bianchi. una bicicletta sola al comando [bianchi uguale bicicletta & la rivoluzione a due ruote]

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Bianchi uguale bicicletta Bianchi uguale bicicletta, uguale ciclismo. Basta sentir pronunciare il nome e scatta il riflesso con- dizionato. Pochi altri marchi identificano un ogget- to o una pratica con tanta sicurezza, così come suc- cede con il cognome del scior Edoardo che nel lon- tano 1885, in via Nirone n. 7 a Milano, comincia a costruire quei mezzi che a distanza di oltre 120 an- ni ancora circolano per il mondo con il suo emble- ma. Ford per le auto, Kodak per le macchine foto- grafiche, Singer per quelle da cucire, Olivetti per quelle da scrivere, Liebig per il dado da brodo, Ba- rilla per la pasta, Panini per le figurine… Bianchi è appunto, per definizione, la bicicletta e il ciclismo, sebbene la sua produzione si sia cimentata nel tempo anche con moto, auto, camion, barche, mo- tori marini… Il fondatore ha saputo far divenire il suo nome un simbolo che – come rammenta la ri- vista aziendale “Bianco Celeste” pubblicata dalla fi- ne del 1958 al 1963 – “è ripetuto mille e mille volte da tutte le bocche, che si legge sui mille e mille vei- coli che affollano le strade, che è scritto mille e mil- le volte su tutti i giornali”. Esistono, certo, marchi più antichi: Humber (1870), Gritzner (1872), Adler (1880) in Germania; Columbia (1878) negli Stati Uniti; Singer (1875) e Rudge (1878) in Inghilterra; Turri e Porro (1873), Menon (1880) in Italia. In certi momenti l’inglese Raleigh (1887) è stato indubbiamente produttore ed esportatore di biciclette di maggior rilevanza; mentre Francia e Inghilterra condividono il merito di aver dato i natali alla bicicletta moderna. Cio- nonostante nessuna fabbrica, come la Bianchi, continua ad esercitare un’immutata attrazione tra quanti utilizzano la due ruote non solo per fare sport, ma per semplice svago o per necessità quo- tidiane di spostamento. La Bianchi resta un “clas- sico” e in quanto tale è garanzia di qualità, di sicu- rezza, di durata, di eleganza. Il fascino legato al suo nome proviene dalla sua storia, ormai ultra- centenaria, dal suo far parte delle trasformazioni del nostro mondo a cavallo di tre secoli, dai cam- pioni che ne hanno segnato con i loro successi la diffusione commerciale. 14 BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO Edoardo Bianchi, il fondatore dell’azienda, nato a Milano nel 1865.

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di Daniele Marchesini Bianchi = Bicicletta = Ciclismo. Dal 1885 ai giorni nostri la storia del mitico marchio Bianchi e le leggende dei grandi campioni - Coppi, Gimondi, Pantani e tanti altri - che hanno vinto in sella alle bici celesti.  Il fascino legato alle biciclette Bianchi proviene dalla sua storia ultracentenaria, dal suo far parte delle trasformazioni del nostro mondo a cavallo di tre secoli, dai campioni che ne hanno segnato con i loro successi la diffusione commerciale.

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Page 1: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

Bianchi uguale bicicletta

Bianchi uguale bicicletta, uguale ciclismo. Basta

sentir pronunciare il nome e scatta il riflesso con-

dizionato. Pochi altri marchi identificano un ogget-

to o una pratica con tanta sicurezza, così come suc-

cede con il cognome del scior Edoardo che nel lon-

tano 1885, in via Nirone n. 7 a Milano, comincia a

costruire quei mezzi che a distanza di oltre 120 an-

ni ancora circolano per il mondo con il suo emble-

ma. Ford per le auto, Kodak per le macchine foto-

grafiche, Singer per quelle da cucire, Olivetti per

quelle da scrivere, Liebig per il dado da brodo, Ba-

rilla per la pasta, Panini per le figurine… Bianchi è

appunto, per definizione, la bicicletta e il ciclismo,

sebbene la sua produzione si sia cimentata nel

tempo anche con moto, auto, camion, barche, mo-

tori marini… Il fondatore ha saputo far divenire il

suo nome un simbolo che – come rammenta la ri-

vista aziendale “Bianco Celeste” pubblicata dalla fi-

ne del 1958 al 1963 – “è ripetuto mille e mille volte

da tutte le bocche, che si legge sui mille e mille vei-

coli che affollano le strade, che è scritto mille e mil-

le volte su tutti i giornali”.

Esistono, certo, marchi più antichi: Humber

(1870), Gritzner (1872), Adler (1880) in Germania;

Columbia (1878) negli Stati Uniti; Singer (1875) e

Rudge (1878) in Inghilterra; Turri e Porro (1873),

Menon (1880) in Italia. In certi momenti l’inglese

Raleigh (1887) è stato indubbiamente produttore

ed esportatore di biciclette di maggior rilevanza;

mentre Francia e Inghilterra condividono il merito

di aver dato i natali alla bicicletta moderna. Cio-

nonostante nessuna fabbrica, come la Bianchi,

continua ad esercitare un’immutata attrazione tra

quanti utilizzano la due ruote non solo per fare

sport, ma per semplice svago o per necessità quo-

tidiane di spostamento. La Bianchi resta un “clas-

sico” e in quanto tale è garanzia di qualità, di sicu-

rezza, di durata, di eleganza. Il fascino legato al

suo nome proviene dalla sua storia, ormai ultra-

centenaria, dal suo far parte delle trasformazioni

del nostro mondo a cavallo di tre secoli, dai cam-

pioni che ne hanno segnato con i loro successi la

diffusione commerciale.

14

BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO

Edoardo Bianchi,

il fondatore dell’azienda,

nato a Milano nel 1865.

Page 2: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

15

Corso Vittorio Emanuele,

a Milano, intorno al 1900.

Le biciclette sono ormai

numerose tra le carrozze

tirate dai cavalli e gli

omnibus elettrici. Tra poco

cominceranno a circolare

anche le automobili.

La bicicletta si rivela molto

presto efficace mezzo

di mobilità personale

e strumento di lavoro.

Il disegno d’epoca mostra

un garzone impegnato

nelle consegne.

BIANCHI UGUALE BICICLETTA

Page 3: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

16

BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO

La prima bicicletta con le

ruote di uguale dimensione,

prodotta da Bianchi nel 1886.

La rivoluzione a due ruote

Nel 1885 Edoardo Bianchi ha vent’anni. È nato

infatti il 17 luglio 1865 a Milano da una famiglia in

cui il padre vende generi alimen-

tari in corso di Porta Romana. Ma

le fortune del negozio cominciano

a declinare dopo che il capofami-

glia torna mutilato di una gamba

dalla terza guerra d’indipendenza

(1866). Nel 1869, a soli 4 anni,

Edoardo rimane orfano e viene ac-

colto nell’istituto detto dei Marti-

nitt. Giustamente famoso perché

di lì, insieme a tanti bambini rima-

sti soli in quell’Italia postunitaria,

passano diversi protagonisti della

storia economica e sociale non

soltanto milanese: i futuri editori

Mondadori e Rizzoli, per esempio,

o l’imprenditore elettrico Marelli,

o Felice Scotti che inventa in Italia

la stampa industriale dei tessuti.

Alla scoperta del mondo si avventura – mentre sta

imparando il mestiere di fabbro ferraio – a otto an-

ni, l’età minima per il lavoro dei minori in un’Italia

che sotto i governi della Destra storica ancora non

conosce forme di legislazione e tutela sociale (bam-

bini, donne, orari, infortuni, ecc.), e si impiega come

apprendista presso varie officine meccaniche come

quelle di Gerosa e di Rosati. Finché, nel corso del

1885, inizia in proprio l’attività in due piccoli locali

presi in affitto in via Nirone, poco lontano da San-

t’Ambrogio. Nella nuova bottega, sormontata dal-

l’insegna Officina Meccanica, il giovane Bianchi pro-

duce e vende un po’ di tutto come spesso accade in

anni in cui l’eterogeneità e la scarsa specializzazio-

ne contraddistinguono il settore ciclistico che da

poco si è inserito nell’avviato processo di industria-

lizzazione del paese. Velocipedi, bicicli, mozzi, cu-

scinetti a sfere, campanelli elettrici, macchine di

precisione, istrumenti di chirurgia, ecc., si legge nel-

le vetrinette del negozio. E quell’“eccetera” lascia

immaginare molto altro. Non è il caso del giovane

Bianchi ma c’è chi fabbrica e vende anche pesi, mi-

sure, stufe, armi, macchine per maglieria, per scri-

vere e per cucire.

Velocipede/biciclo: parrebbe trattarsi, dunque,

ancora dell’attrezzo che i francesi chiamano giusta-

mente grand bi. L’antenato della bicicletta, eccitan-

te ancorché inquietante e poco pratico, dalla enor-

me ruota anteriore, con i pedali fissati direttamen-

te alla ruota come oggi i tricicli per bambini, e la

scaletta per salirvi acrobaticamente in cima salda-

ta lungo il tubo che funge da telaio puntando verso

l’alto. In verità l’evoluzione della tecnica è giunta

ormai a una svolta importante. In Francia da qual-

che anno (1868-69) è stata inventata la trasmissio-

ne a catena e applicate le sfere sia nei mozzi delle

ruote, sia in quello della pedaliera. In Inghilterra,

nel 1884-85, la Rover lancia sul mercato un model-

lo con le ruote ormai quasi uguali. Al di qua e al di

là della Manica qualcuno già adotta i raggi tangen-

Edoardo Bianchi, giovane,

con la divisa dei Martinitt tra i

quali viene accolto a quattro

anni d’età in quanto orfano

di padre. Nell’istituto

milanese imparerà il mestiere

di fabbro e acquisirà quella

dimestichezza con l’arte

meccanica che gli consentirà

di dedicarsi molto presto alla

costruzione dei bicicli.

Page 4: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

17

ti al mozzo. Sta per iniziare l’epoca del bicicletto

(ogni volta che si afferma una novità importante va

affrontata e risolta la questione del suo genere,

maschile o femminile: il kodak, la film, lo automobi-

le, si dice all’inizio) moderno: con le due ruote di

ugual diametro, il telaio a croce, la trasmissione

del movimento tramite catena dalla pedaliera, col-

locata in posizione centrale, al mozzo della ruota

posteriore motrice.

Benché gli annunci della vetrina di via Nirone

sembrino guardare al passato, il suo giovane tito-

lare dai folti baffi e dalle sopracciglia cespugliose

strizza ben presto l’occhio al futuro. In quello stes-

so 1885 vende un modello, tutto in ferro, che è an-

cora il biciclo con la ruota anteriore altissima. Ma

già l’anno seguente lancia un bicicletto con la ruo-

ta davanti più piccola e la catena di trasmissione. È

frutto di giorni e notti di sperimentazioni ostinate

e appassionate. Costa 130 lire, contro le 180 del-

l’inglese Raleigh. Subito dopo arriva il tipo con le

due ruote uguali, il telaio a croce e lo sterzo a due

punte. Siamo ormai alla bicicletta moderna. Le

mancano soltanto le gomme pneumatiche (ci pen-

serà lo scozzese John Boyd Dunlop nel 1888) e

smontabili, il telaio chiuso in forma di trapezio

(brevettato da Starley & Sutton a Coventry nel

1885, che Edoardo definisce “disposizione armoni-

ca e razionale come un teorema di Euclide”) e lo

sterzo tubolare, che arrivano subito dopo. Parecchi

anni più tardi (1937, in pieno fascismo, il che spie-

LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE

La squadra professionistica

Bianchi in visita agli

stabilimenti di Taliedo nel

1958. In primo piano il primo

velocipede costruito da

Edoardo Bianchi nel 1885.

La bottega di via Nirone,

a Milano, dove il ventenne

Edoardo Bianchi inizia nel

1885 la propria attività. Come

usa all’epoca, produce e

vende un po’ di tutto, non

solo velocipedi.

Page 5: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

ga molte cose in fatto di enfasi patriottica), Bianchi

rivendicherà in proposito una sorta di primogeni-

tura nazionale (e personale) scrivendo che “il tipo

definitivo di bicicletta, a telaio squadrato ed a ruo-

te di diametro uguale, pressappoco come l’attuale,

è nata in Italia nel 1886, quando ancora all’estero,

sedici anni dopo l’invenzione dei pedali per opera

del fabbro Michaux, si continuava con ruote di dia-

metro differente”. Ma si tratta di una forzatura, vi-

sto che negli stessi anni 1885-86 anche le inglesi

Rover e Pionier intervengono a modificare la gran-

dezza delle ruote. Merito di Bianchi resta senz’altro

quello di aver saputo sfidare tra i primi le diffiden-

ze, anche il dileggio e le ostilità di quanti – moltis-

simi – considerano strampalata l’idea di abbando-

nare il velocipede tradizionale.

Dunque si può ben dire che la storia della Bian-

chi coincida con lo sforzo condotto per divulgare “il

nuovo metodo” di pedalare (sono sempre parole

del fondatore) e con la nascita del ciclismo moder-

no. Alla cui affermazione è necessaria la lotta im-

pegnata specialmente dagli sportmen più intelligen-

ti, da molti fabbricanti inglesi e francesi e da alcu-

ne case produttrici italiane tra cui la Bianchi rien-

tra a buon diritto. Di questa storia non è casuale il

quando e il dove. Milano, infatti, è uno dei centri

propulsori dello sviluppo italiano (un vertice del

futuro “triangolo industriale”) che i governi della

Sinistra storica si impegnano a promuovere pro-

prio a partire dagli anni Ottanta dell’Ottocento.

Quasi scontato, perciò, che Milano (insieme a To-

rino) si affermi da subito come il maggior centro

18

BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO

I contendenti di una famosa

sfida ciclistica del 1893. A Mila-

no, sulla nuovissima pista in le-

gno allestita all’Arena dalla so-

cietà Pro Patria, Romolo Buni (il

primo a sinistra nella parte alta

della curva), detto il “piccolo

diavolo nero” per il colore della

tuta che indossa quando gareg-

gia, sconfigge il francese Paul

Médinger e acquista notorietà

internazionale. Il suo nome di-

venta un grido d’incitamento

(“Molla Buni!”) e la sua fama è

all’origine di un confronto uomo

contro cavallo, che poco più tar-

di lo opporrà nientemeno che a

Buffallo Bill, in giro per l’Europa

con il suo circo, sul terreno del

Page 6: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

della produzione nostrana del ciclo (Greco, Ciocca,

Prinetti e Stucchi…) in quanto fornita di tre essen-

ziali requisiti:

1) risulta un importante centro commerciale che

permette la facile disponibilità dei pezzi di impor-

tazione necessari a un’attività che è all’inizio so-

prattutto di assemblaggio;

2) dispone di un’estesa rete di laboratori e offici-

ne meccaniche da cui emergono facilmente i nuo-

vi costruttori;

3) costituisce un vasto mercato per il nuovo

prodotto.

Nel capoluogo lombardo, del resto, la bicicletta

ha fatto la sua prima ufficiale comparsa all’Esposi-

zione industriale del 1881, che – come scriverà

Gian Giacomo Roseo rievocando 31 anni più tardi

quell’epoca nella sua tesi di laurea – costituisce

“un primo riconoscimento della nuova produzione,

se non come industria già costituita, almeno come

raccolta di tentativi, di prove, di brevetti, nucleo

primo e potenziale della futura industria”.

Nel 1886 è il Veloce Club milanese a organizzare

la prima Mostra nazionale ciclistica, mentre già

l’anno seguente la famosa società ginnastica Forza

e Coraggio allestisce l’Esposizione internazionale

di ginnastica, scherma, tiro a segno e velocipedi.

Nel maggio 1893, sempre per iniziativa dell’attivis-

simo Veloce Club, si svolge il primo Congresso dei

velocipedisti italiani che comprende una sfilata

per le vie del centro di 450 ciclisti. Arrivano all’Are-

na dove ha luogo la sfida tra Romolo Buni e il fran-

cese Paul Médinger che originerà il celebre grido

d’incitamento: “Molla Buni!”. Nel 1895 tocca anco-

ra al Veloce Club occuparsi della prima Esposizio-

ne internazionale del ciclo, durante la quale ogni

ditta espone i propri modelli e stipula i contratti di

vendita con i commercianti.

La società milanese, insomma, è ben disposta

nei confronti del nuovo che avanza sul fronte cicli-

stico. Di lì a non molto Filippo Tommaso Marinet-

ti la descriverà con i “suoi sentimenti-pensieri

meccanizzati e le sue macchine pensanti… per tut-

ti gli italiani la centrale… degli ottimismi d’Italia”.

Ma già nel 1881 (l’anno dell’Esposizione industria-

le) il ballo Excelsior aveva chiarito le propensioni

della città meneghina. Al Teatro alla Scala il coreo-

grafo Luigi Manzotti, con musiche di Romualdo

Marenco, aveva messo in scena la vittoria del pro-

gresso e della civiltà sull’arretratezza e l’oscuranti-

smo attraverso la rappresentazione di invenzioni

ed eventi come il telegrafo senza fili, l’elettricità, la

navigazione a vapore, l’apertura di trafori transal-

19

LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE

Fattorini ciclisti

(detti “fattorin express”

dalla popolazione)

in piazza del Duomo

a Milano intorno

a1 1900.

Page 7: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

pini e di canali transoceanici, l’allestimento di ga-

re sportive. Lo spettacolo, in epoca di trionfante

positivismo, venne ripreso con enorme successo

innumerevoli volte in Italia e all’estero (fin negli

Stati Uniti) e consacrò un modello a lungo vincen-

te di spettacolo popolare. Al punto che gli stessi

Manzotti-Marenco nel 1897 replicheranno, sempre

alla Scala trasformata in un’enorme palestra, con il

ballo Sport. Questa volta si trattava della celebra-

zione della pratica sportiva come conquista e pa-

trimonio di tutti i popoli civili e segno di progres-

so, realizzata attraverso una successione di otto

fantasmagorici quadri che impegnavano quasi 600

persone: ballerini, pattinatori, ginnasti, cavalleriz-

zi, bandisti, mimi e, naturalmente, ciclisti.

In questo orizzonte di attesa è facile per la bici-

cletta esprimere e soddisfare l’esigenza primaria

della mobilità, intercettare la percezione del cam-

biamento sempre in direzione del nuovo e del me-

glio. “La bicicletta – scrive sul finire del secolo Alfre-

do Oriani – è la prima grande misericordia della

meccanica verso di noi”. È facile per la bicicletta in-

carnare la parte di macchina per antonomasia, in an-

ni di industrializzazione avviata e prima dell’avvento

dell’automobile. Ma anche dopo, a dire il vero, se un

catalogo del 1925 che celebra i primi quarant’anni

della ditta proclama che la “materia di cui la mac-

china Bianchi si compone sembra tramutarsi nella

specie più bella e rara, e la macchina stessa elevar-

si alla classe più eletta, quella che non ha rivali”. E

se come tale la registra ancora nel 1942 la settima

edizione del Dizionario moderno di Alfredo Panzini.

Ma la strada non è tutta in discesa. All’inizio del-

la sua storia gli elevati prezzi di vendita fanno della

due ruote un bene riservato a una ristretta fascia

sociale, composta di aristocratici e altoborghesi. In

un bellissimo catalogo (grafica art nouveau) del 1902

– dunque non più all’inizio della sua vicenda – la

Bianchi offre modelli che costano dalle 290 lire del

“bicicletto speciale costruito per ragazzi dell’età da-

gli 8 ai 12 anni”, alle 390 del modello “uomo popo-

lare”, fino alle 600 del tipo “lusso extra da viaggio”.

Sono cifre esagerate rispetto al salario medio di un

operaio che tocca le 2,48 lire giornaliere nel 1901,

essendo più o meno il doppio di quanto guadagna

20

BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO

Cataloghi commerciali

Bianchi.

Page 8: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

un bracciante delle campagne. Per la maggioranza

degli italiani comprarsi una bicicletta significa sa-

crificare buona parte o quasi tutto il reddito di un

anno di lavoro! Impensabile, tenendo conto che è

stato calcolato che quasi il 90% di quanto guadagna

una famiglia operaia a fine secolo se ne va per il ci-

bo, il vestiario e la pigione: cioè per il soddisfaci-

mento dei bisogni primari senza possibilità di de-

stinare risorse ad altri consumi. Ma questa situa-

zione è in movimento. Tra il 1896 e il 1914 crescono

i salari reali, accelera lo sviluppo dell’industria, mi-

gliora il tenore di vita delle classi medio-basse so-

prattutto nell’Italia centrosettentrionale, urbana e

in via di modernizzazione, aumenta la disponibilità

di tempo libero.

Nel bilancio di una famiglia operaia e, ancor più,

piccolo-borghese possono aprirsi spazi in cui met-

tere in conto l’acquisto di qualche bene durevole

di consumo, come per esempio una bicicletta. Ma-

gari usata. Magari a rate. Magari assemblando per-

sonalmente le parti “staccate” comprate in giro per

le numerose, piccole officine. Magari non una

Bianchi, ma una sottomarca di minor pregio e si-

curamente più a buon mercato. La bicicletta di-

venta popolare perché si rivela mezzo pratico come

niente altro fino a quel momento, nuovo strumen-

to di trasporto e di lavoro che non pone seri pro-

blemi di manutenzione e non richiede esagerate

spese di gestione.

Ma la bicicletta si rivela anche prezioso strumen-

to di piacere e di svago per sempre più ampie ca-

tegorie di lavoratori interessati dalla riduzione del-

l’orario di lavoro. All’osteria, alla festa paesana, al

ballo, al sesso, si viene aggiungendo la gita fuori

porta compiuta in sella al nuovo mezzo di traspor-

to come inedita forma di divertimento. Mentre si

moltiplicano le associazioni velocipedistiche col fi-

ne di offrire riferimenti organizzativi stabili e strut-

turati a quanti intendono dedicarsi alla nuova atti-

vità. Così come nascono parecchi giornali specia-

lizzati per soddisfare il crescente interesse del pub-

blico verso il fenomeno del velocipedismo: “Il Ci-

clo”, “Il Ciclista”, “L’Illustrazione ciclistica”, “La Bi-

cicletta”, “La Rivista velocipedistica”, “Il Ciclista e

la Tripletta”.

Del resto, nel 1894 s’è costituito il Touring Club

Ciclistico Italiano, proprio a Milano, in una sala

dell’Albergo degli Angioli, poco lontano da piazza

Duomo, dove si sono dati appuntamento 57 cicli-

sti illustri, fra i quali alcuni dei nomi più in vista

dell’imprenditoria milanese: Federico Johnson,

Inserzione pubblicitaria

Bianchi sulla rivista del TCI

nel febbraio 1908.

21

LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE

Figurina Liebig con una

scena del gran ballo Excelsior

che si svolge al teatro alla

Scala nel 1881. Lo sport è

uno dei protagonisti della

modernità avanzante, messa

in scena dallo spettacolo.

Page 9: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

Luigi Vittorio Bertarel-

li, Alberto Riva, Giu-

seppe Ricordi, Igna-

zio Dell’Oro, Giusep-

pe For la nini, Osvaldo

Fioroni. Tipici rap-

presentanti di quel-

la borghesia che

verso la fine del-

l’Ottocento sancisce l’ege-

monia della capitale lombarda nel mondo indu-

striale italiano. Milano diventa in quegli anni

“simbolo dell’Italia che produce, che crea ricchez-

za e lavoro, in contrapposizione all’Italia del pas-

sato, retorica e oziosa”. Nel maggio dell’anno se-

guente Johnson e Bertarelli guideranno la famosa

escursione ciclistica Milano-Roma a cavallo di due

Bianchi nere, modello da viaggio. È anche grazie a

simili manifestazioni che i soci del TCCI si molti-

plicano rapidamente: 784 nel 1894, diventano

quasi 21 mila nel 1900, e 83.603, cioè più che cen-

tuplicati, 10 anni più tardi.

In questo contesto, l’importanza che la produzio-

ne e la diffusione dei velocipedi – come si continua

a dire – vengono assumendo in Italia è confermata

dall’istituzione nel 1897 della tassa di circolazione

di 10 lire (legge 22 luglio, n.318). Se lo stato decide

di colpire le biciclette, significa che il loro numero

è tale da giustificare l’attenzione del fisco.

Il censimento delle biciclette, reso così possibile

dall’imposta del 1897 (ridotta a 6 lire nel 1910),

certamente sottostima i dati per l’inevitabile feno-

meno – anche allora – dell’evasione (i paganti so-

no certo molti meno dei pedalanti). Ma fornisce

una dimensione quantitativa del fenomeno co-

munque interessante. Ci dice, per esempio, che al-

meno il 17% della popolazione italiana si serve del

velocipede nel 1909.

Tab.1 – Biciclette circolanti in Italia alle date indicate Anno 1898 Biciclette 185.000

1899 200.0001900 215.0001901 221.0001902 230.0001903 242.0001904 295.0001905 343.0001906 368.0001907 412.0001908 475.0001909 504.0001910 605.000

Fonte: G.G. Roseo, L’industria e il commercio dei velocipedi nel mon-do. Appendice sull’industria dei pneumatici, Milano, Libreria editricemilanese, 1912, p.223.

Federico Johnson (in primo

piano vestito di scuro) e

Luigi Vittorio Bertarelli

(dietro di lui), tra i fondatori

del TCI nel 1894, guidano

la passeggiata cicloturistica

Milano-Roma organizzata

dalla neonata associazione

nel 1885.

22

BIANCHI, UNA BICICLETTA SOLA AL COMANDO

Una pagina di “Sport

Illustrato”, 1914.

Page 10: Bianchi. Una bicicletta sola al comando [BIANCHI UGUALE BICICLETTA & LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE]

A Milano la situazione è quella fotografata dal-

la tabella seguente:

Tab.2 – Biciclette circolanti a Milano alle date indicateAnno 1898 Biciclette 9.359

1899 13.4401900 13.4331901 14.1851902 16.2431903 17.1361904 19.9351905 22.3811906 17.9431907 21.0641908 23.9931909 26.8231910 39.978

Fonte: Ibidem

Gian Giacomo Roseo, nel 1910, riferisce di aver

“contato nel capoluogo lombardo più di 250 dit-

te commercianti in cicli”. Questo è il quadro nel

quale si inserisce e si sviluppa dal 1885 l’attività

del scior Edoardo. Il mercato si allarga, tendendo

a farsi nazionale e offrendo ai più intraprendenti

e capaci possibilità di sostituirsi in parte alle

marche straniere di importazione (specie dagli

Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Germania

dove l’industria ciclistica è nata con almeno 15

anni di anticipo) e prospettive di espansione an-

che verso l’estero.

Gita del Touring Club

di Foligno al Tempio

del Clitumno

il 30 maggio 1903.

23

LA RIVOLUZIONE A DUE RUOTE

Il primo numero della

rivista settimanale

“Il Ciclista”, stampata

a Milano dal 1895.