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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II “ FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA Corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro ECOLOGIA I Docente: Dott. Geol. Giuseppe CIGLIANO Presidente: Prof.ssa Maria TRIASSI

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI NAPOLI “FEDERICO II “

FACOLTÀ DI MEDICINA E CHIRURGIA

Corso di Laurea in Tecniche della Prevenzione nell’Ambiente e nei Luoghi di Lavoro

ECOLOGIA I

Docente: Dott. Geol. Giuseppe CIGLIANO Presidente: Prof.ssa Maria TRIASSI

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Indice

Il rischio del patrimonio “ambiente” e “cultura” - Incidenti rilevanti per l’ ambiente - Cernobyl - Aurul - Seveso

- La direttiva Seveso - Sicurezza del museo

Inquinamento da amianto - Amianto negli edifici - Amianto negli edifici e negli impianti aspetti gestionali e problemi di bonifica - Meccanismi fondamentali di rilascio e dispersione delle fibre all'interno di un edificio - Le tecniche d’intervento per i possibili provvedimenti

- Le tecniche d'intervento per i materiali contenenti amianto in matrice compatta - Le tecniche d'intervento per i materiali contenenti amianto in matrice friabile

Inquinamento da gas Radon - Generalità - Come entra negli edifici - Metodi tecnici per l’eliminazione del Radon dalle abitazioni - Il Radon in galleria - Il Radon e gli stabilimenti termali - Il Radon in edilizia e nei materiali da costruzione

Inquinamento da elettrosmog - Campo elettromagnetico - Spettro elettromagnetico - Le fonti dei campi elettromagnetici - Campi elettromagnetici e radiazione di fondo - Campi elettromagnetici e effetti sulla salute Valutazione dell’esposizione professionale alle radiazioni non ionizzanti Richiami normative

Inquinamento indoor - Materiali da costruzione e inquinamento interno - Prodotti chimici e inquinamento interno - Monossido di carbonio - Biossido di Azoto - VOC – Composti Organici Volatili - Formaldeide - Benzene - Idrocarburi Policiclici Aromatici - Ozono - Particolato Aerodisperso

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- Fumo di Tabacco ambientale - Pesticidi - Legionella

Le cause di degrado per l’ambiente e dei beni culturali - La contaminazione chimica, fisica e biologica - Le principali fonti di inquinamento - Definizione degli inquinanti in relazione ai diversi comparti ambientali - Effetti degli inquinanti chimici per l’ambiente e per i beni culturali - Aspetti fisici del deterioramento ambiente e beni culturali - Cenni sulle cause biologiche di degrado - Indagini sperimentali in aree urbane - Deposizioni secche e umide - Problemi ambientali fondamentali

Monitoraggio micro- e macro-ambientale

- Il sistema “manufatto-ambiente - Il controllo degli ambienti: qualità dell’aria, parametri termoigrometrici, illuminazione - Monitoraggio microclimatico in ambiente confinato - Il rilevamento degli inquinanti atmosferici - La prevenzione - Forme di prevenzione - Sistemi di contenimento - Le problematiche ambientali prioritarie - Cambiamenti climatici ed effetto serra - Distruzione dell’ozono stratosferico - Biodiversità

Fondamenti di ecologia delle acque interne - Limnologia - Acque artificiali e minori - Consigli per la sicurezza

Introduzione

- Sinistrosità - Tutela delle acque - Costruzioni e pericoli - Cantieri

Misure protettive - Principi d'arredo e di sicurezza - Acque artificiali e biotopi grandi - Realizzazione terrazzata - Sollevare il fondo - Recinzione - Strato di coltura

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- Costruzione con rete - Superfici d'acqua gelate

Esempi di acque sicure - Introduzione - Rinaturalizzazione / rivitalizzazione nel quartiere - Vasca di filtrazione e ritenzione - Stagno per nuotare nel giardino - Piscina nel giardino - Biotopi e stagni - Botti - Parchi giochi con acque naturali o artificiali - Fontane - Acquedotti per acque correnti - Vasca o conca di infiltrazione

Aspetti giuridici - Progettazione, pianificazione e realizzazione - Conseguenze civili e penali - Superfici ghiacciate

Scheda di sicurezza per acque naturali e artificiali

Contaminazione acqua freatica

Fonti di inquinamento dell'acqua freatica

Contaminanti dell'acqua freatica

Intrusioni di acqua marina in acqua freatica

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IL RISCHIO DEL PATRIMONIO “AMBIENTE” E “CULTURA”

Una delle problematiche fondamentali della attuale società è certamente la questione tecnologica.. Immagini pubblicitarie cariche di tecnologia e le cosiddette nuove tecnologie hanno profondamente modificato lo stile di vita della gente, fin dall’infanzia. Allo stesso tempo, assistiamo a disastri tecnologici quali: inquinamenti delle acque e dei suoli, fughe di gas, intossicazioni per veleni sintetici, contaminazioni radioattive. Questa società, che ha basato tutta la sua fiducia sulla speranza tecnologica si ritrova spesso vittima, come una sorta di boomerang, di effetti negativi spesso non previsti.. Proprio a seguito dell’intervento della tecnologia come conseguenza del crescente “trend” dei bisogni della società e del corrispondente impatto con l’ambiente, si sono verificati, negli ultimi decenni, rilevanti disastri ecologici.

Fra i tanti, sembra qui opportuno fare brevemente cenno ad alcuni di essi avvenuti in Europa, esempi emblematici non tanto e non solo in riferimento alla sconvolgente entità del disastro conseguente al fatto in sé, quanto anche alla capacità voluta o inconsapevole (confine alcune volte non del tutto netto e chiaro) da parte dell’uomo di causare tali disastri.

Cernobyl

Il 25 aprile del 1986 esplode il reattore numero 4 della centrale nucleare di Cernobyl, in Ucraina. Una vasta area geografica rimane contaminata. Le conseguenze della nube radioattiva si fanno sentire in tutta Europa (esempio tangibile dei processi di avvezione, cioè di spostamenti orizzontali di masse d’aria e, quindi, di inquinanti aerodispersi). Attorno a Cernobyl gli effetti delle radiazioni hanno causato, fino ad oggi, la morte di 8.000 persone.

La centrale prima dell’ incidente

Modalità dell'incidente

Il 25 aprile 1986 era programmato lo spegnimento del reattore numero 4 per normali operazioni di manutenzione. Senza scendere in particolari tecnici, questo tipo di reattore ha un’antipatica particolarità: in caso di fusione del nocciolo, cioè se la temperatura sale in modo incontrollato, la grafite inizia reagire con l'acqua di raffreddamento, aggiungendo danno a danno. Si approfittò della recente fermata per manutenzione del reattore per eseguire il test sulla capacità delle turbine di generare elettricità sufficiente per alimentare i sistemi di sicurezza (in particolare le pompe dell'acqua refrigerante) nel caso in cui non fossero alimentati dall'esterno. I reattori come quello di Černobyl' avevano due generatori diesel di emergenza, ma non erano attivabili istantaneamente. Quindi si voleva sfruttare il momento d'inerzia residuo nelle turbine ancora in rotazione, ma disconnesse dal reattore, per garantire, in caso di emergenza, l'erogazione di energia elettrica durante l'intervallo necessario a far partire i generatori diesel di soccorso per alimentare le pompe a regime poi alimentate dai generatori diesel di soccorso.. Il test era già stato condotto su un altro reattore (ma con tutti i sistemi di sicurezza attivi) ed aveva dato esito negativo (cioè l'energia elettrica prodotta dall'inerzia delle turbine era insufficiente ad alimentare le pompe), ma erano state apportate delle migliorie alle turbine, che richiedevano un nuovo test di verifica. La potenza del reattore numero 4 doveva essere ridotta dai normali 3200 MW termici a 1000 MW termici per condurre il test in sicurezza. Tuttavia l'inizio del test fu ritardato di 9 ore, Per realizzare il test il reattore si sarebbe dovuto stabilizzare a circa 1000 MW termici prima di fermarlo ma, a seguito di un errore procedurale (dovuto probabilmente a cattiva taratura degli strumenti), le barre di controllo scesero più del previsto e la potenza del reattore precipitò a circa 30 MW termici, dove l'instabilità diventa dominante In questo momento la turbina era a minima potenza e forniva intorno ai 10 MW elettrici, quantità insufficiente per far funzionare le pompe del sistema di refrigerazione (due, ciascuna delle quali richiedeva una potenza di 5,5 MW elettrici). A questo punto si sarebbe dovuta sospendere la prova e rimettere in funzione i dispositivi di emergenza. Gli operatori confidarono però di poter elevare la potenza a 700 - 1000 MW termici chiudendo i regolatori automatici e passando tutte le barre di controllo ad operazioni manuali (per evitare i sistemi automatici che lo

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avrebbero impedito). Solo verso l'una del 26 aprile si riuscì a stabilizzare il reattore a circa 200 MW termici e non c'era verso di aumentare questa potenza a seguito dello Xenon che mangiava neutroni. Questa potenza era insufficiente per realizzare l'esperimento. Benché ci fosse una direttiva che richiedeva un minimo di 30 barre di controllo per garantire la sicurezza del reattore, per realizzare il test, si passò ai comandi manuali e furono alzate altre barre di controllo, lasciandone solo 6-8 dentro il nocciolo. Ciò significa che se ci fosse stato un innalzamento di potenza, sarebbero occorsi circa 20 secondi per abbassare tutte le barre di controllo e spegnere il reattore. Nonostante ciò si decise di continuare il test programmato e, per farlo, fu aumentato il flusso di refrigerante (da 56000 a 58000 tonnellate l'ora) mettendo in funzione la pompa principale collegata alla rete elettrica principale (era l'una e 7 minuti), fatto (vietato dalle normative di sicurezza) che provocò una caduta della pressione del vapore e cambi in altri parametri del reattore. Il disinnesto automatico che avrebbe dovuto spegnere il reattore quando fosse scesa la pressione del vapore, risultava escluso. Per aumentare la potenza gli operatori estrassero quasi tutte le barre di controllo che restavano. Il reattore diventò molto instabile e gli operatori tentarono di fare aggiustamenti ogni 5 secondi cercando di mantenere costante la potenza. All'incirca in questo momento gli operatori ridussero il flusso dell'alimentazione di acqua, presumibilmente al fine di mantenere la pressione del vapore. Simultaneamente le pompe che erano alimentate dalla turbina che andava più lenta fornivano meno acqua di raffreddamento al reattore. Si era ora nelle condizioni di fare il test, era l'una 22 minuti e mezzo.

Ogni indicazione da manuale indicava che il reattor e doveva essere spento immediatamente.

Iniziò il test.

La potenza del reattore si trovava ad un 12% del valore approssimativamente necessario a portare alla massima velocità di rotazione il turbogeneratore ed eravamo in queste condizioni a seguito della caduta di pressione cui accennavo. All'una 23 minuti e 4 secondi vennero chiuse le valvole regolatrici di emergenza del turbogeneratore numero 8, con ciò scollegando la turbina dal vapore. Il piano della prova prevedeva a questo punto che quattro pompe restassero in funzione con il turbogeneratore in rallentamento. E' però difficile capire come si fosse pensata una cosa del genere. Se ogni pompa necessita 5,5 MW (e come minimo 4,3 MW) e se erano in funzione altre due pompe in totale sarebbero occorsi almeno una trentina di megawatt ed il turbogenratore stava fornendo circa 60 MW elettrici (e non i circa 250 previsti nel progetto originale della prova che avrebbero permesso il funzionamento delle pompe per almeno 50 secondi).

Una volta iniziata la prova il turbogeneratore iniziò a decelerare. Anche il suo rendimento elettrico iniziò a scendere notevolmente. Quando il flusso di vapore cessò di arrivare alla turbina in un momento di tale instabilità (nel medesimo tempo in cui diminuiva il flusso dell'acqua in circolo), lo stesso vapore restò nel nucleo e formò rapidamente delle bolle dentro di esso. La potenza del reattore cominciò a crescere piano piano. Le bolle di vapore non sono refrigeranti di modo che gli elementi di combustibile iniziarono a surriscaldarsi. Crebbero le bolle e con esse la temperatura del nocciolo e la pressione del vapore. Diminuiva il flusso totale dell'acqua di refrigerazione perché 4 delle 8 pompe che la facevano circolare erano, come accennato, sottoalimentate a seguito della decelerazione del turbogeneratore. Ma la diminuzione dell'acqua di raffreddamento aumentò la condizione di instabilità del reattore aumentando la produzione di vapore nei canali di raffreddamento. Quando la potenza iniziò ad aumentare visibilmente, gli operatori si resero conto che era iniziata l'emergenza. All'una 23 minuti e 40 secondi iniziarono a suonare le sirene di allarme per emergenza grave al reattore. Solo 36 secondi dall'inizio della prova ... già troppo tardi. Tutte le barre di controllo si trovavano alzate ed il segnale di allarme avrebbe dovuto farle abbassare automaticamente, anche se la lentezza, alla quale ho già accennato, nel moto di esse avrebbe potuto abbassare la potenza di un 5% al secondo. Non bastava! Ci si rese in seguito conto di un grave errore nel progetto delle barre di controllo, errore probabilmente alla base della prima esplosione. Le barre di controllo di boro terminavano con cilindri di alluminio di 4, 5 metri di lunghezza, pieni di grafite incorporata. I cilindri di grafite giocavano un doppio ruolo: aiutavano i blocchi di grafite del reattore, attuando come ulteriori moderatori, e deviavano l'acqua dei canali di controllo quando si facevano discendere le barre. Il disegno era tale (cilindri troppo corti e situati nella sezione centrale del nucleo del reattore) che, appena dato il comando di discesa delle barre, si aveva un aumento iniziale della reattività nella parte inferiore del nucleo del reattore per i primi 4 secondi ed in quel frangente questi 4 secondi furono probabilmente fatali. Nella situazione instabile in cui ci si trovava e considerando le elevatissime temperature che si stavano producendo, i terminali di grafite, nel discendere, fusero gli elementi di combustibile che si trovavano nella parte inferiore del nucleo, provocando la distruzione locale di ogni geometria. La potenza continuò ad aumentare spettacolarmente: in soli 3 secondi era arrivata a 530 MW. Gli operatori non furono in grado di prevenire questo eccezionale aumento, stimato in 100 volte la potenza nominale di uscita nei 4 secondi successivi (01:23:44). Le barre in discesa si bloccarono a metà strada, dopo che si udirono una serie di colpi. L'operatore si rese conto che si erano bloccate a metà cammino e tolse la corrente al servomeccanismo, in modo che le barre potessero cadere per gravità. Niente. Il disegno sbagliato, la forte pressione e l'elevatissima temperatura avevano distrutto i canali nei quali

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scivolavano le barre. La reazione a catena andava avanti senza essere moderata o refrigerata con la conseguenza che la temperatura del nucleo e la pressione del vapore continuavano ad aumentare insieme alla distruzione di ogni geometria fondamentale per i controlli. Una ricostruzione al computer dell'incidente

dice che a questo punto gli elementi di combustibile si andavano rompendo provocando un aumento rapido della pressione del vapore nei canali che contenevano il combustibile stesso con la conseguente distruzione dei medesimi. A questo punto l'acqua di refrigerazione non aveva più dove circolare liberamente ma solo attraverso pezzi di combustibile rotti e surriscaldati. Piccole parti di combustibile ad alta temperatura, reagendo con l'acqua, provocarono una potente esplosione del vapore che distrusse il nocciolo della centrale. Era l'una e 24 secondi, 20 secondi dopo l'inizio dell'emergenza. L'esplosione danneggiò il tetto e fece sollevare il coperchio monoblocco di acciaio della centrale, del peso di circa 2000 tonnellate. Per maggiore disgrazia, nel ricadere, questo coperchio si adagiò di fianco incastrandosi tra le opere murarie e nei suoi violenti spostamenti strappò cavi e varie tubature provocando svariati danni, ormai a catena. Passarono solo 2 o 3 secondi e seguì

una seconda esplosione, molto più violenta. Questa volta era l'idrogeno il responsabile, idrogeno prodotto dalla reazione ad alta temperatura tra vapore e zirconio (il materiale che faceva da camicia ai tubi che contenevano le barre) e tra vapore e grafite incandescente (che produce idrogeno ed ossigeno). Tale idrogeno si era probabilmente accumulato localmente negli spazi del nocciolo liberi o liberati. Testimoni all'esterno della centrale hanno visto scagliati all'aria pezzi in fiamme che, nel ricadere, estendevano l'incendio al corpo della centrale stessa. Circa il 25% dei blocchi di grafite fu sparato all'aria in fiamme. Furono scagliati lontano anche pezzi di elementi di combustibile, parti del nocciolo e delle strutture portanti. Le spaccature nel tetto fecero da effetto camino con l'estensione ulteriore dell'incendio. Questo fu l'inizio della catastrofe. Il pennacchio di fumi, contenenti isotopi radioattivi, si alzò per oltre un chilometro sopra la centrale. I componenti pesanti di questi fumi ricaddero più o meno nelle vicinanze della centrale, ma i componenti leggeri, i gas, iniziarono la loro marcia per l'Europa iniziando dal Nord-Est della centrale, dove i venti prevalenti spingevano . Sparito il refrigerante, sparito ogni controllo, finita la geometria del reattore, in qualche parte proseguiva la reazione a catena perché vi era Uranio 235 ed un moderatore (grafite) ancora efficienti (la cosa non sarebbe accaduta in un VVER o PWR perché la perdita del refrigerante avrebbe coinciso con la perdita del moderatore). Saliva la temperatura ed il nocciolo stava fondendo in una massa unica nella quale proseguiva e sarebbe proseguita per molto tempo la reazione a catena. Il nocciolo intanto penetrava nel suolo per oltre 4 metri. Ormai c'era solo da tentare qualche operazione che alleviasse il completo disastro. Oltre cento incendi erano scoppiati nelle adiacenze della centrale. Occorreva fermarli, spegnere la grafite. Non si dimentichi che, a lato dell'Unità 4 vi erano altri 3 reattori funzionanti e che una estensione del disastro sarebbe stata un'apocalisse. Inoltre tutti sapevano che non si aveva a che fare con semplici esplosioni di natura chimica: ora ad esse si sarebbe accompagnata una radioattività incontrollabile e disastrosa. Negli elementi di combustibile dei 4 reattori vi erano oltre 3000 Kg di plutonio e 700 tonnellate di Uranio ed una infinita di isotopi radioattivi ottenuti come prodotti di fissione delle successive reazioni nucleari. Nessuno sapeva bene come impedire o arginare la catastrofe.

Centinaia di pompieri intervenuti dalla vicina Pripyat si sacrificarono, essendo esposti per primi ad enormi dosi di radioattività, per tentare lo spegnimento degli incendi (tra l'altro questi uomini intervennero con attrezzature del tutto inadeguate: non avevano vestiti speciali che li coprissero completamente, non avevano maschere con filtri efficienti, non avevano dosimetri adeguati, ...).

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Pripyat: oggi è una città fantasma

cronologia degli eventi che causarono l'incidente. 25 aprile, ore 01,00 - La potenza del reattore viene diminuita per consentire un esperimento. 25 aprile, ore 14,00 - Il sistema di raffreddamento del nocciolo di emergenza viene disinnestato, violando così i principi di sicurezza. 25 aprile, ore 23,00 - La potenza del reattore scende a 700 mw. 26 aprile, ore 00,28 - Un errore dell'operatore fa scendere troppo la potenza, fino a 30 mw. Il reattore si trova in condizione di instabilità. 26 aprile, ore 01,23,04 - L'operatore chiude la valvola di emergenza verso la turbina, l'ultimo sistema di emergenza che altrimenti avrebbe salvato il reattore. 26 aprile, ore 01,23,3 1 - La reattività del nocciolo comincia a crescere. Le barre di controllo non riescono più a bilanciarne l'aumento. 26 aprile, ore 01,23,43 - La temperatura del nocciolo aumenta in maniera irreversibile. 26 aprile, ore 01,23,44 - In 40 secondi la potenza del reattore è cresciuta da 200 a 100.000 mw. Il reattore esplode. 26 aprile, ore 01,23,45 - L'esplosione distrugge la parte alta delle pareti e il tetto dell'edificio.

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La centrale dopo dell’ incidente

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Considerazioni

C'è da tener conto bene delle date: il 25 aprile era venerdì e l'1 e 2 maggio sono feste nazionali. Con un paio di giorni da giocare è possibile fare un ponte lungo e certamente varie persone lo hanno fatto e probabilmente quelle più elevate in grado e quindi più esperte. Vi è da osservare che l'esperimento andava ad iniziare con 10 ore di ritardo rispetto a quanto programmato, con turno di lavoro di personale differente da quanto in programmazione e quindi con tecnici impreparati ad affrontare eventuali problemi;

Questo per un una sperimentazione da effettuare con i sistemi automatici di sicurezza esclusi e quindi con reattore da condurre solo in maniera man uale

Aurul

Nella notte fra il 30 e il 31 gennaio 2000, da una breccia apertasi nel rilevato arginale del bacino per sterili, deputato a raccogliere il cianuro usato per separare oro e argento dalle scorie di altri materiali,della miniera Aurul, presso la città di Baia Mare (distretto di Maramures), causò il riversamento di circa 100.000 metri cubi di acqua e fanghi ricchi di cianuro nel sistema fluviale circostante. Si è valutato che un quantitativo di 50-100 tonnellate di cianuro di sodio si sia diffuso nei fiumi Somes, Tibisco e Danubio per poi raggiungere il Mar Nero.

La società Aurul S.A. è una compagnia per azioni di proprietà congiunta dell'australiana "Esmeralda Exploration Ltd." e della romena "Compania Nationala a Metalelor Pretiosasi si Neferoase", fondata nel 1992. Questa compagnia tratta sterili solidi provenienti da precedenti processi minerari per recuperare metalli preziosi, in particolare oro e argento. Nel 1997, dopo avere ricevuto l'autorizzazione necessaria da parte del Ministero dell'Ambiente, si diede inizio alla costruzione di un nuovo impianto che fu completato nel 1999 presso Baia Mare. Nello stesso anno, in seguito alla presentazione di una valutazione di impatto ambientale, venne messo al servizio del nuovo impianto di trattamento minerario un vecchio bacino di decantazione per sterili di miniera costruito 30 anni prima (bacino di Meda) in prossimità di un'area residenziale.

L'incidente fu descritto dalla stessa Aurul S.A. nel modo seguente: in seguito a condizioni meteorologiche estreme (ghiaccio e neve sulla superficie dell'invaso, elevate precipitazioni di 36 litri/m2), gli sterili che costituivano l'argine interno del rilevato si impregnarono d'acqua, compromettendo la stabilità dello stesso argine. In un primo tempo si verificò la tracimazione della parte sommitale del rilevato che, in breve, portò all'apertura di una vera e propria falla lunga circa 23 m. Attraverso questa breccia oltre 100.000 metri cubi di acque ricche di cianuro fuoriuscirono dall'invaso prima che si potesse intervenire.

LE FASI DELL'INCIDENTE

• Rottura della sommità dell'argine in seguito a tracimazione causata da piogge torrenziali e scioglimento di neve;

• Fuoriuscita di circa 100.000 metri cubi di acque e fanghi altamente contaminati da cianuro e metalli pesanti;

• Grave inquinamento dei fiumi Somes e Tibisco; • Contaminazione dell'acqua potabile in 24 località diverse e fermo dell'erogazione per 2,5 milioni di

persone; • Massiccia moria di pesci e distruzione di diverse specie acquatiche in tutto il bacino del Tibisco; • Gravissimo impatto sulla biodiversità, gli ecosistemi fluviali, l'erogazione di acqua potabile e le

condizioni socioeconomiche della popolazione; • Elevati costi degli interventi di decontaminazione.

Tentativi di contenimento dell'ondata inquinante in Romania.

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POSSIBILI CAUSE DEL DISASTRO La falla nell'argine del bacino fu probabilmente causata da una combinazione di inadeguatezze intrinseche nel progetto e nella realizzazione dell'opera, di condizioni operative non previste e di una situazione meteorologica particolarmente avversa. I bacini di decantazione al servizio di miniere attive sono in continuo accrescimento man mano che nuovo materiale solido di scarto si rende disponibile per l'innalzamento dell'invaso, che deve ospitare volumi sempre crescenti di acqua e di fanghi oltre gli afflussi diretti delle precipitazioni. A parte i doverosi controlli riguardanti il livello dell'acqua nell'invaso durante precipitazioni intense, la sicurezza degli argini dipende dal costante equilibrio fra l'altezza del rilevato e il livello dell'acqua nell'invaso. Nel caso del bacino di Aurul a Baia Mare, gli argini crescevano invece più lentamente del progressivo aumento del livello dell'acqua per cui si è determinata una condizione di "acqua alta", molto pericolosa per la stabilità di queste strutture geotecniche. Mancavano inoltre le comuni attrezzature di cantiere - quali pompe - per fare fronte a imprevisti afflussi di acqua nel bacino. Le sfavorevoli condizioni climatiche hanno ulteriormente aggravato la situazione determinando un aumento incontrollato dell'afflusso di acqua e, infine, la sua tracimazione al di sopra dell'argine.

La compagnia fece fronte all'incidente riparando la falla con materiali inerti disponibili in zona e immettendo ipoclorito di sodio all'interno del bacino e nell'area interessata dalla tracimazione per neutralizzare il cianuro. Ciò nonostante, una gran quantità di effluenti altamente contaminati riuscì a fuoriuscire prima che la falla potesse essere riparata. Secondo le norme del Ministero romeno dei Lavori Pubblici riguardanti gli standard costruttivi, l'impianto e l'annesso invaso erano classificati di "importanza normale", vale a dire non richiedevano l'obbligo di effettuare specifiche attività di sorveglianza e monitoraggio. Pertanto, dal punto di vista delle autorità competenti, l'impianto aveva ricevuto tutte le autorizzazioni necessarie per essere pienamente operativo. L'analisi dei dati raccolti e delle perizie post-disastro inducono a ritenere che questo incidente sia stato causato da una serie di fattori, fra i quali:

• inadeguatezze del progetto dell'intero sistema (condizioni di stabilità degli invasi per sterili e processi di trattamento del cianuro) della miniera Aurul, specialmente per quanto concerne le misure di sicurezza in caso di condizioni operative anomale;

• termini di concessione dell'impianto incompleti e inappropriati, sistemi di monitoraggio e di ispezione inadeguati;

• carenze manutentive nella gestione dell'impianto, soprattutto contro i rischi di straripamento e riversamento, e in termini di risposta efficiente in caso di emergenza.

Considerazioni

L’incidente sarebbe stato probabilmente di entità molto più ridotta se fossero state costruite le cosidette “Overflow Pons”, vasche appositamente progettate per accogliere le soluzioni in caso di drenaggio molto spinto da parte delle acque meteoriche.

Sono disastri questi che colpiscono irrimediabilmente anche tenendo presente i conseguenti effetti che possono riscontrarsi nel corso del tempo impoverendo l’umanità ed il patrimonio ambientale.

- Seveso Poiché la temperatura interna dell’impianto supera i

350, la fuoriuscita dalle valvole di sicurezza è non soltanto di triclorofenolo, con la sua quota inquinante “normale” di tetraclorodibenzodiossina, ma anche di una quantità di TCDD di molto superiore a quella che si sarebbe prodotta a temperatura inferiore ai 350°. L a nube, sospinta dal vento, si sparge sui terreni vicini per un’estensione di 18 milioni di m2, coinvolgendo una popolazione di 22.000 persone. La città di Seveso, e alcuni paesi limitrofi della Brianza, furono contaminati da una nube di diossina sollevatasi dopo l’esplosione dello stabilimento chimico. Simbolo di quell’incidente (segnato dall’evacuazione della popolazione, da lunghe e costose operazioni di bonifica dei terreni e da effetti sulla salute ancora oggi in fase di studio) fu l’immagine

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di bambini con il volto deturpato dalla cloracne (formazione di pustole di difficile cicatrizzazione.

Direttiva Seveso

Il "caso Seveso" ha portato la Comunità Europea ad emanare nel 1982 una specifica direttiva denominata Direttiva Seveso (Direttiva 82/501).

L'Italia recepì tale emendamento con il DPR 175/88. Naturalmente, periodicamente ci sono aggiornamenti e perfezionamenti di questo emendamento attraverso successivi decreti ministeriali attuativi, alcuni decreti legge, la Legge n. 137/97.

Infine, c’è da sottolineare che il Consiglio dell’UE ha recentemente sostituito la Direttiva Seveso con una nuova direttiva, la 96/82/CE, o "Seveso 2", che ha aggiornato la 82/501.

Alcuni aspetti sono anche coperti dal D.Lgs. 626/94.

La direttiva stabilisce inoltre che in presenza di molte industrie a rischio incidente, l’analisi del rischio ed il piano di

intervento debba essere complessivo e, per la prima volta, si prende in esame anche il rischio di un effetto domino.

Proprio questa considerazione ha fatto sì che si decidesse che stabilimenti prossimi tra loro dovranno consorziarsi in merito ai piani di emergenza, con grande considerazione per l'urbanizzazione nei pressi dei centri industriali.

Come già detto in precedenza, oggi è molto più difficile, soprattutto in Paesi industrializzati come il nostro, che avvengano nuovi incidenti così gravi e drammatici (con una nota polemica, si può dire anche a causa del progressivo declino della grande industria chimica italiana avvenuta negli ultimi anni per vari e svariati motivi).

Oggi, le aziende hanno tutto l'interesse ha tutelarsi e controllare le loro azioni in materia di sicurezza.

Parallelamente, si può dire che si è sviluppata una nuova industria, quella che comprende i vari Enti Pubblici e/o Privati, Agenzie Nazionali (ANPA) o locali (ARPA) che sono preposte e sempre più specializzate nel monitorare e controllare le emissioni e l'attività delle Aziende considerate a rischio (ovvero aziende che manipolano sostanze tossiche e/o pericolose in generale).

Disposizioni della direttiva

• il censimento degli stabilimenti a rischio, con identificazione delle sostanze pericolose • l'esistenza in ogni stabilimento a rischio di un piano di prevenzione e di un piano di emergenza • la cooperazione tra i gestori per limitare l'effetto domino • il controllo dell'urbanizzazione attorno ai siti a rischio • l'informazione degli abitanti delle zone limitrofe • l'esistenza di un'autorità preposta all'ispezione dei siti a rischio

Gli elementi caratterizzanti un’industria a rischio di incidente rilevante ai sensi della direttiva sono: l’uso di sostanze pericolose , in quantità tale da superare determinate soglie,quali: sostanze tossiche (composti chimici che provocano danni all’organismo umano quando sono inalati, ingeriti o assorbiti per via cutanea);

• sostanze infiammabili (possono liberare grandi quantità di energia termica); • sostanze esplosive (possono liberare grandi quantità di energia dinamica); • sostanze comburenti (hanno reazione fortemente esotermica a contatto con altre sostanze, in particolare con sostanze infiammabili);

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la possibilità di evoluzione non controllata di un’ attività industriale con conseguente pericolo grave, immediato o differito sia per l’uomo all’interno o all’esterno dello stabilimento sia per l’ambiente circostante a causa di:

• emissione di sostanze tossiche; • incendio; • esplosione.

La direttiva Seveso è stata recepita in Italia sei anni dopo la sua emanazione, con il decreto del Presidente della Repubblica del 17 maggio 1988, n. 175 “Attuazione della direttiva CEE n.501 del 24 giugno 1982 relativa ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali”, in seguito modificato e integrato da diverse disposizioni normative e di carattere tecnico applicativo fino alla Legge n.137 del 19 maggio 1997 “Sanatoria dei decreti legge recanti modifiche al decreto del Presidente della Repubblica 17 maggio 1988 n.175, relativo ai rischi di incidenti rilevanti connessi con determinate attività industriali”. Il D.P.R. 175/88 distingueva gli impianti a rischio in due tipologie in base al grado di pericolosità: stabilimenti sottoposti a notifica (art. 4) ed a dichiarazione (art 6). La situazione attuale: la direttiva Seveso bis La direttiva Seveso, dopo quattordici anni di esperienze maturate anche alla luce dei diversi recepimenti degli stati membri della Comunità Europea, si è evoluta nella direttiva 96/82/CEE detta “Seveso bis”, tesa ad integrare la normativa sui grandi rischi con le più moderne conoscenze tecniche del settore. In Italia la direttiva Seveso bis è stata recepita con il D.Lgs 334/99, che è divenuta la nuova legge quadro in materia di rischio industriale, e che introduce dei sostanziali cambiamenti rispetto la legislazione precedente: • lo stabilimento è controllato nel suo complesso, anziché con riferimento ad ogni singolo

impianto/deposito, in relazione alla possibile presenza di quantitativi massimi di sostanze classificate come pericolose, uguali e superiori alle quantità di soglia indicate negli specifici allegati del decreto, a prescindere dalla loro eventuale ripartizione in impianti produttori o utilizzatori, nonché in unità di deposito o stoccaggio;

• la creazione di un sistema teso alla realizzazione/applicazione di un’efficace politica di prevenzione degli

incidenti rilevanti. A tal fine il decreto prevede che il gestore dello stabilimento provveda ad organizzare, realizzare e rispettare un sistema di gestione della sicurezza che, integrato nella gestione generale dell’azienda, faccia sì che ogni possibile evento incidentale che si configuri all’interno dello stabilimento possa essere affrontato, gestito e quindi posto efficacemente sotto controllo;

• il decreto sottolinea la necessità di considerare la prevenzione degli incidenti rilevanti durante

la pianificazione della destinazione e dell’utilizzo dei suoli e della loro urbanizzazione, sia a breve sia a lungo termine, con uno specifico riguardo per quei territori particolarmente sensibili, prevedendo linee di sviluppo che concilino le esigenze degli stabilimenti già esistenti con lo sviluppo industriale e urbano dei territori circostanti;

• nell’ottica di una maggior integrazione della matrice industriale con il territorio circostante, il decreto

indica una serie di informazioni minime di cui il cittadino debba essere messo al corrente per poter poi esprimere un parere che apporti un costruttivo contributo nell’elaborazione di progetti finalizzati;

• il decreto prevede altresì che il gestore possa esercitare il proprio diritto al segreto industriale o alla

tutela delle informazioni di carattere commerciale, personale o che si riferiscano alla pubblica sicurezza, ma deve comunque fornire alla popolazione informazioni organizzate e messe a disposizione del pubblico previo controllo delle autorità competenti, in una forma ridotta ma che consenta tuttavia la conoscenza delle eventuali problematiche.

Il D.Lgs 334/99 prevede 3 differenti tipologie di adempimenti cui le aziende possono essere soggette: Relazione semplice : prevista dall’art. 5 comma 3 del D.lgs. 334/99, è un documento contenente le informazioni relative al processo produttivo, alle sostanze pericolose presenti, alla valutazione dei rischi di incidente rilevante all’adozione di misure di sicurezza appropriate, all’informazione, formazione, addestramento ed equipaggiamento dei lavoratori. Notifica : prevista dall’art. 6 del D.lgs. 334/99 è un documento sottoscritto nelle forme dell’autocertificazione contenente informazioni amministrative riguardo allo stabilimento e il gestore, notizie che consentono di

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individuare le sostanze pericolose, la loro quantità e la loro forma fisica, notizie riguardo all’ambiente circostante lo stabilimento e in particolare elementi che potrebbero causare un incidente rilevante o aggravarne le conseguenze. Rapporto di sicurezza : prevista dall’art. 8 del D.lgs. 334/99 è un documento che deve contenere notizie riguardo all’adozione del Sistema di Gestione della Sicurezza, i pericoli di incidente rilevante, le misure necessarie a prevenirli e a limitarne le conseguenze per l’uomo e per l’ambiente, la progettazione, la costruzione, l’esercizio e la manutenzione di qualsiasi impianto, i piani di emergenze interni e gli elementi utili per l’elaborazione del piano di emergenza esterno.

SICUREZZA DEL MUSEO Fonte: MINISTERO PER I BENI E LE ATTIVITÀ CULTURALI Atto di indirizzo sui criteri tecnico –scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei ( art 150 comma 6 D.L. n. 112/1998 ) AMBITO V Premessa Nell’ambito dei beni culturali sono presenti diverse problematiche inerenti la salvaguardia degli edifici e del loro contenuto, ma anche la sicurezza degli occupanti (frequentatori ed addetti), in buona sostanza ciò che usualmente è individuato con i termini inglesi di security e di safety. Tali problematiche assumono di volta in volta la denominazione di conservazione, tutela, restauro, sicurezza sul lavoro, sicurezza antincendio, ecc., coinvolgendo aspetti di ordine ambientale, strutturale, di uso, anticrimine e antincendio. Si tratta di materie molto complesse ed anche tra loro molto diverse che rischiano talvolta di entrare in rotta di collisione, se non affrontate in maniera coordinata ed organica. Inoltre, quando si considerano insediamenti ed edifici realizzati in un arco temporale misurabile in secoli, non modificabili con interventi strutturali ed impiantistici invasivi, non si possono prescrivere soluzioni deterministico–prescrittive valide per tutte le situazioni. Un approccio culturale, prima ancora che regolamentare, è quello che riguarda la sicurezza, nella più ampia eccezione del termine. È un approccio pragmatico integrato che, fissati gli irrinunciabili requisiti essenziali che i contenitori museali devono garantire e gli obiettivi che, a fronte di ciascun requisito, devono essere soddisfatti, si basa su una analisi del rischio mirata ed una conseguente strategia di sicurezza che comprende misure preventive, protettive ed organizzative capaci di perseguire quegli obiettivi, anche in occasione delle emergenze correlate alle situazioni di rischio considerate. L’analisi del rischio parte dalla raccolta organica ed uniforme di tutti i dati relativi ai singoli pericoli, alle corrispondenti vulnerabilità ed anche ai relativi fattori di esposizione che concorrono in stretta sinergia alla determinazione dei singoli rischi in termini sia qualitativi che quantitativi. La definizione della strategia di sicurezza parte dalla conoscenza di tali dati e delle singole realtà costruite, poiché solo attraverso una corretta e coerente rappresentazione dell’oggetto dell’analisi possono essere progettati in modo mirato misure preventive, di compensazione e di mitigazione dei rischi. Con tale approccio l’acritica cultura dell’adempimento viene sostituita da una cultura basata sugli obiettivi da raggiungere in concreto, caso per caso e, in conformità con le più recenti Direttive comunitarie ed i Disposti legislativi di recepimento nazionali riguardanti materie riconducibili alla sicurezza, le linee di responsabilità nei confronti del rischio all’interno delle realtà nelle quali esso è presente non si affidano a prescrizioni che provengono dall’esterno, ma vengono bensì ricondotte non solo e non tanto in capo a singole figure giuridiche, ma anche e soprattutto alla organizzazione nel suo insieme ed alle sue regole strategiche ed operative per il perseguimento degli obiettivi di sicurezza. Si tratta di un approccio che non esclude il rischio, sempre connesso con qualsivoglia attività umana, ma tende a renderlo minimo nella sua residualità, compatibile con la vulnerabilità del “contenitore” e del “contenuto”, in grado di garantire una accettabile sicurezza anche in condizioni di emergenza.

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Il museo deve garantire la sicurezza ambientale, la sicurezza strutturale, la sicurezza nell’uso, la sicurezza anticrimine la sicurezza in caso di incendio, e considerando i problemi della sicurezza in modo mirato ed integrato. Il museo deve tendere a:

• mitigare le azioni che l’ecosistema territoriale può provocare, attraverso interventi di analisi, monitoraggio e bonifica

• tutelare, conservare e consolidare il contenitore delle collezioni nei confronti delle suddette azioni

• tutelare e conservare le sue collezioni, anche in condizioni di emergenza • garantire la sicurezza del personale e dei visitatori, anche in condizioni di emergenza • garantire la sicurezza dei soccorritori in condizioni di emergenza

Il museo è tenuto ad assicurare che le strutture siano conformi alle disposizioni di carattere cogente (standard legislativi), ad attuare interventi finalizzati a rendere le strutture atte a soddisfare i requisiti essenziali (standard normativi) ed a prevedere tutte le misure preventive, di protezione attiva e passiva e organizzative per dare adeguata confidenza sul mantenimento nel tempo delle condizioni di sicurezza (strategia di sicurezza). Allo scopo esso è tenuto ad effettuare una analisi dei rischi atta a commisurare la strategia di sicurezza alla specifica realtà, anche attraverso il ricorso a misure di sicurezza equivalenti.

Ambito V SICUREZZA DEL MUSEO

1. Le finalità di un sistema di sicurezza Le finalità primarie che ogni intervento finalizzato alla sicurezza deve prendere a riferimento in modo mirato e soprattutto integrato sono: – Mitigazione delle “azioni” presenti nel contesto dell’ecosistema territoriale nel quale si trovano

gli insediamenti e gli edifici, anche attraverso interventi di analisi, monitoraggio e bonifica; – Tutela, conservazione, consolidamento degli insediamenti e degli edifici (“contenitori”) anche nei

confronti delle “azioni” di cui al punto precedente; – Tutela, conservazione del “contenuto” degli insediamenti e degli edifici anche in condizioni di

emergenza; – Sicurezza degli “occupanti” (frequentatori ed addetti) anche in condizioni di emergenza; – Sicurezza dei soccorritori in condizioni di emergenza. 2. I requisiti essenziali di un insediamento I requisiti essenziali che gli insediamenti e gli edifici, contenitori di “beni e attività culturali” devono garantire, possono utilmente essere così schematizzati: – Sicurezza ambientale – Sicurezza strutturale – Sicurezza nell’uso – Sicurezza anticrimine – Sicurezza in caso d’incendio 2.1. Sicurezza ambientale Nell’ambito della sicurezza ambientale si considerano le “azioni” che l’ecosistema può esercitare sull’insediamento, sugli edifici e sulle sovrastrutture del sistema considerato. Tra queste si segnalano: – Sismicità

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– Subsidenza – Vulcanesimo – Bradisismo – Dissesti idrogeologici – Presenza di falde superficiali – Agenti meteo–marini – Ceraunicità [densità di fulminazione al suolo (Ground flash density - Ng) ] – Inquinamento atmosferico – Inquinamento elettromagnetico – Degrado urbanistico – Effetti “domino” dovuti a insediamenti e infrastrutture al contorno – Traffico – Altri. A fronte dei suddetti pericoli, occorrerà verificare l’adeguatezza dell’insediamento e delle strutture ad esso connesse e, ove necessario, predisporre adeguati piani di intervento per la messa in sicurezza, il consolidamento, la protezione, ecc. In ogni caso occorrerà che per ognuna delle “azioni” prese in considerazione sia garantita l’esistenza di un capitolo dedicato alla pianificazione delle emergenze per la messa in sicurezza dei beni culturali mobili presenti nell’insediamento anche in condizioni di emergenza. 2.2. Sicurezza strutturale Con l’espressione sicurezza strutturale si vuole intendere la stabilità degli edifici e delle strutture nei confronti di qualsivoglia “azione” comprese quelle ambientali di cui al precedente punto. Tra queste si segnalano: – Vetustà – Deficienze strutturali – Deficienze nella manutenzione – Azioni conseguenti al sisma – Azioni conseguenti a dissesti idrogeologici – Azioni conseguenti a dissesti meteorologici – Sovraccarichi statici e dinamici – Cantieri, sbancamenti e simili – Vibrazioni – Altri. A fronte delle suddette azioni, occorrerà verificare l’idoneità statica delle strutture e, ove necessario, predisporre un progetto di adeguamento e/o miglioramento. 2.3. Sicurezza nell’uso Si tratta delle numerose problematiche connesse con la destinazione d’uso e le connesse modalità di fruizione degli insediamenti e degli immobili.

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E’ questo il requisito essenziale che investe tutti quegli aspetti della sicurezza che sono in genere regolamentati da Direttive europee e da disposizioni legislative nazionali di più o meno recente emanazione e che non sempre trovano facile composizione per via della natura degli insediamenti e degli edifici, ma che in ogni caso devono essere rispettate. Le problematiche emergenti sono: – Compatibilità delle destinazione d’uso generale e specifica – Fruibilità da parte di grandi masse (affollamento, gestione dei flussi, etc.) – Barriere architettoniche – Infortuni sul lavoro e malattie professionali – Agenti nocivi (fisici, chimici, biologici) – Microclima – Illuminazione – Rumore – Contenimento energetico – Impianti tecnologici di servizio: impianti elettrici impianti termici impianti per la movimentazione

interna (elevatori, etc.) impianti distribuzione gas combustibili e gas tecnici impianti condizionamento impianti idrico – sanitari

– Impianti e sistemi di protezione attiva – Impianti per le comunicazioni interne – Impianti e sistemi bus * – Macchine, apparecchiature, attrezzature – Lavorazioni – Cantieri – Servizi aggiuntivi: cucine ristoranti bar bookshop guardaroba nursery altri – Manifestazioni occasionali – Aree a rischio specifico – Rifiuti solidi urbani e tossico–nocivi – Inquinamento acqua, aria, suolo

– Altre.

Particolare attenzione andrà rivolta all’eliminazione delle barriere architettoniche, oltre che per ovvi motivi di fruibilità, anche per l’importante aspetto legato alla eventuale evacuazione in caso di emergenza. *sistemi bus

La tecnologia che oggi permette la realizzazione di un sistema domotico completo è costituita dai "sistemi bus".

Per bus si intende una linea dati che collega i diversi dispositivi del sistema domotico e che trasmette tutte le informazioni di controllo. Possiamo pensare al sistema domotico come ad una rete di computer: i diversi dispositivi presenti nella casa sono come i nodi (i computer) della rete, il bus è il cavo che li collega e che permette la circolazione dell'informazione nel sistema.

Nei sistemi bus il comando di attivazione di un componente, ad esempio l'accensione della luce (v. fig.1), non avviene in modo diretto, attraverso un filo elettrico che collega l'interruttore con la lampada, ma è controllato dal bus: il dispositivo di input (l'interruttore) invia un segnale nella rete, cioè nella linea dati del bus, che lo ritrasmette al dispositivo di output (la lampada).

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Solo a prima vista il risultato non cambia: "premo l'interruttore e la lampada si accende". La differenza fondamentale, però, è legata al fatto che in questo modo il sistema domotico è informato di tutto quello che avviene nella casa e può comandare i diversi dispositivi.

L'informatica - ovvero una gestione di tipo software - si inserisce all'interno degli impianti e, come sappiamo, grazie alla versatilità e la flessibilità della programmazione è possibile potenziare le possibilità di controllo e di gestione di tutti i dispositivi che vengono installati nell'alloggio e che sono connessi al bus.

2.4. Sicurezza anticrimine Con l’espressione sicurezza anticrimine si vuole intendere la tutela del patrimonio culturale con particolare riguardo ai beni mobili nei confronti di “azioni” dolose. Tra queste si segnalano: – Effrazione – Intrusione – Vandalismi – Taccheggi – Furti – Rapine – Attentati Gli strumenti disponibili sul piano tecnico per poter perseguire gli obiettivi di sicurezza sono essenzialmente: – Sbarramenti alla azione dolosa: si tratta delle barriere di protezione passiva (sbarramenti fisici) e ad uomo presente (vigilanza) tra loro integrate; – Contrasto alla azione dolosa: è questo lo strumento che si affida ai sistemi di protezione attiva ba- sati sulla tecnologia e a tempestivi interventi di repressione ad uomo presente tra loro sinergici. 2.5. Sicurezza in caso di incendio Gli obiettivi della sicurezza in caso di incendio, da prendere a riferimento in modo mirato e soprattutto integrato, in ambito dei beni culturali sono: – Sicurezza degli insediamenti e degli edifici anche in caso di incendio; – Sicurezza del “contenuto” anche in caso di incendio; – Sicurezza degli “occupanti” (frequentatori ed addetti) anche in caso di incendio; – Sicurezza dei soccorritori. Con l’espressione “sicurezza in caso d’incendio” si vuole intendere, in adesione alla ratio del nuovo approccio, qualcosa di più rispetto alla sicurezza antincendio, volendo con ciò sottolineare la convinzione che la sicurezza deve essere garantita anche in caso ed in occasione di un incendio che non si è saputo o potuto evitare. È proprio questo il caso al quale meglio si attaglia l’obbligo della gestione del rischio residuo,

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postulato dalla filosofia sottesa al nuovo approccio.

Infatti in caso di incendio la necessità di garantire la sicurezza degli occupanti, dei beni mobili e di quelli immobili richiede una strategia di sicurezza complessa e a tutto campo. È quindi necessario un “progetto sicurezza” che deve fare riferimento ad un percorso costituito da più e diversi momenti, tra i quali si segnalano: – definire l’incendio (focolaio) di progetto che si vuole affrontare e risolvere; – provvedere al suo rilevamento tempestivo; – provvedere all’invio di allarmi mirati; – provvedere al controllo e/o allo spegnimento con sostanze idonee;

– provvedere all’intervento ad uomo presente per verifiche e/o azioni mirate. È quasi inutile aggiungere che i singoli momenti in questione sono tra loro fortemente dipendenti. 3. La strategia di sicurezza Per strategia di sicurezza si intende il novero delle misure preventive, di protezione attiva e passiva e quelle organizzative cui il progettista della sicurezza può, e talvolta deve, fare riferimento nel proprio lavoro. Le misure preventive sono quelle misure che interagiscono con la frequenza di accadimento degli eventi riducendo le occasioni di rischio. Si tratta di una categoria di misure di primaria importanza che risolve i problemi evitandoli. Le misure di protezione passiva per il solo fatto di esistere, mitigano le conseguenze di una azione e/o di un evento dannosi che non abbiamo potuto o saputo evitare. Appartengono a questa categoria di misure: – le recinzioni – le chiusure d’ambito esterno – la resistenza al fuoco delle strutture e delle sovrastrutture – la reazione al fuoco dei materiali e degli arredi – le compartimentazioni – le vie di esodo. Le misure di protezione attiva riguardano in buona sostanza i sistemi di protezione attiva integrati (tecnologia e vigilanza ad uomo presente). L’uomo e la tecnologia sono infatti deputati a garantire l’efficacia della protezione attiva in diver- sa misura, ma in modo sinergico. Poiché è in ogni caso richiesta una indispensabile integrazione uomo–sistemi, va da sé che l’intera gestione delle misure di protezione attiva richiede una attenzione particolare.

I lati dell’ipotetico triangolo rappresentano I tre elementi necessari per la combustione: Combustibile (materiale infiammabile ) Comburente ( usualmente ossigeno) Fonte di innesco ( apporto di calore )

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Infatti per quanto riguarda i sistemi di protezione attiva, questi dovranno essere integrati nei rispetti- vi “progetti di sicurezza” e soddisfare il requisito della “affidabilità” intendendo con questo termine che siano soddisfatte le seguenti condizioni: Idoneità: il sistema non deve creare danni aggiuntivi a quelli dell’evento dal quale ci si vuol pro-teggere sia con riguardo alla sicurezza delle persone che a quella degli edifici e del loro contenuto; Tempestività: il sistema deve consentire il rilevamento precoce dell’evento e l’intervento immediato; Efficacia: il sistema deve garantire il raggiungimento dell’obiettivo di progetto, talché esso deve essere mirato e compatibile con l’evento che si progetta di dover affrontare; al riguardo si deve segnalare la odierna disponibilità di una ampia modellistica di riferimento per gli eventi di che trat-tasi che consente di superare le approssimazioni empiriche che fino ad oggi hanno guidato la progettazione in materia; Disponibilità: il sistema deve essere in grado di intervenire quando ciò sia richiesto; Protezione contro il sabotaggio: i sistemi di protezione attiva devono essere protetti contro il sabotaggio; Grado di automazione: si deve in ogni caso sottolineare che i sistemi di protezione attiva si diversificano anche per il loro grado di automazione. Infatti l’uomo e la tecnologia possono essere deputati al loro funzionamento in diversa misura. Occorre pertanto tenere presente che per gestire un elevato grado di automazione, occorre essere certi di una buona ingegneria di progetto, di una accurata costruzione, di una competente installazione ed infine di una costante e scrupolosa ma-nutenzione programmabile fin dalla fase di progetto, e che per poter contare sull’uomo si deve aver cura della sua selezione, formazione ed addestramento; Falsi allarmi: il sistema deve essere esente o comunque deve ridurre al minimo la possibilità di falsi allarmi; Facilità di manutenzione: il sistema deve essere facilmente “testabile” per una diagnosi precoce dei guasti che in ogni caso devono essere del tipo “fail–safe” (devono mettere in sicurezza i luoghi e/o quantomeno autosegnalarsi); ogni guasto deve poter essere riparato in tempo breve e sul posto. Le misure organizzative per la gestione della sicurezza afferiscono alla gestione del rischio in ogni sua fase (risk management). Il risk management riguarda infatti primariamente l’organizzazione che ciascuna struttura si deve dare per la sicurezza, intendendo con ciò, in buona sostanza, gli adempimenti progettuali ed organizzativi necessari per il perseguimento degli obiettivi prefissati, la predisposizione di risorse, il controllo sistematico, le azioni correttive, la formazione e l’addestramento degli addetti, ma anche dei gestori delle emergenze. Infatti se da una parte il moderno approccio alla sicurezza non escludendo il rischio, sempre presente in qualsivoglia attività umana, suggerisce di guardare alla complessa e non facile problematica con razionalità e con realismo pragmatico, dall’altra non deve essere interpretato come foriero di comode deresponsabilizzazioni perché semmai aggiunge un dovere in più, cioè quello che detto rischio residuo deve essere gestito riconducendo all’interno della attività stessa la responsabilità prima di detta gestione. La responsabilità in questione non deve essere interpretata soltanto nella individuazione del soggetto giuridico cui fare riferimento, soprattutto in sede penale, ma piuttosto nella necessità cogente di costituire un compiuto sistema organizzativo deputato alla sicurezza. Infatti il risk management riguarda anche la pianificazione e la gestione di quelle emergenze che non abbiamo saputo o potuto prevenire, controllandone primariamente l’evoluzione con l’obiettivo di minimizzarne le conseguenze. Pianificare l’emergenza significa, in ultima analisi, formulare un

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piano operativo per la sua gestione. Il piano di emergenza si deve qualificare per il dettaglio della progettazione organizzativa. Compito della pianificazione della emergenza è anche quello di sviluppare nei gestori della stessa le abilità necessarie per riconoscere e fronteggiare gli eventi attesi. Occorre pertanto dare ai gestori una formazione capace di sviluppare le abilità tecnico–professionali di mestiere necessarie per interpretare i sintomi della emergenza al suo nascere e soprattutto una capacità di sintesi che consenta loro di mettere a fuoco i problemi selezionando la gamma delle informazioni deducibili dai segnali premonitori. La rilevazione dei segnali premonitori della emergenza da parte di coloro che sono deputati alla gestione dipende infatti dalla loro formazione specifica all’analisi del rischio, dipende cioè dal grado di conoscenza dei pericoli e delle loro caratteristiche intrinseche, dal saperne riconoscere la minacciosa presenza, ma anche nel saper correlare tali pericoli alla contingente vulnerabilità ambientale. In mancanza si rischia la sottovalutazione dei fenomeni e risposte all’evento tardive e inadeguate. Ma il piano di emergenza non può soltanto consistere nella individuazione degli scenari attesi, nella predisposizione delle risorse, nella determinazione delle linee di flusso per la loro attivazione e di chi e che cosa deve fare, ma deve caratterizzarsi anche e soprattutto per la verifica della coerenza e praticabilità delle azioni da attivarsi in ragione di detti scenari. In definitiva occorre valutarne la sua operabilità. Sia attraverso simulazioni, realizzate, come si è visto, mediante modelli matematici più o meno raffinati implementati su calcolatori, sia attraverso concrete sperimentazioni, è possibile verificare se una emergenza è gestibile, cioè se il corrispettivo piano ammette soluzioni, e quindi se quel rischio è “accettabile”. Quando l’evento si verifica si determina una situazione di crisi che deve essere gestita e risolta. I gestori del piano devono pertanto possedere le competenze e le caratteristiche necessarie per la gestione delle emergenze di progetto. La gestione delle emergenze sarà tanto più efficace quanto più gli scenari di progetto saranno realistici e conservativi e la professionalità dei gestori elevata; investire nella loro qualificazione è quindi di fondamentale importanza. Il piano di emergenza deve prendere in considerazione anche i rapporti con entità esterne: tra queste vanno annoverati prioritariamente i soccorritori professionali e le forze dell’ordine. Infatti l’affidabilità dell’intervento di “repressione differita” loro richiesta potrà essere garantita soltanto attraverso un lavoro congiunto di pianificazione, ma anche e soprattutto di verifica mediante esercitazioni congiunte. Il passaggio di mano della gestione della emergenza dall’interno all’esterno non può prevedere discontinuità, ma deve avvenire in sperimentata sinergia. 4. Gli standard legislativi e normativi Gli standard legislativi e normativi in materia di sicurezza si sostanziano in un quadro di riferimento organico costituito da Direttive europee, Regole Tecniche e da Norme tecniche di prodotto e di impianto. Le Direttive europee che nella materia della sicurezza vengono denominate anche Direttive del nuovo approccio si discostano dalla tradizionale metodologia deterministico–prescrittiva per privilegiare la progettazione di sicurezza caso per caso basata essenzialmente su di una virtuale griglia che individua i suoi nodi fondamentali nei Requisiti essenziali, negli Obiettivi di sicurezza per ciascun requisito, nella Strategia, ma anche nelle Regole Tecniche e nelle Norme Tecniche. Con l’accezione di Regole Tecniche si intende il quadro di riferimento di disposizioni legislative nazionali che fino ad un recente passato veniva brevemente individuato come “Norme”. Con l’avvento della Unione Europea si è reso necessario distinguere le disposizioni legislative nazionali “cogenti” dal novero delle “Norme Tecniche” di “impianto” e di “prodotto” che, in ossequio al mercato comune e quindi alla libera circolazione dei prodotti, pur se “volontarie”, hanno assunto il carattere di esclusività nella caratterizzazione tecnica di tali materie. Talché, nelle relative materie in ottemperanza, al principio del libero mercato, gli Stati membri possono regolamentare, con proprie Regole Tecniche, ad esempio quali e quanti presidi di sicurezza devono essere adottati a fronte di questo o quel rischio e di questa o di quella attività, ma non possono definire come tali presidi devono essere realizzati, rimandando alle Norme Tecniche tale compito. Per Norme Tecniche si intendono le cosiddette norme di buona tecnica di natura formalmente volontarie, ma di fatto obbligatorie in quanto conferiscono ope legis agli impianti ed ai prodotti la presunzione di

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essere conformi alle regole dell’arte. Le Norme Tecniche sono emanate da organismi comunitari (CEN, CENELEC, EOTA) e recepite dai corrispondenti organismi nazionali (UNI, CEI, Organismi nazionali legittimati a rilasciare ETA); anche quando, in assenza di norme tecniche comunitarie, gli organismi nazionali emettono loro specifiche norme tecniche, queste devono ricevere l’approvazione in sede europea. gli standard procedurali: il progetto sicurezza Gli insediamenti costituenti “beni culturali” per le loro specifiche caratteristiche storico–artistiche appartengono più di ogni altro a quella realtà costruita che male ammette un approccio determi-nistico–prescrittivo e ciò almeno per i seguenti motivi: – Esigenze affatto diverse della security e della safety; – Destinazione non prevedibile e non prevista in fase di progetto che risale spesso ad epoche storicamente molto lontane da noi e dalla nostra civiltà tecnologica; – Inammissibilità di interventi strutturali ed impiantistici invasivi che andrebbero a snaturare la stessa realtà artistica e storica dell’edificio. Fermi restando i requisiti essenziali e gli obiettivi da soddisfare è necessario allora fare ricorso ad un moderno approccio che commisuri di volta in volta la strategia di sicurezza alle specifiche realtà anche attraverso un ampio ricorso a misure di sicurezza equivalenti. Questo approccio è quello comunemente noto come analisi dei rischi e la scienza che la studia è la reliability engineering. Questa branca dell’ingegneria studia la problematica della affidabilità che un sistema o una sua parte (sottosistema) o un suo elemento (unità) svolga correttamente la propria funzione nel tempo di missione assegnato. In ambito “beni culturali” essa riguarda in particolare gli impianti tecnologici di servizio ed i sistemi di protezione attiva, ma anche il comportamento degli addetti in ogni fase del progetto sicurezza considerando il “fattore umano” un aspetto centrale del problema. L’uomo e la tecnologia si devono infatti attivare in modo certo a partire dall’ora zero dell’evento o dell’azione dei quali sono stati messi a presidio. Tale ovvia constatazione pone primariamente il problema della loro affidabilità, valutazione quali-tativa troppo generica per un riferimento utile se non affrontata con metodologia tecnico–scientifica motivata e giustificabile. L’analisi dei rischi è un processo che ha l’obiettivo di fornire una rappresentazione formale della probabilità di danno di un sistema, nella fattispecie di un insediamento culturale, e di fornire le informazioni necessarie per una verifica documentata, motivata e giustificabile della rispondenza delle scelte di progetto per il soddisfacimento dei requisiti essenziali che detti insediamenti devono garantire e per il raggiungimento degli obiettivi di sicurezza postulati da ciascun requisito. L’analisi di rischio implica primariamente la individuazione dell’insieme dei pericoli (tecnologici) ed alle azioni (naturali ed antropiche) possibili (limitatamente a quelli “credibili”), oggetto dell’analisi stessa, ma anche la vulnerabilità del sistema considerato ed il fattore di esposizione nei confronti di detti pericoli e/o azioni. Infatti è l’interazione dei tre fattori sopra considerati che sostanzia un determinato livello di rischio che peraltro è caratterizzato anche da una frequenza di accadimento e soprattutto dalla magnitudo delle conseguenze. Quando un rischio (concetto probabilistico) si concretizza in un evento negativo (certezza) si hanno conseguenti scenari di emergenza ed in definitiva di danno. L’analisi del rischio, sotto il profilo metodologico, si avvale di tecniche di analisi logico-probabilistiche e di tecniche di analisi fenomenologiche. Le fasi di una compiuta analisi del rischio sono: l’individuazione e l’analisi dei “pericoli” e delle “azioni”;

– l’individuazione e l’analisi delle corrispondenti vulnerabilità;

– l’individuazione e l’analisi dei fattori di esposizione a ciascun pericolo;

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– la valutazione dei rischi;

– la “compensazione” dei rischi;

– la “valutazione” dei rischi residui;

– l’individuazione degli eventi e dei relativi scenari connessi con i rischi residui;

– la mitigazione degli eventi connessi con i rischi residui: i sistemi di protezione attiva;

– la pianificazione e la gestione delle emergenze;

– gli interventi correttivi della strategia.

Il livello di rischio globale delle attività viene rappresentato con un modello matematico nel

quale gli effetti del rischio stesso dipendono dai seguenti fattori:

F = probabilità o frequenza del verificarsi dell’evento rischioso

M = magnitudo della conseguenza, ossia dell’entità del danno ai lavoratori o all’ambiente,

provocato dal verificarsi dell’evento dannoso.

Secondo la funzione: Rischio = F x M

Il flow–chart che segue rappresenta sinotticamente il processo logico di una analisi di rischio.

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PERICOLI

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6. Le procedure di valutazione Le procedure di valutazione di un progetto di sicurezza devono essere fondate su: 6.1. Primo livello (Adempimento)

Verifica osservanza regole e norme tecniche � – Conformità alle “Regole Tecniche”: il progetto deve essere conforme alle Regole Tecniche nazionali (disposti legislativi cogenti) pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale nazionale; � – Conformità alle “Regole dell’Arte”: il progetto deve essere conforme alle norme tecniche di “impianto” e di “prodotto” internazionali, comunitarie e nazionali in quanto applicabili (ISO, IEC, CEN, CENELEC, UNI, CEI). 6.2. Secondo livello (Efficacia) Ricognizione dello “stato dell’arte”

Ricognizione dello “stato dell’arte”

Schede di rilevazione (check–list) Analisi di dettaglio � – Liste di controllo (Check list) � – Analisi di operabilità (Hazop); � – Modi di guasto e loro effetti (F.m.e.a.); � – Cosa succede se ? (What if); � – Alberi di guasto; � – Alberi degli eventi; � – Modelli vulnerabilità; � – Modelli conseguenze; � – Modelli “fattore umano”.

Compensazione dei rischi Quali–quantificazione dei rischi residui

metodi ad indici

Mitigazione dei rischi residui Verifica praticabilita’ manuali operativi e piani emergenze. 7. Le linee guida e i valori numerici: i criteri di accettabilità Ribadita la ovvia cogenza di osservare puntualmente quanto prescritto dal quadro di riferimento legislativo e normativo vigente nelle singole materie afferenti la sicurezza (adempimento), si ritiene che i criteri di accettabilità dovrebbero indicare per il livello superiore (quello dell’efficacia), più che limiti statici riconducibili a valori numerici, trend di compensazione e mitigazione in ragione delle necessità contingenti, quali risultano dalla analisi dei rischi, delle specificità degli insediamenti, peraltro da aggiornarsi (work in progress) in funzione del progresso tecnologico. Tuttavia, supposto di poter classificare i musei in almeno cinque categorie, da 1 a 5 in ordine decrescente per “importanza”, si propone una possibile matrice rappresentata al successivo punto 8) nella quale nelle ordinate sono stati elencati i più comuni sistemi di protezione attiva. L’ipotesi di suddividere in categorie i musei è certamente arbitraria e comunque esula dalle competenze del tecnico della sicurezza. La matrice potrebbe essere “perfezionata” indicando con una “X”, nelle colonne delle categorie, quei sistemi di protezione attiva ritenuti irrinunciabili in funzione della “importanza” dell’insediamento museale preso a riferimento.

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Categorie di musei

8. Matrice SISTEMI DI PROTEZIONE ATTIVA

1 2 3

4

5

impianto di rivelazione automatico

pulsanti di segnalazione manuale

rivelatori di miscele infiammabili

vigilanza ad "uomo presente"

rivelazione

sala operativa squadra antincendio estintori portatili

intervento immediato

estintori carrellati "a gas"

pre-flashover

spegnimento automatico "a sprinkler"

naspi DN 20 idranti DN 45

intervento differito (V.V.F. professionali) idranti DN 70

acquedotto attacco gruppo motopompa

post-flashover

alimentazione riserva idrica per almeno 1 ora

ANTINCENDIO

altro impianto antiscavalcamento

impianto antieffrazione delle superfici

impianto antieffrazione degli accessi

protezione recinzione

impianto TVCC impianto di rivelazione antintrusione

impianto antieffrazione delle superfici

impianto antieffrazione degli accessi

impianto di protezione volumetrica

protezione edificio

impianto TVCC impianto di rivelazione antintrusione

impianto antieffrazione delle superfici

ANTICRIMINE

protezione sale museali

impianto antieffrazione degli accessi

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impianto di protezione volumetrica

impianto TVCC teche e/o vetri di protezione

distanziometri protezione opere allarme per distacco singola opera

mezzi ed impianti antirapina

sistemi di controllo degli accessi e dei flussi di transito

vigilanza

custodi collegamenti con le FF.O. e/o Istituti privati

sistemi di centralizzazione e gestione segnali di allarme

sistemi di sicurezza polifunzionali

sala operativa altro

scale a giorno scale protette scale a prova di fumo interne/esterne

vie di esodo (collegamenti verticali)

ascensori antincendio illuminazione di sicurezza alimentazione di emergenza (G.E.)

diffusione sonora segnaletica di sicurezza

vari

presidi sanitari

SISTEMI VARI

altro

la fabbricazione della carta d'amianto

Sul finire del XVII secolo, la nobildonna Candida Lena Perpenti, di Gordona in Valchiavenna ma di origine spagnola, incuriosita dalla vista in un museo di un fuso con del filo di amianto proveniente dagli scavi di Ercolano, decise di provare lei stessa a filare il minerale. Nel 1806 riuscì

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a produrre il primo paio di guanti ignifughi che donò al viceré d’Italia Eugenio di Behaurnais. Oggi sappiamo che la materia prima utilizzata dalla nobildonna Perpenti era proveniente proprio dalla Valmalenco. A buona ragione, si può quindi sostenere che la Valmalenco sia stata tra le prime al mondo a scoprire e sfruttare le miniere di amianto dopo l’età antica (l’amianto era già conosciuto dalle civiltà persiane, greche e romane per le sue qualità ignifughe). Nei primi anni dell’800 inizia lo sfruttamento industriale ma bisognerà aspettare il 1867 perché l’amianto della Valmalenco torni ad essere protagonista sul mercato nazionale per la produzione di carta ignifuga, necessaria per redigere importanti documenti all’interno della cartiera Rigamonti di Tivoli ove si produceva la carta di amianto considerata per il suo pregio particolarmente adatta a quei documenti che, essendo importanti, richiedevano un'accurata conservazione. Tale carta era incombustibile e quindi garantiva ancora di più tale sicura conservazione. L'idea di realizzarla è però antecedente all'Ottocento; dobbiamo risalire all'ultimo decennio del Seicento, precisamente al 1691, per trovare l'ideatore, un alto prelato, Mons.Giovanni Ciampini. Costui esperimentò la creazione di fogli ottenuti mescolando a fibre vegetali i residui di fibre minerali che si depositavano all'interno dei grandi vasconi dove veniva lavato l'amianto (noto già agli antichi Romani che, pur non riuscendo a fare il tessuto di amianto, sapevano filarlo). Chiaramente, all'inizio, la sua realizzazione non era al meglio: infatti i fogli erano abbastanza friabili e poco consistenti ma, attraverso degli accorgimenti, i risultati migliorarono. La gomma arabica aggiunta alla primitiva mistura fece sì che la carta ottenuta fosse più consistente e sbiancata, in una parola più idonea per essere scritta e stampata. Un successivo passo per migliorarla fu fatto nel 1868 dal canonico D.Vittorio del Corona il che fece balenare al Marchese Augusto di Baviera (futuro direttore dell'Osservatore Romano) l'idea (dopo una serie di esperimenti fatti a Tivoli) di sfruttarla industrialmente. Nel 1869 avanzò domanda per ottenerne il brevetto insieme al predetto canonico e, una volta che tale diritto gli fu concesso (24/7/1869), iniziò a Tivoli la fabbricazione industriale della carta incombustibile ottenuta attraverso due procedimenti. Il primo prevedeva di collocare per due giorni in un bagno di acido idroclorico gli avanzi di amianto non adatti ad essere filati; per attutire il colore giallognolo della materia occorreva fare molti lavaggi.

Al termine di essi il residuo colore andava eliminato usando acqua di cloruro di calce e poi acqua acidulata con acido solforico; poi si passava a tritare la materia nei cilindri per ottenerne una pasta a cui si aggiungeva poca fecola di patata cotte; a questo punto era pronta per essere lavorata. Il secondo procedimento prevedeva invece di mettere per due giorni "l'asbesto in un bagno di acido clolorico del commercio" cambiando spesso l'acqua onde eliminare il predetto colore giallognolo. Si passava poi a tritare in cilindri di bronzo versandovi "4 l. di acqua di cloruro di calce e, dopo trenta minuti, 1 l. di acido solforico per ogni cilindrata". A metà triturazione occorreva aprire "lo sciacquo" e "purgare il pesto dagli acidi. A questo punto occorreva aggiungere fecola di patate cotte (5 libre ogni 100 di pesto) amalgamando bene; la carta era così pronta per essere lavorata a mano o a machina. Il Marchese propose di utilizzare tale carta d'amianto non solo per i documenti da conservare ma anche per i titoli cambiari. Dalle pagine dell'Osservatore Romano iniziò una campagna di promozione per quella tela e carta incombustibile che le cartiere di Tivoli fabbricavano. Ad appoggiarne l'impiego erano anche illustri personaggi come il dr. Francesco Ratti e Padre Angelo Secchi della Compagnia di Gesù (colui che fece interessanti osservazioni sul pianeta Marte) i quali sottolineavano il pregio di questa carta inattaccabile dal fuoco.

Le carte di amianto di Tivoli, di tessuti e di filo furono oggetto anche di una mostra-mercato a Roma dall'ottobre del 1869 al febbraio 1870 allestita presso la sede del giornale vaticano in Via dei Crociferi 48. Purtroppo però gli avvenimenti del 1870 (Roma capitale, estensione dell'unità d'Italia, sgretolamento dello Stato Pontificio) comportarono delle conseguenze politiche, economiche, sociali che in parte provocarono degli sconvolgimenti dalle lunghe e diverse conseguenze.

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INQUINAMENTO DA AMIANTO

L'amianto, chiamato anche indifferentemente asbesto, è un minerale naturale a struttura fibrosa appartenente alla classe chimica dei silicati e alle serie mineralogiche del serpentino e degli anfiboli. E' presente naturalmente in molte parti del globo terrestre e si ottiene facilmente dalla roccia madre dopo macinazione e arricchimento, in genere in miniere a cielo aperto. Secondo la normativa italiana ( art. 249 Testo Unico D.Lgs. 9 aprile 2008 , n. 81) il termine amianto designa i seguenti silicati fibrosi:

ACTINOLITE ( n. CAS 77536-66-4 ) AMOSITE ( n. CAS 12172-73-5 )

ANTOFILLITE ( n. CAS 77536-67-5 ) CRISOTILO ( n. CAS 12001-29-5 )

CROCIDOLITE ( n. CAS 12001-78-4 ) TREMOLITE ( n. CAS 77536-68-6 )

Il crisotilo appartiene alla serie mineralogica dei serpentini, gli altri a quella degli anfiboli .

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L'amianto resiste al fuoco e al calore, all'azione di agenti chimici e biologici, all'abrasione e all'usura; ha una notevole resistenza meccanica ed una alta flessibilità La sua struttura fibrosa ha fibre lunghe e sottili che

possono essere tessute come quelle della lana e del cotone.

Amianto in greco significa incorruttibile, perché le sue fibre non possono essere distrutte dal fuoco; esso era già noto agli Egizi e il romano Plinio lo considerò una “pietra magica”. Dal 1830-40 cominciò ad essere usato per proteggere uomini e cose dal fuoco e dal calore delle caldaie, sempre più numerose nell’industria e sulle navi ormai non più a vela, ma a vapore. Da poche tonnellate si arrivò ad estrarne e adoperarne milioni di tonnellate all’anno e l’Italia ne lavorò grandi quantità per fabbricare pareti isolanti o per molti usi industriali Le miniere più ricche sono in Canada, Sudafrica, Russia e Australia, ma ve ne sono anche nelle Alpi: in Piemonte se ne estraevano 100 mila tonnellate all’anno a Balangero in Val di Lanzo e nel casalese (Casale Monferrato) si costruivano manufatti in cemento-amianto.

Ma l’amianto può essere dannoso alla salute? Già nel 1906 l’ispettorato del lavoro inglese aveva segnalato che le ragazzine addette alla tessitura delle fibre di amianto si ammalavano ai polmoni senza che fossero affette da tubercolosi, malattia allora molto diffusa tra i giovani delle classi più povere. Dopo qualche tempo ci si rese conto che le fibre di amianto inalate si depositavano nei polmoni i quali diventavano grigi e duri: tale malattia fu denominata asbestosi e fu dichiarata malattia professionale indennizzabile come la silicosi a partire dal 1936 in Inghilterra e qualche anno dopo in Italia; furono resi obbligatori i filtri, depuratori e mascherine nelle sedi di lavoro, ma la produzione e l’uso dell’amianto continuò. Nel 1960 comparve un articolo che fece scalpore: tra un gruppo di minatori di amianto del Sudafrica erano stati osservati un certo numero di soggetti affetti da un tumore della pleura molto raro, il Mesotelioma. Nacque il ragionevole sospetto che vi fosse un rapporto tra l’esposizione all’amianto e tale malattia; per risolvere il dubbio l’Accademia delle Scienze di New York organizzò un congresso nel 1965 e il tale occasione si confermò che anche tra i minatori degli Stati Uniti si era manifestato questo tumore con una frequenza insolitamente alta. Lo stesso fenomeno fu in seguito denunciato in modo clamoroso in una miniera di amianto australiana: tale evento fu definito un disastro industriale. Infine furono segnalati tumori della pleura in un piccolo villaggio turco, situato vicino ad una collina ricca di rocce amiantifere, la cui polvere era trasportata dal vento sul villaggio: si scoprì così che vi può essere un danno non solo lavorativo, ma anche ambientale. L’allarme scattò all’inizio degli anni ’80, ma soltanto nel 1992 una legge ( legge 257 del 27 marzo 1992 ) ha vietato l’estrazione e la lavorazione dell’amianto ed ha ordinato la bonifica di tutte le strutture fonti di inquinamento da amianto Questa legge non limita la sua azione alla sola messa al bando dell’amianto, ma affronta anche le complesse problematiche ad esso collegate: la tutela contrattuale dei lavoratori, i limiti ed il controllo delle emissioni, l’imballaggio, l’etichettatura e lo smaltimento dei rifiuti contenenti amianto. Per esse indica norme di riferimento già in vigore, introducendo a volte in queste ultime adeguate modifiche. La legge contiene forme di tutela sia verso i lavoratori che verso le imprese di produzione penalizzate dalla dismissione dell’amianto. La stessa prende in esame diversi aspetti particolarmente significativi inerenti sia la salvaguardia dell’ambiente che la tutela della salute pubblica. Tuttavia essa non fornisce per essi una regolamentazione specifica , ma rimanda a successive norme di attuazione. A tal fine istituisce una commissione per la valutazione dei problemi ambientali e dei rischi sanitari connessi all’impiego dell’amianto alla quale attribuisce compiti ben precisi. Pertanto per anni è stato considerato un materiale estremamente versatile a basso costo, con estese e svariate applicazioni industriali, edilizie e in prodotti di consumo. In tali prodotti, manufatti e applicazioni, le fibre possono essere libere o debolmente legate: si parla in questi casi di amianto in matrice friabile , oppure possono essere fortemente legate in una matrice stabile e solida (come il cemento-amianto o il vinil-amianto): si parla in questo caso di amianto in matrice compatta . Nell’industria dei materiali edili, l’amianto è stato utilizzato per la realizzazione di circa 2.000 diversi prodotti. di larga diffusione quali tubi per acquedotti, fogne ecc, lastre e fogli in cemento-amianto, mattonelle per

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pavimentazioni, frizioni, freni e prodotti vari per attrito, guarnizioni, filtri per bevande, tute, coperte, guanti antincendio, pannelli fonoassorbenti e/o isolanti, vernici, rivestimenti, stucchi, feltri, tegole, ecc. ecc Generalmente è stato utilizzato insieme con altri materiali in diverse percentuali, al fine di sfruttare al meglio le sue caratteristiche.

PRODOTTI E LORO CONTENUTO IN AMIANTO (DA HEALTH AND SAFETY EXECUTIVE - 1979)

PRODOTTI % IN PESO AMIANTI

Cemento/amianto per edilizia 10-15 C, A, Cr

Cemento/amianto per condutture 12-15 C, A, Cr

Prodotti isolanti, ignifughi 25-40 A,C

Prodotti isolanti, inclusi quelli a spruzzo 12-100 A, C, Cr

Guarnizioni sigillanti 25-85 C, Cr

Materiali di attrito 30-70 C

Altri materiali tessili 65-100 C,Cr

Materiali per pavimentazione 5-7,5 C

Materie plastiche, inclusi gli involucri per batterie 55-70 C, Cr

Materiali di carica e di rinforzo 25-98 C,Cr

Legenda: C=Crisotilo, A=Amosite Cr=Crocidolite Tra questi erano comuni i prodotti in cemento-amianto: lastre di copertura, rivestimenti, pareti divisorie, tubi, contenitori, ecc. che venivano utilizzati indifferentemente nella costruzione di edifici civili o industriali. I manufatti che contengono l'amianto con il passare degli anni subiscono, come tutti i materiali, un invecchiamento naturale causato da interventi di manutenzione, di riparazione, ecc...; in questi casi si può generare un inquinamento ambientale a seguito della possibile dispersione in atmosfera di fibre. Non sempre l'amianto, però, è pericoloso: lo è sicuramente quando può disperdere le sue fibre nell'ambiente circostante per effetto di qualsiasi tipo di sollecitazione meccanica, eolica, da stress termico, dilavamento di acqua piovana. La cessazione dell'utilizzo dell'amianto ha fatto sì che l'esposizione a questo inquinante si sia spostata dall'ambiente di lavoro a quello di vita.

PRINCIPALI MATERIALI CONTENENTI AMIANTO E LORO POTE NZIALE RILASCIO DI FIBRE (D.M. del 6 Settembre 1994)

TIPO DI MATERIALE FRIABILITÀ RILASCIO NOTE

Applicazioni a spruzzo e rivestimenti isolanti Elevata Significativo Amosite, Crocidolite a volte con Crisotilo

Rivestimenti isolanti di tubazioni e di caldaie Elevata Per rivestimenti alterati e non sigillati

Miscele con silicato di calcio; tele, feltri ed imbottiture

Funi, corde, tessuti scarsa secondo lo stato di conservazione

Amosite, Crocidolite, Crisotilo

Cartoni, carte, prodotti affini Elevata secondo lo stato di conservazione

Crisotilo

Cemento - Amianto Molto scarsa Scarso Amosite, Crocidolite, Crisotilo

Bitumi, intercapedini, piastrelle, mastici, sigillanti, pavimenti plastici

Inesistente Improbabile Prevalentemente Crisotilo

Gli effetti nocivi per la salute che possono essere con certezza attribuiti all’amianto riguardano l’apparato respiratorio. Il problema biologico ed in particolare l'effetto oncogeno dell'amianto non risulta subordinato alla durata ed all'intensità dell'esposizione, pertanto l'effetto non dipende dalla dose alla quale si è stati esposti, ma dalla natura delle fibre inalate ed alle loro caratteristiche Ai fini dell’inquinamento ambientale, l’amianto in forma "friabile" è il più pericoloso, perché anche deboli azioni meccaniche sono in grado di liberare un gran numero di fibre e causare, quindi, forti inquinamenti dell’aria.

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AMIANTO NEGLI EDIFICI

La legge 257/92 [Normative e metodologie tecniche di applicazione dell'art. 6, comma 3, e dell'art. 12, comma 2, della legge 27 marzo 1992, n. 257, relativa alla cessazione dell'impiego dell'amianto.e il D.M. 6 settembre 1994] prende in esame per la prima volta il problema dell’amianto in tutti gli edifici. Riserva particolare attenzione ai materiali contenente amianto floccato, cioè quelli applicati a spruzzo o a cazzuola, in matrice friabile, che si può ridurre in polvere con la semplice azione manuale. Affida alle regioni il censimento di questi edifici e conferisce ad esse il potere, ove necessario, di predisporre interventi di bonifica a carico dei proprietari degli immobili. Istituisce un registro degli edifici in cui è presente amianto friabile, depositato presso le ASL ed un albo delle imprese di bonifica.

Il D.M. 6/9/94 è uno dei disciplinari tecnici emanati in attuazione delle norme previste dalla legge 257/92. In esso sono contenute normative e metodologie tecniche per la valutazione del rischio, il controllo, la manutenzione e la bonifica dei materiali contenenti amianto presenti nelle strutture edilizie. Il documento prende in esame:

• l’ispezione delle strutture edilizie, il campionamento e l’analisi dei materiali sospetti per l’identificazione dei materiali contenenti amianto

• il processo diagnostico per la valutazione del rischio e la scelta dei provvedimenti necessari per il contenimento o l’eliminazione del rischio stesso;

• il controllo dei materiali contenenti amianto e le procedure per le attività di custodia e manutenzione in strutture edilizie contenenti materiali di amianto;

• le misure di sicurezza per gli interventi di bonifica; • le metodologie tecniche per il campionamento e l’analisi delle fibre aerodisperse.

Il documento fa riferimento a due tipi di indicazioni:

- norme prescrittive che compaiono nel testo in carattere - grassetto ; -

- norme indicative , da intendersi come linee guida non prescrittive che vengono indicate nel testo in carattere - corsivo

AMIANTO NEGLI EDIFICI E NEGLI IMPIANTI ASPETTI GEST IONALI E PROBLEMI DI BONIFICA

Dove si può trovare l'amianto in un'abitazione ?

1. Intonaco 2. Guarnizioni stufe 3. Pannelli 4. Coibentazione tubi 5. Rivestimento camini 6. Elettrodomestici 7. Tubazioni idriche 8. Materiali Isolanti 9. Lastre di copertura 10. Canne fumarie 11. Serbatoi idrici

VALUTAZIONE DEL RISCHIO Relativamente alla presenza di materiali contenenti amianto negli edifici, e alle relative bonifiche, si riporta quanto cita il Decreto 6 Settembre 1994 (“Normative e metodologie tecniche di applicazione dell’art.6, comma 3, e dell’art.12, comma 2, dellaLegge 27 Marzo 1992, n.257, relativa alla cessazione dell’impiego dell’amianto”): “La presenza di MCA in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti. Se il materiale è in buone condizioni e non viene m anomesso, è estremamente improbabile che

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esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibr e di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per va ndalismo, siverifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, ose è altamente friabile, le vibrazioni dell’edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d’aria possono causareil distacco di fibre legate debolmen te al resto del material e”. La valutazione dei rischi si deve sviluppare attraverso una analisi dello stato in cui si trova il materiale contenente amianto la cui presenza in un edificio non comporta di per sé un pericolo per la salute degli occupanti: i rischi dipendono infatti dalla probabilità che il materiale rilasci nell'aria fibre di amianto che possono essere inalate dagli individui. Se il materiale è in buone condizioni e non viene manomesso, è estremamente improbabile che esista un pericolo apprezzabile di rilascio di fibre di amianto. Se invece il materiale viene danneggiato per interventi di manutenzione o per vandalismo si verifica un rilascio di fibre che costituisce un rischio potenziale. Analogamente se il materiale è in cattive condizioni, le vibrazioni dell'edificio, i movimenti di persone o macchine, le correnti d'aria possono causare il distacco di fibre legate debolmente al resto del materiale. Questo fenomeno si verifica anche per materiali apparentemente in buone condizioni, ma altamente friabili in cui la forza di coesione tra le fibre è molto scarsa. Meccanismi fondamentali di rilascio e dispersione d elle fibre all'interno di un edificio FALLOUT distacco dal materiale friabile, delle fibre legate più debolmente, determinato dalle sollecitazioni a cui è sottoposto il materiale per i movimenti dell'aria e le vibrazioni delle strutture, per infiltrazioni di acqua, per una cattiva qualità dell'istallazione o per i naturali fenomeni di invecchiamento. In ogni caso si tratta di un fenomeno di entità relativamente scarsa, ma costante. IMPATTO contatto diretto col materiale con il quale si verifica una dispersione di fibre in occasione di interventi di manutenzione che interessano direttamente i materiali di amianto o quando lo stesso viene danneggiato per vandalismo. Spesso l'impatto è accidentale, come nel caso della manutenzione di attrezzature poste nelle immediate vicinanze In questi casi l'entità del rilascio di fibre dipende dal grado di danneggiamento e dalle caratteristiche del materiale, in particolare dalla friabilità e dalla forza di coesione e di adesione. Generalmente l'impatto causa un rilascio di fibre di elevata entità, ma occasionale e di breve durata. Di conseguenza quello che conta è soprattutto la frequenza di questo tipo di eventi. A tal fine è importante l'accessibilità del materiale in relazione al tipo di attività che si svolgono nell'edificio. In particolare se il materiale contenente amianto è facilmente accessibile da parte di tutti gli occupanti dell'edificio, se invece è accessibile solo nel caso di interventi di manutenzione e con quale frequenza sono effettuati tali interventi. DISPERSIONE SECONDARIA consiste nel risollevamento e nella dispersione in aria delle fibre rilasciate in conseguenza del fallout o dell'impatto. La dispersione secondaria è prodotta dalle attività di pulizia, dal movimento delle persone e dalla circolazione dell'aria. L'importanza del fenomeno dipende da un lato dalle attività svolte nell'ambiente e dall'altro dalla capacità del pavimento e delle pareti di trattenere le fibre di amianto . Per le buone caratteristiche aerodinamiche, le fibre sospese tendono a rimanere in aria per lungo tempo fino a determinare concentrazioni anche elevate, laddove si verificano rilevanti rilasci di fibre.

Secondo il Decreto del Ministero della Sanità del 6 settembre 1994, relativo all'amianto negli edifici, si definiscono friabili i materiali che possono essere facilmente sbriciolati o ridotti in polvere con la semplice pressione manuale, mentre sono considerati compatti i materiali duri che possono essere sbriciolati o ridotti in polvere solo con l'impiego di attrezzi meccanici. La friabilità dipende dalla tipologia della matrice. I materiali in matrice cementizia sono duri e compatti e rilasciano fibre con estrema difficoltà; viceversa i materiali applicati a spruzzo sono estremamente friabili e quindi di gran lunga più pericolosi

La corretta valutazione del rischio amianto richiede, solitamente, l'intervento di tecnici competenti che possono procedere a:

• esame delle condizioni dell'installazione, al fine di stimare il pericolo di un rilascio di fibre dal materiale;

• misura della concentrazione delle fibre di amianto aerodisperse all'interno dell'edificio (monitoraggio ambientale).

In fase di ispezione visiva dell'installazione, devono essere invece attentamente valutati:

• il tipo e le condizioni dei materiali;

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• i fattori che possono determinare un futuro danneggiamento o degrado; • i fattori che influenzano la diffusione di fibre ed esposizione degli individui.

In base agli elementi raccolti per la valutazione possono delinearsi tre diversi tipi di situazioni:

a) MATERIALI INTEGRI NON SUSCETTIBILI DI DANNEGGIAM ENTO

Sono situazioni nelle quali non esiste pericolo di rilascio di fibre d'amianto in atto o potenziale o di esposizione degli occupanti, come ad esempio:

• materiali non accessibili per la presenza di un efficace confinamento; • materiali in buone condizioni, non confinati ma comunque difficilmente accessibili agli occupanti; • materiali in buone condizioni, accessibili ma difficilmente danneggiabili per le caratteristiche proprie

del materiale (duro e compatto); • non esposizione degli occupanti in quanto l'amianto si trova in aree non occupate dell'edificio.

In questi casi non è necessario un intervento di bonifica. Occorre, invece, un controllo periodico delle condizioni dei materiali e il rispetto di idonee procedure per le operazioni di manutenzione e pulizia dello stabile, al fine di assicurare che le attività quotidiane dell'edificio siano condotte in modo da minimizzare il rilascio di fibre di amianto.

b) MATERIALI INTEGRI SUSCETTIBILI DI DANNEGGIAMENTO

Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio potenziale di fibre di amianto, come ad esempio:

• materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili dagli occupanti; • materiali in buone condizioni facilmente danneggiabili in occasione di interventi manutentivi; • materiali in buone condizioni esposti a fattori di deterioramento (vibrazioni, correnti d'aria, ecc.).

In situazioni di questo tipo, in primo luogo, devono essere adottati provvedimenti idonei a scongiurare il pericolo di danneggiamento e quindi attuare un programma di controllo e manutenzione. Se non è possibile ridurre significativamente i rischi di danneggiamento dovrà essere preso in considerazione un intervento di bonifica da attuare a medio termine.

c) MATERIALI DANNEGGIATI Sono situazioni nelle quali esiste pericolo di rilascio di fibre di amianto con possibile esposizione degli occupanti, come ad esempio:

• materiali a vista o comunque non confinati, in aree occupate dell'edificio, che si presentino: • danneggiati per azione degli occupanti o per interventi manutentivi; • deteriorati per effetto di fattori esterni (vibrazioni, infiltrazioni d'acqua, correnti d'aria, ecc.), deteriorati

per degrado spontaneo; • materiali danneggiati o deteriorati o materiali friabili in prossimità dei sistemi di ventilazione.

Sono queste le situazioni in cui si determina la necessità di un'azione specifica da attuare in tempi brevi, per eliminare il rilascio in atto di fibre di amianto nell'ambiente

Le tecniche d’intervento per i possibili provvedimenti possono essere:

IL RESTAURO DI MATERIALI: l'amianto viene lasciato senza effettuare alcun intervento di bonifica, ma si riparano le zone danneggiate e si eliminano le cause potenziali del danneggiamento. E' applicabile per materiali in buone condizioni che presentino danneggiamenti di scarsa estensione (inferiori al 10% della superficie di amianto dell'area interessata). Questo provvedimento viene utilizzato soprattutto per il rivestimento di tubi e caldaie o per materiali poco danneggiati, che presentino danni circoscritti.

INTERVENTO DI BONIFICA mediante rimozione, incapsul amento o confinamento dell'amianto . La bonifica può riguardare l'intera installazione o essere circoscritta alle aree dell'edificio o alle zone dell'installazione in cui si determina un rilascio di fibre. Dal momento in cui viene rilevata la presenza di materiali contenenti amianto in un edificio, è necessario che

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sia messo in atto un programma di controllo e manutenzione al fine di ridurre al minimo l'esposizione degli occupanti

I metodi di bonifica che possono essere attuati son o:

• la rimozione o decoibentazione intesa come sostituzione dell'amianto con altro materiale; è il metodo più utilizzato in quanto elimina il problema alla radice;

• l'incapsulamento che corrisponde al trattamento dell'amianto con prodotti penetranti e ricoprenti per costituire una pellicola protettiva fra l'ambiente e la superficie esposta; è necessario un programma di manutenzione e controllo costante in quanto l'amianto rimane nell'edificio;

• il confinamento che consiste nell'installazione di una barriera a tenuta che separi l'amianto dalle aree occupate dell'edificio. Occorre sempre attivare un programma di controllo e manutenzione in quanto l'amianto rimane nell'edificio e la barriera installata per il confinamento deve essere mantenuta in buone condizioni.

Nei metodi di bonifica (al punto 4 del Decreto 6/9/94), viene specificato che gli interventi di ristrutturazione o demolizione di strutture rivestite di amianto dev ono sempre essere preceduti dalla rimozione dell'amianto stesso.

La certificazione della restituibilità di ambienti bonificati Al termine dei lavori di bonifica, dovranno essere eseguite le operazioni di certificazione di restituibilità degli ambienti bonificati. Tali operazioni, da eseguirsi a spese del committente, dovranno essere eseguite da funzionari della ASL competente al fine di assicurare che le aree interessate possano essere rioccupate con sicurezza. In genere si distinguono tre fasi di analisi delle fibre d'amianto:

• prima dell’intervento di bonifica, per valutare lo stato dei materiali; • nel corso dell’intervento, per accertare il contenuto di fibre di amianto aerodisperse ai fini della

salvaguardia della sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente circostante; • alla fine dei lavori, per valutare la restituibilità del sito bonificato

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Formazione sui rischi derivanti dalla esposizione d elle fibre d'amianto (legge n. 257/92)

Le imprese che svolgono l'attività di bonifica, rimozione e smaltimento di materiali contenenti amianto, sono tenute obbligatoriamente al conseguimento del titolo di abilitazione a tali attività, rilasciato in seguito alla partecipazione ad appositi corsi di formazione degli addetti in base all'art. 10, comma 2, lett. h) della Legge 257/92. In base alla Legge 257/92, le Regioni avevano il compito di regolamentare le modalità di svolgimento dei corsi.

I corsi di formazione professionale interessano:

tutti i lavoratori addetti alle attività di rimozione (operatori), smaltimento e bonifica; i dirigenti delle attività di rimozione, smaltimento e bonifica.

La durata minima prevista per ciascuna tipologia è stabilita in 30 ore per i corsi destinati agli operatori/addetti e 50 ore per i corsi destinati ai dirigenti la gestione

LE TECNICHE D'INTERVENTO PER I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO IN MATRICE COMPATTA La bonifica delle coperture in cemento-amianto (ete rnit)

Le coperture in fibrocemento, comunemente conosciute come coperture in Eternit, dal nome di una ditta che le produceva sono costituite da un impasto di cemento e amianto (generalmente del tipo crisotilo) in concentrazione di circa il 15%, sono costituite da materiale non friabile che, quando è nuovo o in buono stato di conservazione, non tende a liberare fibre spontaneamente. Il cemento-amianto, quando si trova all'interno degli edifici, anche dopo lungo tempo, non va incontro ad alterazioni significative tali da determinare un rilascio di fibre, se non viene manomesso. Invece, lo stesso materiale esposto ad agenti atmosferici subisce un progressivo degrado per azione delle piogge acide, degli sbalzi termici, dell'erosione eolica e di microrganismi vegetali. Di conseguenza,

dopo anni dall'installazione si possono determinare alterazioni corrosive superficiali con affioramento delle fibre e fenomeni di liberazione.

I principali indicatori utili per valutare lo stato di degrado delle coperture in cemento-amianto, in relazione al potenziale rilascio di fibre, sono:

• la friabilità del materiale; • lo stato della superficie ed in particolare l'evidenza di affioramenti di fibre; • la presenza di sfaldamenti, crepe o rotture; • la presenza di materiale friabile o polverulento in corrispondenza di scoli d'acqua, grondaie, etc.; • la presenza di materiale polverulento conglobato in piccole stalattiti in corrispondenza dei punti di

gocciolamento. La bonifica delle coperture in cemento-amianto viene necessariamente effettuata in ambiente aperto, non confinabile, e, pertanto, deve essere condotta limitando il più possibile la dispersione di fibre. I metodi di bonifica applicabili sono: Rimozione: le operazioni devono essere condotte salvaguardando l'integrità del materiale in tutte le fasi dell'intervento. Comporta la produzione di notevoli quantità di rifiuti contenenti amianto che devono essere correttamente smaltiti. Comporta la necessità di installare una nuova copertura in sostituzione del materiale rimosso. Per la rimozione delle lastre di copertura occorre effettuare sostanzialmente le seguenti operazioni: rimozione dei chiodi di fissaggio, evitando la rottura delle lastre, palettizzazione delle lastre e disposizione dei bancali con le lastre in zona appartata e non transitabile per gli automezzi. I bancali con le lastre in cemento-amianto dovranno essere avvolti in film di polietilene di adeguato spessore, etichettati, e tramite un trasportatore autorizzato verranno conferite in discarica autorizzata unitamente al materiale d'uso (tute, filtri, materiale aspirato), anch'esso insaccato e sigillato.

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Incapsulamento : possono essere impiegati prodotti impregnanti, che penetrano nel materiale legando le fibre di amianto tra loro e con la matrice cementizia, e prodotti ricoprenti, che formano una spessa membrana sulla superficie del manufatto. L'incapsulamento richiede necessariamente un trattamento preliminare della superficie del manufatto, al fine di pulirla e di garantire l'adesione del prodotto incapsulante. Il trattamento deve essere effettuato con attrezzature idonee che evitino la liberazione di fibre di amianto nell'ambiente e consentano il recupero ed il trattamento delle acque di lavaggio. Sovracopertura: il sistema della sovracopertura consiste in un intervento di confinamento realizzato installando una nuova copertura al di sopra di quella in cemento-amianto, che viene lasciata in sede quando la struttura portante sia idonea a sopportare un carico permanente aggiuntivo. L'installazione comporta generalmente operazioni di foratura dei materiali di cemento-amianto, per consentire il fissaggio della nuova copertura e delle infrastrutture di sostegno, che determinano liberazione di fibre di amianto. La superficie inferiore della copertura in cemento-amianto non viene confinata e rimane, quindi, eventualmente accessibile dall'interno dell'edificio, in relazione alle caratteristiche costruttive del tetto. Nel caso dell'incapsulamento e della sovracopertura si rendono necessari controlli ambientali periodici ed interventi di normale manutenzione per conservare l'efficacia e l'integrità dei trattamenti stessi. MISURE DI SICUREZZA DURANTE GLI INTERVENTI SULLE CO PERTURE IN CEMENTO-AMIANTO 1 - Caratteristiche del cantiere : le aree in cui avvengono operazioni di rimozione di prodotti in cemento-amianto che possono dar luogo a dispersione di fibre devono essere temporaneamente delimitate e segnalate. 2 - Misure di sicurezza antinfortunistiche : la bonifica delle coperture in cemento-amianto comporta un rischio specifico di caduta, con o senza sfondamento delle lastre. A tal fine, fermo restando quanto previsto dalle norme antinfortunistiche per i cantieri edili, dovranno in particolare essere realizzate idonee opere provvisionali per la protezione dal rischio di caduta, ovvero adottati opportuni accorgimenti atti a rendere calpestabili le coperture. 3 - Procedure operative : - inerenti la rimozione delle coperture (bagnatura preventiva, prodotti collanti, vernicianti o incapsulanti specifici che non comportino pericolo di scivolamento, particolare cura nella rimozione, mediante l’utilizzo di utensili specifici, ecc., la bonifica dei canali di gronda, l’accatastamento e pallettizzazione delle lastre, imballaggi delle lastre, etichettatura a norma di legge dei materiali di risulta, allontanamento e smaltimento dei materiali rimossi, ecc..); - inerenti l’installazione della sovracopertura (impiego di materiali che presentino idonee caratteristiche di leggerezza, infrangibilità, insonorizzazione, elevata durata nel tempo e dilatazione termica compatibile con il supporto in cemento-amianto; spruzzatura sulla superficie delle lastre di prodotti incapsulanti; bonifica dei canali di gronda; rimontaggio delle lastre movimentate; montaggio della nuova copertura. 4 - Protezione dei lavoratori : nelle operazioni che possono dar luogo a dispersione di fibre di amianto, i lavoratori devono essere muniti di idonei mezzi di protezione individuali delle vie respiratorie e di indumenti protettivi. Le calzature devono essere di tipo idoneo al pedonamento dei tetti. Prescrizioni generali di igiene e sicurezza del lav oro 1. Per la rimozione e la manipolazione delle lastre, queste devono essere costantemente bagnate, allo scopo di evitare, per quanto possibile, il sollevamento e la diffusione di polvere. Se la superficie esposta risulta particolarmente degradata deve essere trattata con prodotti a base di acetati di vinile allo scopo di creare maggiori condizioni di sicurezza per gli addetti agli interventi e per limitare la dispersione eolica delle polveri e delle fibre. 2. Le lastre da rimuovere e sostituire non devono in nessun caso essere sottoposte a frantumazione nè prima nè dopo la rimozione. Devono essere liberate dai vincoli di fissaggio (perni, viti o chiodi) evitando rotture. 3. Le lastre non devono in nessun caso essere riutilizzate come materiale di riempimento. 4. Va limitato il più possibile il numero dei lavoratori esposti. 5. Devono essere impiegati sistemi che evitino la eccessiva polverosità nonchè apparecchiature a bassa velocità, preferibilmente manuali, in modo da cedere la minor energia cinetica alle fibre liberate. Eventualioperazioni di taglio con flessibile o di molatura delle lastre devono essere eseguite utilizzando adatti sistemi di captazione localizzata delle polveri (aspiratori) oppure con macchine ad umido. 6. Gli addetti dovranno essere dotati di maschera semifacciale in gomma dotata di respiratore a pressione positiva con filtri del tipo P3.

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7. Al termine del turno di lavoro, gli attrezzi utilizzati dovranno essere sottoposti ad efficace pulitura mediante lavaggio con acqua. 8. I lavoratori dovranno curare la scrupolosa pulizia delle mani e delle parti eventualmente esposte, al termine di tutte le operazioni che creano polveri pericolose. 9. I lavoratori devono usare correttamente i mezzi di protezione collettivi e individuali. 10. E' vietato consumare pasti o bevande e fumare nei luoghi in cui si lavora l'amianto. 11. E' consigliabile comunque rispettare tutte le norme di igiene e sicurezza del lavoro di cui ai DPR 164/56, 547/55 e 303/56. 12. Le operazioni di rimozione devono prevedere successivamente il confezionamento delle lastre entro teli di materiale plastico, nonché la collocazione delle stesse su pallet per facilitare il carico e lo scarico sui mezzi di trasporto, evitando in tal modo la dispersione di fibre nell'ambiente. 13. Il tempo di stoccaggio in loco deve essere il minimo indispensabile. 14. nei casi in cui al posto della rimozione si ricorra al mantenimento delle lastre, le stesse devono essere trattate sulla superficie esposta con prodotti polimerici caratterizzati da alta resistenza agli agenti atmosferici e soprattutto da buona elasticità. I LAVORI DI RIMOZIONE DEI PAVIMENTI IN VINIL AMIANT O [ fonte asso amianto ] . PREMESSA La presenza di pavimenti in vinil-amianto (VA) e' molto diffusa. Nei decenni 60-80 il materiale, di basso costo e di rapida messa in opera, e' stato largamente usato soprattutto per la pavimentazione di edifici pubblici, scuole, ospedali ed anche di alloggi popolari. Il procedimento industriale per la produzione del VA consiste nella mescola di resine di PVC, copolimeri, leganti inorganici, pigmenti e amianto. Il materiale viene scaldato e, quando la miscela raggiunge la temperatura e la plasticità desiderate, viene laminato fino allo spessore richiesto e quindi tagliato in piastrelle. Vi sono poche pubblicazioni al riguardo della possibilità di cessione, spontanea o provocata, di fibre libere di amianto dai pavimenti in VA in opera, a differenza dei numerosi lavori che trattano di materiali friabili. L'Istituto americano di Ricerca sugli Effetti dell'Amianto sulla Salute (HEI-AR), in una pubblicazione di sintesi delle conoscenze sul problema dell'amianto indoor del 1991, riferisce che le fibre di amianto presenti nei materiali vinilici in opera si trovano incapsulate in una matrice stabile che ne previene la diffusione ambientale, se il materiale e' mantenuto in buone condizioni (1). Altri autori sostengono l'assenza di inquinamento indoor, in condizioni normali (2,3). Ciò e' anche confermato dal Rapporto ISTISAN 89/26 ("Inquinamento da asbesto negli ambienti di vita"), ove l'ISS, citando dati dell'OMS e dell'U.S.EPA, riporta una concentrazione di fibre libere di amianto compresa fra 0,2 e 1 ff/l in edifici privi di specifiche sorgenti di amianto o con amianto saldamente legato a matrici (VA, cemento-amianto) in buono stato di conservazione. Concentrazioni analoghe di fibre aerodisperse si ritrovano nelle aree urbane, con punte anche più elevate nelle zone con intenso traffico veicolare, come riferito nel citato Rapporto ISTISAN 89/26 e nei lavori di Chiappino (4). Solo due studi hanno dimostrato la presenza di fibre libere di amianto in aria in edifici ove l'unica fonte era costituita da pavimenti in VA (5, 6). Alcuni autori sostengono un possibile inquinamento da fibre libere durante le operazioni di lucidatura dei pavimenti con macchine con spazzole abrasive (Demyanek, Wilmoth, citati). Tuttavia queste pubblicazioni si riferiscono a fibre di lunghezza compresa fra 0,5 e 5 um (analisi in TEM), mentre la normativa di riferimento (D.M. 06.09.94) raccomanda di contare solo le fibre di lunghezza superiore a 5 um, che nei campioni esaminati dagli stessi autori non sono state ritrovate. La pubblicazione della Circolare del Ministero della Sanità n. 45/86 e' stata l'occasione per un controllo capillare dei materiali contenenti amianto nelle scuole e negli ospedali del territorio dell'USL di Verona. Grazie ai numerosi sopralluoghi e ai campionamenti eseguiti sui materiali, sulle polveri depositate e sul particolato atmosferico, l'apposta Commissione istituita presso l'USL ha potuto definire con una certa precisione l’entità del problema. Si e' accertato ad esempio che, nelle zone frequentate, gli unici materiali edilizi contenenti amianto erano costituti dai pavimenti vinilici, in nessun caso e' stato ritrovato amianto nei componenti minerali dei controsoffitti e delle pareti mobili; in un solo caso era presente amianto friabile, a spruzzo, sul soffitto di una palestra. Lo scopo del presente lavoro e' illustrare l'esito dei campionamenti eseguiti sui pavimenti in vinil-amianto, sulle polveri depositate e sui campioni di aeriformi, in condizioni normali e durante i lavori di rimozione. Vengono inoltre suggerite alcune misure di prevenzione per la manutenzione dei pavimenti e nei lavori di bonifica. - DISCUSSIONE

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Per quanto concerne il riconoscimento della natura dei materiali, l'esperienza fatta nei sopralluoghi dalla commissione amianto consente di ricavare alcune indicazioni: 1- I materiali in VA si presentano in piastrelle, di solito di misura 30 x 30 o 40 x 40 cm; pertanto i pavimenti posati in rotoli difficilmente contengono amianto. 2- Le piastrelle si presentano solitamente dure, difficilmente scalfibili; se vengono piegate si spezzano di netto. La superficie può essere sia di colore uniforme che variamente screziato. 3- Salvo quanto detto, non e' possibile un riconoscimento diretto, "a vista", del contenuto in amianto o meno del pavimento. Esistono piastrelle in VA del tutto simili nell'aspetto esteriore a quelle prive di amianto. Pertanto nella maggioranza dei casi si impone il campionamento del materiale. 4- Non vanno confusi con il VA altri materiali incollati per pavimentazioni, come quelli di gomma naturale, spesso presenti nelle palestre, o il linoleum. Quest'ultimo viene prodotto a partenza dall'olio di lino cotto, essiccato e steso su un supporto di tela di iuta; il materiale e' molto flessibile e sottile. Proposta per la manutenzione dei pavimenti. Stabilito che, in condizioni normali, l’entità del rilascio di fibre libere da parte di un pavimento in VA e' molto contenuta, se non assente, devono comunque essere fornite ai proprietari degli immobili delle indicazioni per mantenere i pavimenti in buone condizioni. Infatti e' noto che, in generale, il campionamento ambientale non può essere preso come unico strumento per valutare il rischio del rilascio di fibre in aria da parte di un materiale contenente amianto, in quanto fornisce indicazioni solo sul momento del campionamento, senza poter prevedere i futuri danneggiamenti. A questo scopo e' stata trasmessa ai proprietari degli edifici scolastici una nota, contenente alcune semplici indicazioni, che vengono qui riportate. 1- Effettuare le normali pulizie con stracci umidi. 2- Incerare i pavimenti periodicamente, evitando l'utilizzo di spazzole con setole dure. 3- Le piccole manutenzioni, per la sostituzione di piastrelle rotte o logorate, devono essere eseguite in assenza di allievi e con un'accurata pulizia finale ad umido. 4- Le eventuali fessurazioni fra le piastrelle possono essere sigillate con i comuni prodotti in commercio. 5- La rimozione di intere pavimentazioni deve essere autorizzata dal Servizio di Prevenzione dell'ULSS previa definizione del piano di lavoro previsto dall’art. 34 del D.Lgs. 277/91. 6- Sono sempre possibili interventi di "sopracopertura" dei pavimenti tramite l'incollaggio di nuovi materiali esenti da amianto. Piano di lavoro per la rimozione di pavimenti. La rimozione di materiali contenenti amianto deve essere preceduta dalla presentazione del piano di lavoro. Il Servizio di Prevenzione degli ambienti di lavoro dell'ULSS rilascia prescrizioni sulle modalità di lavoro in modo da ridurre al minimo il rischio di esposizione dei lavoratori e di contaminazione dell'ambiente a causa della possibile presenza di fibre libere di amianto. Il D.M. 06.09.94 stabilisce le misure di sicurezza da rispettare durante la bonifica di materiali friabili, di rivestimenti di tubazioni con la tecnica dei glove-bags e di coperture in cemento-amianto. A tutt'oggi non sono disponibili protocolli per la rimozione di pavimenti in VA. In considerazione dei risultati dei campionamenti eseguiti durante i lavori di rimozione, che dimostrano scarsa o nulla presenza di fibre, se i lavori sono eseguiti secondo un protocollo di sicurezza, si riportano le condizioni operative che sono state prescritte e seguite durante i lavori. 1- I lavori devono essere eseguiti in assenza di utenti, anche nei locali limitrofi. 2- Prima di procedere alla rimozione dei pavimenti, i vani devono essere segregati e deve essere posta sulle entrate idonea cartellonistica di avvertimento sui lavori in corso e di divieto di accesso. Le finestre e le porte devono restare chiuse fino a bonifica terminata. 3- Le parti non spostabili (termosifoni, bancali delle finestre, eventuali attrezzature, ecc.) devono essere rivestite con teli di politene. 4- I pavimenti, nello stato attuale, devono essere accuratamente puliti ad umido, con stracci bagnati. 5- In tutte le lavorazioni a contatto coi materiali contenenti amianto i lavoratori devono essere equipaggiati con tuta monouso dotata di cappuccio, in tyvek e semimaschera munita di filtro P2 o facciale filtrante FFP2. 6- Il sollevamento delle piastrelle deve avvenire con strumenti manuali, tipo spatola, cercando di sollevare le piastrelle una ad una, evitando di romperle. Non e' consentito l'utilizzo di strumenti elettrici ad alta velocità. 7- Durante la rimozione delle piastrelle, un lavoratore, appositamente addetto, deve costantemente mantenere bagnata la superficie inferiore della piastrella con una soluzione vinilica al 5%, colorata, a spruzzo, utilizzando una pompa a mano o anche semplicemente uno spruzzatore per piante. 8- Ogni 30-40 piastrelle levate, queste devono essere subito confezionate in pacchetti, rivestiti con politene e chiusi con nastro adesivo. I pacchetti verranno successivamente insaccati in big-bags contrassegnati a norma. 9- Eventuali residui sul sottofondo devono essere trattati con la soluzione vinilica e, una volta asciugati, raschiati con cura e aspirati con aspiratore dotato di filtro assoluto.

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10- Al termine del rilievo delle mattonelle, il sottofondo messo a nudo deve essere nuovamente pulito con stracci bagnati. 11- Al termine dei lavori le attrezzature utilizzate dovranno essere accuratamente pulite ad umido. 12- Massima cura deve essere riservata alle operazioni di svestizione: tenendo indossata la maschera, l'operatore deve procedere ad una pulizia ad umido della tuta, che deve essere sfilata arrotolandola man mano dall'alto verso il basso e dall'interno verso l'esterno e poi riposta in un contenitore chiuso. Infine dovrà essere tolta con cautela la maschera, dopo averla inumidita esternamente. 13- Monitoraggi. Devono essere effettuati campionamenti d'aria per la ricerca di eventuali fibre di amianto: - Uno o più campionamenti di fondo, in Microscopia Elettronica, nelle condizioni attuali del pavimento; - Uno o più campionamenti personali durante il lavori di lievo delle piastrelle, in Microscopia Ottica.[ MOCF ] - Uno o più campionamenti al termine della bonifica, in MOCF. All'esito favorevole di questi campionamenti seguirà nulla osta per la rimozione dei teli di politene e per l'ingresso di altro personale per i lavori successivi. - Uno o più campionamenti finali, prima della riconsegna dei vani per il loro abituale utilizzo, in Microscopia Elettronica. CONCLUSIONE Nel corso degli ultimi anni, grazie ad una migliore messa a fuoco del problema amianto, determinata anche dalla pubblicazione di una serie di leggi di riferimento, la questione del rischio conseguente alla presenza di materiali contenenti amianto all'interno degli edifici si e' definitivamente chiarita. Infatti ora e' largamente noto che va fatta una netta distinzione fra i materiali friabili e quelli compatti. Mentre per i primi la valutazione del rischio deve essere fatta con rigidi protocolli e i lavori di rimozione devono essere condotti con la massima sicurezza, per i materiali compatti, e in modo particolare per il VA, le procedure possono essere semplificate. I dati illustrati, per quanto parziali e necessari di ulteriori approfondimenti con altre esperienze, confermano quanto già noto fra gli "addetti ai lavori", e cioè che i pavimenti in VA di per se' non costituiscono un problema urgente di salute pubblica e che i lavori di rimozione condotti con procedure e tecniche di facile applicazione, sono in grado di evitare la contaminazione ambientale da parte di fibre di amianto LE TECNICHE D'INTERVENTO PER I MATERIALI CONTENENTI AMIANTO IN MATRICE FRIABILE I lavori di bonifica di materiali friabili contenenti amianto dovranno essere eseguiti attenendosi alle raccomandazioni contenute nei punti seguenti: 1 - Allestimento del cantiere. Se l'ambiente in cui avviene la rimozione non e' naturalmente confinato, occorre provvedere alla realizzazione di un confinamento artificiale con idonei divisori. Prima dell'inizio del lavoro, la zona dovrà essere sgombrata da tutti i mobili e le attrezzature che possono essere spostati. Se i mobili e/o le attrezzature sono coperte da detriti o polvere, devono essere puliti a umido prima dello spostamento dalla zona di lavoro. Tutti i mobili e le attrezzature che non possono essere spostati devono essere completamente ricoperti con fogli di plastica di spessore adeguato ed accuratamente sigillati sul posto. Tutte le armature per l'illuminazione presenti devono essere tolte, pulite e sigillate in fogli di plastica e depositate in zona di sicurezza incontaminata. Devono essere asportati tutti gli equipaggiamenti di ventilazione e riscaldamento e altri elementi smontabili, puliti e tolti dalla zona di lavoro. Tutti gli oggetti inamovibili devono essere sigillati, in modo tale che non vengano danneggiati e/o contaminati durante il lavoro. Devono essere rimossi tutti i filtri dei sistemi di riscaldamento, ventilazione e condizionamento. I filtri sostituiti vanno posti in sacchi sigillati di plastica per essere smaltiti come rifiuti contenenti amianto. I filtri permanenti vanno puliti a umido e reinstallati. Tutte le aperture di ventilazione, le attrezzature fisse, gli infissi e radiatori, devono essere sigillati sul posto, uno per uno, con fogli di plastica chiusi da un nastro adesivo fino a che il lavoro, pulizia compresa, non sarà completato. Il pavimento dell'area di lavoro dovrà essere ricoperto con uno o più fogli di polietilene di spessore adeguato. Le giunzioni saranno unite con nastro impermeabile; la copertura del pavimento dovrà estendersi alla parete per almeno 500 mm.

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Tutte le pareti della zona di lavoro saranno ricoperte con fogli di polietilene di spessore adeguato e sigillate sul posto con nastro a prova di umidità. Tutte le barriere di fogli di plastica e l'isolamento della zona vanno mantenuti durante tutta la preparazione del lavoro. Bisognerà effettuare ispezioni periodiche per assicurare che le barriere siano funzionanti. Tutti i cavedi e le altre possibili comunicazioni per il passaggio di cavi, tubazioni, ecc. devono essere individuati e sigillati. I bordi delle barriere temporanee, i fori e le fessure vanno tamponati con silicone o schiume espanse. Porte e finestre vanno sigillate applicando prima nastro adesivo sui bordi e coprendole successivamente con un telo di polietilene di superficie più estesa delle aperture. Deve essere predisposta un'uscita di sicurezza per consentire una rapida via di fuga, realizzata con accorgimenti tali da non compromettere l'isolamento dell'area di lavoro (ad es. telo di polietilene da tagliare in caso di emergenza). Deve essere installato un impianto temporaneo di alimentazione elettrica, di tipo stagno e collegato alla messa a terra. I cavi devono essere disposti in modo da non creare intralcio al lavoro e non essere danneggiati accidentalmente. Per realizzare un efficace isolamento dell'area di lavoro e' necessario, oltre all'installazione delle barriere (confinamento statico), l'impiego di un sistema di estrazione dell'aria che metta in depressione il cantiere di bonifica rispetto all'esterno (confinamento dinamico). Il sistema di estrazione deve garantire un gradiente di pressione tale che, attraverso i percorsi di accesso al cantiere e le inevitabili imperfezioni delle barriere di confinamento, si verifichi un flusso d'aria dall'esterno verso l'interno del cantiere in modo da evitare qualsiasi fuoriuscita di fibre. Nello stesso tempo questo sistema garantisce il rinnovamento dell'aria e riduce la concentrazione delle fibre di amianto aerodisperse all'interno dell'area di lavoro. L'aria aspirata deve essere espulsa all'esterno dell'area di lavoro, quando possibile fuori dall'edificio. L'uscita del sistema di aspirazione deve attraversare le barriere di confinamento; l'integrità delle barriere deve essere mantenuta sigillando i teli di polietilene con nastro adesivo intorno all'estrattore o al tubo di uscita. L'aria inquinata aspirata dagli estrattori deve essere efficacemente filtrata prima di essere emessa all'esterno del cantiere. Gli estrattori devono essere muniti di un filtro HEPA (alta efficienza: 99.97 DOP). Gli estrattori devono essere messi in funzione prima che qualsiasi materiale contenente amianto venga manomesso e devono funzionare ininterrottamente (24 ore su 24) per mantenere il confinamento dinamico fino a che la decontaminazione dell'area di lavoro non sia completa. Non devono essere spenti alla fine del turno di lavoro ne' durante le eventuali pause. In caso di interruzione di corrente o di qualsiasi altra causa accidentale che provochi l'arresto degli estrattori, l'attività di rimozione deve essere interrotta; tutti i materiali di amianto già rimossi e caduti devono essere insaccati finche' sono umidi. L'estrattore deve essere provvisto di un manometro ( differenziale ) che consenta di determinare quando i filtri devono essere sostituiti. Il cambio dei filtri deve avvenire all'interno dell'area di lavoro, ad opera di personale munito di mezzi di protezione individuale per l'amianto. Tutti i filtri usati devono essere insaccati e trattati come rifiuti contaminati da amianto. 2 - Collaudo del cantiere. Dopo che e' stato completato l'allestimento del cantiere, compresa l'installazione dell'unità di decontaminazione e prima dell'inizio di qualsiasi operazione che comporti la manomissione dell'amianto, i sistemi di confinamento devono essere collaudati mediante prove di tenuta.

.a) Prova della tenuta con fumogeni L'area di lavoro deve essere saturata con un fumogeno al fine di osservare, dall'esterno del cantiere, le eventuali fuoriuscite di fumo. Tutte le eventuali falle individuate vanno sigillate dall'interno. Accendendo il depressore si verifica la sufficienza del ricambio d'aria calcolando il tempo di estrazione del fumo.

Collaudo con fumogeni

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b) Collaudo della depressione Il collaudo della depressione può essere effettuato, secondo quanto previsto dal D.M. 6 settembre 1994, con un manometro differenziale, munito di due sonde che vengono collaudate una all'interno e l'altra all'esterno dell'area di lavoro. Con i depressori la pressione interna è mantenuta ad un valore tale da impedire alle fibre di uscire all'esterno attraverso qualsiasi tipo di via di fuga. I depressori devono garantire almeno sei ricambi d'aria/ora ed essere dotati di un filtro assoluto che blocca le fibre in uscita 3 - Area di decontaminazione . Dovrà essere approntato un sistema di decontaminazione del personale, composto da 4 zone distinte, come qui sotto descritte. a) Locale di equipaggiamento. Questa zona avrà due accessi, uno adiacente all'area di lavoro e l'altro adiacente al locale doccia. Pareti, soffitto e pavimento saranno ricoperti con un foglio di plastica di spessore adeguato. Un apposito contenitore di plastica deve essere sistemato in questa zona per permettere agli operai di riporvi il proprio equipaggiamento prima di passare al locale doccia. b) Locale doccia. La doccia sarà accessibile dal locale equipaggiamento e dalla chiusa d'aria. Questo locale dovrà contenere come minimo una doccia con acqua calda e fredda e sarà dotato ove possibile di servizi igienici. Dovrà essere assicurata la disponibilità continua di sapone in questo locale. Le acque di scarico delle docce devono essere convenientemente filtrate prima di essere scaricate. c) Chiusa d'aria. La chiusa d'aria dovrà essere costruita tra il locale doccia ed il locale spogliatoio incontaminato. La chiusa d'aria consisterà in uno spazio largo circa 1.5 m con due accessi. Uno degli accessi dovrà rimanere sempre chiuso: per ottenere cio' e' opportuno che gli operai attraversino la chiusa d'aria uno alla volta. d) Locale incontaminato (spogliatoio). Questa zona avrà un accesso dall'esterno (aree incontaminate) ed un'uscita attraverso la chiusa d'aria. Il locale dovrà essere munito di armadietti per consentire agli operai di riporre gli abiti dall'esterno. Quest'area servirà anche come magazzino per l'equipaggiamento pulito. 4 - Protezione dei lavorator i. Prima dell'inizio dei lavori, gli operai devono venire istruiti ed informati sulle tecniche di rimozione dell'amianto, che dovranno includere un programma di addestramento all'uso delle maschere respiratorie, sulle procedure per la rimozione, la decontaminazione e la pulizia del luogo di lavoro. Gli operai devono essere equipaggiati con adatti dispositivi di protezione individuali delle vie respiratorie, devono inoltre essere dotati di un sufficiente numero di indumenti protettivi completi. Questi indumenti saranno costituiti da tuta e copricapo. Gli indumenti a perdere e le coperture per i piedi devono essere lasciati nella stanza dell'equipaggiamento contaminato sino al termine dei lavori di bonifica dell'amianto, ed a quel punto dovranno essere immagazzinati come gli scarti dell'amianto. Tutte le volte che si lascia la zona di lavoro e' necessario sostituire gli indumenti protettivi con altri incontaminati. E' necessario che gli indumenti protettivi siano: - di carta o tela plastificata a perdere. In tal caso sono da trattare come rifiuti inquinanti e quindi da smaltire come i materiali di risulta provenienti dalle operazioni di bonifica; - di cotone o altro tessuto a tessitura compatta (da pulire a fine turno con accurata aspirazione, porre in contenitori chiusi e lavare dopo ogni turno a cura della impresa o in lavanderia attrezzata); - sotto la tuta l'abbigliamento deve essere ridotto al minimo (un costume da bagno o biancheria a perdere). Elencare ed affiggere, nel locale dell'equipaggiamento e nel locale di pulizia, le procedure di lavoro e di decontaminazione che dovranno essere seguite dagli operai. Procedure di accesso all'area di lavoro. Accesso alla zona: ciascun operaio dovrà togliere gli indumenti nel locale spogliatoio incontaminato ed indossare un respiratore dotato di filtri efficienti ed indumenti protettivi, prima di accedere alla zona di equipaggiamento ed accesso all'area di lavoro.

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Uscita dalla zona di lavoro: ciascun operaio dovrà ogni volta che lascia la zona di lavoro, togliere la contaminazione più evidente dagli indumenti prima di lasciare l'area di lavoro, mediante un aspiratore; proseguire verso la zona dell'equipaggiamento, adempiere alle procedure seguenti: - togliere tutti gli indumenti eccetto il respiratore; - sempre indossando il respiratore e nudi, entrare nel locale doccia, pulire l'esterno del respiratore con acqua e sapone; - togliere i filtri sciacquarli e riporli nel contenitore predisposto per tale uso; - lavare ed asciugare l'interno del respiratore. Dopo aver fatto la doccia ed essersi asciugato, l'operaio proseguirà verso il locale spogliatoio dove indosserà gli abiti per l'esterno alla fine della giornata di lavoro, oppure le tute pulite prima di mangiare, fumare, bere o rientrare nella zona di lavoro. I copripiedi contaminati devono essere lasciati nel locale equipaggiamento quando non vengono usati nell'area di lavoro. Al termine del lavoro di rimozione trattarli come scarti contaminati oppure pulirli a fondo, sia all'interno che all'esterno usando acqua e sapone, prima di spostarli dalla zona di lavoro o dalla zona di equipaggiamento. Immagazzinare gli abiti da lavoro nel locale equipaggiamento per il riutilizzo dopo averli decontaminati con un aspiratore, oppure metterli nel contenitore per il deposito assieme agli altri materiali contaminati da amianto. Gli operai non devono mangiare, bere, fumare sul luogo di lavoro, fatta eccezione per l'apposito locale incontaminato. Gli operai devono essere completamente protetti, con idoneo respiratore ed indumenti protettivi durante la preparazione dell'area di lavoro prima dell'inizio della rimozione dell'amianto e fino al termine delle operazioni conclusive di pulizia della zona interessata. 5 - Tecniche di rimozione. A meno di specifiche controindicazioni tecniche, di norma, la rimozione dell'amianto deve avvenire ad umido. Per l'imbibizione del materiale possono essere usati agenti surfattanti (soluzioni acquose di etere ed estere di poliossietilene) o impregnanti (prodotti vinil-acrilici comunemente usati per l'incapsulamento). Generalmente e' sufficiente bagnare l'amianto con un getto diffuso a bassa pressione, spruzzando il materiale una prima volta per bagnare la superficie e poi una seconda volta per ottenere la saturazione. Quando, per lo spessore del rivestimento o per la presenza di trattamenti di superficie, non e' possibile ottenere un'impregnazione totale con questa tecnica, si praticano dei fori nel materiale attraverso i quali la soluzione imbibente viene iniettata in profondità. Si deve comunque evitare il ruscellamento dell'acqua. La rimozione dell'amianto deve iniziare nel punto più lontano dagli estrattori e procedere verso di essi, secondo la direzione del flusso dell'aria, in modo che, man mano che procede il lavoro, le fibre che si liberano per l'intervento siano allontanate dalle aree già decoibentate. L'amianto rimosso deve essere insaccato immediatamente e comunque prima che abbia il tempo di essiccare. A tal fine dovranno lavorare contemporaneamente almeno due operai: uno addetto alla rimozione dell'amianto e l'altro addetto a raccogliere l'amianto caduto e ad insaccarlo. I sacchi pieni saranno sigillati immediatamente. Dopo una prima rimozione grossolana, effettuata generalmente con raschietti a mano, le superfici rivestite vengono spazzolate ad umido in modo da asportare tutti i residui visibili di amianto. Al termine delle operazioni di rimozione le superfici decoibentate devono essere trattate con un prodotto sigillante per fissare tutte le fibre che non possono essere state asportate. L'imballaggio e l'allontanamento dei rifiuti dovrà essere effettuato adottando idonee cautele per evitare una contaminazione di amianto all'esterno dell'area di lavoro. 6 - Imballaggio dei rifiuti contenenti amiant o. L'imballaggio deve essere effettuato con tutti gli accorgimenti atti a ridurre il pericolo di rotture accidentali. Tutti i materiali devono essere avviati al trasporto in doppio contenitore, imballando separatamente i materiali taglienti. Il primo contenitore deve essere un sacco di materiale impermeabile (polietilene), di spessore adeguato (almeno 0.15 mm); come secondo contenitore possono essere utilizzati sacchi o fusti rigidi. I sacchi vanno riempiti per non più di due terzi, in modo che il peso del sacco non ecceda i 30 kg. L'aria in eccesso dovrebbe essere aspirata con un aspiratore a filtri assoluti; la chiusura andrebbe effettuata a mezzo termosaldatura o doppio legaccio. Tutti i contenitori devono essere etichettati. L'uso del doppio contenitore e' fondamentale, in quanto il primo sacco, nel quale l'amianto viene introdotto appena rimosso all'interno del cantiere, e' inevitabilmente contaminato. Il secondo contenitore non deve mai essere portato dentro l'area di lavoro, ma solo nei locali puliti dell'unità di decontaminazione. 7 - Modalità di allontanamento dei rifiuti dall'are a di lavoro .

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L'allontanamento dei rifiuti dall'area di lavoro deve essere effettuato in modo da ridurre il più possibile il pericolo di dispersione di fibre. A tal fine il materiale viene insaccato nell'area di lavoro e i sacchi, dopo la chiusura e una prima pulizia della superficie, vanno portati nell'unità di decontaminazione. Quando ci sia possibile e' preferibile che venga installata una distinta U.O. destinata esclusivamente al passaggio dei materiali. Questa deve essere costituita da almeno tre locali: il primo e' un'area di lavaggio dei sacchi; il successivo e' destinato al secondo insaccamento; nell'ultimo locale i sacchi vengono depositati per essere successivamente allontanati dall'area di lavoro. All'interno dell'unità operano due distinte squadre di lavoratori: la prima provvede al lavaggio, al secondo insaccamento ed al deposito dei sacchi; la seconda entra dall'esterno nell'area di deposito e porta fuori i rifiuti. La presenza di due squadre e' necessaria per impedire che i lavoratori provenienti dall'area di lavoro escano all'esterno indossando indumenti contaminati, provocando cosi' un'inevitabile dispersione di fibre. Nessun operatore deve mai utilizzare questo percorso per entrare o uscire dall'area di lavoro. A tal fine e' opportuno che l'uscita dei sacchi avvenga in un'unica fase, al termine delle operazioni di rimozione e che, fino a quel momento, il percorso rimanga sigillato. Quando venga utilizzato per l'evacuazione dei materiali l'U.D. destinata agli operatori il lavaggio dei sacchi deve avvenire nel locale doccia, il secondo insaccamento nella chiusa d'aria, mentre il locale incontaminato sarà destinato al deposito. In tali casi dovranno essere previste tre squadre di operatori: la prima introduce i sacchi dall'area di lavoro nell'unità, la seconda esegue le operazioni di lavaggio e insaccamento all'interno dell'unità, la terza provvede all'allontanamento dei sacchi. In entrambi i casi tutti gli operatori, tranne quelli addetti all'ultima fase di allontanamento, devono essere muniti di mezzi di protezione e seguire le procedure di decontaminazione per uscire dall'area di lavoro. I sacchi vanno movimentati evitando il trascinamento; e' raccomandato l'uso di un carrello chiuso. Ascensori e montacarichi, eventualmente utilizzati, vanno rivestiti con teli di polietilene, in modo che possano essere facilmente decontaminati nell'eventualità della rottura di un sacco. Il percorso dal cantiere all'area di stoccaggio in attesa del trasporto in discarica deve essere preventivamente studiato, cercando di evitare, per quanto possibile, di attraversare aree occupate dell'edificio. Fino al prelevamento da parte della ditta autorizzata al trasporto, i rifiuti devono essere depositati in un'area all'interno dell'edificio, chiusa ed inaccessibile agli estranei. Possono essere utilizzati in alternativa anche container scarrabili, purché chiusi anche nella parte superiore e posti in un'area controllata. 8 - Tecniche di incapsulamento . La scelta del tipo di incapsulante dipende dalle caratteristiche del rivestimento in amianto e dagli scopi dell'intervento. A causa della variabilità delle situazioni che si possono presentare, prima di essere impiegato, il prodotto deve essere testato direttamente sul materiale da trattare. Se si usano incapsulanti ricoprenti bisogna verificarne l'aderenza al rivestimento; se si usano incapsulanti penetranti bisogna controllarne la capacità di penetrazione e di garantire l'aderenza al supporto del rivestimento. In tutti i casi, bisogna sempre verificare preventivamente la capacità del rivestimento di sopportare il peso dell'incapsulante. Preliminarmente la superficie del rivestimento di amianto deve essere aspirata; devono essere rimossi tutti i frammenti pendenti del rivestimento di amianto e le parti distaccate dal substrato. L'integrità del rivestimento deve essere restaurata utilizzando materiali senza amianto che presentino una sufficiente affinità con il rivestimento esistente e con il prodotto incapsulante impiegato. L'incapsulante deve essere applicato con un'apparecchiatura a spruzzo "airless", al fine di ridurre la liberazione di fibre per l'impatto del prodotto. Il trattamento completo puo' richiedere l'applicazione di 2 o 3 strati successivi. 9 - Decontaminazione del cantiere . Durante i lavori di rimozione e' necessario provvedere a periodiche pulizie della zona di lavoro dal materiale di amianto. Questa pulizia periodica e l'insaccamento del materiale impedirà una concentrazione pericolosa di fibre disperse. Tutti i fogli di plastica, i nastri, il materiale di pulizia, gli indumenti ed altro materiale a perdere utilizzato nella zona di lavoro dovranno essere imballati in sacchi di plastica sigillabili e destinati alla discarica. Bisogna fare attenzione nel raccogliere la copertura del pavimento per ridurre il più possibile la dispersione di residui contenenti amianto. I sacchi saranno identificati con etichette di segnalazione pericolo a norma di legge. I fogli di polietilene verticali ed orizzontali dovranno essere trattati con prodotti fissanti e successivamente rimossi per essere insaccati come i rifiuti di amianto. Bisogna fare attenzione nel ripiegare i fogli per ridurre il più possibile la dispersione di eventuali residui contenenti amianto. I singoli fogli di plastica

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messi su tutte le aperture, i condotti di ventilazione, gli stipiti, i radiatori, devono rimanere al loro posto. I fogli verticali, a copertura delle pareti devono essere mantenuti fino a che non e' stata fatta una prima pulizia. Tutte le superfici nell'area di lavoro, compreso i mobili, gli attrezzi ed i fogli di plastica rimasti dovranno essere puliti usando una segatura bagnata ed un aspiratore con filtri tipo Vacuum Cleaner. L'acqua, gli stracci e le ramazze utilizzati per la pulizia devono essere sostituiti periodicamente per evitare il propagarsi delle fibre di amianto. Dopo la prima pulizia, i fogli verticali rimasti devono essere tolti con attenzione ed insaccati, come pure i fogli che coprono le attrezzature per la illuminazione, gli stipiti, ecc. L'area di lavoro deve essere nebulizzata con acqua o una soluzione diluita di incapsulante in modo da abbattere le fibre aerodisperse. Conclusa la seconda operazione di pulizia, dovrà essere effettuata un'ispezione visiva di tutta la zona di lavoro (su tutte le superfici, incluse le travi e le impalcature) per assicurarsi che l'area sia sgombra da polvere. Se, dopo la seconda pulizia ad umido, sono visibili ancora dei residui, le superfici interessate devono essere nuovamente pulite ad umido. Le zone devono essere lasciate pulite a vista. Ispezionare tutti i condotti, specialmente le sezioni orizzontali per cercare eventuali residui contenenti amianto, e aspirarli usando un aspiratore a vuoto. E' consigliabile accertare l'agibilità della zona entro 48 ore successive al termine del lavoro mediante campionamenti dell'aria secondo quanto indicato in allegato. Una volta accertata la rispondenza della zona di lavoro a quanto richiesto, si potranno togliere i sigilli a ventilatori e radiatori e rendere di nuovo accessibile la zona. 10 - Protezione delle zone esterne all'area di lavo ro . Nello svolgimento del lavoro dovranno essere prese tutte le precauzioni per proteggere le zone adiacenti non interessate dalla contaminazione da polvere o detriti contenenti amianto. Giornalmente dovrà essere fatta la pulizia, con aspirazione a secco o con metodo ad umido, di qualsiasi zona al di fuori dell'area di lavoro o di passaggio che sia stata contaminata da polvere o da altri residui conseguenti al lavoro fatto. 11 - Monitoraggio ambientale. Durante l'intervento di bonifica dovrà essere garantito a carico del committente dei lavori un monitoraggio ambientale delle fibre aerodisperse nelle aree circostanti il cantiere di bonifica al fine di individuare tempestivamente un'eventuale diffusione di fibre di amianto nelle aree incontaminate. Il monitoraggio deve essere eseguito quotidianamente dall'inizio delle operazioni di disturbo dell'amianto fino alle pulizie finali. Devono essere controllate in particolare: - le zone incontaminate in prossimità delle barriere di confinamento; - l'uscita del tunnel di decontaminazione o il locale incontaminato dello spogliatoio. Campionamenti sporadici vanno effettuati all'uscita degli estrattori, all'interno dell'area di lavoro e durante la movimentazione dei rifiuti. I risultati devono essere noti in tempo reale o, al massimo, entro le 24 ore successive. Per questo tipo di monitoraggio si adotteranno tecniche analitiche di MOCF. Sono previste due soglie di allarme: 1) Preallarme - Si verifica ogni qual volta i risultati dei monitoraggi effettuati all'esterno dell'area di lavoro mostrano una netta tendenza verso un aumento della concentrazione di fibre aerodisperse; 2) Allarme - Si verifica quando la concentrazione di fibre aerodisperse supera il valore di 50 ff/l. Lo stato di preallarme prevede le seguenti procedure: - sigillatura di eventuali montacarichi (divieto di entrata e di uscita); - sospensione delle attività in cantiere e raccolta di tutto il materiale rimosso; - ispezione delle barriere di confinamento; - nebulizzazione all'interno del cantiere e all'esterno nella zona dove si e' rilevato l'innalzamento della concentrazione di fibre; - pulizia impianto di decontaminazione; - monitoraggio (verifica). Lo stato di allarme prevede le stesse procedure di preallarme, più: - comunicazione immediata all'autorità competente (USL); - sigillatura ingresso impianto di decontaminazione; - accensione estrattore zona esterna;

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- nebulizzazione zona esterna con soluzione incollante; - pulizia pareti e pavimento zona esterna ad umido con idonei materiali; - monitoraggio. ATTREZZATURE AMIANTO Le apparecchiature che seguono possono offrire una panoramica di cosa si utilizza Aspiratori Estrattore

Sono dotati di solidi telai in acciaio e silenziosi, usati per esigenze diverse. Dotati di indicatore "Low-Flow" che indica l'intasamento del filtro.

Apparecchiatura per il mantenimento della depressione e per la filtrazione dell'aria a tre stadi. Regolazione automatica della pressione.

Unità Filtranti Unità di decontaminazione

Unità filtrante munita di prefiltro, filtro intermedio e filtro assoluto.

Unità di decontaminazione a tre stadi con sistema a cabine. Ottime capacità di isolamento.

Piastrine Presenza Amianto Big Bag

Piastrine in alluminio preforate per il fissaggio su supporti contenenti amianto.

Sacco in rafia polipropilenica con sacco interno in polietilene, spessore 80 micron.

Tuta Protettiva Calzari Protettivi

Dispositivo di protezione di IIIa categoria. Protezione chimica tipo 5 (polvere) e 6 (tenuta limitata agli schizzi).

Per una protezione completa vengono utilizzati copri scarpe in TYVEK. Garantiscono una buona durata del sottoscarpa.

Guanti in lattice Respiratore

Guanti dotati di elevata sensibilità e resistenza. Spessore 0,3 mm; resistono a numerose sostanze chimiche.

Utilizzato in condizioni altamente pericolose, offre una sicura protezione. Permette un ottima visuale e garantisce un effetto rinfrescante

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INQUINAMENTO DA GAS RADON Il radon è un gas radioattivo naturale, inodore, insapore e incolore, estremamente volatile e

solubile nell'acqua L’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), attraverso l’International Agency for Research on Cancer (Iarc), ha classificato il radon appartenente al gruppo 1 delle sostanze cancerogene per l’essere umano;Il Radon viene generato continuamente da alcune rocce della crota terrestre ed in particolar modo da Lave e Plutoniti (Basalti, Graniti, Trachiti, Sieniti, Porfidi etc), tufi (Peperino), pozzolane, etc. Sebbene sia lecito immaginare che le concentrazioni di Radon siano maggiori nei materiali di origine vulcanica spesso si riscontrano elevati tenori di radionuclidi

anche nelle rocce sedimentarie come marne, flysh etc. Come gas disciolto puo' essere presente nelle falde acquifere da cui viene veicolato anche a grandi distanze dal luogo di formazione . Infine e' nota la sua presenza in alcuni materiali da costruzione... La conoscenza della distribuzione di Radon nei gas del suolo consente la predisposizione di vere e proprie mappe di rischio. Si diffonde nell’aria dal suolo per diffusione dei fluidi oppure per convezione determinata dai gradienti di pressione presenti nei suoli. Questa differenza d pressione fra suoli ed ambienti chiusi porta il gas attraverso le fessure e piccoli fori dalle cantine/interrati agli ambienti domestici e lavorativi, solitamente in depressione rispetto l’esterno. Negli spazi aperti vieni diluito dalle correnti d’aria e raggiunge solo basse concentrazioni invece negli ambienti chiusi si accumula e raggiunge alte concentrazioni e decadendo produce radionuclidi. L’aria respirata contiene il radon e i sui prodotti di decadimento, queste in quanto particelle solide si attaccano alle pareti interne dell’apparato bronchiale e qui decadono emettendo radiazioni ionizzanti che colpendo le cellule broncopolmonati possono evolversi in tumori.

Il radon è prodotto dal decadimento di tre nuclidi capostipiti che danno luogo a tre diverse famiglie radioattive:

• il thorio 232, da cui si produce l’isotopo radon 22 0; • l’uranio 235, da cui si produce l’isotopo radon 219 ; • l’uranio 238, da cui si produce l’isotopo radon 222 .

Il radon non reagisce con altri elementi chimici; è il più pesante dei gas conosciuti (densità 9,72 g/l a 0°, otto volte più denso dell’aria). Diffonde nell’ aria dal suolo e, a volte, dall’acqua - può essere presente nelle falde acquifere - nella quale può disciogliersi. Come gas disciolto viene veicolato anche a grandi distanze dal luogo di formazione. In spazi aperti il radon è diluito dalle correnti d’aria e raggiunge solo basse concentrazioni; in ambiente chiuso può accumularsi e raggiungere alte concentrazioni. Il Radon giunge nell'uomo attraverso l'ingestione di acqua contaminata o, ancor di più per inalazione non essendo possibile individuarlo direttamente con i sensi. La sua pericolosità e' legata in particolare ai suoi radionuclidi, piombo, polonio e bismuto i quali si legano alle particelle di polvere e di corpuscolato (derivante per esempio dal fumo di sigarette, smog etc.) e si depositano all'interno dell'apparato respiratorio (bronchi e polmoni). dove irradiano direttamente i tessuti organici Studi effettuati sull’uomo (studi epidemiologici) e studi effettuati sugli animali (studi sperimentali) hanno rilevato che il rischio posto dal radon è quello di cancro ai polmoni.

Il rischio di contrarre il tumore al polmone è proporzionale alla concentrazione e al tempo che si trascorre in presenza del radon. Non esiste luogo ove il radon non sia presente. In atmosfera si disperde rapidamente e non raggiunge quasi mai elevate concentrazioni, ma nei luoghi chiusi (case, scuole, negozi, ambienti di lavoro, ecc.) può in taluni casi arrivare a concentrazioni molto pericolose per la salute.

Come unità di misura viene utilizzato il : Bq/m3

(Bequerel per metro cubo)

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che rappresenta il numero di disintegrazioni nucleari per ogni secondo per ogni metro cubo di aria. In pratica una concentrazione, ad esempio, di 400 Bq/m3 vuol dire che 400 nuclei di radon si stanno trasformando, ogni secondo, in ogni metro cubo di aria, emettendo radiazioni.

Come entra negli edifici

All'aria aperta il Radon emesso dal suolo viene disperso a concentrazioni generalmente basse; viceversa, i livelli di Radon

indoor sono sempre più elevati di quelli rilevati all'esterno. Infatti, dato che è circa otto volte più pesante dell'aria, il Radon si può accumulare all'interno di ambienti chiusi guidato dalla differenza di pressione o di temperatura fra il suolo che circonda una struttura e l'interno della costruzione. In inverno questo flusso di pressione è ulteriormente accresciuto a causa della continua ascesa dell'aria calda. L'interno degli edifici, è

generalmente in depressione rispetto all'esterno. Questa depressione produce dei moti convettivi nel suolo che fanno si che il radon venga "aspirato" penetrando all'interno degli edifici stessi. Una volta raggiunto l'edificio penetra attraverso:- le fessure dei pavimenti, anche se invisibili, che sono sempre presenti, - le giunzioni pavimento /-parete - i passaggi degli impianti termici, idraulici, delle utenze elettriche del gas, ecc.

Anche i materiali da costruzione emettono radon, e possono, in alcuni casi, contribuire considerevolmente ad aumentare la concentrazione. Anche l'acqua è una sorgente di radon, ma, a meno di casi eccezionali, contribuisce in

misura minore alla concentrazione di radon. Il radon si può trovare nelle rocce d’origine vulcanica quali tufi, porfidi, graniti, pozzolane, in alcune argille e gessi. In Italia i materiali lapidei maggiormente radioattivi sono la lava del Vesuvio, la pozzolana, il peperino del Lazio e il tufo della Campania. La presenza del radon si può riscontrare anche in materiali da costruzione ricavati dal riciclo di materiali contaminati, quali i cementi e le ceramiche prodotti con scorie di alto forno , i mattoni prodotti con fanghi rossi ( scarti della produzione dell’alluminio ) ,e i cementi di origine pozzolanica . Risulta evidente che tanto più i materiali saranno suddivisi , tanto più facilmente rilasceranno gas radioattivi.

METODI TECNICI PER L'ELIMINAZIONE DEL RADON DALLE ABITAZIONI

• Come far uscire il radon dalle abitazioni • Interventi su ventilazione • Interventi su attacco a terra, pozzo radon e intercapedini • Disegni che mostrano come ridurre il radon nelle abitazioni

COME FAR USCIRE IL RADON DALLE ABITAZIONI

Per affrontare il problema radon bisogna innanzi tutto differenziare gli interventi da eseguirsi su costruzione esistente o su edifici in fase di progettazione. Nel primo caso gli accorgimenti saranno limitati, per non arrecare eccessivi danni all’ abitazione, mentre per gli edifici in fase progettuale è possibile mettere in atto le tecniche più adeguate.

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Le tecniche d’intervento che permettono la fuoriuscita del gas radon dalle abitazioni si suddividono essenzialmente in tecniche attive e tecniche passive . Queste ultime, dove possibile, sono da preferirsi perché più semplici e meno onerose .

VENTILAZIONE

La ventilazione naturale ( tecnica passiva ): è un accorgimento che diminuisce la concentrazione del gas, permettendo così una diluizione del radon . L'apertura di finestre e porte è un espediente efficace negli insediamenti urbani e rurali ma solo quando il clima consente una continua ventilazione.

La ventilazione forzata ( tecnica attiva) : è un artificio che permette la fuoriuscita del gas in maniera razionale evitando , nelle stagioni più fredde, un eccessivo dispendio termico. Un calcolo accurato permette di convogliare all'esterno un volume d'aria ben noto che può variare secondo la concentrazione permettendo un ricircolo misurato , grazie ad un estrattore che può essere installato sul sistema centrale d’aria calda forzata e sulle valvole di regolazione della bocchetta d’immissione che può essere applicato direttamente sulle porte e sulle finestre. La ventilazione forzata può essere adottata in tutti gli edifici ,come la ventilazione naturale, senza particolari accorgimenti tecnici o costosi interventi d’altro tipo.

INTERVENTI SULL'ATTACCO A TERRA, POZZO RADON E INTERCAPEDINI

E’ importante considerare il rapporto edificio-suolo se il terreno costituisce una fonte primaria di radon . Secondo il tipo d’attacco a terra dell'edificio e delle tipologie annesse si possono ipotizzare diversi tipi d’interventi :

a) La depressurizzazione attiva del vespaio ( tecnica attiva ) : la diversa concentrazione del radon nelle abitazioni può dipendere anche dalla differenza di pressione tra il suolo e gli ambienti stessi e,in questo caso , è possibile diminuire la quantità di radon in ingresso modificando le condizioni di pressione. Un opportuno drenaggio costituito da pietrame permette la captazione del gas, mentre il suo allontanamento è affidato a condotti d’aspirazione forzata .

b) La suzione del sottosuolo ( tecnica attiva ) : in alcuni edifici si provvede al drenaggio al fine di allontanare le acque dal terreno e quando questa tubazione ( perforata ) forma un anello continuo , è possibile sfruttarla per far allontanare il radon. Applicando un estrattore al pozzetto di raccolta posto lontano dall'abitazione, si crea una depressione che permette l'estrazione del gas : si ottiene in taluni casi una riduzione del 98% .

c) La tecnica della parete ventilata ( tecnica attiva o passiva ). Quando esiste un'intercapedine tra i muri interni ed esterni, i movimenti convettivi naturali o forzati permettono l'allontanamento del gas evitando quindi l'ingresso nell'abitazione.

Interventi più semplici ma ugualmente efficaci possono essere: la realizzazione di una presa d'aria esterna, la sigillatura di tutti gli interstizi attorno alle condotte tecnologiche , la non perforazione del solaio con apparecchi da illuminazione ad incasso o botole, la sigillatura delle finestre, la sigillatura della porta d'accesso del piano interrato .

Per eliminare il radon in maniera sistematica ,quando la concentrazione supera notevolmente le soglie ,si può installare un pozzo radon di raccolta da collocarsi nel piano più basso dell'edificio. Il pozzo radon è costituito principalmente da mattoni non cementati, con dei larghi fori che danno la possibilità al gas radon di entrare nel pozzo che deve essere coperto da una lastra di cemento mentre attorno ad esso va posta della ghiaia grossolana .Così il gas tenderà naturalmente a convogliarsi nel pozzo, al quale sarà collegato un sistema evacuante, costituito da un tubo e da una pompa aspirante che canalizzeranno il gas, portandolo preferibilmente sul tetto e lontano comunque da porte e finestre.

Un sistema analogo può essere applicato al solaio mediante l'aspirazione effettuata da un estrattore e di un sistema di tubazione che prelevano il gas sotto il solaio stesso il quale dovrà, ovviamente, essere isolato adeguatamente.

Un altro sistema di grande efficacia prevede la ventilazione tra il suolo e il piano dell'edificio grazie ad un’intercapedine : la cavità sarà provvista di fori al fine di permettere una ventilazione naturale e in altri casi forzata mediante l'uso di estrattori. Questo è attualmente il sistema più utilizzato in abitazioni di recente costruzione. E' possibile inoltre eliminare il gas che proviene dai materiali da costruzione costituenti gli

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edifici, utilizzando l'aspirazione direttamente dalle pareti che, preventivamente, sono state isolate all'interno, di modo tale che il radon sia obbligato a passare nelle tubature.

Il punto di connessione tra solaio e parete verticale è un punto critico, per quanto riguarda il passaggio del gas. Per intervenire efficacemente è possibile utilizzare degli appositi battiscopa che consentono di aspirare il gas, creando come via preferenziale di deflusso il battiscopa stesso. In questo modo è possibile captare il radon proprio nei punti di fuoriuscita : anche in questo caso, delle tubazioni impermeabili lo convogliano al di fuori del tetto.

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Il Radon in galleria E' singolare notare che mentre si pone una forte attenzione al problema del Radon relativo ad abitazioni ed a miniere, per lo scavo di gallerie sembri non esista rischio. La durata di costruzione di una galleria pone invece le maestranze ad un potenziale continuo rischio che ovviamente non e' generale ma localizzato a quei lavori eseguiti in terreni potenzialmente attivi e quindi pericolosi. Non risulta che a tutt'oggi sia mai stata eseguita in Italia una valutazione del radon durante lo scavo di una galleria. Va tenuto presente che peraltro l'ambiente di lavoro tipico dello scavo di una galleria e' particolarmente polveroso e questo, secondo uno studio dell'EPA (Ag. Usa per l'Ambiente) aumenta la probabilità di rischio come già' accennato.

Generazione del fenomeno: frantumazione delle Rocce Qualsiasi disturbo reso ad una roccia attiva dal punto di vista radioattivo produce un rilascio nell'ambiente di Radon; pertanto nello scavo di una galleria in un litotipo contenente Uranio, Thorio etc si avrà inizialmente la presenza di radon in concentrazioni proporzionali ai Radionuclidi capostipiti per poi aumentare con gli isotopi figli essendo l'emivita del Radon molto breve. Inoltre la concentrazione del Radon viene ad essere inversa mente proporzionale al grado di comminuzione della roccia aumentando il rapporto superfice volume. Lo scavo mette a nudo inoltre fratture e faglie che possono veicolare all'interno gas provenienti da siti diversi.

Incremento del fenomeno per invasione d'acqua qualora durante lo scavo si incontra una falda acquifera, l'invasione di acqua potrebbe veicolare all'interno della galleria l Radon (il piu' solubile dei gas nobili) che si libererebbe per la diminuita pressione e per la turbolenza generata dal riversamento.

Attenuazione del fenomeno per ventilazione Naturale In genere la temperatura all'interno della galleria e' vicina alla media annuale superficiale anche se con variazioni molto meno repentine. In estate la densità dell'aria in galleria e' maggiore di quella esterna mentre in inverno e' minore. Se la galleria ha due portali allora si può' determinare una corrente naturale di verso opposto a seconda della stagione. In caso di forte vento esterno si può verificare inoltre un effetto Venturi che crea, in galleria, una corrente naturale. In ogni caso laddove esista una qualche ipotesi di presenza di Radon e' buona norma per la salvaguardia delle maestranze avere un sistema di ventilazione adeguato e dimensionato sulla base di continui monitoraggi

Radon e stabilimenti termali Le acque ‘terrestri’, provenienti dal sottosuolo, presentano concentrazioni di Radon variabili a seconda del percorson e delle caratteristiche dei materiali attraversati. In un recente studio sulle diverse acque sorgive dell’Appennino Reggiano-Parmense le concentrazioni di Radon sono risultate variare da circa 1 Bq/litro a 28 Bq/ litro. L’utilizzo delle acque ‘terrestri’ contribuisce limitatamente alla concentrazione di attività del Radon nell’aria,all’interno di edifici e di abitazioni. Diversa è la situazione degli stabilimenti termali, dove vengono a stazionare in luoghi chiusi notevoli quantità di acque ‘terrestri’ per tempi lunghi e con la superficie a diretto contatto dell’aria nell’ambiente, nei quali sono stati rilevati valori della concentrazione di attività del Radon in cabine, bagni e locali accessori spesso superiori a 3000 Bq/m3 e in qualche caso superiori a 6000 Bq/m3 [ nota 1 ] [ nota 1 ]) Sciocchetti G.: Sorgenti radioattive ed esposizione alle radiazioni in ambiente termale. Atti del Convegno su ‘Aspetti di radioprotezione nelle stazioni termali’, Merano 1986.

PROBLEMA DEL RADON IN EDILIZIA E NEI MATERIALI DA COSTRUZI ONE

Il radon si può trovare nelle rocce d’origine vulcanica quali tufi, porfidi, graniti, pozzolane, in alcune argille e gessi. In Italia i materiali lapidei maggiormente radioattivi sono la lava del Vesuvio, la pozzolana, il peperino del Lazio e il tufo della Campania.

La presenza del radon si può riscontrare anche in materiali da costruzione ricavati dal riciclo di materiali contaminati, quali i cementi e le ceramiche prodotti con scorie di alto forno , i mattoni prodotti con fanghi rossi ( scarti della produzione dell’alluminio ) ,e i cementi di origine pozzolanica .

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Risulta evidente che tanto più i materiali saranno suddivisi , tanto più facilmente rilasceranno gas radioattivi.

Ipotesi di metodologia di valutazione dell’inquinamento da Radon in ambiente confinato

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Una metodologia di valutazione e monitoraggio dell’inquinamento da Radon in ambiente interrato e/o seminterrati [ art 65 e 66 Dlgs 81/2008 e seguenti] può essere sviluppato secondo le seguenti fasi di lavoro: FASE 1: Indagine preliminare, stesura e applicazione di un protocollo di intervento FASE 2: Attività in campo: posizionamento e ritiro dei dosimetri FASE 3: Raccolta ed elaborazione dei dati di concentrazione Radon e relazione [tali dati dovranno successivamente essere utilizzati per l’aggiornamento del Documento di valutazione del rischio. Relazione, valutazione, individuazione misure e programma degli interventi ] FASE 1: Pianificazione. Indagine preliminare e stesura di un protocollo di intervento L’indagine preliminare richiede necessariamente il coinvolgimento, oltre che del datore di lavoro e dei R.S.P.P., anche degli addetti al S.P.&P. e dei R..L.S. La pianificazione delle attività di campionamento e di misurazione, consistente nella determinazione del numero di rivelatori necessari e nella preliminare individuazione dei punti di campionamento, può essere costituita dalle seguenti fasi di lavoro,procedendo secondo un criterio di priorità che tenga conto dei seguenti parametri:

• Distribuzione geografica delle aree di maggiore o minore criticità, in funzione dei livelli di concentrazione di gas radon

• destinazione d’uso dei locali • tempi di permanenza nei locali Studio della planimetria dei locali, per l’individuazione dei seguenti dati: • estensione e cubatura complessiva dei locali • presenza di impianti di climatizzazione o di eventuali prese di aerazione • presenza di condensa e/o tracce di umidità Stesura di un protocollo di intervento contenente le seguenti informazioni: • Identificazione delle attività soggette a misura • Identificazione dei locali soggetti a misura • Determinazione e codifica del numero di cicli di campionamento e dei dosimetri necessari • Definizione delle modalità di installazione e manutenzione dei dosimetri • Redazione delle schede di raccolta dei dati Corso di formazione per istruire il personale che dovrà eseguire il posizionamento dei dosimetri e verificare lo svolgimento del monitoraggio. L’indagine preliminare richiede necessariamente il coinvolgimento, dei soggetti obbligati previsti dal dlgs 81/2008 quali: datore di lavoro ,R.S.P.P., addetti al S.P.P. , R..L.S. Figura medica.

FASE 2: Esecuzione. Attività in campo: posizionamento e ritiro dei dosimetri L’attività in campo verrà svolta su tutte i locali individuati nella fase precedente; tale attività può prevedere lo svolgimento delle seguenti operazioni:

• Uscita di un tecnico per il posizionamento dei rilevatori secondo il protocollo di intervento, all’inizio di ogni ciclo.

• Consegna di una informativa al Soggetto obbligato dell’attività individuato dal dlgs

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81/2008 quale Datore di lavoro, Dirigente, Preposto della attività lavorativa, a cui verrà assegnato il compito di controllo e supervisione del corretto svolgimento del monitoraggio.

• Compilazione di scheda informativa sulle caratteristiche dei locali ove sono effettuate le misure con identificazione su planimetria dei misuratori;

• Ritiro e consegna dei rilevatori per il successivo sviluppo in un laboratorio qualificato. FASE 3: Valutazione. Raccolta ed elaborazione dei dati di concentrazione Radon e stesura della relazione finale

I dosimetri raccolti, sono quindi sviluppati in un laboratorio qualificato e i valori di concentrazione così ottenuti sono inclusi nella relazione conclusiva, che deve essere consegnata al termine della campagna di monitoraggio.

La relazione può essere così articolata:

• Intestazione dell’organismo che rilascia il documento, firma della persona che ha effettuato le misure e di chi autorizza il rilascio, dati del committente;

• Riferimenti normativi e indicazione dei livelli di concentrazioni di Radon di riferimento; • Descrizione della strumentazione, della tecnologia utilizzata e delle modalità di calcolo

seguite per la valutazione dei valori di concentrazione di radon, periodi di esposizione, incertezza associata a tutti i risultati dee misure;

• Criteri e modalità di esecuzione delle indagini preliminari e del successivo campionamento; • Numerazione ed indicazione su planimetria del posizionamento dei dosimetri; • Raccolta dei risultati ottenuti a seguito dello sviluppo dei rilevatori;

La relazione tecnica costituisce il documento sul quale predisporre la valutazione dei rischi secondo quanto richiesto dal D.Lgs. 81/2008 che dovrà contenere anche l’individuazione delle misure di mitigazione (strutturali e/o organizzative) ed il programma degli interventi predisposto con la collaborazione anche dell’Esperto Qualificato ove si superino i 500 bq/mc.

Misurazioni e metodi di misura

Le misurazioni. Le misurazioni andranno fatte per locali fisicamente separati e qualora in caso di loro numerosità ed uniformità relativamente a tipologia e caratteristiche di ventilazione, di materiali e di tecniche costruttive si potrebbe limitarne la misurazione a quelli tipici, motivandone adeguatamente la scelta e le ragioni ed estendendo successivamente a tutti i locali le misurazioni qualora queste si avvicinino ai valori di attenzione. Ove riscontrati valori di attenzione si ritiene opportuno integrare le misurazioni anche ai locali al piano terra. Il numero di dosimetri è in relazione alle dimensioni dei locali (circa 1 ogni 100 mq) e dovranno essere posti ad una altezza da 1 a 3 metri lontani dalle fonti di calore e dalle zone di ricambio dell’aria (bocchette di ripresa, mandata, porte, finestre, intercapedini ecc.) Le misure devono essere accompagnate da una relazione tecnica redatta dall’Organismo riconosciuto o “idoneamente attrezzato”[con i requisiti previsti per i laboratori il capitolo 3 “Requisiti degli organismi di misura” delle citate Linee guida della Conferenza delle Regioni.] che ha eseguito la misura o nel caso di intervento dell’Esperto Qualificato indicanti i risultati delle valutazioni, le dosi stimate, le misure di sorveglianza da adottare

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Metodi di misura. Gli studi e le ricerche sul radon vengono effettuati con l’impiego di vari metodi di misura che vengono selezionati nel modo più appropriato agli obiettivi da raggiungere. La strumentazione e i metodi di misura del radon possono essere catalogati in relazione alle modalità di campionamento ed al tipo di misura: - Istantanei - Continui - Ad integrazione 1.Metodi di tipo istantaneo e metodi a monitoraggio continuo

I metodi di misura di tipo istantaneo (grab sampling) si basano sul campionamento istantaneo di una quantità d’aria prelevata dall’ambiente, oggetto della misura, e introdotta in speciali camere (contenitori di diversa geometria e diametro), che sono una parte integrante degli strumenti di misura. I metodi a monitoraggio in continuo effettuano, generalmente in modo automatico, simultaneamente il campionamento e la misura. Questi metodi, consentono di determinare numerosi parametri caratterizzanti l’atmosfera inalata e per questo motivo, sono principalmente impiegati per la caratterizzazione delle sorgenti di radon all’interno degli edifici, per la diagnostica e per la sperimentazione e valutazione di eventuali azioni di rimedio. 1.1.Camere ad ionizzazione Le camere ad ionizzazione sono realizzate generalmente a forma cilindrica con un elettrodo centrale che ha la funzione di anodo per la raccolta degli ioni prodotti dalle radiazioni. La misura si basa sulla rivelazione di questi ioni prodotti dalla ionizzazione del gas radon all’interno del volume della camera. Il campionamento può essere effettuato a flusso continuo o con prelievi istantanei. La scelta del tipo di campionamento da effettuare dipende sia dal rapporto dei volumi camera/ambiente di misura che dalla necessità di avere un monitoraggio continuo della misura di radon.

.1.2.Celle a scintillazione Le celle a scintillazione, o più comunemente Celle di Lucas, o camere a scintillazione, sono contenitori realizzati generalmente a forma cilindrica di volume variabile, la cui superficie interna è ricoperta da uno strato di solfuro di zinco particolarmente idoneo al processo di scintillazione. La misura si basa sulla rilevazione, da parte di un fotomoltiplicatore, dei fotoni prodotti dall’urto degli atomi di radon presenti nel volume della camera con il solfuro delle pareti. Anche per le camere a scintillazione il campionamento può essere effettuato a flusso continuo o con prelievi istantanei. Il volume delle camere, sia a scintillazione che ad ionizzazione, influisce sui valori dei parametri che ne definiscono le caratteristiche: fondo, efficienza di conteggio e sensibilità di misura. 1.3.Metodo dei due filtri Il metodo si basa sul conteggio, totale o spettrometrico, dei prodotti di decadimento del radon generati in una camera, a volume variabile e raccolti su un filtro. All’ingresso della camera di decadimento generalmente di forma cilindrica, viene posto un primo filtro che permette di far entrare solo il radon gas, mentre un secondo, posto all’uscita ha lo scopo di raccogliere i prodotti di decadimento che si sono formati durante il tempo di transito all’interno del volume della camera. La sensibilità di misura del metodo dipende, come per i precedenti, dal volume della camera.

.2.Metodi ad integrazione della concentrazione media del radon

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Tali metodi si basano sulla misura integrata nel tempo dell’attività presente nell’ambiente di misura. La grandezza fisica che viene misurata è l’esposizione da radon. Le caratteristiche principali dei diversi rivelatori (carboni attivi, elettreti, Cr-39, Tld, LR-115, ecc.) sono basate sulla sensibilità minima e massima del rivelatore e sulle diverse procedure operative che sono necessarie per eseguire il conteggio delle particelle alfa presenti sul rivelatore. Il rivelatore viene posizionato nell’ambiente di misura per un tempo dipendente dalla sua sensibilità (da 3 a 7 giorni per i carboni attivi, a 80-120 giorni per il Cr-39) e successivamente con un opportuno trattamento viene misurato. Questa tecnica di misura permette di effettuare un grosso numero di campionamenti ad un basso costo.

2.1.Rivelatori a carbone attivo Il dispositivo di misura, denominato cartuccia o canestro, è costituito essenzialmente da un contenitore con una quantità ben definita di carbone attivo. Dopo un tempo di esposizione al gas viene effettuata la misura di spettrometria gamma mediante rivelatore NaI(Tl) o germanio intrinseco, dei discendenti del radon presenti nei carboni. Questa tecnica presenta problemi che dipendono dalle proprietà caratteristiche dei carboni (ogni lotto di canestri deve avere i suoi fattori di calibrazione), e dall’assorbimento e rilascio del radon, in funzione della temperatura e dell’umidità. Se durante il campionamento i valori dei suddetti parametri ambientali variano, la misura di radon può risultare affetta da grossi errori.

2.2.Rivelatori a termoluminescenza I rivelatori a termoluminescenza (TLD) ad alta sensibilità rilevano più tipi di radiazione. Per tale motivo per le misure alfa è necessario l’impiego di una coppia di rivelatori al fine di sottrarre il contributo non dovuto alle particelle alfa. 2.3.Rivelatori ad elettrete

La camera ad ionizzazione ad elettreti è un sistema passivo ad integrazione. L'elettrete è un disco di Teflon (detto elettrete), che mantiene un potenziale elettrostatico stabile. Quando l'elettrete è posto in una camera contenente un certo volume di aria, raccoglie gli ioni prodotti dal decadimento del radon e il potenziale elettrostatico si riduce in modo proporzionale alla radioattività presente nella camera. Misurando la perdita di potenziale durante un certo intervallo di tempo e utilizzando appropriati fattori di calibrazione si determina la concentrazione media di radon nella camera e quindi nell'ambiente. Esistono camere ad elettreti a breve termine (per misure inferiori a

15 giorni) e a lungo termine (per misure di circa 90-120 giorni); il loro utilizzo dipende dal tipo di applicazione. Questo metodo ha il vantaggio di essere a basso costo e di facile interpretazione. Ha tuttavia diversi svantaggi quali: la dipendenza della risposta ai raggi gamma (deve essere introdotto un opportuno fattore di correzione), la dipendenza ai campi elettromagnetici esterni e a diversi fattori ambientali (quali temperatura e umidità). E’ inoltre difficile l’archiviazione della misura in quanto l’elettrete perde l’informazione nel tempo.

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.2.4.Rivelatori a tracce nucleari I rivelatori sono dei polimeri , realizzati in sottili lastre, sensibili alle radiazioni alfa ed insensibili ad altri tipi di radiazioni. Le particelle alfa che interagiscono con il materiale sensibile causano un danno ai legami chimici (traccia latente), il quale viene evidenziato mediante un trattamento chimico e/o elettrochimico. Tali processi amplificano il danno (traccia) fino a renderlo misurabile con diverse tecniche basate sulla lettura ottica. I rivelatori più usati sono : CR-39, policarbonati e nitrato di cellulosa (film Kodak, LR-115). Questa tecnica, essendo basata sull'esposizione nel tempo del rivelatore, non permette valutare le variazioni (giorno/notte, stagionali, cambiamenti dei parametri atmosferici) tipiche del concentrazione del radon che avvengono in brevi intervalli di tempo, ma consente la valutazione della concentrazione di attività media del radon per un determinato ambiente. Tale caratteristica è fondamentale poichè fornisce precise informazioni sull’esposizione a cui sono sottoposte persone che vivono e lavorano nel luogo sotto esame. Con questa metodologia è possibile convertire le concentrazioni di attività medie in dose di esposizione; tutto ciò è frutto di analisi e modelli nonchè di rilevamenti sperimentali. Questo approccio è già utilizzato per scopi di regolamentazione da parte di vari organismi di controllo internazionali: il laboratorio inglese NRPB - National RadioProtection Board, che è attualmente l’ente che effettua gli interconfronti e le intercalibrazioni tra i diversi laboratori europei, impiega abitualmente tale tecnologia.

TITOLO VIII

Agenti fisici

Capo I

Disposizioni generali

Articolo 180

Definizioni e campo di applicazione

1. Ai fini del presente decreto legislativo per agenti fisici si intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche, di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori.

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INQUINAMENTO DA ELETTROSMOG Con il termine “elettrosmog” si indica l’insieme delle radiazioni artificiali prodotte dalle antenne, dall’alta tensione e dai telefonini, che superano di migliaia – o addirittura di milioni di volte – il campo elettromagnetico naturale. La pericolosità dei campi elettromagnetici è molto dibattuta fra coloro che la smentiscono, gli e coloro che la sostengono, i “colpevolisti” (le associazioni, i consumatori e gli ecologisti). In Italia il valore di attenzione in corrispondenza di edifici e loro pertinenze esterne adibiti a permanenze non inferiori a quattro ore, per qualsiasi impianto di teleradiocomunicazione è di 6 v/m oltre le 4 ore di esposizione. [ DPCM 8 luglio 2003, "Fissazione dei limiti di esposizione, dei valori di attenzione e degli obiettivi di qualità per la protezione della popolazione dalle esposizioni a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici generati a frequenze comprese tra 100 kHz e 300 GHz",] Recenti studi condotti nel mondo anglosassone sostengono che l’uso prolungato dei telefoni cellulari può dar luogo a danneggiamento del sistema biologico

Non disponendo ancora di una memoria storica,come nel caso dell’ amianto, sarebbe opportuno in questi casi adottare norme e comportamenti a partire dai seguenti principi guida:

1. principio di precauzione, in base al quale in caso di dubbio è meglio evitare i rischi; 2. Modello Alara (As low as reasonably achieve), in base alla quale l'esposizione alle radiazioni deve essere la più bassa per quanto sia possibile.

Introduzione

Campo elettromagnetico

Un campo elettromagnetico è una regione di spazio occupata da un’onda elettromagnetica, che è generata dal moto accelerato di cariche elettriche.

Un’onda elettromagnetica piana è composta da due componenti, una di campo elettrico (E) e una di campo magnetico (B), perpendicolari tra loro ed entrambe ortogonali alla direzione di propagazione dell’onda. Queste componenti non sono costanti nel tempo, e oscillano tra un massimo e un minimo alla frequenza di oscillazione (n). Ad ogni frequenza è

associata una lunghezza d’onda (l) che è inversamente proporzionale alla frequenza secondo la relazione:

dove c è la velocità della luce nel vuoto. Fig 1

Lo spettro elettromagnetico

Al variare della frequenza, l’onda elettromagnetica assume delle proprietà caratteristiche. Poiché ad ogni onda è associata un’energia trasportata, e questa è proporzionale alla frequenza, le onde ad alta frequenza trasporteranno una maggiore quantità di energia.Lo spettro può essere suddiviso in sette regioni principali, con frequenza ed energia crescente

Nome Intervallo di frequenze Sorgenti

Basse frequenze 0 - 104 Hz Elettrodotti, elettrodomestici

Radiofrequenze 104 – 108 Hz Antenna radio e televisive

Microonde 108 – 1011 Hz Forni a microonde, telefoni cellulari

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Infrarosso 1011 – 1013 Hz Lampade termiche, fonti di calore

Visibile 1013 – 1014 Hz Luce solare, lampade

Ultravioletto 1014 – 1017 Hz Lampade UV

Raggi X, raggi gamma 1017 – 1020 Hz Radiografia medica, raggi cosmici

Fig 2

Definizione di radiazione

La frequenza di 1015 Hz (nel campo dell’ultravioletto) divide le radiazioni in ionizzanti e non-ionizzanti. Radiazioni ionizzanti

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Le radiazioni ionizzanti sono quelle che hanno frequenza superiore a 1015 Hz, e comprendono l’UV lontano, raggi X e raggi gamma.

Sono gravemente dannose per la salute umana: essendo onde ad altissima energia sono in grado di generare ionizzazione, ovvero la rottura dei legami covalenti molecolari, e quindi di danneggiare i DNA delle cellule. Radiazioni non ionizzanti

La radiazioni non ionizzanti hanno frequenza inferiore a 1015 Hz, e comprendono i campi delle basse frequenze, radiofrequenze, microonde e infrarosso. La quantità di energia trasportata, e quindi trasferita ai tessuti umani quando questi vengono irradiati, non è sufficiente a rompere i legami chimici delle molecole. Vi sono però dei dubbi sulla loro innocuità.

Campi Elettromagnetici

Cosa sono i campi elettromagnetici

Il fenomeno comunemente definito “inquinamento elettromagnetico” è legato alla generazione di campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici artificiali, cioè non attribuibili al naturale fondo terrestre o ad eventi naturali (quale ad esempio può essere il campo elettrico generato da un fulmine), ma prodotti da impianti realizzati per trasmettere informazioni attraverso la propagazione di onde elettromagnetiche (impianti radio-TV e per telefonia mobile), da impianti utilizzati per il trasporto e la trasformazione dell’energia elettrica dalle centrali di produzione fino all’utilizzatore in ambiente urbano (elettrodotti), da impianti per lavorazioni industriali, nonché da tutti quei dispositivi il cui funzionamento è subordinato a un’alimentazione di rete elettrica (tipico esempio sono gli elettrodomestici). Esistono molte sorgenti, naturali, o frutto dell’intervento dell’uomo, che irradiano energia sotto forma di onde elettromagnetiche. Tali onde sono costituite da campi elettrici e magnetici oscillanti legati fra di loro in modo da costituire una unica entità: il campo elettromagnetico (CEM). Questo termine è molto generale e comprende una serie di parametri anche molto diversificati per caratteristiche fisiche, modalità di trasmissione, meccanismi di interazione con la materia, effetti biologici. In ogni caso la caratteristica fisica fondamentale che distingue i vari campi elettromagnetici è la frequenza , cioè il numero delle oscillazioni dell’onda al secondo (hertz, Hz), strettamente correlata alla lunghezza d’onda , che è la distanza percorsa dall’onda durante il tempo di un’oscillazione e si misura in metri (m). Ad un’onda elettromagnetica di data frequenza è associata una quantità di energia , che è tanto maggiore quanto più alta è la frequenza. Questa energia può essere in grado o meno di produrre una serie di effetti quando l’onda elettromagnetica penetra nella materia. In base alla rispettiva frequenza ed energia, le onde elettromagnetiche possono essere classificate come “radiazioni ionizzanti ” o “radiazioni non ionizzanti ”. Le radiazioni ionizzanti (IR) sono onde elettromagnetiche a frequenza estremamente alta (raggi X e raggi gamma) che possiedono un’energia fotonica sufficiente per produrre la ionizzazione (cioè creazione di parti di molecole o di atomi elettricamente carichi positivamente e negativamente), rompendo i legami atomici che tengono unite le molecole nelle cellule. Radiazioni non ionizzanti (NIR) è un termine generale per quella parte dello spettro elettromagnetico in cui l’energia fotonica è troppo bassa per rompere i legami atomici. Le NIR comprendono: radiazioni ultraviolette a onda lunga (UV), luce visibile, radiazione infrarossa (IR o calore), campi a radiofrequenza (RF) e microonde, campi di frequenza estremamente bassa (o campi ELF, dall’inglese Extremely Low Frequency), e campi statici elettrici e magnetici. I campi ELF sono definiti come quelli di frequenza fino a 300 Hz. A frequenze così basse corrispondono lunghezze d’onda in aria molti grandi (6000 km a 50 Hz e 5000 km a 60 Hz), e, in situazioni pratiche, il campo elettrico e quello magnetico agiscono in modo indipendente l’uno dall’altro. Se le NIR non possono provocare la ionizzazione in un sistema biologico, esse possono produrre effetti biologici: ad esempio, mediante il riscaldamento, alterare le reazioni chimiche o indurre correnti elettriche nei tessuti e nelle cellule. I campi elettromagnetici di interesse per le telecomunicazione e il

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trasporto di energia sono compresi nella parte NIR dello spettro elettromagnetico e hanno frequenze comprese tra 0 Hz e 300 GHz (gigaHertz).

Le fonti dei campi elettromagnetici

È possibile classificare questi CEM a seconda della frequenza:

• Campi statici (0 Hz): treni a levitazione magnetica per il trasporto pubblico, dispositivi di diagnostica per immagini di risonanza magnetica utilizzati a scopo medico e dispositivi elettrolitici che impiegano correnti elettriche dirette per la lavorazione industriale dei materiali;Campi di frequenza estremamente bassa (ELF), (da >0 a 300 Hz): treni per il trasporto pubblico, tutti i dispositivi impiegati nella generazione, distribuzione e utilizzazione dell’energia elettrica come computer ed elettrodomestici (di norma 50 o 60 Hz);

• Campi a frequenza intermedia (IF), (da >300 Hz a 10 MHz): dispositivi antifurto e di sicurezza, caloriferi a induzione e unità display video;

• Campi a radiofrequenza e microonde, (da >10 MHz a 3 00 GHz): telefoni cellulari e trasmittenti per telecomunicazioni, radar e unità diatermiche e uso medico, forni a microonde.

Di seguito si fornisce un elenco non esaustivo delle principali tecnologie / situazioni che sono sorgenti di campi elettromagnetici (si tenga presente che la legge non si applica ai casi di esposizione intenzionale per scopi diagnostici o terapeutici):

Ambito industriale e medico:

• riscaldamento a bassa frequenza per induzione magnetica: - trattamento dei metalli;

• riscaldamento a radiofrequenza per perdite dielettriche: - saldatura di materiali plastici; - incollaggio del legno; - marconiterapia;

• riscaldamento a microonde: - disinfestazione di prodotti alimentari; - disinfestazione di manufatti artistici; - cottura di alimenti; - essiccazione di materiali ceramici; - radarterapia;

• altre applicazioni (non termiche): - indagini non distruttive; - sistemi di radiolocalizzazione; - rivelatori di presenza o prossimità; - sistemi antifurto/antitaccheggio; - diagnostica;

• cabine di trasformazione aziendali

• presenza di quadri elettrici in numero notevole nello stesso ambiente

• vicinanza di uffici a locali tecnici o cablaggi di notevole portata

Ambito domestico e di ufficio:

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cablaggio elettrico degli edifici;

• elettrodomestici e altri apparecchi elettrici;

• schermi televisivi, videoterminali;

• telefonia cordless;

• impianti antifurto.

Ambiente esterno:

• impianti di trasmissione e distribuzione dell'energia elettrica;

• sistemi di alimentazione delle reti ferroviarie ed assimilabili;

• siti di diffusione radiofonica e televisiva;

• apparati per supporto e controllo del traffico aereo;

• impianti per la telefonia cellulare;

• ponti radio, reti di telecomunicazione specializzate.

Radiazione di fondo ambientale

I campi elettromagnetici in ambiente domestico non vengono generati soltanto dalle apparecchiature elettriche, ma esiste anche un cosiddetto "fondo ambientale", ovvero da un debole campo esistente nell’ambiente indipendentemente dalle singole sorgenti.

Esso è dovuto ad un gran numero di piccole sorgenti più o meno permanenti come elettrodotti esterni (anche interrati), sorgenti di campi in appartamenti adiacenti e cablaggio nelle pareti.

Naturalmente il contributo dato dal fondo ambientale è estremamente variabile, dipendendo da un gran numero di fattori differenti. Studi ed indagini del IROE hanno però portato alla definizione di alcune caratteristiche tipiche del fondo ambientale: innanzitutto si osserva una grande variabilità nel tempo nel breve termine, e spesso si può riconoscere una ciclicità giorno/notte. Si è inoltre osservato una maggiore intensità di campo di fondo in appartamenti condominiali rispetto alle abitazioni singole, attribuibile al cablaggio comune e alle sorgenti in appartamenti limitrofi.

Generalmente i valori di fondo ambientale rientrano nelle soglie di sicurezza sia delle raccomandazioni sia normative, a meno di considerare appartamenti prossimi ad elettrodotti

fig 3

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Effetti sulla salute

I CEM producono effetti diversi sui sistemi biologici quali cellule o gli esseri umani, in funzione della loro frequenza ed intensità. Questi effetti possono provocare un danno alla salute. Un effetto biologico si verifica quando l’esposizione alle onde elettromagnetiche provoca qualche variazione fisiologica notevole o rilevabile in un sistema biologico. Un danno alla salute avviene invece quando l’effetto biologico è al di fuori dell’intervallo in cui l’organismo può normalmente compensarlo, e ciò porta a qualche condizione di detrimento della salute.

Gran parte degli effetti provocati dall’esposizione ai CEM derivano da due meccanismi principali: il riscaldamento dei tessuti e l’induzione di correnti elettriche. Il meccanismo dominante e eventualmente responsabile dell’effetto negativo, varia a seconda della frequenza del CEM. L’interazione tra sistemi biologici e campi elettromagnetici può essere diretta cioè il campo esterno provoca direttamente l’effetto biologico, o indiretta cioè l’interazione si verifica tramite un terzo elemento, generalmente un oggetto conduttore posto a potenziale elettrico diverso di quello del sistema biologico con cui va a contatto.

1) Effetti diretti dei CEM

I CEM tra 10-300 GHz vengono assorbiti presso la superficie della pelle e delle parte del corpo esposte (effetto termico), e l’energia che penetra nei tessuti sottostanti è molto ridotta. Delle esposizioni intense e prolungate nel tempo possono essere molto gravi, in particolare per gli organi poco vascolarizzati come il cristallino dell’occhio o i testicoli per i quali la dispersione del calore da parte del sistema circolatorio è più problematica in quanto sono poco vascolarizzati e a bassa conducibilità termica. Ad alta intensità del campo, si manifestano danni quali cataratte oculari e ustioni della pelle. I CEM tra 1 MHz e 10 GHz penetrano nei tessuti esposti e producono induzione di correnti elettriche e riscaldamento a causa dell’assorbimento di energia (effetto termico). La profondità della penetrazione nei tessuti dipende dalla frequenza del campo, ed è maggiore per le frequenze più basse. A bassi livelli l’aumento localizzato della temperature stimola il sistema termoregolatore a ripristinare le condizioni termiche iniziali di cui l’individuo non è conscio. L’effetto può risultare particolarmente grave in quanto il riscaldamento interessa zone interne del corpo e non viene direttamente percepito dagli organi sensoriali; per di più l’organismo non riesce a smaltirlo adeguatamente attraverso i meccanismi di compensazione del corpo. Come conseguenza del riscaldamento indotto nei tessuti (stress termico) e delle sollecitazioni anomale dei meccanismi di termoregolazione, si possono manifestare diverse risposte dovute al calore, come avviene in conseguenza di febbri prolungate o in ambienti surriscaldati, quali ad esempio la non capacità di svolgere compiti mentali o fisici, ma anche influenza sulla fertilità maschile e, solo se la temperatura del feto aumenta di 2-3 gradi all’ora, difetti alla nascita. Ad alta intensità, si determinano effetti acuti nocivi per la salute quali ad esempio cataratte oculari, ustioni della pelle, riduzione dei globuli bianchi e sterilità come conseguenza del riscaldamento indotto superiore a 1 grado, che è il limite compatibile con il normale svolgimento dei processi biologici. Per un aumento di temperatura minore di 1 grado, si manifestano degli effetti non termici a lungo termine, associati ad esposizioni prolungate a campi di bassa intensità che provocano modificazioni funzionali delle cellule, quali disturbi neuroendocrini e comportamentali (astenia, affaticamento, impotenza, perdita della memoria) e ipotetica induzione di tumore. Tali effetti sull’uomo non sono mai stati provati con certezza. I CEM inferiori a 1 MHz non producono riscaldamento significativo, ma inducono soprattutto correnti e cariche elettriche. Stimolano nervi e muscoli; ad intensità molto elevate possono determinare vibrazioni dei peli cutanei. Nei processi di reazioni biochimiche presenti nel corpo umano si riscontrano correnti intorno a 10 mA/m2 ; valori superiori a 100 mA/m2 possono modificare in modo significativo tali correnti di “fondo” e provocare contrazioni muscolari involontarie, fibrillazioni, arresti della respirazione contestualmente all’esposizione fino all’arresto cardiaco (effetti acuti). Di minore gravità si segnalano scosse e bruciature. In ogni caso gli effetti dovuti ad esposizioni a campi elettrici ELF fino a 20 kV/m sono pochi e innocui, riguardano unicamente la stimolazione dovuta alle cariche elettriche indotte sulla superficie del corpo. Per quanto riguarda i campi magnetici, esposizioni di volontari a campi ELF fino a 5 mT (millitesla) per varie ore ha dimostrato scarse evidenze fisiologiche. Per esposizione a livelli molto bassi di intensità presenti negli ambienti di vita, dell’ordine di 0,2µT (microtesla), vengono riferiti, da alcune ricerche epidemiologiche, effetti di cui non esistono conferme nelle ricerche scientifiche di laboratorio e i cui effetti nocivi non sono assodati: tra questi il rischio di tumore in quanto l’esposizione a campi ELF inibirebbe la secrezione della melatonina, un ormone che protegge dal tumore mammario generato da altri agenti. Alcuni studi epidemiologici indicano una relazione tra esposizione ai CEM ELF, anche a bassa intensità, ed insorgenza di tumori, soprattutto leucemie infantili, ma tale possibile effetto cancerogeno è controverso. I campi elettrici statici non penetrano nel corpo. Si possono trovare livelli elevati di campi vicino alle sorgenti e possono essere all’origine di scariche elettriche. Possono provocare vibrazione dei peli cutanei e non esistono evidenze di nocività.

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I campi magnetici statici si trasmettono inalterati nel corpo umano senza attenuazione di intensità. Ad alta intensità, al di fuori dei normali livelli ambientali, si manifestano alterazioni del flusso del sangue o modificazioni dei normali impulsi nervosi.

2) Effetti indiretti dei CEM

Gli effetti indiretti dei campi elettromagnetici possono avvenire attraverso il contatto diretto (toccando, sfiorando, etc.) tra una persona ed un oggetto, ad esempio una struttura metallica immersa in un campo elettromagnetico, con un differente potenziale elettrico. Tale contatto provoca un rapido passaggio delle cariche elettriche (correnti indotte o di contatto) accumulate sulla superficie del corpo umano o dell’oggetto.

Come ridurre l’esposizione

Sono di seguito elencati i principali modi per ridurre l’esposizione ai CEM in un ambiente:

- Tenersi a distanza dalle fonti di CEM come televisori, sveglie, computers, elettrodomestici ecc. - Preferire sistemi alimentati a batteria rispetto a quelli alimentati da corrente elettrica (sveglie, rasoi, ecc.). - Spengere le apparecchiature elettriche e non lasciarle in stand-by. - Limitare i tempi di esposizione. - Usare dei sistemi di schermatura sulla fonte.

Apparecchi ed impianti elettrici

La presenza di numerosi apparecchi elettrici negli ambienti dove si trascorre molto tempo, comporta l’emissione di campi elettromagnetici tali da determinare, a volte, disturbi come dolori muscolari, ansia, affaticamento cronico, insonnia. Per questo motivo si dovrebbe evitare di posizionare letti, divani o poltrone contro una parete che confina con un quadro elettrico o con apparecchi elettrici, poiché il campo magnetico non viene attenuato dal materiale della parete. ___________________________________________________________________________ Televisore - Emette campi elettromagnetici di varia frequenza quando è in funzione. La radiazione è maggiore soprattutto dalla parte posteriore e laterale.

Accorgimenti ·Tenersi a distanza dallo schermo (almeno 2 m nel caso dei bambini). ·Non lasciare il televisore in stand-by. ·Non sostare sul retro o affianco ad un televisore acceso. ___________________________________________________________________________ Telefoni cordless e segreteria telefonica - I telefoni fissi non sono pericolosi. Il cordless ha una potenza molto bassa (dell’ordine dei 10 milliwatt) e non è pericoloso, salvo abuso. La segreteria telefonica emette un campo elettromagnetico nel raggio di circa 40 cm.

Indice SAR del telefonino. Il SAR è l'acronimo inglese che significa Specific Absorption Rate, ovvero Tasso di Assorbimento Specifico. (viene espresso in Watt per Kilogrammo ), questo valore misura la quantità di potenza da radio frequenze assorbita dal corpo quando è esposto ad un campo elettromagnetico e corrisponde all’unità di riferimento per misurare la quantità di frequenze radio ed elettromagnetiche assorbite dal corpo umano: a un minor valore di assorbimento specifico SAR, corrisponde un minor riscaldamento dei tessuti, ed un potenziale minor rischio per la salute.

E' opportuno tenere presente, comunque, che i livelli di SAR variano a seconda dei diversi operatori e della copertura della rete: meno efficiente è l'infrastruttura, maggiore è la potenza di

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emissione dell'apparecchio, quindi più alto l'indice SAR. La maggior copertura delle reti di telefonia mobile fa sì che i cellulari moderni non debbano lavorare alla massima potenza di emissione

L'unità di misura del SAR è il W/kg (Watt per chilogrammo (W/kg)). L'uso più comune della misurazione del SAR è in relazione ai telefoni cellulari. Negli Stati Uniti la Federal Communications Commission ( FCC ) ha adottato limiti per l'esposizione sicura alle radio frequenze prodotte dai telefoni cellulari ed obbliga tutti i produttori di cellulari venduti negli Stati Uniti ad avere livelli di SAR sotto gli 1,6 Watt per chilogrammo (W/kg), misurato sotto 1 grammo di pelle.

Nell'Unione Europea il limite corrispondente è di 2 W/kg, media sotto dieci grammi di pelle.

Ad un minor valore di assorbimento specifico SAR corrisponde un minor riscaldamento dei tessuti, ed un potenziale minor rischio per la salute.

Accorgimenti

. Utilizzare apparecchiature a basso indice SAR · Evitare l’abuso del cordless. · Cambiare orecchio nell’arco del tempo della telefonata. · Evitare di rimanere vicino alla segreteria telefonica.

___________________________________________________________________________

Stereo hi-fi - Gli amplificatori emettono radiazioni elettriche e magnetiche proporzionali alla loro potenza e in particolare forti emissioni magnetiche dalle casse acustiche proporzionalmente al livello del volume. Le cuffie, specialmente ad alto volume, hanno un’emissione magnetica notevole considerata l'estrema vicinanza alla testa.

Accorgimenti · Stare ad un minimo di 50 cm dall’impianto e ad un minimo di 40 cm dagli altoparlanti. · Non sedersi su una cassa acustica in funzione, specialmente se di alta potenza. · Limitare l’uso delle cuffie se non raramente e mantenere un volume basso (compresi i walkman). ___________________________________________________________________________ Computer - Emette c.e.m. sia a bassa frequenza (50 Hz) dai vari elementi (l’alimentazione ed i trasformatori) di ogni singolo componente (scanner, amplificatori audio, stampanti, ecc.) che c.e.m. a più alta frequenza provenienti dal monitor (specialmente di lato e sul retro). A differenza dei monitor con tubo catodico (CRT), i più moderni schermi a cristalli liquidi (LCD) non emettono campi elettromagnetici.

Accorgimenti ·Stare ad almeno 60 cm dal videoterminale. ·Usare un monitor a bassa emissione elettromagnetica o a cristalli liquidi. ·Usare in modo moderato il computer e fare frequenti soste. ___________________________________________________________________________ Forno a microonde - Può emettere campi elettromagnetici a 50 Hz con un raggio di circa 50 cm ed un potentissimo campo a 2,45 GHz che, se opportunamente confinato dalla buona struttura del forno, richiede una distanza di sicurezza di circa 1 m. Perdite di microonde si possono verificare a causa di un cattivo funzionamento o deterioramento conseguenti all’usura in corrispondenza dello sportello di chiusura, della guarnizione e del relativo vetro schermato.

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Accorgimenti ·Non sostare troppo vicino al forno in funzione. ·Cercare di evitare che i bambini osservino il cibo in cottura attraverso il vetro dello sportello (la schermatura di campo può diventare con il tempo meno efficace). ·Verificare periodicamente il funzionamento dell’interruttore di sicurezza di interdizione dell’emissione all’apertura dello sportello. ·Per maggiore sicurezza, spegnere sempre il forno prima di aprire lo sportello. ·Far misurare ad intervalli di 12 mesi le emissioni. ·Non usare il forno in caso di urti o danni. ___________________________________________________________________________ Elettrodomestici (forni elettrici, frigorifero, lavastoviglie, piano cottura elettrico, ecc..) - Gli impianti elettrici e gli elettrodomestici casalinghi a 220 volt emettono campi elettrici a 50 Hz nel raggio di circa 30-50 cm e campi magnetici proporzionali al consumo in atto con un raggio massimo di circa 50 cm.

Accorgimenti ·Impiegarli alla massima distanza utile e ridurre al minimo il tempo di funzionamento. ·Stare a distanza di 50 cm almeno dai cavi elettrici e dai trasformatori. ·Non sostare a meno di 100–130 cm da qualsiasi variatore elettronico di luminosità o di velocità ed ai relativi apparecchi collegati. ·Tenere a distanza i bambini. ___________________________________________________________________________ Sveglie elettriche e Radiosveglie - Collegate alla rete generano un campo elettrico e magnetico in prossimità della testa del dormiente a cui sono generalmente vicine.

Accorgimenti ·Posizionarle ad una certa distanza dal guanciale (almeno 1 m). ·Usare preferibilmente sveglie e radiosveglie a batteria. ___________________________________________________________________________ Termocoperta - Emette campi elettromagnetici (c.e.m.) pericolosi sia per la vicinanza al corpo che per la durata dell’esposizione. Spegnere con il pulsante permette di eliminare solo il campo magnetico, il campo elettrico permane.

Accorgimenti ·Una volta scaldato il letto, staccare la spina dalla presa prima di coricarsi. ·Evitare di dormire sotto la termocoperta in funzione, soprattutto nel caso di donne incinte e bambini. ___________________________________________________________________________ Asciugacapelli e rasoio elettrico - Emettono nel raggio di circa 40 cm una forte radiazione elettromagnetica a 50 Hz. Facendone uso saltuario non costituiscono un grande pericolo.

Accorgimenti Tenere l’asciugacapelli ad almeno 20-30 cm dalla testa. Cercare di cambiare la mano che tiene l’asciugacapelli dato che si trova a contatto con la fonte di radiazioni. Asciugare i capelli naturalmente, quando possibile (per esempio d’estate). Limitare l’uso dei rasoi elettrici, alternandoli con rasoi a batteria o con la tradizionale lametta. Tenerli a distanza, anche se spenti ma con la spina inserita. ___________________________________________________________________________ Fotocopiatrice e stampante - Generano un campo elettrico ed un campo magnetico a frequenza bassa ogni volta che sono in funzione.

Accorgimenti · Mantenersi a distanza dalle apparecchiature in funzione;. · Mantenere in buona efficienza i collegamenti elettrici, i cavi di alimentazione e di messa a terra e le

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sicurezze. ___________________________________________________________________________ Lampade - Alcune lampade emettono campi elettrici fino a 30 cm di distanza anche se spente e campi magnetici proporzionali alla loro potenza. Le lampade alogene a 12 volt, oltre ai normali campi elettromagnetici, emettono una radiazione ad alta frequenza che può essere molto dannosa. I variatori elettronici di luminosità e le lampade ad essi collegate emettono una quadrupla radiazione elettrica quando sono in una posizione intermedia. Anche le piantane alogene possono emettere elettrosmog, ma sempre nell'arco di un metro circa, in quanto il filamento elettrico si comporta nella stanza come un parafulmine. Inoltre sono sempre dotate di variatore di luce, che nelle posizioni prima indicate emettono un campo magnetico di molto superiore ad un normale interruttore.

Accorgimenti ·Non stare a meno di 40 cm da qualsiasi lampada. ·Se si usa un variatore di luminosità, stare almeno a 1 metro dalle relative lampade e dai cavi di collegamento. ·Assicurarsi che l’interruttore sia bipolare. ·Se si usano lampade alogene, aggiungere il vetrino schermante per le alte frequenze. ·Non lasciare inutilmente accese le lampade. ___________________________________________________________________________ Impianti elettrici casalinghi - Emettono a 220 volt campi elettrici a 50 Hz nel raggio di circa 30-50 cm e campi magnetici proporzionali al consumo in atto, con un raggio massimo di circa 50 cm.

Accorgimenti ·Stare a una distanza non inferiore a 50 cm dai cavi elettrici oppure schermarli opportunamente. ·Installare un disgiuntore di rete in grado di ridurre la corrente nelle ore di richiesta minima. ___________________________________________________________________________ Sistemi di allarme - Possono causare disturbi se non adeguatamente progettati. I sistemi di antifurto per abitazioni sono modestamente nocivi solo se di vecchio tipo a microonde ed installati in luoghi a lunga permanenza.

Accorgimenti Sostituire i sensori antifurto a microonde con i sensori di presenza ad infrarosso passivo.

Interazione tra campi Elettromagnetici e corpi biol ogici (dosimetria).

Quando un'onda elettromagnetica incide all'interfaccia tra due mezzi diversi viene in parte riflessa nel primo

mezzo ed in parte trasmessa nel secondo. Una parte dell'onda riemerge nel primo mezzo (onda trasmessa),

mentre una parte viene assorbita nel secondo mezzo. Quest'ultima si attenua per effetto della dissipazione

con andamento esponenziale al crescere della distanza dall'interfaccia e la lunghezza d'onda e la velocità di

propagazione si riducono per effetto della diversa costante dielettrica (Fig.5). Questo è anche quanto accade

quando un campo elettromagnetico che si propaga in aria investe un corpo biologico. La modalità con cui la

radiazione penetra all'interno del sistema (energia assorbita) dipende sia dai parametri dielettrici e

geometrici del corpo stesso che dalle condizioni di incidenza. Si producono così situazioni molto diverse e

difficilmente riconducibili ad un unico modello descrittivo.

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La dosimetria a microonde è la determinazione della potenza assorbita e della sua distribuzione in un

sistema biologico esposto ad un campo elettromagnetico alle frequenze radio e alle microonde.

La grandezza assunta a descrivere l'entità di questa interazione è il SAR (acronimo di Specific Absorption

Rate) definito come la quantità di potenza elettromagnetica assorbita dall'unità di massa. La valutazione del

SAR richiede quindi una misura o una stima del campo all'interno dell'oggetto esposto, che come innanzi

detto non è affatto agevole e talvolta, specialmente nel caso degli esseri viventi, praticamente impossibile.

La distribuzione del SAR nel corpo, inoltre, non è uniforme, si creano così punti caldi di maggiore

assorbimento che complicano ancora di più la sua determinazione. Si ricorre quindi a tecniche di misura

indiretta e a simulazioni per la stima delle grandezze d'interesse.

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Per comprendere gli effetti primari prodotti dall'interazione tra un campo elettromagnetico e un corpo biologico è necessario richiamare alcuni concetti relativi alle perdite nei materiali dielettrici. Si distinguono due tipi di perdite: 1. perdite dovute alla polarizzazione del dielettrico e 2. perdite dovute alla conducibilità finita del dielettrico. L'effetto di questi due tipi di perdite determina comunque un aumento della temperatura del corpo biologico.

1. Sottoponendo un materiale dielettrico ad un campo elettrico variabile nel tempo, ha luogo il fenomeno della polarizzazione, che consiste nella continua orientazione delle molecole costituenti il materiale nella direzione del campo applicato. Poiché il moto è ostacolato dagli urti reciproci tra le molecole, il campo elettrico perde energia che risulta trasformata in calore. Si verifica così un progressivo riscaldamento del materiale che aumenta con l'aumentare della frequenza. Questo effetto diventa rilevante per valori di frequenza molto elevati.

2. In un materiale dielettrico , investito da un campo magnetico, circolano delle correnti (correnti di perdita) dovute alla non idealità del materiale, che presenta una conducibilità diversa da zero. Tali correnti di perdita determinano un riscaldamento progressivo del materiale per effetto ohmico con conseguenti variazioni delle sue caratteristiche chimiche e fisiche. A differenza delle perdite dovute alla polarizzazione del dielettrico, questo tipo di perdite sono già evidenti a frequenze relativamente più basse.

Valutazione dell’esposizione professionale alle radi azioni non ionizzanti

quantificazione dei livelli di esposizione personal e dei lavoratori ai campi elettromagnetici alle frequenze ELF (0 - 100 kHz), RF (100 kHz - 3 GHz) e alle microonde (dai 3 GHz, sino a, tipicamente, 40

GHz). Le misurazioni e l’analisi dati saranno svolte in base a quanto prescritto dal D.Lgs n. 257 del 19 novembre 2007 "Attuazione della direttiva 2004/40/CE sulle prescrizioni minime di sicurezza e di salute relative all’esposizione dei lavoratori ai rischi derivanti dagli agenti fisici (campi elettromagnetici)”

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Modalità di esecuzione della valutazione (DVR)

• Sopralluogo presso l’area da indagare, per individuare i punti significativi da utilizzare come

campione per il monitoraggio dei livelli di campo, in relazione alla presenza di apparati tecnologici e impianti, cavidotti per la corrente elettrica o per il trasporto di radiofrequenza, antenne, trasformatori, nonché alla frequentazione ed al tempo di permanenza delle persone.

• Individuazione delle sorgenti potenzialmente in grado di emettere contributi al campo

elettromagnetico di intensità non trascurabile per l’esposizione umana

• Misurazione dei livelli di campo selettiva in frequ enza secondo le norme di legge e di buona tecnica.

• Analisi della distribuzione in frequenza dei contributi più significativi di ogni misurazione;

quantificazione dell’esposizione umana a frequenze diverse. Calcolo del parametro di Conformità C quando necessario o utile

A completamento preparare una relazione tecnico-descrittiva che, sommariamente, comprende:

• descrizione delle modalità e dei criteri utilizzati nelle svolgere le valutazioni; • cartografie e/o planimetrie riportanti le posizioni dei punti monitorati; • mappatura dei campi elettromagnetici con individuazione delle aree in cui

o sono rispettati i livelli di esposizione per la popolazione (intesi come “limite di esposizione” e, dove applicabile, come “valori di attenzione”);

o sono rispettati i “valori di azione” per i lavoratori professionalmente esposti; o sono superati i “valori di azione” per i lavoratori professionalmente esposti.

• documentazione fotografica; • report dei valori di campo misurati; • richiamo della normativa vigente e confronto con essa; • parere fisico tecnico conclusivo e dichiarazione di conformità con le prescrizioni del D.Lgs

257/07.

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L'INQUINAMENTO INDOOR

Si definisce inquinamento indoor "la presenza nell’aria di ambienti confinati di contaminanti fisici, chimici e biologici non presenti naturalmente nell’aria esterna di sistemi ecologici di elevata qualità" (Ministero dell’Ambiente Italiano, 1991).

Da tempo siamo abituati a trattare con il problema della qualità dell’aria negli ambienti urbani ed ormai termini come "polveri sottili" e "livelli di ozono" sono entrati nel nostro quotidiano. La composizione dell’atmosfera all’interno degli edifici è fondamentalmente la stessa che troviamo all’esterno ma cambiano le quantità e i tipi di contaminanti; agli inquinanti provenienti dall’esterno va aggiunta tutta una serie di agenti inquinanti le cui fonti sono all’interno degli edifici. nei diversi ambienti (ad esempio fumare) sia alla presenza di fonti di emissione specifiche (ad esempio colle usate per mobili o vernici, etc).

Anche se spesso la concentrazione di inquinanti presenti è molto bassa, la durata dell'esposizione (ovvero la concentrazione per il tempo) potrebbe essere importante. Il rischio per la salute dipende dalla concentrazione (quantità per m3) e dall’esposizione (tempo di permanenza nell’ambiente).

Per la riduzione dei rischi correlati la conoscenza delle principali fonti di inquinamento e le buone pratiche di comportamento da adottare possono svolgere un ruolo determinante.

Altre fonti di rischio sono da considerarsi quelle collegate alla presenza di campi magnetici e/o di rumore, e l’inquinamento da radon. Anche in questo caso la conoscenza del rischio può ridurne significativamente gli effetti. Sopratutto nel caso del radon (una radiazione naturale) è importante sapere se questo è presente ed in quale concentrazione per procedere eventualmente ad una azione di bonifica.

Se consideriamo che l’uomo trascorre la quasi totalità del proprio tempo (90%) all’interno di edifici, possiamo capire che l’attenzione all’inquinamento indoor è di primaria importanza. Inoltre gli effetti dell’inquinamento dell’aria sulla salute umana sono complessi, in quanto i sintomi non sono specifici e possono esserci più inquinanti responsabili dello stesso disturbo. Bisogna considerare poi che i vari individui possono reagire in modo diverso nelle identiche condizioni.

Gli inquinanti di origine interna sono ascrivibili a:

• alla presenza di persone, animali, piante; • ai materiali da costruzione • agli impianti di riscaldamento, condizionamento e cottura dei cibi etc. • ai materiali di arredo e corredo • ai materiali e prodotti per le finiture ( rivestimenti pitture murali, vernici, pavimenti etc.) • ai prodotti di largo consumo (prodotti per la manutenzione e la pulizia detersivi, insetticidi etc.) • all’’utilizzo degli spazi ed il tipo di attività che vi si svolge.

A questo elenco, come già detto, vanno aggiunti i contaminanti provenienti dall’esterno, inoltre la tossicità di un singolo inquinante viene spesso potenziata dall’associazione con altre sostanze; tra queste particolarmente efficaci sono le polveri,il fumo di sigaretta e i vapori generati dalla cottura dei cibi.

Lo studio degli

I principali effetti osservati sono:

• Respiratori • Irritazioni di cute e mucose • Effetti sul sistema nervoso • Cardiovascolari • Effetti al sistema gastrointestinale • Effetti al sistema riproduttivo • Infezioni ed intossicazioni

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Materiali da costruzione e inquinamento indoor

Introduzione: l'inquinamento dell'aria interna L’aria che respiriamo all'interno delle nostre abitazioni è l'aria esterna, che entra dalle finestre, attraverso le infiltrazioni, o richiamata da dispositivi meccanici (gli aspiratori), o ancora attraverso le pareti: l'aria esterna si miscela con le sostanze che vengono prodotte all'interno, ove vengono trattenute e respirate. A inquinanti di tipo "nuovo", come quelli di origine chimica, o di nuova individuazione, come quelli di tipo radioattivo, si aggiungono gli inquinanti "classici", come quelli di origine biologica. Il risultato è che una miscela di vecchi e nuovi contaminanti sono rilevati all'interno degli edifici e che questa miscela viene diluita in modo meno efficace che in passato,grazie alle misure per il contenimento dei consumi energetici degli edifici,che ha portato complessivamente a diminuire la ventilazione. Si aggiungono poi altri tre fattori: un generale peggioramento delle condizioni del contesto, una minore attenzione dei progettisti nei confronti dei tradizionali problemi di igiene edilizia e, frequentemente, diverse abitudini di vita della popolazione, che tende a trascurare le normali operazioni di pulizia e che,contemporaneamente, fa uso di prodotti di largo consumo che aumentano il carico inquinante (per esempio deodoranti per l'ambiente, insetticidi, ecc.). I danni alla salute causati dall'esposizione ad agenti inquinanti interni vanno dalle sensazioni di malessere, all'acuirsi dei fenomeni allergici, fino a diverse forme tumorali. Il termine "sindrome dell’edificio malato" (Sick Building Sindrome, SBS) descrive una serie di sintomi riportati dagli occupanti di un edificio associati alla permanenza nell’edificio stesso, presentando questo condizioni di cattiva qualità dell’aria indoor tali da poterlo definire "malato". Si manifesta con sintomi aspecifici ma ripetitivi e non correlati ad un determinato agente, quali: irritazione degli occhi, delle vie aeree e della cute, tosse, senso di costrizione toracica, sensazioni olfattive sgradevoli, nausea, torpore, sonnolenza, cefalea, astenia. I malesseri, avvertibili solo ed sclusivamente durante la permanenza all'interno dell’edificio, possono essere associati a determinate stanze o settori, oppure generalizzati all’intera costruzione. I sintomi si manifestano in una elevata percentuale di soggetti che lavorano in ufficio (in genere superiore al 20%), scompaiono o si attenuano dopo l’uscita e non sono accompagnati da reperti obiettivi rilevanti. Proprio l'assenza di reperti obiettivi focalizza il problema sulla adeguatezza della qualità dell'aria, intesa come soddisfacimento delle proprie aspettative e raggiungimento di uno stato di benessere. Infatti è difficile poter affermare che vi sia una vera e propria "malattia" causata dalla permanenza in edifici malati, mentre è certo che si può avvertire malessere e senso di irritazione. Il giudizio espresso dagli occupanti è quindi l'unico modo per avere informazioni relative al comfort e ai sintomi aspecifici della sick building syndrome Gli inquinanti di origine interna sono ascrivibili:

• alla presenza di persone, animali, piante; • alle attività che si svolgono negli ambienti; • agli impianti di condizionamento; • ai materiali per la costruzione; • ai materiali e prodotti per le finiture; • ai materiali di arredo e corredo; • ai prodotti di largo consumo.

Alcuni contaminanti derivano dalle attività, come per esempio i gas generati dalla combustione o i particolati respirabili, provocati direttamente dall'azione dell'uomo, quali il fumare, il cucinare, il riscaldare l'ambiente; altri inquinanti, invece, come i batteri, le escrezioni corporee, i residui del ricambio naturale (peli, forfora), sono derivati dalla presenza stessa dell'uomo, degli animali domestici e delle piante negli edifici. Altre sostanze derivano dai prodotti per la manutenzione e la pulizia delle varie parti della casa (essenzialmente composti organici volatili). Tutti gli altri inquinanti infine dipendono propriamente dalle strutture e dai materiali della costruzione. Complessivamente si può affermare che esiste una cattiva qualità dell'aria dei poveri e una dei ricchi. Quella dei poveri, sempre esistita, si riferisce alla ristrettezza degli spazi, al sovraffollamento, alla presenza di fonti di combustione aperte (stufe, bracieri, camini), ai materiali degradati, alla presenza di umidità. Quella dei ricchi, di nascita più recente, si riferisce a un inquinamento prevalentemente di tipo chimico e ai fenomeni di adsorbimento (nuovi materiali e contemporanea presenza di materiali tessili, come moquette e rivestimenti murari) e ai sistemi di gestione dell'aria (condizionamento). Un'altra classificazione si può avere considerando edifici vecchi ed edifici nuovi: nei primi i fattori di rischio riguardano il degrado dei materiali (polveri e fibre) e la presenza di umidità; nei nuovi o appena rinnovati i problemi nascono dall'uso di prodotti di finitura che non hanno ancora completato l'emissione di sostanze chimiche inquinanti (vernici, pitture, adesivi, mobili nuovi) e, molto frequentemente, da una eccessiva sigillatura e un isolamento termico insufficiente. Nella tabella 1 sono indicati alcuni criteri per migliorare la qualità dell'aria in edifici esistenti.

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INQUINANTI FONTI O CAUSE RIMEDI

Radon, pesticidi Attacco a terra, suolo Sigillazione entrate dal terreno, ventilazione dei seminterrati

Composti Organici Volatili (VOC)

Materiali di finitura, arredo

Sostituzione dei materiali, incapsulamento

Batteri, virus, funghi Umidità nella costruzione

Protezione dall'umidità, isolamento termico, ventilazione

Polveri, fibre Presenza materiali fibrosi degradati

Sostituzione, manutenzione

Progettare tenendo presente la qualità dell'aria interna non è però sufficiente, ma è necessario riferirsi a discorsi più ampi: la salubrità di una costruzione dipende da una serie di scelte, quali l'orientamento, la localizzazione, le tecniche costruttive, la tipologia edilizia, l'organizzazione funzionale degli spazi in relazione alle attività. La prevenzione del rischio di inquinamento interno costituisce una precisa responsabilità del progettista il quale, aldilà dei comportamenti più o meno a rischio adottati dagli occupanti, deve perseguire come uno degli obiettivi di progetto il raggiungimento di una buona qualità dell'aria E questi obiettivi, sintetizzati nella tabella 2, si integrano con i principi dell'architettura sostenibile. Non è possibile infatti perseguire l'obiettivo della qualità dell'aria interna senza considerare i rapporti materici ed energetici che si instaurano tra la costruzione e l'ambiente, circostante e globale. E’ necessario quindi integrare nello studio dei materiali da costruzione i requisiti ambientali e trasformare tali requisiti in testi normativi.

OBBIETTIVI DI PROGETTO ELEMENTI COINVOLTI

Fare in modo che l'aria esterna immessa sia la migliore possibile

Localizzazione, posizione delle prese d'aria e delle finestre

Minimizzare il carico inquinante dovuto a materiali e prodotti

Scelta dei materiali e della loro compatibilità

Minimizzare il carico inquinante dovuto ad attivi Separazione funzionale delle attività inquinanti

Diluire gli inquinanti presenti Progetto della ventilazione. doppio affaccio; canne di ventilazione

Allontanare gli inquinanti alla fonte Estrazione localizzata

Controllare i fattori di rischio: umidità, temperatura, rumore

Progetto dell'edificio, tecniche di protezione

Materiali da costruzione e inquinamento interno I materiali e i prodotti edilizi possono rilasciare i seguenti inquinanti:

• inquinanti di natura fisica: radon e prodotti di decadimento; • composti organici volatili e semivolatili, in particolare formaldeide e antiparassitari; • inquinanti biologici: funghi, muffe, batteri; • fibre minerali naturali e artificiali: amianto, lana di vetro, lana di roccia.

I prodotti edilizi possono peggiorare le condizioni abitative secondo tre modalità:

• rilasciando direttamente sostanze inquinanti o pericolose (composti organici volatili, radon, polveri, fibre); • adsorbendo e successivamente rilasciando sostanze presenti nell'aria e provenienti da altre fonti (per esempio

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da attività o da altre fonti); • favorendo l'accumulo di sporco e la crescita di microrganismi.

I materiali e i prodotti utilizzati in edilizia possono emettere composti altamente tossici (carcinogenici o allergeni), composti che possono causare sintomi generali, composti irritanti, composti che causano una inaccettabile qualità dell'aria (odori sgradevoli) e composti con sconosciute proprietà tossiche. La grande diffusione, avvenuta in modo incontrollato negli ultimi cinquanta anni dell'industria chimica nel settore edilizio, ha portato a un uso generalizzato di materiali sintetici per gli arredi, le tappezzerie, le pavimentazioni e i componenti degli edifici. Tali materiali emettono nell'aria degli edifici sostanze chimiche che possono avere effetti rilevanti sulla salute delle persone o sul livello di comfort. L’emissione di Composti Organici Volatili (VOCs) è più alta all’inizio della vita del prodotto e tende a diminuire notevolmente in tempi abbastanza brevi (da una settimana per i prodotti umidi, come vernici e adesivi, a sei mesi per altri composti chimici). Fa eccezione la formaldeide, che tende a presentare rilasci relativamente costanti per molti anni. La concentrazione è funzione del rapporto tra superficie emittente e volume dell'ambiente e dei ricambi orari; la pericolosità è in funzione del/dei tipi di sostanza, delle sinergie con altre sostanze presenti nell'ambiente, della concentrazione e del tempo di esposizione. La crescita di colonie di microrganismi dipende dal tipo di prodotto (naturale o sintetico) dalla percentuale di umidità contenuta, dalla qualità della superficie (porosità), dalle condizioni d'uso (attività svolte, presenza di altri prodotti), dalle condizioni microclimatiche. I prodotti di origine naturale non trattati in superficie, come per esempio il legno massello o le fibre tessili vegetali o animali tendono a predisporre un ottimo habitat per la crescita di colonie di microrganismi. La presenza di polveri e fibre nell'aria interna è normalmente legata al grado di usura dei prodotti come pavimentazioni, tappezzerie, intonaci, pitturazioni o alla possibilità che materiali fibrosi (come alcuni tipi di isolanti) entrino in contatto con l'aria interna. E’ questo il caso, per esempio, degli isolanti fibrosi utilizzati in controsoffitti o nelle tubazioni del condizionamento. In sintesi, i fattori influenzanti il rilascio di polveri e fibre sono:

• la composizione del prodotto; • la validità del legante (matrice in cui sono contenute le fibre); • il tipo e lo stato della finitura superficiale; • l'età del materiale e lo stato di manutenzione; • gli interventi sul prodotto (manipolazione, lavorazione).

La pericolosità è in funzione delle caratteristiche fisiche di polveri e fibre (dimensioni e quindi inalabilità), della concentrazione nell'aria e del tempo di esposizione. Gli studi più recenti sulla presenza di radon e dei suoi prodotti da decadimento negli ambienti confinati affermano che la responsabilità di tale presenza è attribuibile in gran parte al suolo e alle acque, mentre i materiali da costruzione partecipano alla dose per una piccola percentuale, tranne nei casi in cui gli edifici siano costruiti con materiali di origine vulcanica (tufo). Anche in questo caso è importante valutare la quantità di superficie esposta potenzialmente pericolosa in relazione alla cubatura e ai volumi di ventilazione. Di seguito sono indicati alcuni suggerimenti per la scelta dei prodotti di finitura.

• scegliere i materiali con attenzione agli usi specifici e alle condizioni di esercizio come per esempio la presenza di umidità;

• scegliere materiali facilmente pulibili, che non richiedano, o non suggeriscano, l'uso di prodotti inquinanti per la pulizia e la manutenzione (es. lucidanti, anti-polvere, ecc.);

• evitare superfici estese di materiali adsorbenti (tessili, materiali porosi); • valutare il rapporto tra cubatura degli spazi e superficie del prodotto; • in caso di utilizzo di materiali che possono emettere composti organici volatili, togliere dagli imballaggi in luogo

ventilato e non all'interno dei locali; • evitare l'uso di agenti protettivi contro la degradazione biologica: costruire gli edifici in modo che tali agenti non

siano necessari (procedure di pulizia, umidità); • assicurarsi che i materiali siano stabili e durevoli per le condizioni d'uso prevalenti o prevedere un programma di

manutenzione o sostituzione.

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Prodotti edilizi, danni alla salute e norme La legge fondamentale che recepisce in Italia le cinque Direttive comunitarie in materia di prevenzione salute e sicurezza è il D.Lgs. n. 277 del 15.8.91. Questo testo affianca tre problematiche chimiche-biologiche che riguardano la salute dei lavoratori esposti: il rumore, il piombo metallico e l'amianto. Riguardo all'amianto introduce i rischi connessi all'esposizione e definisce i metodi di prelievo e analisi per la misurazione delle concentrazioni delle fibre nell'aria. La legge n. 257 del 27.3.92 impone, a partire dal marzo del 1993 (con una proroga di un anno per i manufatti in lastra o in tubi a base di cemento) la cessazione dell'estrazione, dell'importazione, della commercializzazione e della produzione di manufatti di amianto in qualsiasi percentuale. Di particolare importanza per la prevenzione dei danni causati dall'inquinamento dell'aria interna è il D.Lgs. 626 e successive modificazioni, che recepisce otto direttiva europee in materia di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. In particolare il Titolo Il recepisce la direttiva Cee 654/89 che riguarda le prescrizioni minime di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro e stabilisce i requisiti minimi. Altezza, cubatura e superficie dei locali, illuminazione, aerazione e controllo delle condizioni termiche costituiscono alcune delle richieste, sostenendo la necessità, per disporre di un ambiente salubre, di definirne le caratteristiche di base. Per quanto riguarda i Composti Organici Volatili e i contaminanti biologici le uniche indicazioni sono contenute nel D.Lgs. 626: il Titolo VII, Protezione dagli agenti cancerogeni e il Titolo VIII Protezione da agenti biologici introducono due rischi nuovi per la legislazione italiana. Anche queste disposizioni si riferiscono specificamente ai luoghi di lavoro, mentre non è ancora stato affrontato a livello centrale il tema della protezione di tutta la popolazione. In effetti, dettare norme sulla qualità dell'aria non è operazione facile, in quanto la qualità dell'aria dipende da una serie interrelata di fattori, che vanno dalla localizzazione, ai criteri di progetto, alla scelta dei materiali e delle tecniche esecutive, ai comportamenti degli abitanti. Su alcune di queste materie è fondamentale l'azione svolta, nel corso degli anni, dalla Regolamentazione locale, Igienica e Edilizia. E’ possibile stabilire, con estrema prudenza, alcuni valori che permettano il controllo degli ambienti, molto più difficile è definire soglie di accettazione in relazione alla protezione della salute, sia per carenza di informazioni sulla relazione dose-risposta, sia per la varietà dei soggetti coinvolti. Agire contemporaneamente sulle fonti (controllo dei prodotti e degli impianti) e sulla diluizione degli inquinanti (aerazione, cubatura dei locali) sembra attualmente la strade più praticabile

Prodotti chimici e inquinamento interno

• Presenza di

Gli inquinanti chimici comprendono una serie di sostanze naturali o artificiali che, presenti nell’aria in forma liquida, solida o gassosa, ne peggiorano la qualità. Possono originare da fonti situate negli ambienti stessi o provenire dall’aria esterna, soprattutto in condizioni di elevato inquinamento ambientale.

inquinanti chimici provenienti da fonti interne: ad esempio VOC emessi da adesivi, moquette, rivestimenti, mobili, macchine fotocopiatrici, fumo di tabacco, pesticidi, prodotti per la pulizia; monossido di carbonio, ossidi di azoto e particolato aerodisperso prodotti da sistemi di combustione e presenti nel fumo di tabacco

I principali inquinanti chimici derivanti da fonti esterne:

( gas di scarico delle auto e vari tipi di contaminanti che penetrano all’interno degli edifici tramite finestre e fessure)

comprendono i gas di combustione (biossido di azoto, biossido di zolfo, monossido di carbonio), l’ozono, il particolato aerodisperso, il benzene, mentre quelli derivanti dall’ambiente confinato sono soprattutto la formaldeide, i composti organici volatili , gli idrocarburi aromatici policiclici, il fumo di tabacco ambientale, i pesticidi, l’amianto ed i gas di combustione.

I maggiori contaminanti di natura chimica sono:

• monossido di carbonio (CO);

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• biossido di azoto (NO2); • biossido di zolfo (SO2); • composti organici volatili (VOC); • formaldeide; • benzene; • idrocarburi aromatici policiclici (IPA); • ozono (O3); • particolato aerodisperso (PM10, PM2.5); • fumo di tabacco ambientale; • pesticidi; • amianto.

Monossido di Carbonio Monossido di carbonio

Il monossido di carbonio (CO) è un gas inodore, incolore, insapore e altamente tossico, vista la sua capacità di interferire con il normale trasporto di ossigeno presente nel sangue.

Le principali fonti del monossido di carbonio

Il CO proviene dalla combustione incompleta dei materiali contenenti carbonio, quindi della maggior parte dei combustibili. Può essere emesso dalla combustione incompleta dei materiali contenenti carbonio come gli impianti di riscaldamento a gas, fornelli, stufe e camini, nel caso in cui si verifichi un malfunzionamento di tali dispositivi dovuto ad un’erronea installazione o manutenzione oppure ad una inadeguata ventilazione. Altre fonti sono il fumo passivo e i gas di scarico delle automobili. In quest’ultimo caso la vicinanza a sorgenti outdoor, come ad esempio strade ad elevato traffico veicolare, garage e parcheggi, può provocare un impatto significativo sulle concentrazioni negli ambienti confinati.

Effetti sulla salute

La tossicità del monossido di carbonio è dovuta alla maggiore affinità di legarsi all’emoglobina rispetto all’ossigeno e alla conseguente riduzione del trasporto di ossigeno nel sangue. A seconda della quantità di CO inalata, si possono verificare diversi effetti sanitari: a basse concentrazioni si manifestano senso di affaticamento e dolori al torace nei cardiopatici; a concentrazioni moderate problemi di coordinamento, mal di testa, nausea, vertigini, fino ad avere conseguenze fatali nel caso di concentrazioni molto elevate. I sintomi vengono spesso confusi con quelli dell’influenza o dell’intossicazione alimentare. I bambini, gli anziani e le persone con problemi cardiaci e respiratori sono particolarmente a rischio.

Come ridurre l’esposizione al monossido di carbonio ?

Utilizzare le seguenti Buone norme di controllo e ispezione delle apparecchiature da combustione. Provvedere ad una adeguata aerazione, ventilazione e buon funzionamento delle cappe di aspirazione

• Assicurarsi che tutte le apparecchiature a gas funzionino correttamente secondo i manuali d'istruzione e i codici del costruttore.

• Effettuare controlli annuali al sistema di riscaldamento, ai condotti di scarico e ai camini, provvedendo alla pulizia regolare da parte di personale esperto.

• Non utilizzare forni e fornelli a gas per il riscaldamento della casa. • Non bruciare carbone di legna dentro casa. • Assicurarsi che i fornelli e le stufe abbiano uno sfogo verso l’esterno ed un sistema di aspirazione

senza fughe. • Non usare stufe a kerosene in spazi chiusi senza aerazione. • Non lasciare l'automobile accesa nel garage o in uno spazio chiuso. • Utilizzare i rilevatori di CO come strumento di prevenzione aggiuntivo, ma non come un sostituto

all’uso corretto e alla manutenzione periodica delle apparecchiature

Normativa/Standard di riferimento internazionali

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Valori di riferimento relativi all’aria esterna: • Il D.M. 02/04/02 n.60 ha stabilito un valore limite di 10 mg/m3 come media massima giornaliera su 8

ore, in vigore dal 01/01/2005. • L’OMS ha indicato come valori guida (“Air quality guidelines for Europe”, WHO, 2000):

- 100 mg/m3 (90 ppm) per 15 min; - 60 mg/m3 (50 ppm) per 30 min; - 30 mg/m3 (25 ppm) per un’ora; - 10 mg/m3 (10 ppm) per 8 ore.

• L’U.S. National Ambient Air Quality Standards indica come valore limite per l’aria outdoor 9 ppm per

8 ore, 35 ppm per un’ora.

Valore di riferimento relativo all’aria indoor: • L’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers, Inc.)

propone per gli ambienti interni gli stessi valori guida indicati per l’esterno dall’ U.S. National Ambient Air Quality Standards.

Biossido di Azoto Il biossido di azoto

Gli ossidi di azoto che contribuiscono all’inquinamento atmosferico sono il monossido di azoto (NO) e il biossido di azoto (NO2). Si formano per reazione chimica in aria a partire dall’azoto atmosferico che viene ossidato a NO2 e NO. La maggior parte dell’NO reagisce spontaneamente con l’ossigeno dell’aria per dare l’NO2; per questo motivo si misura il biossido di azoto come indice dell’inquinamento dell’aria da ossidi di azoto. Il biossido di azoto è un gas tossico di colore giallo-rosso, dall’odore forte e pungente, con grande potere irritante, trattandosi di un ossidante altamente reattivo e corrosivo. Svolge un ruolo fondamentale nella formazione dello smog fotochimico, essendo l’intermedio di base per la produzione di tutta una serie di inquinanti secondari molto pericolosi, come l’ozono, l’acido nitrico, l’acido nitroso, ecc… Il biossido di azoto merita di essere menzionato anche come il maggior responsabile, insieme al biossido di zolfo, del fenomeno delle piogge acide.

Le principali fonti del biossido di azoto

Negli ambienti indoor, in mancanza di una adeguata ventilazione, le principali fonti del biossido di azoto sono costituite da apparecchi di combustione come sistemi di riscaldamento a legna, a gas e a cherosene, fornelli, stufe, ecc., e dal fumo di tabacco ambientale. Una fonte outdoor è rappresentata dal traffico veicolare e dalla presenza di garage o parcheggi coperti, essendo l’NO2 contenuto anche nei gas di scarico degli autoveicoli. La formazione dell’NO2, infatti, è strettamente correlata agli elevati valori di pressione e temperatura che si realizzano, per esempio, all’interno delle camere di combustione dei motori.

Effetti sulla salute

Il biossido di azoto è un gas irritante per le mucose e può contribuire all’insorgere di varie alterazioni delle funzioni polmonari, bronchiti croniche, asma ed enfisema polmonare. Lunghe esposizioni anche a basse concentrazioni provocano una drastica diminuzione delle difese polmonari con conseguente aumento di rischio di affezioni alle vie respiratorie.

Come ridurre l’esposizione al biossido di azoto

Utilizzare le seguenti Buone norme di controllo e ispezione sulle sorgenti costituite dai fornelli da cucina, dalle stufe, dagli impianti di riscaldamento con caldaie interne e dal fumo di tabacco ambientale.

Una fonte outdoor è rappresentata dal traffico veicolare e dalla presenza di garage o parcheggi coperti, essendo l’NO2 contenuto anche nei gas di scarico degli autoveicoli

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• Mantenere in perfetta efficienza le apparecchiature garantendo gli sfoghi verso l’esterno. • Effettuare controlli annuali al sistema di riscaldamento, ai condotti di scarico e ai camini,

provvedendo alla pulizia regolare da parte di personale esperto. • Non usare stufe a kerosene in spazi chiusi senza aerazione. • Non lasciare l'automobile accesa nel garage o in uno spazio chiuso. • Eliminare il fumo di sigaretta.

Normativa/Standard di riferimento internazionali

Valori di riferimento relativi all’aria esterna: • Il D.M. 02/04/02 n.60 ha fissato due valori limite per la protezione della salute umana:

- 200 µg/m3 come media oraria da non superare più di 18 volte l’anno; - 40 µg/m3 come media annuale. Entrambi entreranno in vigore gradualmente entro il 1/01/2010.

• I valori guida per l’esposizione al NO2 riportati dall’OMS sono ("Air quality guidelines for particulate matter ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide", WHO, 2006)

- 200 µg/m3 come media oraria; - 40 µg/m3 come media annuale.

• L’US. EPA National Ambient Air Quality Standards indica - 0,053 ppm (100 µg/m3) come limite della media annuale per il NO2 nell’aria esterna.

Valore di riferimento relativo all’aria interna: • L’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers) propone per

gli ambienti interni lo stesso valore guida indicato dall’U.S. National Ambient Air Quality Standards.

Composti Organici Volatili Composti Organici Volatili

Con la denominazione di Composti Organici Volatili (VOC) viene indicato un insieme di sostanze in forma liquida o di vapore, con un punto di ebollizione che va da un limite inferiore di 50-100 °C a un limit e superiore di 240-260 °C. Il termine “volatile” indica proprio la capacità di queste sostanze chimiche ad evaporare facilmente a temperatura ambiente. I composti che rientrano in questa categoria sono più di 300. Tra i più noti sono gli idrocarburi alifatici (dal n-esano, al n-esadecano e i metilesani), i terpeni, gli idrocarburi aromatici, (benzene e derivati, toluene, o-xilene, stirene), gli idrocarburi alogenati (cloroformio, diclorometano, clorobenzeni, ecc.), gli alcoli (etanolo, propanolo, butanolo e derivati), gli esteri, i chetoni, e le aldeidi (tra cui la formaldeide).

Le principali fonti dei Composti Organici Volatili

Negli ambienti confinati le sorgenti di VOC si trovano praticamente ovunque:

• Prodotti per la pulizia a cera (cere liquide e in aerosol per pavimenti e mobili), prodotti per la pulizia dei bagni, dei vetri, dei forni, paste abrasive, detergenti per stoviglie, deodoranti solidi e spray.

• Pitture e prodotti associati: pitture ad olio, uretaniche, acriliche, vernici a spirito per gommalacca, mordente e coloranti per legno, diluenti, detergenti per pennelli, sverniciatori.

• Pesticidi, insetticidi e disinfettanti. • Colle e adesivi. • Prodotti per la persona e cosmetici. • Prodotti per l’auto. • Mobili e tessuti. • Materiali da costruzione. • Stampanti e fotocopiatrici. • Fumo di tabacco. • Sorgenti outdoor: emissioni industriali, emissioni da automobili.

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Effetti sulla salute

L'esposizione ai VOC può provocare effetti sia acuti che cronici. Secondo le concentrazioni, gli effetti acuti possono includere irritazioni agli occhi, al naso e alla gola, mal di testa, nausea, vertigini, asma. Per esposizioni ad alte concentrazioni molti di questi composti chimici possono causare effetti cronici come danni ai reni, al fegato, al sistema nervoso centrale, fino a provocare il cancro (nel caso particolare del benzene e della formaldeide). Le persone più predisposte ad ammalarsi sono quelle con problemi respiratori, i bambini, gli anziani e i soggetti sensibili ai composti chimici.

Come ridurre l'esposizione ai VOC

Per controllare l'esposizione ai VOC è importante utilizzare le seguenti buone norme di controllo e ispezione su una lunga serie di prodotti tra i quali troviamo: pitture, lacche, pesticidi, prodotti per la pulizia, materiali di costruzione, materiale per ufficio come adesivi, marcatori, stampanti, fotocopiatrici, ecc.

• Ridurre il numero di prodotti contenenti VOC e comunque utilizzare materiali che abbiamo un basso contenuto di composti organici volatili.

• Ventilare adeguatamente gli ambienti. • È raccomandabile l’uso di purificatori d'aria. • Evitare l’uso di deodoranti per la casa. • Limitare l’uso dei pesticidi. • Utilizzare correttamente i prodotti secondo le indicazioni riportate in etichetta; • Assicurarsi di ventilare gli ambienti durante le pulizie; • Ventilare i vestiti lavati a secco (le lavanderie solitamente utilizzano percloroetilene per asciugare); • Dotare gli ambienti di piante che sono in grado di ridurre le concentrazioni di VOC, come filodendro,

dracena e spatifillo.

filodendro, dracena spatifillo ( Pianta Velenosa! )

Normativa/Standard di riferimento internazionali

Non ci sono valori limiti standard, ma la legislazione europea ed italiana mostrano un’attenzione crescente come dimostrato dalla Dir. 2004/42/CE del Parlamento europeo e del Consiglio relativa alla limitazione delle emissioni di composti organici volatili dovute all’uso di solventi organici in talune pitture e vernici e in taluni prodotti per carrozzeria e recante modifica della direttiva 1999/13/CE. La direttiva è stata recepita in Italia con il D.Lgs. n. 161 del 27/3/2006 (Attuazione della direttiva 2004/42/CE per la limitazione delle emissioni di composti organici volatili conseguenti all’uso di solventi in talune pitture e vernici, nonché in prodotti per la carrozzeria).

Formaldeide La formaldeide

È un composto organico appartenente alla famiglia delle aldeidi e dei Composti Organici Volatili. A temperatura ambiente è un gas incolore con un odore forte e pungente. È un composto ampiamente

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utilizzato nella produzione di numerosi materiali per l’edilizia e nella fabbricazione di mobili. È anche un prodotto secondario della combustione e di alcuni fenomeni naturali, per cui è presente in concentrazioni considerevoli sia negli ambienti indoor che outdoor.

Le principali fonti della formaldeide

La principale fonte indoor di formaldeide è il legno pressato per il quale sono impiegati adesivi contenenti resine di urea-formaldeide e fenolo-formaldeide, che, nel tempo, rilasciano questa sostanza. Può essere emessa, quindi, dai mobili in truciolato e compensato, soprattutto quando sono nuovi, ma pure dall’abbigliamento e dalla tappezzeria, essendo utilizzata anche nei trattamenti di stampa dei tessuti. La formaldeide è inoltre presente nel fumo di tabacco, nei materiali per l’edilizia (come le schiume isolanti a base di urea-formaldeide), e in numerosi prodotti di uso corrente, come prodotti per la pulizia, coloranti, disinfettanti, materie plastiche, colle e vernici.

Effetti sulla salute

La formaldeide, essendo molto solubile in acqua, provoca facilmente irritazione alle mucose con cui viene a contatto. Sono quindi interessati occhi, naso, gola e vie respiratorie. Per gli occhi si manifestano arrossamenti, congiuntivite e tumefazione delle palpebre. Nelle vie respiratorie possono presentarsi, oltre all’irritazione, anche l'iperattività bronchiale e l'asma. L’intossicazione acuta è nota per ingestione accidentale mentre il contatto può provocare dermatite. L’esposizione può anche avere delle conseguenze a livello neurologico, traducendosi in stanchezza, angoscia, emicranie, nausea, sonnolenza o vertigini. Inoltre recentemente l’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha concluso che la formaldeide è cancerogena per l’uomo.

Come ridurre l’esposizione alla formaldeide

Come nel caso di molti altri inquinanti la concentrazione di formaldeide si può limitare non usando o eliminando i prodotti che la contengono e comunque utilizzando materiali che abbiano una bassa emissione di formaldeide (ad esempio l’attuale norma europea EN 120 prevede 3 classi distinte: E1, E2, o E3 con la classe E1 che identifica i pannelli legnosi con la minore emissione). È importante sapere che sia il calore che l’umidità aumentano l’emissione, pertanto è conveniente migliorare la ventilazione dei locali, aumentare il numero di ricambi d’aria e mantenere l’umidità tra il 40% e il 60% per ridurre i livelli di concentrazione. Si raccomanda inoltre di avere in casa determinate piante che possono contribuire sensibilmente alla neutralizzazione della formaldeide come ad esempio la felce di Boston (tasso di 20 microgrammi per ora), l’areca palmata,( produttrice di vapore acqueo un litro in 24 ore) il ficus, lo spatafillo, la dracena.

felce di Boston areca palmata ficus

Per fare una misura della formaldeide era necessario, fino a poco tempo fa, effettuare un adeguato campionamento dell'aria interna attraverso apposite pompe e relativi filtri che venivano in seguito analizzati in laboratorio mediante gascromatografia o spettrometria di massa. Oggi con dei rivelatori in campo si ha una buona misura mediante comparazione della colorazione assunta dall'indicatore con una scala colorimetrica di riferimento

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Normativa/Standard di riferimento internazionali

Esistono valori soglia proposti da istituti internazionali. • L’OMS ha indicato come limite per l’aria esterna il valore di 0,1 mg/m3 in 30 minuti (“Air quality

guidelines for Europe”, WHO, 2000). • L’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers, Inc.)

propone il valore guida per ambienti interni pari a 100 mg/m3 in 30 minuti di esposizione, basato su effetti irritativi in persone sensibili.

Benzene IL Benzene

Il benzene è un idrocarburo aromatico presente nei prodotti derivati dal carbone e dal petrolio e proviene dalla combustione di prodotti naturali. A temperatura ambiente si presenta come un liquido incolore che evapora all’aria molto velocemente, come tutti i Composti Organici Volatili (VOC). È caratterizzato da un odore pungente e dolciastro che può essere percepito dalla maggior parte delle persone a concentrazione di 1.5-4.7 ppm. È una sostanza altamente infiammabile, ma la sua pericolosità è dovuta principalmente al fatto che è un cancerogeno riconosciuto per l’uomo. Pur essendo dimostrata la sua pericolosità, il benzene è ampiamente utilizzato nei processi industriali per produrre altri composti chimici come lo stirene, il cumene (per realizzare varie resine), il cicloesano (per creare il nylon e altre fibre sintetiche), ecc. Inoltre viene impiegato nella produzione di alcuni tipi di gomme, lubrificanti, coloranti, inchiostri, collanti, detergenti, solventi e pesticidi.

Le principali fonti del benzene

Le principali fonti del benzene negli ambienti indoor derivano principalmente dal fumo di tabacco, dalle combustioni domestiche incomplete del carbone e del petrolio e dai vapori liberati dai prodotti contenenti benzene, come colle, vernici, cere per mobili, detergenti. Altre fonti significative provengono dall’ambiente esterno e sono costituite dai gas esausti dei veicoli a motore e dalle emissioni industriali; in questo caso la concentrazione del benzene è particolarmente variabile, in quanto è soggetta ai cambiamenti dovuti sia alle condizioni meteorologiche del periodo sia alle attività lavorative giornaliere. In assenza di sorgenti interne, le concentrazioni indoor sono una frazione di quelle outdoor, ma in presenza di sorgente interne possono arrivare a valori anche considerevolmente superiori.

Effetti sulla salute

L’esposizione al benzene avviene essenzialmente per inalazione (circa il 99% del benzene assunto) e può verificarsi anche per contatto cutaneo o ingestione (consumo di cibo o di bevande contaminate). Gli effetti tossici provocati hanno caratteristiche diverse e colpiscono organi sostanzialmente differenti secondo la durata dell'esposizione. Effetti tossici acuti possono presentarsi dopo brevi esposizioni di 5-10 minuti a livelli molto alti di benzene nell’aria (10.000-20.000 ppm) e possono condurre alla morte. Livelli di concentrazione più bassi (700-3.000 ppm) possono causare vertigini, sonnolenza, aumento del battito cardiaco, tremori, confusione e perdita di coscienza. Concentrazioni minori ma più prolungate nel tempo possono alterare la memoria e alcune capacità psichiche. Il benzene è anche responsabile di disturbi e di effetti irritanti sulla pelle e sulle mucose (oculare e respiratoria in particolare). Gli effetti tossici cronici sono invece dovuti a periodi di esposizione molto lunghi a basse concentrazioni. L’affezione che preoccupa di più, sia a livello professionale che ambientale, è la comparsa del cancro del sangue dovuta all’esposizione ripetuta a concentrazioni di benzene di qualche ppm per decine di anni. Diversi studi hanno messo in evidenza il pericolo di contrarre la leucemia mieloide o altre forme di cancro. L’IARC (International Agency for Research on Cancer) ha inserito il benzene nel gruppo 1 dei cancerogeni certi (leucemie, linfomi e anche eccessi di tumori in altre sedi).

Come ridurre l'esposizione al benzene

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Per le concentrazioni di benzene che provengono dall’esterno può essere importante utilizzare le seguenti buone norme di controllo e ispezione sulle sorgenti:

• Controllare e dotare il parcheggio delle auto all’interno degli edifici con sistemi di ventilazione ed aerazione e altri metodi utili a ridurre la penetrazione del benzene nei luoghi confinati.

• Non aerare i locali nelle ore di elevato traffico veicolare.

Per le concentrazioni indoor è importante:

• Eliminare o ridurre al minimo il fumo di tabacco. • Controllare le etichette dei solventi e ricordare che il benzene nei solventi è tollerato come impurità

solo fino al 2% e la sua indicazione sull’etichetta oltre a essere obbligatoria va separata dalle altre percentuali di solventi nei prodotti.

• Preferire le vernici diluite con acqua e comunque ventilare i locali durante e dopo le operazioni di verniciatura.

Si raccomanda inoltre di avere in casa determinate piante che possono contribuire sensibilmente alla neutralizzazione del benzene come ad esempio l’ Areca palmata (chrysalidocarpus lutescens) - una delle migliori in assoluto, ottima contro i vapori generati da xilene e toluene e per le sue capacità deumidificanti

Normativa/Standard di riferimento internazionali

Valori di riferimento relativi all’aria esterna: • Il D.M. 02/04/02 n.60 ha stabilito un valore limite di 5 µg/m3 come media annuale, da raggiungere

entro il 01/01/2010. • Secondo l’OMS (“Air quality guidelines for Europe”, WHO, 2000) le concentrazioni di benzene

nell’aria associate al rischio per la vita di 1/10.000, 1/100.000 e 1/1.000.000 sono rispettivamente 17, 1.7 e 0.17 µg/m3.

Valore limite relativo all’esposizione indoor: • L'ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers INC.)

propone il valore di 5 µg/m3 in 8 ore.

Idrocarburi Policiclici Aromatici Idrocarburi Policiclici Aromatici

Per Idrocarburi Policiclici Aromatici (IPA) si intende un’ampia gamma (circa 500) di composti organici con due o più anelli benzenici condensati. A causa della loro minore volatilità non sono considerati VOC, tranne alcune eccezioni (naftalene), e vengono bensì classificati come composti organici semi volatili (SVOC). Gli IPA costituiti da tre a cinque anelli possono essere presenti in atmosfera sia come gas che come particolato, mentre quelli caratterizzati da cinque o più anelli tendono a presentarsi per lo più in forma solida. Si caratterizzano per il loro basso grado di solubilità in acqua, l’elevata capacità di aderire a materiale organico e la buona solubilità nei lipidi e in molti solventi organici. Sono presenti ovunque in atmosfera; vengono prodotti dalla combustione incompleta di materiale organico e derivano dall’uso di olio combustibile, gas, carbone e legno nella produzione di energia.

Le principali fonti degli Idrocarburi Policiclici A romatici

Provengono dall'ambiente esterno dalla combustione di combustibili fossili e dai processi industriali. Altre sorgenti temporanee sono gli incendi di foreste e di campi agricoli. Negli ambienti indoor provengono dai forni a legna, dai caminetti e dal fumo di tabacco. Sono presenti anche nei fumi dei cibi cucinati sulle fiamme, affumicati, etc. Gran parte degli IPA proviene dall’esterno attraverso le scarpe e gli indumenti, a causa della loro capacità di depositarsi sulla polvere e della successiva risospensione di quest’ultima che ne consente l’inalazione. In ambienti confinati si presentano sottoforma di vapore e parzialmente adsorbiti su particelle sospese. Le concentrazioni indoor di molti IPA sono generalmente maggiori di quelle outdoor; in ambienti con fumatori si può arrivare ad un valore di concentrazione tre o quattro volte superiore.

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Effetti sulla salute

Solitamente nell’aria non si ritrovano mai come composti singoli, ma all’interno di miscele dove sono presenti molte decine di IPA diversi e in proporzioni che in alcuni casi possono anche variare di molto. Il fatto che l’esposizione avvenga ad una miscela di composti, di composizione non costante, rende difficile l’attribuzione delle conseguenze sulla salute alla presenza di uno specifico idrocarburo policiclico aromatico. Le proprietà tossicologiche variano in funzione della disposizione spaziale e del numero di anelli condensati. Il benzo[a]pirene (BaP) è quello maggiormente studiato e le informazioni sulla tossicità e l’abbondanza degli IPA sono spesso riferite a questo composto. È dimostrata l’azione cancerogena di tali sostanze.

Come ridurre l’esposizione agli Idrocarburi Policic lici Aromatici?

Utilizzare le seguenti buone norme di controllo e ispezione sulle sorgenti :

• Durante la cottura dei cibi è importante una adeguata ventilazione e l’uso delle cappe d’aspirazione. • Ispezionare annualmente tutte le apparecchiature di combustione.

La Tillandsia, per la sua particolarità di vivere senza terra traendo il suo nutrimento dal pulviscolo atmosferico e dall'umidità dell'aria. può essere usata per monitorare l' inquinamento, ma anche, in dosi massicce, per assorbire le polveri cariche di idrocarburi policiclici aromatici, Ha un'azione anche verso l' inquinamento elettromagnetico (PC, TV, in generale gli elettrodomestici.)

Normativa/Standard di riferimento internazionali

Non ci sono standard per le concentrazioni indoor.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), sulla base di studi epidemiologici effettuati sui lavoratori nelle industrie con forni a carbone, ha indicato che concentrazioni di benzo[a]pirene (utilizzato come indicatore) pari a 0.012-0.12 e 1.2 ng/m3 corrispondono ad una stima dell’eccesso di rischio per tumore rispettivamente di 1/1.000.000, 1/100.000 e 1/10.000 (“Air quality guidelines for Europe”, WHO, 2000).

Valori obiettivo relativi all’aria esterna sono stati fissati dalla normativa Europea:

La Dir. n. 2004/107/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio concernente l’arsenico, il cadmio, il mercurio, il nickel e gli idrocarburi policiclici aromatici nell’aria ambiente, si riferisce al benzo[a]pirene come marker per il rischio cancerogeno degli idrocarburi policiclici aromatici e indica per l’inquinante il valore obiettivo di 1 ng/m3, con una soglia di valutazione superiore di 0,6 ng/m3 e una di valutazione inferiore di 0,4 ng/m3. Il valore obiettivo, che si riferisce al tenore dell’inquinante all’interno della concentrazione media annuale di PM10, non deve essere superato a partire dal 31/12/2012.

Ozono

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L'ozono

L’ozono è un gas di colore azzurro pallido, velenoso, instabile e dall’odore pungente. È presente negli strati alti dell’atmosfera (stratosfera, a 15-60 km di altezza), ma anche, in piccole quantità, nell’aria che respiriamo (troposfera). Lo strato di ozono presente nella stratosfera ha un effetto protettivo dalle radiazioni ultraviolette del sole; quello presente nella troposfera, invece, contribuisce all’inquinamento dell’aria, è nocivo per l’uomo e per l’ambiente. L’ozono troposferico è generato da reazioni chimiche a partire dagli ossidi di azoto (NOx) e composti organici volatili (VOC), in presenza di radiazione solare. Ben si comprende come l’ozono sia un inquinante preoccupante soprattutto nei periodi estivi, in cui si presentano le condizioni favorevoli (forti insolazioni, scarsa ventilazione) alla formazione di ozono.

Le sue fonti

Negli ambienti indoor le fonti di ozono sono rappresentate da apparecchiature funzionanti ad alta tensione o per mezzo di raggi ultravioletti, come fotocopiatrici, stampanti laser o lampade ultraviolette ma anche da alcuni tipi di depuratori d’aria. In assenza di specifiche sorgenti interne e nelle normali condizioni di ventilazione degli edifici la principale sorgente di ozono indoor è costituita dall’aria esterna.

Effetti sulla salute

L’ozono, quale forte ossidante, ha effetti sull’uomo anche a concentrazioni minime e può provocare reazioni variabili da individuo ad individuo. Attacca i tessuti delle vie aeree, provoca disturbi alla respirazione, aggrava gli episodi di asma. A basse concentrazioni, la sensibilità all’ozono si manifesta con stanchezza, mal di testa, limitazione delle capacità respiratorie e, a concentrazioni più elevate, con tosse ed irritazioni delle mucose.

Come ridurre l'esposizione all’ozono?

Utilizzare le seguenti buone norme di controllo e ispezione sulle sorgenti :

• Utilizzare in modo razionale le apparecchiature responsabili della produzione di ozono evitando di posizionarle in spazi chiusi dove non è possibile effettuare ricambi d’aria.

• Ventilare adeguatamente gli spazi chiusi. L’ozono danneggia le piante limitandone la capacità di produrre e accumulare le proprie riserve, rendendole più sensibili a malattie, attacchi di insetti e altri inquinanti. Diverse piante evidenziano ( in particolare le piante da tabacco), in seguito ad esposizione prolungata ad ozono, danni fogliari più o meno rilevanti e possono perciò essere impiegate come utili indicatori biologici nel monitoraggio dei livelli di ozono troposferico. Queste piante risultano particolarmente utili laddove non sia possibile utilizzare centraline meccaniche per il monitoraggio dell’ozono. Si possono distinguere: - piante “sentinella” , geneticamente uniformi, di rapida crescita, generalmente erbacee e annuali - piante “rilevatore”, a crescita lenta e spontanea nella zona di studio, costituite generalmente da alberi e arbusti che rispondono più lentamente alla presenza di ozono con sintomi rilevabili solo nella tarda stagione di crescita

Kit di misura di germinelli di Nicotina Tabacum Particolare del danno subito dalle foglie in seguito ad esposizione prolungata all'ozono

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Normativa/Standard di riferimento internazionali

Valori di riferimento relativi all’aria esterna: • Il D.Lgs. n.183 del 21/5/2004, Attuazione della direttiva 2002/3/CE relativa all'ozono nell'aria, fissa

come valore bersaglio per la protezione della salute umana la media giornaliera su 8 ore pari a 120 µg/m3, da non superare per più di 25 giorni per anno come media su 3 anni, da raggiungere entro il 2010.

• L’OMS ha indicato il valore di 100 µg/m3 come media per esposizioni di 8 ore (“Air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide”, WHO, 2006).

• L’US. EPA National Ambient Air Quality Standards indica 0,08 ppm come limite della media di 8 ore e 0,12 ppm come limite orario.

Valore di riferimento relativo all’aria interna: • L’ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air-Conditioning Engineers, Inc.) ha

proposto i valori guida per ambienti interni pari a 100 µg/m3 come media annuale e 235 µg/m3 come media oraria.

Particolato Aerodisperso Particolato aerodisperso

Il particolato aerodisperso (PM, Particulate Matter) è costituito da un insieme di particelle molto piccole (liquide, solide e aerosol) presenti nell’atmosfera. Le particelle vengono classificate secondo il diametro aerodinamico: il PM10 include tutte le particelle di dimensioni molecolari fino a 10 micrometri di diametro e il PM2.5 comprende tutte le particelle “fini”, di diametro fino a 2.5 micrometri. Si parla di particolato “primario” quando le particelle sono emesse direttamente nell’atmosfera, provenendo da fonti come i veicoli, gli impianti industriali, i cantieri, le combustioni del legno. Le particelle “secondarie”, invece, hanno origine da processi di trasformazione chimica e di condensazione delle sostanze gassose primarie e sono costituite principalmente da solfati e nitrati, derivati dalle reazioni di SO2 e NOx con l’ammoniaca. La composizione chimica delle particelle è estremamente variabile e dipende dal luogo, dal periodo dell’anno e dal clima. In generale, il PM grossolano si compone in gran parte di particelle primarie ed il PM fine contiene soprattutto particelle secondarie.

Le fonti del particolato aerodisperso

Il particolato aerodisperso è di origine naturale ed antropica: quello di origine naturale proviene dalle sabbie, dalle polveri delle eruzioni vulcaniche, dall’erosione, dai pollini, dalle spore, ecc.; quello antropico proviene dalla combustione e dai processi industriali. Il particolato prodotto dalla combustione (qualsiasi tipo di combustione: i motori delle auto, le sigarette, le candele, il riscaldamento, i caminetti, ecc.) è prevalentemente al di sotto del micrometro e quindi di gran lunga, il più pericoloso Le principali sorgenti di particolato negli ambienti confinati sono tutti gli apparati di combustione e il fumo di tabacco, ma anche l’aria inquinata proveniente dall’esterno (specie se in prossimità di arterie ad elevato traffico). Altre sorgenti secondarie sono costituite dagli spray, dai fumi provenienti dalla cottura degli alimenti, da batteri e spore, da pollini, da secrezioni essiccate di animali domestici (saliva, feci, urina). Particelle più grossolane provengono essenzialmente dall’esterno (polveri, frammenti biologici, muffe) attraverso il trasporto umano, la deposizione e il successivo risollevamento.

Effetti sulla salute

Il particolato aerodisperso influisce sulla salute quando è inalato: il particolato fine può raggiungere le vie respiratorie più profonde fino ad arrivare agli alveoli polmonari e rilasciare elementi tossici che possono sciogliersi nel sangue. Ne consegue un effetto irritante per le vie respiratorie (asma, bronchite cronica, riduzione della funzione polmonare, ostruzione degli alveoli, ecc.), disturbi cardiaci e la possibilità di indurre alterazioni nel sistema immunitario, favorendo il manifestarsi di malattie croniche, ad esempio una maggior sensibilità agli agenti allergenici. L’effetto irritante è strettamente dipendente dalla composizione chimica del particolato.

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Come ridurre l’esposizione al particolato aerodispe rso?

Ci sono alcuni accorgimenti individuali che si possono fare per ridurre l’esposizione al particolato sospeso negli ambienti confinati:

• Evitare di fumare. • Dotare l’ambiente di un sistema di aspirazione verso l'esterno per i fumi di qualsiasi combustione. • Ispezionare periodicamente gli impianti di riscaldamento e di condizionamento. • Ridurre l’ingresso di particolato outdoor evitando di aerare i locali nelle ore di elevato traffico.

Normativa/Standard di riferimento internazionali

Valori di riferimento relativi all’aria esterna: • Il D.M. n. 60 del 02/04/02 ha stabilito diversi valori limite per il PM10 da raggiungere in 2 fasi.

Entro il 01/01/2005: - 50 µg/m3 come media delle 24 ore da non superare più di 35 volte l’anno; - 40 µg/m3 come media annuale. Entro il 01/01/2010: - 50 µg/m3 come media delle 24 ore da non superare più di 7 volte l'anno; - 20 µg/m3 come media annuale.

• L’US. EPA National Ambient Air Quality Standards indica come limiti per il PM10 il valore pari a 150 µg/m3 in un giorno; per il PM2.5 i valori 15,0 µg/m3 in un anno e 35 µg/m3 in un giorno.

• L’OMS ha indicato i seguenti valori guida (“Air quality guidelines for particulate matter, ozone, nitrogen dioxide and sulfur dioxide”, WHO, 2006):

- PM2.5: 10 µg/m3 come media annuale e 25 µg/m3 come media giornaliera; - PM10: 20 µg/m3 come media annuale e 50 µg/m3 come media giornaliera

Fumo di Tabacco Ambientale Fumo di tabacco ambientale

L'esposizione al fumo di tabacco ambientale (o fumo passivo) è riferita alla respirazione del fumo espirato da altre persone, prodotto durante la combustione di prodotti a base di tabacco. È costituito da una componente detta “mainstream” vale a dire dal fumo inalato ed espirato dal fumatore e dalla componente detta “sidestream” emessa dalla sigaretta. Il fumo di tabacco ambientale, abbreviato come ETS (Environmental Tobacco Smoke), è una combinazione di oltre 4000 sostanze chimiche sotto forma di particolato o di gas, in parte presenti come tali nel tabacco e entrati a far parte del fumo, in parte frutto delle modificazioni (pirolisi e pirosintesi) dovute alla temperatura prodotta dalla combustione del tabacco. Componenti del particolato sono la nicotina, il catrame, gli idrocarburi aromatici, il benzopirene, mentre il monossido di azoto, il monossido di carbonio, l'acido cianidrico, l'acetaldeide, la formaldeide sono contenuti nella parte gassosa. Molte delle sostanze contenute nel fumo sono tossiche, irritanti o cancerogene. Il fumo di tabacco ambientale rappresenta un vero agente d’inquinamento degli ambienti confinati.

Effetti sulla salute

Il fumo attivo è la principale causa prevedibile di morbosità e mortalità, in Italia come in tutto il mondo occidentale. Il fumo passivo è stato classificato dall’EPA (U.S. Evironmental Protection Agency) e dall’IARC (Agenzia Internazionale per la Ricerca sul cancro) come una delle cause che provoca cancro nei non fumatori. Inoltre provoca un aumento del rischio di malattie ischemiche e disturbi cardiovascolari tra gli adulti. È responsabile di una quota considerevole delle patologie respiratorie dell’infanzia, dall'otite, all'asma, alla broncopolmonite. Il fumo attivo delle donne in gravidanza, o l’esposizione a fumo passivo, causa una significativa riduzione del peso alla nascita, è associato alle morti improvvise del neonato (SIDS, Sudden Infant Death Syndrome), ed ha gravi conseguenze per lo sviluppo della funzione respiratoria dei bambini.

Come ridurre l’esposizione?

• Evitare di fumare negli ambienti confinati. • Aerare e ventilare adeguatamente, anche se non è sufficiente a ridurre i rischi.

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• Non fumare in presenza di bambini e donne in gravidanza. • Non fumare all'interno degli autoveicoli, specialmente se sono presenti bambini.

Normativa/Standard di riferimento internazionale

Non ci sono restrizioni per il fumo in casa, mentre per i luoghi pubblici e i posti di lavoro esistono le seguenti leggi:

• Decreto-legge 9 novembre 2004, n. 266. • Legge n.3 del 16/01/03, art.51, Tutela della salute dei non fumatori, in vigore dal 10/01/2005: Divieto

di fumare nei locali chiusi ad eccezione di quelli privati non aperti ad utenti o al pubblico, e quelli riservati ai fumatori e come tali contrassegnati.

• Legge n. 448 del 2001 • Dir.P.C.M. del 14/12/1995, Divieto di fumo in determinati locali della pubblica amministrazione o dei

gestori di servizi pubblici. • Legge n.584 dell’11/11/1975, Divieto di fumare in determinati locali e su mezzi di trasporto pubblico.

Pesticidi Pesticidi

Un pesticida è una qualunque sostanza utilizzata per prevenire, allontanare o uccidere un insetto, fungo, roditore, erbaccia, ecc. I pesticidi comprendono un gruppo vasto e diversificato di sostanze che possono essere classificate in numerose categorie a seconda dell’azione esplicata: si distinguono, ad esempio, gli insetticidi, i fungicidi, gli erbicidi, i ratticidi, i larvicidi, i repellenti, i disinfettanti. I pesticidi possono essere semplici sostanze inorganiche come zolfo, cloro, arsina, arsenicato di rame, bromuro di potassio, oppure composti organometallici, o composti organici volatili (VOC) come il tetracloruro di carbonio, il bromuro di metile, il naftalene, o composti organici semivolatili (SVOC) come pentaclorofenolo, diazinone, o, infine composti organici non volatili (NVOC). I pesticidi più comuni sono rappresentati soprattutto dai composti organici semivolatili (SVOC) e dai composti organici non volatili (NVOC).

Le principali fonti dei pesticidi

Il numero di pesticidi sul mercato è elevatissimo. Circa il 95% dei pesticidi è utilizzato in agricoltura, tuttavia una della maggiori vie di esposizione è l'ambiente indoor. Mentre l'utilizzo in agricoltura è strettamente regolato, negli ambienti indoor non vi è nessun tipo di regolamentazione. Inoltre tali sostanze vengono utilizzate in molti prodotti di uso domestico, ad esempio per preservare il legno, per la protezione delle piante da appartamento, in cucina, nei prodotti per la pulizia e per la disinfezione. Una fonte outdoor può essere costituita dai prodotti per giardino contenenti pesticidi che, penetrando dall’esterno, si accumulano sulla polvere che può essere risospesa in aria.

Effetti sulla salute

La pericolosità dei pesticidi dipende in gran parte dal non corretto utilizzo dei prodotti che li contengono. I pesticidi attualmente sul mercato includono una grande varietà di sostanze, che differiscono oltre che per il principio attivo, per tipo d’azione, per assorbimento nell'organismo, per meccanismo di trasformazione biologica e per modo di rilascio. Per questo motivo gli effetti sanitari sono molto diversi. Possono includere mal di testa, vertigini, contrazioni ai muscoli, debolezza, formicolio, nausea, irritazione agli occhi, al naso e alla gola; esposizioni croniche possono causare danni al sistema nervoso centrale, al fegato e ai reni. Determinati pesticidi sono stati classificati come probabili o possibili cancerogeni.

Come ridurre l'esposizione ai pesticidi?

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Utilizzare le seguenti Buone norme di controllo e ispezione per un corretto utilizzo dei pesticidi seguendo accuratamente le istruzioni dei produttori; applicando la giusta quantità; incrementando la ventilazione durante e dopo l’uso; utilizzo di sistemi alternativi, quando possibile.

Per ridurre l'esposizione ai pesticidi negli ambienti indoor è importante seguire alcune precauzioni:

• Leggere attentamente le istruzioni riportate in etichetta e seguire le indicazioni. • Applicare le giuste quantità. • Possibilmente utilizzare metodi alternativi non chimici. • Ventilare durante e dopo l’uso dei pesticidi, se utilizzati negli ambienti chiusi, o come per il caso delle

piante, applicarli all’esterno. • Per casi gravi rivolgersi a disinfestatori professionali. • Non conservare i prodotti negli ambienti indoor e soprattutto disporli in modo da evitare esposizioni

accidentali (specie per i bambini). • Conservare indumenti utilizzati durante l'uso dei pesticidi in ambienti esterni. • Ridurre l’uso dei prodotti contenenti pesticidi, ad esempio lavando frequentemente gli animali

domestici e le foglie delle piante d’appartamento

Normativa/Standard di riferimento internazionale

Mentre l’utilizzo in agricoltura è strettamente regolato, negli ambienti indoor non vi è nessun tipo di regolamentazione

PRODOTTI BIOLOGICI E INQUINAMENTO INTERNO rischio da agenti biologici negli impianti aeraulici Molti agenti biologici inquinano, infatti, l‘aria dell‘ambiente indoor: si tratta di microrganismi come i funghi e le muffe, i batteri (Legionella Pneumophila e altri gram-negativi), gli acari della polvere, allergeni stagionali come i pollini ed allergeni provenienti dagli animali domestici (es. forfora e peli). I biocontaminanti prodotti dagli animali domestici sono facilmente trasportabili dalle persone (tramite gli indumenti), pertanto si diffondono anche in ambienti in cui solitamente non sono presenti animali. Le principali fonti di inquinamento da agenti biologici degli edifici sono identificabili nella polvere di tappeti, poltrone, moquettes, negli impianti idrici, nei sistemi di raffreddamento e di umidificazione degli impianti di condizionamento dell‘aria: diversi studi hanno evidenziato che gli umidificatori di impianti centralizzati sono idonei terreni di coltura per batteri termofili e termoresistenti e serbatoi di endotossine batteriche. Il principale fattore ambientale che favorisce la crescita di microrganismi negli ambienti indoor è l‘elevata umidità dell‘aria e delle murature: la contaminazione ambientale è inoltre fortemente condizionata dalle condizioni igienico-edilizie dei locali, dal livello di affollamento dei locali e dal grado di manutenzione degli impianti di climatizzazione. La crescita microbiologica può avvenire anche nei materiali da costruzione ed è favorita dalla presenza di residui di cibo e di acqua. Le fonti di cibo negli edifici includono depositi di materiale organico (particelle esterne ed interne di materiale organico, forfora, prodotti da combustione), materiali da costruzione (specialmente quelli composti da carboidrati digeribili, come i materiali naturali), pannelli, tappezzerie, colle, prodotti di legno, moquette, tessuti , plastiche, resine e altri leganti. Le malattie batteriche e allergiche derivanti dall‘esposizione a contaminanti biologici indoor sono costituite essenzialmente da:

-infezione da legionella; -micosi; -asma bronchiale e oculoriniti da acari; -polmonite da ipersensibilità;

-sindromi irritative cutanee, oculari e mucose. L‘infezione da Legionella pneumophila -batterio isolato negli impianti di condizionamento e in umidificazione è stata ritenuta responsabile di casi isolati o epidemie di affezioni respiratorie nei soggetti che lavoravano o risiedevano in moderni edifici (uffici / ospedali / alberghi). Il microrganismo veicolato dalle particelle d’acqua viene disperso negli ambienti chiusi ove può essere facilmente inalato poiché può sopravvivere negli aerosol anche per più di due ore . le Legionelle [sono piccoli bacilli ( negativi / aerobi / non capsulati / asporigeni) in grado di resistere a lungo nell’ambiente soprattutto in presenza di umidità ] sono relativamente resistenti ai procedimenti di clorazione dell’acqua per cui possono passare sia pure in piccolo numero anche nei sistemi di distribuzione domestica dell’acqua potabile; si moltiplicano soltanto quando si trovano in serbatoi chiusi e qui trovano le sostanze nutritive e soprattutto la temperatura favorevole Per la sua sopravvivenza la legionella si nutre di scorie, ioni di ferro e calcare, microrganismi. La legionella

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risulta essere ampiamente diffusa in natura in ambienti ove e' presente acqua (laghi, stagni specie nella stagione estiva, fiumi, falde, sorgenti termali, terreni fangosi e luoghi umidi in genere). Nei luoghi antropizzati essa puo' essere potenzialmente presente nelle docce, nelle piscine, negli umidificatori, nei nebulizzatori ed in alcuni impianti tecnologici come, appunto, le torri evaporative, i condensatori evaporativi, i sistemi di condizionamento,fan coils, le condutture idrauliche apparecchiature medicali alimentate con acqua (es.gorgogliatori di ossigeno), ossia in tutti quei luoghi ove vi e' presenza di gocce d’acqua in forma microscopica con diametro dell’ordine dei micron. Da quanto detto, appare chiaro che questo batterio puo' essere potenzialmente presente in tutti quegli impianti ove vi e' la presenza di acqua moderatamente calda in forma nebulizzata Il batterio della Legionella mostra una proliferazione trascurabile al di sotto dei 20°, ha una prolif erazione massima a temperature di 35-40°, mentre resiste sol o qualche minuto a temperature superiori a 60-70°. Va però evidenziato che i batteri residui possono sopravvivere se riescono a penetrare nel bio-film (una concentrazione di micro organismi che si raggruppano sulla superficie di un materiale) dove assumono una resistenza più accentuata ai trattamenti di disinfezione. Pertanto la presenza del bio-film nell'impianto può svolgere un ruolo importante come ambiente di rifugio e di favore per i batteri Ingrandimento del Le malattie di natura allergica (asma e rinocongiuntivite) derivano dall‘esposizione batterio della legionella agli acari della polvere, ma anche agli allergeni degli animali domestici e ai miceti

Aspergillus, Cladosporium, Penicillium). L‘Aspergillus, può essere ritrovato nei filtri dei sistemi di condizionamento dove, detriti di vegetali, insetti e prodotti del metabolismo possono costituire un idoneo substrato di crescita. TRASMISSIONE DELL’INFEZIONE � non esistono serbatoi umani o animali di Legionelle � non è stata documentata la trasmissione del microrganismo mediante i contatti interumani anche se le esperienze cliniche sono ancora limitate PROFILASSI � allo stato attuale non esistono sieri o vaccini

SMOG FOTOCHIMICO Lo smog fotochimico è un particolare inquinamento dell’aria che si produce nelle giornate caratterizzate da condizioni meteorologiche di stabilità e di forte insolazione. Gli ossidi di azoto (NOx) e i composti organici volatili (VOC), emessi nell’atmosfera da molti processi naturali od antropogenici, vanno incontro ad un complesso sistema di reazioni fotochimiche indotte dalla luce ultravioletta presente nei raggi del sole; il tutto porta alla formazione di ozono (O3), perossiacetil nitrato (PAN), perossibenzoil nitrato (PBN), aldeidi e centinaia di altre sostanze. Tali inquinanti secondari vengono indicati col nome collettivo di smog fotochimico perché sono generati da reazioni chimiche catalizzate dalla luce e costituiscono la componente principale dello smog che affligge molte città ed aree industrializzate. Questo particolare smog si può facilmente individuare per il suo caratteristico colore che va dal giallo-arancio al marroncino, colorazione dovuta alla presenza nell’aria di grandi quantità di biossido di azoto. I composti che costituiscono lo smog fotochimico sono sostanze tossiche per gli esseri um ani, per gli animali ed anche per i vegetali, inoltre sono in grado di degradare molti materiali diversi per il loro forte potere ossidante.

Sullo sfondo è ben visibile la cappa

di smog fotochimico dal caratteristico colore dovuto alla

presenza del biossido di azoto. La foto è stata scattata a Seattle

(USA).

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Da notare che il termine smog deriva dall’unione di due parole inglesi: smoke (cioè fumo) e fog (nebbia). Inizialmente questa parola faceva riferimento esclusivo ad un tipo di inquinamento particolarmente diffuso nel passato: lo smog industriale , detto anche smog classico. Questo smog, di colore grigio-nerastro, era frequente nelle ore prossime all'alba, in condizioni di bassa insolazione, bassa velocità del vento e temperatura prossima a 0°C; quindi era più comune n ella stagione autunnale ed invernale. Veniva prodotto quando il fumo ed il biossido di zolfo liberati nel corso della combustione del carbone si combinavano con la nebbia ed era talmente tossico da provocare decine di migliaia di morti ogni anno. A partire dagli anni ’50, l’utilizzo di altri combustibili fossili e di altre fonti energetiche, come la nucleare o l’idroelettrica, ha ridotto di molto la frequenza e la gravità dei fenomeni di smog industriale. In ogni caso l’impiego dei vari combustibili fossili costituisce ancora un pericolo per la salute dell’uomo e per l’integrità dell’ambiente a causa della possibilità che si instauri il fenomeno dello smog fotochimico, la forma d’inquinamento più diffusa nelle grandi città del pianeta. SICK BUILDING SINDROME e D.V.R. Si definisce così una sindrome che colpisce la maggior parte degli occupanti di un edificio , risolvendosi quando ci si allontana da esso e che si manifesta con sintomi aspecifici , in cui predomina l‘irritazione sensoriale, ma ripetitivi come irritazione oculare, nasale e delle prime vie aeree,irritazione cutanea, disturbi nervosi, iperrreattività aspecifica e disturbi dell‘ olfatto e del gusto, non riconducibili ad un agente eziologico specifico. Tra i principali fattori ambientali che sono stati chiamati in causa troviamo l‘inadeguata ventilazione, inquinanti emessi all‘interno dell‘ edificio (in Particolare i VOC), contaminanti eterni, contaminanti biologici e microclima inadeguato. Lo studio e la risoluzione dei problemi della qualità dell‘aria indoor sono condotti in modo da affrontare in maniera schematica e sequenziale le fasi necessarie a questo tipo di indagini così da non richiedere costi eccessivi e da non affrontare eccessive difficoltà organizzative.

Schematicamente il metodo può essere diviso in quat tro fasi : o -acquisizione di dati sull‘ edificio o -rilievo della situazione in loco o -indagine strumentale ambientale -approfondimenti s pecialistici mirati (qualora dalla

indagine risultassero necessar i). Ove, al termine di questa valutazione , risultasse necessario bonificare si dovrà progettare , realizzare e controllare l‘efficacia di tali bonifiche .

A questo punto analizziamo i singoli passaggi che sono stati esposti. La prima fase , l‘acquisizione dei dati sull‘edificio, prevede la conoscenza della sua ubicazione, la suddivisione e la destinazione d‘uso degli ambienti e le caratteristiche costruttive. Quindi si devono inventariare tutte le potenziali sorgenti di inquinamento da attività esterne ed interne, quelle che hanno origine dagli arredi e dai materiali di costruzione e quelle provenienti da apparecchiature o congegni meccanici di corrente utilizzo . Ê assolutamente necessario conoscere le caratteristiche costruttive dell‘impianto di termoventilazione, la sua portata d‘aria, la rete di distribuzione e il ricircolo dell‘ aria trattata. Infine bisogna raccogliere informazioni sugli interventi di manutenzione sia ordinaria che straordinaria oltre che sugli interventi di pulizia.

Nella seconda fase di lavoro viene effettuato il rilievo della situazione in loco: durante il sopralluogo vengono verificati i dati acquisiti precedentemente ed in particolare le caratteristiche degli impianti,delle attrezzature di lavoro , degli arredi e della struttura dell‘ edificio. Contemporaneamente si somministra alla popolazione lavorativa mentre viene censita , un questionario finalizzato a rilevare il livello di confort ed eventuali sintomi avvertiti. Durante la terza fase vanno effettuate le indagini strumentali rivolte alla valutazione quali-quantitativa del microclima e dell‘inquinamento dell‘aria .Và effettuato il rilievo sistematico di :

-CO2, indicatore indiretto di ventilazione e di affollamento -CO ,indice delle emissioni da sorgenti di combustione -Particolato, indice di inquinamento particellare e di efficienza dei sistemi di

filtrazione dell‘ aria (se presenti) -TVOC,( Il totale dei VOC) indice del carico globale dei composti organici -Formaldeide, indicatore di rilascio da arredi e rivestimenti

Vanno valutati infine anche il microclima ed il CFU/m3 per i microrganismi.( misura dei microrganismi aerodispersi) Come valutazione opzionale vanno valutate le fibre minerali,la radioattività e la diluizione dei gas traccianti (ricambio dell‘aria ).

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La quarta fase si attua se le misurazioni evidenziano inquinamento di qualche classe di agenti di grado elevato. Consistono fondamentalmente nella tipizzazione specialistica degli inquinanti e nella stima dei tempi di esposizione dei soggetti che lavorano in quella sede. La bonifica è rappresentata da interventi atti a eliminare o contenere le sorgenti di emissione degli inquinanti e sulla ottimizzazione della funzionalità del sistema di termoventilazione. In particolare per i prodotti di combustione si tratta di sigillare ,pressurizzare o ventilare in maniera adeguata i locali in prossimità di autorimesse e zone di intenso traffico veicolare e di eliminare le emissioni da sorgenti Per i VOC si cerca di eliminare le sorgenti anche cambiando gli arredi o , per quanto possibile, i materiali di costruzione e rivestimento, o di ridurne la concentrazione incrementando la ventilazione,o collocando in appositi locali ben ventilati o lontani dalle persone apparecchiature quali fotocopiatrici e stampanti laser.

Circa la sorveglianza sanitaria, per non incorrere in indagini inutili e costose, in funzione dei risultati dell‘ indagine ambientale ci si può avvalere di :

- somministrazione di un questionario per la valutazione soggettiva dello stato di confort (esempio in pagina successiva) - rilievo delle cause di assenza dal lavoro per malattia. In particolare vanno ricercati “ fenomeni -sentinella“ caratteristici di alterazioni della qualità dell‘ aria indoor ,ovvero infiammazioni ed irritazioni delle mucose oculari e delle vie aeree,disturbi neurosensoriali, dermatiti da contatto , allergopatie cutanee e respiratorie, disturbi psicosomatici.

Visita medica preventiva e periodica (ogni due-tre anni )con approfondimenti clinici ed anche monitoraggio biologico, ove possibile, mirati in funzione di quanto emerso dall‘indagine ambientale.

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IL CONCEPIMENTO DI UNA IDEA DI RISCHIO DEI BENI CUL TURALI Il concetto di conservazione di un patrimonio, vuoi culturale, paesaggistico, storico e artistico, presenta una dinamica sua propria: gli elementi che incidono su di esso sono in parte assimilabili a quelli che incidono ad es. sulla salute umana o sul degrado ambientale, in parte costituiscono una sfera del tutto particolare. Questa singolarità convinse, già vent’anni or sono, l’Istituto Centrale del Restauro del Ministero dei Beni Culturali che, per affrontare con un approccio razionale il problema della conservazione del patrimonio storico nazionale nel suo complesso, occorresse concepire e realizzare uno strumento apposito. Nacque cosi il Piano per la Conservazione programmata dei Beni Culturali in Umbria del 1975, il primo esperimento di valutazione globale dei fattori di degrado esteso a un intero territorio, a cui avrebbe fatto seguito, oltre dieci anni dopo, un piano intitolato “Per una Carta del Rischio del patrimonio culturale”, nell’ambito di Memorabilia (1987). Sull’onda di ciò, e anche di esperienze come il terremoto del 1980, venne decisa la realizzazione di una struttura, su progetto dell’Istituto Centrale del Restauro, in grado di gestire informazioni interessanti l’intero territorio nazionale. Nel 1993 l’Istituto Centrale del Restauro (I.C.R.) del Ministero dei Beni Culturali affidò ad un gruppo di studiosi la definizione e la costituzione di schede diagnostiche e rilevamento scientifico delle condizioni di Rischio, Vulnerabilità e Pericolosità del Patrimonio Culturale. L’idea base fu, quindi, quella di prevedere in anticipo la dinamica del degrado, consentendo agli operatori di intervenire con precise attività programmate sia in termini di tempo (definendo, cioè, i tempi massimi entro cui intervenire in base al grado di urgenza rilevato), sia in termini finanziari (riuscendo così a stanziare i fondi necessari in tempo utile). L’importanza dell’impostazione preventiva è sottolineata dal fatto che da essa dipende la trasmissione al futuro dell’opera, evitando che l’edificio storico raggiunga situazioni limite tale da comprometterne irrimediabilmente l’esistenza, anche solo parziale, di quell’antica testimonianza. La Carta del Rischio, quindi, si fonda sulla necessità di operare un’azione diretta ad impedire il verificarsi o il diffondersi di fenomeni di degrado, creando una base ottimale di lavoro che individui le metodologie più efficaci per la programmazione degli interventi conservativi. La Carta del Rischio del Patrimonio Culturale, altresì, è un documento che si propone di scandagliare i rapporti tra i beni, tra essi e il loro stato di conservazione, tra essi e l’ambiente, evidenziando, in ultima analisi, le forme di degrado che rappresentato maggiormente un rischio per il patrimonio. Così, tramite la Legge nazionale n° 84 del 1990, si stabilisce l’elaborazione da parte dell’Istituto Centrale del Restauro della Carta, definita “conoscitiva e aggiornabile”, dell’attuale grado di rischio al quale sono sottoposti i beni culturali italiani, affidando ad alcuni studiosi un progetto di analisi quanto più approfondita ed estesa possibile dei fattori di degrado che agiscono sul patrimonio. L’Italia è il paese che possiede il maggior numero di beni culturali al mondo; 3.000 anni di storia, imperi, invasioni, periodi di grande ricchezza e di sensibilità artistica hanno fatto sì che il nostro paese divenisse un centro di ampia produzione di patrimonio artistico:

- 2.000 siti archeologici; - 20.000 centri storici; - 40.000 rocche e castelli;

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- 95.000 chiese; - 1.500 conventi; - 30.000 dimore storiche; - 4.000 giardini; - migliaia di biblioteche ( di cui più di 3.000 ecclesiastiche); - 30.000 archivi; - 3.500 musei e gallerie.

Il nostro patrimonio culturale non è stato ancora interamente catalogato data la grande quantità presente sul territorio nazionale, ma è stato stimato dall’UNESCO che esso rappresenti il 40% del patrimonio artistico mondiale.

Le cause che comportano un rischio per tale patrimonio si distinguono in:

- cause naturali terremoti, frane, inondazioni, vulcani-eruzioni, inquinamento;

- cause antropiche furti, atti di vandalismo, incuria, errata politica di gestione.

Si ricorda che l’Italia ha un totale di 8102 comuni di cui circa 2957 sono a rischio sismico ovvero il 45% del territorio e il 40% della popolazione. Negli ultimi anni, 57 comuni su 100 hanno subito disastri come frane, alluvioni e terremoti.

In conclusione, si mostrano in fig. 1 l’intensa distribuzione di siti di interesse artistico tutelati in Italia dall’UNESCO e, in fig. 1 i principali eventi disastrosi su opere d’arte italiane verificatisi negli anni ’90 L’ambiente, inteso sia nei suoi aspetti puramente naturalistici, sia come paesaggio, sito storico o archeologico, è interessato da fenomeni più o meno accentuati di degrado per alterazione chimica, fisica e biologica Alcune di queste alterazioni sono connaturate ad esso ed alla sua costituzione, altre invece derivano da circostanze esogene, cioè da fenomeni di inquinamento antropico. In generale l’inquinamento si manifesta ogni volta che un elemento esterno si inserisce in un certo ambiente chimico o fisico, variandone lo stato primitivo. I fenomeni di inquinamento naturale hanno quasi sempre una durata temporanea per la capacità insita nella natura di attivare meccanismi di compensazione e riequilibrio cosa che accade in misura più limitata nel caso dell’inquinamento antropico che, agendo sull’ambiente in maniera continuativa e in modo massivo, non consente allo stesso di recuperare i suoi equilibri. Se le attività antropiche sono causa di inquinamento irreversibile, riguardo all’origine si sono create due correnti di opinione: secondo la prima l’inquinamento irreversibile deriverebbe dalle pressioni esercitate sulle risorse naturali a causa dell’aumento della popolazione e dei consumi; secondo l’altra sarebbe legata all’impiego di tecnologie ecologicamente dannose Gli effetti provocati dall’inquinamento producono delle situazioni di degrado non più circoscrivibili territorialmente come: le piogge acide, l’inquinamento idrico, l’effetto serra, il buco nell’ozono, ecc..., che coinvolgono vaste aree del globo e hanno la prerogativa di presentare una caratteristica comune: la rapidità dei cambiamenti della composizione dell’ambiente in rapporto ai tempi lunghi che sono stati necessari per il raggiungimento degli equilibri, pressoché stabili, sin da quando l’uomo ha fatto la sua comparsa sul pianeta.

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Crollo della Cattedrale di Noto

Incendio in alcune stanzedella Reggia di Caserta

Incendio del Teatro“Petruzzelli” di Bari

Incendio del Teatro “LaFenice”di Venezia

Crollo delle Mura Civiche di ViterboAtti vandalici sui dipinti delle chiese diS.Maria della Verità e di S. Giovanni in

Zoccoli di Viterbo

Crollo della volta dellaBasilica Superiore di S.Francesco ad Assisi

Attentato all’Accademiadei Georgofili a Firenze

Incendio nella cupola delGuarini e ad un’ala delPalazzo Reale di Torino

Atti vandalici sulla statua del David diMichelangelo a Firenze e sulla fontanadel Nettuno in Piazza della Signoria

Atti vandalici sulla statua dellaPietà di Michelangelo in Vaticano

e sulla fontana del Bernini inPiazza Navona a Roma

• •

••

• •

•Cede la cupola del

Santuario della Madonnadegli Angeli di Cuneo

•Si scoperchia la cupola del

Duomo di Pavia

Fig. 1. Principali eventi disastrosi su opere d’arte italiane verificatisi negli anni ’90

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CAPITOLO 2

LE CAUSE DI DEGRADO PER L’AMBIENTE E DEI BENI CULTU RALI 2.2. Le principali fonti di inquinamento L’immissione nell’ambiente di sostanze inquinanti è dovuta a sorgenti naturali (vulcani, incendi boschivi, ecc...) o ad attività umane. L’inquinamento di origine antropica è campo di studio e ricerca in tutti i paesi per la sua preminente importanza. Tra le sorgenti emissive di origine antropica vanno essenzialmente considerate quelle derivanti dai trasporti, dalla produzione di energia elettrica e termica, dalle attività artigianali e domestiche, dai processi industriali. La tab. 5 riporta una schematizzazione di massima delle principali fonti di inquinamento e dei relativi comparti ambientali interessati. RICETTORE

NATURALE PRINCIPALI FONTI D’INQUINAMENTO

ARIA URBANO: traffico veicolare, riscaldamento domestico, inceneritori RSU, aeroporti, porti

AGRICOLO: traffico motorizzato, utilizzo di fitofarmaci INDUSTRIALE: lavorazioni industriali in genere, combustioni in genere,

centrali termoelettriche ACQUA URBANO: scarichi civili AGRICOLO: scarichi di allevamento, fitofarmaci, concimi INDUSTRIALE: scarichi chimici, sversamenti SUOLO URBANO: rifiuti solidi di origine urbana AGRICOLO: rifiuti delle lavorazioni agricole, fitofarmaci INDUSTRIALE: rifiuti derivati da impianti produttivi La produzione da parte dell’uomo di energia, materie prime, semilavorati e prodotti finiti, ha sempre comportato una serie di operazioni che utilizzano materiali ed energie sotto varia forma: minerali, acqua, carburanti, combustibili, energia elettrica e termica, ecc... Queste attività comportano la produzione contemporanea di prodotti non utilizzabili (acque reflue, emissioni atmosferiche, rifiuti) destinati quindi ad essere abbandonati A tali emissioni di inquinanti dovute alla normale attività devono essere sommate quelle dovute ad eventi accidentali ed imprevisti (incidenti). Fra le varie forme di inquinamento, quello che più propriamente coinvolge i beni culturali è l’inquinamento atmosferico.

La legislazione italiana, avendo recepito alcune Direttive CEE, ha così definito l’inquinamento atmosferico: «ogni modificazione della normale composizione o stato fisico dell’aria atmosferica, dovuta alla presenza nella stessa di una o più sostanze in quantità e con caratteristiche tali da alterare le normali condizioni ambientali e di salubrità dell’aria: da costituire pericolo ovvero pregiudizio diretto o indiretto per la salute dell’uomo; da compromettere le attività ricreative e gli altri usi legittimi dell’ambiente; da alterare le risorse biologiche e gli ecosistemi ed i beni materiali pubblici e privati» (DPMC 28-3-1983; DPR 203/1988 e seguenti).

Nelle aree definite “zone specifiche” che necessitano di “particolare tutela” può essere di grande utilità la redazione di “Carte di rischio ambientale” in grado di individuare aree a rischio che interessino complessi monumentali di elevato valore storico-artistico.

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2.3. Definizione degli inquinanti in relazione ai diversi comparti ambientali Nella definizione corrente si tende a dire “acqua pura”, “aria pulita”, ecc..., ma si deve tener presente che l’aria, l’acqua e il suolo contengono, anche in zone remote o “incontaminate”, un certo grado di “impurità” che non sempre sono dovute ad apporti antropici e che talvolta risultano indispensabili all’ecosistema. Premesso questo, un comparto ambientale può essere definito inquinato quando contiene quantità eccessive di una sostanza o già presente nella sua “normale” composizione o ad essa estranea: il problema è in genere relativo alla quantità e non alla qualità della sostanza. A tale proposito risulta necessario definire quale sia il livello “naturale” o “non significativo” della concentrazione di inquinanti in un dato comparto ambientale; in genere tali livelli rientrano in intervalli molto ampi e risultano molto diversi a seconda delle zone geografiche. Il livello quantitativo oltre il quale si può ritenere un comparto “inquinato” non è univoco, ma dipende dall’uso cui destinare la risorsa stessa. Ad esempio, nel caso dell’acqua, l’utilizzo può essere: per alimentazione, per balneazione, agricolo, industriale, farmaceutico, ecc... Per ognuno di questi casi si possono avere standard di “accettabilità” e quindi di “inquinamento” diversi. 1 ) Aria L'atmosfera della terra può essere divisa in molteplici strati. Il criterio solitamente usato per effettuare questa classificazione è basato sulla temperatura La zona più bassa è chiamato troposfera e qui la temperatura diminuisce con la quota con una regola di 5.5° C ogni 1000 metri. Questa zona si estende fino a circa 16 km nelle regioni tropicali (con temperature di circa -79° C) e fino a circa 9.7 km a latitudini temperate (con temperature di circa -51° C). Nella troposfera l'atmosfera è relativamente densa ed è principalmente composta da azoto ed ossigeno molecolari con piccole quantità di anidride carbonica e vapor d'acqua. Nella troposfera possiamo trovare l'acqua in tutti e tre i stati della materia, ossia allo stato solido, sotto forma di cristalli di ghiaccio, allo stato liquido, sotto forma di gocce d'acqua ed infine allo stato gassoso, sotto forma di vapore acqueo. E' in questa regione che si manifestano la maggior parte delle nuvole e tutti i fenomeni atmosferici. La parte di atmosfera maggiormente interessata ai fenomeni di inquinamento è costituita dallo “strato-limite”, definito come quella parte della troposfera che è direttamente influenzata dalla presenza della superficie terrestre.

Le principali interazioni si possono individuare in tutti i fenomeni di modificazione introdotti dal suolo sullo strato sovrastante e dovuti essenzialmente ad attrito, ad evaporazione e, ormai per

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diverse aree del pianeta, alle emissioni di inquinanti atmosferici. Tale strato limite può stimarsi nell’ordine di 1-2 chilometri, mentre la parte superiore della troposfera, detta “atmosfera libera”, arriva ad una quota di circa 10 chilometri. In detto strato limite si ha la presenza di fenomeni fisici che influenzano grandemente la diffusione degli inquinanti e la formazione di inquinanti secondari, es. nubi, nebbie, venti, ecc... L’atmosfera è costituita essenzialmente da:

- Azoto (PM 28), 78% in volume e 75% in massa - Ossigeno (PM 32), 21% in volume e 23% in massa. Nell’atmosfera sono presenti in piccola parte anche altri gas che complessivamente corrispondono a circa l’1%: essi hanno un ruolo importante per i vari fenomeni radioattivi, chimici e chimico-fisici che hanno sede nell’atmosfera stessa. Tali gas risultano presenti in concentrazioni variabili in relazione ad

equilibri dovuti alla quota, alla stagione, alla latitudine. Si riportano di seguito sinteticamente i principali componenti dell’aria: a) biossido di carbonio (CO2)

La sua presenza nell’atmosfera è dovuta in massima parte ad attività antropiche ed, in particolare, all’utilizzo di combustibili organici. Si reputa che attualmente l’incremento annuo di CO2 in atmosfera sia di circa 1 ppm; la concentrazione in atmosfera attualmente è di circa 350 ppm e la sua distribuzione si può considerare pressoché omogenea. Anche attività naturali quali emissioni

vulcaniche, fotosintesi, decadimento di materiale organico producono biossido di carbonio. L’aumento di CO2 contribuisce al cosiddetto “effetto serra”, diminuendo la trasparenza dell’aria all’infrarosso e producendo in tal modo un “intrappolamento” di energia termica nell’atmosfera terrestre; b) acqua allo stato vapore Risulta presente in quantità variabili; a seconda delle zone, la sua concentrazione nella troposfera è di centinaia-migliaia di ppm; ( Parti per milione ) c) ozono (O3) La sua concentrazione va da 5 ppm nella stratosfera a 0,05 ppm al livello del suolo; il valore dello “standard di qualità dell’aria” per l’ozono è di 200 µg/m3 come concentrazione media giornaliera da non superare più di una volta al mese. La sua provenienza è legata all’ossigeno a seguito di reazioni di fotodissociazioni e ossidazione; d) radicali liberi

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Si tratta di composti allo stato aeriforme a cui manca un elettrone che, per la loro natura chimica e la presenza di elettroni non scambiati, sono altamente reattivi e svolgono pertanto un ruolo essenziale nella produzione di inquinanti secondari mediante reazioni chimiche e fotochimiche; e) aerosol Risultano formati dalla dispersione in aria di piccole particelle di solidi o di liquidi, in genere con dimensioni <10 µm. Negli aerosol si possono avere fenomeni di nucleazione, di condensazione, di adsorbimento, di assorbimento. Anch’essi contribuiscono ai fenomeni di interferenza con la radiazione solare, mediante assorbimento e diffusione della stessa. Le emissioni inquinanti possono essere principalmente gas e aerosol. Va tuttavia ricordato che l’atmosfera non è un sistema inerte nel quale gli inquinanti subiscono solo processi fisici (diluizioni, cambiamenti di stato, aggregazioni, adsorbimenti *, ecc...), ma anche reazioni chimiche, alcune complesse (ossidazioni, formazione di radicali, ecc...), con produzione di inquinanti “secondari”. Un sempre maggiore inurbamento, associato ad un aumento costante della motorizzazione, ha ormai creato, per la quasi totalità dei centri urbani, situazioni di inquinamento atmosferico tali da destare grosse preoccupazioni per la tutela igienico-sanitaria delle popolazioni. Negli anni passati gli inquinanti su cui maggiormente era rivolta l’attenzione erano il biossido di zolfo (SO2) e le particelle sospese totali (PST) i quali, seppure fortemente significativi per alcuni aspetti relativi alle combustioni, appaiono ormai inadeguati come indicatori. Infatti, in questi anni, in particolar modo nelle aree ad alta urbanizzazione, si è riscontrato un incremento sostanziale nell’utilizzo di combustibili “puliti” o a basso tenore di zolfo e, nel contempo, un forte aumento della motorizzazione con una percentuale sempre maggiore di autoveicoli di tipo diesel. Il carico inquinante dovuto al traffico autoveicolare rappresenta ormai la componente maggiore nell’inquinamento di aree urbane. Va ricordato come le emissioni di fumi di combustione siano funzione sia del combustibile utilizzato che delle caratteristiche del motore e delle sue modalità di funzionamento. Gli inquinanti più significativi nei gas di scarico sono: CO, NOx, incombusti organici ed inorganici (emessi come aerosol, vapori, gas). Tra gli incombusti di estremo interesse ambientale risultano gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA), per i quali è stata accertata una considerevole attività tossica e cancerogena * Un adsorbente può essere definito come un solido che ha le proprietà di tener legate molecole alla sua superficie, particolarmente quando è poroso e finemente diviso. 2) Acqua Per quanto riguarda questo comparto ambientale, sarebbe più opportuno parlare di acque: infatti si possono avere diversi utilizzi di acqua e, parimenti, diverse possono essere le tipologie degli scarichi. Nel nostro caso, dovendo trattare gli aspetti relativi all’inquinamento, si esamineranno prevalentemente le acque di scarico o acque reflue a) REFLUI URBANI O CIVILI , con questo termine si intendono le acque provenienti dalle fogne urbane che possono, nel caso di piogge, essere diluite da acque meteoriche ed eventualmente da quelle provenienti da lavaggi delle superfici stradali. Nel caso di grandi aree urbane, si possono avere notevoli apporti dovuti ad attività artigiane quali: lavanderie, laboratori di carrozzeria, cromatura, laboratori fotografici, ecc... I reflui urbani si presentano come un liquido torbido di colore scuro con un odore caratteristico che col passare del tempo, a causa delle reazioni di decomposizione della sostanza organica, sviluppa gas di odore nauseabondo e assume un colore grigio-nero. Gli inquinanti presenti in tali reflui sono costituiti essenzialmente da:

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- sostanze sospese - sostanze sedimentabili - microrganismi. Le sostanze sospese sono costituite soprattutto da oli, grassi, idrocarburi che galleggiano sulla superficie dell’acqua ed anche da composti organici ed inorganici che tendono col tempo a sedimentare (colloidi). Le sostanze disciolte nell’acqua sono in genere di natura organica (sostanze proteiche, aminoacidi, detergenti, composti chimici, ecc...), inorganica (solfati, carbonati, cloruri, fosfati, ammoniaca, nitriti, nitrati, ecc...) ed anche gas disciolti prodotti dalle reazioni di degradazione aerobica o anaerobica (CO2, NH3, H2S, CH4). A proposito dei microrganismi dell’intestino umano e propri delle deiezioni, essi hanno una funzione importantissima nella demolizione di molecole complesse, poiché consentono di rendere disponibili gli elementi originali a successivi utilizzi; b) REFLUI INDUSTRIALI che derivano dai diversi processi tecnologici presenti in un complesso industriale. La presenza di inquinanti in tali reflui è legata all’impiego che si è fatto dell’acqua, al tipo di ciclo tecnologico ed alla qualità di sostanze trattate. Schematicamente si possono indicare i principali utilizzi: - veicolazione nel trasporto di sostanze - azione detergente - utilizzo come materia prima in reazioni chimiche o formazione di soluzioni - azione solvente - azione di trasporto di energia termica - azione di abbattimento di inquinanti (gas, vapori, aerosol). La classificazione degli scarichi può essere fatta in base alle caratteristiche quali-quantitative dello scarico e quindi in base alla: - presenza di sostanze tossiche - presenza di sostanze non biodegradabili - presenza di sostanze biodegradabili - presenza di sostanze in soluzione o sospensione; oppure in base alle caratteristiche delle industrie da cui si origina lo scarico, le quali possono essere: - metalmeccaniche - chimiche - petrolchimiche - petrolifere - alimentari - zootecniche - cartiere - grafiche e fotografiche - di materiali da costruzione - tessili - conciarie. Ogni tipologia presenta delle peculiarità che la rendono diversa dalle altre e che quindi richiedono un trattamento specifico. L’inquinamento idrico, indipendentemente dai meccanismi che lo producono, determina casi di contaminazione riconducibili sempre a tre schemi fondamentali: perdita di ossigeno, presenza di sostanze tossiche e nocive, variazione della temperatura del corso d’acqua che riceve i reflui inquinanti 3) Suolo

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Il suolo è sottoposto a notevoli immissioni di sostanze chimiche, organiche e inorganiche, a causa di attività agricole, industriali e di servizio (depuratori, discariche, spargimenti, ecc...). L’inquinamento del suolo può definirsi come: l’introduzione diretta o indiretta di sostanze, comuni od estranee al sistema suolo, che influenzano negativamente la produttività o, più in generale, che ne alterano le caratteristiche e gli equilibri fisici e biologici. La tabella seguente riporta una schematizzazione delle principali attività e sostanze che possono dar luogo all’inquinamento del suolo. Si evidenziano numerose sorgenti comuni con altri comparti; va tuttavia considerato che, in questo caso, l’agricoltura intensiva ha un ruolo essenziale nella contaminazione dei suoli e nelle conseguenze che ne derivano. L’uso non corretto e prolungato di concimi chimici, fitofarmaci e l’impiego irriguo di acque contaminate contribuiscono alla contaminazione del suolo.

ATTIVITÀ INQUINANTI

- nitrati - fosfati

Attività agricole (fertilizzanti, ammendanti, ( fertilizzanti di origine organica ) antiparassitari, prodotti per irrigazione, fitofarmaci)

- metalli pesanti

- pesticidi

- nitrati Spargimento di liquami, fanghi di depurazione - fosfati - metalli pesanti - percolati con metalli Discariche - percolati con metalli

- idrocarburi - metalli pesanti - sali - oli lubrificanti

Trasporti e combustioni (combustibili, lubrificanti, prodotti per manutenzione strade)

-IPA (Idrocarburi Policiclici Aromatici)

- oli lubrificanti Discariche clandestine - prodotti chimici tossici

2.4. Effetti degli inquinanti chimici per l’ambiente e per i beni culturali Nel caso delle azioni di natura chimica va considerato che gli inquinanti, siano essi primari che secondari, hanno la possibilità di interagire con i materiali a concentrazioni inferiori a quelle che in genere si considerano dannose per la salute umana e con tempi di esposizione estremamente lunghi. Questo comporta un effetto di aumento della velocità di decadimento dei materiali conseguente ad una amplificazione dei processi naturali di invecchiamento causati dagli agenti atmosferici. Difficile risulta definire, salvo casi in cui si abbiano serie storiche di misurazioni, il rapporto danno/tempo. Infatti, sebbene i materiali registrino la storia della loro esposizione agli inquinanti atmosferici, gli effetti di questi appaiono come sommatoria globale, anche se essi non sono lineari nel tempo Nello studio dei processi di degrado risulta essenziale la conoscenza dei parametri influenzanti gli effetti, la valutazione dei metodi appropriati per quali-quantificare gli effetti ed,

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infine, le azioni atte al contenimento del degrado. Diversi fattori, anche in sinergia tra loro, contribuiscono al degrado dei materiali: si possono identificare fattori chimici (quali reazioni fra i materiali e gli inquinanti atmosferici primari e secondari) e fattori chimico-fisici e fisici (azioni meccaniche, escursioni termiche, cambiamenti di stato dell’acqua, cristallizzazioni, ecc...). Anche negli ambienti interni (“indoor”) risultano presenti spesso quantità significative di inquinanti atmosferici; le concentrazioni risentono direttamente della situazione esterna ed anche degli apporti che possono venire da sorgenti interne (fonti di combustione, emissioni da materiali lignei, collanti e vernici, polvere, respirazione e traspirazione umana, ecc...). La emissione in atmosfera di inquinanti, sia di origine antropica che naturale, comporta che essi vengano rimossi nel tempo ricadendo al suolo tal quali o, più spesso, in qualità di inquinanti secondari. Tale rimozione avviene secondo due meccanismi principali: per via diretta (deposizione secca) o attraverso le precipitazioni atmosferiche (deposizione umida). In quest’ultimo caso possiamo avere la cattura degli inquinanti all’interno delle nubi (rainout) anche in aree lontane dal successivo deposito al suolo o per impatto e trasporto degli inquinanti da parte delle precipitazioni (washout). Il flusso di un inquinante al suolo e sui materiali, nel caso di deposizioni secche, espresso in unità di massa (g) di inquinanti per unità di superficie (cm2) e per unità di tempo (s), sarà proporzionale alla concentrazione dell’inquinante nell’atmosfera e alla sua velocità di deposizione. Venti e moti convettivi dell’aria operano un effetto di diluizione. La deposizione secca non solo è influenzata dalla tipologia della superficie, ma anche dai meccanismi di avvezione e dal clima. La causa delle deposizioni acide (secche e umide) è da ricercarsi nella formazione di acidi forti nella troposfera; l’atmosfera funge come un grande reattore ed è sede di numerose reazioni chimiche che vengono in parte catalizzate dalla luce solare. Queste reazioni trasformano continuamente le diverse specie chimiche presenti sottraendole, incrementandole o aggiungendone di nuove al sistema, creando così degli equilibri dinamici. Gli inquinanti di origine antropica, principalmente ossidi di zolfo e di azoto e idrocarburi, diventano quindi precursori di inquinanti secondari. La radiazione solare gioca un ruolo fondamentale poiché, mediante reazioni fotochimiche, consente la formazione di radicali liberi molto reattivi. Essi sono presenti in atmosfera in concentrazione di circa 10 ppt (parti per trilione) ed essendo specie chimiche con un elettrone non accoppiato, presentano una forte reattività, poiché tendono a fissare un secondo elettrone, agendo quindi da forti ossidanti. Ciò a differenza dell’ossigeno che, avendo un legame molecolare molto forte (120 kcal/mole), dà luogo a reazioni di ossidazione molto lente. Tra i radicali liberi più comuni nell’atmosfera vi sono: l’ossidrile (OH), l’idroperossile (HO2) e il nitrato (NO3). In particolare l’ossidrile ha origine dalla fotolisi dell’ozono, già presente nella troposfera in concentrazione di 10 - 100 ppb, secondo la reazione:

O3 + radiazione solare → O+O2

L’atomo di ossigeno reagisce velocemente e può dar luogo nuovamente ad ozono o, se la reazione avviene con acqua in fase vapore, a radicali ossidrili:

O + H2O → 2OH.

Altri radicali ossidrili si possono avere dalla fotolisi del perossido di idrogeno secondo la reazione:

H2O2 + radiazione solare →2OH. I radicali vengono quindi rimossi dall’atmosfera mediante reazioni di terminazione che danno luogo anche a specie ossidate o acide.

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Altra reazione fondamentale nel processo di acidificazione dell’atmosfera è la ossidazione del biossido di zolfo, che porta alla formazione di acido solforico.

CROSTE NERE Le pietre dei monumenti siti in climi umidi, dopo il tramonto, si raffreddano per irraggiamento più rapidamente dell'aria, per cui si verifica un flusso di calore e di aria inquinata, umida e calda verso la loro superficie esposta che, fungendo da parete fredda, inizia a condensare

acqua. In queste condizioni perciò quando arriva sul velo liquido la SO2 e il particellato ricco di catalizzatori utili per la sua ossidazione, si ha la formazione di acido solforico il quale reagisce immediatamente con il carbonato di calcio per dare gesso. Con l'irradiazione solare la soluzione salina così formata evapora, il gesso cristallizza e fa presa bloccando anche il particellato solido arrivato sulla superficie e dando così luogo alla formazione di una crosta nera. L’osservazione in sezione sottile di una crosta mostra una stratificazione che sta ad indicare un accrescimento progressivo del materiale aerodisperso deposto e via via cementato. Nella matrice gassosa sono inglobate particelle di varia natura quali particolato atmosferico responsabile della colorazione grigio nerastra, frammenti di calcite primaria. Uno strato di gesso si interpone e si approfondisce nella pietra in vario modo, soprattutto lungo le microfratture e i pori naturali.

Particolari situazioni locali possono favorire la formazione di biossido di zolfo, come ad esempio la presenza di smog (dovuta alla concomitanza di fumo, smoke, nebbia, fog). Il materiale particellare con la sua grande superficie specifica agisce come nucleo di adsorbimento verso l’umidità e la SO2; la presenza di metalli (in particolare ferro e manganese) catalizza ulteriormente la reazione di ossidazione.

LE AREE BIANCHE

L’analisi in sezione sottile di campioni di pietra carbonatica prevalenti da aree superficiali di monumenti che presentino un aspetto “sbiancato”, mostra che cause concomitanti quali geometria delle superfici e particolare esposizione al ruscellamento delle acque piovane, producono, la dissoluzione e la successiva rimozione del CaCO3 che costituisce la pietra. Nei periodi secchi, tra due precipitazioni successive, l’evaporazione dell’acqua presente sulla superficie provoca la ricristallizzazione di calcite secondaria in granuli meno coesi e dalle dimensioni più piccole di quelle di calcite primaria, maggiormente suscettibili all’azione dilavante dell’acqua di scorrimento meteorico.

Questo tipo di alterazione è caratteristicamente localizzato là dove il manufatto non presenta protezione agli agenti atmosferici ed è esposto maggiormente al dilavamento delle piogge. La pietra più mostrare un avanzato stato di erosione ed essere priva di calcite secondaria di ricristallizzazione, oppure presentare un sottile strato di calcite neogenetico in cui è possibile rilevare anche la presenza di gesso.

In questo particolare fenomeno alternativo ha un ruolo determinante l’azione dell’acqua piovana.

Questa è la ragione per cui le “aree bianche” risultano prive di depositi solidi di inquinanti. Bisogna comunque sottolineare la responsabilità delle deposizioni secche, che hanno un ruolo determinante

Esempi di degrado e di formazione di croste nere, sulle quali avviene la catalisi per l'ossidazione del diossido di zolfo

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nell’acidificazione della soluzione acquosa che bagna la superficie e che in tal modo contribuisce all’attivazione della reazione di dissoluzione dei carbonati. Il ruscellamento di acque meteoriche in condizioni di moto turbolento asporta gli strati più esterni della superficie del manufatto, lasciando esposti al fenomeno quelli sottostanti e in questo modo esercita sulla pietra una progressiva azione erosiva.

LE AREE GRIGIE

Una terza tipologia alterativa, che conferisce un aspetto grigiastro alle superfici che ne sono interessate e conosciute con il nome di “aree grigie” si può riconoscere in zone caratteristiche, come nicchie, porticati o sottosquadri, protette dall’azione di dilavamento della pioggia ruscellante e più in generale riparate dalle acque meteoriche. Qui si formano accumuli di particolato atmosferico di varia natura, di dimensioni e provenienza diversi, aggregati in modo incoerente e soprattutto senza alcuna coesione con la pietra sottostante che alle analisi in sezione sottile risulta inalterata.

In effetti, anche se le particelle presenti nei depositi hanno la stessa natura di quelle che costituiscono le croste nere, l’acqua che raggiunge queste zone, rappresentata da gocce sporadiche provenienti da spruzzi o trasportate dal vento, oppure l’acqua che può essere presente sottoforma di un velo di condensa formatosi in particolari situazioni di umidità, non è sufficiente ad innescare la reazione di solfatazione che da luogo alle croste nere.

Così gli accumuli che caratterizzano queste aree potrebbero apparire piuttosto come i precursori di un processo di trasformazione generatore di croste nere in cui però le condizioni non sono tali da consentire l’evoluzione completa.

2.5. Aspetti fisici del deterioramento ambiente e beni culturali Nel passato le cause fisiche di deterioramento non erano analizzate o tenute sotto controllo nella giusta misura e le tecniche allora utilizzate sono attualmente da considerare limitate e non sufficientemente affidabili Le cause fisiche di deterioramento dei materiali sono riconducibili a eventi: - meccanici; - termici; - termici accompagnati da trasferimenti di acqua; - connessi ad assorbimento di energia raggiante; - a carattere elettrico. I maggiori fenomeni di deterioramento dei beni culturali sono dunque da attribuire: - alle variazioni di temperatura e i trasferimenti di energia termica; - alle variazioni di stato dell’acqua e i suoi trasferimenti dai o nei materiali che costituiscono il

bene culturale. Nello studio delle cause fisiche di deterioramento si deve cioè fare, prima di tutto, riferimento a quelle che vengono dette le condizioni “termoigrometriche” inerenti sia l’ambiente che i beni considerati Gli eventi meccanici possono essere di tipo: - accidentale, quando, per la loro natura, non sono riferibili ad eventi inquadrabili in schemi

razionali e prevedibili. La possibilità di elevati affollamenti aumenta la probabilità di danni da azioni meccaniche accidentali (urti, asportazioni, manomissioni, ecc...);

- non accidentale, ma riconducibili a caratteristiche specifiche dell’ambiente: moti dell’aria (erosione eolica diretta o indiretta per attivazione di altri fenomeni fisici e chimici, esaltati da scambi di calore e di vapore acqueo), vibrazioni indotte (traffico stradale o ferroviario, passaggio di metropolitane, ecc…), dilatazioni e contrazioni (determinate da gradienti termici e scambi di vapore acqueo), cristallizzazione (da soluzioni sature).

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Gli eventi di carattere termico hanno come effetti: - il trasferimento del calore che può avvenire per: conduzione (trasmissione del calore da un

corpo “caldo” ad uno “freddo” o da un estremo ad un altro di un corpo per progressivi scambi di energia cinetica fra le molecole; i migliori conduttori di calore sono i metalli), convenzione (trasporto di energia termica da parte di un fluido in movimento, con velocità e direzione dipendenti da gradienti termici; un esempio sono convettivi dell’acqua in una pentola sul fuoco che si originano per risalita di acqua calda e discesa di quella che, una volta raggiunta la superficie, è raffreddata), irraggiamento (emissione di energia sotto forma di radiazione, caratteristica di ogni corpo “caldo”, cioè di ogni corpo che si trova ad una temperatura maggiore dello “zero assoluto”; l’effetto del calore sui materiali è quello di mettere le molecole in movimento e di aumentarne la temperatura);

- cambiamenti di fase accompagnati da trasferimento di acqua; - tensionamenti meccanici e si collegano a caratteri ambientali quali: - meteorologici e climatici; - presenza di sorgenti di calore e di umidità; - presenza di acqua nelle sue fasi liquida, solida e gassosa.

Il degrado dei materiali connesso a fenomeni di assorbimento di energia raggiante è dovuto nella maggior parte dei casi all’irraggiamento solare e alla luce artificiale (in particolare per effetto delle radiazioni ultraviolette).

Per quanto riguarda gli eventi a carattere elettrico, i manufatti metallici possono essere danneggiati da fenomeni di corrosione provocati da correnti disperse (centrali elettriche di trasformazione, linee tranviarie e ferroviarie, ecc…). Inoltre le scariche elettriche atmosferiche possono essere dannose per qualunque tipo di manufatto. E’ possibile affermare che le cause fisiche di deterioramento dei beni culturali possono essere considerate le più significative in quanto “causa delle cause”.

Tali cause possono essere determinate dalle seguenti grandezze termoigrometriche: - temperatura; - umidità relativa; - umidità specifica e assoluta; - punto di rugiada; - distanza dal punto di rugiada.

Di tali grandezze è possibile eseguire il rilevamento e controllare le variazioni. Esse determinano:

- le condizioni termiche e igrometriche dell’aria ambiente; - le condizioni termiche del bene culturale e il suo contenuto di acqua; - il manifestarsi di eventi e condizioni per scambi di energia e di vapore d’acqua. La misura dei loro gradienti e dei loro tassi di variabilità costituisce un prezioso e spesso insostituibile metodo di indagine La temperatura è una grandezza fisica che rappresenta lo stato termico di un corpo e la sua attitudine a scambiare calore con l’ambiente e con altri corpi. Spesso l’andamento della temperatura e dell’umidità relativa ambientale si evolve secondo cicli diurni e stagionali. I primi sono di gran lunga più pericolosi, perché avvengono con frequenza assai significativa per il degrado del bene culturale e perché hanno un periodo di evoluzione in genere troppo breve e rapido rispetto ai tempi caratteristici di riequilibrio del sistema. La conoscenza del microclima e delle sue interazioni con i beni culturali permette di valutare opportuni provvedimenti conservativi volti ad agire sulle cause e non semplicemente a tamponare gli effetti. Le modalità operative consistono nell’effettuare campagne di misura di durata significativa per ogni stagione, rilevando i parametri atti ad identificare gli scambi di calore e vapore tra oggetto e aria circostante. Si evidenziano in particolare: cicli termici giornalieri e stagionali, assorbimento o emissione di vapore d’acqua dalle pareti, condensazione, turbolenze, microcorrenti d’aria, scambi

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d’aria con l’esterno, nonché trasporto di inquinanti, fonti turbative dei parametri termoigrometrici quali ad esempio luci inidonee, afflusso di pubblico, ecc... Il rilevamento nel tempo, a scala diurna, mensile e annuale, della temperatura dell’aria ambiente, dello strato d’aria in prossimità della superficie dell’oggetto e della temperatura di quest’ultimo, permette di definire le sollecitazioni termiche cui l’oggetto stesso è sottoposto. I gradienti termici (ossia le differenze di temperatura rilevate in aria a varie distanze dalla superficie dell’oggetto e nel materiale a profondità crescente) influenzano i fenomeni di trasporto di acqua e di energia termica tra oggetto e ambiente circostante, provocando dilatazioni e contrazioni, fenomeni di evaporazione e condensazione, migrazione di acqua e di sali, trasporto e deposito di inquinanti aerodispersi. La dilatazione termica di corpi meccanici vincolati può provocare la formazione di microfratture, anche quando le escursioni termiche sono relativamente modeste; tale fenomeno è particolarmente evidente per materiali con differente coefficiente di dilatazione termica, resi solidali fra loro. La formazione di microfratture influenza notevolmente la resistenza del materiale all’ambiente, non solo perché esse aprono la via alla penetrazione in profondità di acqua e sali solubili, ma anche perché costituiscono un punto di concentrazione delle tensioni meccaniche (42). Le escursioni termiche all’aperto si verificano per lo più per insolazione diurna e per il conseguente raffreddamento notturno. Oltre che l’entità delle escursioni termiche, sono importanti la frequenza e l’entità delle oscillazioni. Variazioni e cicli termici spesso si abbinano a fenomeni di evaporazione, assorbimento di vapore, condensa, formazione di ghiaccio, trasporto di sali solubili, cristallizzazione, ecc..: tutti fenomeni che deteriorano le strutture capillari dei materiali porosi da costruzione . In virtù della loro diversa composizione, i beni culturali di ogni specifica categoria necessitano di appropriate condizioni di umidità L’umidità relativa rappresenta il rapporto tra la quantità di vapore acqueo presente in un certo volume d’aria a una certa temperatura e la quantità di vapore contenuto nello stesso volume d’aria alla saturazione ed alla stessa temperatura. Il parametro “umidità assoluta” è invece dato dal rapporto tra la massa del vapore acqueo presente in un certo volume di aria ed il volume stesso. L’umidità assoluta è detta anche “densità di vapore”. “L’umidità specifica” è invece il rapporto, adimensionale, tra la massa del vapore d’acqua contenuto in un certo volume d’aria e la corrispondente massa totale del sistema. L’umidità specifica ed assoluta è indipendente dalla temperatura e può essere considerata come un “tracciante fisico”, caratteristico di una determinata massa d’aria, almeno finché non avvengono aggiunte o sottrazioni di vapore dall’esterno. “La temperatura di rugiada” (detta anche punto di rugiada) è la temperatura alla quale il vapore diventa saturo e quindi comincia a condensarsi, a passare cioè alla fase liquida . I processi di deterioramento dipendono in sostanziale misura dalla frequenza e velocità con cui i materiali scambiano acqua con l’ambiente . All’aperto l’umidità dell’aria può avere diverse fonti: pioggia, nebbia, condensazione, evaporazione e diffusione di vapore da vicini corsi d’acqua, da bacini lacustri e dal mare, acqua di capillarità che sale dal suolo, ecc... . La quantità di vapore d’acqua, presente nell’aria di un ambiente interno, varia in rapporto alle vicende meteorologiche locali, a causa degli scambi continui di aria tra interno ed esterno (46). Le precipitazioni atmosferiche rappresentano la causa preminente di apporti d’acqua all’interno di opere murarie esposte all’aperto: infatti la pressione esercitata dal vento facilita grandemente la penetrazione della pioggia nelle eventuali lesioni e nelle porosità e discontinuità dei materiali da costruzione. Problemi di umidità di risalita capillare si presentano soprattutto in strutture murarie antiche. Sia l’afflusso di acqua piovana alla base di una muratura, sia il contatto delle sottostanti fondazioni

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con terreno fortemente umido o addirittura con una falda freatica, determinano la risalita verticale dell’acqua all’interno della muratura per effetto d’assorbimento capillare . L’altezza di risalita è direttamente proporzionale allo spessore del muro e inversamente proporzionale al diametro dei pori del materiale. E’ da tener presente che quasi sempre la risalita capillare in un muro è il prolungamento di un fenomeno di capillarità che interessa tutto il sottostante terreno di fondazione, per spessori variabili a seconda della porosità propria di ciascun tipo di terreno. Gli effetti fisici dannosi per i materiali causati dalle variazioni del contenuto di umidità sono notevoli. Danni spesso elevati sono procurati ai materiali di origine organica (pergamena, carta, tessuti, legno, cuoio, ecc...) che hanno una struttura cellulare e che possono assorbire quantità notevoli d’acqua. L’eccesso di umidità determina l’attacco microbiologico dei materiali organici, mentre la variazione del contenuto di umidità dei materiali è alla base delle deformazioni e dei danni meccanici di legno, avorio, osso, tela e talvolta dei distacchi e crettature di preparazione e pellicola pittorica. Infine l’umidità favorisce la corrosione dei materiali metallici . Si ricorda inoltre che effetti dannosi sui manufatti di interesse storico-artistico sono dovuti anche alle radiazioni elettromagnetiche, siano esse provenienti dalla radiazione solare (soprattutto per i beni esposti all’aperto) o dalla luce artificiale (per i beni conservati in ambienti confinati). Il sole emette radiazioni visibili, più una grande quantità di radiazioni infrarosse e ultraviolette. Le radiazioni più pericolose sono le ultraviolette: la componente ultravioletta (UV) è dotata di un elevato contenuto energetico e può provocare l’alterazione di sostanze organiche, quali i materiali cellulosici e proteici, le vernici, i protettivi e i pigmenti organici, causandone la decolorazione e/o l’ingiallimento e/o l’imbrunimento. L’alterazione può interessare anche superfici non esposte alla radiazione diretta, per la notevole componente diffusa dell’ultravioletto. La radiazione UV è inoltre causa di molte reazioni fotochimiche. La luce artificiale, come quella naturale, danneggia molti materiali organici (carta, tessuti, coloranti, ecc...). Il danno è proporzionale alla durata di esposizione alla luce ed all’intensità dell’illuminazione. Spesso intere collezioni sono state danneggiate in modo irrimediabile proprio a causa di un’illuminazione inadatta ai fini conservativi. La conoscenza dei materiali e del tipo di sorgente luminosa deve essere alla base della scelta della tipologia di apparecchiature di illuminazione da adottare in un ambiente museale. 2.6. Cenni sulle cause biologiche di degrado Rientrano in questa categoria tutte le cause di deperimento dovute all’instaurazione ed allo sviluppo di colonie di microrganismi (funghi, batteri, ecc...), che con il proprio ciclo vitale interferiscono con i materiali costituenti i beni culturali). In altre parole sulla superficie dei manufatti sono presenti in varia misura strutture biologiche, quali spore, conidi, cellule vegetative, ecc... Questo fenomeno, che rientra nell’ordine naturale delle cose, viene definito con il termine di “inquinamento biologico”. Quando invece si manifestano strutture in via di sviluppo o totalmente mature (patine batteriche, talli algali, muschi, piante, ecc...) si può parlare di biodeterioramento. Il passaggio dalla condizione di inquinamento, di per sé stessa non dannosa, a quella di biodeterioramento è causa di sostanziali modifiche dei materiali e dimostra che l’organismo inquinante ha trovato le condizioni favorevoli per iniziare il suo ciclo vitale, o meglio la germinazione, che rappresenta il primo momento di tale ciclo. Le condizioni favorevoli per i biodeteriogeni sono principalmente un contenuto di umidità superiore alla norma ed un regime termoigrometrico ambientale che rallenti l’evaporazione. Vanno compresi nella categoria dei biodeteriogeni non solo gli organismi microscopici, ma anche organismi come insetti, uccelli, roditori, ecc... nonché piante infestanti.

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Più in particolare, i principali agenti di biodeterioramento sono: i microrganismi autotrofi1

ovvero le alghe e i licheni, i quali sono capaci di metabolizzare e trasformare la materia inorganica e la cui crescita è favorita dalla presenza di alcuni sali minerali e dalla esposizione all’aperto o in ambienti interni, dotati di illuminazione naturale o artificiale e di sufficiente umidità; i microrganismi eterotrofi2 ovvero attinomiceti e funghi, i quali attaccano la materia organica e si instaurano sui resti organici inerti degli autotrofi. Le alghe si impiantano sulla superficie di materiali molto porosi o comunque già deteriorati e penetrano entro le microfratture o al di sotto di frammenti già parzialmente distaccati: esse sono i biodeteriogeni forse più diffusi sui manufatti in pietra. Anche i licheni sono agenti molto diffusi: in alcuni casi è accertata un’azione corrosiva nei riguardi dei materiali calcarei. Non sempre è invece facile valutare il danno prodotto da funghi e attinomiceti, a parte fenomeni di colorazione e macchiatura. Le piante ruderali e infestanti rappresentano molto spesso un grave problema per la conservazione soprattutto di strutture archeologiche, poiché le radici penetrano nei giunti o entro fessure preesistenti delle strutture murarie, esercitando una dannosa azione di cuneo. Un’altra forma di biodeterioramento è legata all’insediamento di uccelli, in particolare dei piccioni, mentre non è ancora chiara l’azione chimica delle loro deiezioni. E’ stata inoltre dimostrata la possibilità che gli escrementi dei piccioni funzionino come terreno di coltura per diversi microrganismi eterotrofi. Pertanto è evidente che i settori delle scienze biologiche applicati allo studio e alla conservazione dei beni culturali sono di grande attualità. Le loro specializzazioni possono riguardare: l’analisi del sedimento biologico e paleobotanico, la palinologia, la botanica applicata all’archeologia, la biologia degli invertebrati, l’entomologia, la zoologia applicata, l’aerobiologia, la patologia del legno e derivati, la lotta biologica integrata, la selezione e il mantenimento delle specie vegetali dei parchi e dei giardini storici, il controllo delle specie botaniche nei parchi archeologici e per la conservazione dei beni ruderali, i metodi di disinfestazione di vertebrati di grosse dimensioni (ad esempio ratti, uccelli, ecc.) o invertebrati di piccolissime dimensioni (ad esempio insetti xilofagi), la microbiologia applicata al restauro ed alla conservazione dei beni culturali, i procedimenti di pulitura dei monumenti da alghe, da licheni e da altre specie vegetali infestanti, ecc. L’esigenza odierna di non inquinare e non danneggiare l’equilibrio ambientale richiede la messa a punto e la sperimentazione di prodotti chimici e metodi efficaci che permettano di intervenire sul bene in esame senza però recare danno agli operatori, ai materiali costituenti i manufatti archeologici, storico-artistici e architettonici nonché all’ambiente. Infatti, data l’incidenza economica degli interventi sul territorio e sui monumenti, la biologia chiede sempre più alla chimica la sintesi di nuovi prodotti ad alta efficacia e selettività ed a tossicità trascurabile, mentre la chimica dell’ambiente ne deve verificare la distribuzione, la permanenza e la diluizione nel manufatto e nell’ambiente, nonché la compatibilità con i materiali costituenti i manufatti. In particolare, allo scopo di rispondere all’esigenza odierna di non inquinare e di non danneggiare l'ambiente, ci si è spostati dai disinfestanti vegetali tradizionali, quali il bromuro di metile e l’ossido di etilene, verso nuove tecniche che fanno uso di azoto e biossido di carbonio; dagli interventi indiscriminati sul manto vegetale a prodotti più sofisticati, miranti ad eliminare le sole specie erbacee infestanti, con particolare riguardo ai cosiddetti “competitori ruderali”; dalla non gestione del territorio al cosiddetto “vegetation management”, articolato nelle tre fasi: della correzione della flora spontanea, della conversione e del mantenimento della flora subentrante.

1 L’autotrofia è la proprietà di alcuni microrganismi e di vegetali di sintetizzare la materia vivente costitutiva del loro

corpo, partendo da acqua, biossido di carbonio e sali minerali. Sono autotrofi tutti gli esseri viventi provvisti di clorofilla nonché alcuni tipi di batteri (quelli del ciclo dello zolfo, dell’azoto e del ferro).

2 L’eterotrofia è invece la proprietà di alcuni microrganismi di assumere dall’ambiente i principi nutritivi già elaborati direttamente o indirettamente dagli organismi autotrofi.

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Lo stesso vale per i sistemi tradizionali di disinfestazione animale. L’uso indiscriminato di disinfestanti ad ampio spettro ha provocato, in passato, enormi danni all'ambiente con alterazioni di delicati equilibri che stanno alla base delle catene alimentari dei processi riproduttivi di alcune specie animali e vegetali. Oltre ai settori suddetti le scienze biologiche sono d’ausilio anche al monitoraggio ambientale, in quanto, oltre che con strumentazioni, l’analisi dello stato ambientale può essere effettuata utilizzando organismi viventi (bioindicatori) quali i licheni, ed in particolare quelli epifitici, i quali mostrano un metabolismo strettamente dipendente dalla salute dell'atmosfera. I licheni hanno infatti delle peculiarità, quali: elevata capacità di assorbimento e di accumulo di sostanze prelevate dall’atmosfera, resistenza agli stress ambientali, impossibilità di liberarsi periodicamente delle parti vecchie o intossicate, lento accrescimento e grande longevità, sensibilità agli agenti inquinanti che ne fanno dei buoni indicatori dell’inquinamento atmosferico 2.7. Indagini sperimentali in aree urbane Il controllo dello stato di degrado dell’ambiente si riferisce allo studio dell’inquinamento atmosferico ha riguardato la rilevazione, in un primo tempo di biossido di zolfo (SO2), CO e piombo (Pb), negli ultimi anni di NOx, PST, sostanze organiche e ancora Pb, ozono e benzene. Nell’ambito delle indagini sperimentali nelle aree urbane, i rilevamenti sul campo devono tener conto evidentemente della particolare situazione climatica che caratterizza ogni città e devono seguire le variazioni dei parametri che contraddistinguono le situazioni di inquinamento. Considerando l’incidenza delle varie fonti di emissioni degli inquinanti atmosferici, si può affermare che sono i trasporti (inclusi gli usi agricoli) che danno luogo alle emissioni di: - monossido di carbonio per il 93%; - composti organici volatili (COV) per il 92%; - ossidi di azoto per il 66% - particellato sospeso per il 56% - biossido di zolfo per il 6%.

In riferimento ai tenori (contenuti) di zolfo (S) stabiliti dalla legge per i combustibili liquidi e gassosi impiegati per usi civili si ha: - S < 0,2% per gasolio, cherosene e altri derivati del petrolio; - S < 0,3% per olio combustibile. In tab.Vengono riportati i fattori di emissione relativi ad inquinanti per autoveicoli a combustione interna funzionanti a benzina ed a gasolio. Tab.. Fattori di emissione relativi ad inquinanti per autoveicoli a combustione interna (fattore

espresso in massa di inquinante per km percorso) Inquinante Benzina Gasolio

PST g/km 0,12 1,36 SO2 g/km 0,04 0,48 NOx g/km 3,02 3,03 THC g/km 2,30 1,62 CO g/km 27,14 3,70 IPA �g/km 136-425 100-300

E’ opportuno ricordare che il DM 15 novembre 1994 fa riferimento al PST (materiale particellare) con il diametro aerodinamico inferiore a 10 �m prelevato con efficienza di campionamento del 50% (PM10) proprio perché risulta particolarmente pericoloso (irritante per gli occhi e le vie respiratorie). Particolare attenzione è rivolta al piombo: corrispondentemente alla tipologia delle varie zone, le concentrazioni di Pb variano di circa 1 ordine di grandezza fra zone non esposte a traffico

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veicolare e zone urbane. Queste ultime presentano poi valori di Pb superiori a quelli riscontrati in zone industriali (tab. 8-9). E’ ben noto l’impiego del piombo – Pb-tetra-etile – come antidetonante nelle benzine (ad una minore detonazione corrisponde una maggiore potenza ovvero spinta del motore), e sono altrettanto noti i risvolti di pericolosità dal punto di vista igienico-sanitario, tanto che è stato introdotto l’uso di benzine senza piombo. Tab. Concentrazioni di Pb particellare riscontrato in varie aree (concentrazioni medie di 24 ore

espresse in µg/m3)

Tipologia di zone Piombo in µg/m3 Media Range Urbana 2,6 0,7-8,9

(con traffico) 1,1 0,2-2,6 1,0 0,1-3,0 (senza traffico) 0,6 0,05-1,5

Industriale 0,6 0,2-1,8 0,1 0,04-1,2 0,6 0,01-4,0 0,2 0,1-1,5 Rurale 0,1 0,02-0,4 0,2 0,01-0,5

Tab. . Concentrazioni di Pb particellare nell’aria in relazione all’intensità del traffico

Numero di autoveicoli in transito per minuto primo

Concentrazione di Piombo in µg/m3

15 2,5 25 2,5 35 3 45 5,5 55 7,5 65 8

In questi ultimi anni l’attenzione anche a livello politico e il controllo della qualità dell’aria si sono rivolti anche a due altri inquinanti aerodispersi, ozono e benzene, allo scopo di adottare – in particolare per quest’ultimo le opportune misure preventive. Infatti, recenti studi hanno confermato la pericolosità del benzene per la salute dell’uomo dimostrando la relazione esistente fra esposizione al benzene e sviluppo di leucemie.

Non a caso è stato chiamato “Decreto Benzene” il provvedimento (DM 76/99, “Decreto

Ronchi”) che ha imposto ai Comuni italiani con più di 150.000 abitanti di far pervenire al Ministero dell’Ambiente la relazione sulla qualità dell’aria, con i dati sulla concentrazione delle più importanti sostanze inquinanti e le misure che si intendono adottare per far fronte alla problematica. Secondo

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tale decreto, il limite al di sopra del quale i sindaci sono autorizzati ad imporre restrizioni alla circolazione è di 10 µg/m3.

Per fare solo un esempio, il comune di Roma ha registrato (mediante rilevamenti con

centraline fisse e mobili) una media annuale di concentrazione di benzene variabile da 11.3 a 17.3 µg/m3. I provvedimenti da adottare riguardano: - limitazioni alla circolazione, con la chiusura al traffico privato automobilistico della zona

centrale della città in alcune fasce orarie, con il divieto di accesso alle automobili a benzina, catalizzate e non, e con limitazioni anche ai motorini;

- potenziamento dei parcheggi, con l’estensione delle zone di sosta a pagamento; - potenziamento dei mezzi pubblici; - rilocalizzazione dei distributori, che dovrebbero essere allontanati dal centro urbano, e

sostituzione delle vecchie pompe per l’erogazione del carburante con altre pompe dotate di dispositivi che limitano la dispersione dei vapori.

Per quanto concerne la qualità dell’aria, la normativa italiana (DM 15/4/’94; DM 25/11/’94

e seguenti) si è ispirata alla normativa comunitaria e a quella dell’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), adottando, per i valori di riferimento di qualità dell’aria

sul lungo periodo (tab. 10): - i valori limite o standard di qualità dell’aria ovvero i limiti massimi di accettabilità delle

concentrazioni e i limiti massimi di esposizione a inquinanti nell’ambiente esterno; - i valori guida di qualità dell’aria ovvero i limiti delle concentrazioni e i limiti di esposizione

relativi a inquinanti nell’ambiente esterno destinati alla prevenzione a lungo termine in materia di salute e protezione dell’ambiente, a costituire parametri di riferimento per l’istituzione di zone specifiche di protezione ambientale per le quali è necessaria una particolare tutela della qualità dell’aria;

- le linee guida per il contenimento delle emissioni ovvero i criteri in linea con l’evoluzione

tecnica messi a punto relativamente a settori industriali contenenti indicazioni su cicli tecnologici, migliore tecnologia disponibile relativamente ai sistemi di contenimento delle emissioni, fattori di emissione con e senza l’applicazione della migliore tecnologia disponibile per il contenimento delle emissioni;

- gli obiettivi di qualità (metodi di riferimento) ovvero i valori medi annuali di concentrazione degli inquinanti, nell’ambiente esterno, da raggiungere e rispettare in un certo periodo di tempo;

sul breve periodo: - i livelli di attenzione ovvero le concentrazioni di inquinanti atmosferici capaci di determinare

una situazione di inquinamento atmosferico che, se persistente, determina il rischio che si raggiunga lo stato di allarme;

- i livelli di allarme ovvero le concentrazioni di inquinanti atmosferici che determinano lo stato di allarme ovvero una condizione di rischio ambientale e sanitario.

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Tab. 10. Inquinanti atmosferici normati dalla legislazione italiana e relativi valori di concentrazione (DM 15/4/’94; DM 25/11/’94)

Inquinante Limite (Standard di qualità)

Valore guida Livello di attenzione

Livello di allarme

Obiettivo di qualità

SO2 µg/m3) (media 24 h)

80 mediana 130 mediana invernale 250 98° percentile

40-60 media annuale 100-150 media 24 h

250 media 24 h

NO2 µg/m3) (media 1 h)

200 98° percentile

50 50° percentile 135 98° percentile

400 media 1 h

Ozono (µg/m3) (media 1 h)

200 non più di una volta al mese

180 media 1h

360 media 1 h

CO (µg/m3) (media 1 h)

10 media 8 h 40 media 1 h

15 media 1 h

30 media 1 h

Piombo (µg/m3) (media 24 h)

2 media annuale

Fluoro (µg/m3) (media 24 h)

20 media 24 h 10 media mensile

PST (�g/m3) (media 24 h)

150 media annuale 300 95° percentile

40-60* media annuale 100-150* media 24 h

150 media 24 h

300 media 24 h

60** (PM10) 40 ** (PM10) media mobile annuale

THCnm(°) (µg/m3) (media 3 h)

200****

Benzene (µg/m3) (media 3 h)

15** 10*** media mobile annuale

B(a)P(°°) (µg/m3) (media 3 h)

2,5** media mobile annuale 1*** media mobile annuale

(°) THCnm = Idrocarburi totali non metanici. (°°) B(a)P = Benzo (a) Pirene. * Fumo nero equivalente. ** Dal 1/1/’96. *** Dal 1/1/’99. **** Si applica in relazione alla concentrazione di O3.

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2.8. Deposizioni secche e umide La emissione in atmosfera di inquinanti, sia di origine antropica che naturale, comporta che essi vengano rimossi nel tempo ricadendo al suolo tal quali o, più spesso, in qualità di inquinanti secondari. Tale rimozione avviene secondo due meccanismi principali: - per via diretta (deposizione secca); - attraverso le precipitazioni atmosferiche (deposizione umida). In questo caso la cattura degli

inquinanti può avvenire all’interno delle nubi (rainout) anche in aree lontane dal successivo deposito al suolo o per impatto e trasporto degli inquinanti da parte delle gocce di pioggia, al di fuori delle nuvole, nel percorso verso il suolo (washout).

Il flusso di un inquinante al suolo e sui materiali, nel caso delle deposizioni secche, espresso in unità di massa (g) di inquinanti per unità di superficie (cm2) e per unità di tempo (s), sarà proporzionale alla concentrazione dell’inquinante nell’atmosfera e alla velocità di deposizione. Venti e moti convettivi dell’aria operano un effetto di diluizione. La deposizione secca non solo è influenzata dalla tipologia della superficie, ma anche dai meccanismi di avvezione del clima Il principale deposito di inquinanti aerodispersi sulla superficie dei materiali in climi temperati è costituita dalla deposizione secca. La velocità di deposizione viene definita come: vd = F/c dove: vd = velocità di deposizione (cm/s) F = flusso di deposizione per unità di superficie (g/cm2 · s) C = concentrazione in aria dell’inquinante (g/ cm3). Si riassumono meccanismi responsabili della deposizione secca dei gas e del particolato atmosferico. Altro aspetto importante, oltre al meccanismo di trasferimento, è il potere di ritenzione da parte della superficie; infatti il deposito di un inquinante su una superficie è il risultato di due meccanismi contrastanti: la deposizione e la risospensione (nel caso di particelle). Nella realtà il meccanismo della deposizione è alquanto complesso, poiché in genere è la risultante di più fenomeni, in dipendenza anche della granulometria delle particelle. Queste ultime possono essere classificate in: - fini, nuclei di Aitken (diametro < 0,05 µm) e particelle con diametro compreso fra 0,05 e 2 µm; - grossolane, diametro > 2 µm.

Le particelle più piccole sono formate dalla condensazione di vapore e dalla conversione di gas mediante reazioni che portano alla formazione di sali o acidi (conversione gas/particelle), quali ad esempio: solfati, nitrati, ecc… Le particelle più grossolane sono generate dalle aggregazioni di quelle più piccole e provengono da processi di combustione, lavorazioni industriali, erosione del suolo, ecc…

Una specifica categoria di particellato è rappresentata dalle “cenosfere”: tale tipologia è caratteristica della combustione di oli minerali. La caratteristica forma sferica e cava, da cui il nome, è dovuta alla modalità di combustione: infatti l’iniettore del bruciatore del combustibile produce un aerosol di minute goccioline che bruciano prima sulla superficie, formando una crosta esterna che poi viene rotta dalla fuoriuscita dei vapori rimasti all’interno della goccia stessa. Il diametro delle cenosfere varia grandemente, in

genere dall’ordine del µm fino ad un centinaio di µm; la loro struttura risulta spugnosa e fortemente adsorbente, presenta una bassa densità (0,4-0,7 (g/cm3) e una alta superficie specifica (oltre 100 m2/g). Le cenosfere contengono carbonio amorfo, composti di zolfo (acido solforico, solfati) ed

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azoto (nitrati) ed anche una forte presenza di metalli quali: vanadio, ferro, manganese, rame, zinco, piombo, cadmio, cromo, ecc… L’alta superficie specifica delle cenosfere, associata alla presenza di metalli catalizzatori, crea una situazione favorevole alla formazione di inquinanti secondari. La capacità catalitica delle cenosfere influenza l’ossidazione di gas adsorbiti (per esempio SO2) con formazione di acidi in presenza di umidità e la formazione di cristalli di solfato di calcio. Queste particelle rivestono un ruolo fondamentale nei meccanismi di sporcamento ed attacco dei materiali esposti all’aperto Il comportamento delle particelle più piccole con diametro < 0,1 �m, relativamente alla deposizione secca, è assimilabile a quello dei gas. Per particelle molto piccole la velocità di deposizione aumenta con la diminuzione delle dimensioni. Inoltre esse hanno una maggiore mobilità anche in assenza di flussi di aria in movimento a causa dei movimenti browniani e quindi una più alta probabilità di impattare con una superficie di cattura. Le particelle più grandi (> 1 �m) hanno una più elevata velocità di deposizione con l’aumento del diametro a causa della cattura inerziale a cui si aggiunge, con influenza crescente, la forza gravitazionale. Le rimanenti particelle (0,1 - 1 �m) hanno un minimo di velocità di deposizione e tendono quindi ad accumularsi ed a permanere per un tempo relativamente lungo nell’atmosfera. Su particelle di diametro intermedio operano i seguenti principali meccanismi di trasporto (fig. 16-17): - la termoforesi, per un aerosol che si muove da una zona più calda verso una zona a più bassa

temperatura, - la diffusoforesi, per un aerosol che si muove, per un gradiente di concentrazione, dalla zona a

concentrazione maggiore a quella a concentrazione minore; - la cattura inerziale, o trasporto, (e deposito) da flussi d’aria in movimento; - il meccanismo di trasporto (e deposito) verso una superficie causato dal cosiddetto flusso

idrodinamico o di Stefan, che si verifica a seguito della diffusione di vapore acqueo verso la superficie stessa con conseguente condensa. Questo meccanismo è particolarmente dannoso e agisce su ogni tipo di particella.

Il meccanismo di deposizione è irreversibile quando l’inquinante viene catturato dalla superficie sulla quale impatta: per i gas giocano un ruolo fondamentale la loro reattività e la loro solubilità (ad esempio sulle superfici umide), mentre nel caso di solidi l’adesione superficiale è favorita da rugosità, umidità, forze elettrostatiche. La presenza di superfici umide, pur diminuendo le forze elettrostatiche di adesione, consente un considerevole aumento della cattura del particolato. Nel meccanismo di distacco e risospensione risultano critiche le condizioni di ventilazione. Il fenomeno delle deposizioni umide contribuisce ad alterare il valore del pH della pioggia, rendendola acida (fig. 18). In aree “pulite” l’acqua piovana, a causa dell’assorbimento del biossido di carbonio (presente in atmosfera con una concentrazione di circa 350 ppm) e della conseguente formazione di un acido debole (acido carbonio H2CO3), ha un pH compreso fra 5 e 6. Per effetto dell’inquinamento si possono avere deposizioni umide con pH da 3 a 5. 2.9. Problemi ambientali fondamentali Il problema dell’ambiente, di come utilizzarlo senza distruggerlo, ha una certa poliedricità, in quanto coinvolge volontà e conoscenze che spaziano da quelle strettamente scientifiche a quelle politiche, economiche, sociali, etiche. La qualità dell’ambiente è oggi un valore la cui importanza viene recepita sempre di più anche dall'opinione pubblica in tutti i Paesi. L’ambiente e quanto contiene ha la valenza di patrimonio a livello planetario, di eredità comune a tutta l’umanità. Questa consapevolezza ha determinato una specie di volontà e di comune diritto per un suo razionale utilizzo, nonché per l’individuazione di precise responsabilità collettive per la sua conservazione. In questo senso vanno riconosciuti, come patrimonio comune, non solo le risorse idriche e il territorio ma, anche, atmosfera e clima, perché l’attività umana ne minaccia le qualità, le caratteristiche e gli equilibri.

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Fra i principali fenomeni che coinvolgono l’intero pianeta si elencano: i cambiamenti climatici e l’effetto serra, la distruzione dell’ozono stratosferico, l’acidificazione, l’ozono troposferico, le sostanze chimiche, i rifiuti, la biodiversità, le acque interne, l’ambiente marino e costiero, il degrado del suolo, l’ambiente urbano, i rischi tecnologici e naturali. Negli ultimi anni si sono presentati altri due fenomeni: l’elettrosmog e il gas radon. Di essi si tratterà più approfonditamente nel capitolo seguente. Concludendo, si fa presente che grazie agli sforzi in corso in questi anni, volti a ridurre il livello di emissioni dannose e a migliorare la qualità dell’aria attraverso il coordinamento delle politiche e delle azioni a livello europeo e non solo, nella maggior parte dei paesi europei si è riusciti ad ottenere riduzioni significative delle emissioni di numerose sostanze che minacciano l’ambiente e la salute umana. Fra queste si citano gli ossidi di zolfo, il piombo e le sostanze che determinano la distruzione della fascia di ozono. Vi è stata, anche se di minore entità, una riduzione delle emissioni di ossido di azoto e composti organici volatili diversi dal metano. In Europa occidentale, tali sviluppi si devono principalmente all’attuazione di misure di riduzione delle emissioni, a processi di ristrutturazione industriale e all’impiego di combustibili puliti. In Europa centrale e orientale, invece, l’efficacia delle misure di abbattimento delle emissioni è risultata scarsa per la netta diminuzione dei consumi energetici e della produzione industriale a seguito delle profonde trasformazioni economiche strutturali che hanno determinato un decremento delle immissioni e delle emissioni. dai meccanismi responsabili dello spostamento e dal clima

CAPITOLO 3

MONITORAGGIO MICRO- E MACRO-AMBIENTALE

3.1. Il sistema “manufatto-ambiente” E’ noto quanto sia importante lo stretto collegamento esistente fra il “manufatto” – l’oggetto, bene culturale - e l’ “ambiente” in cui l’oggetto è collocato e/o conservato; è opportuno quindi parlare in termini di sistema: “manufatto – ambiente”. I fenomeni di mutazione cui sono sottoposti tutti i corpi e, quindi, anche i materiali costituenti i beni culturali, si rendono evidenti attraverso le variazioni dei valori di una o più grandezze fisiche che possono essere scelte per rappresentare le condizioni in cui, in un determinato istante, vengono a trovarsi i corpi considerati. I fenomeni di modificazione dei valori delle grandezze, assunte come caratteristiche, si definiscono “trasformazioni termodinamiche”.

Si può affermare che queste trasformazioni sono la diretta conseguenza di un disequilibrio che si manifesta fra le due componenti del sistema: una condizione di disequilibrio si produce ogni qual volta che una o più grandezze fisiche, scelte per rappresentare lo stato del sistema, assumono nelle due entità valori diversi. Nella realtà, qualsiasi trasformazione alla quale un sistema è sottoposto è causata da disequilibri d’entità finita: per ciò essa è di tipo irreversibile, nel senso che il sistema non può essere ricondotto allo stato iniziale, ripercorrendo tutti gli stadi intermedi attraverso i quali è passato. Ogni trasformazione lascia nei due componenti del sistema una modificazione tanto più importante, quanto più elevato è il suo grado di irreversibilità. Il grado di irreversibilità è tanto maggiore quanto più grandi sono gli squilibri che hanno provocato la trasformazione e quanto più rapidamente essa si manifesta.

Il modello termodinamico può essere, dunque, applicato per analogia anche ai fenomeni di deterioramento cui sono sottoposti i materiali costituenti i beni culturali. Infatti il bene culturale ha un proprio ciclo di vita fisica, che dipende dalla natura dei suoi supporti materici e dalle alterazioni dovute agli agenti ambientali, sia di tipo naturale (chimico e

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fisico) sia di tipo antropico. Tale processo di invecchiamento fisico subisce, a seconda dei luoghi, forti accelerazioni se ai fattori esposti in precedenza si sommano quelli dovuti all’incuria, agli interventi non corretti di restauro e all’abbandono. Il modello termodinamico consente, inoltre, di dedurre che la maggior parte dei processi di degrado potrebbe essere evitata se si potesse realizzare una condizione di perfetto equilibrio fra oggetto da conservare e ambiente di conservazione. Considerati quindi i componenti del sistema, nell’ambito della loro interdipendenza e interrelazione si sottolinea come sia opportuno intervenire, ovvero influire, sull’uno e/o sull’altro dei due componenti con l’obiettivo non solo di tutelare il bene culturale ma anche di salvaguardare la salute del biota.

Nell’ambito di tale sistema, lo studio è dunque principalmente diretto: - alla conoscenza dei materiali costituenti i beni culturali (controllo del manufatto); - alla conoscenza dell’ambiente in cui essi sono collocati (controllo dell’ambiente). Per costruire e decorare le strutture per il proprio benessere fisico e spirituale, l’uomo ha sviluppato quella che lo storico Arnold Toynbee ha definito la “cultura dei materiali”. Questa cultura si è ben presto posto il problema della conservazione dei materiali, della conoscenza del loro comportamento e, quindi, dei manufatti corrispondenti in condizioni di esposizione le più diverse. Se nel passato l’obiettivo a cui era direzionato l’intervento di restauro in generale conservativo consisteva fondamentalmente nel recupero estetico dell’immagine, quindi riproposizione degli aspetti morfologici dell’opera d’arte, in tempi più recenti, a seguito proprio della conoscenza del comportamento dei materiali conoscenza delle caratteristiche e proprietà non solo morfologiche, ma anche strutturali, chimiche, fisiche dei materiali l’obiettivo è consistito nel ritrovamento di un “equilibrio tecnologico” all’interno dei materiali che compongono il bene culturale e, quindi, nel far presente che, se ad un deperimento naturale del materiale (processo inarrestabile), l’intervento conservativo nulla o poco poteva, poteva però nei riguardi del deterioramento, rallentandolo o contenendolo. Per quanto riguarda il controllo dell’ambiente, lo studio deve essere rivolto all’analisi e alla definizione delle sue caratteristiche (fattori microclimatici, fattori meteorologici, inquinanti chimici e biologici), e con l’obiettivo fondamentale del mantenimento di una “fascia di benessere” non solo per il manufatto “aggredito”, ma anche per l’esperto che svolge le attività di tecnico e per il pubblico che fruisce del bene esposto(12) In relazione all’intervento conservativo si fa riferimento alle difficoltà che possono derivare: - dai prodotti impiegati – che vanno a determinare emissioni e, quindi, aggressioni di sostanze

diverse dal punto di vista qualitativo ma anche quantitativo; - dalle metodologie scientifiche o, meglio, dai percorsi metodologici che comprendono metodi e

tecniche analitiche per quali-quantificare l’alterazione-degradazione non sempre uniformemente standardizzate, normalizzate e, quindi, risultanti anche non sempre confrontabili;

- dall’ampia gamma dei materiali costituenti i manufatti e dalla varietà delle tecniche di fabbricazione degli stessi.

Di conseguenza, anche se difficile, è necessario effettuare il controllo di qualità anche nel settore del restauro dei beni culturali al fine di assicurare e garantire la qualità relativamente a: - appropriate tecniche da impiegare; - idonei prodotti (da impiegare per le operazioni di pulitura, consolidamento, incollaggio,

stuccatura, protezione), rispondenti ai criteri di compatibilità con i materiali su cui vengono adoperati, reversibilità, efficacia, non pericolosità per l’ambiente e per l’operatore.

A ragione si parla di non pericolosità dei prodotti perché il loro impiego può costituire, anche nel corso del tempo, un effettivo pericolo non solo per l’ambiente ma anche per il biota per il quale possono risultare nocivi, tossici o molto tossici: infatti, alcuni componenti chimici volatili sono respirabili, altri liquidi possono causare danni cutanei proprio perché oggetto di manipolazione 12 Di chi – quindi – fruendo del bene può e/o desidera trarne beneficio ovvero partecipare del suo significato non solo

dal punto di vista culturale ma anche spirituale.

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3.2. Il controllo degli ambienti: qualità dell’aria, parametri termoigrometrici, illuminazione Come è noto, il controllo degli ambienti i è un problema notevolmente complesso, che richiede l’intervento di esperti di numerose discipline in stretta collaborazione. Le maggiori difficoltà sono rappresentate principalmente dal fatto che le ricerche riguardano ambienti e strutture di cui spesso non sono noti, altro che in maniera approssimata, i materiali costitutivi e i comportamenti termotecnici. Anche per quanto riguarda l’inquinamento, il quadro generale può apparire di difficile schematizzazione, se si tiene, per esempio, conto che la presenza di solfato di calcio su un dipinto murale può essere dovuto: al deposito di materiale particellare, alla reazione del carbonato di calcio con il biossido di zolfo o con materiale particellare acido presenti nell’aria, alla presenza di malte cementizie di restauro, a tracce di gesso presenti nei materiali originari. Così anche una ridotta concentrazione di biossido di zolfo, rilevata all’interno, può voler dire che il livello di inquinamento indoor è contenuto, ovvero che i meccanismi di deposito di questo inquinante sulle superfici interne sono particolarmente rapidi ed efficienti. Nonostante le difficoltà accennate precedentemente, una metodologia di controllo del microclima e delle principali specie inquinanti è stata ormai acquisita e ciò consente di attuare, ove richiesto, con sufficienti margini di sicurezza, un piano di risanamento ambientale. Per quanto riguarda la conservazione di materiali particolarmente sensibili e deperibili, l’orientamento prevalente è quello di realizzare contenitori “personalizzati”, con buona tenuta di aria e con sistemi di controllo della umidità relativa di tipo passivo (utilizzo di gel di silice e sostanze analoghe, utilizzo di soluzioni sature) o di tipo attivo (prevalentemente regolazione della umidità relativa per raffreddamento dell’aria di immissione con condensazione controllata mediante umidostato). Un ulteriore problema assai complesso è quello dell’illuminazione, che richiede un utilizzo assai diversificato delle fonti di luce a seconda del tipo di manufatto: date le incertezze che sussistono ancora oggi sulla stabilità nei tempi lunghi di numerose classi di materiali, sembra opportuno adottare un atteggiamento prudente, che consiglia l’utilizzo di sorgenti depurate dalle componenti UV e IR e con ridotto livello di illuminamento (prudenziale 50-150 lux). L’unità di misura della luce emessa da una sorgente luminosa è il lumen (unità di flusso luminoso emesso da una sorgente uniforme con intensità luminosa di una candela); per ogni tipo di lampadina è possibile calcolare una efficienza luminosa intesa come il rapporto tra lumen e watt assorbiti. La qualità della luce dipende essenzialmente dalla sua tonalità (intesa come “temperatura di colore” espressa in gradi Kelvin; tonalità calda2.000-3.000 °K, tonalità bianca 3.000- 5.000 °K, tonalità fredda > 5.000 °K) e dall’indice di resa cromatica (indice che varia da 0 a 100). Per quanto riguarda i tipi di lampade attualmente disponibili in commercio è possibile effettuare una suddivisione, a seconda di come viene generata la luce, in lampade a incandescenza13 e lampade a scarica elettrica di gas14.

13 Le lampade ad incandescenza sono costituite essenzialmente da un bulbo di vetro nel quale, in atmosfera inerte, si ha

un filamento di tungsteno che, attraversato da corrente elettrica, diventa incandescente emettendo energia luminosa. L’efficienza di tali apparati è approssimativamente di soli 13 lumen/watt poiché una gran parte di energia si sviluppa in calore. Le tipologie di lampade a incandescenza più comuni sono quelle: - convenzionali, ovvero le più comuni ed economiche nell’ambito dell’illuminazione di ambienti. Sono costituite

essenzialmente da un filamento in tungsteno, da un’ampolla o bulbo in vetro e da un attacco in metallo. La loro efficienza è modesta e la durata di vita media economica è di circa 1000 ore. Forniscono istantaneamente il flusso luminoso che può essere graduato mediante “variatori”, emettendo luce di tonalità calda con un indice di resa cromatica (CRI) massimo 100 (il CRI indica la capacità di una sorgente di riprodurre i colori rispetto ad una sorgente di riferimento);

- a riflettore incorporato, che presentano la parte superiore dell’ampolla coperta internamente da sostanze riflettenti; la loro durata di vita media economica Ovvero del numero di ore di funzionamento dopo il quale, in un determinato lotto di lampade, considerando 8 accensioni/spegnimenti durante le 24 ore, il 70% delle lampade presenta un decadimento del flusso luminoso o cessa di funzionare) è, a seconda del tipo, di circa 1.500-2.000 ore;

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La tab. 11 riporta le principali caratteristiche delle più comuni lampade ad incandescenza e a vapori di gas utilizzate per l’illuminazione di interni. Tab. 11. Principali caratteristiche delle lampade per illuminazione di interni

Tipo di lampade Indice efficienza Durata (ore) Resa cromatica Tonalità (K)

incandescenza 1

1.000

100

2.000 - 3.000

alogene

1.8

2.000

100

3.000

fluorescenti compatte

5 - 6

8.000

85

3.000 - 5.000

fluorescenti tubolari

7 - 10

10.000 - 12.000

- 65 - 95

2.700 - 6.500

Note: - indice di efficienza 1 = 12 lumen/watt;

- tonalità “calda”: temperatura di colore 2.000 - 3.000 gradi Kelvin; - tonalità “bianca”: temperatura di colore 3.000 - 5.000 gradi Kelvin; - tonalità “fredda”: temperatura di colore >5.000 gradi Kelvin.

In riferimento al tipo di illuminazione da adottare in un ambiente museale, i parametri che devono essere considerati sono: - le esigenze museali e la salvaguardia delle opere d’arte dal degrado che può derivare da una non

idonea scelta della fonte di illuminazione; - le condizioni di visibilità per il fruitore; - il rispetto delle normative vigenti;

- alogene, che hanno all’interno del bulbo una miscela di alogeni (essenzialmente bromo) che crea una rigenerazione

del filamento allungandone la vita (durata circa 2.000 ore). Esse presentano una efficienza luminosa di circa 22 lumen/watt, con un’alta resa cromatica in quanto emettono luce più bianca rispetto alle precedenti.

14 Le lampade a scarica di gas sfruttano il principio secondo cui, applicando una differenza di potenziale fra due elettrodi immersi in un gas o vapore metallico, si ottiene una scarica elettrica associata a radiazioni luminose. L’efficienza di tali lampade è superiore a quelle a incandescenza di circa 4-10 volte. Le tipologie di lampade a incandescenza più comuni sono quelle: - fluorescenti, costituite da un involucro di vetro, contenente vapori di mercurio e un gas con sostanze fluorescenti, e

da elettrodi sigillati alle estremità. Le radiazioni ultraviolette visibili, che si producono quando si innesca la carica, vengono così trasformate in radiazioni luminose visibili. La loro qualità varia a seconda della sostanza fluorescente utilizzata e la efficienza di rendimento è di circa 99-100 lumen/watt, mentre la durata di vita media è di circa 10.000-12.000 ore a seconda del tipo (convenzionali o ad alta frequenza);

- fluorescenti compatte, che si basano sullo stesso principio delle precedenti e ne sono, di fatto, una miniaturizzazione. La loro resa e durata sono inferiori (40-60 lumen, 8.000 ore);

- al sodio, in cui la scarica avviene in atmosfera di vapori di sodio. Esse trovano limitati utilizzi (illuminazione esterna, stradale, ecc..) perché, pur avendo una efficienza circa 10 volte superiore alle altre, emettono una luce monocromatica gialla. i

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- la disposizione delle sorgenti di luce rispetto alle esigenze del luogo. In tab. 12 vengono riportate le caratteristiche delle lampade da impiegare in ambienti museali. Oggi si preferisce l’impiego di lampade a fluorescenza: queste offrono la scelta fra nove toni diversi di bianco e permettono facilmente illuminazioni di carattere diffuso e continuo, prive di componente infrarossa. Anche le lampade a fluorescenza emanano radiazioni ultraviolette, pur se in quantità variabile in relazione al tono di colore, e richiedono quindi, se necessario, l’uso di appositi filtri UV. Attualmente, lampade con assenza della componente infrarossa e buona resa cromatica sono quelle ad alogenuri metallici. Tab. 12. Lampade da impiegare nei musei FLUORESCENTI 36 W Tc (k) Ra D/fc TLD/95 5.000 98 0.22 TLD/94 3.800 95 0.18 TLD/93 3.000 95 0.15 TLD/86 6.500 86 0.24 TLD/84 4.000 86 0.21 TLD/83 3.000 86 0.20 TLD/82 2.700 86 0.19 COMPATTE PLC-E/82 2.700 86 0.19 ALOGENE in aria con vetro con vetro +

filtro UV 200-300 W 3.000 100 0.2 0.14 B.T. 12V 100 W 3.000 100 0.2 0.14 SODIO A.P. SDW-T 2.500 80 0.1 0.007 ALOGENURI MHN-T 70 W 4.000 80 0.24 MHN-T 150 W 4.000 85 0.25 MHN-TD 70 W 4.200 80 1.1 0.8 0.15 MHN-TD 150 W 4.200 85 1.7 1.2 0.2 Tc: temperatura colore; Ra: resa cromatica; D/fc: fattore di degrado. In definitiva si ritiene opportuno riportare in sintesi quanto la letteratura relativa agli studi microclimatici fa presente su tale problematica. Le ricerche al riguardo sottolineano l’importanza di: 1) migliorare i procedimenti di analisi statistica dei dati rilevati, applicando metodologie fini, per

misurare alcuni “indicatori” di rischio ambientale;

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2) costruire modelli fisici in grado di collegare le condizioni di rischio con le variazioni del clima esterno, con le modalità di funzionamento degli impianti di riscaldamento e condizionamento, con le caratteristiche termoigrometriche dell’edificio e infine con le modalità gestionali del museo;

3) progettare apparecchiature di monitoraggio semplici e di basso costo, in grado di evidenziare la situazione microclimatica ambientale nel suo evolversi nel breve, medio e lungo periodo.

D’altra parte i principali obiettivi della ricerca sull’inquinamento indoor (23) devono riguardare: 1) lo sviluppo di sistemi di monitoraggio semplici, di basso costo e sufficientemente sensibili; 2) la misura della velocità di deposizione di inquinanti gassosi e particellari su alcune classi di

materiali più diffusi; 3) il controllo delle sostanze corrosive che si possono sviluppare dagli addobbi e dai materiali

costitutivi delle vetrine e dei musei; 4) lo studio delle cause “interne” di accumulo di inquinanti indoor e delle trasformazioni chimiche

che possono interessare alcuni agenti inquinanti negli stessi ambienti confinati; 5) il raggiungimento di una migliore conoscenza delle reazioni chimiche indotte dagli inquinanti sui

singoli materiali; 6) la definizione di livelli critici di pericolosità per i vari inquinanti negli ambienti indoor in

rapporto ai materiali da conservare. Per quanto riguarda l’aspetto biologico, allo scopo di effettuare un “controllo di qualità” nel settore dei beni culturali, in particolare negli ambienti museali, il punto di vista è fondamentalmente riconducibile al seguente obiettivo: verificare se le oscillazioni termoigrometriche, registrate in musei “campione”, prefigurino o meno situazioni di rischio. Un interessante spunto di ricerca metodologica potrebbe essere quello di correlare i parametri biologici con quelli ambientali e valutare se a livello internazionale siano state individuate, a parità di umidità e temperatura, differenze imputabili a variabilità geografiche e di specie. L’obiettivo sarebbe quello della ricerca di standard strumentali per il monitoraggio ambientale e della acquisizione di metodologie comuni, per lo meno a livello europeo, per la stima e la prevenzione del danno biologico. In maniera alquanto schematica vengono di seguito riportati quei temi che meriterebbero un approfondimento: a) normalizzazione dei protocolli di controllo e di intervento per insetti, piante ed animali superiori; b) standardizzazione e monitoraggio nel controllo dell’insorgenza delle infestazioni; periodicità

delle operazioni di preservazione; concetto di rete per il coordinamento degli interventi; c) approfondimento degli studi sui metodi di lotta ai biodeteriogeni, alternativi a quelli chimici

come: irraggiamento, lotta biologica, repellenti, attrattivi, ecc... d) ferma politica di intervento per l’introduzione del concetto di “ambiente condizionato”; ove

possibile, diffusione di deumidificatori, invece che dei più complessi e costosi impianti di condizionamento;

e) rigore nello stabilire la necessità e l’urgenza di trattamenti che potrebbero rivelarsi inutili, ripetitivi o, viceversa, poco solleciti;

f) maggiore considerazione dei gravi problemi di conservazione di tutto quel materiale che “giace in magazzino”.

Da quanto precedentemente esposto si possono evidenziare i seguenti punti: - la presenza di sostanze indesiderate (inquinanti) all’interno degli ambienti confinati è dovuta, in

massima parte, sia ad apporti esterni, sia all’utilizzo di alcuni materiali, sia alla stessa presenza umana;

- gli inquinanti, anche in relazione al microclima presente negli ambienti, possono interagire tra loro o con i materiali con i quali vengono in contatto, cambiare stato ed avere effetti anche a lungo termine sugli oggetti da conservare;

- la prima azione da perseguire è la limitazione drastica di apporti dall’esterno mediante regolamentazione degli afflussi d’aria, oltre che la messa in atto di zone “filtro”, cioè di ambienti tecnologici attrezzati;

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- la scelta dei materiali, quali plastiche, legni trattati, intonaci, ecc.., deve essere effettuata tenendo conto della tipologia delle opere da conservare e, in genere, facendo uso di quei materiali che adsorbono gli inquinanti preferenzialmente rispetto ai manufatti storico-artistici;

- i sistemi di rimozione degli inquinanti dovranno essere progettati ad “hoc”, tenendo conto delle situazioni specifiche quali: concentrazioni esterne ed interne di inquinanti, clima e microclima, ecc..;

- la manutenzione dei sistemi di abbattimento deve essere tale da consentire la loro efficienza, anche al fine di evitare che diventino essi stessi sorgente di apporti indesiderati di inquinanti;

- le circolazioni dell’aria all’interno degli ambienti possono essere circoscritte e misurate in modo da evitare, in taluni casi, la completa stagnazione dell’aria, ma anche fenomeni di cattura inerziale degli aerosol sulle superfici dei materiali storico-artistici;

- lo studio e la valutazione sul campo dei principali parametri di inquinamento e del microclima, messi in relazione con la tipologia dei manufatti, possono consentire di trarre indicazioni per minimizzare i danni indotti sulle opere da conservare;

- la vulnerabilità di alcuni materiali nei confronti di vari inquinanti risulta maggiore rispetto agli effetti prodotti sulla salute umana;

- non essendo possibile utilizzare, per quanto detto sopra, “standard di qualità” calcolati per altri scopi, ad esempio per la tutela della vegetazione o della salute umana, alcuni standard sono stati comunque stabiliti con margine cautelativo.

3.3. Monitoraggio microclimatico in ambiente confinato Come si è precedentemente detto molte delle alterazioni a cui vanno soggette le opere d’arte, di qualsiasi materiale esse siano costituite, dipendono direttamente o indirettamente dal contenuto di umidità sia del materiale in se stesso, sia dell’ambiente in cui il manufatto è collocato. In conseguenza di ciò la conservazione delle opere di interesse storico-artistico richiede sempre un attento esame della situazione termoigrometrica generale. La risoluzione quindi di qualsiasi problema di tipo climatologico deve partire dalla valutazione dell’umidità ambientale e di quella propria del materiale costituente il manufatto. La conservazione ottimale di quest’ultimo dipende, in massima parte, dalla presenza di tassi di umidità compatibili con il tipo di materiale da conservare. L’umidità presente nell’aria può avere provenienza diversa. Le principali fonti “esterne” da considerare sono: le precipitazioni atmosferiche, i venti umidi, la nebbia. Per quanto riguarda quelle “interne”: l’umidità trasmessa dalle murature e dal pavimento, le infiltrazioni provenienti per capillarità dalle coperture e dai muri perimetrali, l’acqua utilizzata per la pulizia dei locali, le rotture di impianti idraulici e, non ultime, le immissioni apportate dalla respirazione, dalla traspirazione e dalla sudorazione dei visitatori. Tra l’umidità contenuta all’interno di un materiale, quella sulla sua superficie e quella nell’ambiente di conservazione dell’opera vengono a stabilirsi stretti rapporti di equilibrio che dipendono da fattori intrinseci ed estrinseci, i quali rendono di solito assai complesso il quadro generale della situazione microclimatica. Il tenore di umidità, le eventuali sue variazioni e la frequenza di tali variazioni possono essere causa o costituire concausa, nei materiali, di alterazioni di vario genere quali quelle fisiche, chimiche e biologiche. La termoigrometria è la scienza che si occupa della determinazione del contenuto di vapore acque nell’atmosfera o nei materiali.. Al fine della conservazione dei manufatti storico-artistici (specialmente di quelli di natura organica: legno, carta, tessuti, ecc...) il valore di umidità relativa (UR), esprimente il grado di saturazione dell’aria, ha un’importanza fondamentale: la misura dell’umidità relativa di un ambiente o la registrazione continua, per un determinato periodo di tempo, dei valori di UR e di temperatura (T) è necessaria quindi per lo studio e il controllo di molti fenomeni di alterazione.

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Il monitoraggio microclimatico si effettua mediante l’installazione di apparecchiature per l’acquisizione continua dei dati per permettere una visione completa nel tempo dell’andamento dei valori di UR e di T negli ambienti presi in esame. L’acquisizione continua consiste in una registrazione dei dati misurati ad intervalli di tempo prestabiliti a seconda del tipo di controllo che si vuole condurre. Ma l’acquisizione continua deve essere affiancata dalla misurazione istantanea dei parametri ambientali, che consiste invece nella rilevazione dei dati nella fase iniziale del monitoraggio per stabilire quali parametri siano suscettibili di modifica e per verificare periodicamente l’idoneità di situazioni microclimatiche di cui è nota una certa stabilità. Nel caso di locali ampi o di interi edifici risulta anche indispensabile la conoscenza del tasso di umidità presente nelle murature. Inoltre va detto che esistono fondamentali differenze tra costruzioni antiche e moderne: negli edifici antichi l’umidità rilevabile tende ad essere costantemente di invasione e presenta carattere cronico; negli edifici nuovi, per contro, la tendenza è verso una umidità di costruzione che ha carattere transitorio. L’umidità presente negli edifici antichi può provenire sia dal sottosuolo per ascensione capillare che dall’aria per condensazione. L’umidità per ascensione capillare risulta caratterizzata da: - indipendenza dalle stagioni; - ridotta capacità di ascendenza sulle murature; - impregnazione dell’intero spessore della muratura, da una parete all’altra; - assorbimento dell’acqua dal terreno; - eliminazione relativamente rapida. L’umidità per condensazione ha invece le seguenti caratteristiche: - si manifesta ogni anno alla medesima stagione; - si verifica a qualsiasi altezza dell’edificio; - bagna le pareti in superficie e si combina con elementi inquinanti; - assorbe vapore acqueo dall’aria per raffreddamento del vapore contenuto; - si può eliminare velocemente producendo calore e ventilazione, ma si ripresenta. La soluzione più efficace per garantire la conservazione dei manufatti, soprattutto di quelli organici, appare l’installazione di un impianto di climatizzazione in grado di assicurare la stabilità dei valori termoigrometrici. Ma se tale soluzione è facilmente praticabile negli edifici moderni, per quelli di antica costruzione risulta notevolmente problematica, sia perché assente dalla progettazione originaria, sia per i vincoli di tutela cui sono sottoposti gli edifici storici. In ogni modo, l’esperienza fatta nei musei e nelle gallerie, così come in alcune biblioteche, ha dimostrato come un controllo soddisfacente possa essere ottenuto solo in edifici progettati per tale scopo. Ciò nonostante, alcune precauzioni possono contribuire a migliorare le condizioni effettive, al fine di preservare le collezioni: a) la struttura dell’edificio deve godere di una buona manutenzione, in modo tale da eliminare

problemi dovuti ad infiltrazioni d’acqua attraverso pareti e finestre o alla risalita dell’umidità dai piani umidi;

b) nel caso di variazioni pronunciate delle condizioni termoigrometriche, l’edificio dovrebbe essere isolato termicamente per ridurre tali oscillazioni. Tale isolamento è comunque d’obbligo prima di pensare all’installazione di un sistema di condizionamento.

3.4. Il rilevamento degli inquinanti atmosferici Il rilevamento qualitativo e quantitativo degli inquinanti atmosferici assume grande importanza nel settore dei beni culturali se si considera che gli inquinanti, anche se in maniera

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diversificata, hanno un effetto notevole sui manufatti di interesse storico-artistico, tenendo conto dei tempi lunghi di esposizione. Si è detto che gli inquinanti che presentano la maggiore aggressività, anche grazie alla loro ubiquitarietà e concentrazione, sono quelli provenienti dalle conbustioni ed, in particolare, il particellato e gli ossidi di zolfo e di azoto. Il traffico stradale e il riscaldamento determinano il principale contributo alle emissioni in zona urbana. La presenza degli inquinanti è sempre notevolmente condizionata dai parametri meteorologici di cui bisogna tener conto durante le campagne di misura (umidità relativa, temperatura, pressione, direzione, durata e velocità dei venti, nebbia, pioggia, brina, ecc...). I prelievi possono essere effettuati in modo continuo o discontinuo, prendendo in considerazione le durata e la frequenza dei campionamenti come parametri che influenzano la significatività delle misure ottenute. Attualmente esistono stazioni di rilevamento che provvedono automaticamente al prelievo e al dosaggio di inquinanti aerodispersi e dei solidi sospesi con la registrazione contemporanea dei parametri meteorologici. Le misure possibili per ridurre il livello dell’inquinamento atmosferico sono le seguenti: - miglioramento dei servizi di trasporto pubblico; - limitazione nell’uso di autovetture private nel centro cittadino; - regolamentazione e controllo delle emissioni delle automobili; - pulizia del manto stradale; - adozione di combustibili alternativi per i trasporti pubblici; - incremento e ottimizzazione delle fonti energetiche alternative ai combustibili fossili; - teleriscaldamento da fonti remote; - misure di risparmio energetico; - riduzione e controllo delle emissioni da sorgenti stazionarie; - utilizzo di combustibili a basso tenore di zolfo; - diffuso utilizzo della vegetazione per l’adsorbimento degli inquinanti e come barriera antipolvere

e antirumore. Più in particolare, allo scopo di controllare il livello di inquinamento nei centri storici e di limitarne gli effetti sui manufatti, alcune indicazioni operative, sia per interventi di manutenzione, sia per provvedimenti di miglioramento della qualità dell’aria, possono essere le seguenti: - attuare una politica di sensibilizzazione e di attenzione ai problemi dell’inquinamento atmosferico,

sollecitando una sempre più stretta e puntuale applicazione dei mezzi legislativi disponibili; - promuovere e realizzare una politica di controllo dei monumenti, non solo mediante ispezioni a

ciclo programmato, ma anche attraverso la regolare misura dei parametri chimici e fisici significativi del degrado, sviluppando di pari passo metodologie di semplice e rapida applicazione (per esempio, tramite la determinazione del grado di annerimento delle superfici) e mezzi altrettanto semplici di misura del flusso integrato di deposizione del biossido di zolfo, del biossido di azoto e del particellato (ad esempio, mediante esposizione di provini o per cattura degli inquinanti su campionatori passivi);

- sviluppare e applicare modelli di attribuzione (apportionment) per misurare, in modo semi-quantitativo, l’apporto distinto delle varie sorgenti all’accumulo di un determinato inquinante nei pressi di un monumento considerato come recettore, al fine di poter indicare, in modo chiaro e inequivocabile, una politica di indirizzo per il miglioramento della qualità dell’aria a livello locale;

- redigere mappe di rischio, con riferimento al problema dell’inquinamento atmosferico; - sviluppare e applicare modelli previsionali dell’inquinamento, prima dell’installazione di sorgenti

di grande potenza, finalizzati a determinare l’incremento del flusso integrato di deposizione degli inquinanti prodotti su singoli monumenti di particolare rilevanza e/o interi centri storici;

- sviluppare una politica di controllo e di prevenzione dell’inquinamento “indoor” e stabilire valori guida della qualità dell’aria per gallerie d’arte, musei, biblioteche, archivi e, in genere, ambienti confinati, considerati come contenitori di opere di interesse storico-artistico;

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- sviluppare, infine, al massimo grado una politica di manutenzione programmata, che consenta da una parte di esercitare un controllo continuo del bene culturale e dell’ambiente, dall’altra di effettuare una prassi di intervento razionale e sostitutiva, almeno in parte, dei restauri di grande formato, che caratterizzano purtroppo la maggior parte delle strategie nazionali di conservazione del patrimonio artistico.

3.5. La prevenzione Nell’ambito della conservazione del patrimonio culturale, in accordo con l’attuale teoria del “restauro preventivo”, si tende oggi a privilegiare e intraprendere politiche di tutela incentrate sulla prevenzione. In passato la conservazione del patrimonio culturale è apparsa un compito particolarmente difficile: troppo spesso le strategie conservative sono state quelle di salvare “il salvabile”, mediante interventi di restauro di estrema urgenza, a discapito dell’attuazione di provvedimenti di carattere preventivo. La prevenzione, rappresentando l’insieme delle operazioni di conservazione da effettuare su un qualsiasi bene culturale, assume un ruolo fondamentale nella programmazione di tutte quelle operazioni finalizzate alla salvaguardia del bene stesso. Si deduce quindi l’importanza della prevenzione in quanto comprendente quelle azioni di conservazione e manutenzione da effettuare o per rallentare il naturale processo di invecchiamento di un manufatto e di conseguenza evitare l’intervento di restauro vero e proprio, che è sempre un intervento traumatico per l’opera d’arte, o, se l’attuazione di tale intervento si rivela indispensabile, per far sì che il suo effetto possa essere il più duraturo possibile. 3.5.1. Forme di prevenzione La prevenzione dunque, contemplando tutta una serie di azioni di tutela volte alla rimozione dei pericoli e all’assicurazione di condizioni ambientali favorevoli, evita il ricorso ai restauri di estrema urgenza che difficilmente conducono ad un salvataggio completo del manufatto e che comunque rappresentano sempre per quest’ultimo un evento traumatico. I provvedimenti di carattere preventivo evitano il ricorso ad azioni conservative di maggiore ampiezza. Una corretta politica di prevenzione, mirante alla salvaguardia del bene culturale, deve operare non solo mediante operazioni di manutenzione e di conservazione da effettuare sul manufatto oggetto di considerazione, ma anche mediante interventi sul suo ambiente di conservazione. Si è infatti visto in precedenza come il bene culturale, che per definizione ha una durata illimitata sotto il profilo artistico, abbia un proprio ciclo di vita “fisica”, dipendente dalla natura dei suoi supporti materici e dalle alterazioni dovute agli agenti ambientali, siano queste di tipo naturale (chimico e fisico) e/o antropico. Tale processo di invecchiamento fisico subisce, a seconda dei casi, forti accelerazioni se ai fattori suddetti si sommano quelli dovuti alle errate politiche di conservazione, agli interventi non corretti di restauro, all’incuria e all’abbandono. Le azioni preventive sui beni culturali devono mirare proprio all’eliminazione e/o alla mitigazione di questi fattori, rallentando i naturali processi di invecchiamento, evitando il manifestarsi di ulteriori fenomeni di degrado e garantendo ai beni da tutelare idonee condizioni ambientali di conservazione nel rispetto delle “fasce di benessere” relative ai vari materiali costituenti i suddetti beni culturali. Nell’ambito di una politica di prevenzione - emblematicamente ci si riferisce a manufatti conservati in ambienti confinati ma evidentemente, con le opportune modifiche, la metodologia è applicabile anche ai beni esposti - occorre pertanto prendere in esame le condizioni di rischio che

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possono interessare i beni culturali e, di conseguenza, attuare appropriate azioni di preventive e correttive. Alla base di qualsiasi politica di prevenzione vi è l’attuazione di alcune operazioni fondamentali quali: - la valutazione dello stato di conservazione dei manufatti attraverso periodici e costanti controlli e

successiva registrazione con notazioni e considerazioni al riguardo; - il controllo dei parametri termoigrometrici, allo scopo di individuare e, nel caso, modificare quelle

situazioni microclimatiche che, presentando valori di temperatura e di umidità relativa non rientranti nelle “fasce di benessere” consigliate per i vari tipi di materiali costituenti i manufatti, possono influire negativamente sul loro stato di conservazione;

- il controllo del livello di illuminamento, in relazione sia all’irraggiamento naturale ad opera del sole sia a quello artificiale dovuto alle varie fonti di illuminazione, allo scopo di proteggere i manufatti dall’azione dannosa dei raggi ultravioletti, di quelli infrarossi e delle radiazioni visibili; - il controllo degli inquinanti aerodispersi (ossidi di zolfo, ossidi di azoto, ossidi di carbonio, materiale particellare, ecc..) presenti nell’ambiente di conservazione (sia questo “indoor” o “outdoor”).

Nelle tab. 13-14 vengono riassunte le fasce di benessere consigliate o raccomandate per le varie tipologie di manufatti15 relativamente ai valori di temperatura (T) e di umidità relativa (UR) e le azioni di prevenzione da effettuare nel tempo sui manufatti. Tab. 13. Limiti termoigrometrici “consigliati” o “raccomandati” (60)

MATERIALE

TEMPERATURA (°C)

UMIDITÀ RELATIVA (%)

T MIN

T MAX

ESCUR

S. GIORN

.

UR

MIN

UR

MAX

ESCUR

S. GIORN.

PITTURE MURALI

6

(inverno)

20 (estate)

8

(inverno)

25 (estate)

1,5

1,5

50

50

55

55

4 4

TESSUTI, PITTURA AD OLIO SU TELA, OPERE SU CARTA, LIBRI

12

24

1

35

50

4

MATERIALI DI ORIGINE VEGETALE, CUOIO, OSSO, AVORIO, CORNO,

12

24

1

35

50

6

15 Nell’impossibilità di fornire valori standard relativi alle fasce di benessere - la qual cosa è riconducibile alla difficoltà

di definire modelli fisico-matematici che consentano di correlare univocamente le condizioni ambientali (T, UR, illuminazione) con in singoli manufatti specificando di essi la tipologia materica e il periodo storico di fabbricazione -, si è effettuata la media dei valori minimi e massimi di umidità relativa e di temperatura riscontrati in un’ampia gamma di pubblicazioni nazionali e internazionali consultate, distinguendole in base alla tipologia dei manufatti oggetto della ricerca, al fine di ottenere dei valori indicativi di fasce di benessere “consigliate”.

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ARMATURE MOBILI, STRUMENTI MUSICALI IN LEGNO, SCULTURE IN LEGNO, MANOSCRITTI ILLUMINATI

21

23,5

1

50

50

2

LEGNO DIPINTO, PITTURE SU LEGNO

-5

23

1

45

60

2

FILMS, FOTOGRAFIE

>5

15

1

30

50

5

PIETRA, MARMO

5

2

0

45

5

CERAMICA, VETRO, METALLI

21

35

2

10

45

10

MATERIALI NATURALISTICI, FOSSILI

3

35

2

40

60

5

REPERTI ARCHEOLOGICI E MUMMIFICATI

23,5

2

20

35

5

PELLI, PELLICCE

5

2

30

30

5

N.B. La causa principale di danneggiamento è costituita dalle variazioni di Umidità Relativa.

Tab. 14. Interventi di prevenzione sui manufatti

Si deve valutare “lo stato di conservazione” del particolare manufatto nel particolare

ambiente di conservazione effettuando: - Controlli chimici

(verifica delle proprietà chimiche dei manufatti)

- Controlli fisici

(verifica delle condizioni fisiche delle parti costituenti i manufatti) - Controlli biologici

(valutazione della biodegradabilità dei materiali)

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3.5.2. Sistemi di contenimento La messa a punto di sistemi di depurazione dell’aria ha raggiunto, in particolare in questi ultimi anni, un notevole sviluppo, essenzialmente per quanto riguarda il campo industriale. Per ambienti da sottoporre a particolari cautele si sono sviluppati sistemi di filtrazione dell’aria, ad esempio nel settore farmaceutico, in quello elettronico, nelle sale operatorie, ecc.., tendenti essenzialmente alla eliminazione del particellato. Per quanto riguarda invece gli inquinanti gassosi, in genere la soluzione più adottata è la captazione dell’aria in zone “pulite”, ad esempio alla sommità degli edifici o lontano da sorgenti emissive locali. La ventilazione, naturale o forzata, rimane il fattore essenziale di rimozione di inquinanti formatisi negli ambienti chiusi per uso civile. Per quanto riguarda gli ambienti museali in aree ad alto tasso di inquinamento dell’aria, il sistema di ventilazione o condizionamento deve comprendere anche la filtrazione: in caso contrario, si potrebbero verificare infatti incrementi di concentrazione degli inquinanti “indoor” fino ad un livello pari o addirittura superiore a quello “outdoor”. Mentre è possibile in linea generale stimare le sostanze inquinanti qualitativamente, la loro concentrazione può risultare estremamente variabile negli ambienti confinati a seconda delle diverse zone e/o situazioni strutturali degli edifici. In linea di massima si possono avere inquinanti aereodispersi costituiti da: - materiale particellare di varia origine e natura (PST); - gas e vapori, organici e inorganici (SO2, NOx, CO2, O3, formaldeide, composti organici volatili:

COV, ecc...); - fibre, pollini, batteri, spore fungine. Le soluzioni tecniche per il contenimento delle concentrazioni di tali composti nell’aria dovranno tener conto delle loro caratteristiche chimico-fisiche. Data la possibile variabilità spaziale e temporale della presenza di inquinanti, può risultare necessario prevedere sistemi aventi tempi di funzionamento e di potenzialità variabili al fine di ottimizzare le efficienze di abbattimento e contenere i consumi energetici. In linea di massima, privilegiando soluzioni semplici e di facile applicabilità, si possono schematizzare le seguenti possibilità:

- azione di prevenzione: scelta dei materiali di rivestimento degli ambienti, modalità di accesso particolari, ambienti tecnologici attrezzati di entrata e di uscita, minimizzazione di disomogeneità termiche e di correnti d’aria, ecc..;

- azioni di rimozione: captazione e abbattimento, mediante sistemi di filtrazione ad alta efficienza, del PST (particellato sospeso totale), sistemi di adsorbimento degli inquinanti gassosi, sistemi combinati.

La filtrazione del particellato comporta l’utilizzo di filtri che periodicamente devono essere sottoposti a pulizia. La mancata manutenzione di tali sistemi può comportare il rilascio di sostanze precedentemente trattenute, vanificando l’effetto dell’impianto ed, in alcuni casi, aggravando la situazione preesistente. L’utilizzo di impianti di filtrazione deve essere accompagnato da rilevatori della loro efficienza, ad es. mediante indicazione della depressione del sistema come indice dell’intasamento dei filtri. Una accurata progettazione può consentire di adottare materiali filtranti tali da ottenere depurazioni spinte anche dal particolato di piccola granulometria (<1 µm). La misura del biossido di carbonio viene utilizzata, in alcuni casi, come indice della efficienza del ricambio di aria, in particolare in ambienti nei quali si ha un afflusso variabile di visitatori. Modulare i ricambi d’aria può consentire risparmi energetici di circa il 20-30%; una modesta circolazione dell’aria unita alla filtrazione consente di ridurre la concentrazione del materiale particellare, in particolare quello di piccole dimensioni (<1.7µm) (61). L’utilizzo di carboni attivi viene da lungo tempo effettuato nella impiantistica industriale per depurare atmosfere da un notevole numero di inquinanti: tra questi essenzialmente quelli di origine organica. L’adsorbimento su carbone è però reversibile e quindi si deve prevedere una periodica sostituzione dello stesso; infatti nel caso di saturazione si ha non solo l’inattivazione del sistema, ma anche la parziale cessione degli inquinanti precedentemente adsorbiti. Si deve inoltre tenere conto

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che il carbone attivo presenta una notevole capacità di adsorbimento, che si manifesta nei confronti di numerosi gas o vapori, compreso il vapor d’acqua. In particolare la presenza di acqua di condensazione o di polvere all’interno dei sistemi di adsorbimento “maschera” la superficie del carbone diminuendone velocemente le sue capacità di depurazione (62). Per tale motivo risulta necessario applicare un efficace sistema di filtrazione a monte (per impedire “mascheramenti”) e a valle del sistema a carbone (per evitare trascinamenti di polverino all’interno dell’ambiente). Questi sistemi risultano di difficile applicazione ed eccessivamente costosi per vasti ambienti, mentre si possono applicare con successo nel caso di modeste cubature, come piccoli locali, teche, ecc... In situazioni particolari si può prevedere l’accoppiamento di diversi sistemi: ad esempio l’utilizzo di carbone attivo trattato con alcali, al fine di aumentarne l’efficienza, può rimuovere una quantità di acido solfidrico maggiore del suo peso. In tale caso si utilizza sia il potere adsorbente del carbone attivo, sia la capacità degli alcali di reagire con l’acido solfidrico; inoltre l’ossidazione (per es. con permanganato) dei composti solforati in prodotti non volatili elimina la possibilità di desorbimento degli stessi. Il carbone attivo si comporta come catalizzatore nella reazione che avviene sulla sua superficie, e l’aggiunta di metalli nobili e ossidi metallici incrementa ulteriormente la reazione di ossidazione . In particolari condizioni, i materiali di natura organica (legno, carta, stoffa, pelli, ecc...) sono soggetti ad un degrado biologico celere. Infatti i microrganismi trovano spesso nei manufatti organici il terreno e le condizioni ideali per il loro metabolismo. Quando si verificano particolari condizioni al contorno, come umidità superiore al 70%, temperatura ottimale (20-30°C), luce ed aria in quantità opportune, quello che era un rischio potenziale si trasforma in biodeterioramento vero e proprio. Il processo avviene quasi sempre gradualmente: si passa così da una contaminazione superficiale, ad un attecchimento che prima è superficiale e poi si estende anche in profondità, denunciando una colonizzazione avvenuta. Per prevenire l’azione dei biodeteriogeni, sembra logico intervenire ricorrendo a misure specifiche per ognuno di essi, correggendo uno o entrambi i parametri ambientali sopra citati (temperatura ed umidità) che, come abbiamo visto, costituiscono le condizioni necessarie per il loro sviluppo. Agli specialisti rimane il compito di risolvere quei particolari problemi che si possono presentare di volta in volta e la cui gravità deve essere stimata, preliminarmente ai successivi interventi di bonifica e restauro. 3.6. Le problematiche ambientali prioritarie Più in particolare le 12 problematiche ambientali prioritarie, come da Valutazione di Dobris, sono riconducibili a: - cambiamenti climatici ed effetto serra; - distruzione dell’ozono stratosferico; - acidificazione; - ozono troposferico; - sostanze chimiche; - rifiuti; - biodiversità; - acque interne; - ambiente marino e costiero; - degrado del suolo; - ambiente urbano; - rischi tecnologici e naturali - elettrosmog; - gas radon.

Nei paragrafi che seguono vengono più specificamente prese in esame, fra le suddette problematiche, quelle più strettamente inerenti l’argomento della trattazione.

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3.6.1. Cambiamenti climatici ed effetto serra Con il termine “effetto serra” si indica un insieme di processi fisici e chimici attualmente in svolgimento sul pianeta, il più evidente dei quali è il rapido aumento della temperatura sulla superficie della Terra, fenomeno che innesca drastici mutamenti nel clima. Le cause dell’effetto serra sono riconducibili alle industrie, agli autoveicoli, agli impianti di riscaldamento che hanno prodotto, negli ultimi cento anni, un’enorme quantità di biossido di carbonio e di altri gas nocivi come il protossido di azoto, il metano e altri idrocarburi ed i clorofluorocarburi, che si sono accumulati nell’atmosfera. Il biossido di carbonio e gli altri gas citati sono in grado di svolgere un ruolo importante nella regolazione delle temperature globali. Questa cappa di gas sta producendo pesanti conseguenze: le molecole di biossido di carbonio (come quelle di altri gas), non assorbono, a causa delle loro proprietà strutturali, le radiazioni di lunghezza d’onda comprese nella gamma del visibile (in cui è concentrata la maggior parte dell’energia della luce solare) nel tragitto verso la Terra, ma assorbono e reirradiano una parte delle radiazioni infrarosse, di lunghezza d’onda più lunga, che altrimenti verrebbero rimandate dalla superficie terrestre nello spazio L’aumento del biossido di carbonio del 25% negli ultimi cento anni, impedendo al pianeta di cedere il calore in eccesso, provoca un aumento medio della temperatura superficiale della Terra. Perché si ristabilisca una situazione di equilibrio nello scambio termico, sarebbe necessario anche un aumento della capacità di irraggiamento della superficie terrestre e dell’atmosfera pari alla radiazione infrarossa assorbita. Poiché ciò non è possibile, l’alterazione dell’albedo terrestre provoca un aumento della temperatura e determina l’evaporazione di ingenti masse d’acqua marina che si accumulano sotto forma di vapore acqueo nell’atmosfera. Ad accelerare questo fenomeno hanno contribuito anche i disboscamenti incontrollati di alcuni polmoni verdi del pianeta, veri e propri laboratori chimici naturali, il cui biossido di carbonio viene trasformato in ossigeno durante il processo della fotosintesi. Noto questo fenomeno è possibile ipotizzare delle conseguenze: - l’alterazione del bilancio termico sulla superficie terrestre può provocare variazioni nelle

correnti atmosferiche e nel regime delle piogge dando luogo a spaventosi uragani; - l’aumento della temperatura può portare ad un massiccio avanzamento dei deserti, con

conseguente diminuzione della superficie coltivabile; - il calore diffuso potrebbe portare allo scioglimento delle calotte polari e al conseguente

innalzamento del livello degli oceani. 3.6.2. Distruzione dell’ozono stratosferico L’ozono è una molecola reattiva ossidante, che si forma quando le radiazioni ultraviolette colpiscono una molecola di ossigeno. Il fotone scinde l’ossigeno in due atomi che si combinano rapidamente con molecole di ossigeno formando ozono. L’ozono assorbe poi rapidamente radiazioni ultraviolette che lo dissociano in ossigeno atomico e molecolare; l’atomo di ossigeno si unisce successivamente ad una molecola di ossigeno per riformare ozono ed il processo si evolve finché una molecola di ozono, associandosi ad un atomo di ossigeno, forma due molecole di ossigeno stabile. Il risultato è che la concentrazione di ozono raggiunge uno stato stazionario dinamico, in cui la velocità di formazione uguaglia quella di dissociazione. Questo composto, che è molto pericoloso all’altezza del suolo perché con gli idrocarburi presenti nell’aria contribuisce alla formazione dello smog fotochimico, è tuttavia di fondamentale importanza per la vita sul nostro pianeta. Infatti l’ozono presente nella stratosfera costituisce un filtro delle radiazioni ultraviolette, impedendo che queste possano raggiungere il suolo ed agire decomponendo molecole biologiche, aumentando l’incidenza dei tumori nonché provocando danni alle colture.

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La causa della diminuzione dell’ozono stratosferico al di sopra dell’Antartide (“buco dell’ozono”) sarebbe da attribuire alla presenza di agenti chimici inquinanti, soprattutto agli ossidi di azoto e ai clorofluorocarburi (CFC). 3.6.3. Biodiversità Con il termine “biodiversità” o diversità biologiche si indica «la variabilità degli organismi viventi di qualsiasi origine e i sistemi ecologici dei quali sono parte. Nel concetto di biodiversità è inclusa la diversità all’interno delle specie, tra le specie e gli ecosistemi» (UNEP, Global Biodiversity Assessment, 1995). La Convenzione di Rio de Janeiro (1992) sulla biodiversità considera tre livelli paritetici di biodiversità: - livello genetico, inteso come la totalità dei geni e delle caratteristiche genetiche degli individui

di ciascuna specie; - livello di specie, inteso come il complesso delle specie che attualmente vivono sul pianeta; - livello ecologico, inteso principalmente come varietà di ecosistemi presenti sulla Terra.

All’interno di questo sistema sono considerati anche gli ecosistemi urbani e rurali modellati in larga misura dalle attività umane.

La distribuzione e la quantità di biodiversità sono il prodotto di più di 3,5 miliardi di anni di evoluzione, sulla quale hanno influito: - i naturali processi di formazione di nuove specie; - l’adattamento; - l’estinzione; - gli effetti delle attività umane compatibilmente con lo sviluppo delle tecnologie, con i processi di produzione e con quelli di inurbamento. Gli obiettivi della Convenzione di Rio sono: - la conservazione della biodiversità; - l’uso sostenibile delle sue componenti; - l’equa condivisione dei benefici derivanti dall’utilizzo delle risorse genetiche. CAPITOLO 4 FONDAMENTI DI ECOLOGIA DELLE ACQUE INTE RNE Limnologia

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La limnologia (dal greco "limne" = acqua stagnante e "logos" = studio) è lo studio scientifico delle caratteristiche fisiche, chimiche e biologiche delle acque dolci A SCARSO MOVIMENTO (includenti laghi, stagni, corsi d'acqua e serbatoi idrici a cielo aperto) inclusi i fenomeni idrologici in relazione con l'ambiente. Se inteso come ecosistema, un lago (o qualsiasi altro corpo idrico) deve essere considerato intimamente connesso con l'ambiente terrestre che lo circonda (bacino imbrifero). Infatti, la qualità delle acque è determinata, in ultima analisi, dalle caratteristiche del bacino imbrifero e dalle modalità di utilizzo del territorio circostante.

Da qui appare chiaro come gli studi limnologici includano, oltre a discipline quali la chimica, la fisica e la biologia, anche la geologia e la meteorologia, fino alla statistica demografica ed economica.

I sistemi utilizzati per la preservazione della qualità delle acque dei corpi idrici sono stati progettati in larga misura tenendo conto dei principi definiti sulla base degli studi limnologici.

I problemi connessi con l'eutrofizzazione possono essere definiti e inquadrati correttamente solo dalla ricerca limnologica. Negli anni '70 e '80 l'attività di ricerca dei limnologi sull'eutrofizzazione ha favorito - una volta definite da un punto di vista quantitativo le relazioni tra carichi di nutrienti e sviluppo algale - la promulgazione di leggi contro l'inquinamento delle acque e l'abbattimento del contenuto di fosforo nei detersivi.

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I. INTRODUZIONE

Arredo Il biotopo, lo stagno per nuotare, la piscina o la vasca di ritenzione su suolo

privato e pubblico sono ancora elementi paesaggistici molto apprezzati. Oltre ai biotopi, ovvero le acque con un passaggio acqua-terra naturale, gli stagni, le fontane e i giochi d'acqua prendono sempre di più il posto di prati monotoni, angoli inutilizzati e piazze asfaltate.

Attrazioni Le oasi umide, a prescindere che vengano costruite per motivi ecologici,

pedagogici o estetici, esercitano un'attrazione irresisitibile su grandi e piccoli. I bambini sono attirati dalla miriade di piante e animali acquatici da scoprire. Negli ultimi anni, anche gli insegnanti hanno scoperto il valore didattico dei biotopi e li usano, pertanto, per applicare il tanto lodato metodo di "didattica sul campo”.

Analisi del rischio Prima di realizzare uno stagno una piscina o altro, va chiarito bene se si vuole usare l'impianto per nuotare, o se si desidera solo un ambiente naturale, un impianto di bellezza, un impianto di ritenzione, ecc. In base all'impianto scelto, l'analisi del rischio deve tener conto dell'uso, degli utenti e dei pericoli. Alcuni punti importanti sono per esempio: quale fascia d'età usa l'impianto, i bambini piccoli sono tenuti d'occhio o meno, ci sono degli attrezzi di salvataggio, vi è il pericolo di annegamento, è possibile cadere da una certa altezza? Secondo il piano d'uso e di sicurezza vanno poi prese le misure di sicurezza più idonee. Evitare le barriere per gli animali

Gli elementi protettivi per gli esseri umani non devono diventare una barriera per gli animali. Una rete che tocca il suolo, per esempio, sbarra l'accesso all'acqua ai ricci; un tubo di cemento nell'acqua può rivelarsi una trappola per diversi animali.

II. SITUAZIONE

1. Sinistrosità

Pericoli Gli incidenti per annegamento dei bambini (0–5 anni) si verificano soprattutto in laghi o fiumi e non nelle piscine pubbliche. Ma anche nelle acque minori succedono incidenti tragici che potrebbero spesso essere evitati mediante apposite protezioni.

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Figura 1: Il fascino dello stagno

Mentre gli adulti sono coscienti che laghi, fiumi e ruscelli grandi sono pericolosiper i bambini, lo sono meno per le acque minori. È importante sensibilizzare i genitori, i bambini e anche i proprietari delle suddette acque nei confronti dei possibili pericoli. Può anche capitare che si infortunino bambini degli ospiti o dei vicini. Questo è dovuto al fatto che i genitori e i bambini non realizzino il pericolo e che, di conseguenza, quest'ultimi non vengono tenuti d'occhio.

Le acque minori sembrano innocue. Tuttavia, già una spanna d'acqua può essere letale per un bambino. Nelle acque minori annegano ogni anno 5–10 bambini compresi tra 1 e 4 anni.

L'acqua è divertente ed attira perciò irresistibilmente i bambini. I biotopi, inoltre, permettono di osservare e conoscere moltissime piante interessanti, rane, pesci, ecc. I bambini però ignorano ancora i pericoli e, facendo esplorazioni azzardate, cadono in acqua perché scivolano o perdono l'equilibrio. Spesso,questi incidenti occorrono quando i bambini non sono tenuti d'occhio da un adulto e, di conseguenza, ogni soccorso potrebbe arrivare troppo tardi.

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Figura 2: Bambini che giocano con l'acqua

I polmoni di un bambino che sta annegando e tenta disperatamente di respirare o di chiedere aiuto, si riempiono rapidamente di acqua. I bambini hanno una testa pesante e una muscolatura debole, pertanto una volta sott'acqua, i bambini non sono più in grado di sollevare la loro testa dall'acqua. Nemmeno da una profondità esigua. Anche se un numero indeterminato di bambini può essere salvato, alcuni riportano lesioni cerebrali irreversibili dovuti al mancato apporto di ossigeno. In altri casi, i bambini subiscono una regressione nello sviluppo di mesi o persino anni e devono faticosamente reimparare o recuperare in una terapia le funzioni anche più semplici.

2. Tutela delle acque Legge sulla protezione delle acque

L'obiettivo principale della tutela delle acque consiste nel proteggere le acque da "effetti negativi". Questa massima è contenuta nella legge sulla protezione delle acque che precisa anche come raggiungere l'obiettivo. In modo semplificato si può dire che le acque devono essere protette nel loro complesso ovvero l'intero ambiente naturale. Da ciò il legislatore conclude che garantisce contemporaneamente la base vitale(acqua potabile) per l'essere umano

. Ciclo dell'acqua Tutelare le acque significa dunque anche difesa della natura.

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Il mantenimento ovvero il ripristino del naturale ciclo dell'acqua richiede interventi architettonici come per esempio la rinaturalizzazione delle acque, gli impianti di infiltrazione o altre misure atte a garantire il ciclo dell'acqua.

Conflitti d'interesse La vita quotidiana è caratterizzata da conflitti d'interesse tra ecologia ed

economia che emergono in particolare nel campo dell'agricoltura, della produzione di elettricità, del turismo e della protezione da alluvioni.

3. Costruzioni e pericoli

Per i bambini, le acque naturali o artificiali rappresentano sempre un pericolo. A questo si aggiungono anche le insidie delle costruzioni. I vari pericoli legati alle costruzioni idrauliche sono spesso difficili da valutare. Pertanto, la prevenzione degli infortuni è imperniata sulle seguenti misure: � provvedimenti di sicurezza sui cantieri � protezioni fisse per le costruzioni con pericoli particolari La pianificazione deve già includere i pericoli particolari. Una buona pianificazione tiene conto degli eventuali rischi d'incidente e, in base ai risultati, dell'integrazione di misure. Una tale analisi è indispensabile per le acque collocate in zone abitate e concerne principalmente l'apertura dei ruscelli e la costruzione di vasche di ritenzione e conche di infiltrazione. Nelle zone non abitate bisogna fare attenzione particolarmente agli argini contro le piene, alle dighe, alle grandi vasche di raccolta dell'acqua piovana e ai bacini di raccolta di materiale.

Costruzione/Uso Pericolo Gruppi a

rischio

Misure di sicurezza

Ruscello

rinaturalizzato

in zona abitata

Annegamento

Bambini e

anziani

� Rive piane

� Ostacolare l'accesso con piante

� Profondità esigua

� Tenere d'occhio i bambini

Grande

immissione in

zona abitata

Caduta,

annegamento

in caso di

piena

improvvisa

Bambini e

anziani

� Sbarrare gli accessi alle costruzioni

� Chiudere a chiave i coperchi dei

tombini

� Quando piove, non far avvicinare i

bambini all'acqua

Page 137: Beni culturali  2010

137

Costruzione di

sussidio

per vasca di

ritenzione,

per argine contro

piena

Caduta

Bambini,

adulti (anziani)

� Sbarrare l'accesso con misure

architettoniche

idonee

Vasca di ritenzione,

conche di

infiltrazione,

vasca di ritenzione a

filtro, stagno

Annegamento

Bambini

� Recintare i punti pericolosi nelle

zone

abitate

� Tenere d'occhio i bambini � Non avvicinarsi quando piove

Bacini di raccolta di

materiale, pozzetto di

decantazione, vasca

di

decantazione

Annegamento

in seguito a

caduta

Bambini e

persone che

non sono del

luogo

� Sbarrare l'accesso (recinzione,

piantagione folta)

Dighe

Annegamento

sotto le dighe

dopo

innalzamento

improvviso

dell'acqua

Bambini e

adulti

� Tener conto delle informazioni

emesse

dalle centrali elettriche

� Tenere d'occhio i bambini

� Non avvicinarsi quando piove

Tabella 1: Analisi del rischio 4. Cantieri Fascino cantiere I pericoli derivanti dai cantieri e in particolare dai cantieri accanto o

nell'acqua vengono sottovalutati. I cantieri nei pressi dell'acqua sono affascinanti e attirano grandi e piccoli. Purtroppo, celano insidie particolari: si rischia per esempio di scivolare nella scarpata, di cadere da costruzioni particolari, di annegare, o di sprofondare nel fango di vasche di decantazione provvisorie.

Page 138: Beni culturali  2010

138

Figura 3: Cantiere :

Sui cantieri l'avanzamento lineare dei lavori permette solo misure di sicurezza insufficienti. Nei pressi di zone abitate, bisogna però adottare provvedimenti per proteggere le persone. Principalmente, è importante indicare mediante una barriera fisica che il cantiere presenta dei pericoli. Alcuni cantieri possono essere visitati con una guida. Sui cantieri, i bambini vanno sempre tenuti d'occhio e accompagnati.

III. MISURE PROTETTIVE Proteggere i bambini e gli anziani

Durante la progettazione, la pianificazione e la realizzazione di acque artificiali emergono regolarmente problemi di sicurezza. Bisogna sempre attendersi che un bambino giochi da solo nei pressi dell'acqua. Questa realtà persiste anche se si colloca un cartellone di divieto, se si informa gli abitanti della zona o se si fa appello alla tanto citata "responsabilità dei genitori". Pertanto, è importante proteggere i bambini dai pericoli che non possono, o solo difficilmente, realizzare. In altre parole: vanno evitati tutti i pericoli o le trappole nascoste. Anche una parte degli anziani non riesce più a riconoscere bene i pericoli.

Sensibilizzare rispetto ai pericoli

Le esperienze con i rischi limitati e individuabili che comportano al massimo

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139

conseguenze lievi, fanno parte della vita di un bambino. I piccoli devono imparare a vivere con i pericoli. In questo modo diventano più sensibili rispetto ai pericoli e possono raccogliere esperienze per le situazioni future. Per evitare gli annegamenti, però, non bisogna fare affidamento solo sulle misure educative, poiché gli incidenti con l'acqua spesso non lasciano nessuna alternativa tra vita e morte. In inverno, inoltre, anche i bambini più grandi potrebbero accedere a una superfice ghiacciata instabile. In questi casi, gli interventi di salvataggio si rivelano spesso difficili (vedi pagina 21).

Acque sicure Normalmente, i bambini in età prescolastica sono tenuti d'occhio.

Tuttavia, è impossibile stargli sempre dietro e i bambini, inoltre, devono avere la possibilità di scoprire autonomamente il mondo che li circonda. Pertanto, nei pressi del quartiere le acque vanno rese sicure mediante misure tecniche. Ma anche i luoghi che si trovano a 200 m dal quartiere vengono rapidamente scoperti dai bambini. Ciò significa che le acque esistenti devono essere analizzate e che vanno prese le necessarie misure di sicurezza se sussiste un reale pericolo (p. es. quartieri nuovi).

1. Principi d'arredo e di sicurezza

Le seguenti misure di sicurezza possono essere realizzate al momento della costruzione di un'acqua artificiale ed essere usate anche per una già esistente. La soluzione più idonea dipende dall'ubicazione, dalla grandezza e dal tipo dell'impianto. Spesso la protezione più appropriata è una combinazione di diverse misure.

Figura 4: Elementi di sicurezza combinati, recinzione e acqua non profonda

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140

� Ubicare le acque artificiali solo in punti ben visibili.

� Il pelo dell'acqua non dovrebbe trovarsi in una conca.

� Non collocare le zone grill e picnic immediatamente accanto ad acque

prive di misure di sicurezza.

� Non collocare banchine nei punti dove l'accesso all'acqua è coperto da

una piantagione folta.

� Piantare piante/cespugli a crescita alta per realizzare rive inaccessibili.

� I punti ben accessibili vanno resi sicuri mediante un tratto di riva piana

larga almeno 1 m. Tale soluzione permette di usare una parte della

riva piana a scopi ludici.

� Gli incidenti sono spesso dovuti a rive troppo profonde o instabili (lastre

e pietre traballanti, fondo fangoso).Per le rive vanno scelti materiali

antisdrucciolevoli.

� Gli utensili di salvataggio (anello, pallone, dado, asta di salvataggio,

ecc.) collocati a portata di mano, richiamano l'attenzione sui pericoli.

Profondità dell'acqua

Stando agli esperti, gli stagni sono spesso troppo profondi.

� Secondo le raccomandazioni della Società svizzera degli ingegneri e

degli architetti SIA contenute nella documentazione D 002 Protezione

contro gli infortuni nelle costruzioni "le piscine per i piccoli e gli stagni

nei parchi giochi non devono superare i 20 cm di profondità”.

� La riva piana deve avere una profondità massima di 20 cm e una larghezza

minima di 1.0 m.

� Ogni livello successivo deve venire a trovarsi 20 cm max. più profondo

e deve essere largho al minimo 1.0 m. Ciò significa che lo stagno deve

essere terrazzato (vedi pagina 12/13 e Figura 7 + Figura 8).

� L'acqua deve poter traboccare in modo tale da non superare la profondità

massima (anche dopo un periodo di pioggia).

� Nell'Altopiano

basta una profondità massima di 60–80 cm per

impedire che lo stagno si secchi o si geli del tutto.

� Anche in una profondità di 30–60 cm crescono le ninfee (secondo il

tipo!).

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141

2. Acque artificiali e biotopi grandi Gli impianti di dimensione superiore diventano spesso un luogo d'incontro per grandi e piccoli. Pertanto l'arredo deve essere invitante e sicuro.

Figura 5: Suddivisione in uno "stagno per giocare" e uno stagno più profondo e recintato

Dove lo spazio lo permette, gli stagni e gli impianti di ritenzione o di infiltrazione vanno realizzati in base a un concetto globale ragionato. Purtroppo, a una soluzione differenziata spesso si preferisce uno stagno sovradimensionato e insoddisfacente dal punto di vista ecologico e antinfortunistico.

Dividere gli stagni Nella maggior parte dei casi, al posto di un unico stagno grande, conviene realizzare due bacini che possono essere comunicanti tramite un canale

(con possibilità di piantare cespugli o simile sui bordi). Mentre una parte dell'impianto è destinata ai bambini, l'altra può essere recintata (Figura 5).

La suddetta misura di sicurezza può essere realizzata anche in un secondo tempo: basta, infatti, riempire con terra una parte dello "stagno per giocare e recintare l'altra metà (Figura 4).

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Figura 6: Scuola

Per le scuole con molto terreno a disposizione, si presta benissimo un

impianto composito consistente in diversi habitat (p. es. suddivisione in due o

più bacini, vedi "Dividere gli stagni”, pagina 10).

Una metà dello stagno potrebbe essere recintata e avere dei pesci.

Per ottenere un impianto eseguito a regola d'arte, tale soluzione potrebbe

essere valorizzata con una vasta fascia verde con prato magro, alberi a foglie

e ad aghi, piante rare, insetti, rettili, animali terrestri, ecc.

Una simile fauna e flora ricca sarebbe ovviamente una soluzione

interessantissima sia dal punto di vista pedagogico che della sicurezza.

2. Realizzazione terrazzata

La realizzazione terrazzata è ecologicamente interessante e contribuisce a un

arredamento sicuro dello stagno, della vasca di ritenzione o di altre

acque.

I diversi livelli permettono di offrire a ogni pianta l'habitat migliore (chiedere

paesaggisti ed esperti per la costruzione di stagni).

La riva piana è anche una "zona di sicurezza” che impedisce l'annegamento

di un bambino che cade nell'acqua.

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Figura 7: Pianta di realizzazione terrazzata

� Il bordo della riva piana deve misurare almeno 1.0 m e non superare una

profondità di 20 cm. Questa soluzione permette di osservare flora e fauna e

contribuisce notevolmente alla sicurezza dell'acqua.

� Il fondo della riva piana deve essere antisdrucciolevole e solido. I bambini

che cadono nell'acqua si appoggiano istintivamente sulle mani per poter

respirare. Dove il fondo della riva piana è fangoso o scivoloso, i piccoli non

trovano appoggio e possono annegare nonostante la profondità esigua.

� I dislivelli (molta acqua dopo periodo di pioggia, poca acqua in caso di

siccità) devono essere neutralizzati mediante una realizzazione terrazzata

comprendente l'intero impianto. Dove si terrazza solo la riva, vi è il pericolo

che questa si inaridisca e che i bambini cadano in una zona più profonda.

Figura 8: Sezione di realizzazione Terrazzata

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144

Durante i lavori di sterramento bisogna badare che non si superi la profondità

prevista per l'acqua artificiale (Figura 8). Il pericolo sussiste perché spesso

non si considera sufficientemente la terra depositata al bordo e usata per

rialzare il terreno.

� Per impedire che il suolo diventi scivoloso, nella fascia secca (larga 40–60

cm) bisogna rinunciare a humus e piante. Inoltre, l'humus può deteriorare la

qualità dell'acqua.

� Il pelo dell'acqua di un biotopo non deve mai venire a trovarsi in una conca

che costringerebbe un bambino a chinarsi troppo per poter osservare flora e

fauna (Figura 8).

� Per motivi di sicurezza, le rive piane dei punti ben accessibili e di quelli

per giocare devono disporre di un'ampia larghezza.

3. Sollevare il fondo

Sollevare il fondo delle acque artificiali per abbassare il livello dell'acqua è

una di tante possibilità per ridurre il rischio d'infortunio di biotopi e stagni

esistenti. Nel caso di acque naturali o impianti tecnici (p. es. raccoglitori di

fango), la misura non è possibile o persino proibita.

Figura 9: Sezione di riva sollevata

� Lo stagno può essere terrazzato e reso più sicuro anche in un secondo

tempo, togliendo il telo vecchio (se ve ne è uno) e terrazzando il suolo.

Dopo può essere riposato il telo (Figura 9).

� Il fondo può essere sollevato anche mediante uno strato di coltura. Il

fondo sotto il traliccio e lo strato di coltura non deve per forza essere

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145

colmato di terra (Figura 10).

� Un tubo di cemento collocato al centro dello stagno e con uno strato

d'acqua profondo 60–80 cm protegge da gelo o inaridimento.

Attorno al tubo va gettato uno strato di pietre e pietrisco di 20 cm consistente

in un primo strato di pietre grandi, in un secondo di pietre medie e un ultimo

di pietrisco. Per sicurezza, il tubo può essere coperto con una piccola rete.

Infine, per impedire che diventi una trappola per gli animali acquatici, va

munito di piccole pietre che fanno da scala.

Figura 10: Un'acqua artificiale pericolosa trasformata in una sicura mediante terrazzamento

� Un lato rimasto eventualmente profondo e pericoloso, va reso inaccessibile

con cespugli e/o un recinto parziale.

Il lato destinato all'osservazione, invece, va arredato in modo generoso (vedi

pagina 27).

� Dove lo spazio lo permette, le rive piane mancanti possono anche essere

realizzate in un secondo tempo, cingendo l'acqua artificiale con una riva poco

profonda.

Il passaggio dalla riva piana alla zona profonda deve essere graduale e può

essere ottenuta mediante l'apporto di materiale riempitivo (vedi pagina 18).

4. Recinzione

Spesso, il recinto rappresenta la miglior sicurezza per l'essere umano, la flora

e la fauna.

Tuttavia il successo di questa soluzione dipende da alcuni criteri: infatti, una

recinzione difettosa infonde solo una falsa sicurezza.

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146

Inoltre, il recinto richiede una manutenzione regolare e accurata.

Figura 11: Recinzione occultata

Mediante una posa ragionata di piante, la recinzione può essere sottratta alla

vista per salvaguardare l'idillio dello stagno.

� Tra riva e recinzione deve esserci una distanza di almeno 1 m affinché

flora e fauna possano essere osservate da vicino.

Un recinto collocato direttamente sulla riva impedisce di scoprire, p. es. con i

bambini, l'habitat acquatico e di svolgere i lavori di manutenzione.

� Solo una recinzione alta almeno 1.0 m offre vera sicurezza.

Inoltre, la maglia della rete o la distanza tra le stecche non deve superare i 4

cm

se fino a un'altezza di 75 cm il recinto presenta sostegni per scalare.

� La recinzione dovrebbe lasciare uno spazio di 10–12 cm tra bordo inferiore

e suolo. In tal modo i ricci o altri animali piccoli possono raggiungere l’acqua

Un cancello permette di avvicinarsi all'acqua artificiale per osservare flora

e fauna.

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Figura 12: Cancello

Per prevenire una tragedia, è importante che il cancello non possa

essere

aperto troppo facilmente o che non rimanga involontariamente aperto.

� Serratura: chi possiede una chiave?

� Chiudiporta montato all'interno affinché i bambini non possano aprire il

cancello.

� Molla molto resistente che va controllata 2–3 volte l'anno.

� Combinare il chiudiporta con una maniglia di sicurezza raggiungibile

solo dai bambini più grandi.

6 Strato di coltura

Lo strato di coltura può essere posato su una sottostruttura oppure, se

consistente in pezzi galleggianti, fissato puntualmente.

I precoltivati strati di coltura di canne sono piantine coltivate secondo il

sistema di idrocoltura e non necessitano di substrato.

Dopo la posa, le piante pluriennali continuano a crescere senza problemi,

formando immediatamente un folto strato di piante.

Gli strati di coltura possono essere usati anche in biotopi piccoli da giardino,

in stagni per nuotare o in vasche di depuratori dell'acqua (brevetto strato di

coltura EP 1386 535 A2)

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Figura 13: Principio dello strato di coltura OEKO

Lo strato di coltura è già stato usato con successo.

In una vasca depuratrice o di raccolta per l'acqua piovana e accessibile per il

pubblico sono state adottate le seguenti misure.

� Una vasca decorativa esterna comprendente tutti i lati, larga 2.0 m circa e

profonda 15–20 cm garantisce una riva piana.

� Il serbatoio dell'acqua sporge di 30 cm oltre il livello della vasca

decorativa, formando così una barriera insieme alle folte piante galleggianti.

� La combinazione di strato di coltura galleggiante e sistema protettivo (reti

protettive orizzontali) occupa poco spazio e riduce i costi. La rete protettiva

coperta di piante e sottratta alla vista, può essere posata facilmente in un

secondo tempo ed è priva di elementi pesanti (importante per i teli) e

costruzioni in acciaio.

� Il serbatoio d'acqua circondato da un bordo di sicurezza largo 1.20 m è

coperto con uno strato di coltura. Quando il livello dell'acqua è basso, lo

strato di coltura viene a trovarsi sul bordo delle mensole collocate a un livello

inferiore.

� Gli strati di coltura sono completamente coperti di fitte piante di palude.

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� All'esterno del bordo di sicurezza di 1.20 m, il pelo dell'acqua è coperto

anche con uno strato di coltura galleggiante ricoperto di piante. Questi strati,

fissati ai primi con cardini, sono in grado di portare un bambino che vi cade

sopra.

� Il 90 % del serbatoio d'acqua è ricoperto di piante e protetto così da alghe e

calore. Il serbatoio assume una funzione di climatizzatore perché d'estate con

la sua acqua è possibile climatizzare le sale conferenza.

� Le dimensioni delle mensole di sostegno, dei fissaggi e dei tiranti

permettono di sostenere anche il peso di un adulto. Per la sottostruttura è

stato usato materiale inox e non deteriorabile.

� Dovessero esserci ancora delle superfici d'acqua più grandi, potrebbe

essere utile collocare degli attrezzi di salvataggio. Le piante fitte, infatti,

impediscono a un adulto che cade in acqua di salvarsi con le proprie forze.

� Durante i lavori di manutenzione o per la potatura delle piante, non devono

sorgere lacune di sicurezza. Se necessario, bisogna adottare le misure di

sicurezza necessarie. Un piano d'uso e di sicurezza può rivelarsi utile per

individuare anzitempo le lacune di sicurezza.

� In inverno, quando l'acqua gela, si forma un amalgama di piante e ghiaccio

che riduce notevolmente il pericolo di rottura dello strato ghiacciato.

7. Costruzione con rete

Una rete collocata in contenitori d'acqua, fontane o in punti profondi è una

valida misura di sicurezza. La rete tuttavia deve essere ben montata e non

deve piegarsi.

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Figura 14: Stagno con rete

� La rete (metallo, plastica rinforzata con fibra di vetro, vetroresina) può

essere montata fino a una profondità massima di 10 cm sotto il pelo

dell'acqua.

� La maglia della rete non dovrebbe superare 4 x 4 cm. Le maglie più grandi

possono ferire i bambini o far sì che vi restino impigliati.

� La costruzione dovrebbe essere facilmente smontabile per poter pulire lo

stagno/la fontana.

� Per gli stagni di dimensione più grande, una sufficiente sicurezza può

essere offerta solo mediante una complessa costruzione con rete.

8. Superfici d'acqua gelate

L'acqua affascina sempre. Anche in inverno, quando un periodo prolungato

di freddo forma uno strato di ghiaccio sul pelo dell'acqua, queste superfici

vengono invase da grandi e piccoli. I laghi alpini vengono usati per diverse

attività sportive (corse di cavalli, sci di fondo, triatlon invernale) e le acque

minori dell'altopiano e delle zone prealpine vengono usate per pattinare.

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151

La prudenza però è d'obbligo, poiché alcuni strati di ghiaccio sono fragili. Il

ghiaccio galleggia e per poter essere accessibile deve disporre di determinate

caratteristiche.

Figura 15: 6 regole del ghiacco della

� La documentazione della SSS "La capacità di carico del ghiaccio" contiene

informazioni dettagliate.

� Società Svizzera di Salvataggio SSS,

Contaminazione acqua freatica

L'acqua freatica, nella maggior parte dei casi, è più sicura e affidabile per l'uso rispetto all'acqua superficiale. La parte del merito di cio' è che l'acqua di superficie è piu' rapidamente esposta ad inquinanti provenienti da fabbriche, per esempio, rispetto all'acqua freatica. Ciò non significa che l'acqua freatica è invulnerable alla contaminazione. Anche se non è vulnerabile quanto l'acqua superficiale, i contaminanti possono ancora raggiungere i pozzi e quindi le famiglie. Tutti i prodotti chimici facilmente solubili che penetrano nel terreno sono i primi candidati all'inquinamento dell'acqua freatica. Un potenziale inquinante può raggiungere anche un pozzo posto miglia lontano attraverso le correnti idriceh sotterranee. Per esempio, un prodotto chimico che si rovescia in un impianto industriale a miglia di distanza, potrebbe infiltrarsi nel terreno e alla fine entrare nel sistema acquifero che un'intera Comunità usa per i pozzi privati. Tale situazione potrebbe avere effetti devastanti: una volta che l'acqua freatica è contaminata, rimuovere la contaminazione è un'operazione estremamente costosa.

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152

SE CONFRONTIAMO UNA SOSTANZA INQUINANTE ORGANICA IN ACQUA FREATICA AD UNA IN ACQUA

SUPERFICIALE, L'ACQUA FREATICA HA POCHI MICROBI PER DIGERIRE LE SOSTANZE INQUINANTI

ORGANICHE, MENO OSSIGENO NESSUNA LUCE SOLARE E SUPERFICIE DA CUI LA SOSTANZA INQUINANTE

ORGANICA PUÒ VOLATILIZZARSI. IN PARTICOLARE NELL'ACQUA FREATICA A LENTO MOVIMENTO, LE

SOSTANZE INQUINANTI POSSONO ESISTERE INDEFINITAMENTE.

Fonti di inquinamento dell'acqua freatica L'infiltrazione di acqua salata connessa al sovrasfruttamenti degli acquiferi o l'infiltrazione da depositi naturali sono fonti naturali di inquinamento dell'acqua freatica. La maggiore preoccupazione deriva dell'eccessiva contaminazione dell'acqua freatica connessa ad attività umane. La contaminazione umana dell'acqua freatica può essere collegata all'eliminazione dei rifiuti (sistemi privati per la deposizione di acque luride, deposizione di rifiuti solidi nel terreno, acque di scarico comunali, prelievi dell'acqua di scarico, spergimento di fango sul terreno, eliminazione delle brine dall'industria petrolifera, rifiuti minerari, deposizione di scarichi liquidi in pozzi profondi, rifiuti di animali da foraggio, rifiuti radioattivi) o non direttamente collegati alla deposizione dei rifiuti (incidenti, alcune attività agricole, estrazione mineraria, sbrinatura di strade principali, pioggie acide, costruzione e manutenzione di pozzi, sale stradale).

La tavola seguente mostra una lista delle potenziali fonti di contaminazione

Potenziale sorgente di contaminazione Punto di manifestazione

Municipale Industriale Agricola Individuale

Vicino o in superficie

inquinamento dell'aria

spargimento di rifiuti municipali

sale per sbrinatura strade

strade parcheggi

inquinamento dell'aria

chimici: immagazinamento

& spilllamento

carburanti: immagazzinamento

& spillamento

pile di materiale estratto

inquinamento dell'aria

spillamenti chimici

fertilizzanti

attrezzature di immagazzinamento di rifiuti animali &

spargimento pesticidi

inquinamento dell'aria

fertilizzanti

case

detersivi

pulitori

motore ad olio

vernici

pesticidi

Sotto la superficie del

terreno

discariche

perdite da linee fognarie

tubature

serbatoi di immagazzinamento

sotterranei

immagazzinamento sotterraneo

serbatoi

pozzi: mal costruiti o abbandonati

sistemi settici

pozzi: mal costruiti o abbandonati

Page 153: Beni culturali  2010

153

Grandi quantità di composti organici sono elaborati ed usate dalle industrie, dall'agricoltura e dai comuni. Questi residui organici artificiali creano la maggiore preoccupazione. I cmposti organici si presentano in natura e possono essere generati da fonti naturali così come da attività umane. In molti luoghi l'acqua freatica è stata contaminata da composti chimici per molte decadi, benchè tale forma di inquinamento non fosse riconosciuta come problema ambientale serio fino agli anni 80.

Una breve descrizione delle fonti di inquinamento segue.

Naturali : l'acqua freatica contiene alcune impurità, anche se è inalterata dalle attività umane. I tipi e le concentrazioni delle impurità naturali dipendono dalla natura del materiale geologico attraverso cui l'acqua freatica si muove e dalla qualità dell'acqua di ricarica. L'acqua freatica che si muove attraverso le roccie ed i terreni sedimentari può assorbire un' ampia gamma di residui come magnesio, calcio e cloruri. Alcuni acquiferi sono dotati di un'elevata concentrazione naturale di costituenti dissolti quali arsenico, boro e selenio. L'effetto di queste fonti naturali di contaminazione sulla qualità dell'acqua freatica dipende dal tipo di inquinante e della relativa concentrazione.

Agricole: Gli antiparassitari, i fertilizzanti, i diserbanti ed i residui animali sono fonti agricole di contaminazione dell'acqua freatica. Le fonti agricole di contaminazione sono svariate e numerose: versamento di fertilizzanti e antiparassitari durante il maneggiamento, scorrimento da caricamento e lavaggio di spruzzatori di antiparassitari o altra apparecchiatura, applicazione di antiparassitari su terreni distanti alcune centinaia di piedi da un pozzo. Il terreno agricolo che manca di un efficace drenaggio è considerato da molti coltivatori come terreno poco redditizio. Così possono installare dei punti di scolo o pozzi di drenaggio per rendere la terra più produttiva. Il pozzo di drenaggio serve quindi come condotto diretto per l'acqua freatica per gli scarichi agricoli che scaricati con lo scolo. L'immagazzinamento di prodotti chimici per l'agricoltura vicino ai condotti per l'acqua freatica, quali pozzi aperti o abbandonati, fori di dispersione, o depressioni superficiali in cui l'acqua tende ad accumularsi. La contaminazione da può anche avvenire quando i prodotti chimici vengono immagazzinati in zone scoperte, non protette da vento e pioggia, o sono immagazzinati in posizioni dove l'acqua freatica scorre in direzione della riserva chimica al pozzo.

Industriali : L'industria manifatturiera ed il settore terziario hanno molta richiesta di acqua di raffreddamento, di acqua di processo e di acqua per scopi di pulizia. L'inquinamento dell'acqua freatica avviene quando l'acqua usata è restituita al ciclo idrologico. L'attività economica moderna richiede il trasporto e l'immagazzinamento di materiale utilizzato dall'industria manifatturiera, lavorazione e costruzione. Lungo il percorso, alcuni di questi materiali possono essere persi tramite versamento, perdite, o maneggiamento improprio. La deposizione dei rifiuti connessi alle suddette attività contribuisce ad un'altra fonte di contaminazione dell'acqua freatica. Alcune attività, solitamente prive di accesso ai sistemi di fognatura, contano sulla deposizione sotterranea poco profonda. Usano fori asciutti o vasche di scarico, o mandano l'acqua di scarico a serbatoi settici. Tutte queste forme di deposizione possono portare a contaminazione delle sorgenti sotterranee di acqua potabile. I fori asciutti e le vasche di scarico introducono i rifiuti direttamente nel terreno. I sistemi settici non possono trattare gli scarichi industriali. Le pratiche di deposizione dell'acqua di scarico di determinati tipi di attività, come i distributori di benzina per automobile, le lavanderie a secco, attività di lavorazione di macchine o di componenti elettriche, i produttori o lavoratori di foto e di piatti metallici sono di particolare interesse perché i rifiuti che generano sono probabili contenere prodotti chimici tossici. Altre fonti industriali di contaminazione includono pulitori di serbatoi di contenimento o apparecchiature di spruzzatura su terreno aperto, deposizione di rifiuti in sistemi settici o in pozzi asciutti e immagazzinamento di materiali pericolosi in aree scoperte o in aree prive di scoli o bacini di raccolta. I serbatoi di immagazzinamento a terra o sotto terra che tengono prodotti petroliferi, acidi, solventi e prodotti chimici possono manifestare perdite da corrosione, difetti, installazione impropria, o guasti meccanici dei tubi e delle connessioni. L'estrazione mineraria di combustibili e minerali non combustibili può generare molti casi di contaminazione idrica freatica. I problemi provengono dal

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154

processo di estrazione in se, la deposizione dei rifiuti ed la lavorazione dei minerali e degli scarichi generati.

Residenziali: I sistemi residenziali dell'acqua di scarico possono essere fonti di molti tipi di agenti inquinanti, compresi batteri, virus, nitrati da rifiuti umani e di composti organici. I pozzi di iniezione usati per gli scarici domestici (sistemi settici, vasche di scarico, pozzi di drenaggio per scorrimento di acqua piovana, pozzi di ricarica dell'acqua freatica) sono di particolare interesse per la qualità dell'acqua freatica se collocati nei pressi di pozzi per acqua potabile. Immagazzinamento o deposizione impropri o di prodotti chimici casalinghi quali vernici, detersivi sintetici, solventi, olii, medicine, disinfettanti, prodotti chimici per piscine, antiparassitari, batterie, benzina e combustibile diesel può portare alla contaminazione dell'acqua freatica. Se immagazzinate in garage o in scantinati con scoli del pavimento, perdite o inondazioni possono introdurre tali agenti inquinanti nell'acqua freatica. Se gettati nei cassonetti per famiglie, i prodotti vengono infine trasportati nell'acqua freatica perché le discariche comuni non sono in grado di gestire i materiali pericolosi. Similmente, rifiuti sepolto nel terreno possono contaminare il terreno e percolare nell'acqua freatica.

Contaminanti dell'acqua freatica L'acqua pura non contiene nulla tranne gli elementi chimici essenziali per l'acqua. L'acqua potabile trasporta solitamente una certa quantità di minerali, che prende dalla sua sorgente, trattamento, immagazzinamento, distribuzione e dalle condizioni delle condutture di distribuzione. Questi minerali ed elementi generalmente si presentano a livelli molto bassi e non comportano rischi significativi per la salute. Per ulteriori informazioni clicca su Standard per l'acqua potabile.

Un'ampia varietà di prodotti e composti chimici può transformarsi in agenti inquinanti per l'acqua freatica se scaricati all'ambiente al di sotto della superficie. Essi sono composti organici e sintetici ed inorganici, come antiparassitari ed altri agenti inquinanti. Poiché i sistemi dell'acqua potabile prendono la loro acqua da sorgenti di acque freatiche e superficiali, una volta che la fonte è contaminata, anche l'acqua potabile può essere contaminata.

La seguente tabella mostra gli agenti inquinanti primari e secondari dell'acqua, divisi in elementi inorganici ed organici.

Per ogni sostanza e' riportato il livello massimo di inquinante (MCL): esso è il carico massimo di inquinante consentito nell'acqua trasportata ad ogni l'utente del sistema idrico pubblico. Si basa sulla ricerca scientifica, che ha concluso che maggiori concentrazioni potrebbero causare problemi di salute per gli esseri umani

Inorganici MCL Fonte

Primario [mg/l] Agricolo Residenziale Industriale Naturale

Antimonio 0.005 X X

Arsenico 0.050 X X

Amianto

7 milioni di fibre per litro applicato a fibre

di 10 micron di lunghezza o maggiore

X X

Bario 2.000 X X X X Berillio 0.004 X X

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155

Cadmio 0.005 X X X X Cromo 0.100 X X X Rame 1.300 X X X

Cianuro 0.200 X X Fluoro 4.000 X X Piombo 0.150 X X

Mercurio 0.002 X X X X Nickel 0.100 X X X Nitrato 10.000 X X X Nitrito 1.000 X X X Selenio 0.050 X X X X Tallio 0.002 X

Secondario

Alluminio 0.05 to 0.2 X X X X Cloro 250.000 X X X X Ferro 0.300 X X

Manganese 0.050 X X Argento 0.100 X X Sodio 20.000 X X X

Zolfo 250.000 X X X X

Zinco 5.000 X X

Organico MCL Fonte

VOC [mg/l] Agricolo Residenziale Industriale Naturale

Benzene 0.005 X X

Carbon Tetracloruro 0.005 X X

Cis-1,2-Dicloretilene 0.070 X

1,2-Dicholoethane 0.005 X X

1.,1-Dicloroetiene 0.007 X

Diclorometano 0.005 X 1,2-Diclorofano 0005 X X

Etilbenzene 0.700 X X

Monoclorobenzene 0.100 X X O-Diclorobenzene 0.600 X

Page 156: Beni culturali  2010

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O-,M-,P- Xilene 10.000 X X

Para-Diclorobenzene 0.075 X

Styrene 0.100 X

Trans-1,2,-Dicloroetilene

0.100 X

Tetracloroetilene 0.005 X

Toluene 1.000 X

1,2,4-Triclorobenzene 0.070 X X

1,1,1-Tricloroetano 0.200 X

1,1,2-Tricloroetano 0.005 X

Tricloroetilene 0.005 X

Vinil-cloruro 0.002 X

SOC

Alachor 0.002 X

Atrazina 0.003 X

Benzo(a)pirene 0.0002 X Carbofurano 0.04 X Clorodano 0.0002 X Dalapon 0.2 X

Dibrocloropropano (DBCP)

0.0002 X

2,4-Acido Dicloropenossiacetico

0.07 X

Di(2-etilessil)-Adipato 0.4 X X Di(2-etilessil)-Ftalato 0.06 X X

2,3,7,8-TCDD (Dioxin) 0.00000003 X Etilene Dibromido

(EDB) 0.00005 X X

Dinoseb 0.007 X Diquat 0.02 X

Encothall 0.1 X Endrin 0.002 X

Glifoosate 0.7 X Eptacloro 0.0004 X

Eptacloro eposside 0.0002 X Essaclorobenzene 0.001 X Essaclorociclo-

Pentadiene 0.05 X

Lindano 0.0002 X

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Metossicloro 0.04 X X Ossimil(vidato) 0.2 X Pentaclorofenolo 0.001 X X

Picloram 0.5 X Policlorinato Bifenile

(PCBs) 0.0005 X

Simazine 0.004 X X Silvex 2,4,5-TP 0.05 X

Tossafene 0.003 X

Intrusioni di acqua marina in acqua freatica L'intrusione di acqua marina è il movimento di acqua di mare negli strati acquiferi ad acqua dolce dovuta a processi naturali o attività umane. L'intrusione marina è causata dalla diminuzione del livello dell'acqua freatica o dall'aumento del livello dell'acqua marina. Quando si pompa velocemente verso l'esterno l'acqua dolce, l'altezza dell'acqua dolce nello strato acquifero sia abbassa formando un cono della depressione. L'acqua salata aumenta di 40 piedi per ogni piede di depressione dell'acqua dolce e si forma un cono d'ascensione. Vedi le seguenti immagini. L'intrusione può interessare la qualità dell'acqua non soltanto nei punti di pompaggio da pozzi, ma anche in altri siti di pozzi e parti di acquifero non sviluppate.