera in prima pagina sul
Corriere della Sera – promettendo di delegare poteri e
responsabilità dal centro alla periferia e dalla pubblica
amministrazione ai corpi intermedi della società. Scuola,
sanità, servizi sociali saranno il primo e più importante
terreno di questa doppia rivoluzione”.
L’Economist tifa per il progetto, Sarkozy e la Merkel lo
guardano di buon occhio. L’Italia, per via del federalismo
e della sussidiarietà, potrebbe essere terreno fertile per
sperimentare il modello della “Grande Società”. Dietro la
Big Society c’è il think thank inglese ResPublica, fondata
e diretta da Philip Blond che, a chi lo accusa di predicare
una localizzazione eccessiva e anacronistica nell’era della
globalizzazione. risponde: “Non sono nemico dei
supermercati. Penso però che le grandi catene di
distribuzione dovrebbero agire diversamente e operare sul
territorio. Quindi più commercio locale, più cibo prodotto
sul posto. Bisogna utilizzare il meccanismo della
globalizzazione per rendere più efficace il piccolo business”.
Temi che da anni vedono impegnato il mondo delle
associazioni di categoria a sostegno delle produzioni locali,
anche nelle grandi catene distributive. Temi che tirano in
ballo le Camere di Commercio, non solo con riguardo alle
funzioni di tutela di interesse generale delle imprese che
la legge riconosce loro, ma in particolare al riconoscimento
di “enti pubblici dotati di autonomia funzionale”(D.Lgs.
25 febbraio 2010, n. 23) e cioè enti rappresentativi
"esponenziali" di formazioni sociali parte di una comunità
più ampia“. (Il tema viene approfondito su queste pagine
da Giuseppe Lorusso ndr).
Maurizio Ferrera, professore universitario e editorialista
del Corriere della Sera, è in Italia il massimo esperto
sull’argomento. Bari Economica lo ha intervistato.
Professore, ci può illustrare il progetto messo in cantiere
dal governo inglese che promuove la cosiddetta Big
Society e sembra destinato a influenzare la politica dei
governi europei?
M
In alto:ph. Christian Mantuano
«Il progetto si ispira alla tradizione inglese del
“conservatorismo civico e comunitario”. Due i suoi piatti
fort i : r ivital izzazione dei corpi intermedi e
riterritorializzazione dell’economia. Il welfare dovrebbe
essere incisivamente decentrato e in parte delegato al mondo
delle associazioni e delle cooperative, ricollegandosi alla
nobile tradizione del mutuo soccorso. I territori dovrebbero
tornare ad essere i protagonisti dello sviluppo economico
tramite una completa ri-organizzazione del sistema creditizio
e degli incentivi pubblici, al fine di promuovere, fra l’altro,
la “ricapitalizzazione dei poveri” e di sostenere i piccoli
produttori locali contro il big business e i vari monopoli
pubblici e privati. Le risorse locali dovrebbero essere usate
primariamente per le esigenze di crescita del territorio,
scoraggiando ogni forma di impiego speculativo. La
partecipazione agli utili delle imprese dovrebbe essere
potenziata, così come ogni forma di iniziativa economica
diretta da parte di cooperative di lavoratori. L’obiettivo
generale di queste proposte (e di molte altre, la lista è lunga)
è chiaro: promuovere un capitalismo incentrato sulla società
piuttosto che sul binomio stato-mercato. Un capitalismo
sostenuto da valori e legami comunitari e disciplinato da
una morale civica basata sulla tradizione».
Una rilettura originale dalle venature anti-liberali?
«Nessuno degli ingredienti della nuova dottrina
conservatrice è interamente nuovo. L’originalità consiste
nella coerenza dell’amalgama, nel suo sforzo di rispondere
a problemi e domande politiche di oggi attraverso un
aggiornamento e una reinterpretazione dell’ideologia di
ieri. E, soprattutto, nel suo saper parlare ai ceti sociali
maggiormente esposti alla seduzione dell’etno-populismo,
coinvolgendoli in un organico disegno di ricomposizione
economico-sociale. Sul merito di questo disegno c’è
ovviamente molto da discutere, in particolare sulle sue forti
venature anti-liberali. Ma l’apparizione sulla scena europea
di una “quarta via” (dopo la Third Way di Blair) va presa
sul serio».
Come Camera di Commercio di Bari, espressione del
mondo delle associazioni di categoria economiche, dei
consumatori e dei lavoratori, siamo colpiti positivamente
dal ritorno di 'attualità del concetto di sussidiarietà
orizzontale, che vede già impegnata la rappresentanza
organizzata in soccorso dello Stato...
«La sussidiarietà orizzontale può contribuire a promuovere
un “secondo welfare”: un mix di protezioni e investimenti
sociali a finanziamento non pubblico, fornite da una vasta
gamma di attori economici e sociali, collegate in reti con
un forte ancoramento territoriale ma aperte al confronto e
alle collaborazioni trans-locali, al limite di raggio europeo.
Voglio però chiarire che non si tratta di sostituire spesa
pubblica con spesa privata, ma di mobilitare risorse
aggiuntive per bisogni e aspettative crescenti, in un contesto
di finanza pubblica fortemente vincolato e di resistenze
politiche (oltre che contro-indicazioni economiche) ad un
aumento della pressione fiscale, almeno sui redditi da
lavoro. Il welfare statale (i suoi fondi, il suo personale, i
suoi standard di prestazione) non viene messo in discussione
nella sua funzione redistributiva di base, ma solo integrato
dall’esterno laddove vi sono domande non soddisfatte».
A suo avviso nel nostro Paese forse c'è il quadro normativo
per implementare il progetto della Big Society per tracciare
i nuovi confini tra Stato e società?
«Per essere efficace, la delega di poteri e responsabilità alla
società civile presuppone infatti condizioni che gli inglesi
danno per scontate, ma che tali non sono in altri Paesi,
soprattutto nel nostro. Tracciare nuovi confini fra stato e
società è un compito urgente anche per l’Italia, soprattutto
dopo la crisi. Ma abbiamo capacità e strumenti adatti per
A destra:stazione di New York
ph. Christian Mantuano
questo compito? Gli attori sociali sono davvero interessati?
E, soprattutto, la politica è pronta a farsi indietro, limitandosi
a regolare e “capacitare”? Senza risposte chiare e affermative
a questi interrogativi, la Big Society è destinata in Italia a
restare tema da convegno o semplice slogan comunicativo».
Quali sono le condizioni politiche e culturali necessarie?
«La prima condizione è la disponibilità di una cultura
politica e di un capitale sociale caratterizzati da elevato
“civismo”: diffuso rispetto delle regole, fiducia
intersoggettiva, attivismo associativo e così via. La seconda
condizione è la presenza di organizzazioni intermedie
orientate alla risoluzione dei problemi collettivi e non solo
interessati alla “cattura” di vantaggi corporativi. La terza
condizione è la presenza di uno stato efficiente e
“capacitatore”. La creazione di una società civile ben
funzionante non dipende (solo) da scelte filosofico-
antropologiche sulla natura delle persone e della società,
ma da un’agenda puntuale di riforme istituzionali che deve
essere elaborata e attuata dal governo. A cinque mesi dal
suo insediamento Cameron sta creando una Big Society
Bank con una dotazione iniziale di 300 milioni di euro, al
fine di “accendere la miccia” e incanalare l’associazionismo
nelle giusta direzione».
I servizi sociali sono sicuramente uno tra i comparti dove
il concetto di Big Society può trovare grande applicazione,
ma è interessante anche quando il fondatore del think
thank ResPublica Philip Blond, che in questi mesi sta
aiutando il premier inglese David Cameron, prefigura
l'autorganizzazione di reti commerciali. In Italia abbiamo
già esperienze di questo tipo nate spontaneamente.
Abbiamo per esempio Gas (Gruppo d'acquisto solidale).
Come portare a sistema tutto ciò in una integrazione
virtuosa tra Stato, società e mercato?
«L’auto-organizzazione di reti commerciali può giocare un
ruolo molto importante. Soprattutto se in qualche modo
raccordate con sperimentazioni di secondo welfare di natura
aziendale, come nel caso Luxottica».
In Italia abbiamo anche la positiva esperienza del
microcredito esercitato da Confidi e dalle Banche di
Credito Cooperativo. Abbiamo il piccolo e medio
commercio, l'artigianato e l'agricoltura che possono trovare
un nuova funzione in un contesto rinnovato.
«E’ necessario elaborare un progetto che sia capace di “fare
sistema”, di promuovere la modernizzazione del lavoro
autonomo e dei “piccoli servizi” (comprese nuove e
innovative forme di artigianato “terziario”), anche per
colmare il divario che ci separa dagli altri Paesi in termini,
appunto, di “società basata sui servizi”, soprattutto quelli
alle famiglie».
Lei non vede fondamentale un ruolo degli intellettuali nei
singoli Paesi e in Europa in questa che può essere la
nuova frontiera dello sviluppo?
«Gli intellettuali devono contribuire con idee e progetti.
Ma per attuare le riforme serve la mobilitazione di tutti gli
attori della società civile. E naturalmente, serve una politica
capace di decidere e di governare».
Antonio Barile, presidente del comitato della rivista Bari Economica
All’indomani dell’approvazione del nuovo Conto energia
2020, il futuro verde dell’economia
a Strategia di Lisbona, ovvero il programma di politiche
comunitarie immaginato per trasformare l’UE
nell’economia più competitiva e sostenibile al mondo,
quest’anno compie dieci anni. Lanciata nel 2000, la Strategia
ha posto le basi per un nuovo modello di sviluppo basato
sulla relazione dei tre pilastri principali della sostenibilità:
quello economico (per un’economia della conoscenza),
quello sociale (nella lotta all’esclusione sociale) e quello
ambientale (quest’ultimo aggiunto in occasione del vertice
di Goteborg nel 2001). Ognuno dei pilastri ha potuto
beneficiare nel frattempo di nuove politiche comunitarie
e proseguire lungo la strada tracciata dal Consiglio di
Lisbona.
Con tali presupposti nel 2008 l’Unione Europea ha varato
un ambizioso “Pacchetto Clima Energia” per la lotta ai
cambiamenti climatici. Il varo del pacchetto ha
rappresentato fin da subito uno dei primi tentativi organici
dell’UE d’onorare gli impegni internazionali di Kyoto e
proporre una strategia forte e coordinata a livello
comunitario. Nel lungo periodo (entro il 2020) infatti le
azioni punteranno ad una riduzione del 20% di emissioni
clima alteranti, al miglioramento del 20% dell’efficienza
energetica ed al ricorso al 20% d’energia da fonti rinnovabili.
Tuttavia già oggi gli impegni della Comunità sul fronte
dell’efficienza energetica e in particolare sulle rinnovabili
iniziano a trovare un’interessante sponda anche nelle scelte
politiche nazionali ed ancor più in quelle regionali, con
l’avanzare della cosiddetta Green Economy. Ovviamente
la questione è ricca di spunti interessanti ma anche di
criticità che vanno emergendo giorno dopo giorno. Da qui
la necessità di analizzare alcune di queste questioni,
fotografando lo stato dell’arte del settore ed i nuovi
strumenti introdotti dal Governo. Per procedere tuttavia
è necessario svolgere una premessa di fondo.
Le rinnovabili: la vitalità puglieseUno dei falsi miti che hanno accompagnato lo sviluppo
delle rinnovabili è aver considerato la materia del tutto
condivisa tra gli attori economici e sociali, quasi fosse
immune da pregiudizi negativi o visioni trionfalistiche.
Oggi discutere di rinnovabili significa in primo luogo
ristabilire la corretta complessità della materia, tenendo
L
Lo stato dell’arte e gli scenari della Green Economy in Puglia, un nuovocapitolo di sviluppo sostenibile e con grandi potenzialità occupazionali.
Traguardi, criticità e obiettivi di un settore in forte espansione
A destra:ph. Nicola Vigilanti
presente i diversi contributi e le criticità all’ordine del
giorno. Tale presupposto appare irrinunciabile per una
regione, come la Puglia, oggetto del desiderio di molti
investitori stranieri e capace di attrarre in pochi anni
qualcosa come 1,5 miliardi di risorse pubbliche e private.
Gli ultimi dati del GSE posizionano la Puglia al primo
posto per potenza prodotta e numero di impianti installati
nel segmento “eolico” e sempre al primo posto per potenza
prodotta nel “fotovoltaico”. Per quanto riguarda più
specificatamente il primo comparto, il numero di impianti
censiti a dicembre 2009 ammontava a 72 con una potenza
prodotta pari a 1.151,8 MW ed una crescita rispetto al 2008
del 33,7%. In questa speciale classifica la Provincia di
Foggia è oggi di gran lunga la prima provincia italiana per
numero di impianti (20,41%) e potenza installata (20%).
Per quanto riguarda invece il secondo comparto, quello
fotovoltaico, il numero di impianti installati a dicembre
2009 risulta pari a 5.290, con una potenza totale di 214,4
MW. In Puglia si concentra il 7,4% degli impianti installati
in Italia ma con una sostanziale omogeneità territoriale
tra le sei Provincie. In sostanza il 23,54% dell’eolico e il
18,8% del fotovoltaico italiano proviene dal territorio
pugliese (Fonte GSE). Rilevante anche la produzione di
energia da biomasse, che pone la regione al terzo posto su
scala nazionale con una potenza installata di 139 MW e 28
impianti censiti al 2008 (i dati si riferiscono alle ultime
statistiche disponibili sul GSE).
Nel complesso questi dati assumono una certa rilevanza
se comparati alle previsioni presenti nello stesso Pear
(Piano Energetico Ambientale Regionale). Dopo appena
due anni dalla sua approvazione il valore della potenza
eolica installata risulta ben 4 volte superiore a quella
stimata nel Pear al 2013. Considerazione valida anche per
il fotovoltaico ed in parte per le biomasse e avvalorata
dalle domande giacenti attualmente in conferenza servizi
(pari ad una potenza di oltre 8.000 MW). Da qui la necessità,
così come ribadito dallo stesso vice presidente della
Regione Puglia Loredana Capone, di una duplice azione:
da un lato l’aggiornamento degli obiettivi presenti nel
Pear; dall’altro una rimodulazione degli investimenti
sull’intera filiera. Soprattutto ora che sembra avvicendarsi
nel settore una seconda fase, più matura ed attenta alla
qualità degli interventi.
A testimonianza della vitalità pugliese non ci sono tuttavia
solo numeri ma anche soggetti capaci di interpretare le
tendenze in atto. In particolare il nascente Distretto Pugliese
delle Energie Rinnovabili, “La Nuova Energia” - esperienza
prima nel suo genere in Italia e introdotta con Legge
Regionale n. 23/07 - si pone oggi l’obiettivo di realizzare
quel polo industriale di riferimento, fondamentale per
l’intera filiera. Il Distretto rappresenta uno strumento di
raccordo tra imprese, centri di eccellenza, Università e
Istituzioni Locali. Tra gli obiettivi, stimolare l’attività
legislativa, rafforzare l’idea di filiere industriali legate alla
componentistica impiantistica e individuare soluzioni per
il decongestionamento del traffico sulle reti elettriche. Il
successo ottenuto dallo stesso Distretto, in occasione
dell’Expo Universale di Shangay lo scorso giugno (ne
riferisce su queste pagine Valentina Venticelli ndr), indica una
complessiva attenzione verso la Puglia e dimostra lo sforzo
verso l’internazionalizzazione delle imprese e la
cooperazione delle eccellenze. Elementi questi che offrono
un valore aggiunto all’intero settore, dimostrabile dalla
crescente capacità di intercettare investimenti fino a qualche
anno fa indirizzati su sistemi più dinamici, come quello
spagnolo.
Ovviamente tale analisi non è esente da alcune criticità
emerse nei mesi scorsi e riprese, in più occasioni durante
la Fiera del Levante, dal presidente della Regione Puglia
Nichi Vendola. Innanzitutto un problema di carattere
infrastrutturale, rappresentato dalle difficoltà della rete
di assorbire l’energia prodotta dalla Puglia. E’ bene
ricordare che oggi la Puglia è una delle 10 realtà italiane
ad avere un rapporto tra produzione e consumo in segno
positivo, esportando oltre il 79% della produzione d’energia
elettrica verso altre realtà deficitarie (Terna 2009). A fronte
di tale situazione, così come ribadito nel corso del convegno
“Investire nelle rinnovabili in Puglia” (convegno patrocinato
dalla Camera di Commercio di Bari), risulta assolutamente
indispensabile un potenziamento, e in alcuni casi un
adeguamento, delle reti elettriche regionali, senza le quali
si vanificherebbe lo sforzo di nuovi investimenti nel settore.
In particolare, onde evitare i cosiddetti colli di bottiglia,
diventa strategico intervenire lungo assi principali
prioritari, come quello tra Puglia e Campania con il
potenziamento dell’elettrodotto tra Foggia e Benevento.
Il Piano d’Azione NazionaleUn secondo ordine di problemi richiama a scelte
programmatiche condivise tra Governo e Regioni, in
particolare per quanto attiene i Piani d’Azione sulle
rinnovabili. Il Piano d’Azione Nazionale, approvato lo
scorso giugno dal ministero dello Sviluppo Economico ed
In alto: impianti eolicia Castelnuovo
della Daunia (Foggia)ph. Nicola Vigilanti
A destra: Puglia,veduta aerea di
impianti fotovoltaiciph. Donato Fasano
introdotto in attuazione della Direttiva 2009/28/CE,
rappresenta uno dei primi interventi per raggiungere gli
obiettivi del noto pacchetto clima “20/20/20”. Il Piano
nazionale ha il merito da un lato di attribuire una quota
di riferimento chiara per le rinnovabili, pari al 17% del
fabbisogno energetico nazionale, e dall’altro di delineare
una nuova governance che dirimi alcune questioni di
fondo tuttora persistenti. In primis ordinando le quote
di produzione con lo strumento del “burden sharing”,
ovvero con una ripartizione territoriale degli obiettivi di
ciascuna regione; in secondo luogo favorendo la graduale
armonizzazione legislativa e autorizzativa degli Enti
Locali (evitando il ripetersi di nuovi contenziosi come
quello Pugliese); in terzo luogo armonizzando le politiche
energetiche con quelle ambientali, industriali e di ricerca,
oggi contigue al tema della green energy.
La tutela del paesaggioQuest’ultimo aspetto introduce l’ultimo ordine di
problemi, probabilmente il più discusso in Puglia
nell’ultimo semestre. Ovvero la sostenibilità degli
investimenti in aree a vocazione prevalentemente agricola
o di pregio paesaggistico. Per quanto riguarda la questione
in più occasioni si è parlato del rischio di una vera e
propria conversione di interi territori agricoli per finalità
energetiche. Per dover di cronaca va detto che oggi il
territorio coinvolto in insediamenti fotovoltaici e/o eolici
è pari allo 0,05% del totale regionale. Tuttavia il dato
acquisisce una certa rilevanza se contestualizzato ad un
triennio, quello 2008-2010, in cui si è assistito ad una
costante contrazione dei redditi agricoli. Gli investimenti
in energie rinnovabili, così come ribadito dalle
organizzazioni professionali con la microgenerazione,
devono rappresentare reddito integrativo e non sostitutivo
del reddito agricolo. Per tali ragioni oggi appare evidente
un intervento di pianificazione nelle zone di pregio
agricolo ed un contestuale ripensamento che privilegi
piccoli impianti realizzati dagli agricoltori. In questa
logica è da intendersi anche la legge regionale sulle centrali
a biomasse in zona agricola. La legge, in sostanza, fa
divieto di costruire grandi impianti a biomasse che non
soddisfino almeno per il 40% (limite troppo basso) il
proprio fabbisogno energetico da filiera corta, ovvero da
colture provenienti da un raggio massimo di 70 chilometri.
Solo in questo modo l’agricoltura pugliese potrà offrire
un servizio agro - ambientale alla comunità e un presidio
rurale per l’intero territorio, senza dismettere attività e
produzioni.
Il potenziamento delle reti, l’armonizzazione della
legislazione tra Stato e Regioni (per scongiurare nuovi
contenziosi), lo snellimento delle procedure e gli interventi
per mitigare l’impatto su scale più sostenibili appaiono
oggi le questioni più urgenti per l’intero settore. Questioni
che in Puglia acquisiscono un peso rilevante se inserite
in un contesto di forte sviluppo e con potenzialità
occupazionali crescenti. Lungo tutta la filiera già oggi è
possibile intravedere queste nuove “professionalità”; in
particolare nella fase post-produttiva degli impianti,
dall’installazione fino alla manutenzione. In questo
scenario la conferma dei Certificati Verdi (fatto salvo una
riduzione delle competenze dal 2011) e l’approvazione
lo scorso luglio del nuovo Conto Energia (al pari delle
Linee Giuda nazionali), approvato in Conferenza Stato -
Regioni, offrono un orizzonte più largo ad un settore che
temeva lo smantellamento degli incentivi (oggi tra i più
alti in Europa). Nel nuovo Conto Energia (valido a partire
dal 2011) la riduzione ci sarà – tuttavia non così ampia
di quanto si temesse a giugno – contenuta per i piccoli
impianti e più marcata per i grandi impianti. Con il nuovo
Conto il legislatore ha inoltre provveduto ad una graduale
semplificazione della tipologia di impianti, non più
classificati tra integrati, parzialmente integrati e a terra.
Oggi la nuova classificazione distingue impianti ordinari,
con una potenza massima incentivabile di 3.000 Mw ed
impianti integrati con caratteristiche innovative ed
incentivi fino a 300 Mw. Discorso a parte per impianti a
concentrazione, ovvero impianti con sistemi di accumulo
tramite sistemi ottici. In questo caso la potenza massima
incentivabile dovrà essere pari a 200 Mw.
In conclusione, le possibilità che la filiera dell’energia
verde diventi oggi l’architrave dello sviluppo sostenibile
pugliese è alla portata dell’intera comunità (e la certezza
del nuovo sistema di incentivi offre sicuramente un ottimo
punto di partenza). Tuttavia promuovere uno sviluppo
realmente sostenibile significa guardare anche al resto
del sistema, compreso la tutela del territorio e del
paesaggio e le produzioni autoctone che rendono grande
l’agricoltura pugliese.
Francesco Pasculli, giornalista, esperto in materia ambientale
Accordi con la Provincia del Guangdong e la Municipalità di Suzou
Puglia-Shanghai insieme per l’eccellenza
uecento nazioni e organizzazioni internazionali coinvolte,
oltre settanta milioni di visitatori previsti, sei mesi e quattro
giorni per mettere a confronto esperienze diverse di
sviluppo, conoscenze avanzate nell'ambito dell'urbanistica
e nuovi approcci orientati all’habitat umano, per
promuovere lo sviluppo sostenibile tra differenti comunità.
Tutto questo, e molto altro ancora, è Shanghai 2010. L’Expo
dei record. Che ha visto la significativa presenza della
Puglia, una delle dodici regioni italiane presenti e
individuata quale soggetto di riferimento nazionale in tema
di ambiente ed energie rinnovabili.
Nei sette chilometri quadrati del padiglione italiano allestito
con materiali rigorosamente ecosostenibili, dal 24 giugno
al 7 luglio, il made in Puglia si è mostrato al mondo
attraverso un programma articolato di iniziative
promozionali. Il due luglio, in un auditorium affollato da
operatori e giornalisti cinesi, i distretti produttivi
dell’Ambiente e del Riutilizzo, delle Energie rinnovabili e
dell’Edilizia sostenibile, si sono presentati al pubblico cinese
nel corso del workshop “Energie rinnovabili: scenari di
sviluppo ed esperienze a confronto”.
Innovazione, ricerca, progetti d’avanguardia e partnership
con la Cina i temi affrontati dai presidenti dei tre distretti.
Altissima l’attenzione del pubblico, attratto dal grande
spazio riservato dai media locali alla presenza della
delegazione pugliese in Cina. Il China Daily, il principale
quotidiano cinese in lingua inglese ha dedicato alla Puglia
un’intera pagina con l’articolo di apertura sui traguardi
raggiunti dalla nostra regione nelle energie rinnovabili.
Tutta la stampa cinese, dal China Times al China Youth
Daily, dal quotidino Shanghai Daily al Shanghai Evening
Post, dal China Youth Daily all’Oriental Morning Post,
passando per le più importanti agenzie di stampa e le
principali emittenti televisive e radiofoniche della
Repubblica Popolare, si è occupata della rivoluzione
energetica di una regione del Sud Italia.
Per la vice presidente della Regione Puglia Loredana Capone
“la Puglia e la Cina hanno in comune la volontà di crescere.
Ma sia noi che voi vogliamo uno sviluppo che non violi la
natura, uno sviluppo nel quale possiamo cooperare
sfruttando al meglio le nostre reciproche esperienze”. I
lavori del workshop si sono aperti con l’intervento del
D
In Cina dal 24 giugno al 6 luglio la Regione è stata protagonista di unarticolato programma promozionale all’Expo, diventando soggettodi riferimento nazionale in tema di ambiente e energie rinnovabili
A sinistra: vari momentidell’Expo 2010 a Shanghaiph. Archivio BE
presidente del Distretto Produttivo dell’Ambiente e del
Riutilizzo Lorenzo Ferrara che ha illustrato progetti
innovativi nei processi di classificazione dei rifiuti, delle
bonifiche verdi e delle nuove tecnologie in grado di separare
le sostanze inquinanti dai sedimenti marini. Sulla stessa
lunghezza d’onda il vice presidente del Distretto Produttivo
Pugliese delle Energie Rinnovabili Enzo Tucci, che ha
spiegato che il Distretto non è un luogo fisico ma un
soggetto che ha l’obiettivo di spingere lo sviluppo
economico e sociale del territorio. Il presidente del Distretto
Produttivo dell’Edilizia sostenibile Salvatore Matarrese,
invece, ha annunciato progetti per settanta milioni di euro
legati alla ricerca e alla formazione, alla costituzione di reti
di eccellenza e all’internazionalizzazione, mentre Sergio
Ventricelli, presidente dei Giovani Imprenditori di Confapi
Puglia, ha presentato progetti innovativi e la possibilità di
operare attraverso il nuovo contratto di reti d’impresa.
Quindi è stata la volta del presidente Nichi Vendola: “Nelle
agende politiche del mondo - ha detto il Governatore -
oggi ci sono tre priorità: il governo dell’acqua, dei rifiuti
e dell’energia. In questi settori noi abbiamo un’esperienza
che vorremmo scambiare con le imprese cinesi”.
Provincia del GuangdongL’avvio di una nuova relazione di partenariato con la
Provincia del Guangdong, soprattutto in materia di
ambiente ed energie rinnovabili, è stata al centro della
partecipazione pugliese. In tal senso, è stato firmato un
importante accordo dal presidente della Regione Puglia
Nichi Vendola e dal governatore della Provincia del
Guangdong Huang Huahua, per stabilire relazioni solide
e durature con operatori e istituzioni cinesi. La Cina
rappresenta un fenomeno strabiliante. Il ritmo di sviluppo
della produzione industriale si è riportato sui livelli
precedenti alla crisi. Gli indici dei prezzi al consumo e alla
produzione sono tornati positivi. Le autorità hanno iniziato
a ridurre l’intensità delle misure di stimolo fiscale e di
sostegno al credito bancario che avevano fornito, sin dagli
ultimi mesi del 2008, il sostegno principale allo sviluppo
dell’economia nel momento di maggiore difficoltà
congiunturale. Secondo gli analisti, il Pil cinese
aumenterebbe nel 2010 del 9,7%. Nell’attuale quadro di
sviluppo dell’economia cinese è proprio il Guangdong uno
dei motori della crescita, con la più alta ricchezza pro capite
e la più elevata produzione industriale.
Municipalità di SuzouPuglia e municipalità di Suzhou insieme per le energie
rinnovabili. La prima regione italiana per la produzione
di eolico e fotovoltaico e la più importante realtà cinese in
materia di energie pulite si sono incontrate il 1 luglio per
la prima volta nella provincia di Jiangsu, nel sud-est della
Cina. Esponenti politici cinesi da una parte, l’intera
delegazione pugliese dall’altra. Dopo aver descritto le
caratteristiche principali dei rispettivi territori e delle realtà
produttive, il presidente Vendola e il Vice Sindaco della
municipalità di Suzhou Jin Ming hanno delineato le future
prospettive di collaborazione in materia di energia
rinnovabile, ripromettendosi di rivedersi entro la fine
dell’anno. Di Suzhou colpisce soprattutto lo sviluppo
economico. Con più di 6milioni 300mila abitanti, ha una
produzione industriale che la colloca al secondo posto in
tutta la Cina. Nonostante la crisi, l’export totale nel 2009
ha superato i 200miliardi di dollari. La Puglia e la città di
Suzhou hanno in comune l’interesse per le energie
rinnovabili: se la nostra regione produce energia dal sole
e dal vento, la città cinese fabbrica pannelli solari e pale
eoliche. Ed è proprio in questo territorio, che la Confapi
ha proposto al vice presidente Capone di creare un’antenna
di riferimento per le aziende pugliesi.
Valentina Ventricelli, giornalista
In alto: da sinistrail presidente dei giovaniimprenditori di Confapi PugliaSergio Ventricelli e ilpresidente del DistrettoProduttivo dell’EdiliziaSostenibile SalvatoreMatarrese durante unworkshop all’Expodi Shanghai 2010
Per combattere l’effetto serra ed i cambiamenti climatici
Proteggiamo ConCretaMente la Terra
nsegnare ed imparare a produrre e consumare in un’ottica di sostenibilità ambientale, come primo passo per contribuire
a risolvere i problemi legati ai cambiamenti climatici ed all’effetto serra. E’ l’obiettivo del progetto “ConCretaMente”
– Proteggiamo la Terra coltivando la Terra, promosso da C.I.A., Confederazione Italiana Agricoltori della provincia di
Bari, C.I.BI. Consorzio Italiano per il Biologico, Consorzio Puglia Natura e Associazione di promozione sociale Eco Bio
Equo con in testa l’IFOC, Azienda Speciale della Camera di Commercio di Bari. Più soggetti, più sigle un sogno comune:
cambiare il mondo a partire dall’approccio alla terra. Un sogno che si è tradotto in un progetto di informazione ed
educazione alla sostenibilità ambientale, per sensibilizzare tutti gli attori pubblici e privati, che operano nella filiera
agro-alimentare, come tecnici, professionisti o semplici cittadini-consumatori, affinché acquisiscano metodologie e
comportamenti adeguati e sostenibili nella progettazione del territorio, nella gestione del suolo e nel trattamento della
materia organica (compostaggio). Da un lato, dunque, si punta alla diffusione dell’agricoltura biologica, dall’altro allo
sviluppo di forme di riutilizzo domestico della sostanza organica per innescare un circolo virtuoso di buone pratiche
orientate alla produzione e al consumo sostenibili.
Il progetto “ConCretaMente” (www.concretamentebio.it) è stato presentato ai media lo scorso 6 ottobre nella sala giunta
dell’ente camerale barese. “Finalità ed obiettivi del progetto - ha sottolineato Piero Di Cillo, presidente IFOC – sono
ampiamente coerenti con il sistematico impegno della Camera di Commercio a sostenere tutte le iniziative nazionali
ed internazionali legate alla valorizzazione delle produzioni agro-alimentari del territorio, al rafforzamento della qualità
delle stesse, alla razionalizzazione della logistica, ai progetti di filiera corta”.
Temi che investono la vita di tutti i giorni, il quotidiano delle persone, ha sottolineato l’assessore al Lavoro e alla
Formazione Professionale della Provincia di Bari, Mary Rina, che ha insistito sull’importanza di incoraggiare il consumo
di prodotti da agricoltura “sostenibile”.
“L’agricoltura biologica - ha spiegato Teodoro Miano, Professore di Chimica agraria, all’Università degli Studi di Bari
Insegnare ed imparare a produrre e consumare in un’ottica di sostenibilitàambientale. Sono le finalità di un progetto promosso da una cordata di partner
guidati dall’Ifoc, l’azienda speciale della Camera di Commercio di Bari
I
A destra: la conferenzastampa di presentazione
del progettoConCretaMente;una compostieraa uso domesticoph. Archivio BE
- non è solo una moda, ma un sistema di produzione rispettoso delle risorse e quindi pensato per aiutare il suolo a
svolgere al meglio il proprio ruolo che è quello di trattenere il carbonio perché non si disperda nell’atmosfera”.
L’agricoltura, infatti, secondo gli ultimi rilevamenti IPCC - Intergovernamental Panel on Climate Change, sarebbe responsabile
del 12% del totale dei gas serra di natura antropica (dovuti ad attività umane). Ma anche del 47% del totale delle
emissioni di metano che derivano principalmente dagli allevamenti (73%) e dalla gestione dei fertilizzanti organici
(26%), e di circa il 58% delle emissioni europee di N2O, il pericoloso protossido di azoto. Queste sostanze sono la causa
principale della più importante emergenza ambientale odierna: i cambiamenti del clima e il conseguente riscaldamento
del pianeta. Attraverso il riciclo dell’umido e il compostaggio della sostanza organica si può contribuire ad arricchire
la fertilità naturale del suolo senza il ricorso a sostanze chimiche dannose e nel rispetto della biodiversità.
“Totem del progetto è la compostiera – ha evidenziato Nino Paparella, Presidente del C.I.BI. - mostrata anche in
conferenza stampa, in quanto emblema di quello che concretamente si può fare per cominciare dal basso a risolvere i
grossi problemi che riguardano il suolo e il clima. Il nostro messaggio deve arrivare a tutti coloro che operano nella
filiera agro-alimentare”.
Seminari tecnico-scientifici, visite guidate presso le masserie didattiche, convegni, workshop e giornate di sensibilizzazione
in piazza, questi i canali strutturati dal progetto attraverso cui si svilupperà la campagna di informazione ed educazione.
A curare l’organizzazione e l’animazione di queste giornate ci saranno anche la CIA e l’Associazione Eco Bio Equo -
presidente Marilù Perrone - promotrice tra l’altro della costituzione dei GAS Gruppi di Acquisto Solidali.
“Il cambiamento è già in atto - ha concluso Luigi Triggiani, presidente del Consorzio Puglia Natura, che ha voluto
lanciare un messaggio di speranza - noi stiamo solo spingendo in quella direzione, convinti che cambiare il mondo si
può e ci stiamo riuscendo”.
Chicca Maralfa, caporedattore di Bari Economica
ecentemente il Comitato sulla vigilanza bancaria –
l’organizzazione internazionale istituita dai governatori
delle Banche centrali dei dieci Paesi più industrializzati
-ha approvato Basilea 3, una riforma pensata per raffor-
zare le banche ed evitare altre crisi economiche. I punti
fondamentali delineati nel pacchetto di riforme riman-
gono le regole sull’adeguatezza del capitale, strumento
essenziale per influenzare gli incentivi all’assunzione di
rischi da parte delle banche e per determinare la loro
capacità di assorbire perdite. Le proposte prevedono
innanzitutto una più adeguata calibrazione del peso di
alcuni rischi e, dunque, del patrimonio che le banche
devono detenere per farvi fronte. Infatti, la crisi ha
mostrato come i rischi, in particolare quelli di mercato
insiti in alcune tipologie di esposizione, fossero ampia-
mente sottostimati. Di qui la priorità di “riequilibrare”
le ponderazioni e di formulare nuovi requisiti patrimo-
niali. Dunque, il nuovo accordo sembra essere la naturale
prosecuzione, con qualche aggiustamento, di quelli pre-
cedenti, di Basilea 1 e 2, perché vanno tutti nella stessa
direzione: aumentano le quote di capitale che le banche
devono accantonare in proporzione al rischio derivante
dai rapporti di credito assunti.
Aspetti principali di Basilea 3In linea generale il meccanismo della riforma presenta
alcuni aspetti fondamentali. Ma andiamo per ordine. Le
operazioni di una banca (vendita di titoli, erogazione di
crediti) comportano dei rischi e quindi delle possibili
perdite. Per questo Basilea 3 mira ad aumentare il capitale
che l’istituto di credito tiene da parte “per sicurezza”,
aumentando la percentuale già stabilita dagli accordi
precedenti di Basilea 1 e Basilea 2. In altre parole, la crisi
finanziaria ha reso necessario un aggiornamento e revisione
di queste percentuali e lo scopo di Basilea 3 è quello, come
prima accennato, di aumentare la quantità di capitale
messo da parte dalle banche.
Ebbene l’indicatore principale che l’accordo ha modificato
è il rapporto tra il capitale e il rischio ponderato, che dal
2% dovrà salire al 4,5% con un coefficiente di solidità
patrimoniale, chiamato Tier 1, che sale dal 4 al 6% (quello
complessivo non cambia e resta all’8%). Verrà poi richiesto
Aumentano ulteriormente le quote di capitale che le banche devono accantonarein proporzione al rischio dei crediti assunti. Obiettivi condivisibili ma da perseguire
con equilibrio, nei tempi giusti ed evitando l’eccesso di regolamentazione
R
di garantire un ulteriore 2,5% di capitale a cuscinetto in
caso di emergenza, che si somma ai valori precedenti per
portare il totale della copertura al 7% degli asset di una
banca.
Ovviamente le banche nel mondo avranno un periodo di
transizione per adeguarsi ai nuovi standard e dovranno
continuare a supportare la ripresa economica. Per quanto
riguarda l’Italia, da più parti arrivano rassicurazioni sulla
solidità del sistema nazionale. Non solo per il livello di
capitalizzazione, rispetto ad alcuni rivali internazionali,
ma anche per il livello di patrimonio, considerato di elevata
qualità. Quanto ai tempi di attuazione, l’entrata in vigore
dovrebbe essere graduale, al fine di non compromettere
il necessario sostegno finanziario dell’attività economica.
Il primo gennaio 2013 giungeranno le prime misure, che
verranno arricchite nel biennio successivo, fino ad arrivare
alla piena attuazione delle riforme solamente ad inizio del
2019. Comunque è da evidenziare che per l’approvazione
definitiva delle regole stabilite con Basilea 3 occorrerà la
ratifica del prossimo G20 di Seul.
Cenni storiciGli accordi di Basilea sono il frutto del lavoro del Comitato
di Basilea, istituito dai governatori delle banche centrali
di Francia, Germania, Belgio, Italia, Lussemburgo, Paesi
Bassi, Spagna, Svezia, Svizzera, Regno Unito, Giappone,
Stati Uniti e Canada. Il comitato opera in seno alla BRI,
Banca dei Regolamenti Internazionali, con sede a Basilea,
un'organizzazione internazionale che ha lo scopo di pro-
muove la cooperazione fra le banche centrali ed altre
agenzie equivalenti allo scopo di perseguire la stabilità
monetaria e finanziaria.
Il primo accordo di Basilea risale al 1988 e con esso l'obbligo
per le banche di mettere da parte capitale in una misura
pari all'8% delle somme erogate. Vale a dire che il patri-
monio di vigilanza di un gruppo bancario doveva essere
pari ad almeno l’8% delle attività creditizie ponderate per
il rischio di credito. Da allora un susseguirsi di mutamenti,
avvenuti nei mercati economici e finanziari internazionali
ed europei, indussero il Comitato di Basilea ad una revi-
sione del primo accordo. Così, nel gennaio 2001 venne
pubblicato un primo documento con la bozza delle regole
future alla quale seguirono ulteriori ritocchi. Nacque così
nel 2007 un nuovo accordo, noto come Basilea 2, che
rispetto all’impianto originario, fermo restando la regola
dell’8% andava a cambiare, in sintesi, gli aggregati di
riferimento. Pertanto, questo 8% diventa un risultato medio
che ciascuna banca deve commisurare ai propri asset
ponderati per il rischio, utilizzando, per valutare le proba-
bilità di default di ogni cliente. In buona sostanza le banche
accantonano quote di capitale proporzionali al rischio
derivante dai vari rapporti di credito assunti. Maggior
rischio=maggiori accantonamenti, quindi per la banca
maggiori costi. Di qui la necessità per le banche di classi-
ficare i propri clienti in base alla loro rischiosità, attraverso
procedure di rating sempre più sofisticate. Infatti c’è da
dire che il rating è determinato da un complesso di analisi
e di valutazioni dove la procedura automatizzata dello
scoring costituisce solo parte di un processo ben più ampio
e ricco di elementi.
Dunque, ancorando i requisiti di capitale alla rischiosità
dei crediti e richiedendo che tale rischiosità sia valutata
con sistemi adeguati e credibili, Basilea 2 ha recepito ed
esaltato il ruolo centrale che la valutazione del rischio
assume nella gestione del credito e in particolare nelle
decisioni concernenti l'ammontare e il prezzo (tasso) del
credito da concedere. Logica conseguenza è che la valuta-
zione del rischio di credito venga effettuata nel modo più
oggettivo e trasparente, utilizzando tutti gli strumenti di
supporto alle decisioni resi disponibili dallo sviluppo delle
metodologie di analisi e valutazione. Del resto, le banche
italiane hanno avviato da tempo la modernizzazione dei
sistemi di gestione della loro filiera-crediti sia sfruttando
i vantaggi consentiti dalle nuove tecnologie informatiche
e dagli strumenti quantitativi sia incorporando culture e
metodologie tratte dalle migliori attività bancarie interna-
zionali. Ed è cosi che, dopo non poche perplessità del
mondo dell’imprenditoria, si è arrivati alla diffusione dei
modelli di valutazione delle banche che attraverso un
sistema di rating ha rappresentato un cambiamento di
grande portata nel rapporto tra banche ed imprese, inter-In alto: Mario Draghi
venendo nel ridefinire i confini dei rispettivi rapporti di
relazione informativa ed operativa. Anche per le imprese
il rating determinato dalle banche è diventato una variabile
strategica per regolare il costo e l’efficienza delle proprie
scelte di struttura finanziaria e di finanziamento degli
investimenti, nonché uno strumento di valutazione delle
possibilità di crescita e di diversificazione.
Negli ultimi anni, però, una forte crisi finanziaria interna-
zionale ha colpito alcuni importanti istituti di credito,
soprattutto d’oltreoceano, che ha portato alla nascita di
Basilea 3. Attualmente fanno parte del Comitato che ha
contribuito a riscrivere le nuove regole, 27 governatori
delle banche centrali dei seguenti paesi: Argentina, Austra-
lia, Belgio, Brasile, Canada, Cina, Francia, Germania, Hong
Kong, India, Indonesia, Italia, Giappone, Corea, Lussem-
burgo, Messico, Olanda, Russia, Arabia Saudita, Singapore,
Sud Africa, Spagna, Svezia, Svizzera, Turchia, Gran Breta-
gna e Usa.
ConclusioniIn sintesi non vi è dubbio che la revisione dell’accordo di
Basilea punta innanzitutto alla creazione di meccanismi
che aumentino la stabilità delle banche e la loro capacità
di assorbire le perdite. Obiettivi sotto certi aspetti condivi-
sibili, ma che vanno perseguiti con equilibrio prevedendo
tempi di adeguamento opportuni ed evitando l’eccesso di
regolamentazione. E’ ovvio che quantificare gli effetti di
misure non ancora definite è difficile, ma è certo che
“costringere” di colpo il Sistema bancario a posizionarsi
sui nuovi standard di capitale lo porterebbe probabilmente
a ridimensionare l’attività e ad applicare eccessivi controlli.
D’altra parte un’autorità sovranazionale tecnica, che sta-
bilisce in maniera omogenea le regole a cui attenersi,
dovrebbe tener conto di tanti fattori dovuti prevalentemente
alle differenze territoriali e settoriali. Ad esempio in Italia
ci sono banche che fanno attività retail e ci sono intermediari
finanziari che gestiscono prevalentemente patrimoni. E
sarebbe semplicemente sbagliato metterle alla pari in
quanto è diverso il profilo di rischio. Altro elemento da
non sottovalutare è il differente peso che le banche rivestono
per il finanziamento dell’economia nei diversi Paesi. Ed
a riguardo è la stessa ABI - l’Associazione Bancaria Italiana
- a sollevare il problema. Infatti, nell’Europa continentale
il canale bancario è preponderante rispetto a quello di
mercato e, secondo l’Abi, un innalzamento degli attuali
coefficienti minimi di patrimonio, potrebbe avere ripercus-
sioni negative sull’intera economia per effetto dell’eventuale
riduzione di risorse disponibili per il suo finanziamento.
Infine occorre tener presente anche i diversi contesti nor-
mativi e fiscali dei vari Paesi non solo europei, ma anche
d’oltreoceano. Una diversità che va ad incidere sui bilanci
e quindi sui coefficienti patrimoniali.
In conclusione, in assenza di una effettiva ripresa econo-
mica, rendere i requisiti patrimoniali più severi per tutti,
senza nessuna distinzione, finirebbe per penalizzare il
nostro sistema bancario il quale, peraltro, ha dimostrato
di reggere meglio di altri la crisi grazie anche alla spiccata
vocazione retail. Ma la partita sembra essere ancora tutta
da giocare e sino al 2012 molte cose potrebbero cambiare.
Franco Lella, giornalista – già docente di Finanza Aziendale
all’Università degli Studi di Bari
argomento è di grande attualità ed oggetto di nu-
merose e recenti pubblicazioni. Gran parte delle quali
però influenzate da impostazioni politiche che non per-
mettono di adeguatamente valutare l’importanza della
normativa di riferimento. Si preferisce pertanto una
impostazione del presente articolo puramente tecnica,
tralasciando considerazioni di tipo diverso.
All’uopo appare opportuno un richiamo alla normativa
di riferimento.
Essa è rappresentata da:
- Articolo 119 della Costituzione.
- Legge n. 3 del 18 Ottobre 2001, riforma della Costituzione.
- Legge n. 42 del 5 Maggio 2009 pubblicata in Gazzetta
Ufficiale del 6 Maggio 2009; entrata in vigore il 22 Maggio
2009.
Il testo della norma costituzionale (articolo 119), così
come modificato nel 2001 recita:
“I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni
hanno autonomia finanziaria di entrata e di spesa.
I Comuni, le Province, le Città metropolitane e le Regioni
hanno risorse autonome. Stabiliscono ed applicano tributi
ed entrate propri, in armonia con la Costituzione e secondo
i principi di coordinamento della finanza pubblica e del
sistema tributario. Dispongono di compartecipazioni al
gettito di tributi erariali riferibili al loro territorio.
La legge dello Stato istituisce un fondo perequativo senza
vincoli di destinazione, per i territori con minore capacità
fiscale per abitante.
Le risorse derivanti dalle fonti di cui ai commi precedenti
consentono ai Comuni, Province, Città metropolitane e
Regioni di finanziare integralmente le funzioni pubbliche
loro attribuite.
Per promuovere lo sviluppo economico, la coesione e la
solidarietà sociale, per rimuovere gli squilibri economici
e sociali, per favorire l’effettivo esercizio dei diritti della
persona o per provvedere a scopi diversi dal normale
esercizio delle loro funzioni, lo Stato destina risorse
aggiuntive ed effettua interventi speciali”.
La legge n. 42 del 5 Maggio 2009 tratta e disciplina le
seguenti questioni:
- abolizione del criterio della spesa storica;
- identificazione del costo standard per ogni servizio
Procede l’attuazione della riforma federale dello Stato. Più autonomiaimpositiva e responsabilità finanziaria alle regioni e più efficienzanella gestione dei servizi locali, senza ulteriore aggravi per il cittadino
L’
A sinistra: l’obiettivo principaledella svolta federalista èquello di aumentare laqualità dei servizi per tutti.Nella foto un neonato al repartodi Ostetricia e Ginecologiadell’Ospedale Miullidi Acquaviva delle Fonti (Ba)ph. Enrico Bossan
erogato dagli enti locali (termine 5 anni), in particolare
per sanità, assistenza, diritto allo studio.
- possibilità di istituire le Città metropolitane (tra queste
Bari); con conseguente abolizione delle province;
- verifica sull’attuazione del federalismo fiscale a cura
di una Commissione bicamerale (composta da 15 deputati
e 15 senatori);
- finanziamento dei costi standard mediante i tributi
regionali, la compartecipazione a Irpef ed Iva, il gettito
dell’Irap.
- soppressione dei trasferimenti statali ad eccezione dei
contributi finalizzati al pagamento di mutui contratti in
precedenza;
- introduzione della fiscalità di vantaggio per sopperire
ai deficit strutturali dovuti alla collocazione geografica
(territori montani, isole);
- previsione del fondo perequativo statale finalizzato a
sostenere le regioni con minore capacità fiscale per abi-
tante, garantendo l’integrale copertura delle spese corri-
spondenti ai costi standard;
- finanziamento del fondo perequativo attraverso la
compartecipazione dell’Iva e la compartecipazione era-
riale al gettito prodotto nelle singole regioni;
- previsione di fondi perequativi locali. Uno a favore dei
Comuni e l’altro delle Province. Essi saranno inseriti nei
bilanci delle regioni, ma a totale finanziamento statale;
- attribuzione a tutte le amministrazioni locali di un
proprio patrimonio in base al principio della territorialità;
- premi e sanzioni;
- previsione del criterio del finanziamento delle spese
regionale, sia con la compartecipazione al gettito delle
imposte erariali (prioritariamente l’iva), che con tre tipi
di tributi: A) quelli propri e derivati istituiti da leggi
statali; B) le addizionali sui tributi erariali; C) quelli
propri istituiti con legge regionale;
- possibilità per i Comuni e Città metropolitane di istituire
tributi di scopo, per la realizzazione di opere pubbliche.
Cosa si intende con il termine federalismofiscaleDefinito l’ambito normativo di riferimento, è opportuno
stabilire cosa si intende con il termine federalismo fiscale.
Esso è un sistema di attribuzione delle risorse pubbliche
secondo cui la titolarità delle entrate fiscali appartiene
alla collettività territoriale che le produce. Con la previ-
sione di attribuzioni a favore degli Enti di livello superiore
di una frazione delle stesse, per esigenze di perequazione
sociale e territoriale.
La situazione attuale nel nostro PaeseIl decentramento delle decisioni di spesa non è stato
accompagnato da un analogo decentramento delle deci-
sioni di entrata.
Nonostante negli anni Novanta vi sia stata l’introduzione
di importanti tributi locali (Ici, Irap, addizionali Irpef)
l’attuale sistema di finanziamento è rimasto condizionato
dal gettito dei tributi erariali e dal conseguente trasferi-
mento di risorse agli enti locali.
Nel 2007 il 45% delle entrate delle autonomie locali era
ancora costituto dai trasferimenti erariali.
Per quanto riguarda le entrate tributarie, concentrando
l’attenzione sui quelle principali (Irpef, Iva ed Irap) la
A destra: il presidente dellaRegione Puglia Nichi Vendola
e alcuni componenti delConsiglio regionaleph. Vittorio Arcieri
situazione attuale è la seguente.
Il gettito pro capite Irpef è maldistribuito, essendo al
Nord pari a circa il doppio di quello del Sud sia per le
regioni a statuto ordinario che per quelle a statuto speciale.
In particolare le entrate pro capite più elevate si registrano
in Lombardia (quasi 14 mila per abitante); quelle più
basse in Calabria (poco più di 5,3 mila pro capite).
In Puglia siamo ad un livello di circa 6 mila pro capite.
Tuttavia, ai fini che in questa sede interessano, tale
circostanza non ha grande importanza, dato il ruolo
secondario dell’Irpef (il cui gettito è pari ad un decimo
dell’Irap).
Il gettito pro capite dell’Irap è peggiore, dato che il gettito
unitario delle regioni del Nord (ad eccezione della Ligu-
ria) supera quello del Sud di circa 4 volte. Le regioni
centrali si collocano ad un livello intermedio (ad eccezione
del Lazio il cui livello di contribuzione è vicino a quello
delle regioni del Nord).
Tali dati sono integrati dal gettito Irap di provenienza
pubblica in cui le regioni del Centro sono al primo posto,
seguite da Nord e Sud.
Per il gettito Iva (per cui si ipotizza una destinazione al
territorio di una percentuale del 40-45% da distribuire
in base alle stime sui consumi regionali) quello destinato
alle regioni settentrionali è superiore a quello destinato
alle regioni meridionali.
Viceversa la distribuzione della spesa pro capite è distri-
buita in modo pressoché uniforme tra le varie regioni.
Esempi di tributi regionali•Le imposte di soggiorno nelle regioni alpine;
•la tassa sullo scalo turistico delle unità da diporto in
Sardegna (cosiddetta tassa sul lusso);
•la tassa sull’attraversamento degli oleodotti in Sicilia.
•l’Irap.
Criteri per l’attuazione del federalismofiscaleIl Governo ha a disposizione 24 mesi per realizzare la
riforma federalista con i seguenti criteri:
1. autonomia e responsabilità finanziaria di tutti i livelli
di governo;
2. attribuzione di risorse autonome alle Regioni e agli enti
locali secondo principi di territorialità;
3. superamento graduale del criterio della spesa storica a
favore del fabbisogno standard per il finanziamento dei
livelli essenziali e delle funzioni fondamentali; della pere-
quazione della capacità fiscale per le altre funzioni;
4. rispetto della ripartizione delle competenze legislative
fra Stato e Regioni sul coordinamento finanza pubblica e
sistema tributario;
5. esclusione doppia imposizione sulla medesima base
imponibile, salvo le addizionali previste dalla legge statale;
6. tendenziale correlazione tra prelievo fiscale e beneficio,
in modo da favorire corrispondenza tra responsabilità
finanziaria e amministrativa; continenza e responsabilità
nell’imposizione dei tributi propri;
7. previsione che la legge regionale possa, con riguardo
alle basi imponibili non assoggettate ad imposizione da
parte dello Stato: a. istituire tributi regionali e locali;
b. determinare le variazioni di aliquota o le agevolazioni
che Comuni, Province e Città metropolitane possono
applicare nella loro autonomia;
8. previsione di strumenti e meccanismi di accertamento
e di riscossione dei tributi;
9. impossibilità di dedurre gli oneri fiscali i cui proventi
non siano attribuiti al medesimo livello di governo;
10. premialità dei comportamenti virtuosi; meccanismi
sanzionatori per gli enti che non rispettano negli equilibri
economico – finanziari o non assicurino i livelli essenziali
delle prestazioni;
11. flessibilità fiscale articolata su più tributi con una base
imponibile stabile ed in modo uniforme sul territorio
nazionale;
12. semplificazione del sistema tributario;
13. riduzione della imposizione fiscale statale in misura
adeguata alla più ampia autonomia di entrata di Regioni
ed enti locali;
14. territorialità dell’imposta.
Cosa prevede il decreto legislativo1
Le prime notizie apparse sugli organi di stampa specializ-
A destra: il ministro per gliAffari Regionali Raffaele Fittoph. Rocco De Benedictis (Today);il ministro dell’Economia e delle
Finanze Giulio Tremontiph. Archivio BE
1Approvato in via preliminare dal Consiglio dei Ministri del 6.10.2010, dovrà essere sottoposto alla Conferenza Stato Regioni e
andrà all’esame delle competenti commissioni di Camera e Senato per poi tornare in Consiglio dei Ministri per l’approvazione
definitiva
zata (il sole 24 ORE del 7 e 8 Ottobre 2010) forniscono
alcune indicazioni sulle principali norme previste dal
decreto legislativo.
In sintesi esse dovrebbero prevedere una crescita della
leva fiscale di competenza di ciascuna regione, così arti-
colata:
•possibilità di variare la misura dell’addizionale regionale
Irpef sino al massimo del 3% (oggi è lo 0,9%, elevabile in
alcuni casi al 1,4%); l’impatto di tale misura potrebbe
essere tuttavia contenuto per effetto della possibilità di
introdurre, da parte delle Regioni, detrazioni collegate
al numero dei componenti il nucleo familiare (cosiddetto
quoziente familiare);
•possibilità di ridurre l’aliquota Irap sino ad azzerarla
(oggi è pari, nella misura base, al 3,9%);
•riduzione della compartecipazione Iva (che tuttavia
sino al 2013 sarà del 44,13%); tale imposta assumerà
sempre maggiore importanza, attesa la sua funzione di
finanziare la spesa sanitaria,
•possibilità di istituire tributi propri su fattispecie non
assogettate ad imposizione statale;
•soppressione, dal 2014, di una serie di tributi regionali
(abilitazione all’esercizio professionale, imposta sulle
concessioni dei beni demaniali marittimi, tassa occupa-
zione spazi regionale, addizionali regionali sull’acqua).
Tuttavia, per bilanciare nella fase di avvio quegli squilibri
che dovessero verificarsi nelle regioni più deboli, è prevista
l’istituzione di un fondo sperimentale di riequilibrio
regionale; il quale cesserà la sua funzione con l’entrata
in vigore del fondo perequativo nazionale.
È previsto altresì l’introduzione del principio
dell’invarianza fiscale. Ossia quel vincolo che impone
agli enti impositori di lasciare complessivamente invariata
la pressione fiscale generale.
Anche per le Province sono introdotte novità riguardanti:
•l’attribuzione del gettito proveniente dal pagamento
del bollo auto sui veicoli commerciali (attualmente di
pertinenza statale);
•compartecipazione, dal 2014, di una parte del gettito
del bollo auto regionale sempre riferito ai veicoli com-
merciali.
Cosimo Cafagna, presidente Associazione Nazionale Tributaristi
Italiani (A.N.T.I.) sezione Puglia
Franco Gentile e Mimmo Marzulli si raccontano a Bari Economica
“I Gemelli” nel segno del commercio
appuntamento per l'intervista è in via Argiro 149. «Alle
15 e 30 - aveva detto al telefono Franco Gentile - Così il
negozio è chiuso e possiamo parlare tranquillamente».
Arrivare in anticipo ha i suoi privilegi. Il primo è che puoi
fare quattro passi mentre Bari è inondata dalla sua luce più
bella. Non è ancora autunno e non è più estate. Il sole ha
perso gli "artigli", l'aria è dolce e il centro sembra dorato.
Il secondo privilegio è il "fattore sorpresa". Anche pochi
minuti fanno la differenza.
Così il grande portone di ferro del negozio "I Gemelli"
sembra chiuso ma è soltanto accostato e si apre con una
leggera pressione. Stretta di mano e convenevoli di rito,
poi il signor Gentile fa strada, dice di seguirlo.
Dentro l'allestimento è splendido. Una bella struttura. Bel
legno, bei pezzi d'arredo. Abiti in ordine ma non
maniacalmente in ordine. Dettagli creativi: golfini di
cachemire che sbucano da vecchi bauli, sciarpe acciambellate
come gatti. Sembra di stare nel casino di caccia di qualche
ricco signore ben nato. In due parole: relaxed elegance,
eleganza rilassata.
Il titolare pigia sulla pulsantiera dell'ascensore. L'orologio
segna le 15 e 30 minuti, l'ora dell'appuntamento. In questo
preciso momento la mano avrebbe dovuto poggiarsi sul
portone d'ingresso. Invece le porte dell'ascensore si aprono
al piano. In fondo al corridoio, in una grande stanza, c'è
un nugolo di persone che ruota attorno ad un uomo.
Malgrado le cure e i capelli tinti, a un occhio attento non
sfugge la sua vera età. Siamo oltre gli anta. E non si parla
dei 50.
Sarti e commessi sembrano api operaie. Seguono orbite
esatte, sotto lo sguardo di Mimmo Marzulli, il socio di
Gentile. Al centro di tutto c'è lui, il cliente. Ombelico di un
mondo di eletti che non soltanto va nel negozio più chic e
costoso della città, ma ci va godendo di riservatezza
pneumatica, lontano da occhi indiscreti, e quando l'intera
organizzazione di vendita può dedicarsi a lui in esclusiva.
Stanno prendendo le misure di una giacca. Gli sta a pennello
però il sarto, lesto, lascia piccoli segni sul tessuto: «Alle
maniche togliamo due millimetri, non di più». Due
millimetri alla perfezione, per il gotha, è un'ignominia, una
pecca da mondare in sartoria. Lì la giacca verrà smontata
e rimontata.
L’
L’infanzia a Bari Vecchia, le esperienze da commessi e poi nel 1984 il primonegozio, che a Bari e nella regione ha scritto la storia della moda maschiledi qualità. Il futuro del commercio? E’ nella formazione, anche sartoriale
Nella foto: da sinistraMimmo Marzulli e FrancoGentile titolari del negoziodi abbigliamento maschile“i Gemelli” a Bari
In questa sorta di "androceo", gineceo all'incontrario
composto da soli uomini, l'intrusa col registratore non
passa inosservata. Il ricco imprenditore del Barese (di cui
quì si tace volontariamente l'identità) solleva il sopracciglio
in segno di sorpresa. Forse fastidio. S'oblìa nel camerino,
si cambia e va via portandosi dietro cravatte (a fasci),
palteau (due) e abiti (quattro).
Mentre Marzulli lo accompagna all'uscita, Gentile mette
a posto la grande stanza di prova. Svelto, preciso, ricompone
pieghe e raddrizza grucce. Quando Marzulli ritorna non
c'è traccia di disordine.
Non sanno stare con le mani in tasca, mentre gli altri
lavorano, e sono una squadra affiatatissima. Si conoscono
da sempre. Sono nati a pochi passi di distanza, in casa, a
Bari Vecchia. Gentile, 59 anni, vicino all'Arco delle
Meraviglie. Marzulli, 60 anni, a Santa Teresa dei Maschi.
«Giocavamo insieme - racconta il primo - siamo anche
andati alla stessa scuola, la "Filippo Corridoni". Alle
elementari già lavoravamo nei negozi del centro. Io da
"Dante5" e Mimmo da "Santi Munafò" che era proprio in
questi locali qui che ora gestiamo noi».
«In pratica lavoriamo da 50 anni», afferma Marzulli.
«Abbiamo fatto tutto assieme. Per questo siamo "I Gemelli"
- spiega Gentile - Lui mi ha fatto anche da testimone al
matrimonio. Con mia moglie Giovanna Bozzi, il mio primo
e unico amore. Anche lei lavorava come commessa in un
negozio del centro. Ci siamo sposati il 13 luglio del 1971».
«E io mi sono sposato il mese dopo, il 13 agosto, con Cecilia
Lopez. Però - dice Marzulli senza nascondere il rammarico
- Franco non mi ha potuto fare da testimone perché è subito
partito per il militare».
Hanno tre figli ciascuno e pure i loro primogeniti sono
arrivati sincronizzati. Tutti maschi i Marzulli: Giovanni
(del 1972), Antonio (1976) e Christian (1986). Tutte femmine
le Gentile: Adriana (1972), Angela (1974) e Valentina (1978).
Mimmo Marzulli è stato il primo a fare il "salto del bancone".
Lasciò il suo lavoro di commesso nel 1973 e si aprì una
boutique da donna. Ma la vera svolta arrivò negli sfrenati
anni Ottanta. «Tutto è nato da un litigio col mio ex datore
di lavoro - dice Gentile - Detti le dimissioni nel 1984 e
decisi di attivarmi per cercare un locale mio. Uscii da lì e
incontrai Mimmo. Gli raccontai del progetto d'un negozio
per conto mio e lui propose: "Lo apriamo insieme?"».
«E - continua Gentile - c'era questo bel locale in via Beatillo,
al civico 13 e 15. Prima c'erano le "Edizioni Paoline". Era
dell'avvocato Gaetano Vignola. Lo prendemmo in fitto e
lui ci diede piena fiducia; ci tengo a ricordarlo perché gli
sono riconoscente».
«Così aprimmo il nostro primo negozio dedicato
all'abbigliamento maschile - interviene Marzulli - Nel 1990A destra: gli interni
del negozio “i Gemelli”
Franco: «Tutto è nato da un litigio colmio ex datore di lavoro. Detti
le dimissioni nel 1984 e decisi diattivarmi per cercare un locale mio.
Uscii da lì e incontrai Mimmo.Gli raccontai del progetto d'un negozio
per conto mio e lui propose:"Lo apriamo insieme?"»
ne abbiamo aperto un altro, su via Dante, angolo via
Sparano. Poi li abbiamo chiusi entrambi e, nel 1998, ci
siamo trasferiti qui, su via Argiro. E siamo sempre rimasti
nel settore "uomo", salvo una piccola parentesi, proprio
nel 1998, durante la quale abbinavamo l'abbigliamento
uomo e donna. Ma era troppo caotico. Non si riusciva a
fare bene entrambe le cose, era molto difficile da gestiere
commercialmente parlando. Perciò decidemmo di ascoltare
il nostro Dna e scegliemmo l'uomo».
In questi anni come è cambiato l'abbigliamento maschile?
Gentile: «Non è cambiato, si è evoluto. E' lo stile di vita
che cambia l'uomo e le sue esigenze. Prima, per esempio,
si vendevano tanti cappotti e abiti. Oggi la gente va in
moto anche al lavoro. Non trascuriamo mai l'eleganza, ma
cambia anche il gusto».
Marzulli: «Una volta si portavano i pantaloni 25, cioè tipo
quelli che usava Adriano Celentano, a zampa di elefante.
Oggi sono 20 o 21, oppure 19».
Gentile: «Poi l'uomo veste con più sartorialità. Prima le
giacche erano 2 bottoni e ora sono a 3. Le giacche, inoltre,
sono molto più corte. Le giarrettiere per le calze sono
sparite perchè oggi le calze sono tutte alte. Sono quasi
scomparse le bretelle e i cappelli tipo Borsalino o le coppole
inglesi, mentre ora vanno le scuffie di cachemire».
E i gemelli?
Marzulli: «Ora si stanno usando a tempo pieno. Ma ciò
che ci ha sempre contraddistinto è il gusto. Ci riconosciamo
leader in questo ed è per questo che siamo un riferimento
in Puglia per l'abbigliamento maschile. Ci distinguiamo
per la qualità, in tutto. Siamo nati così. Siamo cari, ma di
qualità».
Gentile: «Sì, siamo cari ma belli e i capi sono come noi».
Quante cravatte vendete?
Gentile. «Fino a qualche anno fa, gli uomini ne compravano
molte. Oggi, da 2 o 3 anni a questa parte, molto meno».
A causa della crisi?
Gentile: «No. Semplicemente l'uomo contemporaneo usa
meno la cravatta».
Marzulli: «Prima andavi in banca e, alla cassa, trovavi
sempre giacca e cravatta. Oggi non più. Però vale sempre
il discorso che "vestire è cultura". Se questa cultura ce l'hai
è bene, sennò puoi solo perdere la testa dietro alle griffes.
Come i più giovani che vanno dietro a tutto ciò che è
"logato"».
Vi rifornite all'ingrosso?
Marzulli: «No, no, i nostri fornitori sono i produttori. Ne
abbiamo tantissimi e non possiamo elencarli tutti ma, per
esempio, abbiamo Kiton, Attolini, Sartorio, Isaia, Caruso.
Per la maglieria: Cucinelli, Ballantyne, Loro Piana, Fray.
Mimmo: «La nostra esperienza di vita è statadura. All'inizio, quando eravamo bambini,era bruttissimo. Perché facevi un po' di tuttoe 50 anni fa era normale. Poi però è statobellissimo. Mi è servito. Lavare a terra inquesto negozio mi è servito.Ne sono orgoglioso. Io oggi gestisco questostesso negozio. E' un'emozione troppo bella»
Per i pantaloni: Incotex, Rota, Jacob, Jeckerson, Camouflage,
Formicola, Fay. Per le scarpe Tod's, Hogan, Church, Santoni,
CarShoe. Abbiamo tutto. Abbiamo eliminato da poco
l'intimo ma uno potrebbe entrare qui da "I Gemelli" in
boxer e uscire vestito di nuovo, da capo a piedi».
Pensando a ricchi rimasti in... boxer a causa della crisi, i
vostri affari hanno risentito della lunga congiuntura
sfavorevole?
Genchi: «La crisi un po' si sente ma su abiti importanti,
abiti da 4-5.000 euro. Oggi chi si può permettere l'altissimo
livello si conta sulla punta delle dita».
Nel giro di un anno, la srl "I Gemelli" ha aperto, nei pressi
della sua sede, due nuovi punti vendita: un negozio di
scarpe ed uno di abbigliamento sportivo. Vi lavorano
quattro dei sei figli di Franco Gentile e Mimmo Marzulli,
ovvero Angela, Valentina, Antonio e Christian.
«Sì ma - precisa Franco Gentile - loro sono nostri dipendenti,
non sono ancora soci».
Marzulli: «Devono prima fare gavetta. Perché stare al
pubblico non è affatto semplice. Lo devi sentire quà (e
indica il cuore; ndr)».
Va detto che Gentile e Marzulli fanno parte di quella
generazione di commessi baresi che - lavorando sodo e a
costo di grandi sacrifici - è riuscita non soltanto ad
affrancarsi, ma anche a scalzare la vecchia nomenclatura
di commercianti. C'è stato anche un periodo, piuttosto
lungo a dir la verità, durante il quale, proprio grazie alle
loro capacità e ai loro risultati, hanno attirato le critiche
dell'allora "classe regnante" di Bari. I commercianti anziani
lo dicevano tra i denti: «Quelli sono solo commessi». Come
se le origini semplici e la lunga gavetta fossero una diminutio.
Si può immaginare con quale (giustificata) soddisfazione
oggi Marzulli può dire: «La nostra esperienza di vita è
stata dura. All'inizio, quando eravamo bambini, era
bruttissimo. Perché facevi un po' di tutto e 50 anni fa era
normale. Poi però è stato bellissimo. Mi è servito. Lavare
a terra in questo negozio mi è servito. Ne sono orgoglioso.
Io oggi gestisco questo stesso negozio. E' un'emozione
In alto a sinistra: FrancoGentile e Mimmo
Marzulli con alcunidei dipendenti
In alto a destra:il negozio conserva
una tradizione sartorialeA destra: una delle
numerose vetrinedel negozio
troppo bella».
«Ed è per questo - continua - che i nostri figli sono tra i
nostri 20 dipendenti. Perché bisogna imparare. Gli
improvvisati nel nostro mestiere non vanno lontano. Noi
infatti siamo cresciuti, anno dopo anno. Ed è un lavoro
semplice solo in apparenza. Perché noi a gennaio vediamo
il campionario per l'inverno successivo. Sei ancora in pieno
inverno e non è affatto semplice scegliere cosa andrà, cosa
comprare e in quali quantità».
«Per i nostri figli - dice Marzulli - valgono gli stessi principi
che valgono per noi: educazione col cliente e mai forzare
una vendita. Se quel cliente non compra, pazienza. Pazienza
ed educazione».
Qual è il giudizio su queste grandi catene monomarca che
stanno conquistando il centro di Bari?
«A noi non ci tocca - chiarisce il commerciante - La nostra
attività non cambia anche se aprono mille grandi magazzini.
Tocca però a chi ha negozi di livello "medio" o "basso". E
questo mi dispiace perché stanno in grave crisi. Forse
devono rivedere i meccanismi per la concessione delle
licenze oppure trovare un modo per proteggerli. Ma ci
vuole anche più formazione».
Che tipo di formazione?
«Magari un corso per i dipendenti, perché possano servire
meglio il cliente e possano capire più a fondo il capo
d'abbigliamento. Servirebbe a tutti e a tutti i livelli. Ma
manca questa formazione, così come manca per i sarti».
Per i sarti?
«Sì. Per esempio, a Napoli esiste una scuola per i sarti, l'ha
aperta Kiton. Ma a Bari non esiste. Io non so tra 10 anni (o
forse 10 sono già troppi), dove andremo a finire. Tutti i
sarti sono anziani, non ci sono i giovani. Ci vorrebbe una
scuola perché ne abbiamo bisogno e c'è tanto lavoro. Noi
abbiamo 4 sarti e non bastano mai. Un sarto per noi è un
completamento dell'abito. Quel cliente che ha intravisto
prima, non ha trovato semplicemente una vasta scelta di
abiti, educazione e un servizio di classe. Lui ha comprato
abiti completi, perfetti al millimetro».
Marisa Ingrosso, giornalista de “La Gazzetta del Mezzogiorno”
Il fenomeno ha acquisito in Italia una dimensione allarmante
Cervelli in fuga, senza ritorno
iglio mio, stai per finire la tua Università; sei stato
bravo. Non ho rimproveri da farti. Finisci in tempo e bene:
molto più di quello che tua madre e io ci aspettassimo. È
per questo che ti parlo con amarezza, pensando a quello
che ora ti aspetta. Questo Paese, il tuo Paese, non è più un
posto in cui sia possibile stare con orgoglio….
Questo è un Paese in cui, se ti va bene, comincerai
guadagnando un decimo di un portaborse qualunque; un
centesimo di una velina o di un tronista; forse poco più di
un millesimo di un grande manager che ha all’attivo
disavventure e fallimenti che non pagherà mai”.
Questo estratto della bella lettera scritta da Pier Luigi Celli
al figlio, è un ritratto decisamente amaro dell’Italia che,
ormai, è un Paese dal quale - allo stato delle cose - non
resta altro che fuggire.
L'espressione "fuga dei cervelli" indica l'emigrazione verso
Paesi stranieri di persone di talento o alta specializzazione
professionale.
Il fatto che giovani neolaureati e neodottorati vadano a
lavorare in università e centri di ricerca esteri non è in sé
negativo. La ricerca è fortemente globalizzata e i grandi
centri di ricerca attirano persone brillanti provenienti da
tutto il mondo perché la ricerca non conosce frontiere.
La cultura scientifica di un Paese aumenta se il flusso di
scienziati in uscita e in entrata è continuo e robusto.
Naturalmente il flusso deve essere bidirezionale. Se il
movimento dei cervelli è unidirezionale e dopo la partenza
non c'è ritorno, allora lo scambio salutare diventa dannoso
drenaggio. La differenza tra l'Italia e gran parte dei Paesi
avanzati è questa: da noi il flusso di scienziati è quasi
interamente in uscita e, per di più, chi parte raramente ha
in tasca il biglietto di ritorno. Più semplicemente: l'Italia
esporta gratuitamente cervelli.
Le conseguenze culturali di questa singolare esportazione
sono certo gravi, anche se difficili da quantificare. Ma
quelle economiche sono sotto gli occhi di tutti. Il nostro
Paese è l'unico, tra i circa trenta dell'Ocse (l'organizzazione
dei Paesi più industrializzati), ad avere un deficit strutturale
nella bilancia dei pagamenti relativa alle tecnologie più
avanzate. E la forbice aumenta non solo nei confronti dei
Paesi più avanzati, ma anche dei Paesi emergenti. La
competitività nel campo dell'hi-tech è strettamente legata
“F
L'emigrazione verso Paesi stranieri di persone di talento o altaspecializzazione professionale è la misura di quanto un Paesestia smarrendo la capacità di pensare e progettare il futuro
A sinistra: Mario Ricco,inventore del Common Railcon il suo staff di giovaniricercatori del CentroRicerche Fiat di Valenzano (Ba)
agli investimenti in ricerca e sviluppo e al numero di
scienziati e ingegneri che lavorano in un Paese. Ne discende
che la fuga degli italici cervelli è connessa con la scarsa
competitività del Paese nei settori economici di punta.
Problema non secondario, per il nostro Paese, visto che la
nostra ottima competitività economica nel settore low-tech
si è retta, per molti lustri, su due parametri: il basso costo
del lavoro in Italia e la svalutazione continua della lira.
Ora non possiamo contare più né sulla prima leva (in fatto
di costo del lavoro la concorrenza dei Paesi del Terzo
Mondo è imbattibile), né sulla seconda leva (la nostra
moneta, l'Euro, è la stessa dei nostri principali competitori
europei ed è forte anche rispetto al dollaro americano e
allo yen giapponese). Per tutti questi motivi - e altri ancora
- l'Italia ha visto rapidamente diminuire la sua competitività
complessiva negli ultimi anni.
Le causeLe cause in Italia sono che la ricerca è sottofinanziata e
mal gestita. Tutto ciò si traduce in scarsa meritocrazia e,
in definitiva, nella scarsa capacità di trattenere e attrarre
intelligenze. Alcuni dei ricercatori italiani che decidono
di recarsi all'estero lo fanno per sfuggire a mali propri
dell'università italiana, quali baronie, nepotismi e
clientelismi e la scarsità dei fondi della ricerca, che rendono
le procedure di reclutamento e di carriera poco trasparenti.
La maggior parte di essi fugge, quindi, dalle scarse
opportunità economiche offerte dal proprio Paese.
La borsa di studio per un dottorato di ricerca in Italia è da
sempre assai inferiore rispetto ad altri Paesi avanzati, e i
giovani ricercatori migliori trovano facilmente lavoro
presso università e centri di ricerca stranieri, con livelli di
retribuzione adeguati, migliori tutele e soprattutto,
In alto: Luigi Palmieri,al centro della foto, con un
gruppo di ricercatori diScienze Biotecnologiche
dell’Università di BariA destra: il prof. Palmiro
Cantatore, ordinario diBiologia Molecolare alla
Facoltà di ScienzeMatematiche Fisiche e
Naturali dell’Universitàdi Bari con il suo
gruppo di ricercatori
interessanti prospettive di ricerca e inserimento
professionale.
La fuga dei cervelli dall'Italia non è un fenomeno che si
manifesta unicamente nel mondo della ricerca. Molti
giovani neolaureati interessati ad utilizzare e sviluppare
le proprie capacità lasciano l'Italia poiché non riescono a
trovare posizioni adatte alle loro capacità, ben remunerate
e soprattutto con migliori prospettive di fare carriera.
Si tratta quindi di migrazioni qualificate e quindi una
conseguente perdita di capitale umano.
Si è giunti alla conclusione che i migranti sono in possesso
di una maggiore quantità di capitale umano rispetto ai
residenti. Dalla differenza tra la perdita aggregata di
capitale umano della popolazione residente e tra il
guadagno aggregato del capitale umano, si è constatato
che le regioni meridionali, fatta eccezione per l’Abruzzo,
hanno perso quote sempre più consistenti di capitale
umano a vantaggio delle regioni del Centro–Nord . Sulla
base dei risultati ottenuti è possibile affermare che il Sud
ha subito una rilevante perdita di capitale umano. In
questo contesto, proporre interventi di politica economica
per alleviare e, possibilmente, contrastare la fuoriuscita
di individui con elevati livelli di capitale umano non è
facile. Le manovre che, presumibilmente, appaiono più
opportune sono quelle che mirano da un lato a ridurre il
mismatch nel mercato del lavoro, dall’altro ad agevolare
la creazione di imprese high-tech in grado di assorbire i
lavoratori più qualificati.
Le indicazioni appaiono più che sufficienti a confermare
l’esistenza di una grave fuga di cervelli dall’Italia. Una
fuga dei cervelli che si conferma come il sintomo più grave
ed evidente del male che affligge il sistema della ricerca
in un Paese. Ma per sistema della ricerca non va intesa
solo la ricerca scientifica, bensì più in generale l’intera
capacità di innovazione di un Paese. La fuga dei cervelli
è la misura di quanto un Paese stia smarrendo sia la visione
del proprio futuro sia la capacità stessa di pensare e
progettare il futuro. Tale fenomeno è preoccupante poiché
è suscettibile a rallentare il progresso tecnologico e
ovviamente, man mano che la fuga aumenta e si aggrava,
passiamo dal sintomo di una malattia ad una malattia
vera e propria. Ecco, perché chiunque si sia occupato di
fuga di cervelli ha paura da tempo che l’Italia sia un Paese
avviato verso il declino.
Melania Ricco, ricercatrice universitaria
l prestatore di lavoro ha nei confronti del datore di lavoro
due obblighi essenziali: obbligo della diligenza che è
specificato dall’art. 2104 del codice civile e obbligo della
fedeltà ai sensi dell’art. 2105 dello stesso codice.
E’ necessario sottolineare che i due obblighi di cui sopra
sono assolutamente autonomi, complementari e accessori
rispetto all’obbligo principale che è quello della prestazione
dell’attività lavorativa.
La diligenza deve essere intesa non come un obbligo
autonomo ma come la misura della subordinazione che
deve legare il prestatore di lavoro al proprio datore di
lavoro. A tale proposito è necessario sottolineare le
disposizioni contenute nell’art. 1176 del c.c. che recita:
“nell’adempiere l’obbligazione, il debitore deve usare la
diligenza del buon padre di famiglia”, norma collegata
strettamente a quanto contenuto nell’art. 2104 del c.c. che
obbliga il prestatore di lavoro “a usare la diligenza richiesta
dalla natura delle prestazioni dovute, dall’interesse
dell’impresa e da quello superiore della produzione
nazionale”.
Da tanto si evince, quindi, che la diligenza deve essere
valutata con riferimento alla natura dell’attività esercitata,
quindi la natura della prestazione non può non essere un
punto di riferimento per valutare l’atteggiamento dello
stesso prestatore di lavoro. Non è da sottovalutare che
l’art. 2104 del c.c. fa esplicito richiamo all’interesse
superiore della produzione nazionale come estensione al
raggiungimento di un fine comune superiore ovvero
dell’interesse della stessa nazione.
Inoltre non è da sottovalutare che l’interesse soggettivo
che deve essere soddisfatto è quello dell’imprenditore,
mentre quello oggettivo deve avere come punto di
riferimento l’impresa distinta dall’imprenditore e intesa
quale organizzazione di lavoro.
A tale proposito è necessario richiamare l’art. 41 della
Costituzione che mette in stretta correlazione la libertà
di iniziativa privata alla utilità sociale, che certamente
pone un limite alla libertà dello stesso imprenditore.
Nel momento in cui l’art. 2104 del c.c. per determinare la
diligenza del lavoratore all’interesse dell’impresa non
può non avere un ruolo secondario rispetto alla natura
della prestazione, laddove si impone a coloro che hanno
A sinistra: i giornalistidella redazione di frontiera TVla web television con sedea Foggia dedicata ai temidell’immigrazione edell’interculturaph. Gaetano Lo Porto
I
intrapreso un rapporto obbligatorio un comportamento
secondo buona fede e correttezza tenendo conto il tipo di
lavoro, le mansioni svolte e le modalità richieste.
Il concetto di diligenza stabilito dall’art. 2104 del c.c. deve
essenzialmente ritenersi come unione tra i vari obblighi
a cui è tenuto il prestatore di lavoro e cioè obbligazione
principale di prestare l’attività lavorativa, l’obbligo di
obbedienza, di osservanza, senza sottovalutare l’obbligo
di fedeltà.
L’obbligo di fedeltà esaminato dall’art. 2105 del c.c.
presenta un aspetto di effettiva autonomia rispetto alla
prestazione di lavoro che deve concretizzarsi
nell’astensione a qualsiasi comportamento che vada contro
l’interesse dell’impresa violando la stretta fiducia che non
può non essere tra le parti di un contratto di lavoro.
L’obbligo di fedeltà sanzionato dall’art. 2105 del c.c. “sta
a significare che il prestatore di lavoro non può trattare
affari per proprio conto, di terzi, in concorrenza con
l’imprenditore, né divulgare notizie attinenti
all’organizzazione e ai metodi dell’impresa”.
L’obbligo di fedeltà quindi è a tutela dell’interesse
dell’imprenditore ed è ricollegato al dovere di buona fede,
art. 1175 del c.c., quindi come obbligo accessorio a quello
essenziale relativo alla prestazione di lavoro che rientra
nei cosiddetti “obblighi di protezione”. Quindi la fedeltà
va individuata alla stregua della direttiva di buona fede.
La concorrenza sleale deve essere intesa, e quindi vietata,
non solo con riguardo a quella indicata ai sensi dell’art.
2598 del c.c., ma a tutto ciò che concerne l’illecito
contrattuale. La suprema Corte di Cassazione (sentenza
313/96 sezione lavoro) ha statuito che per concretarsi la
violazione dell’obbligo di fedeltà “E’ sufficiente anche la
In alto: autofficinaph. Saverio De Giglio
A destra: laboratorio di ricercaph. Saverio De Giglio
mera predisposizione di un’attività contraria agli interessi
del datore di lavoro, che sia lesiva di danno”. Inoltre la
stessa Cassazione con sentenza 2822/90 ha statuito che
“il dovere di fedeltà si sostanzia nel divieto di trattare
affari per conto proprio o di terzi, in concorrenza con
l’imprenditore nel medesimo settore produttivo o
commerciale, senza che rilevi la idoneità o meno di tale
comportamento ai fini della sussistenza della concorrenza
sleale”.
Per quanto riguarda il discorso sulla concorrenza sleale,
la natura giuridica degli atti che si concretizzano in
concorrenza sleale sono atti illeciti e rientrano tra quelli
disciplinati negli artt. 2598/2601 del c.c.. Altro
orientamento sia giurisprudenziale che dottrinale mira
a identificare gli atti di concorrenza sleale come del tutto
autonomi a quello del fatto illecito in quanto l’illecito
concorrenziale non ha come presupposto il danno effettivo
né elemento di dolo o colpa proprio in quanto si tratta di
fattispecie del tutto separata.
Per aversi concorrenza sleale e quindi il successivo
risarcimento, è necessario che ci sia l’elemento necessario
della qualità di imprenditore del soggetto in un campo
di diretta concorrenza con quello di colui che ai sensi
dell’art. 2198 del c.c. chiede il risarcimento del danno.
Non è superfluo sottolineare che si può agire in via
riparatoria in caso di concorrenza sleale anche nei confronti
di non imprenditori in ossequio all’art. 2043 del c.c.
trattandosi di risarcimento per fatto illecito che deve
essere visto come fattispecie generale mentre l’art. 2598
del c.c., ne è una specificazione.
Nei confronti di un terzo che pone in essere ai danni di
un imprenditore un atto che è esplicitamente vietato
dall’art. 2598 del c.c. l’azione risarcitoria ha come momento
di riferimento l’art. 2043 del c.c. in quanto il diritto
soggettivo leso va inquadrato nel momento di libertà
economica.
Comm. Dr. Nicola Macerollo, dirigente dello Stato, cultore
della materia Diritto del Lavoro, Facoltà di Giurisprudenza,
Bari
anima della più grande Campionaria del Mediterraneo
è riuscita, anche quest’anno, a conquistare il grande
pubblico offrendo un mix esclusivo di tradizione e
rinnovamento, tecnologia e cultura, economia e politica,
affari e solidarietà. Nonostante l’evidente crisi
congiunturale e la riduzione degli spazi, il bilancio finale
della 74.a edizione della “Fiera del Levante” parla di un
chiaro successo di presenze: ben 900mila visitatori in nove
giorni, con un incremento del 5% rispetto al 2009 ed oltre
800 espositori provenienti da 40 Paesi esteri.
La Campionaria barese, numeri alla mano, si è confermata
un momento unico d’incontro ed aggregazione tra territori
e Paesi per approfondire tematiche di rilevante attualità:
dalle prospettive del settore energetico, della bioedilizia
e dell’agricoltura, al ruolo del Sud, dal Corridoio VIII alla
ritrovata centralità del Mediterraneo.
EnergiaTra i molteplici convegni in calendario, si è rinnovato il
tradizionale appuntamento con la “Giornata dell’energia
pulita”, organizzata dall’Ente Fiera del Levante e dalla
Promem Sud Est. Nel corso della 4° edizione si sono
incontrati pubblicamente, per la prima volta dall’entrata
in vigore del nuovo conto energia, rappresentanti del
mondo istituzionale, bancario e della ricerca insieme con
gli esperti del settore, per discutere di sviluppo delle
energie rinnovabili. “La Giornata dell’energia pulita – ha
spiegato Massimo Leone, Amministratore Delegato di
Promem Sud Est – vuole rappresentare una sorta di
laboratorio culturale nell’ambito del quale approfondire
le dinamiche e gli scenari che caratterizzeranno il mercato
delle energie rinnovabili nei prossimi anni, soprattutto in
relazione alle novità introdotte dal nuovo conto energia,
entrato in vigore lo scorso 25 agosto”. Nel corso della
“Giornata dell’energia pulita” particolare attenzione è
stata rivolta anche all’evoluzione tecnologica in tema di
efficienza energetica e bioedilizia, per diffondere sul
territorio un nuovo modo di costruire finalizzato a
realizzare un prodotto edilizio più evoluto che minimizzi
l'utilizzo delle risorse ambientali. In questa direzione il
distretto dell’edilizia sostenibile, promosso da ANCE
Puglia, ha colto l’occasione per costituirsi in associazione
L’
La Campionaria barese si è confermata un momento unico d’incontro traterritori e Paesi per approfondire tematiche di attualità: dalle prospettivedella piccola impresa al settore energetico ed alla nuova agricoltura
A sinistra: vari momentidella 74a edizionedella Fiera del Levanteph. Christian Mantuano,Mira, Studio Corcelli,Saverio De Giglio
assumendo la veste giuridica necessaria per partecipare
ai bandi di gara attesi nei prossimi mesi ed accedere ai
finanziamenti per lo sviluppo delle attività del distretto.
“Il passaggio formale – ha sottolineato Salvatore Matarrese,
presidente del Distretto dell’edilizia – rappresenta una
svolta importante perché il rilancio del settore delle
costruzioni in Puglia, sia in termini di occupazione che
di lavoro per le imprese pugliesi, passa anche attraverso
l’avvio dei progetti del distretto. Per questo auspichiamo
che la Regione convochi quanto prima i distretti per
condividere le azioni prioritarie da mettere in atto e
concordare rapidamente i percorsi per l’accesso ai
finanziamenti disponibili”.
Il tema dell’energia è stato, inoltre, al centro del convegno
“Obiettivi Energia 2020: quali protagonisti” che ha impegnato
in Fiera, esponenti locali e tecnici orientati ad un politica
energetica alternativa. Un progetto che punta ad un’Europa
pulita, sostenibile ed efficiente, suggellato dal Patto dei
sindaci a livello nazionale ed europeo, per ridurre le
emissioni inquinanti, con la partecipazione di 500 comuni
italiani, di cui 100 del territorio pugliese. L’incontro
dedicato all’energia pulita ha affrontato anche
problematiche connesse al rispetto dell’ambiente ed alla
salvaguardia delle biodiversità, così come rilevato da
Antonello Del Vecchio, vice presidente di Slowfood Puglia:
“solo difendendo il nostro territorio possiamo avere sulle
tavole prodotti buoni, puliti e giusti. Alla sostenibilità
ambientale però bisogna associare anche quella sociale:
solo accorciando la filiera si può garantire l’equità sociale.
Gli attori del futuro sono i contadini e i consumatori
consapevoli”.
AgroalimentareDi competitività del settore agroalimentare puglieseattraverso i Progetti Integrati di Filiera (PIF) si è parlato
nel corso del convegno su “Progetti integrati di Filiera:
strumento per rafforzare la competitività del sistema
agroalimentare pugliese”, organizzato dall’assessorato alle
Risorse Agroalimentari della Regione Puglia, nell’ambito
di “Agrimed”, salone specializzato alla Fiera del Levante.
L’assessore regionale Dario Stefàno ha spiegato il proposito
della Regione Puglia di dare vigore alle misure previste
nel Piano di Sviluppo Rurale Puglia 2007/2013.
“L'obiettivo è garantire – ha dichiarato Stefàno - una
maggiore competitività dei prodotti agroalimentari pugliesi
sui mercati nazionali ed internazionali, ma anche delle
imprese che faticano a reggere il confronto con un mercato
sempre più allargato. Per raggiungere questo scopo la
Regione ha stanziato 200 milioni di euro, quali risorse del
PSR, da destinare alle imprese agricole e di trasformazione
associate nei PIF, realizzando investimenti concreti. Sono
risorse e strumenti fondamentali per avviare una modifica
strutturale dell’agricoltura regionale, per iniziare a gettare
le basi di un cambiamento e di un miglioramento delle
criticità di un settore che deve puntare alla competitività.
Si tratta di strumenti innovativi, e per certi versi coraggiosi,
con cui dare risposte ai problemi dell’intero sistema
agroalimentare”.
Ma la spesa dei finanziamenti comunitari in favore
dell’agricoltura, previsti dal Piano di Sviluppo Rurale
Puglia, è strettamente legata alla possibilità di accedere
al credito. In merito si è discusso nel convegno organizzato
da Creditagri Coldiretti Puglia, intitolato “L’accesso al
credito per dare vigore alla filiera agricola tutta italiana”, nel
corso del quale si è potuto riscontrare che già 37 sui 61
Progetti Integrati di Filiera complessivi sono giunti in
dirittura d’arrivo, per un costo di 389 milioni di euro e
un ammontare dell’aiuto pubblico di 197 milioni di euro.
Così come sono 1.600 i giovani imprenditori agricoli che
avvieranno la propria attività grazie alle risorse messe a
disposizione dal PSR Puglia 2007/2013. “Strategico, oltre
che indispensabile, - ha specificato il presidente della
Coldiretti Puglia, Pietro Salcuni - è avviare dialoghi
costruttivi con gli istituti di credito del territorio. Ora è
necessario che vengano creati strumenti di garanzia ad
hoc per permettere ai giovani imprenditori agricoli e alle
aziende che hanno scelto di fare squadra e presentare
progetti di filiera di poter realmente beneficiare di tali
risorse, dato che in assenza di tali fondi le banche non
In alto: esternodel padiglione Unioncamereph. Vittorio Arcieri
In alto: il convegno della Ciaph. Saverio De Giglio;
il presidente della commissioneagricoltura del ParlamentoEuropeo Paolo De Castro e
l’assessore all’Agricoltura dellaRegione Puglia Dario Stefàno
ph. Vittorio Arcieri
sono disposte ad erogare le anticipazioni”.
Per fare il punto sulle problematiche connesse al settore
agricolo, la Confederazione nazionale agricoltori di Puglia
(Cia) ha organizzato un convegno regionale sul tema
“Mezzogiorno e agricoltura, priorità per l’Italia”. Alla
presenza di centinaia di agricoltori provenienti da ogni
parte della Puglia, il presidente della Cia Puglia, Antonio
Barile, ha posto l’accento sull’evidente sproporzione delle
risorse finanziarie a disposizione del comparto e
sull’emergenza criminalità. “Noi siamo veramente
convinti che il Mezzogiorno e l’Agricoltura siano le
priorità fondamentali per l’Italia. Non ci arrendiamo alle
politiche nordiste del governo nazionale che stanno
determinando un ulteriore allargamento del divario tra
Nord e Sud dell’Italia. Il Fondo per le aree sottoutilizzate
(FAS) doveva avere un ruolo chiave di riequilibrio
economico sociale e territoriale. Invece nel 2008, 2009, e
nel 2010 il governo nazionale ha utilizzato il FAS per
finalità estranee, che erano e che avrebbero dovuto
essere finalità meridionaliste. Dal 1 agosto scorso – ha
precisato Barile - è stata cancellata la fiscalizzazione dei
contributi Inps per le aree svantaggiate del Mezzogiorno,
con il quasi raddoppio degli oneri sociali. Per la Puglia,
la regione che più assume manodopera agricola con 15
milioni di giornate lavorative annue, significa pagare 56
milioni in più all’Inps. Ecco, se il governo utilizzasse il
bancomat dei Fas per la fiscalizzazione Inps avrebbe la
nostra approvazione. Nel 2010 l’agricoltura del
Mezzogiorno e pugliese ha bisogno di certezze di fronte
al Processo di Barcellona, che l’Area di libero Scambio
EUROMED, che prefigura un opportunità per i Paesi
dell’UE Centro-settentrionale e Italia del Nord che sono
maggiormente specializzati in produzioni continentali
ed hanno una struttura industriale tecnologicamente
avanzata ed efficiente. Il Mezzogiorno e l’agricoltura –
ha aggiunto Antonio Barile, spostando l’attenzione sulla
questione sicurezza – sono soli di fronte alla recrudescenza
della criminalità mafiosa ed economica. Oggi più che mai
la saldatura tra potenza economica e prepotenza criminale
appare chiara e condiziona la nostra vita civile e la nostra
attività produttiva. L’attività della criminalità comune e
organizzata in agricoltura ha compiuto un salto di qualità,
trasformandosi in quelle che definiamo agromafie e
agropiraterie. Esse sono intente soprattutto alla
sofisticazione e alle operazioni di dumping sui prodotti
agricoli, e alla depredazione dei certificati verdi con i
grandi parchi eolici e fotovoltaici grazie alle maglie larghe
della legge. Per queste ragioni chiediamo l’istituzione e
la convocazione permanente di una Cabina di regia dei
controlli delle agromafie e dell’agropirateria”.
Ultimo e non meno importante, sempre in tema di
agricoltura, la “Prima conferenza nazionale di ascolto
sulla riforma della Pac” che ha riunito alla Fiera del
Levante il Parlamento Europeo (con il presidente della
Commissione agricoltura Paolo De Castro), il Governo
nazionale (con il sottosegretario alle Politiche agricole
Buonfiglio) e tutte le Associazioni nazionali di Categoria.
Forte del coordinamento della Commissione Politiche
agricole nazionali, guidato dall’assessore regionale Dario
Stefàno, la Puglia ha dato vita alla prima vera occasione
di discussione su un tema strategico importante, come
la riforma della nuova Politica agricola comunitaria. In
platea, anche i colleghi delle altre Regioni d’Italia. Tutti
concordi nell’affidare alla Commissione Politiche agricole
e all’assessore Stefàno il compito nei prossimi mesi di
tirare le somme e stilare il documento da presentare, poi
alla Commissione europea, con la ricetta “italiana” sulle
strategie necessarie all’agricoltura dei prossimi vent’anni,
“colmando – aggiunge lo stesso Stefàno - una inerzia del
governo nazionale che tiene l’Italia ai margini dei processi
di costituzione di uno strumento così strategico”.
Artigianato e piccola impresaNel ricco calendario congressuale della 74esima edizione
della Campionaria barese non è mancato il classico
appuntamento con la “Giornata dell’artigianato pugliese”,
quest’anno dedicata a “Piccola impresa: sfida decisiva tra
sussidiarietà, liberalizzazione, territorio e mercato”. L’incontro
organizzato dalla Confartigianato Puglia, ha focalizzato
l’attenzione sulle attività produttive pugliesi, sulla crisi
economica che le attanaglia, sugli sforzi delle micro e
piccole imprese pugliesi per sopravvivere ed i possibili
spiragli per ritornare a respirare aria migliore (ne riferisce
in apertura di Bari Economica in un articolo interamente
dedicato ai temi trattati nella giornata, Mario Laforgia, ndr).
Volgendo lo sguardo oltre i confini della regione, per
rafforzare i legami tra territorio e resto del mondo, in
linea con la missione storica della Fiera del Levante, si è
svolto il seminario “Scambi logistici tra la Puglia e l’Olanda”,
promosso da Confidustria Bari, BAT e Puglia, Kingdom
of Netherlands e Holland Pioneers in International
Business. Un focus sulle possibilità di interscambio
economico e culturale tra due regioni geograficamente
lontane, ma sorprendentemente vicine quanto ad interessi
ed attitudini commerciali. “Puntiamo ad un sistema
integrato, regionale interregionale ed internazionale, in
nome della globalizzazione sana e produttiva. E in questa
prospettiva euro-mediterranea – ha sottolineato il
presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola -
Rotterdam potrà essere non più un semplice “competitor”,
ma un alleato di riferimento, un maestro da cui andremo
a scuola per imparare”.
Altro seminario organizzato da Confindustria Bari, Bat
e Puglia, in collaborazione con l’Ufficio per la
Cooperazione italiana in Albania, ha riguardato il
“Programma Italo-Albanese per lo sviluppo delle Piccole
91
e Medie Imprese Albanesi”. Un’occasione di incontro per
perfezionare i rapporti tra i due Paesi, alla luce
dell’accordo in essere tra il Governo Italiano ed il Governo
Albanese per sostenere, con una Linea di Credito,
finanziamenti a tasso agevolato per le Piccole e medie
impresi (PMI) Albanesi per l’acquisto di tecnologia
italiana.
Delle relazioni economiche con l’Albania e delle
prospettive di internazionalizzazione delle regioni del
Sud Adriatico con quelle che si affacciano nel Mar Nero
se n’è discusso anche a margine degli incontri svolti in
Fiera presso la sede del Segretariato Corridoio VIII. Un
padiglione interamente dedicato all’organo tecnico che
coordina le azioni messe in campo dai quattro Paesi
aderenti (Italia, Albania, Macedonia e Bulgaria), divenuto
dal 2004 un importante punto di riferimento per le
istituzioni e gli imprenditori interessati agli scambi con
i Paesi balcanici. Nel corso dell’incontro inaugurale del
padiglione che ha ospitato il Segretariato del Corridoio
VIII, Massimo Lupis, in qualità di amministratore delegato
della FdL servizi, ha annunciato che entro dicembre 2010
Puglia e Bulgaria costituiranno i due estremi del Corridoio
VIII, per formare la prima euroregione italiana ed
intensificare gli scambi tra loro.
Sul piano politico-istituzionale, l’appuntamento clou
della 74esima edizione della Campionaria barese è stato
il convegno organizzato dal ministero degli Affari Esteri,
in collaborazione con l’Unione Europea e la Regione
Puglia, sul tema “Verso la Costituzione della Macro Regione
Adriatico - Ionica”. Un progetto, allo stesso tempo nazionale
e internazionale, che punta ad esaltare la nuova
dimensione cosmopolita dell’uomo moderno, e ad
instaurare rapporti di sinergia tra tutte le aree affacciate
sull’Adriatico, quali le varie regioni italiane, gli altri Paesi
dell’UE e anche i Paesi extra-europei, per un bacino
complessivo di oltre 600 mila km2 e quasi 100 milioni di
abitanti. “Sono felice che si cominci a parlare seriamente
di una Regione Adriatica. La Campionaria barese – ha
precisato Cosimo Lacirignola, presidente dell’Ente Fiera
- ha ovviamente uno sguardo privilegiato per l’Oriente
ed il Mediterraneo: per noi quest’iniziativa ha un
significato particolare, la seguiremo e non le faremo
mancare il nostro supporto”. Un incontro, quest’ultimo,
che ha comprovato la capacità della Fiera di saper svolgere
ancora una volta il ruolo di interlocutore di riferimento,
riuscendo ad individuare assieme ad altri partners
strategie condivise per creare una zona di più forte
stabilità e sicurezza istituzionale, sociale e finanziaria.
Giuseppe Castellaneta, giornalista
Nella pagina accanto: unodei manufatti realizzatidai ragazzi seguiti dai ServiziMinorili della Giustiziaph. Studio Corcelli;in alto: il padiglione delsegretariato tecnicodel Corridoio Paneuropeo VIIIph. Vittorio Arcieri
La formazione degli addetti al commercio e al turismo
Dal Politecnico del Commercio all’IfocFu un sogno-obiettivo coltivato sin dagli anni Settanta dalla FederazioneProvinciale dei Commercianti per rispondere alle sollecitazioni espresse dallacollettività barese, in una crescente domanda di beni e di servizi qualificati
A sinistra:ph. Christian Mantuano
potizzare, negli anni ’70, la creazione di un Politecnico
del Commercio nel Mezzogiorno d’Italia era non solo un
sogno irrealizzabile ma anche una sfida all’arretratezza
strutturale e culturale del commercio e del turismo.
Ed era tanto più irrealizzabile il sogno quanto vincente
la sfida se, a ipotizzarla, era un’organizzazione sindacale
e non invece una istituzione governativa. Quel sogno e
quella sfida furono due ingredienti fra i più qualificanti
del programma del neo presidente della Federazione
provinciale dei commercianti, dott. Luigi Farace, come si
rileva dall’intervista rilasciata alla Gazzetta del Mezzo-
giorno all’indomani della sua elezione, avvenuta nel
gennaio del 1970.
Questi alcuni passaggi dell’intervista.
“Noi operatori commerciali dobbiamo prepararci a rispon-
dere alle sollecitazioni che saranno espresse dalla collettività
barese e che si tradurranno in una crescente domanda di
beni e di servizi.”
Ed ancora: “Il nostro apparato commerciale e quello del
turismo dovranno organizzarsi meglio per soddisfare queste
maggiori esigenze, rivoluzionando i sistemi di vendita,
potenziando i servizi con razionali e moderne attrezzature
ed operando infine tutti quei necessari adattamenti strut-
turali e culturali richiesti dalla nuova situazione sociale ed
economica”. E per raggiungere questo risultato, l’intervistato
concludendo, indicava la strategia da seguire: “Occorrerà
sviluppare una più intensa azione promozionale che, al di
là di meri interessi settoriali miri ad accelerare lo sviluppo
dell’intera economia provinciale di cui il commercio e il
turismo sono due delle componenti più importanti”.
Ed un’azione promozionale, per Farace, passava dalla
formazione professionale come si legge in un’altra intervista
rilasciata un mese dopo sempre alla Gazzetta:
“E’ nostra intenzione, d’intesa con la Camera di Commercio,
di accelerare i programmi di qualificazione professionale,
cercando di istituzionalizzare l’iniziativa con la creazione
di un ente simile a quello di Milano” (nella città lombarda
era sorto da poco il Politecnico del Commercio).
Questo programma veniva ripreso sulla prima pagina da
Il Giornale del Commercio – organo ufficiale della Federa-
zione, con titolo e sottotitolo molto eloquenti come risulta
dalla riproduzione fotografica.
I
A destra: Mario Muccinel suo negozio diconfetti ad Andria
La fondazione del PolitecnicoIn linea con queste dichiarazioni, dopo un intenso lavoro
illustrativo della iniziativa presso Regione Puglia e Camera
di Commercio, finalmente nel novembre del 1971 nasceva,
con atto del notaio Mario Scialpi, registrato il successivo
2 dicembre con il numero 4610, la Fondazione del Politec-
nico del Commercio del Levante.
Essa aveva il compito di:
• “promuovere, sviluppare e perfezionare la preparazione,
a qualsiasi livello degli operatori e degli addetti al com-
mercio e al turismo attraverso l’attuazione di corsi profes-
sionali e di iniziative idonee a sviluppare la loro professio-
nalità e la imprenditorialità”;
• “svolgere attività di studio, informazione e documenta-
zione sulle problematiche dei diversi settori economici,
sulle situazioni di mercato, sulla dinamica dei consumi,
sulla gestione di impresa e sulla diffusione tecnologica”.
Si costituirono il dott. Luigi Farace, per la Federazione
barese, il comm. Domenico Rosa Rosa, per quella foggiana
e per l’istituto bancario del Monte di Pietà di cui era
presidente, il comm. Vitantonio De Giorgi per l’associazione
brindisina.
Dava importanza e spessore economico all’iniziativa la
costituzione nell’atto notarile anche del dott. Carlo Pitto,
direttore generale della F.A.I.D., associazione che raggrup-
pava la Standa e la Upim del gruppo Rinascente, aziende
della grande distribuzione italiana all’epoca presenti in
Puglia.
Va ricordato peraltro che l’iniziativa di Farace si inseriva
nel solco tracciato, nel settore della formazione professio-
nale, dalla stessa Federazione barese, come risulta dalla
documentazione fotografica che si riproduce e che vede
fra i suoi protagonisti i Sotto Segretari on. li Resta e Cajati
e l’on. le Carcaterra.
Il progetto del PolitecnicoIl progetto di massima fu impostato tenendo presente le
effettive esigenze didattiche, tecnico – pratiche, ricreative
e sportive che un Centro di studio e di addestramento
doveva assicurare ed essere in grado di poter affrontare
con mezzi e strutture adeguate la sfida che poneva
l’ingresso dell’Italia nel Mercato Comune. Esso prevedeva
l’organizzazione di corsi:
• di primo addestramento nonché di qualifica e specializ-
zazione per addetti vendita generi alimentari e abbiglia-
mento;
• addetti al commercio estero, ai servizi dogana e spedi-
zione.
Particolare attenzione veniva rivolta infine alla organizza-
zione di corsi per interpreti – traduttori di lingua inglese,
tedesca, russa e spagnola.
Per raggiungere questi obiettivi il progetto prevedeva un
corpo di fabbrica composto da: un’ala studio ed esercita-
zioni con 40 aule per le lezioni; un centro elettronico; un’ala
ricreativa; un’ala per esercizi commerciali dimostrativi,
un’ala convitto per ospitare i non residenti, nonché attrez-
zature sportive all’aperto e verde.
Ad una lettura attenta del progetto si può concludere che
riviveva, nel progetto Politecnico della Federazione la
Scuola di commercio con Banco Modello la cui istituzione
aveva avuto, alla fine dell‘800 come protagonisti figure
mitiche dell’imprenditoria commerciale barese.
La cubatura totale di ca. 100 mila mc, prevedeva un impe-
gno di spesa di lire 1.750.000.000, cui si sarebbe fatto fronte,
in massima parte, con un finanziamento della Cassa per
il Mezzogiorno secondo la legislazione vigente all’epoca.
All’iniziativa, per la formulazione progettuale, Farace
chiamò i protagonisti del progetto milanese: il dott. Nicola
Stagnani (padre del giornalista – scrittore Vittorio) e il
dottor Ettore Scaravelli, entrambi funzionari della Unione
Commerciante di Milano, nonché il barese ing. Raffaele
Ripa, direttore dell’ ASI.
Convergenti propositiSin dai primi atti l’iniziativa sembrava avviata verso una
positiva conclusione per convergenti propositi di autorevoli
rappresentanti di enti ed istituzioni:
• il presidente della Giunta della Regione Puglia, l’avv.
Gennaro Trisorio Liuzzi, non si limitò ad esprimere il più
vivo e sentito apprezzamento che indirizzò a Farace, ma
ribadì l’incondizionato appoggio nelle dichiarazioni pro-
grammatiche svolte nel corso della riunione del Consiglio
Regionale del gennaio del 1971 in questi termini: “è dove-
roso riconoscere carattere di priorità alla istituzione in
Puglia del Politecnico del Commercio”;
• il presidente della Camera di Commercio, Cav. del Lav.
Vincenzo La Gioia che dava notizia, con nota nr. 6150 del
12 marzo 1971, della delibera assunta dalla Giunta camerale
di adesione all’iniziativa;
• l’Istituto di Ricerche Farmacologiche “Mario Negri”, su
sollecitazione di Stagnani e Scaravelli, decise di creare un
omologo istituto nel Sud. Tale decisione si concretizzò
nella richiesta di finanziamento avanzata, nel giugno del
1972, dal predetto istituto alla Cassa per il Mezzogiorno.
• il Comune di Conversano deliberò di donare alla Fon-
dazione il suolo necessario su cui costruire sia l’immobile
Politecnico sia la sede per l’Istituto di Ricerca. Deliberò
altresì uno stanziamento di 100 milioni di lire da utilizzare
per l’acquisto degli arredi.
Sogno infranto e sfida vintaL’idea di creare a Bari o in un Comune della sua provincia
una sezione dell’Istituto di ricerca milanese, come istitu-
zione complementare e sussidiaria al Politecnico del Com-
mercio, si rivelò purtroppo un boomerang.
L’allora ministro per il Mezzogiorno, l’on. Cajati, non
appena l’equipe tecnica gli ebbe illustrato il progetto e le
sue finalità, espresse da subito vivo entusiasmo per
l’iniziativa assicurando il suo personale interessamento per
il finanziamento richiesto già alla Cassa per il Mezzogiorno.
I rapporti pregressi tra il Ministro e la Federazione, risalenti
come abbiamo visto agli anni Sessanta, autorizzava il felice
esito della pratica di finanziamento.
Tutto concordava a ritenere che il traguardo fosse prossimo
ad essere raggiunto e che il sogno stesse per avversarsi!
Ed invece il Ministro pur assicurando, negli incontri
successivi, che avrebbe mantenuto l’impegno assunto
chiese in cambio qualcosa ovviamente non in termini eco-
nomici, ma nella individuazione del comune di Brindisi,
(città che aveva dato i natali al segretario regionale della
DC dell’epoca), come sede dell’Istituto di Ricerca.
Quella richiesta era irrealizzabile perché i dirigenti
dell’istituto di ricerca non intendevano spingersi più a sud
di Bari, dove sarebbe stato fra l’altro difficile trovare un
Comune disposto a dare il suolo.
Farace, di fronte a questa richiesta, non mancò nel gennaio
del 1973 di interessare il prof. Gabriele Pescatore, presidente
della Cassa per il Mezzogiorno, sollecitando le proprie
determinazioni sulla richiesta di finanziamento e nel marzo
successivo si rivolse, per il tramite del dott. Bernabei,
all’allora presidente del Consiglio on. le Andreotti.
Non mancò in quell’occasione di richiamare la ricaduta
positiva che avrebbe avuto il Politecnico sulla disoccupa-
zione giovanile quando scrive: “…se avremo dimostrato
di saper realizzare ciò che consentirà di alleviare la disoc-
cupazione dei giovani e a qualificare sempre a più alto
livello chi opera, dai primi gradini ai vertici, nei grandi
settori del commercio e del turismo, con le nostre personali
benemerenze aumenteranno anche quelle del governo da
Lei presieduto”.
Questi interventi diretti sia a Pescatore che ad Andreotti,
scavalcando la segreteria provinciale della DC, che voleva
salvaguardare il futuro dell’Istituto alberghiero, sorto anni
prima nel comune di Castellana Grotte; la nomina di
Marino a presidente della Camera di Commercio di Bari,
che aveva costituito una sezione del Capac Sud (centro di
formazione sorto a Napoli) di cui si perdettero subito le
tracce; il grave problema della ristrutturazione dell’ente
camerale ed infine il trasferimento del ministro Cajati dal
ministero del Mezzogiorno a quello per la Gioventù, furono
determinanti per far naufragare la coraggiosa iniziativa.
Ma se il sogno non si realizzò la sfida fu vinta!
In pochi anni, grazie alla collaborazione e al contributo
della EXPO CT, società espositiva creata dalla Unione dei
Commercianti di Milano, la Federazione organizzò nel
recinto fieristico rassegne specializzate di attrezzature
commerciali e turistiche che dettero un impulso decisivo
al rinnovamento della rete distributiva.
Dal Politecnico all’IfocMa per una storia della formazione professionale, sia pure
minore rispetto a quella che avrebbe potuto raccontare il
Politecnico va ricordato che nel 1986, su iniziativa congiunta
di Camera di Commercio e ancora una volta della Federa-
zione del Commercio e del Turismo, nacque l’IFOC (Istituto
di Formazione di Operatori Commerciali) che successiva-
mente, con delibera nr. 394/G del 10-06-1993 divenne
azienda speciale dell’ente camerale.
Le finalità statutarie dell’I.FO.C. sono:
• lo sviluppo, il perfezionamento, la preparazione ad ogni
livello, di imprenditori, di operatori ed addetti del terziario
avanzato, dei diversi settori economici e della Pubblica
Amministrazione attraverso la realizzazione di corsi di
formazione professionale gestiti con finanziamenti pubblici
e privati nell’ambito delle disposizioni vigenti;
• la promozione di iniziative atte a sviluppare la profes-
sionalità, la managerialità, l’imprenditorialità di giovani
diplomati e laureati attraverso interventi di tipo formativo,
consulenziale, di assistenza tecnica e di orientamento alla
cultura d’impresa;
• la progettazione, promozione, coordinamento e realiz-
zazione di interventi formativi a favore di disoccupati ed
inoccupati di lunga durata, favorendo le pari opportunità
uomo-donna e l’eliminazione delle condizioni di discrimi-
nazione e di esclusione sociale;
• lo svolgimento di attività di analisi, studio, informazione
e documentazione sulle problematiche che riguardano i
diversi settori economici; le novità del mercato, le dinamiche
dei consumi, la gestione d’impresa e la diffusione delle
tecnologie;
• l’approfondimento di studi e ricerche, anche a livello
universitario e post-universitario, sulla diffusione delle
diverse tecniche di organizzazione e di gestione aziendale;
• la collaborazione con enti, anche privati, aventi analoghi
scopi istituzionali sia in Italia che all’estero, per garantire
lo sviluppo della formazione professionale e della crescita
delle risorse umane.
L’Azienda Speciale persegue finalità di interesse pubblico
senza scopo di lucro.
La sua attività si inquadra nell’ambito della promozione
e dello sviluppo dell’economia perseguiti dalle Camere di
Commercio così come stabilito dalla Legge n. 580/93.
I.FO.C. è inserita nel circuito nazionale del sistema camerale
collaborando operativamente con:
• UNIONCAMERE, l’associazione nazionale delle Camere
di Commercio
• RETECAMERE, la struttura di servizio del sistema
nazionale delle Camere di Commercio
Giuseppe Lovecchio, già direttore Confcommercio Bari
In alto: alcuni articolidi stampa pubblicatisui giornali dell’epoca
on mollare mai, sembra essere questo l’insegnamento
trasmesso dalle storie che Mario Calabresi, giornalista ed
attuale direttore della Stampa, ha raccontato nel libro “La
fortuna non esiste”, edito da Mondadori.
L’autore, con uno stile semplice e mai retorico, ci fa conoscere
un mondo in difficoltà e pieno di problemi ma nel quale,
ad ogni latitudine geografica, esistono persone, i protagonisti
delle sue storie, in grado di trarre forza e speranza proprio
da quelle difficoltà.
Come Jawad, un giovane afgano, rifiutato dalle scuole
perché sprovviste di sedie adatte ai suoi handicap, che da
grande diventerà consulente del Pentagono. O come Stephen
e Iris, entrambi manager travolti dalla grande crisi ameri-
cana, talmente grave da spazzare via migliaia di analisti,
consulenti e vice presidenti esperti in business strategy, che
incrociano i propri destini quasi per caso e si ricostruiscono
una vita attraverso un nuovo lavoro ricco di solidarietà.
Ancora, i 738 operai di Jannesville, che dopo la chiusura
della fabbrica della General Motors, decidono di tornare a
scuola, di tornare a scuola insieme ai propri figli. C’è chi
tenta di realizzare il suo sogno di quando era ragazzo, chi
mette a frutto la sua passione per la cucina e decide di fare
il cuoco e così tutti pronti a ricominciare ed a rimettersi in
discussione.
Il libro si legge velocemente, è intrigante e pieno di ottimismo
e ci fa vivere questa America dai colori un po’ cupi ma in
cui gli abitanti non hanno mai dimenticato lo spirito di
frontiera, dove tutti sono pronti a ricominciare e dove è
stato possibile eleggere Presidente, contro tutte le previsioni,
Barack Obama. Alla fine, dunque, si deve concordare con
Calabresi quando, citando Seneca, ci ricorda che «non esiste
la fortuna, esiste il momento in cui il talento incontra
l’occasione».
Per gli appassionati di storia invece consiglio il libro di
Arrigo Petacco “La Regina del Sud - Amori e guerre segrete
di Maria Sofia di Borbone” edito da Mondadori. L’autore
non ha bisogno di presentazioni e il libro può vantare
numerose riedizioni ed ora è negli OSCAR Storia Mondadori.
Arrigo Petacco ci racconta di Giolitti, della politica del
Vaticano e dei briganti e, sullo sfondo, descrive anche i moti
popolari a Milano del 1898, con i bersaglieri che sparano
sui dimostranti e sui contadini vessati da tasse sempre più
pesanti su ogni bene di prima necessità. Ma su tutto domina
l’immagine dell’eroina di Gaeta, cavallerizza instancabile
N
ed in alcuni momenti più popolare di Garibaldi.
Su Maria Sofia si è detto e scritto tanto ma Petacco, come
pochi sono in grado di fare, fa letteralmente “rivivere” i
personaggi di questo scorcio di storia che va dall’invasione
del Regno delle Due Sicilie da parte dei Mille, attraverso
l’assedio di Gaeta, quando la figura di Maria Sofia raggiunse
il massimo della sua popolarità restando sui bastioni impa-
vida delle cannonate che le navi piemontesi dirigevano sulla
fortezza, sino agli ultimi anni del diciannovesimo secolo.
Maria Sofia di Wittelsbach, principessa a 18 anni, con un
marito imbelle, allontanata dalla Baviera e catapultata alla
Corte di Napoli dei Borboni, è un personaggio moderno e
controcorrente, uno spirito indomito, una donna che non
si è mai arresa. Tra l’altro, fu anche una delle prime illustri
vittime di quella che ben potrebbe definirsi “campagna
mediatica”, volendo usare un termine mai come oggi attuale.
Ella, infatti, all’indomani della caduta del Regno, fu vittima
di un feroce linciaggio da parte dei Savoia che fecero circolare
delle fotografie, probabilmente ritoccate ad arte, in cui
appariva nuda in diverse pose, al fine di offuscarne
l’immagine e la popolarità. Maria Sofia, però, non cambiò
le sue abitudini ed a Roma in esilio sfidando le regole e
l’etichetta della nobiltà romana usciva da sola in strada
facendosi accompagnare da ufficiali fedeli e pronti a unirsi
con i “partigiani” che continuavano a combattere nell’ex
regno.
Nonostante suo marito Francesco, noto come
“Franceschiello”, figlio di Ferdinando II di Borbone, conti-
nuasse ad occuparsi più di teologia che di politica, Maria
Sofia da Roma sperava ancora nella riconquista del suo
regno e si affidava ad avventurieri, eroi e briganti pentendosi
di non aver ascoltato il padre che alla notizia della richiesta
di nozze da parte di Franceschiello le aveva telegrafato da
Montecarlo «te lo sconsiglio. E’ un imbecille».
Ma le cose andarono come tutti oggi conosciamo (o crediamo
di conoscere?). Del resto, come scrive l’autore, «chi vince
ha sempre ragione, quello che ha detto lui è storia, lo leggi
nei libri, mentre il popolo sconfitto viene anche sputtanato.
Io cerco di rivedere la storia per far venire fuori la verità,
che è sempre molto difficile da trovare».
Infine per gli appassionati di etimologia, ma soprattutto
per i curiosi, segnalo un volumetto “Cos’è la bellezza
dell’asino?” breve storia di molte parole, scritto da Piero
Zannini, un matematico laureatosi alla Normale di Pisa
cultore di linguistica, edito da Salani.
Mi ero sempre chiesto perché talune volte si dicesse la
bellezza dell’asino quando ci si riferiva ad una ragazza
molto giovane e carina. In realtà l’asino non è bello e su
questo concordano tutti, come ci assicura anche l’autore,
così come concordano nel ritenere che fu un gran bell’asino
quell’ignoto traduttore che alle prese con il francese la beautè
de l’âge, confuse âge-età con âne-asino, regalandoci
l’espressione la bellezza dell’asino.
Sapete da dove viene l’espressione: fare la cresta? Vi è mai
capitato di riflettere sul perché si dice di punto in bianco?
Sapevate che il termine vendita all’asta nasce dal fatto che a
Roma si usava piantare un’asta nel luogo dove si vendevano
i beni dei debitori? Se ho suscitato a sufficienza la vostra
curiosità, vi auguro buona lettura e buon divertimento.
Roberto Majorano, segretario generale Camera di Commercio di
Bari
LA REGINADEL SUD
ARRIGO PETACCO
AMORI E GUERRE SEGRETEDI MARIA SOFIA DI BORBONE
LE SCIEARNOLDOMONDADORIEDITORE
di Alessandra Minervini
insegna l'ho ristrutturata da poco. Insieme al resto,
dalle poltrone in sala d'attesa al pettine più consumato.
Fino a poco tempo fa l'insegna era grigia, meno vistosa e
la seconda enne del nome si era fulminata. Un giorno mi
sono svegliata e ho cambiato tutto. Si dice rimodernare. Il
lavoro è lo specchio dell'anima. Voglio che tutti la notino,
l'insegna. E' il mio orgoglio. Adesso è rosa, morbida, senza
intermittenze. E' fiera di se stessa. Merito dei led di ultima
generazione. Una roba di design che conferma – anche -
la personalità delle clienti.
L'insegna sono io, ovvero Nina. Trentacinque anni e, se
finisco di pagare il mutuo del salone di bellezza, entro fine
anno Candido mi sposa. Me lo ha giurato. Era ora. Non
che io sia una donna priva di interessi. Faccio la parrucchiera
da quindici anni, mi sono formata nelle migliori scuole,
ho un negozio di successo, il mio stipendio, i fine settimana
alle terme, i corsi di aggiornamento. Ho perfino
un'abbondanza di chiacchiere che mi consentono di man-
tenere relazioni con la mia famiglia: davanti alla televisione,
a cena. Ma non basta. A una certa età bisogna mettere la
testa a posto. E non lo dico per me. Metto in ordine una
ventina di teste al giorno, e non sono poi così matura. Lo
dico per Candido. Ha dieci anni più di me, non vuole
andare in pensione prima di diventare padre.
Entrambi ci occupiamo di bellezza. Candido fa l'operatore
ecologico. Il suo lavoro è scritto nel nome. Il mio in
un'insegna. Senza di lui la città sarebbe un'immondizia.
Certo, potrebbe fare di più. Ma il lavoro funziona solo
quando è un lavoro di squadra.
L'unica cosa che non permetto alle ragazze è pulire il
negozio, voglio farlo personalmente. Ogni mattina, tutte
le sere. Lavo anche i pochi metri quadri che circondano
l'ingresso. Il lavoro in proprio non è una semplice impresa.
E' uno stato mentale e fisico. Contiene quello che sui
settimanali femminili chiamano “karma”. Tuttavia, senza
le ragazze, che non sono mie parenti ma considero il
negozio al pari di una attività a conduzione famigliare,
non avrei cavato una messa in piega da un buco. Ada sta
allo shampoo. E' la migliore. Ha delle mani talmente piccole
che verrebbe da chiedersi per quale motivo siano state
create se non per massaggiare la testa delle mie clienti. La
piega è il regno di Marianna. Se a una cliente manca il
termine per definire i suoi desideri, Marianna lo sa. Se lo
inventa. Va di fantasia. E non sbaglia mai. La più giovane
L’
è Paola, sta all'accoglienza e in più si occupa dei servizi
aggiuntivi: manicure, pedicure, extension. Le ho assunte
tutte, dopo i sei mesi di prova. Sono in tre e, se la crisi ce
la manda buona, resteremo insieme per sempre. Proprio
come una famiglia.
Tra un'ora Candido mi viene a prendere. Oggi chiudo
prima. Crepi l'avarizia. Viva l'amore. Andiamo in pizzeria.
Per la verità è una rosticceria dove in cambio di sei euro e
cinquanta centesimi ricevi una mezza pizza, una crocchetta
di patate e una birra. E' qui che ci siamo conosciuti, otto
anni fa. Candido aveva appena finito il turno di notte e si
godeva una birra che: “A mio avviso è eccessivamente
gelata”. Ma lui aveva rilanciato dicendo che erano le mie
mani troppo calde e che questo era un segno negativo:
“Mani calde, cuore freddo”. Con questa frase si era con-
quistato la mia mano. Gliela porsi, dicendogli nell'orecchio:
“Nina, può bastare”. Dopo due giorni stavamo insieme.
Nel mio negozio si parla del più e del meno, del gelato che
sostituisce un pasto, dell’estate che si suda senza fare niente,
del brutto vizio di dire le cose serie scherzando, della vita
che è raddoppiata ma gli stipendi no, dei soliti sospetti che
sono esatti, del fatto che solo per essere nato devi allo Stato
quarantamila euro, della classe media estinta, del come
eravamo, del cosa facciamo a Capodanno? I discorsi possono
andare avanti per ore o interrompersi dopo dieci minuti,
dipende. Di sicuro si chiudono sempre con una domanda:
“Quando ti sposi?” Mentre sforbicio le chiome: “Quando
ti sposi?” Non ho mai capito se è un modo per distrarsi dal
fastidio delle forbici a stiletto sui capelli e concentrare tutto
il loro dolore sul mio dolore oppure è un ingranaggio, come
tanti, della routine lavorativa. Per quanto il mio sia un
lavoro per certi versi artistico (fatto di rischiosi investimenti
emotivi oltre che economici), non posso certo lasciare che
le giornate passino a caso come se facessi, che ne so, il
mimo in piazza. Ci sono delle regole, anche qui. La prima
è rispondere a una domanda indiscreta con un'altra doman-
da. Può andar bene la semplice: “Sa mica dirmi come
organizzano i matrimoni alla masseria tal dei tali?”
Non so la data con precisione. Tra un anno. Se accelero il
mutuo. Non ho scelto la chiesa, il vestito e non so dove
andremo in luna di miele. Per il giorno delle nozze ho scelto
solo i fiori. Sono la prima cosa che uno nota nelle foto e la
prima domanda postuma che rivolgono alla sposa è chi ha
preso il bouquet? Il mio sarà di tulipani bianchi. Forse è un
po’ troppo nordica come scelta. Ma d’altronde sono una
che ama puntare in alto. I tulipani sono fiori senza fronzoli.
Sono molto belli anche se non sbocciano del tutto.
Stamattina mi hanno consegnato un nuovo paio di forbici
super dotate. Vengono dalla Germania. Da quelle parti se
ne intendono in fatto di innovazioni per i capelli. Qui in
città non ce l'ha nessuno. Anche se non ho controllato di
persona nelle centinaia di parrucchiere baresi. Mi fido di
quello che ho letto sul sito. E' stato Candido ad assolvere
l'acquisto. Sono pratica delle nuove tecnologie fino a un
certo punto. Leggo i siti, mi aggiorno. Ma non sarei capace
di ordinare un pettinino. Lui è un maestro in queste cose.
Ha la passione delle miniature d'auto d'epoca. Le compra
tutte lassù, o laggiù.
Mi batte il cuore quando una nuova cliente entra nel negozio.
Cerco di capire - dalle scarpe dal filo di matita sugli occhi
dalla ricrescita dei baffetti sul viso - che periodo della vita
stia attraversando. Se è molto curata, è una donna che
nasconde qualcosa. E questa cosa, di solito, è un dolore. Se
non posso farglielo dimenticare, almeno la devo distrarre.
E' senza dubbio una capacità che si sviluppa da una cono-
scenza approfondita degli strumenti in questo settore. Ci
vogliono notevoli sforzi per selezionare un paio di forbici
che cambieranno la testa di chi si affida a te. (Quel detto,
cambiare la testa, non mi convince ancora del tutto. La
testa, al massimo, puoi correggerla e finisce che non ti
riconosce nessuno.) Non è facile scegliere la lama migliore.
E' una questione di contatto, di empatia. Con le nuove
forbici voglio aggiustare la testa a tutta la città. Sono forbici
poco comuni. Hanno lame più dure delle altre, il che richiede
un maggiore sforzo per chi taglia. Sono due orologi. Con
loro non si sbaglia. L'impugnatura ergonomica non lascia
superstiti. Una volta che le hai strette in mano, scivolano
che sembra seta.
La fedeltà di una cliente è la mia più grande soddisfazione.
In questo senso, Irene Giuliani, vince ogni record. Si trasferì
a Bari, da un paesino in provincia di Brindisi, circa sei anni
fa. Quando è entrata la prima volta “Da Nina” non sapeva
neanche dove comprare il latte nelle vicinanze. Portava i
capelli, color pozzanghera, a due centimetri dal sedere.
Una imperfezione che non la rendeva affatto sgradevole.
Per prima cosa le ho indicato la mia latteria di fiducia. Poi
l'ho fatta accomodare, anche se il negozio stava per chiudere.
In tutti questi anni ho provato, sulla sua testa, ogni tipo di
taglio e di colore che mi venisse in mente. C'è stato un
periodo, un anno o due, in cui Irene tracimava veleno. Ogni
mese cambiava ragazzo e con lui taglio di capelli. Le ho
detto di darsi una regolata che altrimenti sarebbe diventata
calva. Sarà per questo che ha deciso di sposarsi. Lui ha
insistito tanto. E lei ha accettato. Mi ha detto ieri. Irene non
parla volentieri di quest'uomo. Nasconde l'imbarazzo gio-
cando con il piccolo anello, confezionato con legno di cocco,
che ha messo al mignolo. L'anello non le sta del tutto. Rimane
a metà della falange. Ha le dita troppo grosse. Lo notai anche
quando le porsi la mano per fare la sua conoscenza, la prima
volta. Le ho detto che non porta bene, il cocco sulle mani.
Quando Candido entra nel negozio, sto mettendo a posto
l'ultima sedia, quella in fondo alla sala. Vicino al bagnetto.
Lui dice: “Se non spegni l'insegna, la gente penserà che il
negozio è aperto.”
E mi bacia, interrompendo un consenso sorridente. Lo faccio
accomodare sulla poltrona, zona taglio. Si siede. Prendo le
forbici. Le scorro tra i suoi ricci pastosi. Se li assaggiassi,
saprebbero di mandorle dolci.
Non ho neanche preso le nuove forbici in mano, che lui
ovviamente non nota, e mi fa: “Non li spuntare troppo per
favore.”
L'anello di Irene sulle sue dita assomiglia alla bellezza, non
te l'aspetti. Candido lo indossa con scioltezza sulle dita
affusolate di donna. Sta meglio a lui che a lei. Deve averlo
scelto per questo. La prima lacrima mi punge il viso. Le
forbici sulla sua testa vanno lisce come olio, attraversano la
gola.
Puoi dirmelo che hai un'altra, che non mi ami, che ti fa schifo
quando mi metto al tuo fianco e so di cloro ma non è cloro
(te l'ho detto milioni di volte) è ammoniaca per tinture.
Dimmi qualcosa che metta a tacere questa lama. Lui mi fissa
dallo specchio come se mi vedesse per la prima volta. Le
prime volte hanno una sorta di automazione. Non è possibile
prevederle. Intanto le lame diventano mani. Si eccitano per
essere finalmente in funzione dopo mesi di magazzino.
Sgambettano, mi parlano, feriscono, ridono, tagliano. Bisbe-
tiche domate. Le poso. Ho finito.
Lui: “Andiamo a mangiare. Ho una fame.”
Io: “Certo, si. Andiamo via.”
Ci allontaniamo dal negozio stringendoci le dita. Torno
indietro per spegnere l'insegna “Da Nina”. In effetti, l'avevo
dimenticata accesa.
Alessandra Minervini, scrittrice
Un’iniziativa della CNA condivisa da 700 imprese
Il buon vivere inizia dalla bio-edilizia
i approssima un futuro per l’edilizia del tutto innovativo. La frontiera dell’edilizia sostenibile, e più in generale
della bioedilizia, è più vicino di quanto non si creda. E rappresenta un’opportunità per il mondo delle piccole imprese
e dell’artigianato. La filiera dell’abitare è costituita da una lunga serie di attività, disseminate sull’intero territorio
della provincia di Bari. Professioni, managment, relazioni complesse, innovazioni diffuse, capacità organizzative,
tecnologie avanzate, produzioni d’idee e realizzazioni. Con l’obiettivo di ottimizzare tutte queste energie, accompagnarne
lo sviluppo verso le prossime necessità del mercato nasce a Bari il primo “Centro tecnologico per l’innovazione e la
qualità dell’abitare”. E’ la Cna (Confederazione nazionale dell’Artigianato e della Piccola e Media Impresa) della
provincia di Bari a concretizzare questo progetto. La strategia dell’Associazione è trasformare questa sorta di “gran
bazar del fai da te” in un ecosistema di innovazione di prodotti, di processi e mercato, attraverso la realizzazione
di una rete tra le imprese, i professionisti, le Università e le Amministrazioni pubbliche.
Il “Centro tecnologico per l’innovazione e la qualità dell’abitare” nasce dalle nostre imprese, dalla loro voglia di
cimentarsi, sin da subito, con le evoluzioni in corso, mostrando chiaramente l’intento di attrezzarsi a cogliere in pieno
le opportunità. Il progetto è già stato condiviso da circa 700 imprese: edili, termo-installatori, impiantisti elettricisti,
serramentisti, pavimentisti, produttori di mobili, arredatori, ricercatori, professionisti. Qualità, tecnologia e design
sono le parole chiave di una strategia che punta a promuovere e sostenere le azioni e gli sforzi delle Pmi nella filiera
dell’edilizia-legno-arredo, tese ad adottare un modello di business e di competitività basato sull’innovazione e sulla
qualità.
Soltanto per la provincia di Bari, si stima che nei prossimi cinque anni saranno circa 40mila le unità abitative sottoposte
a processi di ristrutturazione. Processi che non potranno non tenere conto dell’avanzare delle innovazioni tecnologiche,
in tutti i comparti dell’abitare: dall’edilizia in senso stretto, all’impiantistica, all’arredamento. In questo senso, un
pregevolissimo lavoro è stato quello svolto dalla Regione Puglia, che ha indirizzato il quadro di riferimento legislativo
Nasce a Bari il primo “Centro tecnologico per l’innovazione e laqualità dell’abitare”, una rete fra aziende, professionisti, università
e amministrazioni pubbliche per diffondere l’innovazione
S
In alto:ph. Saverio De Giglio
proprio introducendo standard qualitativi nuovi per l’edilizia, raccordandosi così con le tematiche del risparmio
energetico, della tutela ambientale e paesaggistica. L’approvazione, peraltro, di tanti piano regolatori che giacevano
inattuali ha poi costituito un volano per la ripresa dei lavori in edilizia e ha quindi ridato ossigeno a tanti artigiani
e piccole imprese, specie a livello comunale.
Il nuovo quadro normativo sottende un’elevata nuova qualità “dell’Abitare”, in cui la piccola dimensione imprenditoriale
può ritrovare un nuovo vigore e slancio. Su questa strada quindi bisognerà evitare che la bioedilizia – anche e
soprattutto nel settore pubblico - divenga oggetto, così come purtroppo l’edilizia tradizionale, di frange di interessi
molto ristretti, limitata agli appaltatori. Bensì necessita un forte coinvolgimento di tutti i potenziali protagonisti. A
questa sfida le Associazioni imprenditoriali devono essere pronte; cimentarsi con le reti d’impresa, che divengono
insieme al territorio fattore chiave, con il trasferimento tecnologico e con le azioni di internazionalizzazione. A tutto
ciò risponde la strategia che sta alla base del Centro tecnologico per l’innovazione e la qualità per l’Abitare.
Giuseppe Riccardi, direttore CNA Bari
109di Giuseppe Riccardi
Procede a pieno ritmo e con efficienza l’iniziativa suimutui prevista dal “Piano famiglie” ABI: da sospensionerate 191 milioni di euro di liquidità in più. La maggioranzadelle operazioni riguarda l’intera rata (90%). Tra le causeprevalenti la sospensione dal lavoro o riduzione dell’orarioe la cessazione del rapporto di lavoro subordinato.La maggioranza delle domande è al Nord (53%), seguonoSud e Isole (20,9%) e Centro (26,1%). Tra febbraio e agosto2010, le banche hanno sospeso mutui per 3.7 miliardi dieuro ad oltre 28mila famiglie. La misura è stata applicataa 28.615 contratti di mutuo, per un debito residuo di 3.7miliardi di euro. La liquidità in più per far fronte allacrisi ha raggiunto una quota pari a 191 milioni di euro.Ogni famiglia avrà dunque a disposizione in media 6.800euro in più. Questi i dati del monitoraggio sulla sospensionedei mutui.Nel dettaglio, la soluzione più frequente per le operazionidi sospensione ha riguardato l’intera rata (90% dei casi).La causa più frequente che ha determinato la necessitàdi ricorrere a questa opportunità nelle posizioni “in bonis”(senza ritardi nei pagamenti) è stata la cessazione delrapporto di lavoro subordinato. Stessa causa anche perle posizioni con ritardo nei pagamenti. Il Piano è partitoil 1° febbraio e i clienti potranno presentare richiestaper attivare la sospensione fino al 31 gennaio 2011, conriferimento ad eventi accaduti dal gennaio 2009 al 31dicembre 2010.
La Confederazione nazionale dell’Artigianato e dellapiccola e media impresa (Cna) di Bari ha presentatoEnergia&Ambiente, società creata con il fine di accom-pagnare le aziende nell’affrontare tutte le problematichedell’energia e dell’ambiente: dal risparmio energetico edi risorse alla consulenza amministrativa e normativa,dalla certificazione ambientale fino allo smaltimento,riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti.Strumento operativo di Energia&Ambiente è anche loSportello Energia Cna: diretto agli imprenditori, iscritti
e non all’Associazione, che ha la funzione di seguire leimprese nelle fasi della informazione, della formazionee della consulenza innovativa sul risparmio energetico.Lo Sportello fa anche da collegamento fra le imprese eil progetto Cna Empower, un SERVIZIO efficace ed effi-ciente (Gruppo d Acquisto + Aste On-Line) che migliorale condizioni economiche di fornitura di energia (elettricae gas) per le AZIENDE, con la massima trasparenza, senzaimpegno e costi aggiuntivi.
Aggregare e anagrafare i colleghi che operano sul territorio;segnalare all’utenza le idee e offerte del gruppo inmateria di pubblicità, di marketing e di comunicazione;istituire stages di aggiornamento per gli addetti ai lavori;organizzare corsi di formazione e di iniziazione all’attivitàper giovani interessati, operando in sinergia con enti eistituzioni, sia del pubblico che del privato; proporrenuovi schemi operativi per favorire sempre più compiu-tamente il turismo e l’economia della regione, illustran-done risorse, bellezze naturali, prodotti.Questi gli obiettivi del neo Direttivo “ConfartigianatoComunicazione” dell’UPSA Confartigianato di Bari. Ildirettivo del Gruppo, il cui nucleo iniziale comprendeoperatori di vari centri della provincia di Bari, è cosìformato: Pietro Paparella, presidente; Nicola Conte,vicepresidente vicario; Francesco Pellegrino, vicepresi-dente tesoriere; Antonio Ingannamorte; Vito Cascione;Roberto Tarantini e Giuseppe Iaccarini.
“AMICO” (acronimo di “Albania, Macedonia, Italia: Colla-borazioni Operative”) è il nome del progetto di parterna-riato internazionale, finanziato dal ministero per loSviluppo Economico, che mette in sinergia cinque partneritaliani, rappresentanti istituzionali del sistemadell’associazionismo imprenditoriale - Confartigianato,Confindustria, Confapi, CNA, Lega Nazionale delleCooperative e Mutue, Ente Fiera del Levante, duePartner esteri, Alb-Konfindustria (Associazione delle
a cura di Maria Luigia Vasciaveo
Imprese albanesi) e l’Unione delle Camere di Commerciodi Macedonia.Obiettivo dell’iniziativa è favorire e consolidarel’inserimento sui mercati dell’Europa sud-orientale dellepiccole e medie imprese, fornendo un sostegno concretoche si articolerà in attività di supporto e di consulenza,servizi informativi, eventi commerciali e seminari tecnici.Nell’ambito di tale Progetto è stata realizzata dalla Fieradel Levante Servizi la “Settimana delle PMI italiane”, aSkopje, capitale della Macedonia. A Tehnoma, la piùaffermata e dinamica fiera della tecnologia dei Balcanioccidentali, dal 19 al 23 ottobre il Padiglione Italia hadebuttato con due vetrine specializzate: EcoBiz Expo,ormai alla sua terza esperienza all’estero dopo le duefortunate edizioni in Albania, focalizzata sulla greeneconomy: energie rinnovabili, tecnologie per l’ambiente,
edilizia sostenibile; I-Tech Biz rassegna dell’alta tecnologiaitaliana, offerta agli operatori macedoni pubblici e privatiattivi nei comparti delle macchine utensili,dell’elettronica, delle tecnologie per l’enologia e perl’agroalimentare. Per un’intera settimana il progetto hareso le PMI protagoniste dello scenario economico dellaMacedonia grazie a incontri B to B, seminari tecnici evisite aziendali. “Talento Italiano” ha utilizzato la forzadel teatro per affascinare gli operatori economici mace-doni attraverso la rappresentazione scenica dell’intuito,delle capacità creative e dell’ingegno dell’imprenditoreitaliano. Sei micro-scritture teatrali, messe in scena daattori macedoni, hanno presentato altrettante storievere che parlano del talento italiano.
“Quanto deciso sul Piano di rientro per la Sanità in Puglia
111
non è vangelo. Chiediamo perciò di conoscere a fondoquanto si sta facendo e che risposte si danno alle proposteformulate dal sindacato fino a luglio scorso”: la Uil diPuglia e di Bari torna sulla vicenda del contenzioso tragoverno nazionale e regionale, pur sottolineando come“sia da apprezzare il lavoro svolto dal Consiglio regionaleper la internalizzazione, che corrisponde a quanto ilsindacato ha da sempre sostenuto. Finalmente sonogarantiti i lavoratori che operavano in condizione difortissimo disagio e precarietà e quindi nella pienaincertezza”.Secondo il segretario generale, Aldo Pugliese, è peròindispensabile che “sia completato l’iter per tutti ilavoratori, compresi quelli di Bari, che sono i soli almomento esclusi. Non è da sottovalutare che la interna-lizzazione effettuata alla asl di Foggia, ha dimostratoche davvero si può spuntare un grosso risparmio, pari al30 per cento rispetto ai costi precedenti. Ciò vuol direche internalizzare gli ausiliari va proprio nella direzionedi quello che ha chiesto il governo centrale: ovvero, unaforte riduzione dei costi”.Perplessità è invece espressa su “l’incomprensibile eingiustificabile l’atteggiamento del governo”:“Il rinviodella approvazione del piano di rientro per la sanità al15 dicembre - dice Pugliese - ci preoccupa perchè aquesto punto potrebbe derivare che i 500 milioni cheRoma dovrebbe tirare fuori siano rinviati di conseguenzaa dopo l’approvazione. Il che, metterebbe in seria diffi-coltà tutto il meccanismo. Riteniamo che per questomotivo la Regione dovrebbe sollecitare il governo centralea chiudere la partita quanto prima possibile”.
Promossa da Confcooperative la presentazione di quattroiniziative riguardanti i “Progetti Integrati di Filiera”,cosiddetti PIF, nell’ambito del Programma di SviluppoRurale della Regione Puglia. Settori di riferimento sono:vitivinicolo, cerealicolo, ortofrutticolo ed ortoflorofrut-ticolo.
L’importo complessivo degli investimenti previstiall’interno di questi progetti è di oltre 37 milioni di Eurocon il coinvolgimento diretto di oltre 60 soggetti traproduttori di base, imprese di trasformazio-ne/commercializzazione ed enti di ricerca e ricadutepreviste su oltre 3.000 produttori agricoli pugliesi.Inoltre sono ripartiti in varie misure e perseguono molte-plici obiettivi: dalla formazione per elevare il livello dicapacità professionale degli addetti del settore agricoloe migliorare le competenze in materia di sicurezza dellavoro alle consulenze rivolte al supporto delle impreseagricole nell’applicazione di sistemi e processi produttivie gestionali sostenibili. Altre misure riguardano: gliinvestimenti per i produttori di base finalizzati allavalorizzazione dei prodotti agricoli, al miglioramento deiprocessi produttivi, all’aggregazione delle imprese edell’offerta in contesto di filiera, nel rispetto delle risorsenaturali e del paesaggio.Secondo Santo Ingrosso, presidente regionale di Fedagri-Confcooperative i “PIF costituiscono un’occasione unicaper costruire una reale ed efficace integrazione di filieraavente come fulcro,appunto, l’impresa cooperativa”.“Continua l’impegno di questa associazione di categoria- ha affermato il presidente regionale Gianfranco Visicchio- nell’affiancamento alle imprese agricole verso unpercorso virtuoso. Infatti le iniziative proposte prevedonointerventi sistemici, di adeguamento ed ammodernamentodegli impianti di produzione e trasformazione, di imple-mentazione di innovazione nei processi e nei prodottiottenuta attraverso l’attività di ricerca, formazione econsulenza specialistica,tutti finalizzati ad aumentare illivello di competitività delle nostre eccellenze produttive”.
Al via un’azione comune di Confindustria Bari e Barletta-Andria-Trani ed Enel per migliorare la qualità del servizioelettrico nelle aree produttive di Barletta.Confindustria Bari e Barletta-Andria-Trani ed Enel hannoconcordato un piano di adeguamento delle cabine elet-
A destra:ph. Rocco De Benedictis (Today)
triche e di manutenzione straordinaria che mira a ridurreil fenomeno delle interruzioni dovuto principalmentealla necessità di manutenzione su cabine private.L’azione di ENEL, cui sarà dato avvio immediato, è stataannunciata in occasione di un incontro tenutosi neigiorni scorsi fra l’ing. Sigfrido Cappa di ConfindustriaBari e Barletta-Andria-Trani e l’ing. D’Abramo di EnelSpa.Enel si è impegnata a sensibilizzare i privati sullanecessità di un adeguamento immediato delle lorocabine. Ha anche annunciato significativi investimentitesi a dotare gli impianti primari nella zona artigianaledi via Foggia di innovazioni tecnologiche che permette-ranno di proteggere gli impianti dei clienti con sistemidi protezione da sovratensione.
Anche a Bari e in Puglia le imprese fornitrici sopportanonotevoli ritardi nei pagamenti da parte della PubblicaAmministrazione. Per consentire alle aziende di cederequesti crediti alle banche è stato introdotto, con ildecreto anticrisi del 2008, a livello nazionale, lo stru-mento della certificazione. Perchè questo possa real-mente funzionare e sbloccare la situazione ConfindustriaBari e Barletta-Andria-Trani auspica un’intesa fra tuttii soggetti interessati: banche, imprese, e PubblicaAmministrazione. Primo e fondamentale passo è lastipula di convenzioni tra enti locali e sistema bancario.La sollecitazione è emersa nel corso del convegno “Lacertificazione dei crediti: opportunità per le imprese,vantaggi per la P.A.” che si è svolto nella sede diConfindustria Bari e Barletta-Andria-Trani e che havisto, fra gli altri, la partecipazione del presidente diConfindustria Bari e Barletta-Andria-Trani AlessandroLaterza, del presidente della provincia BAT FrancescoVentola, dell’assessore al Bilancio della Regione PugliaMichele Pelillo e di esperti di Banca MPS, Banco diNapoli, Unicredit e SACE. “Credo che la soluzione siada cercare nel confronto fra tutti i soggetti interessati.
- ha detto Laterza - La strada da percorrere è quella disviluppare un sistema di convenzioni fra Pubblica Am-ministrazione e banche. La Regione Puglia si sta muo-vendo in tal senso. L’assessore Michele Pelillo ha con-vocato un incontro con le associazioni di categoria e ilsistema bancario per studiare la possibilità di giungeread un protocollo d’intesa. La cosa è molto positiva,perchè è importante che vi sia una definizione localedel problema. Essenziale è poi sviluppare un’attenzione
113
specifica per le imprese fornitrici del sistema sanitario,per le quali il recente miglioramento dei termini dipagamento richiede comunque un’attesa di 12 mesi.”
Nell'ultima edizione della Fiera del Levante, i volontaridell'ACU Associazione Consumatori Utenti hanno promossol'iniziativa realizzata nelle scuole elementari "Biol Kids",mediante un desk informativo, nonchè incontri e intesecon operatori scolastici. L'iniziativa, realizzata nell'ambitodell'intervento "Fare Rete per la Qualità" della RegionePuglia, quest'anno ha coinvolto oltre duecento bambiniin una esperienza di filiera sull'olio extravergine d'olivaed è giunta alla sua V edizione. “Ormai siamo maturi perfare un ulteriore passo avanti sviluppando il programmasu territori più ampi di quello provinciale” ha dichiarato
il coordinatore dell'iniziativa, avv. Giovanni Santovito:<<le adesioni non mancano, abbiamo docenti adeguata-mente formati per l'educazione nelle scuole primarie e,con i contatti presi in fiera, tenteremo di dare maggiorediffusione all'iniziativa>>.La particolarità dell'iniziativa consiste nell’approccio congli alunni mediante il "gioco" degli assaggi e l'esperienzadiretta con il prodotto, in una sorta di competizione cheinduce alla curiosità ed alla consapevolezza del propriogusto come strumento infallibile di scelta. I piccoli som-melier si ritrovano, alla fine, coinvolti in una esperienzadiretta di lavoro a fianco di assaggiatori professionistinell'ambito di un importante concorso internazionale suglioli extravergini da agricoltura biologica qual'è il "PremioBIOL".
In alto:ph. Saverio De Giglio
A destra:ph. Vittorio Arcieri
La Confesercenti Provinciale di Bari e Poste Italianehanno stipulato un’importante convenzione che consentealle imprese aderenti all’associazione di avvalersi, acondizioni agevolate, di un’ampia gamma di servizi offertidal Gruppo Poste Italiane. L’accesso alle condizionipreviste nell’accordo è riservato agli associati in possessodella Poste Business Card che sarà rilasciata gratuitamenteda Poste Italiane agli associati che ne faranno richiestapresso un qualsiasi ufficio Poste Business previa compila-zione di un apposito modulo.Il canale Poste Business è una rete nazionale di oltre1000 punti vendita dedicati che, grazie ad una rinnovatalogica di presidio geografico, mira a rafforzare la propriapresenza all’interno di Distretti Industriali e aree com-merciali. Poste Business si propone quale interlocutoreunico delle Piccole e Medie Imprese, con personalequalificato pronto a fornire soluzioni personalizzate utilia semplificare ed agevolare l’attività economica delleaziende.Nelle prossime settimane gli associati Confesercentisaranno contattati personalmente dalla rete commercialedi Poste Italiane per la presentazione diretta dellaeccezionale offerta prevista dalla Convenzione.Gli associati Confesercenti possono acquistare i serviziproposti presso la rete dei Posteimpresa, uffici e areededicate a piccole imprese, professionisti, ditte individuali,presenti in oltre 500 punti vendita su tutto il territorionazionale. L’accesso alle condizioni agevolate previstedall’accordo con Confesercenti è riservato ai possessoridella Posteimpresa Card che viene rilasciata gratuitamentepresso i Posteimpresa.
Nei giorni scorsi il presidente della Cia Puglia AntonioBarile con una lettera inviata al presidente della RegionePuglia Nichi Vendola e all’assessore regionale alle OperePubbliche Fabiano Amati, ha evidenziato la problematicadella manutenzione delle strade provinciali che sta amolto cuore agli agricoltori pugliesi, perchè sono tra i
maggiori fruitori di tali arterie stradali.In quella occasione il presidente della Cia Puglia hachiesto di accelerare le procedure di accredito alleProvince dei finanziamenti previsti dalla Legge 112/98,al fine di avere un’adeguata manutenzione delle stradeprovinciali prima della stagione invernale, periodo nelquale la manutenzione è fondamentale per la sicurezza.Martedì 28 settembre la Giunta regionale pugliese, anchea seguito delle istanze della Cia Puglia, ha dato il via alProgramma straordinario di viabilità regionale in base alquale saranno erogate risorse economiche a tutte leprovince pugliesi per un totale di 100 milioni di euro,trasferiti alla Regione Puglia dallo Stato.“Diamo atto al presidente Vendola e all’assessore regionaleAmati di aver accolto le nostre istanze - spiega il presidentedella Cia Puglia Antonio Barile -, e all’impegno delpresidente dell’Upi Francesco Schittulli, che hanno resodisponibili i finanziamenti per la manutenzione e messain sicurezza delle strade provinciali”.
Maria Luigia Vasciaveo, giornalista
115
In alto: i trullidi Alberobello
ph. Christian Mantuano;A destra: confetti
di Mario Mucciph. Christian Mantuano
Turismo: il Brasile guardacon interesse alla Puglia
Nel 2008 i brasiliani hanno destinato ad
acquisti nel mercato del lusso 6,23 miliardi
di dollari, che nel 2009 sono cresciuti del
22%, raggiungendo la cifra di 7,59 miliardi
di dollari. Non solo beni ma anche viaggi,
moltissimi all’estero, cifre considerevoli
che aprono prospettive interessanti anche
per la Puglia, regione-meta turistica in
grande ascesa negli ultimi anni, soprattutto
il 2010 anno record per le presenze.
E’ quanto è emerso nel workshop
“Opportunità del mercato brasiliano del
lusso per il turismo in Puglia” promosso
dall’Aicai, azienda speciale della Camera
di Commercio di Bari, in collaborazione
con le associazioni “Cultour – Brazil” e la
“Mediterranean Life”, ospitato il 12 ottobre
scorso dall’ente camerale barese. Vi hanno
preso parte quattro tour operator brasiliani
molto attivi nel mercato del lusso e un
giornalista di settore, oltre a numerosi tour
operator pugliesi, titolari di alberghi e
strutture ricettive quattro o cinque stelle
lusso. Un educational tour a tutti gli effetti
che ha toccato Castel del Monte, Trani,
Alberobello, Conversano, Polignano, Lo-
corotondo, Ostuni, Lecce, Otranto, Grot-
taglie, Martina Franca. Visita dei territori
ma anche di strutture per l’ospitalità
d’eccellenza a quattro o cinque stelle lusso.
Sui recenti successi della Puglia nel turismo
si è soffermato Nicola Pertuso, consigliere
di amministrazione dell’Aicai:
“Un’ennesima iniziativa questa nel turi-
smo che dimostra l’attenzione della Ca-
mera di Commercio di Bari nel promuo-
vere il territorio barese e pugliese nei
mercati più interessanti ed emergenti,
nonché la capacità di cogliere il momento
giusto per farsi avanti con un’offerta ec-
cellente e con un prodotto differenziato,
sia in termini di ambiente e cultura che di
qualità dell’accoglienza”.
Il Brasile è un Paese in corsa, i segnali
positivi ci sono tutti. Con 109 milioni di
abitanti è la 9.a economia al mondo per
Pil, 478mila brasiliani nel 2007 (fonte Enit)
hanno visitato l’Italia e “nell’ultimo anno
– ha aggiunto Marco Tardio, presidente
dell’associazione “Cultour – Brazil” e tour
operator barese da anni residente in Brasile
– l’incremento dei viaggi all’estero dei
brasiliani è stato del 40%. Lo Stato di San
Paolo realizza il 50% del Pil del Paese. Il
mercato del lusso brasiliano, nel quale ci
sono investimenti per 950milioni di dollari,
chiede viaggi personalizzati, su misura,
e la Puglia deve intercettare questa do-
manda di alto livello che consiste media-
mente in 4-5 viaggi l’anno costruiti ad
personam, potendo contare su un’offerta
eccellente. Questo educational è stato per
gli operatori brasiliani una scoperta-
rivelazione di luoghi e contesti inediti,
perfettamente coerenti con una nuova
filosofia del viaggiare, quello slow travel
che fa di ogni singolo viaggio
un’importante esperienza di vita”.
Collaborazione Italia-Franciaper l’integrazione euro-mediterranea
Visita il 12 ottobre scorso. alla Camera di
Commercio di Bari del Console Generale
di Francia in Italia, Denis Barbet e del
Primo Segretario dell’Ambasciata francese,
Lionel Fabre. A fare gli onori di casa il vice
Presidente on. Antonio Laforgia, Presi-
dente della Comunità delle PMI del Me-
diterraneo, il quale ha rappresentato la
situazione congiunturale delle imprese
della Terra di Bari e “la necessità di realiz-
zare azioni di promozione a sostegno
dell’innovazione, della ricerca, dello svi-
luppo economico, puntando soprattutto
sulle piccole e micro imprese che costitu-
iscono la componete più dinamica e fles-
sibile del sistema economico europeo”.
Laforgia ha sottolineato che “occorre in-
tensificare la cooperazione e l’integrazione
tra le piccole imprese dell’area del Medi-
terraneo con apposite iniziative per svi-
luppare ed agevolare l’accesso al credito.
La collaborazione di Paesi come l’Italia e
la Francia, dove la tradizione delle piccole
e medie imprese è particolarmente svilup-
pata, è fondamentale per sostenere
l’integrazione tra tutte le diverse realtà
economiche che operano sulle sponde del
Mediterraneo”.
Sportello RussiaNell'ambito delle attività programmate,
lo Sportello Russia dell'AICAI, Azienda
Speciale della CCIAA di Bari, ha organiz-
zato in provincia di Bari dal 6 al 9 Ottobre
u.s. una missione incoming di 10 buyers
russi nei settori della Meccanica, della
Meccatronica e dell'Energia che hanno
incontrato importanti aziende pugliesi,
molte delle quali già di rilevanza interna-
zionale e pronte per approcciarsi
all'interessante mercato russo.
II giorno 6 Ottobre sono stati organizzati
incontri bilaterali di affari. Nei giorni suc-
cessivi, sono state programmate visite
aziendali per mostrare agli operatori stra-
nieri i sistemi produttivi di eccellenza che
caratterizzano i settori in questione per
qualità della ricerca e per la competenza
dei tecnici specializzati che vi operano.
Sial 2010Cinquemila e seicento espositori, 105 Na-
zioni presenti, 150mila visitatori previsti.
Al Sial 2010 di Parigi salone biennale
dell’alimentazione, la più importante fiera
di settore al mondo, la Puglia è stata pre-
sente con ben 27 aziende. La partecipazio-
ne, dal 17 al 21 ottobre al Parc
d’Expositions de Paris-Nord Villepinte, è
stata organizzata da Unioncamere Puglia
in convenzione operativa con l’assessorato
alle Risorse Agroalimentari della Regione.
Il sistema camerale pugliese è stato rap-
presentato dal vice presidente nonché
presidente della Camera di Commercio
di Foggia Eliseo Zanasi. La manifestazione,
giunta alla 26.a edizione, si rivolge esclu-
sivamente agli operatori del settore ed è
ormai diventata un autentico punto di
riferimento per tutto il comparto del food.
Durante la kermesse parigina le industrie
pugliesi hanno avuto numerosi contatti
d'affari. L'81% dei visitatori della fiera ha
infatti un ruolo decisionale importante
nei processi d'acquisto: si tratta per lo più
di buyer della distribuzione, del commer-
cio, della ristorazione, del catering, della
ristorazione e delle industrie agroalimen-
tari, provenienti da tutto il mondo.
Salone del Gusto 201048 aziende (di cui 19 della provincia di
Bari) su 45 bancarelle, nonché 2 Presìdi
del Gusto (la mandorla di Toritto e la
cipolla rossa di Acquaviva). Ed inoltre
numerose attività, in collaborazione con
Slow Food e i Laboratori del Gusto realiz-
zati abbinando cibo e territorio, finalizzati
a diffondere la conoscenza del ricco patri-
monio agroalimentare pugliese.
La Puglia del viver sano e del mangiar
bene si è presentata così all’ottava edizione
del Salone del Gusto, organizzato da Slow
Food, Regione Piemonte e Città di Torino,
che si è svolta al Lingotto Fiere di Torino
dal 21 al 25 ottobre. Ad organizzare la
partecipazione delle aziende e a raccordare
gli eventi che vedranno la regione prota-
gonista è stata Unioncamere Puglia in
sinergia con l’assessorato alle Risorse Agro-
alimentari della Regione Puglia.
Giuseppe Lorusso, funzionario Camera di
Commercio di Bari
117di Giuseppe Lorusso
Bari EconomicaBimestrale dellaCamera di Commerciodi Bari
Registrata al Tribunale di Bari n.313del 3/1/1967Anno XLIII - Numero 4/2010
Direttore ResponsabileLuigi Farace
Comitato di PresidenzaAntonio Barile, presidenteMario LaforgiaGiuseppe Lovecchio
RedazioneChicca Maralfa, capo redattoreGiuseppe Lorusso
SegreteriaMina Carpinelli
Contributi fotograficiVittorio Arcieri, AudiovisualServices EU, Enrico Bossan, StudioCorcelli, Rocco De BenedictisToday), Saverio De Giglio, DonatoFasano, Tony Giangiulio, CosmoLaera, Gaetano Lo Porto, ChristianMantuano, Nicola Vigilanti
Immagine e comunicazioneKibrit & Calce - Bari
StampaUnione Tipografica - Bari
RedazioneCorso Cavour 2, 70121 Bari080.2174236-405 Fax [email protected]
Tiratura: 1200 copieFinito di stampare ottobre 2010
Hanno collaboratoCosimo Cafagna, GiuseppeCastellaneta, Franco Catapano, RoccoD’Ambrosio, Pierluigi De Santis, MarisaIngrosso, Antonio Laudati, Franco Lella,Nicola Macerollo, Roberto Majorano,Pietro Marino, Alessandra Minervini,Silvio Panaro, Francesco Pasculli,Giuseppe Riccardi, Melania Ricco,Valentina Ventricelli