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71 Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro Proprio nel momento in cui le famiglie con madri lesbiche cominciavano a essere più visibili sulla scena sociale, con la fecondazione in vitro/FIV sorse un’altra nuova forma familiare, ancora più controversa. Nel 1978, infatti, nacque nel Regno Unito Louise Brown, la prima figlia “in pro- vetta” (Steptoe e Edwards, 1978). Come scrisse il quotidiano The Guardian (in un articolo intitolato “La madre in provetta ha una bambina” del 26 luglio 1978): «Ieri notte, all’Oldham General Hospital, nel Lancashire, la signora Lesley Brown, prima madre al mondo ad avere concepito con fecondazione in vitro, ha partorito una bambina con taglio cesareo. La storica nascita è avvenuta poco prima della mezzanotte. La neonata pesa 2,608 kg. I medici hanno dichiarato che madre e figlia sono in condi- zioni “eccellenti”». E il Daily Express: «È nato il bambino del secolo. Il primo a essere concepito in laboratorio. Ed è una femmina». CAPITOLO 3

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Famiglie con figli nati con fecondazione in vitro

Proprio nel momento in cui le famiglie con madri lesbiche cominciavano a essere più visibili sulla scena sociale, con la fecondazione in vitro/FIV sorse un’altra nuova forma familiare, ancora più controversa. Nel 1978, infatti, nacque nel Regno Unito Louise Brown, la prima figlia “in pro-vetta” (Steptoe e Edwards, 1978). Come scrisse il quotidiano The Guardian (in un articolo intitolato “La madre in provetta ha una bambina” del 26 luglio 1978): «Ieri notte, all’Oldham General Hospital, nel Lancashire, la signora Lesley Brown, prima madre al mondo ad avere concepito con fecondazione in vitro, ha partorito una bambina con taglio cesareo. La storica nascita è avvenuta poco prima della mezzanotte. La neonata pesa 2,608 kg. I medici hanno dichiarato che madre e figlia sono in condi-zioni “eccellenti”». E il Daily Express: «È nato il bambino del secolo. Il primo a essere concepito in laboratorio. Ed è una femmina».

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Per la prima volta era stata creata una vita umana in laboratorio. L’ovulo della madre era stato fecondato con il seme paterno all’interno di una capsula di Petri e l’embrione destinato a diventare Louise era stato tra-sferito nell’utero materno. Louise venne al mondo il 25 luglio 1978. L’evento ebbe ampia risonanza mediatica in tutto il mondo. Come affermò la rivista The Economist (in un articolo del 17 luglio 2008, inti-tolato “Niente fecondazione in vitro, siamo inglesi”): «La stampa di tutto il mondo era accampata all’esterno, le porte d’ingresso bloccate e il personale costretto a sgattaiolare dentro e fuori da un’entrata late-rale. Patrick Steptoe e Robert Edwards, l’ostetrico e il fisiologo che nove mesi prima avevano prelevato un ovulo da un’ovaia della signora Brown sotto anestesia e l’avevano fertilizzato in vitro con il seme del marito, erano nascosti dentro». Per la rivista Time quella fu «la nascita proba-bilmente più attesa da 2.000 anni» (dall’articolo “Il primo bambino in provetta”, 31 luglio 1978).Ma il percorso che ha portato a questa storica nascita non è stato privo di ostacoli. In una conferenza celebrativa per il conferimento del premio Nobel a Robert Edwards, nel 2010, Martin Johnson, bio-logo della riproduzione e già allievo di Edwards agli albori della FIV, parlò dell’ostile opposizione incontrata da Edwards e Steptoe ( Johnson, 2010; 2011). Alla pubblicazione del primo articolo scientifico sulla FIV negli umani, il 14 febbraio 1969, «si scatenò l’inferno», scrisse Johnson. Edwards e Steptoe furono attaccati dai media, dalla Chiesa Cattolica Romana e dai colleghi, e il primo di aprile del 1971 il finan-ziamento che avevano richiesto per la ricerca sulla fecondazione in vitro fu loro negato: «Solo nel 1989 [...] il Parlamento del Regno Unito impresse finalmente il suggello di approvazione all’opera anticipa-trice di Edwards, dopo una violenta battaglia durata ben undici anni» ( Johnson, 2010, p. 251). E dovettero trascorrere trentadue anni dalla nascita di Louise Brown perché Robert Edwards vincesse il premio Nobel. Essendo deceduto nel 1988, Patrick Steptoe non poté ricevere il riconoscimento insieme a lui.Negli anni successivi alla nascita di Louise Brown, la FIV è uscita dal regno della fantascienza ed è divenuta un trattamento per la sterilità che gode di ampia accettazione e ha consentito la procreazione di oltre

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cinque milioni di bambini in tutto il mondo (Adamson, 2012). Nel 1978, però, la nascita di Louise provocò opposizione e timore nel pubblico. Ad alcune delle prime donne che avevano avuto figli in questo modo capitò di essere evitate o sentirsi urlare contro per strada, perfino i parenti stretti accolsero con sospetto i bambini nati. Come testimonia una donna divenuta madre grazie alla FIV: «Credo che mia suocera pensasse che sarebbe venuto fuori con due teste [...] Lei gli vuole bene, ne sono certa, ma c’è sempre stato quel qualcosa [...] anche quando venne in ospedale, appena dopo il parto, non lo prese in braccio».Nonostante tutto il clamore intorno alla sua nascita, Louise era la figlia genetica di sua madre e di suo padre. Fatta eccezione per le circostanze del concepimento, non era diversa da qualunque altro bambino, dal momento che veniva allevata dai genitori che l’avevano concepita e messa al mondo. Come già era avvenuto per l’introduzione della pil-lola contraccettiva, anche la FIV fu osteggiata per la separazione tra sesso e riproduzione. Ciò nonostante, Louise era in ogni senso figlia dei suoi genitori: la madre l’aveva portata in grembo e partorita; in seguito è stata allevata come figlia “sociale” e giuridica del signore e della signora Brown.L’affermazione della FIV ha aperto la strada a metodi riproduttivi sem-pre più legati alle biotecnologie. All’inizio degli anni Novanta, per esem-pio, è comparsa una nuova tecnica: l’iniezione intracitoplasmatica dello spermatozoo/ICSI, nella quale un singolo spermatozoo viene iniet-tato direttamente in un ovulo allo scopo di fecondarlo (Palermo, Joris, Devroey et al., 1992). L’ICSI è il primo trattamento contro la sterilità maschile e ha consentito la paternità a uomini con spermatozoi anomali o con oligospermia. Come avviene anche nella FIV, nell’ICSI, quando si usano l’ovulo della madre e il seme del padre, e la madre si fa carico della gravidanza, i genitori hanno una connessione sia genetica sia gesta-zionale con il figlio – né più né meno di quello che avviene quando si concepisce in modo naturale.Per molte coppie sterili, la FIV e l’ICSI sono il trattamento d’elezione, nella misura in cui il loro desiderio è quello di avere dei figli biologici. Ecco come si esprime in proposito un uomo divenuto padre grazie alla FIV:

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Penso che sia veramente la cosa più vicina alla situazione naturale. Cioè, tutto il resto si allontana di più, giusto? Almeno il seme e gli ovuli sono i miei [e della mia partner]. È solo un piccolo aiuto a cui puoi ricorrere, meglio di tutto il resto. Se avessimo adottato, sono sicuro che avremmo amato i bambini allo stesso modo, ma l’ideale è avere figli propri, no?

Una madre ricorsa a FIV formula così la questione:

Abbiamo sempre detto che, se volevamo dei figli, era proprio per creare qualcosa che ci unisse. Quindi, non volevamo pensare veramente alla donazione dell’ovulo o del seme, oppure a un’adozione, se non dopo aver fatto un tentativo con la FIV, utilizzando il mio ovulo e il seme del mio compagno. E siamo stati molto, molto fortunati che abbia funzionato.

I possibili rischi connessi all’uso di metodi riproduttivi biotecnologici come la FIV e l’ICSI hanno suscitato molti timori. Essi si sono concen-trati in parte sulla salute e lo sviluppo fisico dei figli – dal momento che gli ovuli e il seme vengono comunque sottoposti a un trattamento, e la prima parte dello sviluppo embrionale avviene in un terreno di col-tura, al di fuori del corpo materno (per una rassegna sull’argomento si veda Fauser, Devroey, Diedrich et al., 2014) – e in parte sulle pos-sibili ripercussioni negative di queste tecniche sulla genitorialità e lo sviluppo psicologico dei bambini. Dato che la sterilità e il suo tratta-mento sono fonte di stress, per un periodo che spesso può durare anche molti anni, si pensava che in seguito, con l’eventuale nascita di un figlio tanto atteso, potessero comparire delle difficoltà nell’adempimento dei compiti genitoriali. Più in particolare, secondo alcuni autori, i geni-tori con problemi di concepimento potevano investire emotivamente troppo nei figli che avevano tanto desiderato (Burns, 1990; Covington e Burns, 2006), e coloro che, dopo un periodo di sterilità, riuscivano ad averne rischiavano di diventare iperprotettivi o coltivare aspettative irrealistiche nei confronti della prole o di se stessi in quanto genitori (Colpin, Demyttenaere e Vandemeulebroecke, 1995; Hahn e DiPietro, 2001; McMahon, Ungerer, Beaurepaire et al., 1995; Mushin, Spensley e Barreda-Hanson, 1985; van Balen, 1998). Qualche esperto sosteneva altresì che lo stress connesso alla sterilità e al suo trattamento poteva dare origine a disturbi psicologici e problemi coniugali nei genitori che,

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a loro volta, avrebbero potuto portare a conseguenze psicologiche nega-tive per i figli (McMahon, Ungerer, Beaurepaire et al., 1995).Una preoccupazione che concerneva in particolare l’ICSI, riguardava i rischi riproduttivi connessi all’uso di spermatozoi anomali, all’aggira-mento del normale processo di selezione naturale degli spermatozoi, e alla possibilità di causare danni fisici all’ovulo, con possibili modifica-zioni del materiale genetico (Pinborg, Henningsen e Malchau, 2013; Ponjaert-Kristoffersen, Bonduelle, Barnes et al., 2005; te Velde, van Baar e van Kooij, 1998) e ripercussioni sullo sviluppo psicologico della prole.

I PARTI MULTIPLIUno dei principali motivi per cui il concepimento con FIV o ICSI può dare origine a un’esperienza familiare piuttosto diversa è l’alta incidenza dei parti bigemini e trigemini dovuti a questi metodi – una conseguenza dell’impianto di più embrioni all’interno di un ciclo di FIV o di ICSI. Per avere un’idea delle proporzioni del fenomeno, si consideri che, tra le nascite con FIV o ICSI avvenute negli anni Novanta, più di un quarto in Europa (Nygren e Andersen, 2002) e oltre il 40% negli Stati Uniti (Wright, Schieve, Reynolds et al., 2001) sono state gemellari, con due o tre gemelli. Tali cifre si discostano nettamente dalla percentuale di parti multipli registrata per le gravidanze da concepimento naturale nello stesso periodo, la quale si aggira intorno all’1% (Bergh, Ericson, Hillensjö et al., 1999). Il problema dei parti multipli ha avuto proporzioni maggiori nelle regioni in via di sviluppo e di nuova industrializzazione, come l’America Latina, dove la percentuale di parti multipli, per le gra-vidanze dovute al ricorso a metodi di procreazione assistita, nel 2000, è stata del 50%, mentre oltre il 13,5% delle nascite derivanti da FIV o ICSI è stato trigemino o quadrigemino (Zegers-Hochschild, 2002). Il caso più estremo è stato registrato nel 2009 in California, quando Nadya Suleman, una trentatreenne single soprannominata dai media Octomom (Ottomamma), ha partorito otto gemelli vivi grazie alla FIV.Per ovviare ai rischi fisici dei parti multipli – mortalità perinatale, parti prematuri, basso peso alla nascita, problemi neonatali e disabilità – alcuni Paesi hanno introdotto norme che limitano il numero di embrioni

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utilizzabili in un ciclo di FIV o ICSI. In questo modo, nel 2009, la per-centuale di parti multipli dovuti a FIV o ICSI in Europa è scesa al 20% (Ferraretti, Goossens, Kupka et al., 2013). Invece, negli Stati Uniti, resta superiore al 30% (Society for Assisted Reproductive Technology, 2012; Zegers-Hochschild, Mansour, Ishihara et al., 2013).In caso di nascite multiple, i genitori non hanno solo il problema di accudire due o più bambini contemporaneamente, ma anche quello dei maggiori impegni derivanti dalle particolari necessità di figli pre-maturi o con basso peso alla nascita. Gli studi sui bigemini e trigemini nati attraverso il concepimento naturale hanno dimostrato che i geni-tori devono affrontare numerosi elementi stressanti, che possono riper-cuotersi negativamente sulle relazioni all’interno della famiglia (Bryan, 1992; Lytton e Gallagher, 2002). Occuparsi di due o tre figli della stessa età richiede un’enorme quantità di tempo; pertanto, i genitori si ritro-vano spesso, loro malgrado, a trascurare se stessi, esausti, depressi e alle prese con le difficoltà economiche. È per questo che mediamente i gemelli hanno meno interazioni individuali con i genitori, rispetto ai figli singoli1. Quando crescono, i figli nati da parti multipli presentano spesso ritardi nello sviluppo linguistico e ottengono punteggi più bassi alle prove di valutazione delle abilità cognitive e ai test di lettura (Hay, Prior, Collett et al., 1987; Lytton e Gallagher, 2002; Rutter e Redshaw, 1991). Uno studio su un campione tratto dalla popolazione generale ha accertato che lo sviluppo linguistico nei gemelli di 3 anni avveniva con 3 mesi di ritardo rispetto a quello dei figli singoli – e ciò anche avendo escluso dal calcolo i gemelli più prematuri o affetti da danno neurolo-gico, e avendo corretto gli effetti dovuti all’età gestazionale dei gemelli al momento della nascita (Rutter, Thorpe, Greenwood et al., 2003). Dal momento che il ritardo linguistico si manifestava in bambini senza disa-bilità e che lo studio teneva conto della maggior brevità del periodo di gestazione nei gemelli, la conclusione fu che non ci si trovava di fronte alle conseguenze di un danno cerebrale o dell’immaturità biologica dei bambini, bensì al riflesso di una reale differenza tra gemelli e figli singoli.

1 Per figli singoli s’intende non nati da parto gemellare. [N.d.C.]

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Il ritardo osservato nello sviluppo linguistico dei gemelli risultò associato alla minore qualità e quantità delle interazioni tra madre e figlio, e non a fattori biologici (Rutter, Thorpe, Greenwood et al., 2003).Per quanto questi studi sulle famiglie con gemelli nati da un concepi-mento naturale forniscano informazioni utili, le famiglie con due o tre gemelli concepiti tramite FIV o ICSI possono presentare particolarità rilevanti per l’adempimento del ruolo genitoriale e lo sviluppo dei figli. Per i genitori può essere particolarmente stressante provvedere a due o tre gemelli, dopo avere avuto un’esperienza di sterilità con il relativo trattamento. D’altro canto, queste persone possono essere meglio disposte ad accettare una nascita multipla: chi ricorre alla procreazione assistita, infatti, avrà quasi certamente considerato questa eventualità, prima di prendere la decisione di procedere. E in effetti, a buona parte di coloro che percorrono questa via, l’idea di una nascita multipla appare preferi-bile rispetto a quella di non avere figli, e la prospettiva dei gemelli viene considerata positivamente, come un modo per completare la famiglia senza la necessità di un ulteriore trattamento medico stressante, rischioso e costoso (Gleicher, Campbell, Chan et al., 1995; Goldfarb, Kinzer, Boyle et al., 1996; Murdoch, 1997). «Diciamo sempre che è stato un “paghi uno, prendi due”, perché di fatto è andata proprio così! Uno lo paghiamo e uno lo riceviamo gratis!» ha commentato una madre.Gli studi sulle famiglie in cui, in seguito a trattamenti di procreazione assistita, sono nati due gemelli (Colpin, De Munter, Nys et al., 1999; Cook, Bradley e Golombok, 1998; Glazebrook, Sheard, Cox et al., 2004; Olivennes, Golombok, Ramogida et al., 2005) o tre gemelli (Garel, Salobir e Blondel, 1997; Golombok, Olivennes, Ramogida et al., 2007) hanno registrato livelli di ansia e depressione più elevati in questi geni-tori rispetto a quelli con figli singoli, malgrado essi abbiano in genere dimostrato una maggiore apertura alle nascite multiple. Altre ricerche, poi, si sono focalizzate in particolare sullo sviluppo dei bambini nati da un parto gemellare conseguente a un intervento di procreazione assistita. Per esempio, in una ricerca che ha confrontato gemelli e figli singoli di 2 anni, tutti nati grazie alla FIV/ICSI (Bonduelle, Ponjaert, Van Steirteghem et al., 2003), i primi hanno ottenuto punteggi infe-riori alla somministrazione delle Bayley Scales of Infant Development.

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Analogamente, in un confronto tra gemelli e figli singoli tra i 2 e i 5 anni, anch’essi concepiti tutti tramite FIV/ICSI, i primi hanno dimostrato livelli di funzionamento cognitivo inferiori alla somministrazione della versione per genitori del Denver Developmental Screening Test, spe-cialmente in relazione allo sviluppo linguistico e alle abilità di motricità fine (Olivennes, Golombok, Ramogida et al., 2005). Non sono, invece, emerse differenze per quanto riguarda i problemi emotivi e comporta-mentali. Inoltre, in generale, i nati da parto trigemino hanno dato segni di menomazione cognitiva, rispetto ai nati da parto bigemino o singolo (Feldman, Eidelman e Rotenberg, 2004; Feldman e Eidelman, 2005; Garel, Salobir, Lelong et al., 2001; Golombok, Olivennes, Ramogida et al., 2007). I dati relativi all’adattamento psicologico dei nati da parto trigemino non consentono invece di trarre conclusioni: uno studio su un gruppo di bambini di 2 anni ha riscontrato un livello più elevato di problemi emotivi (Feldman e Eidelman, 2005), mentre un altro studio, focalizzatosi su bambini di età compresa tra i 2 e i 5 anni, non è pervenuto alle stesse conclusioni (Golombok, Olivennes, Ramogida et al., 2007). Sul confronto tra gemelli nati con FIV/ICSI e gemelli concepiti in modo naturale esistono poche ricerche. Da un lavoro sullo sviluppo cognitivo e motorio, in un campione ampio e rappresentativo dei bambini di 3-4 anni, non sono emerse differenze di sviluppo linguistico e motorio (Pinborg, Loft, Schmidt et al., 2004). Anche Tully, Moffitt e Caspi (2003), che si sono concentrati sui problemi comportamentali nei bambini di 5 anni, non hanno riscontrato differenze fra i due gruppi.Il fatto che nelle coppie e nelle triplette di gemelli nate in seguito a trat-tamento FIV/ICSI si riscontri un ritardo di sviluppo cognitivo rispetto ai figli singoli concepiti allo stesso modo indica che il maggior desiderio di gemelli nelle coppie che ricorrono alla procreazione assistita non è sufficiente a compensare la situazione di svantaggio in cui si trovano i gemelli in quanto tali. La stessa considerazione vale anche per i problemi emotivi – più frequenti nei genitori di coppie e triplette di gemelli FIV/ICSI, come accennato sopra. Quindi, l’impatto delle nascite multiple sull’adempimento dei compiti genitoriali e sullo sviluppo dei figli deve essere considerato a parte rispetto all’impatto della FIV/ICSI di per sé. Per evitare possibili dubbi interpretativi dovuti alla variabile delle

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nascite multiple, vediamo allora a quali risultati pervengano le ricerche che si sono focalizzate in particolare sulle famiglie con figli singoli nati con FIV o ICSI.

LA GENITORIALITÀ NELLE FAMIGLIE RICORSE A FIVLe donne e gli uomini che diventano genitori attraverso la FIV si com-portano diversamente con i figli rispetto alle madri e ai padri di bam-bini concepiti in modo naturale? La questione è stata affrontata da vari ricercatori, prendendo in esame bambini di età diverse. Le ricerche che riguardano specificamente la primissima infanzia sono state condotte in Grecia e in Australia. Nello studio greco è stato usato un campione abbastanza ridotto, ma i risultati sono interessanti in quanto derivano da una dettagliata valutazione microanalitica dell’interazione tra madre e figlio eseguita in quattro momenti diversi, quando il bambino aveva un’età compresa tra le 4 e le 21 settimane (Papaligoura e Trevarthen, 2001). Quanto ai risultati, sono emerse poche differenze tra le famiglie ricorse a FIV e quelle createsi con concepimento naturale. Tuttavia, a 21 settimane, le madri dei figli nati con procreazione assistita dimostravano una maggiore attenzione alle condizioni fisiche dei loro piccoli e dedi-cavano più tempo a cercare di calmarli quando loro erano angosciati.Venendo invece allo studio australiano, i ricercatori hanno reclutato durante il momento della gravidanza 70 famiglie ricorse a FIV e 63 famiglie crea- tesi con concepimento naturale, tutte con un solo figlio; dopodiché, le hanno contattate due volte per una valutazione, la prima volta quando i figli avevano quattro mesi e la seconda quando i figli avevano 1 anno (McMahon e Gibson, 2002). Nel corso delle due valutazioni, madri e padri hanno compilato dei questionari sul senso di competenza genitoriale e sulla soddisfazione in quanto genitori. A quattro mesi, è stata utilizzata anche una misura osservativa dell’interazione madre-figlio per valutare la sensibilità materna. Si è scoperto che alla prima valutazione, le madri ricorse a FIV si sentivano meno capaci di tranquillizzare i propri figli e di comprenderne i segnali, rispetto alle madri che avevano concepito naturalmente (McMahon, Ungerer, Tennant et al., 1997); mentre, alla

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seconda valutazione, tendevano a considerare i propri figli più vulnera-bili e “speciali”, rispetto alle madri che avevano concepito naturalmente (Gibson, Ungerer, Tennant et al., 2000). Tuttavia, non sono emerse dif-ferenze in termini di sensibilità materna verso i figli, né a quattro mesi né a 1 anno (Gibson, Ungerer, McMahon et al., 2000). Quanto ai padri, tra i due gruppi non sono state rilevate differenze nel senso di compe-tenza genitoriale, né alla valutazione a quattro mesi (McMahon, Ungerer, Tennant et al., 1997) né a 1 anno (Gibson, Ungerer, Tennant et al., 2000).Un altro studio importante è stato condotto in Belgio, dove sono state confrontate 31 famiglie ricorse a FIV e 31 famiglie che avevano conce-pito naturalmente, tutte con un figlio di 2 anni (Colpin, Demyttenaere, Vandemeulebroecke et al., 1995). L’interazione tra madre e figlio è stata valutata con metodi osservativi; mediante questionari sono stati misurati gli atteggiamenti e i sentimenti delle madri e dei padri nei confronti dei figli. Ebbene, tra i due tipi di famiglia non sono state riscontrate diffe-renze, né per quanto riguarda il comportamento dei figli verso le madri e viceversa nel compito di interazione, né per quanto riguarda i pensieri e le emozioni provate dalle madri e dai padri nei confronti dei figli. In uno studio di follow-up, condotto quando i figli avevano 8-9 anni, dai resoconti delle madri e dei padri sul comportamento di cura dei figli e sullo stress connesso al ruolo di genitore non sono emerse differenze tra i due gruppi (Colpin e Soenen, 2002).L’European Study of Assisted Reproduction Families, condotto nel Regno Unito, in Olanda, in Spagna e in Italia, si è occupato di studiare famiglie ricorse FIV con figli tra i 4 e gli 8 anni (Golombok, Brewaeys, Cook et al., 1996; Golombok, Cook, Bish et al., 1995). I ricercatori hanno reclutato 116 famiglie con figli concepiti tramite FIV e due gruppi di confronto, di cui uno costituito da 115 famiglie con figli adottati nella primissima infanzia e l’altro costituito da 120 famiglie con figli concepiti in modo naturale. Inoltre, hanno formato anche un gruppo di 111 famiglie con figli concepiti attraverso la fecondazione eterologa (si veda il Capitolo 4). Madri e padri hanno risposto separatamente alle domande di un’inter-vista in profondità semistrutturata, finalizzata a valutare la qualità delle cure genitoriali, e a quelle del Parenting Stress Index, un questionario per misurare lo stress associato al ruolo genitoriale. Le informazioni

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emerse dall’intervista sono state codificate utilizzando uno schema stan-dardizzato. Rispetto alle madri che avevano concepito naturalmente, le madri ricorse a FIV sono risultate più affettuose e più coinvolte emotiva-mente con i figli; inoltre, è emerso che interagivano maggiormente con la prole e riferivano meno stress per il ruolo di genitore. I padri ricorsi a FIV, stando alle informazioni fornite dalle loro partner, interagivano con i figli più dei padri che avevano concepito naturalmente, e loro stessi hanno riferito meno stress genitoriale. I genitori adottivi, in relazione a queste misure, si sono collocati tra i genitori ricorsi a FIV e quelli che avevano concepito naturalmente. Nel primo studio condotto in una cultura non occidentale – a Taiwan – Hahn e DiPietro (2001) hanno esaminato un campione di famiglie ricorse a FIV con figli in età tra la scuola dell’infanzia e i primi anni di scuola primaria. Nel complesso, la qualità delle cure genitoriali è risultata buona, anche se le madri ricorse a FIV hanno evidenziato un atteggiamento più protettivo nei confronti dei figli. Secondo quanto riportato dagli insegnanti, che hanno giu-dicato i bambini senza sapere in che modo fossero stati concepiti, le madri ricorse a FIV erano più affettuose, anche se non più protettive o più invadenti rispetto ai genitori che avevano concepito naturalmente.Per esaminare il funzionamento delle famiglie FIV all’inizio dell’adole-scenza, i genitori e i bambini che avevano preso parte all’European Study of Assisted Reproduction Families sono stati esaminati un’altra volta, quando i ragazzi hanno compiuto 12 anni, utilizzando un’intervista e un questionario standardizzati per la valutazione dei rapporti genitore-figlio. In questa fase, è emerso che le madri e i padri FIV avevano in genere con i figli un rapporto positivo, in cui l’affetto si combinava con una forma di controllo adeguata alla loro età (Golombok, Brewaeys, Giavazzi et al., 2002; Golombok, MacCallum e Goodman, 2001). Le poche differenze rilevate hanno evidenziato un funzionamento più positivo nelle famiglie FIV rispetto a quelle con figli adottati o concepiti in modo naturale, fatta eccezione per l’ipercoinvolgimento di una piccola percentuale di genitori. Le famiglie britanniche dell’European Study of Assisted Reproduction Families sono state contattate nuovamente quando i figli avevano 18 anni (Owen e Golombok, 2009). Le madri e i padri FIV non hanno presentato differenze rispetto alle madri e padri degli altri gruppi, in

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nessuna delle variabili connesse all’affetto o al conflitto, fatta eccezione per l’indulgenza disciplinare, più presente nelle madri FIV. Inoltre, i diciottenni stessi hanno risposto alle domande di un’intervista standar-dizzata e di alcuni questionari per valutare la qualità del rapporto con i genitori (Golombok, Owen, Blake et al., 2009), ed è emerso che avevano un buon rapporto con loro. Risultati analoghi sono stati registrati al fol-low-up dello studio belga sopra citato, quando i figli avevano compiuto 15-16 anni (Colpin e Bossaert, 2008). Gli adolescenti e i due genitori, ciascuno separatamente, hanno compilato un questionario standardiz-zato per la valutazione di alcuni costrutti connessi allo stile genitoriale, ovvero la responsività, il controllo comportamentale, il controllo psico-logico e il sostegno all’autonomia. Le valutazioni di madri, padri e figli non hanno evidenziato differenze tra lo stile genitoriale delle famiglie FIV e quello delle famiglie da concepimento naturale. Si può allora dire che le donne e gli uomini che si sono serviti della FIV fatichino a prendersi cura dei figli a lungo attesi? Sembra che nei primi mesi di vita dei figli le madri siano meno sicure rispetto a quelle che non hanno avuto bisogno della procreazione assistita. Ma la diffe-renza sembra effimera. Quando i figli si trovano tra la scuola dell’in-fanzia e i primi anni di scuola primaria, le madri e i padri FIV risul-tano adempiere ai compiti genitoriali in modo più positivo rispetto ai genitori da concepimento naturale, sebbene in una minoranza di madri possa esserci una tendenza all’eccesso di coinvolgimento e di protettività. Quando i figli entrano nell’adolescenza, le madri e i padri FIV appaio- no molto simili a quelli che hanno concepito i figli in modo naturale, sia nell’approccio al ruolo di genitore sia nella qualità del rapporto con i figli. In generale, i genitori aiutati dalla FIV sembrano molto impegnati e coinvolti – un risultato che forse non dovrebbe sorprendere, dati gli ostacoli che hanno dovuto superare per avere un figlio.

I BAMBINI NELLE FAMIGLIE RICORSE A FIVChe cosa sappiamo invece dei figli? Nella loro vita incontrano difficoltà psicologiche in qualche modo connesse al metodo con cui sono stati concepiti? Nello studio australiano citato nel paragrafo precedente è

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emerso che i bambini concepiti con FIV avevano maggiori difficoltà di comportamento rispetto a quelli concepiti in modo naturale. Infatti, confrontando le valutazioni delle madri ricorse a FIV e quelle che ave-vano concepito naturalmente, è risultato che a 4 mesi i figli delle prime avevano un temperamento più difficile (McMahon, Ungerer, Tennant et al., 1997); all’età di 1 anno, a questo si sono aggiunti anche maggiori problemi comportamentali (Gibson, Ungerer, Leslie et al., 1998). In occasione di questa seconda valutazione, però, non sono emerse diffe-renze nelle percentuali di bambini che, in base alla Strange Situation, risultavano avere un attaccamento sicuro (Gibson, Ungerer, McMahon et al., 2000). In uno studio svedese, 121 bambini concepiti con FIV sono stati confrontati nella primissima infanzia con un gruppo appaiato di 110 bambini concepiti in modo naturale, somministrando a tutti i par-tecipanti il Toddler Behavior Questionnaire quando i bambini avevano 1 anno; è stato così accertato che i primi risultavano più gestibili, attenti e abitudinari, ma anche più sensibili agli stimoli forti (Sydsjö, Wadsby, Kjellberg et al., 2002).L’adattamento psicologico di un gruppo di bambini tra i 4 e gli 8 anni concepiti con FIV è stato esaminato nell’European Study of Assisted Reproduction Families, somministrando alle loro madri e ai loro inse-gnanti lo Strengths and Difficulties Questionnaire, uno strumento utiliz-zato spesso per la misurazione dei problemi comportamentali ed emotivi (Goodman, 1994; 1997; 2001). Inoltre, ai bambini sono stati sommi-nistrati alcuni test per la valutazione dell’autostima e dei sentimenti verso i genitori. Nel complesso, non sono emerse differenze rispetto ai bambini concepiti in modo naturale (Golombok, Brewaeys, Cook et al., 1996; Golombok, Cook, Bish et al., 1995). Soltanto nel Regno Unito la sicurezza dell’attaccamento dei bambini ai loro genitori è stata valutata mediante il Separation Anxiety Test e uno psichiatra infantile ha valutato in cieco le trascrizioni delle interviste sul funzionamento psicologico dei figli. È risultato in questo modo che tra i figli delle due categorie non c’erano differenze per quanto riguarda la sicurezza dell’attaccamento e l’incidenza di disturbi psicologici (Golombok, Cook, Bish et al., 1995). Lo studio belga già ricordato si è occupato dei bambini di 8-9 anni (Colpin e Soenen, 2002). Quando i figli avevano quell’età, le loro madri, i padri e

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gli insegnanti hanno compilato la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000). Non sono emerse differenze di adattamento tra i figli concepiti con la FIV e quelli concepiti in modo naturale, né secondo le valutazioni degli insegnanti né secondo quelle dei genitori. Soltanto uno studio condotto in Israele ha registrato un maggior livello di problemi emotivi nei bambini concepiti con FIV, quando frequenta-vano la scuola secondaria di primo grado (Levy-Shiff, Vakil, Dimitrovsky et al., 1998). Rispetto ai figli concepiti naturalmente, secondo gli inse-gnanti, essi hanno avuto un adattamento scolastico peggiore; inoltre, nella descrizione di sé sono risultati più aggressivi, ansiosi e depressi. Non conosciamo le ragioni della discordanza tra i risultati di questo e degli altri studi, ma possiamo supporre che vada ricondotta al fatto che, solo nel campione israeliano, i genitori ricorsi a FIV erano più anziani di quelli che avevano concepito naturalmente.Nell’European Study of Assisted Reproduction Families, i genitori e gli insegnanti hanno compilato nuovamente lo Strengths and Difficulties Questionnaire quando i figli avevano 12 anni (Golombok, Brewaeys, Giavazzi et al., 2002; Golombok, MacCallum e Goodman, 2001). Non sono emerse differenze tra i tipi di famiglia considerati nello studio, né dalle valutazioni delle madri né da quelle degli insegnanti. All’età di 18 anni, i ragazzi concepiti con FIV, adottati da piccoli o nati attraverso concepimento naturale hanno compilato alcuni questionari self-report per la valutazione dell’ansia, della depressione, dell’ostilità e della sensi-bilità interpersonale, e non sono emerse differenze tra loro (Golombok, Owen, Blake et al., 2009). Questo studio ha fornito ai ricercatori la prima opportunità per chiedere a dei giovani che cosa provassero riguardo alla natura insolita del metodo con cui erano stati concepiti. Sebbene una piccola minoranza abbia riferito di avere reagito negativamente al momento della scoperta, all’età di 18 anni nessuno sembrava soffrirne.Wagenaar e colleghi (Wagenaar, van Weissenbruch, Knol et al., 2009a) hanno confrontato il comportamento e il funzionamento socioemotivo di 139 adolescenti concepiti con FIV e 143 concepiti naturalmente da genitori che in passato avevano avuto problemi di sterilità. L’età media era di 13,5 anni. A questo scopo, i loro genitori hanno compilato la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000), mentre gli insegnanti

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hanno compilato il Teacher Report Form annesso alla check-list. Stando alle valutazioni di genitori e insegnanti, il funzionamento dei ragazzi rientrava nell’ambito della norma. Nei casi in cui emergevano delle dif-ferenze, esse evidenziavano un livello di adattamento più elevato tra i ragazzi concepiti con FIV, specialmente per quanto concerne i problemi comportamentali. Una tendenza nella stessa direzione, anche se non significativa, è emersa anche dalle valutazioni dei problemi comporta-mentali effettuate dagli insegnanti. Dalle autovalutazioni degli adole-scenti sul funzionamento comportamentale e socioemotivo, mediante lo Youth Self-Report, non sono emerse differenze in funzione del tipo di famiglia (Wagenaar, van Weissenbruch et al., 2011). Sempre a proposito di ragazzi adolescenti, nell’ambito di una ricerca longitudinale belga, Colpin e Bossaert (2008) hanno somministrato lo Youth Self-Report a un gruppo di ragazzi di 15-16 anni e hanno chiesto ai loro genitori di compilare la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000). Dall’analisi dei dati non sono emerse differenze di adattamento tra gli adolescenti concepiti con FIV e quelli concepiti in modo naturale, né secondo le valutazioni dei genitori né secondo quelle dei ragazzi. Allo stesso modo, altri due studi che hanno utilizzato la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000) non hanno rile-vato maggiori problemi psicologici nei figli concepiti con FIV rispetto ai punteggi normativi della popolazione generale (Cederblad, Friberg, Ploman et al., 1996; Montgomery, Aiello e Adelman, 1999).Wagenaar e colleghi hanno studiato anche lo sviluppo cognitivo. Dal confronto tra il funzionamento scolastico di 233 bambini tra gli 8 e i 18 anni concepiti con FIV e di un gruppo appaiato di 233 bambini con-cepiti naturalmente da persone che in passato avevano avuto problemi di sterilità, non sono emerse differenze nel livello di istruzione, nell’a-bilità cognitiva generale e nelle prestazioni scolastiche, comprendendo in questa categoria anche la necessità di sostegno, educazione speciale e ripetizione di anni scolastici (Wagenaar, Celeen, van Weissenbruch et al., 2008). Ai ragazzi che avevano raggiunto la pubertà – 139 nel gruppo concepito con FIV e 143 nel gruppo di confronto – sono state sommi-nistrate alcune prove per valutare l’elaborazione di informazioni, l’at-tenzione e il funzionamento visuomotorio. Anche in questo caso, i due

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gruppi non hanno mostrato differenze, fatta eccezione per una minore velocità motoria nei ragazzi concepiti con FIV, che rientrava comunque nella norma (Wagenaar, van Weissenbruch, Knol et al., 2009b).Volendo sintetizzare i risultati degli studi ricordati in questo paragrafo, potremmo dire che, a dispetto delle paure che hanno accompagnato la comparsa della FIV, i bambini concepiti con questo metodo risultano avere scarsi problemi emotivi e comportamentali, e nessun segno di dif-ficoltà cognitive. Anche se qualche lavoro ha evidenziato la presenza di problemi temperamentali nella primissima infanzia, tale riscontro potrebbe essere il riflesso di impressioni soggettive di alcune madri ansiose più che di oggettive difficoltà nei loro figli. Per quanto riguarda il legame di attaccamento, la probabilità che i bambini sviluppino un attaccamento sicuro con la madre è la stessa per i bambini concepiti con FIV e per quelli concepiti naturalmente. Infine, tra gli studi che hanno utilizzato lo Strengths and Difficulties Questionnaire (Goodman, 1994; 1997; 2001) o la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000) – le due misure dell’adattamento infantile più attendibili e valide – nessuno ha riscontrato problemi psicologici maggiori nei figli concepiti con FIV. Poiché in alcune ricerche tali questionari sono stati somministrati anche agli insegnanti allo scopo di ottenere ulteriori valutazioni indipendenti, i risultati da essi raggiunti sono particolarmente affidabili, o perlomeno più di quanto lo sarebbero se i questionari fossero stati compilati solo dai genitori. Sembra, quindi, che la tendenza all’iperprotettività osser-vata nelle madri ricorse a FIV non provochi problemi psicologici nei figli, così come la migliore qualità delle cure fornite dai genitori FIV non sembra migliorarne l’adattamento.

LA GENITORIALITÀ NELLE FAMIGLIE RICORSE A ICSIAnche se le preoccupazioni riguardo alle famiglie ricorse a ICSI si sono concentrate esclusivamente sulle eventuali conseguenze per i figli, gli stessi timori espressi in relazione ai genitori ricorsi a FIV – per esem-pio, quello dell’iperprotettività – valgono anche per i genitori ricorsi a ICSI. Pertanto, i ricercatori hanno esaminato le cure genitoriali nelle

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famiglie ricorse a ICSI. A questo scopo, in Belgio, Danimarca, Grecia, Svezia e nel Regno Unito è stato condotto uno studio multicentrico su larga scala che ha coinvolto 540 famiglie ricorse a ICSI, 439 famiglie ricorse a FIV e 542 famiglie che avevano concepito naturalmente, con figli di 5 anni. Le madri e i padri hanno compilato sia la sottoscala Parent-Child Dysfunctional Interaction del Parenting Stress Index sia il Parental Acceptance-Rejection Questionnaire. Analizzando i dati, sono emerse poche differenze nelle cure genitoriali in funzione dei tipi di famiglia, anche se le madri ricorse a ICSI hanno riferito livelli più bassi di sentimenti ostili o aggressivi verso i figli e livelli più elevati di impegno nelle cure, rispetto alle madri dei bambini concepiti in modo naturale (Barnes, Sutcliffe, Kristoffersen et al., 2004). Nello stesso studio, ai bambini è stato somministrato il Bene-Anthony Family Relations Test allo scopo di ottenere una valutazione delle rela-zioni tra genitori e figli dal punto di vista di questi ultimi. La prova consisteva in un compito ludico che richiedeva di attribuire sentimenti e comportamenti al proprio padre e alla propria madre sulla base di affermazioni positive o negative. In base a queste valutazioni non sono state identificate differenze connesse al tipo di famiglia in cui vivevano i bambini, né nei sentimenti positivi o negativi nei riguardi della madre e del padre né nel coinvolgimento con i due genitori. Risultati analo-ghi sono emersi da uno studio olandese su 87 famiglie ricorse a ICSI, 92 famiglie ricorse a FIV e 85 famiglie che avevano concepito natu-ralmente con bambini di età compresa tra i 5 e gli 8 anni (Knoester, Helmerhorst, van der Westerlaken et al., 2007). Anche in questo studio non sono state trovate differenze tra i tipi di famiglia, utilizzando la ver-sione olandese del Parenting Stress Index, fatta eccezione per i punteggi più alti in relazione all’iperattività dei figli nei genitori ricorsi a ICSI e a FIV. In uno studio belga su un gruppo di bambini di 8 anni (Leunens, Celestin-Westreich, Bonduelle et al., 2006) non sono state riscontrate differenze nello stress associato al ruolo genitoriale, riferito dalle madri e dai padri nella versione olandese del Parenting Stress Index. Sembra, quindi, che i genitori dei figli concepiti con ICSI siano simili a quelli dei figli concepiti con FIV, essendo entrambi i gruppi fortemente impegnati nel ruolo di genitori e avendo relazioni positive con la prole.

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I BAMBINI NELLE FAMIGLIE RICORSE A ICSIMentre le prime ansie risvegliate dalle famiglie ricorse a FIV erano per-lopiù frutto di congetture e derivavano della paura dell’ignoto, l’ICSI ha messo in moto preoccupazioni più concrete, connesse alla manipolazione diretta degli ovuli e degli spermatozoi nel processo di fecondazione. Di conseguenza, una serie di studi ha esaminato lo sviluppo psicologico dei bambini concepiti con questo metodo. Lo studio delle famiglie ricorse a ICSI si è avvalso in genere di campioni più numerosi rispetto allo stu-dio delle famiglie ricorse a FIV e, pertanto, ha potuto contare su una maggiore potenza statistica nella rilevazione di eventuali effetti negativi.A proposito dell’adattamento psicologico, Barnes, Sutcliffe, Kristoffersen et al. (2004) non hanno riscontrato differenze tra i figli concepiti con ICSI e quelli concepiti con FIV o in modo naturale, in termini di problemi comportamentali o emotivi, secondo le valutazioni espresse da madri e padri mediante la Child Behavior Checklist (Achenbach e Rescorla, 2000). La medesima checklist è stata somministrata a un gruppo di madri anche da Knoester, Helmerhorst, van der Westerlaken et al. (2007), i quali, pur non avendo rilevato differenze tra i bambini maschi concepiti con ICSI, FIV o in modo naturale, ne hanno trovate invece tra le bam-bine concepite con ICSI e quelle concepite con FIV. Questo risultato, tuttavia, non dimostra la presenza di maggiori difficoltà di adattamento nelle bambine concepite con ICSI, ma è dovuto ai punteggi particolar-mente bassi ottenuti dalle bambine concepite con FIV.In merito alle preoccupazioni a cui abbiamo accennato, è stata dedi-cata una certa attenzione allo sviluppo cognitivo dei bambini concepiti con ICSI. Per esempio, in una ricerca belga, è stata somministrata la Bayley Scales of Infant Development a 201 bambini di 2 anni concepiti con ICSI e non sono emerse prove di ritardo nello sviluppo, rispetto ai punteggi normativi ottenuti dai bambini di quest’età (Bonduelle, Joris, Hofmans et al., 1998). Un lavoro dello stesso team di ricerca, che ha confrontato 439 bambini di 2 anni concepiti con ICSI e 207 coetanei concepiti con FIV, non ha riscontrato differenze di punteggio nella Bayley Scale (Bonduelle, 2003). Risultati analoghi sono stati riferiti anche nel Regno Unito, in seguito alla somministrazione delle Griffiths Mental

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Development Scales a un campione rappresentativo di 208 bambini di 1-2 anni concepiti con ICSI e un gruppo di confronto di 221 coetanei concepiti in modo naturale (Sutcliffe, Taylor, Saunders et al., 2001). Per contro, in Australia, 89 bambini di 1 anno concepiti con ICSI hanno ottenuto punteggi significativamente più bassi alla Bayley Scale, special-mente i maschi, rispetto a 84 coetanei concepiti con FIV e 80 concepiti in modo naturale (Bowen, Gibson, Leslie et al., 1998). Il 17% dei bam-bini concepiti con ICSI presentava un ritardo dello sviluppo di grado lieve o significativo, contro il 2% di quelli concepiti con FIV e l’1% di quelli concepiti in modo naturale.Per dirimere la controversa questione se i figli concepiti con ICSI pre-sentino o meno un ritardo dello sviluppo, i bambini coinvolti in quest’ul-timo studio sono stati valutati nuovamente all’età di 5 anni e le dimen-sioni del campione sono state portate a 97 bambini concepiti con ICSI, 80 con FIV e 110 in modo naturale (Leslie, Gibson, McMahon et al., 2003). Tra i bambini concepiti con ICSI e i due gruppi di confronto non sono state rilevate differenze per quanto riguarda i QI e la percen-tuale di ritardi dello sviluppo. I risultati di questo lavoro sono coerenti con quelli di un altro studio, condotto in Belgio, Danimarca, Grecia, Svezia e Regno Unito su tre gruppi di bambini di 5 anni (Ponjaert-Kristoffersen, Bonduelle, Barnes et al., 2005). I ricercatori hanno con-frontato i punteggi alla Revised Wechsler Preschool and Primary Scale of Intelligence/WPPSI-R e alla Scala Motoria delle McCarthy Scales of Children’s Abilities ottenuti da 511 bambini concepiti con ICSI, 424 bambini concepiti con FIV e 488 bambini concepiti in modo naturale. Dall’analisi dei risultati non sono emerse differenze fra i tre gruppi. In un lavoro parallelo, che comprendeva oltre ai bambini belgi e svedesi dello studio precedente, un campione di bambini statunitensi (Ponjaert-Kristoffersen, Tjus, Nekkebroek et al., 2004), non sono state evidenziate differenze di QI alla WPPSI-R fra 300 bambini ICSI e 260 coeta- nei concepiti in modo naturale, sebbene i primi abbiano ottenuto un punteggio inferiore in alcune delle sottoscale che misuravano le abilità visuospaziali.In un lavoro su un altro campione belga, lo sviluppo cognitivo di bambini concepiti con ICSI e di quelli concepiti naturalmente è stato esaminato

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con la Wechsler Intelligence Scale for Children-Revised/WISC-R, una prima volta a 8 anni (Leunens, Celestin-Westreich, Bonduelle et al., 2006) e poi di nuovo a 10 anni (Leunens, Celestin-Westreich, Bonduelle et al., 2008). Sebbene i figli concepiti con ICSI abbiano ottenuto pun-teggi più elevati all’età di 8 anni, all’età di 10 non sono state riscontrate differenze. In Olanda, un gruppo di bambini ICSI tra i 5 e gli 8 anni ha ottenuto punteggi di QI al Revised Amsterdam Child Intelligence Test significativamente più bassi rispetto a un gruppo di confronto costitui- to da figli concepiti in modo naturale, ma non ha mostrato differenze rispetto a un gruppo di bambini concepiti con FIV. L’inferiorità del QI nei figli concepiti con ICSI probabilmente è una conseguenza dell’infe-riorità dello status socioeconomico dei loro padri. In ogni caso, tali pun-teggi si collocavano sopra la media della popolazione generale (Knoester, Helmerhorst, Vandenbroucke et al., 2008). Perciò, nonostante le prime preoccupazioni, esistono poche prove del fatto che il concepimento tra-mite ICSI possa dare origine a un impoverimento cognitivo nei figli.

LE ESPERIENZE DEI GENITORIL’esperienza di chi si sottopone a FIV o a ICSI può essere estremamente difficile. Un padre l’ha descritta in questi termini:

Penso che sia dura per tutti quelli che l’attraversano, gli alti e i bassi, le piccole vit-torie quando le iniezioni incominciano a funzionare. Sei lì che conti gli embrioni e poi vedi l’immaginetta degli embrioni fatti di due o quattro cellule; e questi sono gli alti. E poi i bassi quando non funziona. E sapere che devi aspettare per rifare tutto da capo. È veramente dura.

Un altro padre ha affermato:

Ho sempre voluto una famiglia ed è stata dura – è stata una faticaccia arrivare ad avere una famiglia. Abbandonerei tranquillamente ogni cosa per stare tutto il tempo con loro.

Alcune madri hanno commentato così la mancanza di comprensione con cui hanno dovuto fare i conti nonostante le difficoltà:

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Non credo che mia suocera si renda conto di quante ne abbiamo dovute passare per avere dei figli. Sembra tutto rose e fiori quando si dice: “Oh, sì, abbiamo fatto la FIV”, ma fosse stato così facile!

Voglio che la gente sia più consapevole e si renda conto che è normale. Questa è una delle cose che mi sono sembrate veramente difficili quando facevamo il tratta-mento. La gente aveva quest’impressione, che “Oh, non c’è problema, basta fare la FIV e poi ti arriva un figlio”, e io sento di dover far sapere alla gente che no, non è così facile. E qualche volta mi è sembrato che qualcuno potesse avere anche un pregiudizio al riguardo, che “Oh, ma non è naturale” concepire in quel modo. E io voglio soltanto dire: “Guarda, i miei figli sono perfettamente normali, sani e felici”.

In ogni caso, chi ce l’ha fatta in genere ritiene che ne sia valsa la pena:

Sono dei miracoli. Sono miracoli assoluti. È venuta fuori dal congelatore, ed era fresca.

Io le dico che è molto speciale, del resto, sa com’è, tutti i figli lo sono. Però la mia idea personale è che i bambini concepiti con FIV lo siano un pochino, pochino di più.

In realtà sono veramente orgogliosa di aver fatto la FIV e che abbia funzionato davvero. Penso che sia un miracolo assoluto, e se non era per la FIV, ora non sarei mamma. Quindi, sono contenta di diffonderla, di promuoverla, di parlarne, per-ché penso che sia un’esperienza stressante ma magica. Comunque, ne vale sicura-mente la pena.

CONCLUSIONIIn conclusione possiamo affermare che la FIV e le relative tecnologie di procreazione assistita (come la ICSI), per quanto assai controverse al momento della loro comparsa, sono ormai metodi ordinari per il trat-tamento della sterilità. Sembra che le famiglie create in questo modo funzionino adeguatamente, mentre risultano infondati i timori per i pos-sibili effetti negativi sulla genitorialità o sullo sviluppo dei figli. L’aspetto più problematico degli interventi biotecnologici come la FIV e la ICSI è l’alta percentuale di parti bigemini e trigemini che ne derivano. Ma non si tratta di un effetto diretto, bensì di una conseguenza del numero di embrioni utilizzati; infatti, nei Paesi che hanno introdotto delle norme per limitare il numero di embrioni trasferiti nella FIV o nella ICSI si registra una riduzione dei parti multipli.

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