bianchi. una bicicletta sola al comando [bianchi uguale bicicletta & la rivoluzione a due ruote]
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di Daniele Marchesini Bianchi = Bicicletta = Ciclismo. Dal 1885 ai giorni nostri la storia del mitico marchio Bianchi e le leggende dei grandi campioni - Coppi, Gimondi, Pantani e tanti altri - che hanno vinto in sella alle bici celesti. Il fascino legato alle biciclette Bianchi proviene dalla sua storia ultracentenaria, dal suo far parte delle trasformazioni del nostro mondo a cavallo di tre secoli, dai campioni che ne hanno segnato con i loro successi la diffusione commerciale.TRANSCRIPT
Bianchi uguale bicicletta
Bianchi uguale bicicletta, uguale ciclismo. Basta
sentir pronunciare il nome e scatta il riflesso con-
dizionato. Pochi altri marchi identificano un ogget-
to o una pratica con tanta sicurezza, così come suc-
cede con il cognome del scior Edoardo che nel lon-
tano 1885, in via Nirone n. 7 a Milano, comincia a
costruire quei mezzi che a distanza di oltre 120 an-
ni ancora circolano per il mondo con il suo emble-
ma. Ford per le auto, Kodak per le macchine foto-
grafiche, Singer per quelle da cucire, Olivetti per
quelle da scrivere, Liebig per il dado da brodo, Ba-
rilla per la pasta, Panini per le figurine… Bianchi è
appunto, per definizione, la bicicletta e il ciclismo,
sebbene la sua produzione si sia cimentata nel
tempo anche con moto, auto, camion, barche, mo-
tori marini… Il fondatore ha saputo far divenire il
suo nome un simbolo che – come rammenta la ri-
vista aziendale “Bianco Celeste” pubblicata dalla fi-
ne del 1958 al 1963 – “è ripetuto mille e mille volte
da tutte le bocche, che si legge sui mille e mille vei-
coli che affollano le strade, che è scritto mille e mil-
le volte su tutti i giornali”.
Esistono, certo, marchi più antichi: Humber
(1870), Gritzner (1872), Adler (1880) in Germania;
Columbia (1878) negli Stati Uniti; Singer (1875) e
Rudge (1878) in Inghilterra; Turri e Porro (1873),
Menon (1880) in Italia. In certi momenti l’inglese
Raleigh (1887) è stato indubbiamente produttore
ed esportatore di biciclette di maggior rilevanza;
mentre Francia e Inghilterra condividono il merito
di aver dato i natali alla bicicletta moderna. Cio-
nonostante nessuna fabbrica, come la Bianchi,
continua ad esercitare un’immutata attrazione tra
quanti utilizzano la due ruote non solo per fare
sport, ma per semplice svago o per necessità quo-
tidiane di spostamento. La Bianchi resta un “clas-
sico” e in quanto tale è garanzia di qualità, di sicu-
rezza, di durata, di eleganza. Il fascino legato al
suo nome proviene dalla sua storia, ormai ultra-
centenaria, dal suo far parte delle trasformazioni
del nostro mondo a cavallo di tre secoli, dai cam-
pioni che ne hanno segnato con i loro successi la
diffusione commerciale.
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BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO
Edoardo Bianchi,
il fondatore dell’azienda,
nato a Milano nel 1865.
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Corso Vittorio Emanuele,
a Milano, intorno al 1900.
Le biciclette sono ormai
numerose tra le carrozze
tirate dai cavalli e gli
omnibus elettrici. Tra poco
cominceranno a circolare
anche le automobili.
La bicicletta si rivela molto
presto efficace mezzo
di mobilità personale
e strumento di lavoro.
Il disegno d’epoca mostra
un garzone impegnato
nelle consegne.
BIANCHI UGUALE BICICLETTA
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BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO
La prima bicicletta con le
ruote di uguale dimensione,
prodotta da Bianchi nel 1886.
La rivoluzione a due ruote
Nel 1885 Edoardo Bianchi ha vent’anni. È nato
infatti il 17 luglio 1865 a Milano da una famiglia in
cui il padre vende generi alimen-
tari in corso di Porta Romana. Ma
le fortune del negozio cominciano
a declinare dopo che il capofami-
glia torna mutilato di una gamba
dalla terza guerra d’indipendenza
(1866). Nel 1869, a soli 4 anni,
Edoardo rimane orfano e viene ac-
colto nell’istituto detto dei Marti-
nitt. Giustamente famoso perché
di lì, insieme a tanti bambini rima-
sti soli in quell’Italia postunitaria,
passano diversi protagonisti della
storia economica e sociale non
soltanto milanese: i futuri editori
Mondadori e Rizzoli, per esempio,
o l’imprenditore elettrico Marelli,
o Felice Scotti che inventa in Italia
la stampa industriale dei tessuti.
Alla scoperta del mondo si avventura – mentre sta
imparando il mestiere di fabbro ferraio – a otto an-
ni, l’età minima per il lavoro dei minori in un’Italia
che sotto i governi della Destra storica ancora non
conosce forme di legislazione e tutela sociale (bam-
bini, donne, orari, infortuni, ecc.), e si impiega come
apprendista presso varie officine meccaniche come
quelle di Gerosa e di Rosati. Finché, nel corso del
1885, inizia in proprio l’attività in due piccoli locali
presi in affitto in via Nirone, poco lontano da San-
t’Ambrogio. Nella nuova bottega, sormontata dal-
l’insegna Officina Meccanica, il giovane Bianchi pro-
duce e vende un po’ di tutto come spesso accade in
anni in cui l’eterogeneità e la scarsa specializzazio-
ne contraddistinguono il settore ciclistico che da
poco si è inserito nell’avviato processo di industria-
lizzazione del paese. Velocipedi, bicicli, mozzi, cu-
scinetti a sfere, campanelli elettrici, macchine di
precisione, istrumenti di chirurgia, ecc., si legge nel-
le vetrinette del negozio. E quell’“eccetera” lascia
immaginare molto altro. Non è il caso del giovane
Bianchi ma c’è chi fabbrica e vende anche pesi, mi-
sure, stufe, armi, macchine per maglieria, per scri-
vere e per cucire.
Velocipede/biciclo: parrebbe trattarsi, dunque,
ancora dell’attrezzo che i francesi chiamano giusta-
mente grand bi. L’antenato della bicicletta, eccitan-
te ancorché inquietante e poco pratico, dalla enor-
me ruota anteriore, con i pedali fissati direttamen-
te alla ruota come oggi i tricicli per bambini, e la
scaletta per salirvi acrobaticamente in cima salda-
ta lungo il tubo che funge da telaio puntando verso
l’alto. In verità l’evoluzione della tecnica è giunta
ormai a una svolta importante. In Francia da qual-
che anno (1868-69) è stata inventata la trasmissio-
ne a catena e applicate le sfere sia nei mozzi delle
ruote, sia in quello della pedaliera. In Inghilterra,
nel 1884-85, la Rover lancia sul mercato un model-
lo con le ruote ormai quasi uguali. Al di qua e al di
là della Manica qualcuno già adotta i raggi tangen-
Edoardo Bianchi, giovane,
con la divisa dei Martinitt tra i
quali viene accolto a quattro
anni d’età in quanto orfano
di padre. Nell’istituto
milanese imparerà il mestiere
di fabbro e acquisirà quella
dimestichezza con l’arte
meccanica che gli consentirà
di dedicarsi molto presto alla
costruzione dei bicicli.
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ti al mozzo. Sta per iniziare l’epoca del bicicletto
(ogni volta che si afferma una novità importante va
affrontata e risolta la questione del suo genere,
maschile o femminile: il kodak, la film, lo automobi-
le, si dice all’inizio) moderno: con le due ruote di
ugual diametro, il telaio a croce, la trasmissione
del movimento tramite catena dalla pedaliera, col-
locata in posizione centrale, al mozzo della ruota
posteriore motrice.
Benché gli annunci della vetrina di via Nirone
sembrino guardare al passato, il suo giovane tito-
lare dai folti baffi e dalle sopracciglia cespugliose
strizza ben presto l’occhio al futuro. In quello stes-
so 1885 vende un modello, tutto in ferro, che è an-
cora il biciclo con la ruota anteriore altissima. Ma
già l’anno seguente lancia un bicicletto con la ruo-
ta davanti più piccola e la catena di trasmissione. È
frutto di giorni e notti di sperimentazioni ostinate
e appassionate. Costa 130 lire, contro le 180 del-
l’inglese Raleigh. Subito dopo arriva il tipo con le
due ruote uguali, il telaio a croce e lo sterzo a due
punte. Siamo ormai alla bicicletta moderna. Le
mancano soltanto le gomme pneumatiche (ci pen-
serà lo scozzese John Boyd Dunlop nel 1888) e
smontabili, il telaio chiuso in forma di trapezio
(brevettato da Starley & Sutton a Coventry nel
1885, che Edoardo definisce “disposizione armoni-
ca e razionale come un teorema di Euclide”) e lo
sterzo tubolare, che arrivano subito dopo. Parecchi
anni più tardi (1937, in pieno fascismo, il che spie-
LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE
La squadra professionistica
Bianchi in visita agli
stabilimenti di Taliedo nel
1958. In primo piano il primo
velocipede costruito da
Edoardo Bianchi nel 1885.
La bottega di via Nirone,
a Milano, dove il ventenne
Edoardo Bianchi inizia nel
1885 la propria attività. Come
usa all’epoca, produce e
vende un po’ di tutto, non
solo velocipedi.
ga molte cose in fatto di enfasi patriottica), Bianchi
rivendicherà in proposito una sorta di primogeni-
tura nazionale (e personale) scrivendo che “il tipo
definitivo di bicicletta, a telaio squadrato ed a ruo-
te di diametro uguale, pressappoco come l’attuale,
è nata in Italia nel 1886, quando ancora all’estero,
sedici anni dopo l’invenzione dei pedali per opera
del fabbro Michaux, si continuava con ruote di dia-
metro differente”. Ma si tratta di una forzatura, vi-
sto che negli stessi anni 1885-86 anche le inglesi
Rover e Pionier intervengono a modificare la gran-
dezza delle ruote. Merito di Bianchi resta senz’altro
quello di aver saputo sfidare tra i primi le diffiden-
ze, anche il dileggio e le ostilità di quanti – moltis-
simi – considerano strampalata l’idea di abbando-
nare il velocipede tradizionale.
Dunque si può ben dire che la storia della Bian-
chi coincida con lo sforzo condotto per divulgare “il
nuovo metodo” di pedalare (sono sempre parole
del fondatore) e con la nascita del ciclismo moder-
no. Alla cui affermazione è necessaria la lotta im-
pegnata specialmente dagli sportmen più intelligen-
ti, da molti fabbricanti inglesi e francesi e da alcu-
ne case produttrici italiane tra cui la Bianchi rien-
tra a buon diritto. Di questa storia non è casuale il
quando e il dove. Milano, infatti, è uno dei centri
propulsori dello sviluppo italiano (un vertice del
futuro “triangolo industriale”) che i governi della
Sinistra storica si impegnano a promuovere pro-
prio a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento.
Quasi scontato, perciò, che Milano (insieme a To-
rino) si affermi da subito come il maggior centro
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BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO
I contendenti di una famosa
sfida ciclistica del 1893. A Mila-
no, sulla nuovissima pista in le-
gno allestita all’Arena dalla so-
cietà Pro Patria, Romolo Buni (il
primo a sinistra nella parte alta
della curva), detto il “piccolo
diavolo nero” per il colore della
tuta che indossa quando gareg-
gia, sconfigge il francese Paul
Médinger e acquista notorietà
internazionale. Il suo nome di-
venta un grido d’incitamento
(“Molla Buni!”) e la sua fama è
all’origine di un confronto uomo
contro cavallo, che poco più tar-
di lo opporrà nientemeno che a
Buffallo Bill, in giro per l’Europa
con il suo circo, sul terreno del
della produzione nostrana del ciclo (Greco, Ciocca,
Prinetti e Stucchi…) in quanto fornita di tre essen-
ziali requisiti:
1) risulta un importante centro commerciale che
permette la facile disponibilità dei pezzi di impor-
tazione necessari a un’attività che è all’inizio so-
prattutto di assemblaggio;
2) dispone di un’estesa rete di laboratori e offici-
ne meccaniche da cui emergono facilmente i nuo-
vi costruttori;
3) costituisce un vasto mercato per il nuovo
prodotto.
Nel capoluogo lombardo, del resto, la bicicletta
ha fatto la sua prima ufficiale comparsa all’Esposi-
zione industriale del 1881, che – come scriverà
Gian Giacomo Roseo rievocando 31 anni più tardi
quell’epoca nella sua tesi di laurea – costituisce
“un primo riconoscimento della nuova produzione,
se non come industria già costituita, almeno come
raccolta di tentativi, di prove, di brevetti, nucleo
primo e potenziale della futura industria”.
Nel 1886 è il Veloce Club milanese a organizzare
la prima Mostra nazionale ciclistica, mentre già
l’anno seguente la famosa società ginnastica Forza
e Coraggio allestisce l’Esposizione internazionale
di ginnastica, scherma, tiro a segno e velocipedi.
Nel maggio 1893, sempre per iniziativa dell’attivis-
simo Veloce Club, si svolge il primo Congresso dei
velocipedisti italiani che comprende una sfilata
per le vie del centro di 450 ciclisti. Arrivano all’Are-
na dove ha luogo la sfida tra Romolo Buni e il fran-
cese Paul Médinger che originerà il celebre grido
d’incitamento: “Molla Buni!”. Nel 1895 tocca anco-
ra al Veloce Club occuparsi della prima Esposizio-
ne internazionale del ciclo, durante la quale ogni
ditta espone i propri modelli e stipula i contratti di
vendita con i commercianti.
La società milanese, insomma, è ben disposta
nei confronti del nuovo che avanza sul fronte cicli-
stico. Di lì a non molto Filippo Tommaso Marinet-
ti la descriverà con i “suoi sentimenti-pensieri
meccanizzati e le sue macchine pensanti… per tut-
ti gli italiani la centrale… degli ottimismi d’Italia”.
Ma già nel 1881 (l’anno dell’Esposizione industria-
le) il ballo Excelsior aveva chiarito le propensioni
della città meneghina. Al Teatro alla Scala il coreo-
grafo Luigi Manzotti, con musiche di Romualdo
Marenco, aveva messo in scena la vittoria del pro-
gresso e della civiltà sull’arretratezza e l’oscuranti-
smo attraverso la rappresentazione di invenzioni
ed eventi come il telegrafo senza fili, l’elettricità, la
navigazione a vapore, l’apertura di trafori transal-
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LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE
Fattorini ciclisti
(detti “fattorin express”
dalla popolazione)
in piazza del Duomo
a Milano intorno
a1 1900.
pini e di canali transoceanici, l’allestimento di ga-
re sportive. Lo spettacolo, in epoca di trionfante
positivismo, venne ripreso con enorme successo
innumerevoli volte in Italia e all’estero (fin negli
Stati Uniti) e consacrò un modello a lungo vincen-
te di spettacolo popolare. Al punto che gli stessi
Manzotti-Marenco nel 1897 replicheranno, sempre
alla Scala trasformata in un’enorme palestra, con il
ballo Sport. Questa volta si trattava della celebra-
zione della pratica sportiva come conquista e pa-
trimonio di tutti i popoli civili e segno di progres-
so, realizzata attraverso una successione di otto
fantasmagorici quadri che impegnavano quasi 600
persone: ballerini, pattinatori, ginnasti, cavalleriz-
zi, bandisti, mimi e, naturalmente, ciclisti.
In questo orizzonte di attesa è facile per la bici-
cletta esprimere e soddisfare l’esigenza primaria
della mobilità, intercettare la percezione del cam-
biamento sempre in direzione del nuovo e del me-
glio. “La bicicletta – scrive sul finire del secolo Alfre-
do Oriani – è la prima grande misericordia della
meccanica verso di noi”. È facile per la bicicletta in-
carnare la parte di macchina per antonomasia, in an-
ni di industrializzazione avviata e prima dell’avvento
dell’automobile. Ma anche dopo, a dire il vero, se un
catalogo del 1925 che celebra i primi quarant’anni
della ditta proclama che la “materia di cui la mac-
china Bianchi si compone sembra tramutarsi nella
specie più bella e rara, e la macchina stessa elevar-
si alla classe più eletta, quella che non ha rivali”. E
se come tale la registra ancora nel 1942 la settima
edizione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini.
Ma la strada non è tutta in discesa. All’inizio del-
la sua storia gli elevati prezzi di vendita fanno della
due ruote un bene riservato a una ristretta fascia
sociale, composta di aristocratici e altoborghesi. In
un bellissimo catalogo (grafica art nouveau) del 1902
– dunque non più all’inizio della sua vicenda – la
Bianchi offre modelli che costano dalle 290 lire del
“bicicletto speciale costruito per ragazzi dell’età da-
gli 8 ai 12 anni”, alle 390 del modello “uomo popo-
lare”, fino alle 600 del tipo “lusso extra da viaggio”.
Sono cifre esagerate rispetto al salario medio di un
operaio che tocca le 2,48 lire giornaliere nel 1901,
essendo più o meno il doppio di quanto guadagna
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BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO
Cataloghi commerciali
Bianchi.
un bracciante delle campagne. Per la maggioranza
degli italiani comprarsi una bicicletta significa sa-
crificare buona parte o quasi tutto il reddito di un
anno di lavoro! Impensabile, tenendo conto che è
stato calcolato che quasi il 90% di quanto guadagna
una famiglia operaia a fine secolo se ne va per il ci-
bo, il vestiario e la pigione: cioè per il soddisfaci-
mento dei bisogni primari senza possibilità di de-
stinare risorse ad altri consumi. Ma questa situa-
zione è in movimento. Tra il 1896 e il 1914 crescono
i salari reali, accelera lo sviluppo dell’industria, mi-
gliora il tenore di vita delle classi medio-basse so-
prattutto nell’Italia centrosettentrionale, urbana e
in via di modernizzazione, aumenta la disponibilità
di tempo libero.
Nel bilancio di una famiglia operaia e, ancor più,
piccolo-borghese possono aprirsi spazi in cui met-
tere in conto l’acquisto di qualche bene durevole
di consumo, come per esempio una bicicletta. Ma-
gari usata. Magari a rate. Magari assemblando per-
sonalmente le parti “staccate” comprate in giro per
le numerose, piccole officine. Magari non una
Bianchi, ma una sottomarca di minor pregio e si-
curamente più a buon mercato. La bicicletta di-
venta popolare perché si rivela mezzo pratico come
niente altro fino a quel momento, nuovo strumen-
to di trasporto e di lavoro che non pone seri pro-
blemi di manutenzione e non richiede esagerate
spese di gestione.
Ma la bicicletta si rivela anche prezioso strumen-
to di piacere e di svago per sempre più ampie ca-
tegorie di lavoratori interessati dalla riduzione del-
l’orario di lavoro. All’osteria, alla festa paesana, al
ballo, al sesso, si viene aggiungendo la gita fuori
porta compiuta in sella al nuovo mezzo di traspor-
to come inedita forma di divertimento. Mentre si
moltiplicano le associazioni velocipedistiche col fi-
ne di offrire riferimenti organizzativi stabili e strut-
turati a quanti intendono dedicarsi alla nuova atti-
vità. Così come nascono parecchi giornali specia-
lizzati per soddisfare il crescente interesse del pub-
blico verso il fenomeno del velocipedismo: “Il Ci-
clo”, “Il Ciclista”, “L’Illustrazione ciclistica”, “La Bi-
cicletta”, “La Rivista velocipedistica”, “Il Ciclista e
la Tripletta”.
Del resto, nel 1894 s’è costituito il Touring Club
Ciclistico Italiano, proprio a Milano, in una sala
dell’Albergo degli Angioli, poco lontano da piazza
Duomo, dove si sono dati appuntamento 57 cicli-
sti illustri, fra i quali alcuni dei nomi più in vista
dell’imprenditoria milanese: Federico Johnson,
Inserzione pubblicitaria
Bianchi sulla rivista del TCI
nel febbraio 1908.
21
LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE
Figurina Liebig con una
scena del gran ballo Excelsior
che si svolge al teatro alla
Scala nel 1881. Lo sport è
uno dei protagonisti della
modernità avanzante, messa
in scena dallo spettacolo.
Luigi Vittorio Bertarel-
li, Alberto Riva, Giu-
seppe Ricordi, Igna-
zio Dell’Oro, Giusep-
pe For la nini, Osvaldo
Fioroni. Tipici rap-
presentanti di quel-
la borghesia che
verso la fine del-
l’Ottocento sancisce l’ege-
monia della capitale lombarda nel mondo indu-
striale italiano. Milano diventa in quegli anni
“simbolo dell’Italia che produce, che crea ricchez-
za e lavoro, in contrapposizione all’Italia del pas-
sato, retorica e oziosa”. Nel maggio dell’anno se-
guente Johnson e Bertarelli guideranno la famosa
escursione ciclistica Milano-Roma a cavallo di due
Bianchi nere, modello da viaggio. È anche grazie a
simili manifestazioni che i soci del TCCI si molti-
plicano rapidamente: 784 nel 1894, diventano
quasi 21 mila nel 1900, e 83.603, cioè più che cen-
tuplicati, 10 anni più tardi.
In questo contesto, l’importanza che la produzio-
ne e la diffusione dei velocipedi – come si continua
a dire – vengono assumendo in Italia è confermata
dall’istituzione nel 1897 della tassa di circolazione
di 10 lire (legge 22 luglio, n.318). Se lo stato decide
di colpire le biciclette, significa che il loro numero
è tale da giustificare l’attenzione del fisco.
Il censimento delle biciclette, reso così possibile
dall’imposta del 1897 (ridotta a 6 lire nel 1910),
certamente sottostima i dati per l’inevitabile feno-
meno – anche allora – dell’evasione (i paganti so-
no certo molti meno dei pedalanti). Ma fornisce
una dimensione quantitativa del fenomeno co-
munque interessante. Ci dice, per esempio, che al-
meno il 17% della popolazione italiana si serve del
velocipede nel 1909.
Tab.1 – Biciclette circolanti in Italia alle date indicate Anno 1898 Biciclette 185.000
1899 200.0001900 215.0001901 221.0001902 230.0001903 242.0001904 295.0001905 343.0001906 368.0001907 412.0001908 475.0001909 504.0001910 605.000
Fonte: G.G. Roseo, L’industria e il commercio dei velocipedi nel mon-do. Appendice sull’industria dei pneumatici, Milano, Libreria editricemilanese, 1912, p.223.
Federico Johnson (in primo
piano vestito di scuro) e
Luigi Vittorio Bertarelli
(dietro di lui), tra i fondatori
del TCI nel 1894, guidano
la passeggiata cicloturistica
Milano-Roma organizzata
dalla neonata associazione
nel 1885.
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BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO
Una pagina di “Sport
Illustrato”, 1914.
A Milano la situazione è quella fotografata dal-
la tabella seguente:
Tab.2 – Biciclette circolanti a Milano alle date indicateAnno 1898 Biciclette 9.359
1899 13.4401900 13.4331901 14.1851902 16.2431903 17.1361904 19.9351905 22.3811906 17.9431907 21.0641908 23.9931909 26.8231910 39.978
Fonte: Ibidem
Gian Giacomo Roseo, nel 1910, riferisce di aver
“contato nel capoluogo lombardo più di 250 dit-
te commercianti in cicli”. Questo è il quadro nel
quale si inserisce e si sviluppa dal 1885 l’attività
del scior Edoardo. Il mercato si allarga, tendendo
a farsi nazionale e offrendo ai più intraprendenti
e capaci possibilità di sostituirsi in parte alle
marche straniere di importazione (specie dagli
Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania
dove l’industria ciclistica è nata con almeno 15
anni di anticipo) e prospettive di espansione an-
che verso l’estero.
Gita del Touring Club
di Foligno al Tempio
del Clitumno
il 30 maggio 1903.
23
LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE
Il primo numero della
rivista settimanale
“Il Ciclista”, stampata
a Milano dal 1895.