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Letteratura italiana Einaudi Aminta di Torquato Tasso

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Letteratura italiana Einaudi

Aminta

di Torquato Tasso

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Letteratura italiana Einaudi

Edizione di riferimento:Aminta, a cura di Bruno MaierRizzoli, Milano 1963

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Prologo 2

Atto primo 5Atto secondo 25Atto terzo 42Atto quarto 53Atto quinto 66

Appendice 71

Sommario

Letteratura italiana Einaudi

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1Letteratura italiana Einaudi

AMINTAFAVOLA BOSCHERECCIA

interlocutori

amore, in abito pastoraledafne, compagna di Silviasilvia, amata da Amintaaminta, innamorato di Silviatirsi, compagno d’Amintasatiro, innamorato di Silvianerina, messaggeraergasto, nunzioelpino, pastorecoro de’ pastori.

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Torquato Tasso - Aminta

PROLOGO

amore in abito pastorale.Chi crederia che sotto umane formee sotto queste pastorali spogliefosse nascosto un dio? non mica un dioselvaggio, o de la plebe de gli dei,ma tra’ grandi e celesti il più potente, 5che fa spesso cader di mano a Martela sanguinosa spada, ed a Nettunoscotitor de la terra il gran tridente,ed i folgori eterni al sommo Giove.In questo aspetto, certo, e in questi panni 10non riconoscerà sí di leggieroVenere madre me suo figlio Amore.Io da lei son constretto di fuggiree celarmi da lei, perch’ella vuolech’io di me stesso e de le mie saette 15faccia a suo senno; e, qual femina, e qualevana ed ambiziosa, mi rispingepur tra le corti e tra corone e scettri,e quivi vuol che impieghi ogni mia prova,e solo al volgo de’ ministri miei, 20miei minori fratelli, ella consentel’albergar tra le selve ed oprar l’armine’ rozzi petti. Io, che non son fanciullo,se ben ho volto fanciullesco ed atti,voglio dispor di me come a me piace: 25ch’a me fu, non a lei, concessa in sortela face onnipotente e l’arco d’oro.Però spesso celandomi, e fuggendol’imperio no, che in me non ha, ma i preghi,c’han forza porti da importuna madre, 30ricovero ne’ boschi e ne le casede le genti minute; ella mi segue,dar promettendo a chi m’insegna a lei

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o dolci baci o cosa altra più cara:quasi io di dare in cambio non sia buono, 35a chi mi tace o mi nasconde a lei,o dolci baci o cosa altra più cara.Questo io so certo almen: che i baci mieisaran sempre più cari a le fanciulle,se io, che son l’Amor, d’amor m’intendo: 40onde sovente ella mi cerca in vano,ché rivelarmi altri non vuole, e tace.Ma per istarne anco più occulto, ond’ellaritrovar non mi possa a i contrassegni,deposto ho l’ali, la faretra e l’arco. 45Non però disarmato io qui ne vengo,ché questa, che par verga, è la mia face(così l’ho trasformata), e tutta spirad’indivisibili fiamme; e questo dardo,se bene egli non ha la punta d’oro, 50è di tempre divine, e imprime amoredovunque fiede. Io voglio oggi con questofar cupa e immedicabile feritanel duro sen de la più cruda ninfache mai seguisse il coro di Diana. 55Né la piaga di Silvia fia minore(ché questo è ’l nome de l’alpestre ninfa)che fosse quella che pur feci io stessonel molle sen d’Aminta, or son molt’anni,quando lei tenerella ei tenerello 60seguiva ne le caccie e ne i diporti.E, perché il colpo mio più in lei s’interni,aspeterò che la pietà molliscaquel duro gelo che d’intorno al corel’ha ristretto il rigor de l’onestate 65e del virginal fasto; ed in quel puntoch’ei fia più molle, lancerogli il dardo.E, per far sì bell’opra a mio grand’agio,io ne vo a mescolarmi infra la turba

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

de’ pastori festanti e coronati, 70che già qui s’è inviata, ove a diportosi sta nè dì solenni, esser fingendouno di loro schiera; e in questo luogo,in questo luogo a punto io farò il colpo,che veder non potrallo occhio mortale. 75Queste selve oggi ragionar d’Amores’udranno in nuova guisa; e ben parrassiche la mia deità sia qui presentein se medesma, e non ne’ suoi ministri.Sospirerò nobil sensi a’ rozzi petti, 80raddolcitò de le lor lingue il suono:perché, ovunque ’i mi sia, io sono Amore,ne’ pastori non men che ne gli eroi,e la disagguaglianza de’ soggetticome a me piace agguaglio; e questa è pure 85suprema gloria e gran miracol mio:render simili a le più dotte cetrele rustiche sampogne; e se mia madre,che si sdegna vedermi errar fra’ boschi,ciò non conosce, è cieca ella, e non io, 95cui cieco a torto il cieco volgo appella.

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ATTO PRIMO

scena prima

Dafne, Silvia

[dafne]

Vorrai dunque pur, Silvia,da i piaceri di Venere lontanamenarne tu questa tua giovanezza?Né ’l dolce nome di madre udirai, 95né intorno ti vedrai vezzosamentescherzar i figli pargoletti? Ah, cangia,cangia, prego, consiglio,pazzarella che sei.

silvia

Altri segua i diletti de l’amore, 100se pur v’è ne l’amor alcun diletto:me questa vita giova, e ’l mio trastulloè la cura de l’arco e de gli strali;seguir le fere fugaci, e le fortiatterrar combattendo; e se non mancano 105saette a la faretra o fere al bosco,non tem’io che a me manchino diporti.

dafne

Insipidi diporti veramente,ed insipida vita; e s’a te piaceè sol perché non hai provata l’altra. 110Così la gente prima, che già vissenel mondo ancora semplice ed infate,stimò dolce bevanda e dolce cibol’acqua e le ghiande, ed or l’acqua e le ghiandesono cibo e bevanda d’animali, 115poi che s’è posto in uso il grano e l’uva.Forse, se tu gustassi anco una volta

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la millesima parte de le gioieche gusta un cor amato riamando,diresti, ripentita, sospirando: 120“Perduto è tutto il tempoche in amar non si spende”.O mia fuggita etate,quante vedove notti,quanti dì solitari 125ho consumati indarno,che si poteano impiegar in quest’uso,il qual più replicato è più soave!Cangia, cangia consiglio,pazzarella che sei: 130ché ’l pentirsi da sezzo nulla giova.

silvia

Quando io dirò, pentita, sospirando,queste parole che tu fingi ed ornicome a te piace, torneranno i fiumia le lor fonti, e i lupi fuggiranno 135da gli agni, e ’l veltro le timide lepri;amerà l’orso il mare, e ’l delfin l’alpi.

dafne

Conosco la ritrosa fanciullezza:qual tu sei, tal io fui: così portavala vita e ’l volto, e così biondo il crine, 140e così vermigliuzza avea la bocca,e così mista col candor la rosane le guancie pienotte e delicate.Era il mio sommo gusto (or me n’avveggiogusto di sciocca) sol tender le reti, 145ed invescar le panie, ed aguzzareil dardo ad una cote, e spiar l’ormee ’l covil de le fere; e se taloravedea guatarmi da cupido amante,chinava gli occhi rustica e selvaggia, 150piena di sdegno e di vergogna, e m’era

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mal grata la mia grazia, e dispiacentequanto di me piaceva altrui: pur comefosse mia colpa e mia onta e mio scornol’esser guardata, amata e desiata. 155Ma che non puote il tempo? e che non puote,servendo, meritando, supplicando,fare un fedele ed importuno amante?Fui vinta, io te ’l confesso, e furon l’armidel vincitore umiltà, sofferenza, 160pianti, sospiri e dimandar mercede.Mostrommi l’ombra d’una breve notteallora quel che ’l lungo corso e ’l lumedi mille giorni non m’avea mostrato;ripresi allor me stessa e la mia cieca 165simplicitate, e dissi sospirando:“Eccoti, Cinzia, il corno, eccoti l’arco,ch’io rinunzio i tuoi strali e la tua vita”.Così spero veder ch’anco il tuo Amintapur un giorno domestichi la tua 170rozza salvatichezza, ed ammolliscaquesto tuo cor di ferro e di macigno.Forse ch’ei non è bello? o ch’ei non t’ama?o ch’altri lui non ama? o ch’ei si cambiaper l’amor d’altri? over per l’odio tuo? 175forse ch’in gentilezza egli ti cede?Se tu sei figlia di Cidippe, a cuifu padre di dio di questo nobil fiume,ed egli è figlio di Silvano, a cuiPane fu padre, il gran dio de’ pastori. 180Non è men di te bella, se ti guardidentro lo specchio mai d’alcuna fonte,la candida Amarilli; e pur ei sprezzale sue dolci lusinghe, e segue i tuoidispettosi fastidi. Or fingi (e voglia 185pur Dio che questo fingere sia vano)ch’egli, teco sdegnato, al fin procuri

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

ch’a lui piaccia colei cui tanto ei piace;qual animo fia il tuo? o con quali occhili vedrai fatto altrui? fatto felice 190ne l’altrui braccia, e te schernir ridendo?

silvia

Faccia Aminta di sé e de’ suoi amoriquel ch’a lui piace: a me nulla ne cale;e pur che non sia mio, sia di chi vuole;ma esser non può mio s’io lui non voglio; 195né, s’anco egli mio fosse, io sarei sua.

dafne

Onde nasce il tuo odio?silvia

Dal suo amore.dafne

Piacevol padre di figlio crudele.Ma quando mai da i manueti agnellinaquer le tigri? o da i bei cigni i corvi? 200O me inganni o te stessa.

silvia

Odio il suo amorech’odia la mia onestate, ed amai luimentr’ei volse di me quel ch’io voleva.

dafne

Tu volevi il tuo peggio: egli a te bramaquel ch’a sé brama.

silvia

Dafne, o taci, o parlad’altro, se vuoi risposta.

dafne

Or guata modi!guata che dispettosa giovinetta!Or rispondimi almen: s’altri t’amasse,gradiresti il suo amore in questa guisa?

silvia

In queta guisa gradirei ciascuno 210

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insidiator di mia virginitate,che tu dimandi amante ed io nimico.

dafne

Stimi dunque nemicoil monton de l’agnella?de la giovenca il toro? 215Stimi dunque nemicoil tortore a la fida tortorella?Stimi dunque stagionedi nimicizia e d’irala dolce primavera, 220ch’or allegra e ridentericonsiglia ad amareil mondo e gli animalie gli uomini e le donne? e non t’accorgicome tutte le cose 225or sono innamorated’un amor pien di gioia e di salute?Mira là quel colombocon che dolce susurro lusingandobacia la sua compagna. 230Odi quell’usignoloche va di ramo in ramocantando: “Io amo, io amo”; e se non ’l sai,la biscia lascia il suo veleno e correcupida al suo amatore; 235van le tigri in amore;ama il leon superbo; e tu sol, fierapiù che tutte le fere,albergo gli dineghi nel tuo petto.Ma che dico leoni e tigri e serpi, 240che pur han sentimento? amano ancoragli alberi. Veder puoi con quanto affettoe con quanti iterati abbracciamentila vite s’avviticchia al suo marito;l’abete ama l’abete, il pino il pino, 245

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

l’orno per l’orno e per la salce il salce,e l’un per l’altro faggio arde e sospira.Quella quercia che paresì ruvida e selvaggia,o sent’anch’ella il potere 235de l’amoroso foco; e se tu avessispirto e senso d’amore, intenderestii suoi muti sospiri. Or tu da menoesser vuoi de le piante,per non esser amante? 255Cangia, cangia consiglio,pazzarella che sei.

silvia

Or su, quando i sospiriudirò de le piante,io son contenta allor d’esser amante. 260

dafne

Tu prendi a gabbo i miei fidi consiglie burli mie ragioni? O in amoresorda non men che sciocca? Ma va pure,ché verrà tempo che ti pentirainon averli seguiti. e Già non dico 265allor che fuggirai le fonti, ov’oraspesso ti specchi e forse ti vagheggi,allor che fuggirai le fonti, soloper tema di vederti crespa e brutta:questo avverratti ben; ma non t’annuncio 270già questo solo, ché, bench’è gran male,è però mal commune. Or non rammenticiò che l’altr’ieri Elpino raccontava,il saggio Elpino a la bella Licori,Licori ch’in Elpin puote con gli occhi 275quel ch’ei potere in lei dovria col cantose ’l doere in amor si ritrovasse?E ’l raccontava udendo Batto e Tirsi,gran maestri d’amore, e ’l raccontava

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ne l’antro de l’Aurora, ove su l’uscio 280è scritto: “Lungi, ah lungi ite, profani”.Diceva egli, e diceva che glie’l dissequel grande che cantò l’armi e gli amori,ch’a lui lasciò la fistola morendo,che là giù ne lo ’nferno è un vero speco,là dove essala un fumo pien di puzzada le triste fornaci d’Acheronte;e che quivi punite eternamentein tormenti di tenebre e di piantoson le femine ingrate e sconoscenti. 290Quivi aspetta ch’albergo s’apparecchia la tua feritate;e dritto è ben ch’il fumotragga mai sempre il pianto da quegli occhi,onde trarlo giamai 295non poté la pietate.Segui, segui tuo stile,ostinata che sei.

silvia

Ma che fé allor Licori? e com’ risposea queste cose? 300

dafne

Tu e’ fatti proprinulla ti curi, e vuoi saper gli altrui.Con gli occhi gli rispose.Come risponder sol poté con gli occhi?

dafne

Risposer questi con dolce sorriso,volti ad Elpino: “Il core e noi siam tuoi; 305tu bramar più non dei: costei non puotepiù darti”. E tanto solo basterebbeper intiera mercede al casto amante,se stimasse veraci come belliquegli occhi, e lor prestasse intera fede. 310

silvia

E perché lor non crede?

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Torquato Tasso - Aminta

dafne

Or tu non saiciò che Tirsi ne scrisse, allor ch’ardendoforsennato egli errò per le foreste,sì ch’insieme movea pietate e risone le vezzose ninfe e ne’ pastori? 315se ben cose facea degne di risoNé già cose scrivea degne di riso.Lo scrisse in mille piante, e con le piantecrebbero i versi; e così lessi in una:“Specchi del cor, fallaci infidi lumi, 320ben riconosco in voi gli inganni vostri;ma che pro, se schivarli Amor mi toglie?”

silvia

Io qui trapasso il tempo ragionando,né mi sovviene ch’oggi è ’l dì prescritto 325ch’andar si deve a la caccia ordinatane l’Eliceto. Or, se ti pare, aspettach’io pria deponga nel solito fonteil sudore e la polve, ond’ier mi sparsiseguendo in caccia una damma veloce,ch’al fin giunsi ed ancisi. 330

dafne

Aspetterotti,e forse anch’io mi bagnerò nel fonte.Ma sino a le mie case ir prima voglio,ché l’ora non è tarda, come pare.Tu ne le tue m’aspetta ch’a te venga,e pensa in tanto pur quel che più importa 335de la caccia e del fonte; e se non sai,credi di non saper, e credi a’ savi.

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scena seconda

Aminta, Tirsi.

[aminta]Ho visto al pianto miorisponder per pietate i sassi e l’onde,e sospirar le fronde 340ho visto al pianto mio;ma non ho visto mai,né spero di vedere,compassion ne la crudele e bella,che non so s’io mi chiami o donna o fera; 345ma niega d’esser donna,poiché nega pietatea chi non la negarole cose inanimate.

tirsi

Pasce l’agna l’erbette, il lupo l’agne, 350ma il crudo Amor di lagrime si pasce,né se ne mostra mai satollo.

aminta

Ahi, lasso,ch’Amor satollo è del mio pianto omai,e solo ha sete del mio sangue, e tostovoglio ch’egli e quest’empia il sangue mio 355bevan con gli occhi.

tirsi

Ahi, Aminta, ahi, Aminta,che parli? o che vaneggi? Or ti conforta,ch’un’altra troverai, se ti disprezzaquesta crudele.

aminta

Ohimè, come poss’ioaltri trovar, se me trovar non posso? 360Se perduto ho me stesso, quale acquistofarò mai che mi piaccia?

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tirsi

O miserello,non disperar, ch’acquisterai costei.La lunga etate insegna a l’uom di porrefreno a i leoni ed a le tigri ircane. 365

aminta

Ma il misero non puote a la sua morteindugio sostener di lungo tempo.

tirsi

Sarà corto l’indugio: in breve spazios’adira e in breve spazio anco si placafemina, cosa mobil per natura 370più che fraschetta al vento e più che cimadi pieghevole spica. Ma, ti prego,fa ch’io sappia più a dentro de la tuadura condizione e de l’amore:ché se ben confessato m’hai più volte 375d’amare, mi tacesti però dovefosse posto l’amore. Ed è ben degnala fedele amicizia ed il communestudio de le muse ch’a me scuopraciò ch’a gli altri si cela. 380

aminta

Io son contento,Tirsi, a te dir ciò che le selve e i montie i fiumi sanno, e gli uomini non sanno.Ch’io sono omai sì prossimo a la morte,ch’è ben ragion ch’io lasci chi ridicala cagion del morire, e che l’incida 385ne la scorza d’un faggio, presso il luogodove sarà sepolto il corpo essangue:sì che tal or passandovi quell’empia,si goda di calcar l’oassa infelicico ’l piè superbo, e tra sé dica: “È questo 390pur mio trionfo”; e goda di vedereche nota sia la sua vittoria a tutti

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li pastor paesani e pellegriniche quivi il caso guidi; e forse (ahi, sperotroppo alte cose) un giorno esser potrebbe 395ch’ella, commossa da tarda pietate,piangesse morto chi già vivo uccise,dicendo: “Oh pur qui fosse, e fosse mio!”Or odi.

tirsi

Segui pur, ch’io ben t’ascolto,e forse a miglior fin che tu non pensi. 400Essendo io fanciulletto, sì che a penagiunger potea con la man pargolettaa corre i frutti da i piegati ramide gli arboscelli, intrinseco divennide la più vaga e cara verginella 405che mai spiegasse al vento chioma d’oro.La figliuola conosci di Cidippee di Montan, ricchissimo d’armenti,Silvia, onor de le selve, ardor de l’alme?Di queta parlo, ahi lasso; vissi a questa 410così unito alcun tempo, che fra duetortorelle più fida compagnianon sarà mai, né fue.Congiunti eran gli alberghi,ma più congiunti i cori; 415conforme era l’etate,ma ’l pensier più conforme:seco tendeva insidie con le retia i pesci ed a gli augelli, e seguitavai cervi seco e le veloci damme; 420e ’l diletto e la preda era commune.Ma, mentre io fea rapina d’animali,fui non so come a me stesso rapito.A poco a poco nacque nel mio petto,non so da qual radice, 425com’erba suol che per se stessa germini,

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un incognito affetto,che mi fea desiared’esser sempre presentea la mia bella Silvia; 430e bevea da’ suoi lumiun’estranea dolcezza,che lasciava nel fineun non so che d’amaro;sospirava sovente, e non sapeva 435la cagion de’ sospiri.Così fui prima amante ch’intendessiche cosa fosse amore.Ben me n’accorsi al fin; ed in qual modo,ora m’ascolta, e nota. 440

tirsi

È da notare.aminta

A l’ombra d’un bel faggio Silvia e Fillisedean un giorno, ed io con loro insieme,quando un’ape ingegnosa, che cogliendosen’ giva il mel per que’ prati fioriti,a le guancie di Fillide volando, 445a le guancie vermiglie come rosa,lme morse e le rimorse avidamente:ch’a la similitudine ingannataforse un fior le credette. Allora Fillicominciò lamentarsi, impaziente 450de l’acuta puntura;ma la mia bella Silvia disse: “Taci,taci, non ti lagnar, Filli, perch’iocon parole d’incanti leverottiil dolor de la picciola ferita. 455A me insegnò già questo secretola saggia Aresia, e n’ebbe per mercedequel mio corno d’avolio ornato d’oro”.Così dicendo, avvicinò le labra

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de la sua bella e dolcissima bocca 460a la guancia rimorsa, e con soavesusurro mormorò non so che versi.Oh mirabili effetti! Sentì tostocessar la doglia, o forse la virtutedi que’ magici detti o, com’io credo, 465la virtù de la boccache sana ciò che tocca.Io, che sino a quel punto altro non volsiche ’l soave splendor de gli occhi belli,e le dolci parole, assai più dolci 470che ’l mormorar d’un lento fiumicelloche rompa il corso fra minuti sassi,o che ’l garrir de l’aura infra le frondi,allor sentii nel cor novo desired’appressare a la sua questa mia bocca; 475e fatto non so come astuto e scaltropiù de l’usato (guarda quanto Amoreaguzza l’intelletto!), mi sovvenned’un inganno gentile, co ’l qual iorecar potessi a fine il mio talento: 480ché fingendo ch’un’ape avesse morsoil mio labro di sotto, incominciai alamentarmi di cotal maniera,che quella medicina che la linguanon richiedeva, il volto richiedeva. 485La semplicetta Silvia,pietosa del mio male,s’offrì di dar aitaa la finta ferita, ahi lasso, e fecepiù cupa e più mortale 490la mia piaga verace,quando le labra suegiunse a le labra mie.N’é l’api d’alcun fiorecoglion sì dolce il mel ch’allora io colsi 495

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Torquato Tasso - Aminta

da quelle fresche rose,se ben gli ardenti baci,che spingeva il desire a inumidirsi,raffrenò la temenzae la vergogna, o felli 500più lenti e meno audaci.Ma mentre al cor scendevaquella dolcezza mistad’un secreto veleno,tal diletto n’avea 505che, fingendo ch’ancor non mi passasseil dolor di quel morso,fei sì ch’ella più voltevi replicò l’incanto.Da indi in qua andò in guisa crescendo 510il desire e l’affanno impazienteche, non potendo più capir nel petto,fu forza che scoppiasse; ed una voltache in cerchio sedevam ninfe e pastorie facevamo alcuni nostri giuochi, 515ché ciascun ne l’orecchio del vicinomormorando diceva un suo secreto,“Silvia,” le dissi “io per te ardo, e certomorrò, se non m’aiti.” A quel parlarechinò ela il bel volto, e fuor le venne 520un improviso, insolito rossoreche diede segno di vergogna e d’ira;né ebbi altra risposta che un silenzio,un silenzio turbato e pien di dureminaccie. Indi si tolse, e più non volle 525né vedermi né udirmi. E già tre volteha il nudo mietitor tronche le spighe,ed altretante il verno ha scossi i boschide le lor verdi chiome; ed ogni cosatentata ho per placarla, fuor che morte.Mi resta sol che per placarla io mora;

18Letteratura italiana Einaudi

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e morrò volontier, pur ch’io sia certoch’ella o se ne compiaccia o se ne doglia;né so di tai due cose qual più brami.Ben fora la pietà premio maggiore 535a la mia fede, e maggior ricompensaa la mia morte; ma bramar non deggiocosa che turbi il bel lume serenoa gli occhi cari, e affanni quel bel petto.

tirsi

È possibil però che, s’ella un giorno 540udisse tai parole, non t’amasse?

aminta

Non so, né ’l credo; ma fugge i miei detticome l’aspe l’incanto.

tirsi

Or ti confida,ch’a me dà cuor di far ch’ella t’ascolti.

aminta

O nulla impetrerai o, se tu impetri 545ch’io parli, io nulla impetrerò parlando.

tirsi

Perché disperi sì?aminta

Giusta cagioneho del mio disperar, ché il saggio Mopsomi predisse la mia cruda ventura,Mopso ch’intende il parlar degli augelli 550e la virtù de l’erbe e de le fonti.

tirsi

Di qual Mopso tu dici? di quel Mopsoch’a ne la lingua melate parole,e ne le labra un amichevol ghigno,e la fraude nel seno, ed il rasoio 555tien sotto il manto? Or su, sta di bon core,ché i sciaurati pronostichi infelicich’ei vende a’ mal accorti con quel grave

Torquato Tasso - Aminta

19Letteratura italiana Einaudi

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Torquato Tasso - Aminta

suo supercilio, non han mai effetto;e per prova so io ciò che ti dico: 560anzi, da questo sol ch’ei t’ha predetto,mi giova di sperar felice finea l’amor tuo.

aminta

Se sai cosa per prova,che conforti mia speme, non tacerla.

tirsi

Dirolla volentieri. Allor che prima 565mia sorte mi condusse in queste selve,costui conobbi, e lo stimava io talequal tu lo stimi; in tanto un dì mi vennee bisogno e talento d’irne dovesiede la gran cittade in ripa al fiume, 570ed a costui ne feci motto; ed eglicosì mi disse: “Andrai ne la gran terra,ove gli astuti e scaltri cittadinie i cortigian malvagi molte volteprendonsi a gabbo, e fanno brutti scherni 575di noi rustici incauti: però, figlio,va su l’avviso, e non t’appressar troppoove sian drappi colorati e d’oro,e pennacchi e divise e foggie nove;ma sopra tutto guarda che mal fato 580o giovenil vaghezza non ti menial magazzino de le ciancie: ah fuggi,fuggi quell’incantato alloggiamento”.“Che luogo è questo?” io chiesi; ed ei soggiunse:“Quivi abitan le maghe, che incantando 585far traveder e traudir ciascuno.Ciò che diamante sembra ed oro fino,è vetro e rame; e quelle arche d’argento,che stimeresti piene di tesoro,sporte son piene di vesciche bugge. 590Quivi le mura son fatte con arte,

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che parlano e rispondono a i parlanti;né già rispondon la parola mozza,com’Eco suole ne le nostre selve,ma la replican tutta intiera intiera, 595con giunta anco di quel ch’altri non disse.I trespidi, le tavole e le panche,le scranne, le lettiere, le cortine,e gli arnesi di camera e di salahan tutti lingua e voce, e gridan sempre. 600Quivi le ciancie in forma di bambinevanno trescando, e se un muto v’entrasse,un muto ciancerebbe a suo dispetto.Ma questo è ’l minor mal che ti potesseincontrar: tu potresti indi restarne 605converso in selce, in fera, in acqua, o in oco:acqua di pianto, e foco di sospiri”.Così diss’egli; ed io n’andai con questofallace antiveder ne la cittade;e, come volse il ciel benigno, a caso 610passai per là dov’è ’l felice albergo.Quindi uscian fuor voci canore e dolcie di cigni e di ninfe e di sirene,di sirene celesti; e n’uscian suonisoavi e chiari; e tanto altro diletto, 615ch’attonito godendo ed ammirandomi fermai buona pezza. Era su l’uscio,quasi per guardia de le cose belle,uom d’aspetto magnanimo e robusto,di cui, per quanto intesi, in dubbio stassi 620s’egli sia miglior duce o cavaliero,che con fronte benigna insieme e grave,con regal cortesia invitò dentro,ei grande e ’n pregio, me negletto e basso.Oh che sentii? che vidi allora? I’ vidi 625celesti dee, ninfe leggiadre e belle,novi Lini ed Orfei: ed oltre ancora,

Torquato Tasso - Aminta

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senza vel, senza nube, e quale e quantaa gl’immortali appar, vergine Aurorasparger d’argento e d’or rugiade e raggi; 630e fecondando illuminar d’intornovidi Febo e le Muse; ed in quel puntosentii me far di me stesso maggiore,pien di nova virtú, pieno di nova 635deitade, e cantai guerre ed eroi,sdegnando pastoral ruvido carme.E se ben poi (come altrui piacque) feciritorno a queste selve, io pur ritenniparte di quello spirto; né già suona 640la mia sampogna umil come soleva;ma di voce più altera e più sonora,emula de le trombe, empie le selve.Udimmi Mopso poscia; e con malignoguardo mirando affascinommi: ond’ioroco divenni, e poi gran tempo tacqui,quando i pastor credean ch’io fossi statovisto dal lupo, e ’l lupo era costui.Questo t’ho detto, acciò che sappi quantoil parlar di costui di fede è degno; 650e dei bene sperar, sol perché ei vuoleche nulla speri.

aminta

Piacemi d’udirequanto mi narri. A te dunque rimettola cura di mia vita.

tirsi

Io n’avrò cura.Tu fra mezz’ora qui trovar ti lassa. 655

coro

O bella età de l’oro,non già perché di lattesen’ corse il fiume e stillò mele il bosco;non perché i frutti loro

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dier da l’aratro intatte 660le terre, e gli angui errar senz’ira o tosco;non perché nuvol fosconon spiegò allor suo velo,ma in primavera eterna,ch’ora s’accende e verna, 665rise di luce e di sereno il cielo;né portò peregrinoo guerra o merce a gli altrui lidi il pino;ma sol perché quel vanonome senza soggetto, 670quell’idolo d’errori, idol d’inganno,quel che dal volgo insanoonor poscia fu detto,che di nostra natura ’l feo tiranno,non mischiava il suo affanno 675fra le liete dolcezzede l’amoroso gregge;né fu sua dura leggenota a quell’alme in libertate avvezze,ma legge aurea e feliceche natura scolpì: “S’ei piace, ei lice”.Allor tra fiori e linfetraen dolci carolegli Amoretti sen’archi e senza faci;sedean pastori e ninfe 685meschiando a le parolevezzi e susurri, ed a i susurri i bacistrettamente tenaci;la verginella ignudescopria sue fresche rose, 690ch’or tien nel velo ascose,e le poma del seno acerbe e crude;e spesso in fonte o in lagoscherzar si vide con l’amata il vago.Tu prima, Onor, velasti 695

Torquato Tasso - Aminta

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la fonte de i diletti,negando l’onde a l’amorosa sete;tu a’ begli occhi insegnastidi starne in sé ristretti,e tener lor bellezze altrui secrete; 700tu raccogliesti in retele chiome e l’aura sparte;tu i dolci atti lascivifesti ritrosi e schivi;a i detti il fren ponesti, a i passi l’arte:opra è tua sola, o Onore,che furto sia quel che fu don d’Amore.E son tuoi fatti egregile pene e i pianti nostri.Ma tu, d’Amore, e di Natura donno, 710tu domator de’ regi,che fai tra questi chiostri,che la grandezza tua capir non ponno?Vattene, e turba il sonnoa gl’illustri e potenti: 715noi qui, negletta e bassaturba, senza te lassaviver ne l’uso de l’antiche genti.Amiam, ché non ha treguacon gli anni umana vita, e si dilegua. 720Amiam, ché ’l sol si muore e poi rinasce:a noi sua breve luces’asconde, e ’l sonno eterna notte adduce.

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ATTO SECONDO

scena prima

satiro solo.Picciola è l’ape, e fa col picciol morsopur gravi e pur moleste le ferite; 725ma qual cosa è più picciola d’Amore,se in ogni breve spazio entra, e s’ascondein ogni breve spazio? or sotto a l’ombrade le palpebre, or tra’ minuti rivid’un biondo crine, or dentro le pozzette 730che forma un dolce riso in bella guancia;e pur fa tanto grandi e sì mortalie così immedicabili le piaghe.Ohimè, che tutte piaga e tutte sangueson le viscere mie; e mille spiedi 735ha negli occhi di Silvia il crudo Amore.Crudele Amor, Silvia crudele ed empiapiù che le selve! Oh come a te confassital nome, e quanto vide chi te ’l pose!Celan le selve angui, leoni ed orsi 740dentro il lor verde; e tu dentro al bel pettonascondi odio, disdegno, ed impietate,fere peggior ch’angui, leoni ed orsi:ché si placano quei, questi placarsinon possono per prego né per dono. 745Ohimè, quando ti porto i fior novelli,tu li ricusi, ritrosetta, forseperché fior via più belli hai nel bel volto.Ohimè, quando io ti porgo i vaghi pomi,tu li rifiuti, disdegnosa, forse 750perché pomi più vaghi hai nel ben seno.Lasso, quand’io t’offrisco il dolce mele,tu lo disprezzi, dispettosa, forse

Torquato Tasso - Aminta

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perché mel via più dolce hai ne le labra.Ma se mia povertà non può donarti 755cosa ch’in te non sia più bella e dolce,me medesmo ti dono. Or perché iniquascherni ed abborri il dono? non sono ioda disprezzar, se ben me stesso vidinel liquido del mar, quando l’altr’ieri 760taceano i venti ed ei giacea senz’onda.Questa mia faccia di color sanguigno,queste mie spalle larghe, e queste bracciatorose e nerborute, e questo pettosetoso, e queste mie velate coscie 765son di virilità, di robustezzaindicio; e se no ’l credi, fanne prova.Che vuoi tu far di questi tenerelli,che di molle lanugine fioritehanno a pena le guancie? e che con arte 770dispongono i capelli in ordinanza?Femine nel sembiante e ne le forzesono costoro. Or dì ch’alcun ti seguaper le selve e pe i monti, e ’ncontra gi orsied incontra i cinghiai per te combatta. 775Non sono io brutto, no, né tu mi sprezziperché si fatto io sia, ma solamenteperché povero sono: ahi, ché le villeseguon l’essempio de le gran cittadi;e veramente il secol d’oro è questo, 780poiché sol vince l’oro e regna l’oro.O chiunque tu fosti, che insegnastiprimo a vender l’amor, sia maledettoil tuo cener sepolto e l’ossa fredde.e non si trovi mai pastore o ninfa 785che lor dica passando: “Abbiate pace”;ma le bagni la pioggia e mova il vento,e con piè immondo la greggia il calpestie ’l peregrin. Tu prima svergognasti

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la nobiltà d’amor; tu le sue liete 790dolcezze inamaristi. Amor venale,amor servo de l’oro è il maggior mostroed il più abominabile e il più sozzo,che produca la terra o ’l mar fra l’onde.Ma perché in van mi lagno? Usa ciascuno 795quell’armi che gli ha date la naturaper sua salute: il cervo adopra il corso,il leone gli artigli, ed il bavosocinghiale il dente; e son potenza ed armide la donna bellezza e leggiadria; 800io perché non per mia salute adoprola violenza, se mi fé naturaatto a far violenza ed a rapire?Sforzerò, rapirò quel che costeimi niega, ingrata, in merto de l’amore: 805che, per quanto un caprar testé mi ha detto,ch’osservato ha suo stile, ella ha per usod’andar sovente a rinfrescarsi a un fonte;e mostrato m’ha il loco. Ivi io disegnotra i cespugli appiattarmi e tra gli arbusti, 810ed aspettar fin che vi venga; e, comeveggia l’occasion, correrle adosso.Quel contrasto col corso o con le bracciapotrà fare una tenera fanciullacontra me sì veloce e sì possente? 815Pianga e sospiri pure, usi ogni sforzodi pietà, di bellezza: che, s’io possoquesta mano ravvoglierle nel crine,indi non partirà, ch’io pria non tingal’armi mie per vendetta nel suo sangue. 820

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

scena seconda

Dafne, Tirsi.

[dafne]Tirsi, com’io t’ho detto, io m’era accortach’Aminta amava Silvia; e Dio sa quantibuoni officii n’ho fatti, e son per farlitanto più volontier, quant’or vi aggiungile tue preghiere; ma torrei più tosto 825a domar un giuvenco, un orso, un tigre,che a domar una semplice fanciulla:fanciulla tanto sciocca quanto bella,che non s’avveggia ancor come sian caldel’armi di sua bellezza, e come acute; 830ma ridendo e piangendo uccida altrui,e l’uccida e non sappia di ferire.

tirsi

Ma quale è così semplice fanciullache, uscita da le fascie, non apprendal’arte del parer bella e del piacere, 835de l’uccider piacendo, e del saperequal arme fera, e qual dia morte, e qualesani e ritorni in vita?

dafne

Chi è ’l mastrodi cotant’arte?

tirsi

Tu fingi, e mi tenti:quel che insegna a gli augelli il canto e ’l volo, 840a’ pesci il nuoto ed a’ montoni il cozzo,al toro usar il corno, ed al pavonespiegar la pompa de l’occhiute piume.

dafne

Come ha nome ’l gran mastro?tirsi

Dafne ha nome.

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dafne

Lingua bugiarda! 845tirsi

E perché? tu non seiatta a tener mille fanciulle a scola?Benché, per dir il ver, non han bisognodi maestro: maestra è la natura,ma la madre e la balia anco v’han parte.

dafne

In somma, tu sei goffo insieme e tristo. 850Ora, per dirti il ver, non mi risolvose Silvia è semplicetta come parea le parole, a gli atti. Ier vidi un segnoche me ne mette in dubbio. Io la trovailà presso la cittade in quei gran prati, 855ove fra stagni giace un’isoletta,sovra essa un lago limpido e tranquillo,tutta pendente in atto che pareavagheggiar se medesma, e ’nsieme insiemechieder consiglio a l’acque in qual maniera 860dispor dovesse in su la fronte i crini,e sovra i crini il velo, e sovra ’l veloi fior che tenea in grembo; e spesso spessoor prendeva un ligustro, or una rosa,e l’accostava al bel candido collo, 865a le guancie vermiglie, e de’ colorifea paragone; e poi, sì come lietade la vittoria, lampeggiava un risoche parea che dicesse: “Io pur vi vinco,né porto voi per ornamento mio, 870ma porto voi sol per vergogna vostra,perché si veggia quanto mi cedete”.Ma mentre ella s’ornava e vagheggiava,rivolse gli occhi a caso, e si fu accortach’io di lei m’era accorta, e vergognando 875rizzosi tosto, e i fior lasciò cadere.

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

In tanto io più ridea del suo rossore,ella più s’arrossia del riso mio.Ma perché accolta una parte de’ crinie l’altra aveva sparsa, una o due volte 880con gli occhi al fonte consiglier ricorse,e si mirò quasi di furto, puretemendo ch’io nel suo guatar guatassi;ed incolta si vide, e si compiacqueperché bella si vide ancor che incolta. 885Io me n’avvidi, e tacqui.

tirsi

Tu mi narriquel ch’io credeva a punto. Or non m’apposi?

dafne

Ben t’apponesti; ma pur odo direche non erano pria le pastorellené le ninfe sì accorte; né io tale 890 fui in mia fanciullezza. Il mondo invecchia,e invecchiando intristisce.

tirsi

Forse alloranon usavan sì spesso i cittadinine le selve e ne i campi, né sì spessole nostre forosette aveano in uso 895d’andare a la cittade. Or son mischiateschiatte e costumi. Ma lasciam da partequesti discorsi: or non farai ch’un giornoSilvia contenta sia che le ragioniAminta, o solo, o almeno in tua presenza? 900

dafne

Non so. Silvia è ritrosa fuor di modo.tirsi

E costui rispettoso è fuor di modo.dafne

È spacciato un amante rispettoso:consiglial pur che faccia altro mestiero,poich’egli è tal. Chi imparar vuol d’amare, 905

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disimpari il rispetto: osi, domandi,solleciti, importuni, al fine involi;e se questo non basta, anco rapisca.Or non sai tu com’è fatta la donna?Fugge, e fuggendo vuol che altri la giunga; 910niega, e negando vuol ch’altri si toglia;pugna, e pugnando vuol ch’altri la vinca.Ve’, Tirsi, io parlo teco in confidenza:non ridir ch’io ciò dica. E sovra tuttonon porlo in rime. Tu sai s’io saprei 915renderti poi per versi altro che versi.

tirsi

Non hai cagion di sospettar ch’io dicacosa giamai che sia contra tuo grado.Ma ti prego, o mia Dafne, per la dolcememoria di tua fresca giovanezza, 920che tu m’aiti ad aitar Amintamiserel, che si muore.

dafne

Oh che gentilescongiuro ha ritrovato questo scioccodi rammentarmi la mia giovanezza,il ben passato e la presente noia! 925Ma che vuoi tu ch’io faccia?

tirsi

A te non mancané saper, né consiglio. Basta sol cheti disponga a voler.

dafne

Or su, dirotti:debbiamo in breve andare Silvia ed ioal fonte che s’appella di Diana, 930là dove a le dolci acque fa dolce ombraquel platano ch’invita al fresco seggiole ninfe cacciatrici. Ivi so certoche tufferà le belle membra ignude.

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

tirsi

Ma che però? 935dafne

Ma che però? Da pocointenditor! s’hai senno, tanto basti.

tirsi

Intendo; ma non so s’egli avrà tantod’ardir.

dafne

S’ei non l’avrà, stiasi, ed aspettich’altri lui cerchi.

tirsi

Egli è ben tal che ’l merta.dafne

Ma non vogliamo noi parlar alquanto 940di te medesmo? Or su, Tirsi, non vuoitu inamorati? sei giovane ancora,né passi di quattr’anni il quinto lustro,se ben sovviemmi quando eri fanciullo:vuoi viver neghittoso e senza gioia? 945 ché sol amando uom sa che sia diletto.

tirsi

I diletti di Venere non lascial’uom che schiva l’amor, ma coglile e gustale dolcezze d’amor senza l’amaro.

dafne

Insipido è quel dolce che condito 950non è di qualche amaro, e tosto sazia.

tirsi

È meglio saziarsi, ch’esser semprefamelico nel cibo e dopo ’l cibo.

dafne

Ma non, se ’l cibo si possede e piace,e gustato a gustar sempre n’invoglia. 955

tirsi

Ma chi possede sì quel che gli piaceche l’abbia sempre presso a la sua fame?

32Letteratura italiana Einaudi

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dafne

Ma chi ritrova il ben, s’egli no’l cerca?tirsi

Periglioso è cercar quel che trovatotrastulla sì, ma più tormenta assai 960non ritrovato. Allor vedrassi amanteTirsi mai più, ch’Amor nel seggio suonon avrà più né pianti né sospiri.A bastanza ho già pianto e sospirato.Faccia altri la sua parte. 965

dafne

Ma non haigià goduto a bastanza.

tirsi

Né desiogoder, se così caro egli si compra.

dafne

Sarà forza l’amar, se non fia voglia.tirsi

Ma non si può forzar chi sta lontano.dafne

Ma chi lung’ è d’Amor? 970tirsi

Chi teme e fugge.dafne

E che giova fuggir da lui, c’ha l’ali?tirsi

Amor nascente ha corte l’ali: a penapuò su tenerle, e non le spiega a volo.

dafne

Pur non s’accorge l’uom quand’egli nasce;e, quando uom se n’accorge, è grande e vola. 975

tirsi

Non, s’altra volta nascer non l’ha visto.dafne

Vedrem, Tirsi, s’avrai la fuga e gli occhicome tu dici. Io ti protesto, poi

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

che fai del corridore e del cerviero,che, quando ti vedrò chieder aita, 980non moverei per aiutarti un passo,un dito, un detto, una palpebra sola.

tirsi

Crudel, daratti il cor veder morto?Se vuoi pur ch’ami, ama tu me: facciamol’amor d’accordo. 985

dafne

Tu mi scherni, e forsenon merti amante così fatta: ahi quantin’inganna il viso colorito e liscio!

tirsi

Non burlo io, no; ma tu con tal protestonon accetti il mio amor, pur come è l’usodi tutte quante; ma, se non mi vuoi, 990viverò senza amor.

dafne

Contento vivipiù che mai fossi, o Tirsi, in ozio vivi:ché ne l’ozio l’amor sempre germoglia.

tirsi

O Dafne, a me quet’ozii ha fatto Dio:colui che Dio qui può stimarsi, a cui 995si pascon gli ampi armenti e l’ampie greggieda l’uno a l’altro mare, e per li lieticolti di fecondissime campagne,e per gli alpestri dossi d’Apennino.Egli mi disse, allor che suo mi fece: 1000“Tirsi, altri scacci i lupi e i ladri, e guardii miei murati ovili; altri compartale pene e i premii a’ miei ministri; ed altripasca e curi le greggi; altri conservile lane e ’l latte, ed altri le dispensi: 1005tu canta, or che se’ ’n ozio”. Ond’è ben giustoche non gli scherzi di terreno amore,

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ma canti gli avi del mio vivo e veronon so s’io lui mi chiami Apollo o Giove,ché ne l’opre e nel volto ambi somiglia; 1010gli avi più degni di Saturno o Celo:agreste Musa a regal merto; e pure,chiara o roca che suoni, ei non la sprezza.Non canto lui, però che lui non possodegnamente onorar se non tacendo 1015e riverendo; ma non fian giamaigli altari suoi senza i miei fiori, e senzasoave fumo d’odorati incensi;ed allor questa semplice e devotareligion mi si torrà dal core, 1020che d’aria pasceransi in aria i cervi,e che, mutando i fiumi e letto e corso,il Perso bea la Sona, il Gallo il Tigre.

dafne

Oh, tu vai alto; or su, discendi un pocoal proposito nostro. 1025

tirsi

Il punto è questo:che tu in andando al fonte con colei,cerchi d’intenerirla; ed io fra tantoprocurerò ch’Aminta là ne venga.Né la mia forse men difficil curasarà di questa tua. Or vanne. 1030

dafne

Io vado,ma il proposito nostro altro intendeva.

tirsi

Se ben ravviso di lontan la faccia,Aminta è quel che di là spunta. È desso.

Torquato Tasso - Aminta

35Letteratura italiana Einaudi

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Torquato Tasso - Aminta

scena terza

Aminta, Tirsi.

[aminta]Vorrò veder ciò che Tirsi avrà fatto;e, s’avrà fatto nulla, 1035prima ch’io vada in nullauccider vo’ me stesso inanzi a gli occhide la crudel fanciulla.A lei, cui tanto piacela piaga del mio core, 1040colpo de’ suoi begli occhi,altrettanto piacer devrà per certola piaga del mio petto,colpo de la mia mano.

tirsi

Nove, Aminta, t’annuncio di conforto: 1045lascia omai questo tanto lamentarti.

aminta

Ohimè, che di’? che porte?O la vita o la morte?

tirsi

Porto salute e vita, s’ardiraidi farti loro incontra; ma fa d’uopo 1050d’esser un uom, Aminta, un uom ardito.

aminta

Qual ardir mi bisogna, e ’ncontra a cui?tirsi

Se la tua donna fosse in mezz’un boscoche, cinto intorno d’altissime rupi,desse albergo e le tigri ed a’ leoni, 1055v’andresti tu?

aminta

V’andrei sicuro e baldopiù che di festa villanella al ballo.

36Letteratura italiana Einaudi

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tirsi

E s’ella fosse tra ladroni ed armi,v’andresti tu?

aminta

V’andrei più lieto e prontoche l’assetato cervo e la fontana. 1060

tirsi

Bisogna a maggior prova ardir più grande,aminta

Andrò per mezzo i rapidi torrenti,quando la neve si discioglie e gonfili manda al mare; andrò per mezzo ’l focoe ne l’inferno, quando ella vi sia, 1065s’esser può inferno ov’è cosa sì bella.Orsù, scuoprimi il tutto.

tirsi

Odi.aminta

Dì tosto.tirsi

Silvia t’attende a un fonte, ignuda e sola.Ardirai tu d’andarvi?

aminta

Oh, che mi dici?Silvia m’attende ignuda e sola? 1070

tirsi

Sola,se non quanto v’è Dafne, ch’è per noi.

aminta

Ignuda ella m’aspetta?tirsi

Ignuda; ma...aminta

Ohimè, che “ma”? Tu taci: tu m’uccidi.tirsi

Ma non sa già che tu v’abbi d’andare.

Torquato Tasso - Aminta

37Letteratura italiana Einaudi

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Torquato Tasso - Aminta

aminta

Dura conclusion, che tutte attosca 1075le dolcezze passate. Or, con qual arte,crudel, tu mi tormenti?Poco dunque ti pareche infelice io sia,che a crescer vieni la miseria mia? 1080

tirsi

S’a mio senno farai, sarai felice.aminta

E che consigil?tirsi

Che tu prenda quelloche la fortuna amica t’appresenta.

aminta

Tolga Dio che mai facciacosa che le dispiaccia: 1085cosa io non feci mai che le spiacesse,fuor che l’amarla; e questo a me fu forza,forza di sua bellezza e non mia colpa.Non sarà dunque ver ch’in quanto io possonon cerchi compiacerla. 1090

tirsi

Ormai rispondi:se fosse il tuo poter di non amarla,lascieresti d’amarla per piacerle?

aminta

Né questo mi consente Amor ch’io dica,né ch’imagini pur d’aver già maia lasciar il suo amor, bench’io potessi. 1095

tirsi

Dunque tu l’ameresti al suo dispetto,quando potessi far di non amarla.

aminta

Al suo dispetto no, ma l’amerei.tirsi

Dunque fuor di sua voglia.

38Letteratura italiana Einaudi

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aminta

Sì per certo.tirsi

Perché dunque non osi oltra sua voglia 1100prenderne quel che, se ben grava in prima,al fin, al fin le sarà caro e dolceche l’abbi preso?

aminta

Ahi, Tirsi, Amor rispondaper me: ché quanto a mezz’ il cor mi parla,non so ridir. Tu troppo scaltro sei 1105già per lungo uso a ragionar d’amore:a me lega la linguaquel che mi lega il core.

tirsi

Dunque andar non vogliamo?aminta

Andare io voglio,ma non dove tu stimi. 1110

tirsi

E dove?aminta

A morte,s’altro in mio pro non hai fatto che quantoora mi narri.

tirsi

E poco parti questo?Credi tu dunque, sciocco, che mai Dafneconsigliasse l’andar, se non vedessein parte il cor di Silvia? E forse ch’ella 1115il sa, né però vuol ch’altri risappiach’ella ciò sappia. Or, se ’l consenso espressocerchi di lei, non vedi che tu cerchiquel che più le dispiace? Or dove è dunquequesto tuo desiderio di piacerle? 1120E s’ella vuol che ’l tuo diletto sia

Torquato Tasso - Aminta

39Letteratura italiana Einaudi

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Torquato Tasso - Aminta

tuo furto o tua rapina, e non suo dononé sua mercede, a te, folle, che importapiù l’un modo che l’altro?

aminta

E chi m’accertache il suo desir sia tale? 1125

tirsi

Oh mentecatto!Ecco, tu chiedi pur quella certezzach’a lei dispiace, e dispiacer le devedirettamente,e tu cercar non dei.Ma chi t’accerta ancor che non sia tale?Or s’ella fosse tale, e non v’andassi? 1130Eguale è il dubbio, e ’l rischio. Ahi, pur è megliocome ardito morir, che come vile.Tu taci: tu sei vinto. Ora confessaquesta perdita tua, che fia cagionedi vittoria maggiore. Andianne. 1135

aminta

Aspetta.tirsi

Che “Aspetta”? non sai ben che ’l tempo fugge?aminta

Deh, pensiam pria se ciò dee farsi, e come.tirsi

Per strada penserem ciò che vi resta;ma nulla fa chi troppe cose pensa.

coro

Amore, in quale scola, 1140da qual mastro s’apprendela tua sì lunga e dubbia arte d’amare?Chi n’insegna a spiegareciò che la mente intende,mentre con l’ali tue sovra il ciel vola? 1145Non già la dotta Atene,né ’l Liceo ne ’l dimostra;

40Letteratura italiana Einaudi

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non Febo in Elicona,che sì d’Amor ragionacome colui ch’impara: 1150freddo ne parla, e poco;non ha voce di fococome a te si conviene;non alza i suoi pensieria par de’ tuoi ministeri. 1155Amor, degno maestro sol tu sei di te stesso,e sol tu sei da te medesmo espresso;tu di legger insegnia i più rustici ingegni 1160quelle mirabil cose,che con lettre amorosescrivi di propria man ne gli occhi altrui;tu in bei facondi dettisciogli la lingua de’ fedeli tuoi; 1165e spesso (oh strana e novaeloquenza d’Amore!),spesso in un dir confusoe ’n parole interrottemeglio si esprime il core 1170e più par che si mova,che non si fa con voci adorne e dotte;e ’l silenzio ancor suoleaver prieghi e parole.Amor, leggan pur gli altri 1175le socratiche carte,ch’io in due begli occhi apprenderò quest’arte;e perderan le rimede le penne più saggieappo le mie selvaggie, 1180che rozza mano in rozza scorza imprime.

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

ATTO TERZO

scena prima

Tirsi, Coro.

[tirsi]Oh crudeltate estrema, oh ingrato core,oh donna ingrata, oh tre fiate e quattroingratissimo sesso! E tu, Natura,negligente maestra, perché solo 1185a le donne nel volto e in quel di fuoriponesti quanto in loro è di gentile,di mansueto e di cortese, e tuttel’altre parti obliasti? Ahi, miserello,forse ha se stesso ucciso: ei non appare. 1190Io l’ho cerco e ricerco omai tre orenel loco ov’io il lasciai e ne i contorni;né trovo lui né orme de’ suoi passi.Ahi, che s’è certo ucciso! Io vo’ novellachiederne a que’ pastor che colà veggio. 1195Amici, avete visto Aminta, o intesonovella di lui forse?coro

Tu mi paricosì turbato; e qual cagion t’affanna?Ond’è questo sudor e questo ansare?Havvi nulla di mal? fa che ’l sappiamo. 1200tirsi

Temo del mal d’Aminta: avetel visto?coro

Noi visto non l’abbiam dapoi che teco,buona pezza, partì; ma che ne temi?tirsi

Ch’egli non s’abbia ucciso di sua mano.

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coro

Ucciso di sua mano? or perché questo? 1205chye ne stimi cagione?

tirsi

Odio ed amore.coro

Duo potenti inimici insieme aggiuntiche far non ponno? Ma parla più chiaro.

tirsi

L’amar troppo una ninfa, e l’esser troppoodiato da lei. 1210

coro

Deh, narra il tutto:questo è luogo di passo, e forse intantoalcun verrà che nova di lui rechi;forse arrivar potrebbe anch’egli istesso.

tirsi

Dirollo volentier, ché non è giustoche tanta ingratitudine e sì strana 1215senza l’infamia debita si resti.Presentito avea Aminta (ed io fui, lasso,colui che riferì’ lo e che ’l condussi;or me ne pento) che Silvia doveacon Dafne ire a lavarsi ad una fonte. 1220Là dunque s’inviò dubbio ed incerto,mosso non dal suo cor ma sol dal miostimolar importuno; e spesso in forsefu di tornar indietro, ed io ’l sospinsi,pur mal suo grado, inanzi. Or quando omai 1225c’era il fonte vicino, ecco, sentiamoun feminil lamento; e quasi a un tempoDafne veggiam, che battea palma a palma;la qual, come ci vide, alzò la voce:“Ah, correte,” gridò “Silvia è sforzata”. 1230L’inamorato Aminta, che ciò intese,si spiccò com’ un pardo, ed io segui’lo.

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

Ecco miriamo a un’arbore legatala giovinetta ignuda come nacque,ed a legarla fune era il suo crine: 1235il suo crine medesmo in mille nodia la pianta era avvolto; e ’l suo bel cinto,che del sen virginal fu pria custode,di quello stupro era ministro, ed ambele mani al duro tronco le stringea; 1240e la pianta medesma avea prestatilegami contra lei: ch’una ritortad’un pieghevole ramo avea a ciascunade le tenere gambe. A fronte a fronteun Satiro villan noi le vedemmo, 1245che di legarla pur allor finia.Ella quanto potea faceva schermo;ma che potuto avrebbe a lungo andare?Aminta con un dardo che teneane la man destra, al Satiro avventossi 1250come un leone, ed io fra tanto pienom’avea di sassi il grembo: onde fuggissi.Come la fuga de l’altro concessespazio a lui di mirare, egli rivolsei cupidi occhi in quelle membra belle, 1255che, come suole tremolare il lattene’ giunchi, sì parean morbide e bianche.E tutto ’l vidi sfavillar nel viso;poscia accostossi pianamente a leitutto modesto, e disse: “O bella Silvia, 1260perdona a queste man, se troppo ardireè l’appressarsi a le tue dolci membra,perché necessità dura le sforza:necessità di scioglier questi nodi;né questa grazia che fortuna vuole 1265conceder loro, tuo mal grado sia”.

coro

Parole d’ammollir un cor di sasso.Ma che rispose allor?

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tirsi

Nulla rispose,ma disdegnosa e vergognosa a terrachinava il viso, e ’l delicato seno 1270quanto potea torcendosi celava.Egli, fattosi inanzi, il biondo crinecominciò a sviluppare, e disse in tanto:“Già di nodi sì bei non era degnocosì ruvido tronco: or, che vantaggio 1275hanno i servi d’Amor, se lor communeè con le piante il prezioso laccio?Pianta crudel, potesti quel bel crineoffender tu, ch’a te feo tanto onore?”Quinci con le sue man le man le sciolse 1280in modo tal, che parea che temessepur di toccarle, e desiasse insieme:si chinò poi per islegarle i piedi;ma come SIlvia in libertà le manisi vide, disse in atto dispettoso: 1285“Pastor, non mi toccar: son di Diana:per me stessa saprò sciogliermi i piedi”.

coro

Or tanto orgoglio alberga in cor di ninfa?Ahi d’opra graziosa ingrato merto!

tirsi

Ei si trasse in disparte riverente, 1290non alzando pur gli occhi per mirarla,negando a se medesmo il suo piacereper torre a lei fatica di negarlo.Io, che m’era nascoso, e vedea il tuttoed udia il tutto, allor fui per gridare; 1295pur mi ritenni. Or odi strana cosa.Dopo molta fatica ella si sciolse;e, sciolta a pena, senza dire “A Dio”,a fuggir cominciò com’una cerva;e pur nulla cagione avea di tema, 1300ché l’era noto il rispeto d’Aminta.

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

coro

Perché dunque fuggissi?tirsi

A la sua fugavolse l’obligo aver, non a l’altruimodesto amore.

coro

Ed in quest’anco è ingrata.Ma che fé ’l miserello allor? che disse? 1305

tirsi

No ’l so, ch’io, pien di mal talento, corsiper arrivarla e ritenerla, e ’nvano,ch’io la smarrii; e poi tornando dovelasciai Aminta al fonte, no’l trovai;ma presago è il mio cor di qualche male. 1310So ch’egli era disposto di morire,prima che ciò avvenisse.

coro

È uso ed artedi ciascun ch’ama minacciarsi morte;ma rade volte poi segue l’effetto.

tirsi

Dio faccia ch’ei non sia tra questi rari. 1315coro

Non sarà, no.tirsi

Io voglio irmene a l’antrodel saggio Elpino: ivi, s’è vivo, forsesarà ridotto, ove sovente suoleraddolcir gli amarissimi martirial dolce suon de la sampogna chiara, 1320ch’ad udir trae da gli alti monti i sassi,e correr fa di puro latte i fiumi,e stillar mele da le dure scorze.

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scena seconda

Aminta, Dafne, Nerina.

[aminta]Dispietata pietatefu la tua veramente, o Dafne, allora 1325che ritenesti il dardo:però che ’l mio morirepiù amaro sarà, quanto più tardo.Ed or perché m’avvolgiper sì diverse strade e per sì varii 1330ragionamenti in vano? di che temi?ch’io non m’uccida? Temi del mio bene.

dafne

Non disperar, Aminta,ché, s’io lei ben conosco,sola vergogna fu, non crudeltate, 1335quella che mosse SIlvia a fuggir via.

aminta

Ohimè, che mia salutesarebbe il disperare,poiché sol la speranza,è stata mia rovina; ed anco, ahi lasso, 1340tenta di germogliar dentr’al mio petto,sol perché io viva; e quale è maggior malede la vita d’un misero com’io?

dafne

Vivi, misero vivine la miseria tua; e questo stato 1345sopporta sol per divenir felicequando che sia. Fia premio de la speme,se vivendo e sperando ti mantieni,quel che vedesti ne la bella ignuda.

aminta

Non pareva ad Amor e a mia fortuna 1350ch’a pien misero fossi, s’anco a pieno

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

non m’era dimostratoquel che m’era negato.

nerina

Dunque a me pur convien esser sinistracòrnice d’amarissima novella! 1355Oh per mai sempre misero Montano,qual animo fia ’l tuo quando udiraide l’unica tua Silvia il duro caso?Padre vecchio, orbo padre: ahi, non più padre!

dafne

Odo una mesta voce. 1360aminta

Io odo ’l nomedi Silvia, che gli orecchi e ’l cor mi fere;ma chi è che la noma?

dafne

Ella è Nerina,ninfa gentil che tanto a Cinzia è cara,c’ha sì begli occhi e così belle manie modi sì avvenenti e graziosi. 1365

nerina

E pur voglio che ’l sappi e che procuridi ritrovar le reliquie infelici,se nulla ve ne resta. Ahi Silvia, ahi durainfelice tua sorte!

aminta

Ohimè, che fia? che costei dice? 1370nerina

Dafne!dafne

Che parli fra te stessa, e perché nomitu Silvia, e poi sospiri?

nerina

Ahi, ch’a ragionesospiro l’aspro caso!

aminta

Ahi, di qual caso

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può ragionar costei? Io sento, io sentoche mi s’agghiaccia il core e mi si chiude 1375lo spirto. È viva?

dafne

Narra, qual aspro caso è quel che dici?nerina

O Dio, perché son iola messaggiera? E pur convien narrarlo.Venne Silvia al mio albergo ignuda; e quale 1380fosse l’occasion, saper la dei;poi rivestita mi pregò che secoir volessi a la caccia che ordinataera nel bosco c’ha nome da l’elci.Io la compiacqui: andammo; e ritrovammo 1385molte ninfe ridotte; ed indi a pocoecco, di non so d’onde, un lupo sbuca,grande fuor di misura, e da le labragocciolava una bava sanguinosa.Silvia un quadrello adatta su la corda 1390d’un arco ch’io le diedi, e tira, e ’l cogliea sommo ’l capo: ei si rinselva, ed ella,vibrando un dardo, dentro ’l bosco il segue.

aminta

Oh dolente principio; ohimè, qual finegià mi s’annuncia? 1395

nerina

Io con un altro dardoseguo la traccia, ma lontana assai:ché più tarda mi mossi. Come furodentro a la selva, più non la rividi;ma pur per l’orme lor tanto m’avvolsi,che giunsi nel più folto e più deserto. 1400Quivi il dardo di Silvia in terra scorsi,né molto indi lontano un bianco veloch’io stessa le ravvolsi al crine; e, mentremi guardo intorno, vidi sette lupi

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

che leccavan di terra alquanto sangue 1405sparto intorno a cert’ossa affatto nude;e fu mia sorte ch’io non fui vedutada loro, tanto intenti erano al pasto:tal che, piena di tema e di pietate,indietro ritornai; e questo è quanto 1410posso dirvi di Silvia; ed ecco ’l velo.

aminta

Poco parti aver detto? Oh velo, oh sangue,oh Silvia, tu se’ morta!

dafne

Oh miserello,tramortito è d’affanno, e forse morto.

nerina

Egli rispira pure: questo fia 1415un breve svenimento; ecco, riviene.

aminta

Dolor, che sì mi crucii,ché non m’uccidi omai? tu sei pur lento!Forse lasci l’officio a la mia mano.Io son, io son contento 1420ch’ella prenda tal cura,poi che tu la ricusi o che non puoi.Ohimè, se nulla mancaa la certezza omai, e nulla manca al colmo 1425de la miseria mia,che bado? che più aspetto? O Dafne, o Dafne,a questo amaro fin tu mi salvasti,a questo fine amaro?Bello e dolce morir fu certo allora 1430che uccidere io mi volsi.Tu me ’l negasti, e ’l ciel, a cui pareach’io precorressi col morir la noia ch’apprestata m’avea.Or che fatt’ha l’estremo 1435

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de la sua crudeltate,ben soffrirà ch’io moia,e tu soffrir lo dei.

dafne

Aspetta a la tua morte,sin che ’l ver meglio intenda. 1440

aminta

Ohimè, che vuoi ch’attenda?Ohimè, che troppo ho atteso, e troppo inteso.

nerina

Deh, foss’io stata muta!aminta

Ninfa, dammi, ti prego,quel velo ch’è di lei 1445solo e misero avanzo,sì ch’egli m’accompagneper questo breve spazioe di via e di vita che mi resta,e con la sua presenza 1450accresca quel martire,ch’è ben picciol martires’ho bisogno d’aiuto al mio morire.

nerina

Debbo darlo o negarlo?La cagion perché ’l chiedi 1455fa ch’io debba negarlo.

aminta

Crudel, sì picciol donomi nieghi al punto estremo?E ’n questo anco malignomi si mostra il mio fato. Io cedo, io cedo: 1460a te si resti; e voi restate ancora,ch’io vo per non tornare.

dafne

Aminta, aspetta, ascolta…Ohimè, con quanta furia egli si parte!

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

nerina

Egli va sì veloce, 1465che fia vano il seguirlo: ond’è pur meglioch’io segua il mio viaggio; e forse è meglioch’io taccia e nulla contial misero Montano

coro

Non bisogna la morte, 1470ch’a stringer nobil coreprima basta la fede, e poi l’amore.Né quella che si cercaè sì difficil famaseguendo chi ben ama, 1475ch’amore è merce, e con amar si merca.E cercando l’amor si trova spessogloria immortal appresso.

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ATTO QUARTO

scena prima

Dafne, Silvia, Coro.

[dafne]Ne porti il vento, con la ria novella 1480che s’era di te sparta, ogni tuo malee presente e futuro. Tu sei vivae sana, Dio lodato; ed io per mortapur ora ti tenea: in tal manieram’avea Nerina il tuo caso dipinto.Ahi, fosse stata muta ed altri sordo! 1485

silvia

Certo ’l rischio fu grande, ed ella aveagiusta cagion di sospettarmi morta.

dafne

Ma non giusta cagion avea di dirlo.Or narra tu qual fosse ’l rischio, e cometu lo fuggisti. 1490Io, seguitando un lupo,mi rinselvai nel più profondo bosco,tanto ch’io ne perdei la traccia. Or, mentrecerco di ritornar onde mi tolsi,il vidi, e riconobbi a un stral che fittodi mia man press’un orecchio.Il vidi con molt’altri intorno a un corpo 1495d’un animal ch’avea di fresco ucciso;ma non distinsi ben la forma. Il lupoferito, credo, mi conobbe, e ’ncontromi venne con la bocca sanguinosa. 1500Io l’aspettava ardita, e con la destravibrava un dardo. Tu sai ben s’io sonomaestra di ferire, e se mai soglio

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

far colpo in fallo. Or, quando il vidi tantovicin, che giusto spazio mi parea 1505a la percossa, lanciai un dardo, e ’n vano:ché, colpa di fortuna o pur mia colpa,in vece sua colsi una pianta. Allorapiù ingordo incontro ei mi venia; ed io,che ’l vidi sì vicin che stimai vano 1510l’uso de l’arco, non avendo altr’armi,a la fuga ricorsi. Io fuggo, ed eglinon resta di seguirmi. Or odi caso:un vel, ch’avea involto intorno al crine,si spiegò in parte, e giva ventilando, 1515sì ch’ad un ramo avviluppossi. Io sentoche non so chi mi tien e mi ritarda.Io, per la tema del morir, raddoppiola forza al corso, e d’altra parte il ramonon cede, e non mia lascia; al fin mi svolgo 1520del velo, e alquanto de’ miei crini ancoralascio svelti co ’l velo; e cotant’alim’impennò la paura a i piè fugaci,ch’ei non mi giunse, e salva uscii del bosco.Poi, tornando al mio albergo, io t’incontrai 1525tutta turbata, e mi stupii vedendostupirti al mio apparir.

dafne

Ohimè, tu vivi,altri non già.

silvia

Che dici? ti rincresceforse ch’io viva sia? M’odii tu tanto?

dafne

Mi piace di tua vita, ma mi duolede l’altrui morte.

silvia

E di qual morte intendi?dafne

De la morte d’Aminta.

54Letteratura italiana Einaudi

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silvia

Ahi, come è morto?dafne

Il come non so dir, né so dir ancos’è ver l’effetto; ma per certo il credo.

silvia

Ch’è ciò che tu mi dici? ed a chi rechi 1535la cagion di sua morte?

dafne

A la tua morte.silvia

Io non t’intendo.dafne

La dura novellade la tua morte, ch’egli udì e credette,avrà porto al meschino il laccio o ’l ferro,od altra cosa tal che l’avrà ucciso. 1540

silvia

Vano il sospetto in te de la sua mortesarà, come fu van de la mia morte:ch’ognuno a suo poter salva la vita.

dafne

O Silvia, Silvia, tu non sai né crediquanto ’l foco d’amor possa in un petto, 1545che petto sia di carne e non di pietracom’è cotesto tuo: ché, se credutol’avessi, avresti amato chi t’amavapiù che le care pupille de gli occhi,più che lo spirto de la vita sua. 1550Il credo io ben, anzi l’ho visto e sollo:il vidi, quando tu fuggisti, e ferapiù che tigre crudel, ed in quel puntoch’abbracciar lo dovevi, il vidi un dardorivolgere in se stesso, e quello al petto 1555premersi disperato, né pentirsiposcia nel fatto, che le vesti ed anco

Torquato Tasso - Aminta

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la pelle trapassossi, e nel suo sanguelo tinse; e ’l ferro saria giunto a dentro,e passato quel cor che tu passasti 1560più duramente, se non ch’io gli tenniil braccio, e l’impedii ch’altro non fesse.Ahi lassa, e forse quella breve piagasolo una prova fu del suo furoree de la disperata sua costanza, 1565e mostrò quella strada al ferro audace,che correr poi dovea liberamente.

silvia

Oh, che mi narri?dafne

Il vidi poscia, allorach’intese l’amarissima novellade la tua morte, tramortir d’affanno,e poi partirsi furioso in frettaper uccider se stesso; e s’avrà uccisoveracemente.

silvia

E ciò per fermo tieni?dafne

Io non v’ho dubbio.silvia

Ohimè, tu no’l seguistiper impedirlo? Ohimè, cerchiamo, andiamo, 1575che, poi ch’egli moria per la mia morte,de’ per la vita mia restar in vita.

dafne

Io lo seguii, ma correa sì veloceche mi sparì tosto dinanzi, e ’ndarnopoi mi girai per le sue orme. Or dove 1580vuoi tu cercar, se non n’hai traccia alcuna?

silvia

Egi morrà, se no’l troviamo, ahi lassa;e sarà l’omicida ei di se stesso.

56Letteratura italiana Einaudi

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dafne

Crudel, forse t’incresce ch’a te tolgala gloria di quest’atto? esser tu dunque 1585l’omicida vorresti? e non ti pareche la sua cruda morte esser debb’oprad’altri che di tua mano? Or ti consola,ché, comunque egli muoia, per te muore,e tu sei che l’uccidi. 1590

silvia

Ohimè, che tu m’accori, e quel cordoglioch’io sento del suo caso inacerbiscecon l’acerba memoriade la mia crudeltate,ch’io chiamava onestate; e ben fu tale; 1595ma fu troppo severa e rigorosa.or me n’accordo e pento.

dafne

Oh, quel ch’io odo!Tu sei pietosa, tu, ti senti al corespirto alcun di pietate? oh che vegg’io?tu piangi, tu, superba? oh maraviglia! 1600Che pianto è questo tuo? pianto d’amore?

silvia

Pianto d’amor non già, ma di pietate.dafne

La pietà messaggiera è de l’amore,come ’l lampo del tuono.

coro

Anzi sovente,quando gli vuol ne’ petti virginelli 1605occulto entrare, onde fu prima esclusoda severa onestà, l’abito prende,prende l’aspetto de la sua ministrae sua nuncia, pietate; e con tai larvele semplici ingannando, è dentro accolto. 1610

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

dafne

Questo è pianto d’amor: ché troppo abonda.Tu taci? ami tu, Silvia? ami, ma in vano.Oh potenza d’Amor, giusto castigomanda sovra costei. Misero Aminta!Tu, in guisa d’ape che ferendo muore 1615e ne le piaghe altrui lascia la vita,con la tua morte hai pur trafitto al finequel duro cor che non potesti maipunger vivendo; Or, se tu, spirto, errante,sì come io credo, e de le membra ignudo, 1620qui intorno sei, mira il suo pianto, e godi.Amante in vita, amato in morte; e s’eratuo destin che tu fossi in morte amato,e se questa crudel volea l’amorevenderti sol con prezzo così caro, 1625desti quel prezzo tu ch’ella richiese,e l’amor suo col tuo morir comprasti.

coro

Caro prezzo a chi ’l diede; a chi ’l riceveprezzo inutile e infame.

silvia

Oh potess’iocon l’amor mio comprar la vita sua; 1630anzi pur con la mia la vita sua,s’egli è pur morto!

dafne

O tardi saggia, e tardipietosa, quando ciò nulla rileva!

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scena seconda

Nuncio, Coro, Silvia, Dafne.

[nuncio]Io ho sì pieno il petto di pietatee sì pieno d’orror, che non rimiro 1635né odo alcuna cosa, ond’io mi volga,la qual non mi spaventi e non m’affanni.

coro

Or ch’apporta costui,ch’è sì turbato in vista ed in favella?

nuncio

Porto l’aspra novella 1640de la morte d’Aminta.

silvia

Ohimè, che dice?nuncio

Il più nobil pastor di queste selve,che fu così gentil, così leggiadro,così caro a le ninfe ed a le Muse,ed è morto fanciullo, ahi, di che morte! 1645

coro

Contane, prego, il tutto, acciò che tecopianger possiam la sua sciagura e nostra.

silvia

Ohimè, ch’io non ardiscoappressarmi ad udirequel ch’è pur forza udire. Empio mio core, 1650mio duro alpestre core,di che, di che paventi?Vattene incontra purea quei coltei pungenti,che costui porta ne la lingua, e quivi 1655mostra la tua fierezza.Pastore, io vengo a parte

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

di quel dolor che tu prometti altrui:ché a me ben si convienepiù che forse non pensi; ed io ’l ricevo 1660come dovuta cosa. Or tu di luinon mi sii dunque scarso.

nuncio

Ninfa, io ti credo bene,ch’io sentii quel meschino in su la mortefinir la vita sua 1665co ’l chiamar il tuo nome.

dafne

Ora comincia omaiquesta dolente istoria.

nuncio

Io ero a mezzo ’l colle, ove avea tesecerte mie reti, quando assai vicino 1670vidi passar Aminta, in volto e in attitroppo mutato da quel ch’ei soleva,troppo turbato e scuro. Io corsi, e corsitanto che ’l giunsi, e lo fermai; ed eglimi disse: “Ergasto, io vo’ che tu mi faccia 1675un gran piacer: quest’è, che tu ne vengameco per testimonio d’un mio fatto;ma pria voglio da te che tu mi leghidi stretto giuramento la tua fededi startene in disparte e non por mano 1680per impedirmi in quel che son per fare”.Io (chi pensato avria caso sì strano,né sì pazzo furor?), com’egli volse,feci scongiuri orribili, chiamandoe Pane e Pale e Priapo e Pomona 1665ed Ecate notturna. Indi si mosse,e mi condusse ov’è scosceso il colle,e giù per balzi, e per dirupi incoltistrada non già, ché non v’è strada alcuna,ma cala un precipizio in una valle. 1690

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Qui ci fermammo. Io, rimirando a basso,tutto sentii raccapricciarmi, e ’ndietrotosto mi trassi; ed egli un cotal pocoparve ridesse, e serenossi in viso:onde quell’atto più rassicurommi. 1695Indi parlommi sì: “Fa che tu contia le ninfe e a i pastor ciò che vedrai”.Poi disse, in giù guardando:“Se presti a mio volerecosì aver io potessi 1700la gola e i denti de gli avidi lupi,com’ho questi dirupi,sol vorrei far la morteche fece la mia vita:vorrei che queste mie membra meschine 1705sì fosser lacerate,ohimè, come già foroquelle sue delicate.Poi che non posso, e ’l cielodinega al mio desire 1710gi animali voraci,che ben verriano a tempo, io prender voglioaltra strada al morire:prenderò quela viache, se non la devuta, 1715almen fia la più breve.Silvia, io ti seguo, io vengoa farti copagnia,se non la sdegnerai;e morirei contento, 1720s’io fossi certo almenoche ’l mio venirti dietroturbar non ti dovesse,e che fosse finital’ira tua con la vita. 1725Silvia, io ti seguo, io vengo”. Così detto,

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Torquato Tasso - Aminta

precipitossi d’altoco ’l capo in giuso; ed io restai di ghiaccio.

dafne

Misero Aminta!silvia

Ohimè!coro

Perché non l’impedisti? 1730Forse ti fu ritegno a ritenerloil fatto giuramento?

nuncio

Questo no, ché sprezzando i giuramenti,vani forse in tal caso,quand’io m’accorsi del suo pazzo ed empio 1735proponimento, con la man vi corsi,e, come volse la sua dura sorte,lo presi in questa fascia di zendadoche lo cingeva; la qual, non potendol’impeto e ’l peso sostener del corpo, 1740che s’era tutto abandonato, in manospezzata mi rimase.

coro

E che divennede l’infeilce corpo?

nuncio

Io no’l so dire:ch’era sì pien d’orrore e di pietate,che non mi diede il cor di rimirarvi 1745per non vederlo in pezzi.

coro

Oh strano caso!silvia

Ohimè, ben son di sasso,poi che questa novella non m’uccide.Ahi, se la falsa mortedi chi tanto l’odiava 1750

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a lui tolse la vita,ben sarebbe ragioneche la verace mortedi chi tanto m’amavatogliesse a me la vita; 1755e vo’ che la mi tolga,se non potrà co ’l duol, almen co ’l ferro,o pur con questa fascia,che non senza cagionenon seguì le ruine 1760del suo dolce signore,ma restò sol per fare in me vendettade l’empio mio rigoree del suo amaro fine.Cinto infelice, cinto 1765di signor più infelice,non ti spiaccia restarein sì odioso albergo,ché tu vi resti sol per instrumentodi vendetta e di pena. 1770Dovea certo, io doveaesser compagna al mondode l’infelice Aminta.Poscia ch’allor non volsi,sarò per opra tua 1775sua compagna a l’inferno.

coro

Consòlati, meschina,che questo è di fortuna e non tua colpa.

silvia

Pastor, di che piangete?Se piangete il mio affanno, 1780io non merto pietate,ché non la seppi usare;se piangete il moriredel misero innocente,

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questo è picciolo segno 1785a sì alta cagione. E tu rasciuga,Dafne, queste tue lagrime, per Dio.Se cagion ne son io,ben ti voglio pregare,non per pietà di me, ma per pietate 1790di chi degno ne fue,che m’aiuti a cercarel’infelici sue membra e a sepelirle.Questo sol mi ritienech’or ora non m’uccida: 1795pagar vo’ questo ufficio,poi ch’altro non m’avanza,a l’amor ch’ei portommi;e se ben quest’empiamano contaminare 1800potesse la pietà de l’opra, pureso che gli sarà caral’opra di questa mano:ché so certo ch’ei m’ama,come mostrò morendo. 1805

dafne

Son contenta aiutarti in questo ufficio;ma tu già non pensared’aver poscia a morire.

silvia

Sin qui vissi a me stessa,a la mia feritate: or, quel ch’avanza, 1810viver voglio ad Aminta;e, se non posso a lui,viverò al freddo suocadavero infelice.Tanto, e non più, mi lice 1815restar nel mondo, e poi finir a un puntoe l’essequie e la vita.Pastor, ma quale strada

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ci conduce a la valle ove il dirupova a terminare? 1820

nuncio

Questa vi conduce;e quinci poco spazio ella è lontana.

dafne

Andiam, che verrò teco e guiderotti:ché ben rammento il luogo.

silvia

A Dio, pastori;piagge, a Dio; a Dio, selve; e fiumi, a Dio.

nuncio

Costei parla di modo, che dimostra 1825d’esser disposta a l’ultima partita.

coro

Ciò che morte rallenta, Amor, restringi,amico tu di pace, ella di guerra,e del suo trionfar trionfi e regni;e mentre due bell’alme annodi e cingi, 1830così rendi sembiante al ciel la terra,che d’abitarla tu non fuggi o sdegni.Non sono ire là su: gli umani ingegnitu placidi ne rendi, e l’odio internosgombri, signor, da’ mansueti cori, 1835sgombri mille furori;e quasi fai col tuo valor supernode le cose mortali un giro eterno.

Torquato Tasso - Aminta

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ATTO QUINTO

scena prima

Elpino, Coro.

[elpino]Veramente la legge con che Amoreil suo impero governa eternamente 1840non è dura, né obliqua; e l’opre sue,piene di providenza e di mistero,altri a torto condanna. Oh con quant’arte,e per che ignote strade egi conducel’uom ad esser beato, e fra le gioie 1845del suo amoroso paradiso il pone,quando ei più crede al fondo esser de’ mali!Ecco, precipitando, Aminta ascendeal colmo, al sommo d’ogni contentezza.Oh fortunato Aminta, oh te felice 1850tanto più, quanto misero più fosti!Or co ’l tuo essempio a me lice sperare,quando che sia, che quella bella ed empia,che sotto il riso di pietà ricopreil mortal ferro di sua feritate, 1855sani le piaghe mie con pietà vera,che con finta pietate al cor mi fece.

coro

Quel che qui viene è il saggio Elpino, e parlacosì d’Aminta come vivo ei fosse,chiamandolo felice e fortunato: 1860dura condizione de gli amanti!Forse egli stima fortunato amantechi muore, e morto al fin pietà ritrovanel cor de la sua ninfa; e questo chiamaparadiso d’Amore, e questo spera. 1865

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Di che lieve mercé l’alato dioi suoi servi contenta! Elpin, tu dunquein sì misero stato sei, che chiamifortunata la morte miserabilede l’infelie Aminta? e un simil fine 1870sortir vorresti?

elpino

Amici, state allegri,ché falso è quel romor che a voi pervennede la sua morte.

coro

Oh che ci narri, e quantoci racconsoli! E non è dunque il veroche si precipitasse? 1875

elpino

Anzi è pur vero,ma fu felice il precipizio; e sottouna dolente imagine di mortegli recò vita e gioia. Egli or si giacenel seno accolto de l’amata ninfa,quanto spietata già, tanto or pietosa; 1880e le rasciuga da’ begli occhi il piantocon la sua bocca. Io a trovar ne vadoMontano, di lei madre, ed a condurlocolà dov’essi stanno; e solo il suovolere è quel che manca, e che prolunga 1885il concorde voler d’ambidue loro.

coro

Pari è l’età, la gentilezza è pari,e concorde il desio; e ’l buon Montanovago è d’aver nipoti e di muniredi sì dolce presidio la vecchiaia: 1890sì che farà del lor voler il suo.Ma tu, deh, Elpin, narra qual dio, qual sortenel periglioso precipizio Amintaabbia salvato.

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elpino

Io son contento: udite,udite quel che con quest’occhi ho visto. 1895Io era anzi il mio speco, che si giacepresso la valle, e quasi a piè del colle,dove la costa face di sé grembo:quivi con Tirsi ragionando andavapur di colei che ne l’istessa rete 1900lui prima a me dapoi ravvolse e strinse,e proponendo a la sua fuga, al suolibero stato, il mio dolce servigio,quando ci trasse gli occhi ad alto un grido;e ’l veder rovinar un uom dal sommo,e ’l vederlo cader sovra una macchia, 1905fu tutto un punto. Sporgea fuor del colle,poco di sopra a noi, d’erbe e di spinie d’altri rami strettamente giuntie quasi in un tessuti, un fascio grande. 1910Quivi, prima che urtasse in altro luogo,a cader venne; e bench’egli col’ pesolo sfondasse, e più in giuso indi cadesse,quasi su’ nostri piedi, quel ritegnotanto d’impeto tolse a la caduta, 1915ch’ella non fu mortal; fu nondimenograve così, ch’ei giacque un’ora e piuestordito affatto e di se stesso fuori.Noi muti di pietate e di stuporerestammo a lo spettacolo improviso, 1920riconoscendo lui; ma conoscendoch’egli morto non era, e che non eraper morir forse, mitighiam l’affanno.Allora Tirsi mi diè notizia intierade’ suoi secreti ed angosciosi amori. 1925Ma mentre procuriam di ravvivarlocon diversi argomenti, avendo in tantogià mandato a chiamar Alfesibeo,

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a cui Febo insegnò la medica arteallor che diede a me la cetra e ’l plettro, 1930sopragiunsero insieme Dafne e Silvia,che, come intesi poi, givan cercandoquel corpo che credean di vita privo.Ma come Silvia il riconobbe, e videle belle guancie tenere d’Aminta 1935iscolorite in sì leggiadri modiche viola non è che impallidiscasì dolcemente, e lui languir sì fattoche parea già ne gli ultimi sospiriessalar l’alma, in guisa di baccante 1940gridando e percotendosi il bel petto,lasciò cadersi in su ’l giacente corpo:e giunse viso a viso e bocca a bocca.

coro

Or non ritenne adunque la vergognalei, ch’è tanto severa e schiva tanto? 1945

elpino

La vergogna ritien debile amore,ma debil freno è di potente amore.Poi, sì come ne gli occhi avesse un fonte,inaffiar cominciò co ’l pianto suoil colui freddo viso, e fu quell’aqua 1950di cotanta virtù, ch’egli rivenne;e gli occhi aprendo, un doloroso “ohimè”spinse dal petto interno;ma quell’“ohimè”, ch’amarocosì dal cor partissi, 1955s’incontrò ne lo spirtode la sua cara Silvia, e fu raccoltoda la soave bocca, e tutto quivisubito raddolcissi.Or chi potrebbe dir come in quel punto 1960rimanessero entrambi, fatto certociascun de l’altrui vita, e fatto certoAminta de l’amor de la sua ninfa,

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Torquato Tasso - Aminta

e vistosi con lei congiunto e stretto?Chi è servo d’Amor, per sé lo stimi; 1965ma non si può stimar, non che ridire.

coro

Aminta è sano sì, ch’egli sia fuoridel rischio del la vita?

elpino

Aminta è sano,se non ch’alquanto pur graffiat’ha ’l viso,ed alquanto dirotta la persona; 1970ma sarà nulla, ed ei per nulla il tiene.Felice lui, che sì gran segno ha datod’amore, e de l’amor il dolce or giusta,a cui gli affanni scorsi ed i periglifanno soave e dolce condimento; 1975ma restate con Dio, ch’io vo’ seguireil mio viaggio, e ritrovar Montano.

coro

Non so se il molto amaroche provato ha costui servendo, amando,piangendo e disperando, 1980raddolcito puot’esser pienamented’alcun dolce presente;ma, se più caro vienee più si gusta dopo ’l male il bene,io non ti cheggio, Amore, 1985questa beatitudine maggiore;bea pur gli altri in tal guisa;me la mia ninfa accogliadopo brevi preghiere e servir breve;e siano i condimenti 1990de le nostre dolcezzenon sì gravi tormenti,ma soavi disdegnie soavi ripulse,risse e guerre a cui segua, 1995reintegrando i cori, o pace o tregua.

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APPENDICE

a sua eccellenza la signora marchesa

anna malaspina della bastia.

I bei carmi divini, onde i sospiriIn tanto grido si levar d’Aminta,Sì che parve minor della zampognaL’epica tromba, e al paragon gelosoDei primi onori dubitò Goffredo,Non è, Donna immortal, senza consiglioChe al tuo nome li sacro, e della tuaPer senno e per beltade inclita figliaL’orecchio e il core a lusingar li reco,Or che di prode giovinetto in braccioAmor la guida. Amor più che le MuseA Torquato dettò questo gentile Ascreo lavoro; e infino allor più dolceLinguaggio non avea posto quel DioSu Mortal labbro, benché assai di GreciaErudito l’avessero i maestri,E quel di Siracusa, e l’infeliceEsul di Ponto. Or qual v’ha cosa in pregioChe ai misteri d’Amor più si convegnaD’Amoroso volume? E qual può donoAl genio Malaspino esser più gratoChe il canto d’Elicona? Al suo favorePiù che all’ombre cirrée crebber mai sempreFamose e verdi l’apollinee frondi“Onor d’Imperatori e di Poeti”.Del gran padre Alighier ti risovvenga,Quando ramingo dalla patria, e caldoD’ira e di bile ghibellina il petto,Per l’itale vago guaste contrade,Fuggendo il vincitor Guelfo crudele,

Torquato Tasso - Aminta

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Simile ad uom che va di porta in portaAccattando la vita. Il fato avversoStette contra il gran Vate, e contra il fatoMorello Malaspina. Egli all’illustreEsul fu scudo: liberal l’accolseL’amistà sulle soglie, e il venerandoGhibellino parea Giove nascosoNella casa di Pelope. VenuteLe fanciulle di Pindo eran con esso,L’itala Poesia bambina ancoraSeco traendo, che gigante e divaSi fe’ di tanto precettore al fianco:Poiché un Nume gli avea fra le tempesteFatto quest’ozio. Risonò il CastelloDei cantici divini, e il nome ancoraDel sublime cantor serba la Torre.Fama è ch’ivi talor melodiosoErrar s’oda uno spirto, ed empia tuttoDi riverenza e d’orror sacro il loco.Del Vate è quella la magnanim’ombra,Che tratta dal desio del nido anticoViene i silenzi a visitarne, e grataDell’ospite pietoso alla memoriaDe’ nipoti nel cor dolce e segretoL’amor tramanda delle sante Muse.E per Comante già tutto l’avea,Eccelsa Donna, in trasfuso: ed egliLieto all’ombra de’ tuoi possenti auspici,Trattando la maggior lira di Tebe,Emulò quella di Venosa, e feceParer men dolci i Savonesi accenti;Padre incorrotto di corrotti figli,Che prodighi d’ampolle e di paroleTutto contaminar d’Apollo il regno.Erano d’ogni cor tormento alloraDella vezzosa Malaspina i neri

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Occhi lucenti, e corse grido in PindoChe a lei tu stesso, Amor, cedesti un giornoLe tue saette, né saccorse l’arcoDel già mutato arciero: e se il destinoNon s’opponeva, nel tuo cor s’apriaDa mortal mano la seconda piaga.Tutte allor di Mnemosine le figlieFur viste abbandonar Parnaso e Cirra,E calar sulla Parma; e le seguiaPalla Minerva, con dolor fuggendoLe cecropie ruine. E qui, siccomeDi Giove era il voler, composto ai santiSuoi studi il seggio, e degli spenti altariRidestate le fiamme, e d’AcademoFe’ riviver le selve, e di sublimiRagionamenti risonar le volteD’un altro Peripato, che di graviSalde dottrine, dagli eterni fontiScaturite del Ver, vincea l’antico.Perocché, duce ed auspice Fernando,D’un Péricle novel l’opra e il consiglio,E la beltate, l’eloquenza, il sennoD’un’Aspasia miglior scienze ed arti,Che le città fan belle e chiari i regni,Suscitando allegrar Febo e Sofia.Tu fulgid’astro dell’ausonio cielo,Pieno d’alto saver, splendesti allora,Dotto Piaciaudi mio; nome che dolceNell’anima mi suona, e sempre acerba,Così piacque agli Dei, sempre onorataRimembranza sarammi. Ombra diletta,Che sei sovente di mie notti il sogno,E pietosa a posarti in sulla spondaVieni del letto ov’io sospiro, e vediDi che lagrime amare io pianga ancoraLa tua partita; se laggiù ne’ campi

Torquato Tasso - Aminta

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Torquato Tasso - Aminta

Del pacifico Eliso, ove tranquilloGodi il piacer della seconda vita,Se colà giunge il mio pregar, né troppoS’alza su l’ali il buon desio, TorquatoPer me saluta, e digli il lungo amoreCon che sculsi per lui questa novellaDi tipi leggiadria; digli in che scelteForme più care al cupid’occhio offertiI lai del suo pastor fan dolce invito;Digli il bel nome che gli adorna, e cresceAlle carte splendor. Certo di gioiaA quel divino rideran le luci,Ed Anna Malaspina andrà per l’ombreRipetendo d’Eliso, e fia che dica:Perché non l’ebbe il secol mio! memoriaNon sonerebbe sì dolente al mondoDi mie tante sventure. E se domatoNon avessi il livor (ché tal nemicoMai non si doma, né Maron lo vinse,Né Meonio cantor), non tutti almenoChiusi a pietade avrei trovato i petti.Stata ella fora tutelar mio NumeLa Parmense Eroina; e di mia vitaCh’ebbe dall’opre del felice ingegnoSì lieta aurora e splendido meriggio,Non forse avrebbe la crudel fortunaNé Amor tiranno in negre ombre ravvoltoL’inonorato e torbido tramonto.

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