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FISICA/MENTE FISICA/ MENTE SULLE ORIGINI DELLA SCIENZA ELETTRICA E MAGNETICA PARTE 1:DA TALETE A DESCARTES Roberto Renzetti PRIMI FENOMENI Alcuni curiosi e divertenti fenomeni elettrici e magnetici erano noti fin dall'antichità. E' difficile andare a ricavare le prime scoperte in tal senso ma qualcosa si può dire. Intanto la stessa parola elettricità è di derivazione greca, deriva cioè da •λεκτρον (1) (leggi: electron) che vuol dire ambra. L'ambra è una resina fossile che mostrava particolari proprietà: se strofinata con un panno attira a sé piccoli corpuscoli posti nelle sue vicinanze. Fenomeni analoghi erano di particolari minerali ferrosi noti come pietra di Magnesia (• λθος Μαγνητις; leggi: e litos Magnetis, dal nome della città che si trovava alle falde del monte Sipilo, nell'Asia Minore) che presentavano la proprietà di attrarre a sé pezzettini di ferro. E' quindi evidente che da ambra e Magnesia discendono i nomi di due branche della fisica che per iniziare ad essere minimamente comprese richiederanno centinaia e centinaia di anni. Sembra che, nel VI secolo prima di Cristo, sia stato Talete di Mileto (e Mileto era città, anch'essa, dell'Asia Minore al centro di imponenti traffici, anche culturali, tra l'Oriente, l'Egitto e la Grecia) il primo ad occuparsi di elettricità. Egli riteneva che il magnete fosse vivo perchè in grado di far muovere le cose e che avesse un'anima. Questi primi fenomeni osservati dovettero attendere, a quanto se ne sa, circa 1900 anni prima che si potesse realizzare una qualche applicazione pratica (le possibili prime file:///C|/$A_WEB/STORIA_ELETTRICITA_MAGNETISMO.htm (1 of 119)28/02/2009 20.54.30

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FISICA/MENTE

SULLE ORIGINI DELLA SCIENZA ELETTRICA E MAGNETICA

PARTE 1:DA TALETE A DESCARTES

Roberto Renzetti

PRIMI FENOMENI

Alcuni curiosi e divertenti fenomeni elettrici e magnetici erano noti fin dall'antichità. E' difficile andare a ricavare le prime scoperte in tal senso ma qualcosa si può dire.

Intanto la stessa parola elettricità è di derivazione greca, deriva cioè da •λεκτρον (1) (leggi: electron) che vuol dire ambra. L'ambra è una resina fossile che mostrava particolari proprietà: se strofinata con un panno attira a sé piccoli corpuscoli posti nelle sue vicinanze.

Fenomeni analoghi erano di particolari minerali ferrosi noti come pietra di Magnesia (• λ•θος Μαγνητις; leggi: e litos Magnetis, dal nome della città che si trovava alle falde del monte Sipilo, nell'Asia Minore) che presentavano la proprietà di attrarre a sé pezzettini di ferro.

E' quindi evidente che da ambra e Magnesia discendono i nomi di due branche della fisica che per iniziare ad essere minimamente comprese richiederanno centinaia e centinaia di anni.

Sembra che, nel VI secolo prima di Cristo, sia stato Talete di Mileto (e Mileto era città, anch'essa, dell'Asia Minore al centro di imponenti traffici, anche culturali, tra l'Oriente, l'Egitto e la Grecia) il primo ad occuparsi di elettricità. Egli riteneva che il magnete fosse vivo perchè in grado di far muovere le cose e che avesse un'anima.

Questi primi fenomeni osservati dovettero attendere, a quanto se ne sa, circa 1900 anni prima che si potesse realizzare una qualche applicazione pratica (le possibili prime

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teorie dei fenomeni elettrici e magnetici avrebbero invece richiesto all'incirca 2400 anni).

LA BUSSOLA

Le notizie che riporto sono in gran parte incerte, vaghe ed a volte contraddittorie, come è sempre quando non si dispone di documenti. Fornisco quindi solo alcuni cenni per seguire alcune tracce della storia della vicenda.

Una delle proprietà che venne scoperta (?) era quella per cui i magneti di forma allungata, barrette o aghi magnetici, se sistemati in condizioni di orientarsi liberamente su di un piano orizzontale si disponevano spontaneamente dirigendo sempre una delle due estremità (per questo chiamata nord dell'ago) verso il nord geografico mentre l’altra risultava diretta verso il sud geografico (sud dell’ago).

Tale proprietà risulta sia stata sfruttata in Cina intorno al IV secolo d. C. con la realizzazione di bussole (dal greco πυξις che in latino diventa buxis e che, nelle due lingue, vuol dire "scatola di legno di bosso") per orientarsi nella navigazione (fatto che permetteva il superamento del bordeggiare per inoltrarsi in mare aperto anche in condizioni di non visibilità del cielo ma SOLO con mare calmo). Esse erano in genere costituite da un recipiente contenente acqua, sulla quale galleggiava un piccolo oggettino di legno (una canna cava), spesso forgiato artisticamente con la forma di un drago, di un pesce, ..., vincolato a ruotare liberamente intorno all’asse verticale centrale del recipiente. All'interno di tale oggetto era disposto un ago magnetico che, orientandosi come accennato, orientava anche l'oggetto, che quindi si disponeva indicando la direzione del nord.

Tale scoperta sembra sia arrivata in Europa, con l'intermediazione araba, tra l'XI ed il XII secolo (occorre però osservare che furono ancora gli stessi arabi a trasferire la bussola europea, da poter usare anche con mare mosso, in Oriente e probabilmente nella stessa Cina)(2). Sull'introduzione della bussola in Europa vi è molta leggenda che occorre ridimensionare ad evitare errori clamorosi. Fu probabilmente nel XVI secolo che tali leggende si affermarono(3) a seguito dell'errata interpretazione di un testo, scritto nel 1543 da Flavio Biondo, storico di Positano, vicino ad Amalfi, secondo il quale sembrava che marinai amalfitani fossero stati i primi a usare e anche a perfezionare la bussola dei Cinesi. La tradizione popolare, con una strana deformazione del nome, attribuì a questo Flavio l'invenzione della bussola.

Una prima notizia certa, e non in ordine cronologico, è che due commentatori della Divina Commedia del XIV secolo, Francesco da Buti e Giovanni da Ferravalle, spiegavano il verso 29 del canto XII del Paradiso in tal modo:

"Hanno li naviganti uno bussolo che in mezzo è imperniato una rotella di carta leggera, la quale gira su detto perno; e la detta rotella ha molte punte, et ad una di quelle che vi è dipinta una stella, è fitta una punta d'ago; la quale punta li naviganti quando vogliono vedere dove sia la tramontana, imbriacano con la calamita"

E' la prima descrizione nota di una bussola che si avvicina a quella moderna ed in uso in Italia: l'ago magnetico, imperniato al centro della scatola che lo contiene, gira solidale con la rosa dei venti (la sospensione cardanica, che permette che l'ago mantenga sempre il medesimo piano di rotazione, qualunque sia l'oscillazione della nave, sarà introdotta nel XVI secolo)(4).

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Altre notizie certe sull’uso della bussola magnetica, nei mari del Nord Europa all’inizio del XII secolo, provengono da Alexander Neckam (1157-1217), un monaco inglese che scrisse varie opere tra cui il De naturis rerum ed il De utensilibus in cui si parla anche della bussola magnetica(5).

Lo scienziato francese Pierre de Maricourt (mago ed alchimista nato in Picardie, Francia settentrionale, ammirato da Ruggero Bacone e sceso in Italia con Carlo D'Angiò), più noto con la sua denominazione latina di Petrus Peregrinus (presumibilmente per essersi recato in pellegrinaggio a Roma), nel 1269 scrisse Epistula ad Sygerum de Foucaucourt militem, de magnete, un compendio di quello che allora si sapeva sul magnetismo in generale e sul magnetismo terrestre in particolare, che, nell’inevitabile forma manoscritta, ebbe subito larga diffusione tra gli scienziati (fu passato a stampa soltanto nel 1558). Nella sua opera viene descritta una bussola ad ago imperniato con le seguenti parole:

«In questo capitolo ti discoprirò la costruzione di una ruota che si muove costantemente in modo meraviglioso... Se vuoi costruire una simile ruota, prendi una coppa d'argento, come quella degli specchi concavi, che sia dotata nell'interno di incisioni e trafori, non solo per motivi di bellezza, ma anche allo scopo di diminuirne il peso; poiché quanto più essa è leggera, tanto più rapidamente può esser posta in movimento. Devi però ben badare che l'occhio dell'inesperto non si accorga di quanto in essa è abilmente predisposto. All'interno della coppa devono essere fissate delle liste di ferro e dei denti di ugual peso, che siano posti in direzione obliqua sull'orlo della coppa, uno dopo l'altro, in modo che la loro distanza non sia maggiore dello spessore di un fagiuolo o di un pisello. La ruota stessa deve avere ugual peso in ogni sua parte. Fissa il centro dell'asse, attorno al quale gira la ruota, in modo che esso resti immobile. Disponi sull'asse un'asta d'argento, alla cui estremità sia fissata, tra due capsule, una pietra magnetica, che deve essere stata preparata nel modo seguente. Quando essa sia stata arrotondata e si siano individuati i suoi poli, come è indicato prima, le si deve dar forma d'uovo. Mentre i poli vengono lasciati come sono, si limiti la parte compresa fra di essi, cosicché venga ridotta ed occupi meno posto. In tal modo essa non toccherà le pareti delle capsule, quando la ruota gira. Quando ciò sia fatto, fissa la pietra sull'asta metallica, cosi come si incastona una pietra preziosa. Si diriga il polo nord verso le liste e i denti della ruota, ma leggermente inclinato, in modo che la forza della pietra non agisca direttamente, ma sotto un certo angolo sui denti di ferro. A seguito di ciò un dente che si avvicini al polo nord e, in virtù del moto della ruota, lo superi, viene ad avvicinarsi al polo sud, dal quale esso è ora più respinto che non attratto, come manifestamente avviene secondo la legge che ho esposto nel precedente capitolo. Un tale dente viene quindi di continuo attratto e respinto. Al fine che più velocemente compia la ruota il suo lavoro, si ponga nella coppa un piccolo peso rotondo di bronzo o argento, di grandezza tale da poter essere facilmente nascosto fra ogni coppia di denti. Quando ora la ruota sale, il piccolo peso cade dalla parte opposta. Poi che però il moto della ruota è sempre di salita per l'una delle due parti, parimenti incessante è il cadere del piccolo peso fra due denti qualsiasi, poiché esso tende per il suo peso al centro della terra. Con ciò esso appoggia il moto dei denti ed impedisce che questi si fermino quando vengono a cadere esattamente davanti alla pietra magnetica. Fa' di larghezza opportuna lo spazio fra i denti, così che il piccolo peso resti nascosto durante la caduta, come è illustrato dal disegno.

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Addio ! Terminato nel campo dell'assedio di Lucera(6) l'8 agosto anno Domini 1269 ».

pietro da maricourt

Ma Pierre de Maricourt, le cui opere sono andate quasi completamente perdute, fece anche importanti studi sul magnetismo: le attrazioni e repulsioni tra poli magnetici, il magnetismo indotto mantenendo un magnete naturale vicino ad un pezzo di ferro, la riproduzione dei magneti allo spezzarli successivamente (se si dispone di una barra magnetica e la si spezza, i due pezzi diventano due magneti indipendenti; continuando a spezzare i magneti si ottengono sempre dei magneti "autonomi", fatto che mostra che i due poli magnetici risultano inseparabili), come realizzare un buon magnete.

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Frontespizio del De Magnete di Pierre de Maricourt, passato a stampa

Una importante scoperta di Pierre de Maricourt è la seguente. Si lavori un pezzo di magnetite (il minerale di ferro che ha le proprietà magnetiche naturali) in modo da dargli la forma di un globo. Si disponga poi un ago magnetico su questo globo e si marchi con una linea la sua posizione. Si prosegua sistemando l'ago in posizioni diverse sull'intero globo. Si scopre che le linee segnate sulla magnetite sono dei cerchi che circondano il minerale allo stesso modo dei meridiani sul globo terrestre, cerchi che hanno due punti da parti opposte in cui tutti i cerchi si incontrano allo stesso modo che i punti di incontro dei meridiani sulla Terra indicano il polo Nord ed il Polo Sud della Terra medesima. Colpito da tale analogia, Pierre de Maricourt propose di chiamare i due punti sulla magnetite, individuati come riassunto, poli del magnete. Tali poli godevano di particolari proprietà poiché l'interazione di due magneti dipende solo dalla posizione dei rispettivi poli come se in essi risiedesse l'intera potenza dei magneti. La scoperta dei poli è alla base degli sviluppi successivi di diverse teorie: essi per moltissimi anni hanno giocato un grande ruolo nella filosofia della natura.

Risalgono a questa epoca le prime teorie sul funzionamento della bussola. Una delle più diffuse partiva dalla constatazione sperimentale che un ago magnetico deviava verso una vicina massa ferrosa e giungeva a spiegare il funzionamento della bussola come dovuto alla presenza di grandi masse di rocce ferrose (si parlava di «montagne di ferro») nella zona del polo nord geografico: una supposizione che ben s’accordava con la nota esistenza di ricche miniere di ferro nella penisola scandinava, all’estremo nord dell’Europa. Fu Ruggero Bacone che confutò una parte di tale teoria: dall'osservazione che l'ago magnetico punta a Nord ma anche verso il basso, la supposta grande massa ferrosa che «attirava» l’ago si sarebbe trovata in una imprecisabile regione delle profondità terrestri, sia pure verso il nord, e non in

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montagne scandinave. Ma vi erano altri teorie che volevano l'intera Terra come se fosse, essa stessa, un gigantesco magnete. Non mi occuperò della cosa, osservando solo che la circostanza di una Terra "magnetica" fu falsificata da Pierre Curie che mostrò che tutti i magneti perdono le loro proprietà magnetiche al di sopra di una temperatura di circa 760 °C (temperatura di Curie) che è abbondantemente superata immediatamente sotto la crosta terrestre.(7)

IL PRIMO TRATTATO ITALIANO DI MAGNETISMO

Durante il periodo rinascimentale, la magia la faceva da padrona, ed un praticante ed appassionato di ogni fenomeno arcano era il napoletano Giovan Battista DellaPorta. Il magnetismo si prestava in modo eccellente ad

G.B. Della Porta

interpretazioni magiche. E Della Porta andò proprio sulla strada dell'immaginazione, della fantasia, della demonologia, della chiromanzia, dell'astrologia, della magia per discutere di quei fatti straordinari. Al di là dei singoli temi di cui si è detto, è importante ricordare che nelle sue opere Della Porta esalta la magia naturale, considerandola una scienza suprema, il complemento e la parte pratica della filosofia della natura. Il suo compito consiste infatti nel far conoscere le forze occulte del mondo naturale, e nell'insegnare, per mezzo della loro applicazione, a compiere quelle opere che i profani ritengono prodigiose, ma che invece sono soltanto il mezzo attraverso cui l'uomo aiuta il compimento dei processi della natura. Secondo Della Porta, non bisogna confondere la magia naturale con quella "diabolica", basata su incantesimi ed evocatrice di fantasmi e demoni. Per ciò che ci interessa egli scrisse un libro (al quale collaborò Paolo Sarpi) in quattro tomi e venti libri, Magia naturalis sive de miraculis rerum naturalium (1558). Il settimo libro di quest'opera è il primo trattato italiano di magnetismo o scienza magnetica, che è una mera compilazione di fatti noti con delle integrazioni originali e d'interesse. Tra di esse va ricordata la descrizione che Della Porta diede delle "barbe" che la limatura di ferro costruisce sui poli dei magneti e dei primi spettri magnetici che si originano quando si dispone della limatura di ferro su di un foglio di carta disposto immediatamente al di sopra di

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un magnete. Di interesse è anche la scoperta della smagnetizzazione che una lastra di ferro subisce se scaldata (la cosa fu studiata e compresa da Pierre Curie sul finire dell'Ottocento, come ho già accennato) e quella di una lastra di ferro che agisce come uno schermo magnetico.

Per completezza occorre dire che l'ultimo capitolo della Magia, il 59°, è pieno delle maggiori sciocchezze tramandate nei secoli sui poteri magici della calamita.

LA PRIMA OPERA ORGANICA SUL MAGNETISMO: WILLIAM GILBERT

Nell'anno 1600 vide la luce a Londra l'opera De magnete magneticisque corporibus et de magno magnete Tellure Physiologia Nova del filosofo naturale inglese William Gilbert (1544-1603), contemporaneo di Giordano Bruno e di circa vent'anni più vecchio di Galileo (1564-1642) e di Francis Bacon (1561-1626). Gilbert era un copernicano a metà, ammetteva cioè la rotazione della Terra su se stessa ma, per il resto, non si esprimeva. E' uno di quei rappresentanti dell'epoca di transizione, uno di quelli che si fa interprete del mondo della manifattura, delle tecniche che si fanno scienza e che ne racconta in modo non strettamente tecnico e per addetti ai lavori (come nei manuali che si erano succeduti dal Quattrocento), ad un pubblico più vasto. Vi è dietro la conoscenza di tutti i marchingegni che si venivano perfezionando per l'arte della navigazione ma anche le problematiche che nascevano dall'industria dell'estrazione mineraria dei metalli e della loro lavorazione in fonderie. E in Bacon sembra si possa intravedere una certa influenza di Gilbert (culto dell'esperienza pratica, entusiasmo per la ricerca, stile energico e franco, nemico della cultura accademica ufficiale, scarso interesse per la matematica) anche perché vi fu una comune frequentazione (Bruno, Bacon, Gilbert) della corte di Elisabetta a vario titolo (ma Bacon non apprezzava le intemperanze di Gilbert).

La sua disposizione d'animo emerge nella prefazione del De magnete:

«Perché mai io dovrei sottomettere questa nobile filosofia, che per le cose mai dette prima è nuova e quasi inammissibile, al giudizio di uomini che giurano sulle altrui opinioni, agli insulsi corruttori delle arti, ai letterati buffoni, a grammatici, sofisti e declamatori, e alla caparbia plebe, affinché essi la condannino e la colpiscano dei loro vituperi? A voi soli, veri filosofi, uomini sinceri, che cercate il sapere non nei libri soltanto, ma nelle cose stesse, io dedico questi fondamenti della scienza del magnetismo, trattati secondo un nuovo modo di filosofare ».

E qui si sentono addirittura gli influssi di Bruno nell'attacco alla cultura libresca, ampollosa e vuota degli ambienti accademici, cristianamente formati e aristotelicamente conservati, ambienti presenti, a quanto pare, in tutta l'Europa colta. Ma l'influenza del filosofo nolano è ancora più profonda se si legge l'intero corpo delle opere di Gilbert. Valga un solo esempio, riguardante il valore relativo da assegnare alla gravità.

Bruno, nella Cena delle Ceneri (Londra 1584 ) aveva sostenuto:

«Sappi che né la terra, né altro corpo è assolutamente grave o lieve... Queste differenze... convengono a le parti che son divise dal tutto e ... si forzano verso il loco della conservazione come il ferro verso la calamità, il quale va a ritrovarla

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non determinatamente al basso, o sopra, o a destra, ma ovunque sia ... Perciò è cosa assurda il chiamar corpo alcuno naturalmente grave, o lieve».

Gilbert scrive nella sua De mundo nostro sublunari Philosophia Nova (pubblicata postuma nel 1651) quanto segue:

«Non è il luogo che agisce o opera nella natura delle cose, giacché esso — in sé — non è né un essere, né una causa efficiente. Sono piuttosto i corpi che, in virtù delle forze ad essi insite, determinano la loro posizione reciproca. Il luogo in sé non è niente: non esiste, e non esercita forza alcuna; ogni forza di natura è, invece, contenuta e radicata negli stessi corpi».

William Gilbert

E fu proprio la capacità di assumere posizioni tanto coraggiose, che possono nascere nel clima più tollerante dell'Inghilterra elisabettiana rispetto alle corti papali, a permettere a Gilbert di comprendere in una sola chiave interpretativa i minuscoli effetti attrattivi dell'ambra strofinata, quelli di un magnete e quelli giganteschi della gravitazione. Oggi si direbbe che la sua è una teoria unificata dei fenomeni elettrici, magnetici e gravitazionali in campi di forza veicolati da un materiale fluido sottile disposto intorno ai corpi in tanti strati concentrici a densità decrescente.

Per poter sostenere queste cose, Gilbert si servì di una gran mole di esperienze (circa 600), guidandosi con le analogie (per ciò che riguarda tutti i fenomeni d'attrazione) che in epoca rinascimentale ebbero grande fortuna(8). L'idea guida era quella che la Terra, nel suo insieme, si comporta come un gigantesco magnete e, per poter sperimentare, si fabbrica un magnete a forma di globo, che egli chiama terrella, come aveva fatto de Maricourt. Agendo con un ago magnetico sulla terrella, si accorge che le proprietà magnetiche di tale oggetto sono le stesse della gran calamita, la Terra. Al di là della eccellente scoperta e dell'ardire di proporla, come osservano Gliozzi e Forti, vi è una sorta di grande balzo in avanti nel modo di conoscere nelle operazioni di Gilbert. Si spezza il mito della separazione aristotelica dei mondi (mondo sublunare e cieli) mostrando che si possono sperimentare sulla Terra fenomeni cosmici e, fatto rivoluzionario, che le leggi trovate qui valgono lì, anche se lì, la gran parte degli eruditi lo affidava alla sola rivelazione. Le cose sono ancora empiriche e l'osservazione è ingenua. Le esperienze sono qualitative non vi compare mai né la misura, né la matematica, né qualcosa della scienza che avanzava con impeto, la meccanica.

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Per il resto Gilbert riscrive in forma più accurata i fenomeni magnetici noti come quello del magnete spezzato e ne trova di nuovi: martellando un filo di ferro

Esperienza del magnete spezzato. Illustrazione dal De magnete.

e disponendolo lungo un meridiano magnetico, esso acquista polarità magnetiche; si possono migliorare le "potenze" delle calamite con opportuna lavorazione dei poli (la cosa sarà portata al suo massimo dall'introduzione dell'àncora fatta da Galileo). E fin qui per ciò che riguarda il magnetismo, e non è poco ... salvo la conclusione profondamente deludente. Quando si tratta di dare una spiegazione

Una figura che correda il De magnete.

del fenomeno, dopo discussioni incomprensibili, Gilbert ritorna alle posizioni di Talete: i magneti hanno un'anima! e quest'anima ha addirittura proprietà superiori all'anima umana poiché non ha la ventura di essere fuorviata dai sensi agendo costantemente allo stesso modo.

Una figura che correda il De magnete.

Come accennato, nel De Magnete viene anche ripresa l'indagine sulle proprietà dell'ambra che avevamo lasciato 2200 anni prima. E fu proprio Gilbert a parlare per primo di

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forza elettrica (vis electrica) in relazione ai fenomeni in oggetto (furono poi Thomas Browne nel suo Pseudoxia epidemica del 1646 e quindi Boyle a introdurre il sostantivo electricitas nel 1694). Per sperimentare con deboli fenomeni, appunto, elettrici egli si servì di una specie di elettroscopio (chiamato versorium non magneticum) costituito da un sottilissimo e leggerissimo

Girolamo Fracastoro

ago girevole sopra un sostegno a punta, descritto da Fracastoro (1483-1553) nella sua opera De sympathia et antipathia rerum del 1550:

“Affinché tu possa chiaramente esperimentare come avvenga tale attrazione e quali siano le sostanze che attraggono in tal modo altri corpi, costruisciti un aghetto di metallo qualsiasi, abbastanza leggero, della lunghezza di tre o quattro dita, imperniato come un ago magnetico, sulla punta [di un sostegno]. Il versorio girerà immediatamente su sé stesso, se ad una sua estremità avvicinerai l’ambra, o una pietruzza, leggermente strofinata”.

Una bacchetta avvicinata ad un versorio per cercarne effetti elettrici. Se la bacchetta è elettrizzata l'ago ruoterà.

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Come fa notare lo stesso Gilbert, con questo strumento è possibile mettere in evidenza l’attrazione anche per quei corpi, nei quali la virtù elettrica è cosi debole da non essere in grado di sollevare anche leggerissime pagliuzze. Scoprì così che non solo l'ambra gode di proprietà elettriche a seguito di strofinio (triboelettricità) ma anche molte altre sostanze (pietre preziose, salgemma, allume di rocca, vetro, zolfo. varie resine). Non conoscendo ancora nulla delle proprietà di conduzione ed isolamento, gli sembrarono del tutto indifferenti ai fenomeni elettrici sia i metalli che i legni ed alcune pietre. Altre cose di rilievo da assegnare ai lavori di Gilbert sono: l'affermazione che i magneti si respingono quando si avvicinano poli identici e si attraggono avvicinando poli opposti e la scoperta che una sbarra di ferro dolce si magnetizza se si dispone nelle vicinanze di un magnete.

Una figura che correda il De magnete.

Una osservazione di interesse viene fatta da Gilbert: i corpi umidi non si elettrizzano mentre un magnete umido continua ad esercitare i suoi poteri.

Anche la Terra è per Gilbert un oggetto elettrizzabile e, di conseguenza manifesta attrazione rispetto agli altri oggetti. Ma la Terra è anche un magnete e perciò mantiene il suo asse con orientazione costante rispetto alla sfera celeste. La rotazione della Terra intorno al suo asse è poi dovuta ad una azione congiunta di raggi solari e magnetismo. La stessa compattezza della Terra è dovuta al suo magnetismo anche se, in modo che a questo punto stupisce, l'origine della cosa è elettrica. Insomma, in modo certamente confuso, Gilbert tenta di mettere insieme in modo unitario elettricità e magnetismo che in qualche modo sono

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responsabili della gravitazione e del moto della Terra sul suo asse.

E' d'interesse accennare anche alla teoria di elettricità e magnetismo che Gilbert sviluppa. Tutti i corpi deriverebbero da due elementi primi, l'acqua e la terra. Gli elementi derivanti dall'acqua hanno proprietà attrattive che discendono da effluvii che come delle braccia distese si protendono dall'acqua ed afferrano il corpo e lo attirano, finché la potenza dell'azione non si illanguidisce fino a sparire. La cosa è specificata meglio nel seguito. Quando l'ambra attrae delle pagliuzze l'azione è univoca, è solo l'ambra che agisce. Nel caso di un magnete ed un pezzo di ferro si ha invece un avvicinarsi reciproco dei due oggetti (una coitio, come la chima Gilbert) ed il magnete sembra creare delle modificazioni nel ferro nelle sue parti più interne di modo che anche il ferro acquista la forza per avvicinarsi al magnete.

La spiegazione, la teoria che Gilbert ne ricava è analoga a quella di molti filosofi naturali del Rinascimento. Vi è uno slancio innovatore di grandissimo spessore ma, nel contempo, vi è una sorta di palude in cui si è impantanati. La mancanza di strumenti accessori ai meri fatti in studio, chiude il tutto in spirali che non escono da spiegazioni che non spiegano. Come ricorda Dijksterhuis, la spiegazione di Gilbert:

Non si deve minimamente pensare [analoga] alla causa formalis della filosofia aristotelica o a concetti come quelli di simpatia, influenza celeste, o qualità occulta. Quando il ferro e la calamita aspirano a unirsi, questa non è un'inclinazione violenta di un corpo verso un altro, né una confluenza accidentale e furiosa, né il risultato di una coercizione, di una lotta, o di una discordia, ma una manifestazione dell'armonia senza la quale il mondo andrebbe in disfacimento, un risultato dell'essenziale identità delle parti col tutto. Quest'accumulazione di descrizioni inefficaci è tipica della situazione imbarazzante a cui si riduceva un fisico del Cinquecento o del Seicento, se aveva già abbandonato i princìpi esplicativi della scienza aristotelica, ma sentiva ancora quel desiderio di una spiegazione che era stato soddisfatto da tali princìpi nel Medioevo. Una diffusa concezione scolastica dell'attrazione magnetica era stata quella secondo cui la calamita, in virtù di una species magnetica che si diffonde sfericamente, risveglia nel ferro una qualità in virtù della quale quest'ultimo tende a unirsi alla calamita, e questa tendenza produce per accidens un moto locale. In un tempo in cui non si sentisse più parlare di Aristotele, una spiegazione del genere sarebbe stata considerata come un puro giuoco verbale (come effettivamente è); ma la spiegazione che la sostituiva non era molto migliore, né avrebbe potuto esserlo, giacché mirava allo stesso obiettivo irraggiungibile, ossia la conoscenza della natura nascosta delle cose.

Si può facilmente osservare che siamo in completo alto mare: i ragionamenti di tipo aristotelico, infarciti di misticismo, di animismo e di magia sono padroni del campo. Senza una separazione tra queste interpretazione ed i fatti sperimentali sostenuti da misure, non sarà possibile fare passi in avanti, anche se l'ambiente va rapidamente maturando. Non bastava la negazione delle spiegazione attraverso l'autorità dei classici, nella fattispecie Aristotele. Occorreva un cambiamento radicale che doveva prevedere, tra l'altro, l'intersezione di Platone con Aristotele, dei metodi matematici applicati ai fenomeni naturali. Il mero empirismo con spiegazioni nominaliste era arrivato al suo limite, non si poteva andare oltre, ogni ulteriore operazione con i medesimi strumenti non avrebbe fatto che ripetere stancamente l'osservazione di quanto ormai era ben noto.

GALILEO GALILEI

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FISICA/MENTE

Galileo ammira Gilbert per la rottura con gli schemi aristotelici dell'introduzione al De Magnete, ed i suoi interessi per i problemi connessi al magnetismo sono concomitanti alla pubblicazione, nel 1600, del De Magnete di William Gilbert che esercitò subito una grande influenza. Ma il metodo di Gilbert, il suo rifiuto della matematica non lo convincono ed ha così modo di dire(9):

"quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fosse stato un poco maggior matematico".

In un'epoca di dotte ed inconcludenti disquisizioni si richiede qualcosa di più preciso di una teoria alla Gilbert. Quest'ultimo certamente ha dei fatti (o, meglio, della analogie) da portare a testimonio, ma nessuna teoria matematica, nessun dato quantitativo (oltre ad una mole smisurata di fatti straordinari, magici e fantastici non riferibili a nessun dato dell'esperienza comune). E qui,credo, esca bene il criterio di scientificità per una teoria fisica che Galileo fornisce: l'osservazione di fatti senza un apparato formale, quantitativo, che li sostenga non può di per sé costituire una teoria fisica. Keplero, nell'Astronomia nova, fondò sul magnetismo la spiegazione fisica dei moti planetari. Per Keplero il Sole era un corpo magnetico e il moto dei pianeti derivava dall'azione del vortice magnetico prodotto dal moto di rotazione del Sole. E perché, allora, Kepler aderisce alla teoria di Gilbert? Ecco, appunto, qui può trovarsi una prima parziale risposta al perché Galileo si rifiutò di prendere in considerazione alcuni risultati di Kepler (ad esempio le orbite ellittiche, ma, più in particolare, la spiegazione delle maree attraverso l'azione della Luna, una prima 'azione a distanza' che assumeva agli occhi di Galileo un carattere metafisico riferibile a qualità occulte). Tutta l'elaborazione kepleriana è imbevuta di un tal misticismo che sembra impossibile riuscirne a distinguere il contributo positivo al pensiero scientifico. La metafisica dei solidi regolari incastonati l'uno dentro l'altro, la melodia che i pianeti van suonando (la Terra, ad esempio, suona le note mi, fa, mi, cosicché, osserva Kepler, non possiamo stupirci se su questo pianeta regnino la MIseria, la FAme e la MIseria),... tutt'altra cosa rispetto alla razionale, metodica ed a volte dubbiosa discussione delle cose della natura che si può leggere in Galileo. E neanche a dire che l'adesione di Kepler alla teoria di Gilbert avesse un qualche fine all'interno del suo lavoro : essa risultava un mero accessorio.

Galileo Galilei

Tuttavia, Galileo compì esperienze sugli aghi calamitati, sulla declinazione magnetica e sull'armatura delle calamite, sia durante il periodo padovano (insieme a Paolo Sarpi e a

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Giovanfrancesco Sagredo), sia dopo il ritorno in Toscana. Testimoniano l'interesse di Galileo per i fenomeni magnetici, le pagine che egli vi dedica nella giornata III del Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo. Alla gran ripugnanza che afferma Simplicio avere nell'ammettere i vari moti della Terra, il Salviati-Galileo argomenta diffusamente, affermando tra l'altro:

SALV. [...] ma che dirà il Sig. Simplicio se [...] aggiungeremo una mirabile virtù intrinseca del globo terrestre, di riguardar con sue determinate parti verso determinate parti del firmamento ? parlo della virtù magnetica participata costantissimamente da qualsivoglia pezzo di calamita. E se ogni minima particella di tal pietra ha in sé tal virtù, chi vorrà dubitare, la medesima più altamente risedere in tutto questo globo terreno, abbondante di tal materia, e che forse egli stesso, quanto alla sua interna e primaria sustanza, altro non è che un' immensa mole di calamità ? SIMP. Adunque voi sete di quelli che aderiscono alla magnetica filosofia di Guglielmo Gilberto ? SALV. Sono per certo, e credo d'aver per compagni tutti quelli che attentamente avranno letto il suo libro e riscontrate le sue esperienze; né sarei fuor di speranza che quello che è intervenuto a me in questo caso, potesse accadere a voi ancora, tuttavolta che una curiosità simile alla mia ed un conoscere che infinite cose restano in natura incognite a gl' intelletti umani, con liberarvi dalla schiavitudine di questo o di quel particolare scrittore delle cose naturali, allentasse il freno al vostro discorso e rammorbidisse la contumacia e renitenza del vostro senso, si che ei non negasse tal ora di dare orecchio a voci non più sentite. Ma (siami permesso d' usar questo termine) la pusillanimità de gl' ingegni comuni è giunta a segno, che non solamente alla cieca fanno dono, anzi tributo, del proprio assenso a tutto quello che trovano scritto da quelli autori che nella prima infanzia de' loro studii gli furono accreditati da i lor precettori, ma recusano di ascoltare, non che di esaminare, qual si sia nuova proposizione o problema, benché non solamente non sia stato confutato, ma né pure esaminato né considerato, da i loro autori: de' quali uno è questo, di investigare qual sia la vera, propria, primaria, interna e general materia e sustanza di questo nostro globo terrestre; che, benché né ad Aristotile né ad altri, prima che al Gilberto, sia caduto in mente di pensare se possa esser calamita, non che né Aristotile né altri abbiano confutata una tale opinione, tuttavia mi son io incontrato in molti che al primo motto di questo, quasi cavallo che adombri, si sono ritirati in dietro e sfuggito di trattarne, spacciando un tal concetto per una vana chimera, anzi per una solenne pazzia: e forse il libro del Gilberto non mi sarebbe venuto nelle mani, se un filosofo peripatetico di gran nome, credo per assicurar la sua libreria dal contagio, non me n' avesse fatto dono.

Ritroviamo qui, più argomentata, l'invettiva contro il conformismo, la piattezza, l'inerzia, la consuetudine e la piaggeria degli intelletti che usano adeguarsi a qualcuno che ha sostenuto tale cosa, invettiva che era stata di Gilbert nella prefazione al De magnete. L'ultima frase che vuole un filosofo aristotelico "di gran nome" che si disfà del libro di Gilbert perché poteva contaminare la biblioteca è tutto un programma. E Salviati prosegue ad illustrare la filosofia magnetica del Gilberti, dilungandosi in una conversazione con Simplicio(10) della quale merita distaccare un brano. Intanto Galileo mostra qui ancora una volta di non essere disponibile a speculazioni nuove senza disporre di studi specifici. Egli dice infatti che

Delle ragioni che concludentemente provino, de facto, questo nostro globo esser di calamita, io non ve ne ho prodotte nessuna, né questo è tempo di produrle, e massimo che con vostra comodità le potrete vedere nel Gilberto

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ed aggiunge:

SALV. Io sommamente laudo ammiro ed invidio questo autore, per essergli caduto in mente concetto tanto stupendo circa a cosa maneggiata da infiniti ingegni sublimi, né da alcuno avvertita; parmi anco degno di grandissima laude per le molte nuove e vere osservazioni fatte da lui, in vergogna di tanti autori mendaci e vani, che scrivono non sol quel che sanno, ma tutto quello che senton dire dal vulgo sciocco, senza cercare di assicurarsene con esperienza, forse per non diminuire i lor libri: quello che avrei desiderato nel Gilberti, è che fusse stato un poco maggior matematico, ed in particolare ben fondato nella geometria, la pratica della quale 1' avrebbe reso men risoluto nell' accettare per concludenti dimostrazioni quelle ragioni ch' ei produce per vere cause delle vere conclusioni da sé osservate; le quali ragioni (liberamente parlando) non annodano e stringono con quella forza che indubitabilmente debbon fare quelle che di conclusioni naturali, necessarie ed eterne, si possono addurre: e io non dubito che co '1 progresso del tempo si abbia a perfezionar questa nuova scienza, con altre nuove osservazioni, e più con vere e necessarie dimostrazioni. Né per ciò deve diminuirsi la gloria del primo osservatore.

Galileo continua ad illustrare altre proprietà magnetiche e fenomeni sostenendo, tra l'altro, che:

SALV. Nell'investigar le ragioni delle conclusioni a noi ignote, bisogna aver ventura d'indirizzar da principio il discorso verso la strada del vero; per la quale quando altri si incammina, agevolmente accade che s'incontrino altre ed altre proposizioni conosciute per vere, o per discorsi o per esperienze, dalla certezza delle quali la verità della nostra acquisti forza ed evidenza, come appunto è accaduto a me del presente problema

Alle argomentazioni di Galileo, Simplicio risponde:

SIMP. Parmi veramente che il Sig. Salviati con bel circuito di parole abbia sì chiaramente spiegata la causa di quest' effetto, che qualsivoglia mediocre ingegno, ancorché non scienziato, ne potrebbe restar capace: ma noi, contenendoci dentro a' termini dell' arte, riduchiamo la causa di questi e simili altri effetti naturali alla simpatia, che è certa convenienza e scambievole appetito che nasce tra le cose che sono tra di loro simiglianti di qualità; sì come, all'incontro, quell'odio e inimicizia per la quale altre cose naturalmente si fuggono e si hanno in orrore, noi addimandiamo antipatia.

E qui interviene Sagredo con pesante ironia, dopo aver ascoltato parole come simpatia ed antipatia che sono bandite dal vocabolario scientifico di Salviati-Galileo:

SAGR. E così con questi due nomi si vengono a render ragioni di un numero grande di accidenti ed effetti, che noi veggiamo, non senza maraviglia, prodursi in natura. Ma questo modo di filosofare mi par che abbia gran simpatia con certa maniera di dipignere che aveva un amico mio, il quale sopra la tela scriveva con gesso : «Qui vo­glio che sia il fonte, con Diana e sue ninfe; qua, alcuni levrieri: in questo canto voglio che sia un cacciatore, con testa di cervio; il resto, campagna, bosco e collinette»; il rimanente poi lasciava con colori figurare al pittore: e così si persuadeva d' avere egli stesso dipinto so il caso d'Atteone, non ci avendo messo di suo altro

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che i nomi.

A parte altre piccole cose, che non investiga, e ad altre di chiaro sapore tecnico (quanto riesce a sollevare un magnete e come realizzare un magnete che abbia maggiore potenza), Galileo termina qui. Ma il fatto che egli avesse una grande fama rese le questioni poste da Gilbert al centro delle future ricerche con il suo metodo di sensate esperienze e dimostrazioni supportate da matematica e geometria.

RENÉ DESCARTES

Sarà Descartes che, in nome del razionalismo, riporterà le cose in un ambito puramente descrittivo, addirittura rifacendosi ai 4 elementi di Aristotele.

René Descartes

Ma prima è utile ripassare brevissimamente la concezione del mondo di Descartes.

La concezione cartesiana del mondo cerca di dare una ragione più compiuta al sistema copernicano per inserirlo in una visione più generale di cui esso stesso risultasse conseguenza. Egli cominciò con il considerare un solo corpuscolo infinitesimo nel vuoto e quindi come il moto di questo primitivo corpuscolo fosse modificato da un secondo corpuscolo (nel far questo Descartes introduce la conservazione della quantità di moto, in forma non del tutto corretta poiché al pensatore francese mancava il concetto di massa, ed il principio d'inerzia, ricavato però da ragioni metafisiche; "Dio è immutabile e, agendo sempre allo stesso modo, produce sempre lo stesso effetto"). In modo induttivo Descartes aggiunse via via altri corpuscoli che si urtavano indefinitamente tra loro. Egli riteneva che le variazioni sensibili del nostro universo fossero originate proprio da questi urti innumerevoli; sono proprio gli scambi di quantità di moto che rendono conto delle diverse azioni meccaniche tra i corpi. Conseguenza di ciò è 1'impossibilità di azione a distanza: ogni azione di un corpo su di un altro avviene per contatto. Nel nostro universo è quindi impossibile l'esistenza di vuoto (e quindi di atomi). Nell'universo cartesiano c'è il tutto pieno eternamente in moto: un primo corpuscolo ne spinge un secondo che, a sua volta, ne spinge un terzo e cosi via finché l'ultimo corpuscolo spinto va a spingere il primo che avevamo preso in considerazione. Ne consegue una struttura a vortici che è alla base dell'intero universo. Ed anche laddove non vi è materia

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sensibile vi è 1'etere, elemento sottile che riempie di sé tutto lo spazio risultando intimamente mescolato con tutte le sostanze. È proprio un gigantesco vertice di etere quello che pone in circolazione i pianeti intorno al Sole.

I vortici di Descartes. Quello che al centro ha una S è il sistema solare. La linea che s'intrufola tra i vortici è la traiettoria di una cometa (da: Il mondo. L'uomo)

I motivi che portarono Descartes a teorizzare un tutto pieno erano molteplici, di natura filosofica e tali da coinvolgere la sua concezione di materia e spazio. Il vuoto è inammissibile principalmente perché sarebbe una contraddizione completa, un nulla esistente. Lo spazio per conseguenza non può essere un'entità distinta dalla materia che lo riempie. Spazio e materia non sono altro che la medesima cosa.

E veniamo alla concezione magnetica di Descartes. Riporto alcuni passi di Descartes dai suoi Principia Philosophiae del 1644 (Amsterdam). Al paragrafo 133 della parte IV, Descartes inizia con il definire un magnete e la cosa è d'interesse perché la fantasia davvero va per conto suo, costruendo mondi fantastici ritornando, come già accennato, alla teoria aristotelica dei quattro elementi, ormai completamente superata da tutti coloro che si definivano copernicani, come lo stesso Descartes)(11):

133- Spiegazione della natura del magnete

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Fin qui ho cercato di spiegare la natura e tutte le principali (proprietà) dell'aria, dell'acqua, delle terre, e del fuoco, (poiché sono i corpi che si trovano più generalmente ovunque) in questa regione (sublunare) che abitiamo, e che sono chiamati i suoi quattro elementi; ma c'è ancora un altro corpo, ossia il magnete, (che si può dire abbia un'estensione maggiore di uno qualsiasi di quei quattro, poiché anche tutta la massa della Terra è un magnete, e non potremmo andare in) nessun luogo dove non se ne noti la virtù. Per questo, desiderando non dimenticare nulla di ciò che c'è di più generale in questa Terra, c'è bisogno ora che io lo spieghi.

Nella Terra, a conseguenza dei vortici con differenti velocità, vi sarebbero dei canali striati (le parti scanalate del primo elemento) in forma elicoidale (a chiocciola). Debbo osservare che questa è la semplificazione di un lunghissimo discorso in gran parte incomprensibile. Ma segue Descartes:

pensiamo che ci siano nella regione media [della Terra] diversi pori (o piccoli condotti) paralleli al suo asse, attraverso i quali le parti scanalate passino liberamente da un polo verso l'altro; e che quei condotti siano in tal modo incavati e adattati alla figura di quelle parti scanalate, che quelli che ricevono le parti provenienti dal polo australe, non potrebbero ricevere quelle provenienti dal polo boreale, e che, reciprocamente, i condotti che ricevono le parti provenienti dal polo settentrionale, non siano adatti a ricevere quelle provenienti dal polo australe, poiché sono girate a vite le une all'inverso delle altre. (Pensiamo anche che) quelle parti scanalate possano bene entrare per un lato nei pori (adatti a riceverle), ma che non possano ritornare dall'altro lato (degli stessi pori), poiché vi sono (dei piccoli peli o) dei rametti sottilissimi, che nelle pieghe di quei condotti sporgono in maniera tale, da non impedire per nulla il corso delle parti scanalate, quando vi vengono dal lato per cui sono solite entrare, ma che si voltano dall'altra parte e raddrizzano (un po' le loro estremità, quando quelle parti scanalate si presentano per entrarvi dall'altro lato, e) così ostruiscono loro (il passaggio...). Per questo, dopo che hanno attraversato tutta la Terra da una (metà) all'altra, seguendo linee parallele al suo asse, ce ne sono molte che ritornano, attraverso (l'aria) circostante, verso la stessa (metà) di dove erano entrate, e passando così (reciprocamente dalla terra nell'aria, e dall'aria nella terra), ci compongono una specie di vortice ....

Non proseguo anche se Descartes riempie di questa prosa un centinaio di pagine. Quanto riportato mi serviva per dare un'idea della concezione magnetica del nostro. Egli pensa i magneti come solcati da scanalature attraverso le quali passa un flusso di particelle sottilissime che si avvitano in esse (le particelle, in origine, sarebbero state scagliate dal Sole lungo il piano equatoriale dove la forza centrifuga è più intensa). Le particelle, fuoriuscite dal magnete ed entrate nell'aria, ritornano al magnete proprio a causa del loro moto a vortice. Quando queste particelle che fuoriescono dal magnete a forma di cavatappi incontrano un pezzo di ferro penetrano nei suoi pori come appunto dei cavatappi che lo attirano al magnete. Ma, se avete avuto la forza di leggere il brano riportato, vi sarete accorti che le scanalature nei canali possono essere sinistrorse o destrorse. Questa eventualità serve a dar conto di attrazione o repulsioni tra magneti (per medesimi

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La Terra-magnete come teorizzata da Descartes. I poli sono situati in corrispondenza delle lettere A (polo australe) e B (polo boreale).

avvitamenti si ha attrazione, altrimenti repulsione). Con questo apparato, lo stesso Descartes ci fornisce il disegno del magnete-Terra che viene descritta nel paragrafo 146 (le piccole sfere I, K, L, M, disegnate intorno alla Terra, stanno per spiegare la diversa inclinazione che subiscono gli aghi magnetici sotto l'azione del magnete Terra, un qualcosa di analogo alle figure che ci aveva fornito Gilbert).

A Descartes si ispirò Padre Grimaldi (1618-1663) che nel suo De lumine (1665) dedicò una trentina di pagine al fenomeno magnetico. La novità rispetto a

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Padre Grimaldi

Descartes è l'ammissione di un fluido magnetico unico, in luogo dei due individuati dalla diversa rotazione dei "cavatappi", e l'assenza di ipotesi sulle presunte particelle che costituirebbero il fluido.

Newton, per parte sua, dedicherà poco spazio al magnetismo e lo farà nella Query n° 22 della sua Optics del 1704. La cosa è insignificante e gli serve per illustrare l'estrema rarefazione del presunto etere. Poche parole ma significative le troviamo invece nei Principia (1687) dove Newton afferma (Libro III, Proposizione VI, Teorema VI, Corollario 5, pag 629):

La forza di gravità è di genere diverso dalla forza magnetica. Infatti l'attrazione magnetica non sta come la quantità di materia attratta. Alcuni corpi sono attratti di più, altri di meno, moltissimi non sono attratti. E la forza magnetica di un medesimo corpo può essere aumentata e diminuita, e talvolta, in relazione alla quantità di materia, è molto più grande della forza di gravità, e nell'allontanarsi dalla calamita decresce non nella proporzione del quadrato dalla distanza, ma quasi nella proporzione del cubo, come potei accorgermi da certe grossolane osservazioni.

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Newton in un ritratto del 1702

Altri contributi vennero da alcuni gesuiti come Nicolò Cabeo (1586-1650),

Frontespizio della Philosophia Magnetica (1629) di N. Cabeo

Athanasious Kircher (1602-1680; un personaggio davvero invasato e dedito allo studio di ogni magia) un personaggio e Vincentius Léotaud. Questi personaggi,

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Athanasious Kircher

mentre sembravano muoversi sulle orme di Gilbert, si preoccupavano di riportare ogni cosa alla spiegazione aristotelica contestando sul presunto piano delle esperienze lo stesso Gilbert (il Collegio Romano a Roma, quello che contribuì grandemente alla condanna di Galileo, era maestro di tali comportamenti dei gesuiti).

Cabeo, nella sua Philosophia Magnetica (1629), tenta di smontare l'edea di fondo di Gilbert,quella che vuole essere la Terra un gigantesco magnete partendo dalla negazione di una qualche identità tra terrella e Terra. Secondo Cabeo anche i ferri (come i cardini delle porte) disposti verticalmente rispetto al meridiano terrestre si magnetizzano con il sud verso l'alto ed il nord verso il basso. Nel tentativo di screditare Cabeo trova una cosa d'interesse che però non può ancora capire: non è vero che l'ambra attiri soltanto dei minuscoli corpiccioli infatti, se sistemiamo un pezzo d'ambra strofinato vicino a della segatura, prima questo attira i pezzettini di segatura ma, dopo un poco, questi ultimi schizzano via con un chiaro effetto repulsivo dell'ambra (fenomeno che oggi sappiamo spiegare con il fenomeno dell'elettrizzazione per contatto e che si sperimenta agilmente con una bacchetta di plastica strofinata ed una pallina di sambuco sospesa ad un filino di nylon).

Una disposizione positiva rispetto ai lavori di Gilbert fu di Padre Benedetto Castelli (1577-1643), l'allievo ed amico di Galileo, che scrisse un Discorso sulla calamita che purtroppo rimase inedito fino al 1883. Egli prese le mosse dalla oggi

Benedetto Castelli

nota esperienza dello spettro magnetico che si ottiene disponendo della limatura di ferro su di un foglio di carta sotto il quale è disposto un magnete. Castelli dispose, anziché limatura di ferro, limatura di un magnete. Da questa esperienza egli costruì una teoria che in pratica prevede che il magnete sia costituito da tanti magneti elementari (come diremmo oggi) che in origine sono disordinati ed in particolari condizioni si orientano tutti in un unico verso dando l'effetto magnetico (si confrontino queste ipotesi teoriche, che possano essere assimilate addirittura all'ipotesi di Ampère sul magnetismo, con le contemporanee teorie di Ewing e di Weiss).

PARTE 2: DA GRAY A FRANKLIN

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FISICA/MENTE

LA SCIENZA ELETTRICA NEL SETTECENTO: GRAY E DU FAY

Il Settecento è un secolo spesso definito di transizione. Secolo nel quale si deve digerire la grandezza dell'opera di Newton, si devono fare i conti con il metodo sperimentale che Galileo aveva inaugurato e si devono sistematizzare la gran mole di fenomeni provenienti dai più diversi campi di ricerca che continuavano ad accumularsi.

Tutto ciò deve avvenire con strappi molto forti rispetto alle spiegazioni ingenue, all'animismo, alla magia, ai fluidi misteriosi (che costerà molto cacciare via dalla spiegazione scientifica se ancora nel 1905 Einstein deve vedersela con l'etere). Diceva Hooke agli inizi del secolo che i filosofi naturali si contentano di qualcosa che possa divertirli e preferiscono costruirsi belle concezioni e storie immaginate piuttosto che sforzarsi di cercare più oltre con nuove esperienze e ricerche e ragionamenti precisi. E, relativamente all'elettricità e magnetismo, mancava proprio l'accrescimento della fenomenologia che veniva anche come conseguenza della mancanza di strumenti adeguati e ad amplificare i fenomei e a misurarli.

A fronte delle molte difficoltà vi era almeno una cosa che aiutava lo sviluppo della scienza elettrica e magnetica. L'esplosione della meccanica, con Newton, aveva creato una sorta di paralisi in ricerche ulteriori nella ricerche che erano state oggetto dello stesso Newton. Sembrava fosse impossibile andare al di là di quanto egli aveva fatto. Ma in quei campi, come l'elettricità ed il magnetismo, campi nei quali Newton non aveva lavorato, sarebbe stato possibile iniziare ad indagare con metodo e via via applicando i metodi della matematica che, come abbiamo visto, ancora tardavano.

Una scoperta di rilievo, che andava nel senso di quegli strumenti che esaltano i fenomeni, fu quella dello scienziato tedesco Otto von Guericke (1602-1686) che, nel 1660, realizzò la prima macchina elettrostatica, una macchina in grado cioè di produrre elettricità statica (non in movimento ma localizzata nel luogo dove la si genera) in quantità importanti (Ottone De Guericke, Experimenta nova, Mastelodami, apud J. Janssonnium, Waesbergee, 1672). Abbiamo fino ad ora visto che l'elettricità statica si produce mediante strofinio di un panno, una pelle, un qualcosa su dei materiali in grado di partecipare al fenomeno (non tutti infatti sono in grado di presentare il fenomeno dell'elettrizzazione per strofinio). Guericke esaltò il fenomeno con una macchina

Otto von Guericke

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che produceva grandi quantità di elettricità statica. La figura seguente riporta la macchina elettrostatica per strofinio di Guericke. Si tratta di una grande sfera di

Macchina elettrostatica a strofinio di Gueriche (la sfera di zolfo è quella a destra)

zolfo grande come la testa di un bambino (magnitudine ut caput infantis) che viene fatta ruotare su di un asse di legno che la attraversa. Mentre la sfera ruota viene elettrizzata mediante lo strofinio di una foglia di palma sufficientemente essiccata (palma satis sicca). Da un certo punto, con l'accortezza di mantenere sempre l'insieme assolutamente asciutto (è una delle difficoltà dell'elettrostatica le cui esperienze che funzionano in un luogo, non lo fanno in un altro), si osserva il crepitio e la luminescenza che accompagnano l’elettrizzazione del globo. Guericke chiamò il fenomeno fuoco elettrico. Altro fatto di grande interesse che Guericke mostrò è la possibilità di tale fenomeno di essere trasportato ad una certa (breve) distanza mediante dei fili di lino:

Questo globo di solfo, eccitato prima con la frizione, può esercitare la sua virtù anche attraverso un filo di lino lungo un'ulna o anche più e all'estremità attrarre ancora qualcosa.

Fatto il primo passo si iniziarono a costruire macchine elettriche sempre più sofisticate. Il primo che seguì Guericke fu l'inglese Francis Hauksbee (1660-1713) che sostituì alla sfera di zolfo un globo di vetro, come descritto nella sua

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La macchina elettrostatica di Hauksbee

Physico-Mechanical Experiments on Various Subjects. Containing an Account of Several Surprising Phenomena Touching Light and Electricity del 1706 (si osservi che tale opera fu anche tradotta in italiano a Firenze nel 1716: Esperienze fisico meccaniche sopra vari soggetti ...). In tal modo gli effetti della macchina si

Frontespizio dell'opera di Hauksbee tradotta in italiano

resero molto più evidenti. Con questa sua macchina egli rifece esperienze già note, riportandole all'attenzione dopo molti anni di obsolescenza ed osservò che avvicinando al viso al globo o altro corpo da questo elettrizzato, si avverte come un soffio (vento o soffio elettrico):

[Un tubo di vetro strofinato fortemente] applicato vicino al viso o ad alcun'altra tenera parte, poteva essere sensibilmente sentito, come se la parte fosse sollecitata con le punte di un considerevole numero di deboli peli (Hauksbee,

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The Philosophical Transactions of the Royal Society of London, Vol. V, pag. 329)(12).

Dovevano comunque passare altri 20 anni prima che emergessero novità di rilievo ad opera di Stephen Gray (1666-1736) in Inghilterra e Charles François de Cisternay Du Fay (1698-1739) in Francia che riuscirono a mettere un poco d'ordine in quella scienza emergente facendone intravedere le prospettive per il futuro.

Il punto di partenza delle ricerche di Gray fu un episodio casuale accadutogli mentre faceva esperimenti di trasmissione dell'elettricità statica così come aveva realizzato per brevissime distanze Hauksbee (si osservi che questi furono i primi passi sulla strada della realizzazione del telegrafo elettrico). Egli utilizzava una corda, lunga più di 700 piedi, sospesa con sottili cordicelle di seta o con dei sostegni isolanti come mostrato nella figura seguente. Durante tale operazione una cordicella si ruppe e Gray lo sostituì con un filo sottile di ottone. La trasmissione di elettricità si interrompeva alla posizione del filo di ottone, mostrando che l’isolamento dipendeva dal fatto che i fili erano di seta e non che erano sottili. Scrive Gray:

Quando la linea che trasportava la virtù elettrica era sostenuta da fili metallici l'effluvio arrivava ai fili di sospensione, passava attraverso questi fili alle travi e così non andava oltre lungo la linea che doveva condurlo alla palla d'avorio.

Nella figura vi è l'apparato utilizzato da Gray: dal lato A vi è la macchina elettrostatica che trasferisce i segnali elettrici lungo la corda, sospesa da cordicelle isolanti tirate su dei travi di legno C e D, fino a B. In B vi è una sfera d'avorio sospesa a poca distanza da dei pezzettini di paglia. La sfera attira la paglia finché tra C e D vi è una cordicella isolante. Se questa cordicella viene sostituita con un filo d'ottone si interrompe il flusso di virtù elettrica che arrivava alla sfera d'avorio che smette di attrarre la paglia. Da queste e varie altre esperienze Gray

L'apparato sperimentale di Gray

capì che vi erano materiali in grado di trasportare la virtù elettrica o il fluido elettrico o l'elettricità (tali materiali furono chiamati da J. T. Desaguliers nel 1739 non elettrici o conduttori) ed altri che invece lo mantenevano localizzato là dove era stato originato (non conduttori o isolanti)(13). Nel 1732 Gray comunicò alla Royal Society che nel 1729 aveva realizzato le esperienze suddette come aveva comunicato a due membri della stessa società(Cromwell e Mortimer, come documentato dalla memoria di Gray "Two letters from Gray to Mortimer, containing a farther account of his experiments concerning electricity", in Philosophical Transactions of the Royal Society 37,

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La memoria di Gray alla Royal Society

1731 - 32) i suoi risultati e cioè che la "virtù elettrica" di un tubo di vetro strofinato da una macchina elettrostatica, poteva essere trasmessa ad altri corpi, sia per contatto diretto, sia collegando il corpo carico con un altro scarico mediante un filo metallico.

Altre cose fece Gray che occorre citare non tanto per il valore che hanno, quanto perché concentrarono sull'elettricità molto interesse in tutti i salotti aristocratici del Settecento. Egli riuscì ad elettrizzare delle persone mantenute sollevate per aria come mostrato nelle figure che seguono.

Una ragazza, sospesa su un seggiolino, viene elettrizzata con una macchina elettrostatica

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Un giovanetto, sospeso con una corda, viene elettrizzato attraverso i piedi e, con la mano, è in grado di attrarre piccoli pezzetti di carta

Il giovanetto di figura precedente,, sospeso con una corda, dopo essere stato elettrizzato attraverso i piedi, disponendo nella mano di barrette di vetro, produce differenti fenomeni elettrici

Ultima importante scoperta di Gray è quella che per elettrizzare un corpo non è necessario strofinarlo ma è possibile ottenere la cosa mediante l'avvicinamento al corpo da elettrizzare di un corpo elettrizzato (elettrizzazione per induzione o per influsso):

Data una massa di piombo sospesa al soffitto per una cordicella, quando un tubo di vetro strofinato veniva avvicinato dal basso alla corda ma senza toccarla, la massa di piombo attraeva, poi respingeva della limatura di ottone. Così la virtù elettrica può essere trasportata senza contatto dal tubo alla corda di comunicazione.

Il francese Charles Francois de Cisternay Du Fay, venuto a conoscenza dei lavori di Gray, si mise a studiarli a ripeterli e a realizzarne di nuovi. I risultati delle

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Charles Francois de Cisternay Du Fay

sue ricerche furono pubblicati nel 1733 sulle Philosophical Transactions con il titolo A Discourse concerning Electricity e in Memoires de l’Académie Royale des Sciences, Paris 1733, pag 464. I suoi lavori spiegarono molti dei fenomeni

Il passo della memoria di Du Fay in cui si parla dell'esistenza di due tipi di elettricità

che erano stati scoperti e relativi all'elettricità e chiarirono alcuni fatti importanti:

- Tutti i corpi si possono elettrizzare scaldandoli e strofinandoli (eccetto i metalli, i liquidi ed i corpi blandi)

- Tutti i corpi, compresi i metalli ed i liquidi, possono essere caricati per induzione

- Il vetro è un isolante buono come la seta

- I fili conducono meglio se sono umidi

- Ci sono due tipi di elettricità, la resinosa (quella che successivamente sarà indicata con il segno -) e la vetrosa (che sarà indicata con il segno +)

- I corpi elettrizzati di elettricità vetrosa attraggono corpi elettrizzati con elettricità resinosa e respingono gli altri corpi elettrizzati con elettricità vetrosa (e ciò dice in breve che corpi elettrizzati dello stesso segno si respingono e corpi elettrizzati di segno opposto si attraggono).

Seguiamo la storia della scoperta delle due elettricità. Egli aveva dedotto dalla discussione di tutte le esperienze conosciute un'ipotesi su cui lavorare:

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Ho immaginato che il corpo elettrico attirasse forse tutti quelli che non lo sono e respingesse tutti quelli che lo sono divenuti per la sua vicinanza e per la trasmissione della sua virtù. Ma allora ciò che mi disorientò in maniera straordinaria fu la seguente esperienza: dopo aver fatto sollevare nell'aria una foglia d'oro per mezzo del tubo (di vetro elettrizzato che la respingeva dopo averla attratta e la faceva ondeggiare nell'aria), avvicinai un pezzo di gomma coppale strofinato e reso elettrico; la foglia venne ad attaccarvisi immediatamente. Confesso che mi aspettavo un risultato del tutto opposto perché, secondo il mio ragionamento, il coppale, che era elettrico, doveva respingere la foglia che lo era essa pure. Lo stesso risultato con l'ambra e la cera di Spagna. Ma poi avvicinai alla foglia respinta dal tubo un globo di cristallo di rocca strofinato e reso elettrico: esso respinse quella foglia in maniera analoga al tubo (di vetro)... Infine non potei dubitare che il vetro e il cristallo di rocca non fossero esattamente il contrario della gomma coppale, dell'ambra e della cera di Spagna di modo che la foglia respinta dagli uni a causa dell'elettricità che essa aveva, era attratta dagli altri; ciò mi fece pensare che vi erano forse due tipi diversi di elettricità ...

A questo punto Du Fay pensa ed esegue una serie di esperienze per confermare o falsificare la sua ipotesi.

Ecco dunque costantemente due elettricità di natura completamente diversa, cioè quella dei corpi trasparenti e solidi come il vetro, il cristallo, ecc., e quella dei corpi bitumosi o resinosi, come l'ambra, la gomma coppale, la cera di Spagna, ecc. Gli uni e gli altri respin­gono i corpi che hanno acquistato un'elettricità della stessa natura della loro e attraggono invece quelli la cui elettricità è di natura diversa... I corpi che attualmente non sono elettrici possono acquisire (se sono isolati) ciascuna di queste due elettricità e allora i loro effetti sono simili a quelli dei corpi che gliel'hanno trasmessa... Ecco dunque due elettricità ben dimostrate... Chiamerò l'una elettricità resinosa, l'altra elettricità vitrea.

Du Fay prende anche in considerazione l'esistenza di altri tipi di elettricità ma presto respinge questa ipotesi come improbabile concludendo:

Che cosa non dobbiamo attenderci da un campo così vasto che si apre alla fisica; e quante esperienze singolari può esso fornirci che ci riveleranno forse nuove proprietà della materia?

(Storia dell'Accademia Reale delle Scienze, 1733).

Per realizzare le misure che gli erano necessarie, Du Fay aveva realizzato degli strumenti come perfezionamento del versorium di Gilbert. Si trattava di di elettrometri a palline di sambuco, a foglie d'oro pendenti e a fili

Si vedranno i due capi che pendono liberamente allontanarsi l'uno dall'altro con maggiore forza e formare un angolo più o meno grande ... e ciò farà conoscere in maniera certissima il grado di forza dell'elettricità.

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Elettrometro a palline di sambuco

Elettrometro a foglie d'oro pendenti

Tali strumenti vennero successivamente perfezionati in elettroscopi, elettrometri, bilance di torsione, ...

Elettroscopio a foglie d'oro Elettrometro Bilancia di torsione

Dopo queste brillanti considerazioni ed esperienze, anche Du Fay tenta una spiegazione la quale ci riporta al nulla delle spiegazioni cartesiane, non dissimili dalle qualità occulte aristoteliche, mediante vortici. Secondo du Fay, strofinare un corpo per elettrizzarlo vuol dire creargli intorno un vortice. Due corpi elettrizzati allo stesso modo avranno vortici che ruotano nello stesso verso e, come tali, si devono respingere. Se due corpi sono elttrizzati in modo diverso, i vortici ruoteranno in verso opposto e potranno così attrarsi. Se un corpo neutro entra nel vortice di un corpo elettrizzato è aspirato da esso fino ad arrivare a contatto con la superficie del corpo. Questo contatto lo elettrizza e quindi gli crea un vortice intorno dello stesso tipo del corpo che ha elettrizzato con la conseguenza che si ha repulsione.

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Allo stesso modo il divulgatore (Leçons de Physique Expérimentale, 1771) abate Jean Antoine Nollet (1700-1770). Egli riprese la teoria dei due fluidi di Du

L'abate Nollet

Fay che espose nelle Lettres sur l'électricité pubblicate nel 1753, in contrapposizione a quella elaborata nel 1747 dallo statunitense Benjamin Franklin. Quando passò a spiegare questi fenomeni, in accordo con la materia ed il moto

Una delle esperienze spettacolari di Nollet: una dama carica di elettricità (per contatto con la macchina elettrostatica) sta per trasmettere la scossa al suo spasimante sospeso (isolato) da terra.

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La macchina elettrica a sfera di vetro utilizzata da Nollet

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Esperimenti elettrici proposti nei testi di Nollet

che Descartes prevedeva per la spiegazione di ogni fenomeno, riteneva che l’elettricità fosse dovuta all’azione di una materia fluida in movimento, simile alla materia del fuoco e della luce (Essai sur l'électricité des corps, 1746). Con Bonera(14),

"quando si strofina un corpo elettrico si mette in movimento il fluido che è nel suo interno. Questo allora esce per piccoli fori abbastanza distanti tra loro, divergendo subito dopo l’uscita (materia effluente). La materia effluente, uscendo dal corpo richiama altra materia simile dai corpi vicini (materia affluente) che entra nel corpo attraverso fori distinti più numerosi di quelli dai quali esce la materia effluente. Dovendo mantenersi costante la quantità di fluido elettrico presente nei corpi, la velocità della materia effluente è maggiore di quella affluente, la quale tuttavia è presente nello spazio circostante il corpo elettrizzato con un maggior numero di raggi, in modo che un corpuscolo ha più probabilità di essere attratto che respinto dai flussi della materia elettrica".

A poco a poco, come visto e vedremo, gli apparecchi per produrre l'elettricità si perfezionarono, senza che le conoscenze sui fenomeni in gioco progredissero in modo significativo. Servivano dei passi avanti concettuali che faticosamente si sarebbero fatti. Intanto passarono altri anni proprio a perfezionare gli apparati di cui si disponeva fino ad arrivare al 1745 quando si aprirono importanti vie di comprensione mediante decisive scoperte.

MACCHINE ELETTRICHE E BOTTIGLIA DI LEYDA

Le macchine elettriche di Guericke ed Hauksbee avevano rappresentato un grande passo in avanti ma erano ancora poca cosa, come poca cosa erano i tubi di vetro strofinati di Gray ed i bastoni di vetro di Du Fay.

Tra il 1743 ed il 1745 vari lavori, soprattutto in Germania, perfezionarono la macchina elettrica(15) per renderla più funzionale alla ricerca. Successivi miglioramenti vennero da: Georg Mattias Bose (1710-1761), nel 1744, che faceva ruotare una sfera di vetro (per mezzo di una trasmissione mediante un cavo con una grande ruota di legno) che veniva strofinata prima dalla mano dell'operatore con i piedi a terra, quindi con un cuscinetto di cuoio (è da notare che Bose fece esperienze per provare che i corpi elettrizzati non variano di peso); quindi dal benedettino Andreas Gordon (1712-1751) che sostituì la sfera con un tubo di vetro; ancora ad opera di Johann Heinrich Winkler (1703-1770), sempre nel 1744 (adottò per primo come strofinatore un cuscino di crini coperto di seta e quindi dei

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Particolare della macchina di J.H.Winkler del 1744: a sinistra la sfera, ruotando, si elettrizza sfregando sui cuscinetti di cuoio (la trasmissione del moto è la stessa che nelle macchine di Bose e Gordon)

cuscinetti di sfregamento in cuoio che aumentarono di molto l'efficienza della macchina) (16). Winkler fece anche delle osservazioni di estremo interesse. Nel 1746 scriveva:

Pare adunque che la scintilla elettrica, destata artificialmente, secondo materia, l’essenza e le apparenze, sia della stessa natura del baleno dei lampi e del tuono, la differenza sta solo nella potenza o nella debolezza delle loro azioni.

(J.H. Winkler, Die Stärke der elektrischen Kraft des Wassers in gläsernen Gefäßen, welche durch den Musschenbroek’schen Versuch bekannt geworden. Breitkopf, Leipzig 1746).

e, come vedremo, la cosa sarà sviluppata e compresa da Franklin.

Un'altra fondamentale scoperta doveva aggiungersi ai successivi perfezionamenti delle macchine elettrostatiche, quella della bottiglia di Leida. Sia Gray che Du Fay avevano mostrato che era possibile elettrizzare l'acqua purché fosse sistemata in una ciotolina isolante. Il fatto che tale elettricità venisse perduta con il tempo veniva attribuito all'evaporazione di fluido elettrico. Ma, avevano pensato, se chiudiamo l'acqua in una bottiglia, non potrà più esservi evaporazione. La cosa, rimasta qui, venne ripresa in modo del tutto indipendente dal tedesco Ewald Jürgen von Kleist (1700-1748)(17), un pastore protestante e dilettante, nel 1745 e dall'olandese Pieter van Musschenbroek (1692-1761), professore di fisica ed astronomo a Leida, nel 1746. Quest'ultimo sembra abbia

Pieter van Musschenbroek

conosciuto Newton e certamente a lui si deve il merito di aver diffuso nel continente europeo,

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il newtonianismo contro il dominante cartesianesimo, e il metodo sperimentale nell'insegnamento della fisica. In una lettera della fine del 1745 indirizzata al fisico R. A. de Réaumur, a Parigi, Musschenbroek racconta un episodio che è alla base della realizzazione dell'apparato che prende il nome di bottiglia di Leida (questo nome fu successivamente dato dall'Abate Nollet). Egli studiava, con i suoi assistenti Allmand e Cunaeus, l'elettrizzazione dell'acqua tenendo in mano una bottiglia parzialmente riempita nella quale era immersa un'asticciola d'ottone collegata a una macchina elettrostatica in funzione. Ad un certo punto occorreva terminare tale collegamento e, per farlo, egli prese in mano l'asticciola. Nel far ciò ricevette una scossa elettrica così violenta che la bottiglia cadde a terra in frantumi con un grande spavento da parte dello stesso Musschenbroek(18). Con l'intensità di tale scarica i giochi mondani, particolarmente quelli di Nollet, ebbero nuova linfa: fece sentire la scossa dopo una catena di diversi frati che si tenevano per mano; uccise vari uccellini avvertendo il pubblico che occorreva avere prudenza per non fare irritare la nuova entità. Altri, ciarlatani, iniziarono a curare la gente, che crede sempre a queste novità salvifiche, mediante le scariche elettriche(19).

Musschenbroek elettrizza l'acqua di una bottiglia

L'apparato, già l'anno successivo, veniva migliorato. In luogo dell'acqua, nella bottiglia si sistemò un foglio di stagnola o piombo aderente al vetro della superficie interna (fin quasi al collo) e del fondo. Su questo fondo fa contatto una

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catenella metallica collegata ad un'asta che passa attraverso il tappo di sughero che tappa la bottiglia. L'apparato veniva poi rivestito anche all'esterno di stagnola o

piombo, fino alla stessa altezza del rivestimento interno. Le superfici metalliche

interna ed esterna sono le armature dello strumento mentre il vetro fa da isolante (si trattava del primo condensatore).

Naturalmente le analogie con la capacità di una bottiglia proseguirono e si capì che più bottiglie hanno maggiore capacità di una. Si collegarono quindi più bottiglie di Leida (oggi diremmo in serie) tra loro e si ottennero sistemi in grado di immagazzinare più elettricità.

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Serie di bottiglie di Leida

Le migliorie nascevano da successive osservazioni sperimentali fatte nelle realizzazioni di bottiglie in differenti laboratori.Così nel 1746 fu Benjamin Wilson (1721-1788) a far notare (An essay towards an explication of the Phaenomena of electricity, deduced from the aether of Sir Isaac Newton contained in three papers which were read before the Royal Society) che:

l'accumularsi della materia elettrica nella bottiglia è sempre in proporzione alla sottigliezza del vetro ed alla superficie dei corpi non elettrici (conduttori) in contatto con le superfici interne ed esterne.

Si cominciava a capire qualcosa ma sempre in modo empirico, cambiando questo arrangiamento, sostituendo questo con quello, allungando, stringendo, ... Non vi erano ancora teorie in grado di fornire una qualche spiegazione. E, proprio continuando in tal modo, si capirono e realizzarono varie cose oltre al fatto che era possibile avere lo stesso effetto di una bottiglia con una geometria differente.

L. G. Le Monnier nel 1746, proprio per evitare quei fastidiosi effetti fisiologici delle scariche elettriche, realizzò uno scaricatore (al quale negli anni ne seguirono di più perfezionati) del tipo mostrato in figura. E' un semplice apparato

Scaricatore

costituito da una specie di compasso (per variare la distanza a cui applicarlo)conduttore sostenuto da due manici isolanti. Con questo elementare strumento Le Monnier si dedicò allo studio della scarica elettrica (una corrente elettrica transitoria) fino ad arrivare ad un tentativo di misura della sua velocità. L'impresa era all'epoca impossibile ma Le Monnier non lo sapeva. Riuscì qualitativamente a dire che tale velocità era certamente superiore a 30 volte quella del suono.

Egli trovò altra cosa di interesse e cioè che

l'elettricità si comunica nei corpi della stessa specie in ragione della loro superficie piuttosto che della loro massa.

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Mettendo insieme le cognizioni che si avevano si riuscirono via via a costruire degli strumenti tipo bottiglia di Leida (che da ora in breve chiamerò condensatori) sempre più efficienti. Tra di essi merita di essere ricordato quello a

Condensatore di Aepinus in un modellino ottocentesco

dischi piani e paralleli (tra i quali vi è un isolante) di Franz Maria Ulrich Theodor Aepinus (1724-1802) del 1759 (Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi) per il pregio che ebbe di sganciare l'accumulo di elettricità dalla presenza di una bottiglia (o bicchiere) fatto che era in accordo con la teoria di elettricità intesa come un fluido (seguirono poi condensatori cilindrici, sferici, ...).

Ulrich Theodor Aepinus

E' da notare che Aepinus fu il primo a tentare l'applicazione della matematica ai fenomeni elettrici e magnetici muovendo dall'ipotesi di elettricità costituita da un unico fluido come riteneva, e come vedremo, Franklin (il quale, per sua stessa ammissione, non amava la matematica, scienza nella quale non era mai andato lontano). Egli era anche un sostenitore dell'azione a distanza alla Newton ed allo stesso modo pensava si propagasse l'azione elettrica. L'azione doveva poi essere sempre alla Newton e senza bisogno di particolari effluvi, doveva cioè essere o attrattiva (carica di elettricità di diverso tipo) o repulsiva (medesimo tipo di carica di elettricità) con una forza proporzionale alla quantità di elettricità. Solo nel 1767 la legge dell'inverso del quadrato della distanza fu proposta da Priestley e più tardi da Cavendish (1771).

Restava aperta la questione della natura dell'elettricità ben riassunta dallo stesso Le Monnier che scrisse questa voce nell'Enciclopedie di D'Alembert e Diderot:

I pareri dei fisici sono divisi sulla causa dell'elettricità: tutti nondimeno convengono dell'esistenza di una materia elettrica più o meno ammassata attorno ai corpi elettrizzati e che produce con i suoi movimenti gli effetti elettrici

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di cui noi ci accorgiamo, ma essi spiegano ciascuno in maniera diversa le cause e le direzioni di questi diversi movimenti ... Poiché ancora non si conosce l'essenza della materia elettrica, è impossibile definirla altrimenti che con le sue principali proprietà.

Un primo passo avanti e nell'uso delle parole e nell'iniziare a spiegare fu fatto da Franklin che introdusse il concetto di carica elettrica. Ma le cose erano complesse e restavano appese a teorie poco confortate da esperienze, come quella dell'elettrone di Lorentz. I passi importanti furono comunque: la scoperta della Pila e di varie leggi che riguardavano l'elettricità, le misure di Coulomb che iniziarono a fornire dati quantitativi, i lavori di Ampère e Faraday, quello dello stesso Lorentz, la scoperta dell'elettone di J.J. Thompson.

BENJAMIN FRANKLIN

Personaggio davvero versatile, impegnato su più fronti di studio, lavoro e ricerca, mi piace ricordarlo innanzitutto come difensore dei diritti dell'uomo nel continente americano che iniziava il suo cammino verso la rivoluzione democratica in sintonia con la Rivoluzione Francese. E Franklin fu proprio ambasciatore in Francia durante la Rivoluzione (dal 1776 al 1785). Qui conobbe Linneo, Lavoisier, Buffon, ... assisté alla prima salita dei palloni aerostatici, a varie sedute dell'Académie, si entusiasmò alla scienza e divenne sostenitore della collaborazione tra i poli e della guerra come cosa pazzesca. Ma fu anche commerciante ed industriale della carta, fu giornalista e fondò il Saturday Evening Post (tuttora in attività), fu inventore e scienziato, oltre ad essere uomo politico impegnato nelle più nobili battaglie per i diritti civili e per la libertà. In ambito scientifico si occupò di ogni ramo del sapere e realizzò varie invenzioni. A chi gli proponeva brevetti, rifiutava con garbo affermando che noi usiamo abbondantemente delle cose fatte da altri, lasciamo che gli altri usino qualcosa fatta da noi.

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Benjamin Franklin

Franklin (1706-1790) fu uno dei primi scienziati americani(20) ed iniziò la sua attività, avanti negli anni, solo nel 1747, due anni dopo la scoperta della Bottiglia di Leida colpito, sembra, dall'analogia della scarica elettrica della bottiglia con quella dei fulmini. Da questo momento la ricerca diventò la sua principale occupazione anche se non abbandonò mai la passione per la libertà e la cultura. Proprio come messo del governo americano a Londra, riuscì a prendere contatti con la Royal Society, contatti che, insieme a quelli con l'Académie, gli saranno proficui negli anni.

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Ritratto di Franklin alle prese con i fulmini.

L'esperienza (probabilmente pensata e basta) di Franklin, con un aquilone dotato di una punta, per catturare fulmini

Delle analogie con i fulmini alle quali ho accennato, Franklin scrisse in una lettera del 1748 dopo aver messo insieme una batteria di bottiglie di Leida. C'è da osservare che correttamente Franklin aveva capito che le armature (fu lui a chiamarle in tal modo) di un condensatore hanno elettricità di due tipi differenti (per capire la cosa occorreva si chiarisse il concetto di induzione) ma che la scossa risiedeva nel vetro. Inoltre fu lo stesso Franklin a costruire il primo condensatore piano che chiamò quadro di Leida (Leyden's pane o Franklin's pane: un sostegno isolante h sorregge una lastra di vetro g coperta in gran parte da ambo i lati da stagnola - la parte oscura al centro. Per caricare il pane si collega la stagnola posta da un lato alla macchina elettrica e quella dall'altro lato a terra).

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Il condensatore di Franklin (Franklin's pane)

Infine a Franklin si deve molta della nomeclatura ancora in uso: batteria, conduttore, condensatore, carica, scarica elettrica, scarico, carica negativa, carica positiva ...

La batteria di bottiglie di Leida approntata da Franklin

Ma non era solo questa l'analogia che muoveva la curiosità di Franklin. Nella stessa lettera egli parla anche dell'analogia con la possibilità di incendiare sostanze combustibili, di fondere piccole masse di metallo, ...

Fu Franklin che ipotizzò il trasporto di elettricità da parte delle nubi e la cosa fu provata quando, su suo suggerimento, nel 1752 fu messo in azione il primo parafulmine (un'asta a punta collegata a terra): la scarica di un fulmine e di una bottiglia di Leida erano della stessa natura. In queste sue ricerche egli scoprì il potere delle punte, il meraviglioso effetto dei corpi a punta tanto per attirare che per respingere il fuoco elettrico, e, con opportuno uso di esse, realizzò il parafulmine.

Queste osservazioni lo portarono a elaborare una teoria elettrica secondo la quale la medesima elettricità è costituita da un fluido unico (teoria monistica) che poteva accumularsi ed essere in eccesso sui conduttori (cariche positive) o essere in difetto (cariche negative). La somma totale delle cariche doveva comunque annullarsi. Il ragionamento di Franklin per teorizzare un fluido elettrico unico era il seguente.

1° Due persone ritte su uno strato di cera, l'una (A) strofinando il tubo (di vetro), l'altra (B) traendone il fuoco, appariranno (se non si toccano) come elettrizzate in rapporto a una terza (C), posta sul suolo, cioè essa ne trarrà delle scintille, se avvicinerà loro un dito. 2° Ma, se esse si toccano mentre il tubo è eccitato, nessuna di esse apparirà come elettrizzata. 3° Se esse si toccano dopo l'eccitazione del tubo, vi sarà tra loro una scintilla più forte di quelle causate dalla persona al suolo.

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4° Dopo questa scintilla né l'una né l'altra manifesta alcuna traccia di elettricità.

E ciò si spiega ammettendo che B è elettrizzata positivamente, A negativamente; oppure che A è elettrizzata più e B elettrizzata meno. Ciò suggerisce a Franklin la non creazione della carica ma la sola sua trasmissione. Insomma i corpi sono neutri ma se ne strofiniamo uno esso può ricevere un eccesso di fluido che, allo stesso tempo, viene perso dal panno che strofina. I due corpi risultano allora elettrizzati, uno per difetto ed uno per eccesso di fluido. Se poi rimettiamo in contatto i due corpi, la comparsa della scintilla rimette il fluido al suo posto ed i corpi tornano neutri. L'attrazione è poi tra fluido elettrico e materia, la repulsione è invece tra fluidi elettrici. Franklin introduce nei suoi ragionamenti, come accennato, un vocabolario che ancora oggi usiamo: elettricità positiva quando si ha un eccesso di fluido ed elettricità negativa quando si ha una mancanza di fluido. La teoria presenta una difficoltà: quando si hanno oggetti con eccesso di fluido, sono oggetti con lo stesso tipo di elettricità positiva e si capisce che si respingano. Ma perché due oggetti che hanno mancanza di fluido, anch'essi con lo stesso tipo di elettricità negativa, dovrebbero respingersi ? qui non vi sono fluidi in azione ma solo mancanza di fluido ! Era forse il caso di prendere in considerazione la teoria dei due fluidi sviluppata da Du Fay ?(21) La cosa era presente a Franklin e, nonostante ciò non abbracciò la teoria dei due fluidi:

C'è ancora un'esperienza che ci sorprende e per la quale non abbiamo spiegazioni soddisfacenti... I corpi, quando hanno una quantità di elettricità minore di quella loro normale, si respingono gli uni con gli altri così come quelli che ne hanno una quantità maggiore.

In ogni caso, nel 1751, egli precisa la sua teoria del fluido unico nel modo seguente:

« 1. La materia elettrica consiste in particelle estremamente sottili, poiché essa può penetrare la materia ordinaria, anche i metalli più densi, con tanta facilità e libertà che essa non subisce alcuna resistenza percepibile... ».

« 3. Ciò che differenzia la materia elettrica dalla materia ordinaria è il fatto che le particelle di quest'ultima si attraggono reciprocamente, quelle della prima si respingono....

« 4. Ma, per quanto le particelle di materia elettrica si respingano, esse sono fortemente attratte da ogni altra materia.... ».

« 6. Così la materia ordinaria è una specie di spugna per il fluido elettrico. Una spugna non potrebbe assorbire acqua se le particelle di questa non fossero più piccole dei pori della spugna, e lo farebbe solo lentamente se non ci fosse attrazione reciproca tra queste particelle e quelle della spugna... Essa lo farebbe ancor più velocemente, se invece di una attrazione vi fosse tra queste particelle d'acqua una repulsione reciproca, che agirebbe congiuntamente con l'attrazione della spugna. Questo appunto accade tra la materia elettrica e la materia ordinaria.

« 7. Ma la materia contiene in generale quanta materia elettrica le è possibile. Se se ne aggiunge ancora, questa si porta sulla superficie e forma ciò che noi chiamiamo una atmo­sfera elettrica: il corpo è allora elettrizzato.... ».

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« 9. Sappiamo che il fluido si trova nella materia ordinaria, perché possiamo attrarlo dal di sopra con l'aiuto del globo (della macchina) o del tubo... ».

« 15. La forma dell'atmosfera è quella del corpo che essa circonda. Essa può esser resa visibile nell'aria calma per mezzo del fumo di resina... che è attratto e si spande ugualmente in ogni parte, coprendo e nascondendo i corpi... ».

« 18. Queste spiegazioni mi parvero perfettamente soddisfacenti quando all'improvviso mi vennero in mente e mi tentarono assai: ma ora... devo confessare che ho qualche dubbio...

« 19. Ma non è importantissimo per noi sapere in qual modo la natura osservi le sue leggi: ci basta conoscere queste leggi stesse. Ciò che ci è veramente utile è sapere che la porcellana lasciata senza sostegno nell'aria cade e si spezza; ma sapere come essa arrivi a cadere e perché essa si spezzi è d'interesse speculativo. È un piacere per noi, ma possiamo anche senza ciò proteggere la nostra porcellana ».

Le teorie di Franklin furono da egli stesso comunicate al suo amico Peter Collison (1694-1768) della Royal Society (Lettere a Collison, 1747) che le fece conoscere pubblicando a Londra Experiments and observations on electricity, made at Philadelphia in America, by Benjamin Franklin, and communicated in several letters to P. Collinson of London. London, Printed and sold by E. Cave, 1751-54 (con successive edizioni per il grande successo che il libro ebbe in tutta Europa).

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notare che i membri della Royal Society si comportarono con le scoperte di Franklin in modo tipico della boria coloniale: sembrava impossibile che il centro delle ricerche scientifiche dovesse abbandonare Londra per trasferirsi in un territorio selvaggio. Rifiutarono quindi la pubblicazione della gran parte dei suoi lavori di Franklin sulle Philosophical Transactions. Successivamente (1753) tentò di riparare riconoscendogli la medaglia Copley (una specie di Nobel dell'epoca).

Prima di passare oltre vorrei dire che Franklin era anche un giocherellone che si divertiva molto con l'elettricità. Egli descrive nel modo seguente alcuni esperimenti fatti con i suoi collaboratori di Filadelfia:

Poiché arrivava il caldo che rende pochissimo piacevoli gli esperimenti sull'elettricità, si decise [...] di fare una scampagnata sulle rive dello Schuylkill e di incendiare degli alcolici con scintille trasmesse da una riva all'altra con nient'altro per conduttore che l'acqua del fiume, [...] di uccidere un tacchino per la nostra cena con la scossa elettrica e di farlo arrostire su uno spiedo elettrico con un fuoco acceso da una bottiglia di Leida e di bere in coppe elettrificate, tra le salve dei fucili innescati dalla batteria elettrica [di condensatori], alla salute di tutti i famosi studiosi di elettricità di Inghilterra, di Olanda, di Francia e di Germania.

Degno successore di Franklin sarà Joseph Priestley.

PARTE 3: DA BECCARIA A VOLTA

GIAMBATTISTA BECCARIA

Mentre Franklin faceva le sue ricerche negli Stati Uniti, in Italia (Piemonte)lavorava Francesco Beccaria (1716-1781), che assunse il nome di Giambattista quando prese i voti. Egli fu chiamato nel 1748 ad insegnare Fisica Sperimentale a Torino, con il preciso compito di sradicare l'aristotelismo ancora imperante insieme al filosofeggiare inconcludente alla Descartes. Con uno spirito che si può definire illuminista e che segnò la ripresa della ricerca

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in Italia dopo la cappa caduta con il Processo a Galileo, mise su un corso di fisica in cui entrarono sia Galileo (con la sua cinematica) che Newton (con la meccanica e l'ottica) e che rappresentò una vera rivoluzione alla quale attinsero scienziati del calibro di Lagrange e crearono un clima dal quale sarebbero venute le importanti ricerche dei Volta e dei Galvani.

Giambattista Beccaria

Gli studi di Beccaria riguardano un poco tutta la scienza elettrica allora conosciuta e molti risultati dei suoi lavori si trovano in un suo trattato del 1753, Dell'elettricismo naturale e artificiale libri due e nei successivi lavori:

Frontespizio della prima opera di Beccaria

Dell'elettricismo (1758), Experimenta atque observationes quibus electricitatis vindex late constituitur atque explicatur (1769), opera nella quale introdusse la teoria dell'elettricità vindice (sibi vindicat locum suum) per spiegare l'elettricità che pareva nuovamente apparire da un isolante caricato precedentemente e scaricato da una lamina metallica, teoria che fu falsificata immediatamente (1769) dal giovane Volta mediante una spiegazione basata sull'induzione, Elettricismo artificiale di G.B. Beccaria (1772), che nel 1774 fu tradotto in inglese, e Dell'elettricità terrestre atmosferica (1775). Beccaria, amico ed estimatore di Franklin, con cui mantenne una relazione epistolare trentennale, fu tra i primi ad affrontare il problema della resistenza che l'elettricità incontra nel passaggio attraverso dei materiali stabilendo che essa è proporzionale alla lunghezza dei conduttori (i metalli comunque più conduttori d'ogni altro corpo apportano pure alcuna resistenza proporzionata alla lunghezza del sentiero che la scintilla dee in essi trascorrere, 1772). Scoprì che i materiali isolanti, se scaldati, diventano conduttori (che sarà problema incomprensibile fino all'introduzione della fisica dei quanti ed alla teoria delle bande di energia negli anni Trenta del secolo scorso). Dedicò vari suoi studi anche ai condensatori, dopo il lavoro di Aepinus del 1756, soffermandosi sulle proprietà degli isolanti interposti tra le armature. Iniziò a mettere in relazione elettricità e magnetismo (si chiede: se non sia il fluido elettrico che con alcuna

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determinazione universale, impercettibile, perpetua, periodica circolazione ... universalmente ogni magnetica direzione producesse e conservasse). Stabilì, sviluppando concetti introdotti da Franklin e Priestley, il fatto notevole che l'elettricità risiede solo nella superficie dei conduttori. A tale proposito realizzò uno strumento per provare l'assunto, il pozzo di Beccaria.

Pozzo di Beccaria

Lo strumento consiste in una sfera cava di ottone poggiata su di un sostegno isolante (es: vetro). Alla sua sommità presenta un'apertura circolare. Caricata la sfera, se con un elettroscopio collegato opportunamente (il saggiatore, costituito da due pezzetti di carta penduli da un piccolo bastoncino di ceralacca) si va ad ispezionare l'interno di essa, si scopre che non vi è carica che invece è tutta sulla superficie esterna (ogni elettricità si riduce alla superficie libera dei corpi, senza diffondersi punto nell'interiore sostanza loro).

L'ELETTROFORO

Ci avviciniamo alla fine del Settecento. Da più parti ormai si fanno ricerche sull'elettricità e sempre maggiori contributi si hanno. E' quindi più difficile seguire le varie scoperte in una sorta di successione cronologica. Molte cose si fanno simultaneamente in Paesi diversi o anche nello stesso Paese. Molte ricerche aprono strade apparentemente diverse. Occorre trovare dei momenti che rappresentano un vero balzo conoscitivo che ha avuto poi ricadute sulle osservazioni empiriche, sui dati sperimentali e sulle elaborazioni teoriche.

In questo senso la realizzazione dell'elettroforo è un momento importante per quanto ha successivamente prodotto e per l'impianto di conoscenze che c'è dietro.

La realizzazione di questo apparecchio discende da un esperimento che viene descritto da Aepinus nel 1759. Se si avvicina ad una estremità di una barretta metallica il tubo di vetro elettrizzato, la parte del regolo più vicina al vetro si elettrizza di segno contrario a quello del vetro e la parte più lontana dello stesso segno. Era una evidenza dirimente rispetto a quanto si

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sosteneva e cioè: un corpo avvicinato ad un altro corpo elettrizzato assumeva l'elettrizzazione del corpo elettrizzato. Sembrava quasi si dovesse dare ragione ai due fluidi elettrici ... Nel 1766 un allievo di Beccaria (Cigna) tentò una spiegazione ed anche lo stesso Beccaria che tentò la teoria vindice, alla quale ho già accennato.

Contro la teoria di Beccaria si schierò in modo deciso Alessandro Volta (1745-1827) nel suo primo lavoro, De vi attractiva ignis electrici ac phaenomenis inde pendentibus Alexandri Voltae patricii novo-comensis ad Joannem Baptistam Beccariam (1769). Tale lavoro è una sorta di programma di

Frontespizio del primo lavoro di Volta

Volta. In esso si può intravedere l'evolvere del pensiero di Volta negli anni successivi. In particolare, in questo lavoro, si sostiene che la carica elettrica fornita ad un isolante resta localizzata nel luogo dove viene fornita e che i vari fenomeni studiati da Franklin erano tutti facilmente spiegabili con la teoria dell'induzione o influenza elettrostatica. Ma Volta dedicò molte pagine di questo suo lavoro proprio nell'indagine dell'induzione elettrica. Conseguenza di tali studi fu la Lettera al Signor Dottore Giuseppe Priestley del 10 giugno 1775, lettera nella quale annunciava la sua scoperta:

Io vi presento un corpo che una volta solo elettrizzato per brevissim'ora, né fortemente, non perde mai più l'elettricità sua, conservando ostinatamente la forza vivace de' segni a dispetto di toccamenti replicati senza fine. Voi tosto indovinate che siffatto corpo vuol essere una lastra isolante vestita e snudata a vicenda della sua armatura ...

Volta passa a descrivere il suo apparecchio, che chiama elettroforo perpetuo, in modo molto esteso. Ed alla fine della lettera, in una Aggiunta spiega in dettaglio il suo funzionamento, servendosi delle seguenti figure:

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Elettroforo di Volta 1

Scrive Volta:

ho pensato di far cosa grata esponendo nelle seguenti figure sotto diversi aspetti e combinazioni tutto ciò che compone uno de' miei comodi apparati portatili, e quanto esso offre su due piedi a vedere di singolare. AA (Fig. 1.) è il Piatto, o sia una lastra d'ottone lavorata al torno con l'orlo ben ritondato prominente nella faccia superiore una mezza linea all'incirca, in cui è contenuta la stiacciata di ceralacca o mastice B, nella inferiore sporgente una buona linea o più pell'uopo che si dirà. CC è lo Scudo di legno dorato o d'ottone cavo, senz'angoli e ben forbito, che si apre a foggia di scatola, e contiene i vari pezzi che hanno da venire ad uso. E è il manico isolante, cioè un bastoncino di vetro intonacato di ceralacca, armato nell'estremità di due cappelletti d'ottone ff (Fig. 2.), uno fatto a vite con cui si ferma a un bottone lavorato per questo nel centro della faccia superiore dello scudo CC, e l'altro che termina in un anello, per cui si regge alzandolo (Fig. 2.,3.). Nella Figura 1. sta il Piatto AA, o meglio il mastice armato del suo Scudo CC ricevendo l'elettricità o sia la carica dalla catena O di una macchina ordinaria: indi se ne eccita la scarica dalla mano A D che tocca congiuntamente il Piatto e lo Scudo. (Fig. 2.). Una mano alza per mezzo dell'anello f del manico E lo scudo CC; e l'altra mano X ne trae una lunga scintilla: e ciò ognora che si leva lo scudo dopo averlo posato e poi toccato. La stessa Fig. 2. mostra come elettrizzato una volta un solo apparato, se ne possa avvivar un altro, o quanti altri ne aggrada: dando cioè replicatamente le scintille dello scudo alzato ad un filo od uncino d'ottone K sporgente da un altro scudo, che posa sul suo mastice. Fatto ciò e mutando mano voi potete con questo secondo e collo stesso processo rinvigorir la forza nel primo, e così via via re­ciprocamente.

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Elettroforo di Volta 2

Le figure che seguono illustrano altre applicazioni della macchina, in combinazione con la Bottiglia di Leida. Aggiungo che l'elettroforo sarà illustrato da Volta, insieme ad altre scoperte, in alcune lettere del 1787 al poeta e scienziato tedesco Georg Christoph Lichtenberg (Lettere sulla metrologia elettrica).

L'efficienza dell'apparecchio che aveva prestazioni molto migliori dello strofinio per elettrizzare, lo fece presto diffondere in tutta Europa dove si costruirono elettrofori con armatura del diametro di due metri, per spostare la quale servivano addirittura sistemi di carrucole. Nella figura che segue vi è l'elettroforo fatto costruire da Caterina di Russia per l'Accademia delle Scienze di Pietroburgo.

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Elettroforo dell'Accademia delle Scienze di Pietroburgo

La maggiore efficienza di questa macchina è dovuta al fatto che si sfrutta un sistema di elettrizzazione diverso dallo strofinio, l'induzione. Capito questo fatto, si iniziarono a costruire in tutta Europa macchine elettrostatiche ad induzione di vari tipi e mole. Nel 1831 il fisico Giuseppe Belli (1791-1860) realizzò la prima

Giuseppe Belli

macchina a induzione a disco rotante (duplicatore), ma è solamente nella seconda metà dell'Ottocento che, grazie a fisici quali Wilhelm Holtz (1836-1913), August

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Macchina di Holtz

Toepler (1836-1912), James Wimshurst (1832-1903), questo tipo di generatori

Macchina di Toepler

soppiantarono quasi completamente le vecchie macchine a strofinio. Le macchine

Macchina di Wimshurst

elettrostatiche a induzione vennero ampiamente utilizzate, sin dall'inizio del XX secolo, per generare scariche elettriche e per caricare condensatori.

L'elettroforo è alla base dei lavori di Volta sui condensatori e sulla loro capacità. A lui, tra l'altro, si devono i concetti di capacità e di potenziale (che egli chiamava tensione), la relazione quantitativa tra capacità, carica e tensione di un conduttore isolato, costruì elettrometri sempre più precisi, iniziò a definire unità di tensione di modo che Volta è il fondatore della metrologia elettrica (tutto questo nella Lettera al Signor De Saussure sulla

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capacità dei conduttori elettrici del 20 agosto 1778 ed in scritti successivi). Questi studi su condensatori e strumenti di misura si conclusero con la realizzazione di uno strumento che assemblava i due oggetti, l'elettroscopio condensatore (Del modo di rendere sensibile la più debole elettricità, sia naturale, sia artificiale, letta alla Royal Society il 14 marzo 1782). Si trattava di un apparato in grado di rilevare anche debolissime cariche elettriche non rilevate dai più sofisticati elettrometri. Volta sostituì alla pallina metallica, generalmente

Disegno originale dell'elettroscopio condensatore di Volta

Elettroscopio condensatore di Volta

presente sulla sommità di un elettroscopio, un condensatore piano con l'armatura inferiore (sulla quale è sistemato uno strato isolante) a sostituire la pallina e quella superiore mobile dotata di un manico isolante. Con questo arrangiamento la capacità viene enormemente aumentata appoggiando sul piattello fisso il piattello mobile e mettendo quest'ultimo a terra. Si mette ora a contatto dell'armatura inferiore l'oggetto debolmente carico che trasferisce la sua poca carica al sistema condensatore che ha elevata capacità. A questo punto si toglie l'armatura superiore con l'effetto di ridurre di molto la capacità del sistema. La carica elettrica che si trova sull'armatura inferiore si ridistribuisce (diminuisce la capacità del sistema fa aumentare la tensione) e una parte di essa passa alle foglioline dell'elettroscopio che divergono così in modo apprezzabile.

In questa memoria sul condensatore alla Royal Society, Volta scrisse:

Non vi vuol molto a comprendere, che ivi è maggior capacità, dove una data quantità di elettricità sorge a minor intensità, o che è lo stesso, quando maggior dose di elettricità è richiesta a portare l'azione a un dato grado d'intensità: a dir breve, la capacità e azione o tensione elettrica sono in ragione inversa. Farò qui osservare sul principio ch'io denoto col termine di tensione (che volentieri sostituisco a quello d'intensità) lo sforzo che fa ciascun punto del corpo elettrizzato per disfarsi della sua elettricità, e comunicarla ad altri corpi: al quale sforzo corrispondono generalmente in energia i segni di attrazione, repulsione, ecc. e particolarmente il grado a cui vien teso l'elettrometro.

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che è la ben nota legge che lega carica elettrica, capacità e tensione dei condensatori.

Su Volta. che giocò un ruolo fondamentale nella nascita della scienza elettrica e nella sua comprensione, tornerò più oltre, dopo aver discusso dei lavori di altri ricercatori.

CHARLES AUGUSTIN COULOMB

Sul finire del Settecento altri scienziati davano loro contributi alla scienza elettrica ed anche magnetica che sembrava ancora ferma a vaghe formulazioni. Tra questi merita un posto di rilievo il geologo ed astronomo britannico John Michell (1724-1793) che realizzò una speciale bilancia (bilancia di torsione)(1) che divenne famosa solo dopo che fu inventata di nuovo da Coulomb, per studiare le forze magnetiche (A Treatise of Artificial Magnets, 1750. In questo lavoro vi sono varie accurate osservazioni sul magnetismo ed un metodo facile e celere per realizzare magneti artificiali attraverso il meccanismo dell'induzione magnetica). Michell era un fervente newtoniano e andò a scoprire ciò che voleva scoprire, il fatto cioè che le forze agenti tra poli magnetici vanno come l'inverso del quadrato della distanza, come la legge regina di Newton, quella di gravitazione universale:

Ogni polo magnetico attira o respinge esattamente a distanze uguali in ogni direzione ...

Attrazioni o repulsioni diminuiscono in proporzione all'aumento dei quadrati delle distanze dai rispettivi poli.

E' inutile dire che tale legge non ha retto a successive e rigorose verifiche sperimentali anche se ha avuto il pregio di indicare una strada per rendere la scienza elettrica e magnetica quantitativa(2).

E' a questo punto che si inseriscono i lavori di Charles-Augustin de Coulomb (1736-1806)(3).

Charles-Augustin de Coulomb

Siamo ad un punto in cui: la strumentazione permette delle misure, si sono scalzati i freni alla scienza rappresentati dall'aristotelismo e dal cartesianesimo, la fenomenologia

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sperimentale e le elaborazioni teoriche sono consistenti, la fisica newtoniana è entrata con l'Illuminismo in tutta Europa. Fu Coulomb a mettere ordine in tutto ciò che si sapeva di elettricità imponendo in modo definitivo il metodo della misura quantitativa alle analisi qualitative. Come abbiamo visto, già in passato si era tentato di fare qualcosa in tal senso, ma mancava sempre un qualcosa. Ora sembrava che tutto fosse a punto.

Coulomb inizia ad interessarsi di questioni magnetiche ed elettriche in una memoria del 1777, Recherches sur la meilleure manière de fabriquer des aiguilles aimantées, nella quale, contrariamente a quanto annunciato dal titolo, non si occupa di questioni pratiche ma della comprensione dei fenomeni che sono alla base dell'orientamento di un ago magnetico sospeso ad un filo sottile. Si pongono qui il problema della torsione del filo e della sua linearità. Nel discutere tale fenomeno Coulomb si sbarazza dei vortici metafisici di Descartes affermando la necessità di introdurre forze attrattive e repulsive della natura di quelle di cui si è obbligati a servirsi per spiegare la pesantezza dei corpi e la fisica celeste. E' una scelta drastica che getta via Descartes per aderire alla gravitazione universale di Newton.

Su questa strada diventa importante per Coulomb trovarsi l'equazione del moto di un ago magnetico, sotto l'azione del campo magnetico terrestre, sospeso ad un filo. Nasce qui il problema delle piccole oscillazioni e di come da esse si possa risalire al momentum della forza magnetica. Risolta la questione Coulomb passa a studiarsi il momentum di vari magneti attraverso la misura delle loro oscillazioni. Dalla preoccupazione di Coulomb dell'eventuale errore introdotto dallo studio della torsione, egli moltiplica gli esperimenti, sbarazzandosi dei dubbi e scoprendo che la forza di torsione di un filo dipende dalla sua natura, che è proporzionale all'angolo di torsione ed alla quarta potenza del suo diametro e che risulta inversamente proporzionale alla sua lunghezza..

In pratica Coulomb sta mettendo a punto la sua bilancia di torsione che è simile concettualmente a quella di Cavendish ma di ben più piccole dimensioni. La

Schema della bilancia di torsione di Coulomb da una memoria di Coulomb del 1785

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Bilancia di torsione di Coulomb

misura dell'azione elettrica tra due sferette cariche, una mobile e una fissa, viene eseguita misurando la torsione del filo di sospensione, di seta, al quale è sospeso il giogo della bilancia, terminante da una parte con la sferetta mobile, dall'altra con un contrappeso (l'angolo di torsione è proporzionale al momento della forza torcente). Questi studi si compiranno in una successiva memoria del 1784, Recherches théoriques et expérimentales sur la force de torsion et sur l'elasticité des fils de métal.

Con lo strumento bilancia di torsione messo a punto e con una sensibilità che inizialmente permetteva di misurare il milionesimo di grammo-peso (sensibilità successivamente migliorata), Coulomb può passare a studiare quantitativamente i fenomeni elettrici sotto la guida del pregiudizio newtoniano e, nel 1785, vede la luce la sua prima memoria (delle sette che scrisse dal 1785 al 1789)(4) nella quale vengono studiati quantitativamente i fenomeni elettrici: Construction et usage d'une balance électrique fondée sur la propriété qu’ont les fils de métal d’avoir une force proportionnelle à l’angle de torsion. Détermination expérimentale de la loi suivant laquelle les éléments des corps électrisés du même genre d’électricité se repoussent mutuellement. A questa memoria ne seguì subito una seconda nella quale Coulomb precisò alcune questioni, estese alcuni risultati ed effettuò altri esperimenti delicati soprattutto per il fatto che, quando si aveva a che fare con cariche di segno opposto, vi era la tendenza all'attrazione ed all'annullarsi delle cariche

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medesime. E' da notare che nell'indagare le azioni tra corpi carichi Coulomb presuppone la conservazione della carica.

In queste due memorie Coulomb stabilì sperimentalmente la prima legge quantitativa tra cariche elettriche. Esse si attraggono o si respingono (a seconda dei loro segni) con una legge del tipo di quella di Newton di gravitazione universale. In particolare con la famosa legge dell'inverso del quadrato della distanza (nel nostro caso: tra le sferette cariche). Va detto, a questo punto, che egli non provò mai la proporzionalità con il prodotto delle cariche elettriche o delle intensità dei poli magnetici al numeratore della formula che porta oggi il suo nome. Se indichiamo con F la forza (attrattiva o repulsiva), con d la distanza tra le sferette cariche e con K una costante di proporzionalità, si trova:

F = ± K / d2

dove il ± stanno ad indicare attrazione (segno -) o repulsione (segno +). In tale formula Coulomb stabilì il denominatore e non il numeratore (il noto prodotto tra le cariche che oggi conosciamo). Inoltre egli non definì mai l'unità di carica elettrica (parla di una indefinita massa elettrica, ancora in analogia con Newton, e si schiera con la teoria dei due fluidi) o di intensità di polo magnetico. Ma quanto ora detto non deve sembrare una svalutazione dell'opera di Coulomb che resta fondamentale (intanto egli è stato capace di legare grandezze elettriche a grandezze meccaniche note e misurabili, come forze ed angoli). Serve solo per fare giustizia di troppe semplificazioni storiche. Coulomb, anche in tutti i suoi altri lavori elettrici e magnetici, gettò le basi, indicò la strada, suggerì ricerche che negli anni successivi permisero la completa matematizzazione dei fenomeni elettrici (per ora elettrici) a partire da Poisson (con l'estensione ai fenomeni elettrici della teoria del potenziale che Euler aveva sviluppato -1756 - per la meccanica) per arrivare a Lagrange e quindi a tutti gli altri fisici matematici. E questo è un merito fondamentale.

UNA DISCONTINUITA' NELLA STORIA DELL'ELETTRICITA'

Gli accadimenti politici in Francia alla fine del Settecento ebbero grande influenza sullo sviluppo della scienza nell'intera Europa. E' utile riportare le pagine utilizzate da D'Agostino per discutere dei rivolgimenti che si ebbero nell'intera Europa.

Quello che avvenne in Francia a cavallo dell'inizio dell'Ottocento avrà profonde ripercussioni sullo sviluppo della scienza ottocentesca non soltanto in Francia, ma, per un verso o per l'altro, anche in Germania ed in Inghilterra. Gli eventi francesi possono sintetizzarsi, com'è noto, nelle due parole: Rivoluzione Francese e opera di Napoleone Bonaparte. Per quanto si riferisce alla Storia delle Scienze un riferimento a questi eventi è indispensabile per comprendere le caratteristiche dell'opera di scienziati come Lagrange, Laplace, Monge, Berthollet, Lavoisier, Couvier, tutti appartenenti alla prima generazione di scienziati che passarono quasi tutti attraverso le vicende della Rivoluzione e dell'Impero, ed anche della seconda generazione degli Ampère, Aragò, Fresnel, Cauchy, Poisson, Fourier, Carnot, Gay Lussac, Dulong e Petit. Nel periodo dell'Impero e durante la Restaurazione, vennero a Parigi e furono a contatto con i colleghi francesi (intorno al 1820) gli scienziati tedeschi Humboldt (naturalista), Justus von Liebig (1803-73) (chimico), Henry Gustav Magnus (1802-1870) (fisico e naturalista), l'inglese Davy, l'italiano Volta, per non menzionare che i principali.

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E' una tesi di storici recenti che, per quanto riguarda la concezione della scienza e il suo ruolo nella società la Rivoluzione Francese - cioè gli uomini che in essa operarono - aveva, per così dire, due anime, non sempre apparentemente conciliabili. I due aspetti possono riassumersi, in poche parole A. Concezione umanitarista associata all'idea di una scienza popolare (che si riallaccia certamente alla tradizione illuminista dell'Enciclopedia). B. Concezione razionalista come proiezione nella concezione del mondo e nell'azione umana della Scienza "razionale" (D'Alembert e Lagrange). Vediamo di caratterizzare i due punti, compatibilmente con il taglio, e con i limiti che ci siamo proposti. La "Enciclopedia o Dizionario ragionato delle Scienze, Arti e Commerci", compilato dalla Società degli Uomini di Lettere - vi contribuirono Diderot e D'Alembert - si proponeva fra l'altro di elevare il lavoro degli artigiani, di portarlo ad una consapevolezza maggiore. Esso era considerato la base della vera scienza. Per Diderot questo programma rappresentava una ripresa dello spirito baconiano ed egli si vantava di avere insegnato ai francesi a leggere Bacone. L'articolo "Chimica" dell'Enciclopedia fu scritto da Rouelle: egli invocava un nuovo Paracelso, dotato di un acuto senso tecnico per penetrare al di là della fisica - (si ricordi la contrapposizione fra tecnica e scienza ad es. nell'opera dell'occhialaio Dolland), ma con uno spirito ed un'immaginazione uguale a quella dei filosofi pre-newtoniani. Secondo questo modo di vedere, la chimica aveva dentro di sé la doppia lingua, la popolare e la scientifica; la fisica è superficiale, la chimica profonda, il fisico che nega esistenza ad entità come il giallo (riferimento alla teoria newtoniana dei colori) e il fuoco (riferimento alla nascente teoria cinetica del calore) è semplicemente presuntuoso, egli brutalmente polverizza, incendia, distrugge, il chimico non analizza (il chimico pre-Lavoisier, intende), ma "indovina". Nella sua "Interpretazione della Natura", Diderot richiama l'attenzione su Franklin e il suo metodo che faceva poco ricorso alla matematica: la matematica è più che inumana, è arrogante, "orgogliosa", la pratica manuale invece dà un potere di divinazione, cioè l'abilità di subodorare come devono andare le cose in natura; l'arma della scienza non è l'astrazione matematica ma la penetrazione morale della natura. Diderot frequenta corsi di chimica, legge il naturalista Buffon, studia la natura solo per conoscere se stesso. Egli capovolge il tema di Descartes di arrivare alla natura partendo dall'io. Non sorprende che questa componente sfoci nell'anti intellettualismo e nell'opposizione alla scienza ufficiale, la scienza matematizzante, con larga accezione del termine, contro la scienza newtoniana: l'opposizione arrivò sino alle forme più esasperate nel periodo Giacobino (1792-94). La chiusura dell'Accademia delle Scienze (1793) e l'esecuzione di Lavoisier (1794) non possono attribuirsi solamente a questa componente: l'Accademia era l'espressione del potere reale e del ministro del re, alcuni dei suoi soci erano nobili e Lavoisier oltre ad essere grande scienziato ricopriva anche l'ufficio di esattore delle tasse, inviso al popolo. Ma qualche autore sostiene che quella componente servì, se non a determinare alcuni dì questi passi, quanto meno a cercare di giustificarli nel periodo più tragico del terrore. L'atteggiamento della Rivoluzione verso la scienza era, come accennato, ambivalente: se da una parte era anti intellettualista perché sosteneva uno spirito popolare comunitario e temeva l'affermarsi di una élite scientifica, dall'altra esaltava la ragione e la scienza e chiedeva agli scienziati l'aiuto tecnologico necessario alla vittoria nella guerra e allo sviluppo della Repubblica nella pace. E con ciò veniamo alla seconda componente. La Rivoluzione nel complesso influenzò profondamente lo stato

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dell'intellettuale scientifico, gli conferì sia prestigio politico che responsabilità amministrativa innalzandolo con ciò nella considerazione sociale della comunità. Inoltre la Rivoluzione aveva spianato il cammino dell'educazione scientifica per un gran numero di componenti della piccola borghesia. Nel settembre 1793 il Comitato di Salute Pubblica nomina la Commissione dei Pesi e delle Misure incaricata di introdurre il sistema decimale, di cui fanno parte Monge, Borda, Lagrange, Laplace, Delambre, Coulomb, Berthollet, Lavoisier. Nel 1972 Condorcet, amico di D'Alembert e suo biografo, trasmise all'Assemblea legislativa l'eredità degli enciclopedisti nel famoso rapporto e progetto di decreto per l'organizzazione dell'istruzione pubblica: "Tutti gli errori di governo e sociali si basano su errori filosofici i quali, a loro volta, derivano da errori nelle scienze naturali". "... In generale qualsiasi autorità di qualsiasi natura in qualunque modo acquisita e da chiunque posseduta diventa un nemico naturale dell'istruzione" Egli venne bandito dalla Convenzione e si rifugiò in una soffitta di Parigi, dove scrisse il Saggio sul Progresso Intellettuale del Genere Umano, ma pare che il suo rapporto, per quanto per certi aspetti non troppo gradito a Napoleone, divenne un documento base nella ricostruzione del sistema educativo francese intrapreso da Napoleone. Monge (con Fourcroy ) compilò i progetti dell'École Polytechnique, la celebre scuola destinata alla formazione dello stato maggiore dell'esercito e della burocrazia. Monge segue Napoleone nel 1796 nella Campagna d'Italia e Berthollet, Monge, Fourier seguono, assieme ad altri scienziati, Napoleone nella campagna d'Egitto. Al posto dell'Accademia fu fondato l'Institute de France, nella cui prima classe delle scienze erano rappresentati, con Napoleone, tutti i più illustri scienziati di Francia, Cuvier, come segretario dell'Institute indirizzò a Napoleone il Rapporto Storico sul progresso delle Scienze Naturali dopo il 1789 e loro stato attuale, Laplace gli dedicò un volume della Meccanica Celeste e il Trattato del Calcolo della Probabilità. Ed infine un cenno alle più importanti fra le istituzioni e scuole scientifiche che furono istituite in Francia in questo periodo. In esse insegnavano gli scienziati e ricevevano in compenso un salario. Ciò comportava un rapporto differente con la ricerca; si può parlare in questo senso di professionalizzazione dell'attività scientifica, avvenuta in Francia (e poi negli altri paesi europei) all'inizio di secolo XIX. La "École Polytechnique", fu fondata nel 1794, per dare una formazione comune agli ingegneri civili e militari. Monge fu uno dei suoi fondatori. Fra le materie insegnate si dava il nome di "Fìsica", allo studio della materia, ed era suddivisa in fisica generale e chimica. A quest'ultima veniva dedicata, in numero di ore, lo stesso tempo dedicato alla meccanica, geometria analitica e architettura. Dall' École Polytechnique si poteva accedere alle scuole specializzate di Artiglierìa, Ingegneria militare, Miniere. Nel 1802 Berthollet vi tenne un corso di chimica teorica applicato all'industria. Vi erano esami di ammissione, su programma di matematica, meccanica etc. gli studenti ricevevano un piccolo salario sino al 1805, anno in cui gli statuti richiedevano un pagamento di 800 franchi. Nel 1804 fu riorganizzata da Napoleone, con una forte militarìzzazione. Altre istituzioni: l'École Normale per l'aggiornamento degli ìnsegnanti, il "Boureau des Longìtudes", il "College de France" fondato nel 1530, la Facoltà di Scienze dell'Università di Parigi. Quest'ultima fu fondata da Napoleone nel 1808, per cercare di centralizzare il sistema scolastico, dall'università alle scuole primarie, modello esportato poi nel Lombardo Veneto ed in Toscana. Altre facoltà dì Scienze dell'Università furono fondate a Bruxelles, Pisa, Torino, Ginevra, Strasbourg, Toulouse etc. Napoleone cercò di incoraggiare in vari modi l'agricoltura, la chimica,

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anche mediante elargizione di notevoli somme in denaro, ad es. all'industria della seta a Lione; alla manifattura dello zucchero, alla ceramica, alla produzione della soda, .......

In questo nuovo clima, che prevedeva anche la vittoria della ragione sulla metafisica e sulla superstizione, si situano le nuove ricerche in tutti i campi della scienza e, in particolare, nell'elettricità e nel magnetismo.

LA NATURA ANIMALE DELL'ELETTRICITA': LUIGI GALVANI

Nel 1791 fu pubblicata una memoria del medico anatomista bolognese Luigi

Luigi Galvani

Galvani (1737-1798), De viribus electricitatis in motu musculari commentarius. In tale memoria, che segna la nascita dell'elettrofisiologia, Galvani esponeva la teoria dell'elettricità animale, frutto di una lunga indagine sperimentale iniziata nel 1780 dopo una fortuita osservazione. Così nel 1791, egli racconta l'episodio:

Disseccai una rana, la preparai come indicato nella figura [seguente] e la collocai sopra una tavola sulla quale c'era una

macchina elettrica, dal cui conduttore era completamente separata e collocata a non breve distanza; mentre uno dei miei assistenti toccava per caso leggermente con la punta di uno scalpello gli interni nervi crurali di questa rana, a un tratto furono visti contrarsi tutti i muscoli degli arti come se fossero stati presi dalle

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più veementi convulsioni tossiche. A un altro dei miei assistenti che mi era più vicino, mentre stavo tentando altre nuove esperienze elettriche, parve di avvertire che il fenomeno succedesse proprio quando si faceva scoccare una scintilla dal conduttore della macchina. Ammirato della novità della cosa, subito avvertì me che ero completamente assorto e meco stesso d'altre cose ragionavo. Mi accese subito un incredibile desiderio di ripetere l'esperienza e di portare in luce ciò che di occulto c'era ancora nel fenomeno.

Galvani ripeté più volte l'esperienza e trovò che, senza dubbio, ogni volta che dalla macchina scoccava una scintilla, i nervi della rana, toccati con un conduttore, si

La contrazione dei muscoli di una rana quando un arco metallico tocca simultaneamente i nervi lombari ed i muscoli della zampa

contraevano (stessi risultati per differenti animali sia a sangue freddo che a sangue caldo e per la macchina elettrostatica sostituita con una bottiglia di Leida). Era l'indizio di una scoperta che poteva rivelarsi importante. Vi era una sorta di rivelatore di elettricità con caratteristiche del tutto diverse da quelli fino ad allora conosciuti (basati su strofinio ed induzione). Galvani si propose di verificare se lo stesso effetto era provocato anche dall'elettricità atmosferica e per farlo fissò, con un gancio di rame, i muscoli delle zampe di una rana ad un lungo conduttore disteso sulla sua terrazza (con una estremità sollevata verso il cielo e con l'altra immersa nell'acqua del pozzo). Ebbe così modo di osservare che quante volte erompeva la folgore tante volte, nello stesso momento, tutti i muscoli erano

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Esperienza di Galvani sugli effetti dell'elettricità atmosferica

presi da veementi e molteplici contrazioni. Galvani osservò molte altre cose nel suo ripetere esperienze in tutti i modi possibili ed in tutte le condizioni (appese

Varie esperienze di Galvani

Altre esperienze di Galvani

molte rane con dei gancetti di rame alla ringhiera di ferro della sua terrazza per osservare gli effetti dei fulmini ma anche del ciel sereno). Una delle sue osservazioni, a posteriori, risulterà estremamente importante: ogni volta che l'arco di scarica toccava simultaneamente i nervi lombari ed i muscoli della coscia si avevano contrazioni ma queste erano molto più

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accentuate se l'arco di scarica, anziché essere di un solo metallo, era bimetallico (ferro e rame o, meglio, ferro e argento):

se l'arco fosse stato di ferro e di ferro l'uncino, molto spesso le contrazioni mancavano o erano eccezionalmente esigue. Se invece uno di essi fosse stato, per esempio, di ferro e l'altro di rame o, molto meglio d'argento (l'argento infatti ci apparve più idoneo tra gli altri metalli a trasportare l'elettricità animale) si producevano contrazioni assai più evidenti e assai più a lungo.

Dall'insieme delle sue osservazioni, Galvani ricavò alcune conclusioni in analogia alla scarica di un condensatore: da un lato vi sono le armature del condensatore che nel nostro caso sono il nervo lombare ed il muscolo della rana; l'arco di scarica è il metallo conduttore che ha la proprietà di trasferire il fluido elettrico da un'armatura all'altra provocando la contrazione del muscolo. In questo senso si parla di elettricità animale: è l'animale che fornisce il fluido elettrico che agisce in modo fisiologico.

Questi fatti mi procurarono non lieve ammirazione, e incominciò a sorgermi qualche dubbio circa un'elettricità inerente allo stesso animale. Mi sembrò che, durante il fenomeno, il fluido scorresse dai nervi ai muscoli e si formasse il circuito come in una bottiglia ài Leida.

...

Dalle cose finora conosciute ed esplorate, stimo che risulti abbastanza chiaramente che risiede negli animali un'elettricità che mi sarà permesso di chiamare con Bertholonio [l'abate Bertholon che scrisse un libro dal titolo L'elettricità del corpo umano, ndr] ed altri col termine generale di elettricità animale(5).

Galvani passò quindi a mostrare che l'elettricità animale ha le stesse caratteristiche di quella delle macchine elettrostatiche. Sulla cosa tornò in un'altra memoria del 1795 ma pubblicata nel 1797, e redatta in forma di lettera a Spallanzani, ma non aggiunse cose di rilievo.

L'INIZIO DI UNA NUOVA ERA: ALESSANDRO VOLTA

Alessandro Volta (1745-1827), che abbiamo già incontrato, era venuto a

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Alessandro Volta

conoscenza del lavoro di Galvani ma era molto scettico sull'idea dell'elettricità animale. A parte alcuni pesci che, come la torpedine erano dotati di elettricità, l'idea non lo convinceva. Su sollecitazione dei suoi colleghi dell'Università di Pavia, iniziò a ripetere gli esperimenti di Galvani il 24 marzo del 1792. Solo pochi giorni dopo, il 3 aprile, scrisse a Galvani queste parole:

Eccomi convertito, dacché cominciai ad essere testimonio oculare e spettatore io stesso dei miracoli, e passato forse dall'incredulità al fanatismo.

Qualche giorno dopo (5 maggio) in una conferenza all'Università (poi riportata in Memoria prima sull'elettricità animale. Discorso recitato nell'aula dell'Università di Pavia in occasione di una promozione), nell'illustrare le scoperte di Galvani, esaltandole, avanza qualche dubbio legato principalmente all'insoddisfazione per la mancanza di misure:

che mai può farsi di buono se le cose non si riducono a gradi e misure, in fisica particolarmente ? Come si valuteranno le cause se non si determina la qualità non solo, ma la quantità e l'intensione degli effetti ?

ed a ciò aggiunge una osservazione d'interesse relativa al fatto che le rane possono essere al più degli elettroscopi molto sensibili ... con ciò negando di fatto l'assunto di Galvani che assegnava alle rane l'origine del fenomeno elettrico. Sembra quasi che l'osservazione sia nata in Volta mentre pronunciava la conferenza. Sta di fatto che Volta comincia di nuovo a sperimentare soffermandosi su quel particolare importante al quale abbiamo accennato: gli effetti di contrazione delle rane sono molto più evidenti quando l'arco scaricatore è bimetallico. Egli realizza le più varie esperienze mescolando rane e lamine metalliche di diversi materiali e piano piano

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Alcuni degli arrangiamenti sperimentali di Volta con rane e lamine metalliche simili e dissimili. Un filo metallico chiude il circuito

va chiarendosi le idee di un problema che lo assillava:

Quello ... di cui non ho potuto ancora trovare una ragione, che mi soddisfi neppur mezzanamente, si è la necessità dette armature dissimili (...) mi nasce talvolta il dubbio, se veramente i conduttori metallici, diversi, od applicati in differente maniera a due luoghi dell'animale altro non facciano dal canto loro, allorché si viene a stabilire fra essi una comunicazione, che prestar la via al

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fluido elettrico che naturalmente tende a trasportarsi dall'uno all'altro luogo, come pare si debba credere; se in una parola siano meramente passivi, o non anzi agenti positivi che muovano cioè di lor posta il fluido elettrico dell'animale, e da quieto ed equilibrato che era, lo determinano, rompendo essi tal equilibrio, ad entrare quinci in un'armatura di tal foggia, ed a sortire per l'altra di tal altra foggia.

Qualche giorno dopo, il 14 maggio, nella sua Memoria seconda sull'elettricità animale Volta stabilisce che la fisiologia dei muscoli non ha nulla a che vedere con la loro contrazioni: il fenomeno avviene come reazione secondaria dell'eccitazione dei nervi. E, discutendo di queste cose, ci racconta di una esperienza che ha realizzato e che sarà una importante guida per le elaborazioni successive. In qualche modo si è sostituito alla rana. Sistemata in mezzo alla lingua una moneta d'oro o d'argento, ha provato a toccare con la punta della lingua le lamine metalliche di cui dispone e, racconta, di aver percepito un sapore acidulo quando ha fatto arco tra le due parti metalliche con un conduttore. Egli descrive la cosa così: si sente lo stesso sapore che si percepisce quando si avvicina la lingua al tenue fiocco e venticello di un conduttore elettrizzato artificialmente a tale distanza che non iscocchino scintille (è esattamente ciò che accade oggi quando sistemiamo la lingua tra i due poli di una pila per vedere se è carica o meno). Invertendo poi le parti metalliche il sapore da acidulo diventa alcalino. Volta ha in mano un utile strumento rivelatore di elettricità (ma è comunque assai più facile di sentire il sapore acido nella prima maniera, che questo sapore acre ed urente in quest'altra). In ogni caso, i due diversi sapori gli fanno ipotizzare un verso diverso di percorrenza del fluido elettrico, anche se non è in grado di stabilire quando entra e quando esce. La memoria chiude con dei dubbi che Volta si ripropone di risolvere con ulteriori esperienze.

Nel giugno dello stesso anno, Volta ritorna ancora sull'argomento per sbarazzarsi dell'elettricità animale e per assegnare i fenomeni elettrici ai metalli:

Son dunque i metalli non solo Conduttori perfetti, ma motori dell'elettricità; non solo prestano la via facilissima al passaggio del fluido elettrico, che trovandosi già sbilanciato tende a portarsi dal luogo in cui sovrabbonda a quello che rispettivamente ne scarseggia; ma van producendo essi stessi e provocando un tal quale sbilancio con estrarre di codesto fluido ed introdurne, dove pur trovasi in giusta dose ripartito, non altrimenti che avvieni con lo stropicciamento degli idioelettrici ... Ella è questa una nuova virtù de' metalli, da nessuno ancora sospettata, che le mie sperienze mi hanno condotto ad iscoprire.

Si intravede nello sbilanciamento di cui parla Volta, quella che noi oggi chiamiamo differenza di potenziale. Ma il principio dello spostamento di fluido elettrico dovuto al contatto di due metalli diversi lo porta subito ad ideare tutta un'altra serie di esperienze con i più diversi materiali arrangiati in modo diverso tra loro. Il fine, per ora, era quello di costruirsi una sorta di graduatoria o scala di coppie di metalli che dessero migliori risultati.

A queste esperienze Galvani rispose con un'altra del 1794: dissezionata una rana egli la piegò in modo che i nervi crurali toccassero direttamente i muscoli delle cosce (si eliminava l'intermediazione metallica dell'arco scaricatore); ebbene, anche in questo caso vi erano le contrazioni dei muscoli.

Volta ampliò allora la sua teoria del contatto e dello sbilanciamento: non solo i conduttori metallici ma anche quelli non metallici, presentano lo sbilanciamento. Per fare chiarezza Volta chiamò i primi conduttori di prima classe ed i secondi conduttori di seconda classe. Come osserva Gliozzi, qui vi è una operazione dogmatica di Volta che inverte i termini del problema: egli dice infatti che ogni volta che compare uno sbilancio elettrico,

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deve esservi il contatto tra conduttori eterogenei. La posizione non sarebbe stata sostenibile se Volta non avesse scoperto qualche tempo dopo la possibilità di avere elettricità di contatto con mezzi puramente fisici, servendosi del duplicatore che William Nicholson (1753-1815) aveva realizzato nel 1788 (che nasceva come macchina elettrostatica ma che era in realtà un sensibilissimo strumento in grado di rilevare piccole quantità di elettricità)(6).

A questo punto Volta iniziò a concentrarsi sul come rendere più evidente, sul come moltiplicare, il fenomeno elettrico originato dallo sbilancio di due soli metalli (conduttori di prima classe) messi a contatto. Inizia così una lunga serie di esperienze con le catene di conduttori di prima classe, di seconda classe e di prima e seconda classe. Nel 1796-1797 scopre che una catena aperta (quando la catena è costituita da differenti metalli ed ha agli estremi due metalli differenti) di

Varie sistemazioni in catene di conduttori realizzate da Volta e riportate in una sua Lettera al Professore Gren di Halla (1° agosto 1796)

conduttori di prima classe si ha uno sbilanciamento pari a quello che si avrebbe mettendo direttamente in contatto il primo e l'ultimo metallo. Conseguenza di ciò è che in una catena chiusa (quando agli estremi si ha lo stesso metallo) non si ha alcuno sbilanciamento.

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Il contatto di conduttori diversi, soprattutto metallici..., che chiamerei conduttori secchi o di prima classe, con dei conduttori umidi o di seconda classe, risveglia il fluido elettrico e gli imprime un certo impulso o incitamento. Non saprei ancora spiegare in che modo ciò avviene, ma basta che ciò sia un fatto ed un fatto generale. Questo incitamento, sia esso un'attrazione, una repulsione o un impulso qualunque, è diverso e disuguale, sia rispetto alla differenza dei metalli che ai diversi conduttori umidi... Cosi ogni volta che in un cerchio completo di conduttori si pone uno della seconda classe fra due della prima, differenti fra loro, oppure uno della prima classe fra due, anch'essi diversi, della seconda classe, si stabilirà, secondo la forza predominante, a destra o a sinistra, una corrente elettrica, una circolazione di quel fluido che cessa solo rompendo il cerchio e si ristabilisce non appena il cerchio si ricostruisce ogni volta (Lettera a Gren del 1796).

Queste cose risultano insuccessi a Volta perché mostrano che dai conduttori di prima classe non si trae fuori che un piccolo effetto. Nello stesso 1796, il fisico fiorentino Giovanni Fabbroni (1752-1822) scopre un effetto chimico legato all'elettricità: immergendo in acqua due lamine di metalli differenti a contatto tra loro, una di esse si ossida. E' invece sul finire del 1799 che Volta scopre la sistemazione sperimentale che lo porterà al grande successo: collegando tra loro opportunamente (in un sistema a colonna) delle coppie bimetalliche, ripetute più volte e disposte nello stesso senso, con l'accortezza di disporre tra una coppia bimetallica e la successiva un disco di panno inumidito, lo sbilanciamento agli estremi della colonna è proporzionale al numero di coppie bimetalliche. E' la pila, è un qualcosa di sensazionale che Volta sa subito rendere oggetto d'uso.

Il 20 marzo del 1800, proprio a chiusura dell'Ottocento, Volta comunica la sua scoperta con la sua memoria On the Electricity excited by the mere contact of conducting substances of different kind in a letter from Mr. Alexander Volta to the Sir Joseph Banks. Egli proprio in apertura dice:

Dopo un lungo silenzio del quale non cercherò di scusarmi, ho il piacere di comunicarvi, Signore, e, per mezzo vostro, di comunicare alla Royal Society alcuni stupendi risultati ai quali sono arrivato, facendo molte esperienze sull'elettricità eccitata dal semplice mutuo contatto di metalli di differenti tipi ed anche tra quello di altri conduttori, anche differenti tra loro, sia liquidi, sia contenenti un qualche umore, al quale essi devono propriamente il loro potere conduttore. Il principale di questi risultati, e che comprende presso a poco tutti gli altri, è la costruzione di un apparecchio che per gli effetti, cioè per la commozione che è capace di far risentire nelle braccia, ecc. rassomiglia alla bottiglia di Leida e meglio ancora alle batterie elettriche debolmente caricate, che agiscono però senza posa, ossia la cui carica dopo ciascuna esplosione, si ristabilisce da se stessa, in una parola, che fruisce di una carica indefettibile, d'un'azione o impulso perpetuo sul fluido elettrico.

Era nato l'organo elettrico artificiale (o apparato elettromotore o apparato a colonna), come lo chiamò all'inizio volta, la pila come sappiamo noi (con un nome di provenienza francese, pilière, che si rifaceva alla forma del primo modello di pila). La coppia bimetallica era costituita da rame e zinco a contatto diretto; ogni coppia era separata dall'altra da un disco umido di cartone. In questa memoria vi era anche la dimostrazione, mediante l'elettroforo, che una lamina di rame ed una lamina di zinco che siano a contatto, assumono, al loro essere separate, carica negativa il rame e carica positiva lo zinco.

Nel seguito di questo lavoro farò il panegirico della pila per tutto ciò che ha comportato,

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paragonabile alla pila di Fermi. Ora propongo alcuni disegni che lo stesso Volta ci presenta nella sua memoria di vari arrangiamenti della sua pila.

Il primo disegno in alto ci presenta una pila a corona di tazze, pila in cui il panno inumidito (per il fatto che facilmente si seccava impedendo il funzionamento dell'apparato) è sostituito da tazze con all'interno il liquido conduttore di seconda specie. Gli altri disegni sono di pile a colonna con qualche tazza.

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Particolari dei disegni precedenti

Abbiamo a questo punto un apparato che, detto in modo moderno, fornisce corrente in modo continuo e non più a scintille episodiche. Nasce qui un enorme campo di ricerca che riguarderà correnti, resistenze, potenziali, differenze di potenziale, circuiti, reti, maglie, leggi, .... Quindi con Oersted si potrà scoprire che il magnetismo è un effetto che può essere prodotto dall'elettricità in moto. E da questo nasceranno asimmetrie che saranno punto di partenza per i lavori di Einstein. Ma anche tutto l'elettromagnetismo, con i lavori di Faraday e Maxwell, con la corrente industriale per illuminazione, con il telegrafo e la radio. E' proprio un intero mondo che cambia ad una data legata alla Rivoluzione Francese ed all'inizio dell'Ottocento. Ma anche gli schemi dell'Illuminismo erano ormai vecchi, si avanza il Romanticismo, una diversa organizzazione sociale, nasce la classe operaia, le fabbriche, il taylorismo, ... E' un'era che si avvicina di più alla nostra e che vede nella pila una sorta di spartiacque.

PARTE 4: DALL'INTRODUZIONE DEL POTENZIALE AD OHM

INTRODUZIONE (0)

Nel mese di novembre del 1801, Volta illustrò il funzionamento della sua pila all'Istituto di Francia, alla presenza di Napoleone Bonaparte che lo insignì di una medaglia d'oro. Nella sua memoria che riporta il discorso all'Istituto, Memoria sull'identità del fluido elettrico col fluido galvanico, Volta parla di alcune delle cose che si fanno con la pila come la decomposizione dell'acqua e le ossidazioni di metalli ed introduce una terminologia di grande interesse. Parlando di un metallo carico egli introduce il concetto di tensione elettrica che tale metallo possiederebbe e, parlando di due metalli diversi, come la sua coppia bimetallica, dice che tra di essi vi è una differenza di tensione. Viene così superato lo sbilanciamento del quale fino ad ora aveva parlato. Non c'è solo questo ma molte altre osservazioni d'interesse che Volta continuerà a fare fino alla sua scomparsa.

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E' giusto dire che Volta ha realizzato la prima fonte energetica in oltre 2000 anni. L'energia chimica diveniva disponibile all'uomo. Che fino a circa il 1860, la sua è stata l'unica fonte energetica di origine chimica a disposizione dell'umanità. Che la corrente elettrica divenne un veicolo di distribuzione delle energie da acqua in caduta e dalla combustione di combustibili fossili.

Volta ha riportato ad un prestigio internazionale la fisica italiana che era stata mortificata dal processo a Galileo di oltre 150 anni prima. Come sanno tutti coloro che si occupano di questi problemi, la distruzione di una scuola di pensiero può avvenire in pochissimo tempo; la sua ricostruzione può richiedere, nell'ipotesi ci si riesca, anche centinaia di anni. Vi erano le condizioni per una rinascita della scuola di fisica in Italia al tempo di Volta ? quale era, cioè, la situazione in Italia all'alba del 1800 ? Il Paese era diviso in una miriade di statarelli in gran parte sotto dominio straniero. Con i Paesi dominanti che trasferivano influenze su determinati territori, dipendenti da piccoli tiranni volubili o da governanti fantoccio ma sempre con la supervisione incontrastata della Chiesa di Roma. L'apertura del nuovo secolo vede l'astro napoleonico che si impadronisce di gran parte dell'Italia e che, per molti versi, la modernizza. E neanche a dire che in Italia possano nascere quei movimenti nazionalisti che, pur simpatizzando per l'Illuminismo, non sopportano che esso sia importato con le armate napoleoniche e reagiscono con movimenti di unità nazionale. Solo pochi aristocratici colgono il breve periodo per tentare di scacciare i piccoli tiranni locali e dare al Paese un respiro unitario. Sta di fatto che

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un Paese così diviso, con una enorme ipoteca ecclesiastica, non avrebbe mai potuto dotarsi di una scienza, di una scuola, di una sua ricerca. Il genio di Volta è un'anomalia. E' un lampo che si esaurisce in se stesso. Le enormi potenzialità della sua scoperta non saranno sviluppate e sfruttate in Italia. La mano passerà di nuovo a Francia, Gran Bretagna, Olanda e intraprendente Prussia. Dalle parti nostre vedremo il fiorire di geniali inventori, di persone che, in mancanza di finanziamenti, dovranno rendere produttiva la scienza con la realizzazione di prodotti che si possono vendere (strumenti di misura). In compenso gli scienziati italiani erano ben coscienti di questo stato di handicap e furono tra quelli che in gran parte aderirono al movimento risorgimentale, anche in armi, quando se ne presentò la necessità. La loro prima organizzazione, la Società Italiana per il Progresso delle Scienze (SIPS), si riunì per la prima volta a Pisa nel 1839(2). Nel sito della SIPS si legge:

Ciò che costituì, fin da principio, un'importante caratteristica delle Riunioni degli scienziati italiani, fu la larga partecipazione del pubblico colto, a fianco dei più illustri scienziati. Sebbene - a causa dei tempi avversi e dell'ostilità dei governi che allora tiranneggiavano l'Italia - non si potesse costituire un sodalizio nazionale, stabile e legalmente riconosciuto, pure, con il ripetersi di quei congressi, si riuscì a formare quell'unità spirituale della Nazione, che fu premessa e fondamento della successiva unità politica. E di ciò danno conferma gli Atti delle Riunioni, e le testimonianze degli scrittori, italiani e stranieri del tempo.(3)

Tornando alla pila c'è da dire che essa poneva vari problemi legati alla comprensione dei meccanismi che sono alla sua base. Molte furono le teorie avanzate ma poco si otteneva perché mancava la conoscenza della struttura della materia. Fu anche questo il motivo per il quale occorse molto tempo prima di avere delle pile di uso pratico e comunque di concezione diversa da quella di Volta. Va certamente ricordato Giuseppe Zamboni (1776-1846) che per primo costruì una pila a secco. Quindi vi fu Gaston Planté (1834-1879) che nel 1859

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Accumulatore Planté (piombo + acido) ad un elemento

Accumulatore Planté a molti elementi

realizzò l'accumulatore al piombo (con acido) migliorato da Camille Faure (1840-1898) nel 1881(4).

Negli anni si realizzarono diverse decomposizione di sostanze. Dopo l'acqua, Wilhelm Henry decompose l'ammoniaca, Cruickshank decompose sali metallici, Luigi Valentino Brugnatelli ottenne le prime ramature, argentature, zincature galvaniche, Davy che disponeva di importanti finanziamenti, tanto da potersi far

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La batteria di 2000 pile che nel 1813 Davy si fece sistemare nei sotterranei della Royal Institution di Londra.

... e la batteria di pile che Napoleone(5) fece realizzare a l'École Polytechnique nello stesso anno.

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costruire una batteria di pile impressionante, dimostrò che l'acqua non si separa direttamente ma attraverso l'intervento dell'acido solforico, scompose la potassa scoprendo due nuovi metalli e mise in funzione un gigantesco arco voltaico, Wollaston iniziò a fornire una qualche teoria seguito da Theodor Grotthus, ... Questi fatti fecero interessare alla pila i chimici che iniziarono a fornire spiegazioni sul suo funzionamento (De la Rive nel 1825, Berzelius nel 1812, ...).

A lato di questa frenetica attività che apriva innumerevoli e non pensabili campi di ricerca, vi fu necessità di accrescere il vocabolario. William Whewell (1833) introdusse il termine elettrodo. Fu Faraday ad introdurre i termini: elettrolisi, anodo e catodo. S. Robertson introdusse il termine galvanometro al quale Ampère dette il significato che oggi accettiamo (alla scomparsa di Ampère, l'unità di misura dell'intensità di corrente fu a lui dedicata, l'ampere, e lo strumento di misura delle correnti divenne l'amperomentro).

Altri fenomeni particolari che ampliavano le fenomenologie della pila furono quelli scoperti da Seebeck nel 1822 e da Peltier nel 1834. Il primo scoprì l'effetto termoelettrico (scaldando la saldatura tra due metalli diversi si può ottenere una differenza di tensione elettrica; l'apparato è utilizzabile come un sensibilissimo termometro) il secondo l'effetto inverso (una corrente può scaldare o raffreddare una saldatura bimetallica).

Ed anche l'industria si accorse immediatamente della possibilità di sfruttare la pila di Volta. Ormai è fuori dalla nostra immediata immaginazione ma la scintilla che si poteva far scoccare a piacere mediante una pila ebbe applicazione per produrre esplosioni sotterranee nelle miniere. Ci si poneva a distanza e, come

Un semplice detonatore: collegando i due estremi del filo ad una pila si ottiene una scintilla tra A e B. Se il rettangolo di figura è immerso in una sostanza esplosiva si ottiene l'effetto esplosivo

diremmo oggi, si chiudeva il circuito ... Ma qui intervenne una difficoltà che fece avanzare ancora la conoscenza: i cavi utilizzati erano dei semplici conduttori che avevano collocazioni varie ma tutte soggette ad umidità, a bagnarsi, con la conseguenza che il sistema non

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funzionava. Fu allora che si pensò di isolare i cavi conduttori mediante fasciature che piano piano divennero le guaine isolanti che oggi conosciamo. Così che ai primi dell'Ottocento era nato il filo elettrico ancora oggi in uso. Ma qui una rapida osservazione puiò essere fatta tra scienza, uso della scienza e tecnologia. Credo che questo esempio sia emblematico del come le cose funzionano. Ad evitare l'uso esplosivo della pila cosa si sarebbe dovuto fare ? Impedire le ricerche di Volta ? e poi, che dire della ricaduta del filo elettrico come prodotto tecnologico di una applicazione scientifica ?

LA TEORIA DEL POTENZIALE

Come afferma D'Agostino,

"l'importanza della matematizzazione della scienza elettrica che avvenne a cavallo del secolo va al di là della semplice introduzione di metodi quantitativi che si era già avuta, come abbiamo visto, nella seconda metà del '700 - misura delle forze, determinazione di unità di misura, confronto con forze diverse - metodi pur essi abbastanza importanti nel costituirsi di una scienza. Ma l'interesse maggiore della matematizzazione sta qui nell'introduzione, nel campo dei fenomeni elettrici e magnetici, di un modello matematico-fisico, quello delle forze centrali e del calcolo. Questo processo avvenne in Francia intorno al 1820 ed ebbe come massimi rappresentanti Ampère e Poisson".

E' cioè il modello newtoniano, così come si era sviluppato durante tutto il Settecento ad opera dei fisici matematici-francesi, che si afferma attraverso l'affermazione delle forze centrali a distanza come regolatrici di ogni fenomeno ed attraverso la trattazione con l'analisi matematica di tali fenomeni. La legge dell'inverso del quadrato era stata introdotta da Newton e Coulomb l'aveva estesa all'elettricità (mentre Michell lo aveva fatto con il magnetismo). Nessun intermediario nelle azioni. I terminali erano i due oggetti che producevano il fenomeno ed il mezzo interposto era indifferente.

Relativamente alla meccanica, il primo passo era stato fatto da Giuseppe Luigi Lagrange (1736-1813) nel 1777. Egli aveva modellizzato lo spazio, le masse e le forze in modo che la teoria dell'attrazione gravitazionale potesse essere

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Giuseppe Luigi Lagrange

descritta punto per punto, punto al quale si poteva associare una funzione somma di tutte le masse attrattive, divise ciascuna per la distanza da quel punto. Questa operazione matematica definisce il potenziale newtoniano (indicato con V, funzione delle coordinate dello spazio x, y, z) ed è sufficiente per calcolare le forze in gioco punto per punto.

Nel 1782 il potenziale lagrangiano venne ripreso da Pierre Simon de Laplace (1749–1827), il quale dimostrò che V(x,y,z), potenziale gravitazionale

Pierre Simon de Laplace

newtoniano generato da una massa m nello spazio vuoto circostante, è una funzione scalare che soddisfa ad una equazione alle derivate parziali, nota come equazione di Laplace:

Simon Denis Poisson (1781-1840) si occupò del problema principalmente in due memorie una del 1812 e l'altra del 1824. Nell'introduzione alla prima egli afferma:

La teoria dell'elettricità più generalmente accettata è quella che attribuisce i fenomeni a due fluidi differenti che sono contenuti in tutti i corpi materiali. Si suppone che molecole dello stesso fluido si respingono reciprocamente ed attraggono le molecole dell'altro fluido, queste forze di attrazione e repulsione

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obbediscono alle leggi del quadrato inverso della distanza; e alla stessa distanza il potere attrattivo è uguale al potere repulsivo, da cui segue che quando tutte le parti del corpo contengono uguali quantità dei due fluidi, questo non esercita alcuna influenza sui fluidi contenuti nei corpi circostanti e di conseguenza non sono discernibili effetti elettrici

Poisson continua definendo uno stato naturale come equilibrio dei due fluidi, lo stato metallico come quello in cui i fluidi possono muoversi liberamente mentre sono impediti in altri, non conduttori, come aria molto secca etc. Da queste condizioni Poisson deriva i teoremi sulla distribuzione delle cariche; se ad esempio un eccesso di fluido viene comunicato ad un corpo

Siméon Denis Poisson (1781 - 1840)

metallico, questa carica si distribuisce sulla superficie formando uno strato il cui spessore dipende dalla curvatura della superficie, a forza risultante dovuta alla repulsione di tutte le particelle dello strato deve essere nulla in un punto qualsiasi interno del conduttore (ma non sulla superficie), per la condizione di equilibrio precedente. In una memoria del 1813 (Bulletin de la Societé Philomatique) egli estende l'uso dell'equazione di Laplace al caso elettrico. L'equazione di Poisson è:

dove V(x,y,z), in analogia con quanto visto per il caso gravitazionale, rappresenta la somma di tutte le cariche del sistema esterno, divise ciascuna per la distanza da quel punto ed ognuna diversa per la sua distanza dal punto in cui la laplaciana si calcola. L'equazione non è più omogenea (cioè eguagliata a zero) ma dipende dalla densità r della carica elettrica presente nel punto preso in considerazione. Nella stessa memoria Poisson richiama l'attenzione sul fatto che V è una funzione utile nelle ricerche elettriche e che il suo valore sulla superficie dei conduttori deve essere costante.

Il ricondurre l'elettricità ed il magnetismo (come lo stesso Poisson farà in una memoria successiva, quella del 1824: Memoire sur la théorie du magnetisme) sotto l'ala rassicurante del calcolo, darà a queste discipline la dignità scientifica che all'epoca si richiedeva ed aprirà a speculazioni sempre più approfondite e raffinate. Sullo stesso argomento intervennero anche Gauss (1777-1855) nel 1839-1840,

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Johan Carl Friedrich Gauss

Green (Essay on the Application of Mathematical Analysis to Theory of

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George Green

Electricity and Magnetism) nel 1828, Mossotti (1791-1863) nel 1847.

Ottaviano Fabrizio Mossotti

NATURA ELETTRICA DEL MAGNETISMO

L'Ottocento è il secolo del Romanticismo, ed in particolare di Schelling, il fondatore della Naturphilosophie.

Friedrich Wilhelm Joseph Schelling 1775 -1854

Secondo Schelling il meccanicismo fisico non rende ragione dell'esistenza della natura. La concezione meccanicista di materia come un qualcosa di inerte fino a che su di essa non agiscono forze, entità diverse e separate dalla materia è, secondo Schelling, l'ammissione di una discontinuità tra materia e spirito (tra natura e uomo) che non corrisponde alla unità originaria di queste due entità, per esempio, nell'organismo vivente. Schelling sostiene (tra il

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1797 ed il 1799) che è lo spirito (le forze) che si organizza in materia e pone quindi le forze, agenti tra punti inestesi (alla Boscovich), con i loro "conflitti e trasformazioni" alla base dell'esistenza del mondo (dinamismo fisico). Non c'è più materia allora ma c'è una particolare modificazione di una determinata zona dello spazio dovuta appunto ai conflitti ed alle trasformazioni delle forze (spirito) eterne e preesistenti. Questo rifiuto netto del meccanicismo, e più in generale del metodo scientifico, non nasce casualmente in questo periodo.

Le differenti scoperte in ambito elettrico e magnetico, che il meccanicismo non aveva ancora spiegato esaurientemente, avevano aperto campi di indagine e di polemica in cui si inserirono efficacemente le speculazioni romantiche nella loro offensiva generale contro il meccanicismo. Certamente al culmine del meccanicismo, quando l'azione istantanea a distanza lungo la congiungente gli « oggetti » era alla base di tutte le teorie fisiche, nessuno avrebbe pensato di ottenere un qualche risultato progettando esperienze che si ponevano a priori in contrasto con le premesse di principio ed in particolare con quel tipo di azione. È quindi proprio sotto l'influenza ideologica della Naturphilosophie che il fisico danese Hans Christian Öersted (1777-1851) progettò ed effettuò una memorabile esperienza che scosse profondamente l'edificio meccanicista.

Hans Christian Öersted

Per la prima volta, dopo più di 130 anni di rassicuranti azioni 'rettilinee a distanza', veniva evidenziata una azione totalmente differente: un filo conduttore, se disposto parallelamente ad un ago magnetico, vede l'ago ruotare di 90º e disporsi perpendicolarmente al filo, quando in esso viene fatta circolare corrente.

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Esperienza di Oersted

Questo tipo di azione si svolge su di un piano perpendicolare alla congiungente filo - ago e consiste in una rotazione dell'ago medesimo risultando, come dice Oersted, 'circolare'. Oersted, nel condurre l'esperienza, muove l'ago nello spazio circostante il filo e si accorge che, se la rotazione avviene in un senso con l'ago disposto sotto il filo, essa avviene in senso opposto se si dispone l'ago sopra il filo. Per Oersted quindi, le forze magnetiche sono distribuite nello spazio che circonda il filo e, data la simmetria degli spostamenti dell'ago, conclude che le forze magnetiche sono costituite da cerchi "poiché è nella natura dei cerchi che movimenti da parti opposte debbano avere opposte direzioni" (oggi diremmo che le linee di forza del campo magnetico intorno ad un filo rettilineo percorso da corrente, sezionando il filo con un piano ad esso perpendicolare, hanno la forma di circonferenze concentriche al filo).

Questo tipo di azione non è più riconducibile alle forze centrali. Sono proprio le forze secondo un moderno modo di vedere, che riempiono tutto lo spazio e quindi che esistono sia lungo la congiungente filo-ago sia lungo la normale a questa congiungente che rendono possibile la deviazione dell'ago. Lo stesso Öersted sostiene:

« ... Il conflitto elettrico non è racchiuso nel conduttore ma, come abbiamo già detto, è al medesimo tempo disperso nello spazio circostante, e ciò è ampiamente dimostrato da tutte le osservazioni fin qui fatte... ».

Riferendosi poi all'effetto di simmetria da lui riscontrato nel disporre l'ago magnetico al di sopra o al di sotto del filo percorso da corrente dice:

« ... In maniera simile è possibile dedurre da quanto abbiamo osservato che questo conflitto agisce circolarmente perché questa sembra essere una condizione senza la quale è impossibile che la medesima parte del filo di congiunzione, che quando sta sotto il polo magnetico lo fa spostare ad est, lo fa spostare invece ad ovest quando è posta sopra di esso. Perché è nella natura dei cerchi che moti in parti opposte abbiano direzioni opposte... ».

La Naturphilosophie aveva la sua base sperimentale e l'esperienza di Öersted se da una parte si opponeva alle teorie meccaniciste, dall'altra affermava l'esigenza del metodo scientifico (negata da Shelling): le forze o chi per esse preesistono nella « natura » solo se,

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andandole a cercare, le troviamo. Comunque questa osservazione non fu fatta all'epoca e l'esperienza di Oersted suscitò un interesse ed un fermento di ricerca che tanti risultati avrebbero dato allo sviluppo della scienza.

Il quadro concettuale nel quale questa esperienza irrompeva era quello newtoniano che si era affermato a partire dalla scoperta della gravitazione universale (Newton, 1685). Al di là dell'aspetto matematico (proporzionalità tra masse che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri), questa legge

sottintende che:

1) l'azione tra le due masse è rettilinea, avviene cioè lungo la retta che unisce i centri delle stesse;

2) l'azione è a distanza, non ha cioè bisogno di intermediari per agire tra le due masse;

3) l'azione è istantanea, non richiede cioè tempo per propagarsi (essa si propaga quindi con velocità infinita).

Tutto il Settecento visse sotto l'autorevole influsso di Newton e quindi alla ricerca di azioni del tipo di quelle descritte. Così John Michell nel 1750 provò a dare una stessa legge per le forze che si esercitano tra poli magnetici trovando un qualcosa di simile (a parte la definizione dei poli con p):

(proporzionalità tra 'poli' che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della loro 'distanza'), legge che non funziona e Coulomb ricavò (1785) la legge di forza tra cariche elettriche (a parte la definizione della definizione di carica con q):

(proporzionalità tra cariche che interagiscono e dipendenza dall'inverso del quadrato della distanza tra i loro centri), legge che funziona solo a certe condizioni: cariche puntiformi, a grande distanza, …. Insomma tutti i fisici tentavano di trovare leggi alla Newton e nel far ciò avrebbero certamente disposto i loro strumenti di misura 'tra' i due oggetti che andavano ad interagire.

Questo quadro interpretativo, per la verità poco fecondo, viene sconvolto dall'esperienza di Oersted che, come già detto, era un convinto sostenitore di Schelling che in particolare riteneva le forze sparpagliate dappertutto con i loro conflitti e trasmutazioni che creano il mondo.

SEGUITO DELLA STORIA

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Questi argomenti sono stati già da me trattati e non mi ripeto oltre rimandando ad essi(6). Voglio invece sottolineare un paio di cose per capire meglio dove siamo e dove andiamo.

Disponendo di un generatore di corrente continua, come una pila, è possibile mostrare effetti altrimenti impensabili. Naturalmente non bastano gli apparati sperimentali, occorre anche essere guidati da un pregiudizio, in questo caso dal conflitto di forze.

Oersted mostra, in linguaggio moderno, che una corrente elettrica provoca effetti magnetici e Faraday mostrerà che il magnetismo produce elettricità. Da questo momento il magnetismo diventa un capitolo della più generale scienza elettromagnetica (resta sempre lo studio dei fenomeni legati ai materiali magnetici ma sarà piuttosto un problema di struttura della materia). Finché la luce non sarà inglobata nel più generale elettromagnetismo, rendendo l'ottica un suo capitolo. E la misura della sua velocità ci riporterà a vicende meccaniche con conseguenze impensabili ancora alla fine dell'Ottocento.

Il campo di indagine diventa immenso e sarà occupato successivamente dai grandi fisici dell'Ottocento e dei primi del Novecento, tra i quali giganteggiano Ampère, Ohm che formulerà le leggi della corrente fornita da una pila, Faraday, Maxwell, Hertz, W. Thomson, Lorentz, Einstein.

L'INTERVENTO DI AMPÈRE

Tra i primi ad iniziare ricerche per trovare correlazioni tra fenomeni elettrici e magnetici che in qualche modo rendessero meglio conto dell'esperienza di Oersted per cercare di ricondurla nell'ambito delle forze centrali, furono i meccanicisti (Biot, Arago, Ampère ed altri). La memoria di Öersted fu comunicata all'Académie des Sciences di Parigi nel settembre del 1820 da Arago. Subito, in settembre, partirono le prime ricerche sperimentali degli scienziati francesi. In quello stesso mese ed in quelli immediatamente successivi Ampère lesse all'Académie una serie di note in cui riuscì in un impresa da tutti ritenuta impossibile: quella di ricondurre le forze del tipo di quelle osservate da Oersted al caso delle forze centrali.

Prima di passare ad un qualche approfondimento sull'opera di Ampére è bene osservare che, fra le comunicazioni all'Académie ve ne furono due di una certa importanza fatte da Jean Baptiste Biot (1774-1862) e Felix Savart (1791-1841). Anche se non c'è una precisa documentazione scritta, risalente all'epoca

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Jean Baptiste Biot

delle comunicazioni all'Académie, sulle ipotesi e sugli esperimenti da cui mossero Biot e Savart, che permetta un giudizio critico sul loro contributo alla spiegazione

Felix Savart

delle «forze di Oersted », i due fisici riuscirono a fornire una determinazione molto accurata della legge di forza tra corrente ed ago magnetico. Alla determinazione di questa legge, nella sua forma integrale definitiva, contribuì anche Laplace come ricorda Biot:

... Egli(Laplace) ha dedotto matematicamente dalle nostre osservazioni la legge della forza esercitata singolarmente da ogni tratto di filo su ogni molecola magnetica ad esso esposta. Questa forza è diretta, come l'azione totale, perpendicolarmente al piano formato dall'elemento longitudinale di filo e dalla più breve distanza tra questo elemento e la molecola magnetica sollecitata. La sua intensità, come nelle altre azioni magnetiche è inversamente proporzionale al quadrato di questa stessa distanza

Come si vede, anche questa è una legge che ha una grande analogia formale con quella di Coulomb e quella di Newton: l'andamento con l'inverso del quadrato della distanza ed il riconoscimento stesso di un'azione a distanza bastano per ora a far intravedere la presenza rassicurante di Newton e ad allontanare lo spettro delle forze « disordinate » ed « in permanente conflitto ».

Il contributo di Ampère (1775-1836), come è stato già detto, fu più preciso e determinante. Egli nella sua prima nota del 18 settembre all'Académie annunciò la scoperta delle azioni ponderomotrici tra correnti elettriche, nelle immediatamente

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André Marie Ampère

successive illustrò meglio il fenomeno con dovizia di particolari, di sperimentazioni diverse, di interpretazioni teoriche. Seguiamo con un poco di attenzione l'opera di Ampére. Egli studiando l'azione che si esercita tra due correnti (43) scrive (44):

... I due conduttori si trovano così paralleli e vicini l'un l'altro su di un piano orizzontale; uno di essi può oscillare intorno alla linea orizzontale passante per le estremità dei due punti di acciaio, e, in questo movimento, esso resta necessariamente parallelo all'altro conduttore (che è) fisso...

Ampére inizia a studiare due conduttori rettilinei disposti parallelamente ed in grado di muoversi parallelamente l'uno rispetto all'altro. In questo caso si ha attrazione o repulsione (a seconda del verso delle correnti nei due fili). Il problema che Ampére aveva bene in mente era però quello della rotazione dell'ago magnetico di Öersted ed allora egli monta l'esperienza in modo da avere un filo rettilineo fisso ed un altro in grado di ruotare su di un piano parallelo al primo (44):

... Se il conduttore mobile, invece di essere costretto a muoversi parallelamente a quello fisso, è libero soltanto di girare su di un piano parallelo a questo conduttore fisso, intorno ad una perpendicolare comune passante per i loro centri, è chiaro che, secondo la legge che abbiamo appena ammesso per le attrazioni e repulsioni delle correnti elettriche, le due metà di ogni conduttore attireranno e respingeranno quelle dell'altro, secondo che le correnti siano concordi o discordi; per conseguenza il conduttore mobile girerà fino a quando esso arriva in una situazione in cui si trovi parallelo a quello fisso, e in cui le correnti siano dirette nello stesso senso: da cui segue che nell'azione mutua di due correnti elettriche l'azione direttrice e l'azione attrattiva o repulsiva dipendono da uno stesso principio e non sono che effetti differenti di una sola e medesima azione.

Nel caso quindi in cui uno dei due conduttori in esame è libero di ruotare esso tende a disporsi parallelamente al primo. In definitiva, secondo Ampère, due correnti non parallele tendono a disporsi parallelamente. Questo primo ragionamento, confortato dall'esperienza, è il nocciolo su cui si impernia tutta l'ulteriore discussione che porterà Ampère ad ammettere una sostanziale identità tra correnti e magneti. Egli dice:

Non è più allora necessario stabilire tra questi due effetti la distinzione che è così importante fare, come vedremo fra poco, quando si tratta dell'azione mutua

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di una corrente elettrica e di un magnete considerato come si fa ordinariamente in rapporto al suo asse, perché, in questo tipo di azione, i due oggetti tendono a sistemarsi in direzioni perpendicolari tra loro.

L'ipotesi riduzionista di Ampère non può però prescindere da una « teoria » che vada ad interpretare il magnetismo come, appunto, originato da particolari correnti. Ed allora un magnete, ed in particolare un ago magnetico, viene concepito come circondato da correnti che si avvolgono attorno al suo asse risultando perpendicolari a quest'ultimo.

Ampère passa quindi a sottoporre all'esperienza questa ipotesi cominciando a studiare le azioni mutue tra correnti e magneti e tra magneti e magneti:

Esaminerò... l'azione mutua tra una corrente elettrica ed il globo terrestre o un magnete e l'azione mutua di due magneti l'uno sull'altro e mostrerò che esse rientrano l'una e l'altra nella legge dell'azione mutua di due correnti elettriche che ho appena annunciato, concependo sulla superficie e all'interno di un magnete tante correnti elettriche, in piani perpendicolari all'asse di questo magnete, quante si possono concepire linee formanti, senza intersecarsi mutuamente, delle curve chiuse; in modo che non mi sembra molto possibile, dopo il semplice raffronto dei fatti dubitare che non vi siano realmente queste correnti intorno all'asse dei magneti, o piuttosto che la magnetizzazione non consiste che nella operazione per la quale si fornisce alle particelle d'acciaio la proprietà di produrre, nel senso delle correnti di cui abbiamo appena parlato, la stessa azione elettromotrice che si trova nella pila voltaica... .

E questa azione elettromotrice non è rilevabile perché, come osserva Ampère:

... Solamente, poiché questa azione elettromotrice si sviluppa nel caso del magnete tra le differenti particelle di uno stesso corpo buon conduttore essa non può mai... produrre alcuna tensione elettrica, ma solamente una corrente continua rassomigliante a quella che avrebbe luogo in una pila voltaica rientrante su se stessa in modo da formare una curva chiusa (45): è abbastanza evidente... che una tale pila non potrebbe produrre in alcuno dei suoi punti né tensione né attrazioni o repulsioni elettriche ordinarie...; ma la corrente che si stabilirebbe immediatamente in questa pila agirebbe, per orientarla, attirarla o respingerla, sia su un'altra corrente elettrica, sia su un magnete che viene allora considerato come un insieme di correnti elettriche.

E con queste ultime esperienze in connessione con i termini teorici (le ipotesi aggiuntive) Ampère riesce a portare a compimento un'operazione che soltanto un mese prima sarebbe sembrata impossibile: la spiegazione in termini newtoniani dell'esperienza di Öersted. Nel portare a compimento questo «programma » Ampère arriva anche ad una importante conclusione che trascende gli scopi per cui aveva iniziato a lavorare:

E' cosi che si arriva a questo risultato inatteso, che i fenomeni magnetici sono unicamente prodotti dalla elettricità....

Ecco allora su quali ipotesi Ampère trova la legge di forza tra correnti: il magnete è pensato come un insieme di correnti elettriche nei piani perpendicolari alla linea che unisce i poli. Questa ipotesi è dunque necessaria ad Ampère, e non accessoria come sembra dalla lettura di qualche testo od articolo, per ricavare l'azione ponderomotrice tra correnti, per rendere conto dell'esperienza di Öersted e, infine, per ricondurre le « forze in conflitto » all'ordine newtoniano.

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L'introduzione di questa ipotesi spiega bene il perché, contrariamente a due fili percorsi da corrente che tendono a sistemarsi parallelamente, un ago magnetico tende a disporsi perpendicolarmente ad un filo percorso da corrente. Quest'ultimo fenomeno è in realtà analogo a quello dei due fili: sono le correnti che circolano perpendicolarmente al filo e nel far questo portano l'asse del magnete ad essere perpendicolare al filo stesso come mostrato in figura:

L'esperienza di Oersted nell'interpretazione di Ampère

Ampère si rende subito conto però che non è possibile ricavare la legge di forza tra due correnti se non passando attraverso elementi infinitesimi di circuito ed infatti egli trova che:

... L'azione di quelle [correnti] delle quali si possono misurare gli effetti, è la somma delle azioni infinitamente piccole dei loro elementi, somma che si può ottenere con due integrazioni successive, l'una da farsi su tutta la lunghezza di una delle correnti relativamente ad uno stesso punto dell'altra, la seconda da eseguirsi sul risultato della prima integrazione ... su tutta l'estensione della seconda corrente...

Anche qui quindi l'espressione della legge che regola l'azione che si esercita tra due correnti elettriche ha il carattere di azione istantanea a distanza tipico della fisica newtoniana. È questo un trionfo di Ampère. I fluidi imponderabili stessi, che la Naturphilosophie con Öersted aveva allontanato dall'indagine fisica rientrano ora di prepotenza sulla scena impregnando di sé non solo la spiegazione dei fenomeni elettrici ma la costituzione stessa della materia.

Da un punto di vista analitico la formula che ci presenta Ampère è un capolavoro di "imbroglio fisico-matematico" che, in nome dell'eleganza e semplicità newtoniana ci spaccia come azione centrale quella descritta da:

Nella relazione scritta i1 ed i2 sono le correnti che circolano nei due fili, ds1 e ds2 sono gli

elementi infinitesimi dei circuiti 1 e 2, r è il raggio vettore da ds1 a ds2

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Due circuiti e gli elementi che determinano le attrazioni (in questo caso) tra correnti

(questa legge, nella semplificazione di correnti rettilinee, parallele e complanari, è quella nota come azione elettrodinamica tra correnti di Ampère che si studia in ogni corso elementare di fisica: la forza che si esercita su un tratto di filo di

lunghezza s del conduttore è proporzionale, oltre che a tale lunghezza, alle intensità i1 ed i2

delle correnti che fluiscono nei fili ed inversamente proporzionale alla loro distanza r). Provo a spiegare l'imbroglio di Ampère. Nella relazione figura il prodotto tra due correnti e, a meno di costanti, la cosa è formalmente identica a tutte le relazioni che si richiamano alla gravitazione di Newton. Osservando ancora, in modo superficiale, sembrerebbe che l'r che compare al numeratore si debba semplificare con l'r3 che compare al denominatore, di modo che si avrebbe ancora la legge dell'inverso del quadrato. In realtà al numeratore vi è un doppio prodotto vettoriale e vi sono due integrazioni circolari. A conti fatti la relazione non c'entra nulla con quella di Newton, soprattutto perché lo svolgimento dei prodotti vettoriali origina grandezze dipendenti da angoli. E' facile convincersi che mai Newton avrebbe pensato a forze dipendenti da angoli. Il fatto è che vi era una sorta di religione: non si riusciva a tagliare il cordone con Newton. Solo Faraday, probabilmente perché outsider, proveniente non da ambienti accademici, riuscì nell'impresa e demolì ogni interpretazione newtoniana nell'interpretazione dei fenomeni elettromagnetici.

NECESSITA' DI INTERPRETAZIONI MICROSCOPICHE: LA MOLECOLA ELETTRODINAMICA DI AMPÈRE

In verità la prima spiegazione che Ampère dà della costituzione elettrica dei magneti, e che abbiamo appena visto, sarà rivista criticamente un paio di mesi dopo dallo stesso Ampère. Nella seduta dell'Académie del 15 gennaio 1821 Ampère lesse una memoria in cui compare per la prima volta, a fianco delle correnti macroscopiche che si muovono perpendicolarmente su linee chiuse intorno all'asse del magnete, l'ipotesi delle correnti particellari. Ecco quello che Ampère testualmente sostenne:

... Si tratta di sapere se le curve chiuse secondo le quali hanno luogo le correnti

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elettriche che forniscono all'acciaio magnetizzato le proprietà che lo caratterizzano, sono situate concentricamente intorno alla linea che unisce i due poli del magnete, o se queste correnti sono ripartite in tutta la sua massa intorno a ciascuna delle sue particelle, sempre nei piani perpendicolari a questa linea... .

C'era dunque da decidere quale di queste due ipotesi fosse quella esatta. Lo stesso Ampère disse che per fare ciò occorreva attendere finché dei nuovi calcoli e delle nuove esperienze abbiano fornito tutti i dati necessari alla sua soluzione.

A questo punto interviene Agustin Fresnel (1788-1827) con due lettere private ad Ampère per suggerire la soluzione al problema. Fresnel nella prima lettera

Agustin Fresnel

confronta, su base sperimentale, le due ipotesi di correnti intorno all'asse del magnete e di correnti intorno a ciascuna molecola ed arriva alla conclusione che è più verosimile quest'ultima ipotesi. Nella seconda lettera precisa ulteriormente questo concetto sostenendo:

... è facile vedere che, supponendo le correnti di uguale intensità intorno a tutte le particelle che si trovano lungo una barra magnetizzata, l'azione dovrà emanare solo dalla superficie che delimita la barra a ciascuna delle sue estremità, perché le azioni laterali di tutte le particelle costituenti la barra si neutralizzeranno dappertutto tranne che nei lati esterni delle particelle che si trovano alla estremità... .

Riporto, in figura, una sezione di un magnete cilindrico inteso costituito da molecole di Ampère:

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L'ipotesi del magnetismo di Ampère

E' da notare che Ampère sviluppò anche una teoria sul magnetismo terrestre basata sul fatto che dovevano esservi delle correnti circolanti da Est ad Ovest sulla Terra.

Da questo punto in poi Ampère userà sempre l'ipotesi di molecola circondata da una corrente elettrica. Questa molecola elettrodinamica di Ampère è d'importanza fondamentale: è la prima volta che si passa dalla concezione di correnti infinitesime, senza realtà fisica, che servono solo per ricavare relazioni matematiche, a correnti reali, anche se ipotetiche, che circondano le molecole costituenti il magnete. Questa concezione riduzionista di Ampère è in linea con i tempi e risulterà di estrema importanza per gli sviluppi futuri delle teorie sulla costituzione degli atomi e dei magneti.

A margine della discussione dei fondamenti della scienza elettromagnetica vi erano altre questioni che si ponevano a seguito della scoperta della pila e dell'esperienza di Oersted.

La prima questione riguarda questa nuova grandezza che la pila originava, il passaggio con continuità del fluido elettrico o di quel che si vuole attraverso dei conduttore e, di conseguenza, la necessità di trovare qualcosa connesso a tale passaggio da misurare ed il relativo strumento di misura. A quest'ultima esigenza veniva incontro in modo indiretto l'esperienza di Oersted. Conosciuta l'esperienza furono Ampère e Laplace che si accorsero di un effetto notevole che si ricavava da essa: se un filo percorso dal fluido elettrico passa sopra e poi sotto l'ago, si ha un effetto somma della corrente nel senso che si moltiplica la sua azione sull'ago. Tale eventualità fa si che anche debolissimi fluidi elettrici transitanti in un filo possono essere rilevati dallo spostamento di un ago magnetico. Si tratta delle scoperta del principio che porterà alla costruzione dei primi galvanometri (misuratori di deboli correnti) e dei primi, come successivamente furono chiamati, amperometri (misuratori di correnti qualunque). Osservo tra parentesi che al fisico francese sono dovuti molti neologismi elettrici tra cui: galvanometro, elettrostatica, elettrodinamica, solenoide, ... In particolare, anche il termine corrente elettrica è dovuto a lui. Quando infatti presentò la sua legge sulle azioni elettrodinamiche, prima si espresse in termini di attrazioni e repulsioni voltaiche e successivamente in termini di attrazioni e repulsioni tra correnti elettriche.

Fu il fisico tedesco Johann S. Schweigger (1779-1857) che in quello stesso

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Johann S. Schweigger

anno realizzò uno strumento che moltiplicava ancora di più gli effetti di debolissimi flussi di fluido elettrico facendo passare il filo più volte intorno all'ago mediante il suo arrotolamento su un telaietto rettangolare.

Moltiplicatore di Schweigger

L'apparato fu ulteriormente migliorato l'anno successivo dallo stesso Ampère che riuscì a togliere gli effetti di orientamento dell'ago sotto il campo magnetico terrestre con il sistema statico (due aghi magnetici collegati rigidamente e disposti con le polarità invertite). Ma il migliore strumento dell'epoca (1825) fu realizzato dal modenese Leopoldo Nobili (1784-1835) che ebbe l'idea di sospendere il

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dispositivo astatico ad un filo sottile (anziché mantenerlo poggiato su una punta),

Galvanometro di Nobili da www.ct.infn.it/~museo/NOBILI.HTM

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Sistema astatico utilizzato da Nobili

aggiunse una campana di vetro per proteggere l'apparato da eventuale aria e sistemò al di sotto dell'ago una scala graduata(7).

GEORG SIMON OHM

Con Volta era stato introdotto il concetto di differenza di tensione. Con Ampère quello di intensità di corrente addirittura con una definizione operativa che permetteva di risalire alla sua misura attraverso quella di una forza ed alcune lunghezze. Cavendish aveva iniziato a definire il grado di elettrizzazione di un conduttore e subito Poisson aveva legato questo concetto a quello di potenziale di Lagrange e Laplace. Restava da capire la relazione esistente tra differenza di tensione o differenza di potenziale ed intensità di corrente. Intendo dire una precisa relazione, perché alcune dipendenze erano state trovate: Priestley nel 1767 aveva tentato di realizzare esperienze per evidenziare le differenze, come diremmo oggi, di conducibilità per diversi metalli; Davy, in modo indiretto, aveva mostrato che la conducibilità di un filo è indipendente dalla sua forma e proporzionale al quoziente della sua sezione per la sua lunghezza; Stefano Marianini (1790-1866) aveva osservato che aumentando il numero degli elementi di una pila a colonna non si accresce sensibilmente l'effetto elettromagnetico sull'ago e ne aveva dedotto che ogni elemento bimetallico della pila deve rappresentare un ostacolo al passaggio della corrente. Non si conosceva altro agli inizi degli anni Venti dell'Ottocento. Inoltre, come osserva Gliozzi, vi era un atteggiamento strano verso gli elementi conduttori: tentare di studiarli è perdere del tempo su elementi passivi, con astruserie senza scopo; e gli scienziati non se ne occupavano. Inoltre, vi erano seri problemi nelle determinazioni quantitative che nascevano dall'inaffidabilità di caratteristiche delle pile, che ancora soffrivano di fenomeni come l'ossidazione degli elettrodi che ne variavano le caratteristiche con il tempo e dalla mancanza di affidabili strumenti di misura ma anche dalla comprensione complessiva dei fenomeni.

Da un lato si procedeva quindi al perfezionamento ed alla creazione di strumenti sempre più affidabili (come già visto) e dall'altro si aprì alle ricerche su pile con caratteristiche diverse (anche qui come già visto). Un tipo speciale di pila che non sfruttava la presenza di conduttori di seconda specie (l'acqua acidulata), quelli che creavano i problemi, fu realizzata, come accennato, dal fisico di origine estone Thomas Johann Seebeck nel 1821, 1823 e 1826 (Ueber den magnetismus

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Seebeck

der galvenische kette, Abh. K. Akad. Wiss., Berlin, 289, 1821; Magnetische polarisation der metalle und erze durck temperatur-differenz, Abh. K. Akad. Wiss., Berlin, 265, 1823; Ann. Phys., - Leipzig - [2], 6, 1, 1826). Seebeck scoprì che se in un circuito aperto composto da due conduttori diversi (ferro e platino o bismuto ed antimonio) si portano i punti di contatto a differenti temperature, alle estremità libere dei conduttori si osserva un tensione elettrica che è quasi proporzionale alla differenza di temperatura tra i punti di contatto. Se tali estremità libere si uniscono con un conduttore vi è il passaggio di una corrente elettrica che fa muovere un ago magnetico (osservo che tale apparato ha avuto ed ha importanti applicazioni utilizzato alla rovescia, come un termometro sensibilissimo)

Con questo appartato si disponeva di una pila che fornisse una corrente costante.

Georg Simon Ohm (1787-1854) iniziò ad occuparsi di elettricità nel 1825. Le sue ricerche furono guidate dall'opera di Jean Baptiste Joseph Fourier (1768-

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Joseph Fourier

1830) La théorie analytique de la chaleur (1822). Egli si muove sviluppando l'analogia tra flusso di elettricità e flusso di calore, in un'epoca nella quale ancora, l'elettricità era intesa come un fluido allo stesso modo del calore. E come nel caso del calore, il suo flusso è determinato da differenze di temperatura, nel caso elettrico, il flusso di corrente è determinato da differenza di forza elettroscopica (o elettromotrice), come Ohm chiama la differenza di tensione o di potenziale. Nel suo primo lavoro (Schweiggers Journal für Chemie und Physik, Vol. 44, 1825), in cui si servì di una pila di Volta, della quale denunciò l'incostanza (e che l'anno successivo, su suggerimento di Poggendorf, sostituì con pile sfruttanti l'effetto Seebeck ed utilizzanti la coppia metallica rame bismuto) egli cercò una relazione fra la "perdita di forza" riscontrabile nei conduttori e la loro lunghezza, proponendo una scala della conducibilità che inizia con il rame e termina con il piombo. Le sue esperienze sono classiche: inseriva tra due punti di un circuito elettrico dei fili conduttori di medesimo diametro e sostanze diverse; dato un determinato materiale conduttore egli ne variava la lunghezza fino ad ottenere il passaggio della medesima corrente. La pila che si polarizzava gli fece trovare una legge logaritmica, diversa da quella oggi nota. Ripetendo le esperienze con una pila

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Georg Simon Ohm

termoelettrica e con uno strumento di misura del tipo bilancia di torsione di Coulomb (vedi figura), l'anno successivo (Schweiggers Journal für Chemie und

Physik, Vol. 46, 1826), Ohm stabilì una delle sue leggi che ci offrì nella formulazione seguente:

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dove X indica l'intensità dell'effetto magnetico sul conduttore di lunghezza x, a e b sono costanti che dipendono rispettivamente dalla forza eccitatrice e dalla resistenza delle altre parti del circuito.

Ohm era un metodico sperimentatore e ripeté più volte le sue esperienze variando tutti i parametri disponibili (la coppia termoelettrica ed i fili conduttori che oggi chiameremmo resistenze come proprio Ohm iniziò a fare). La legge era quella appena fornita e, se in essa consideriamo che X rappresenta l'intensità della corrente, a la forza elettromotrice e b + x la resistenza complessiva del circuito (resistenza interna più esterna), riconosciamo subito la legge di Ohm che oggi conosciamo. Abbiamo così una legge quantitativa molto precisa ed una nuova nomeclatura non equivoca: si definisce resistenza, resistività, conducibilità, ... Questa memoria di carattere eminentemente sperimentale passò quasi del tutto inosservata (come del resto la successiva di carattere molto più teorico).

In una memoria del 1827 "Die galvanische Kette, mathematisch bearbeitet" (Teoria matematica del circuito galvanico), Ohm ripresenta, in modo organizzato, tutti i dati empirici da lui raccolti basandosi su tre "principi fondamentali" che identifica nel passaggio dell'elettricità da un corpo all'altro, nella perdita dell'elettricità attraverso superfici infinitesime di conduttori e nella differenza di potenziale nei contatti fra corpi diversi, giungendo ad equazioni però fortemente generalizzate. In questa memoria Ohm definisce la tensione o forza elettromotrice nel modo seguente: quando due corpi si toccano si stabilisce nel punto di contatto una differenza costante fra le loro forze elettroscopiche (sembrerebbe che con il termine forza elettroscopica Ohm si riferisse alla densità di carica elettrica). La sua formula è ricavata in forma differenziale ma resa comprensibile ai più attraverso la sua semplificazione in termini finiti su particolari circuiti esemplificativi. Osservo tra parentesi che l'unità di misura di resistenza divenne l'ohm, così, come accennato, quello di corrente, l'ampere e quello di differenza di potenziale volt.

Ci vollero dieci anni perché questi fondamentali lavori non fossero più derisi e venissero presi sul serio (Poggendorf, Fechner che la verificò nel 1829, Pouillet che la verificò nel 1837, Lenz, Wheatstone, Henry, Matteucci). Solo nel 1845, Kirchoff identificò la forza elettroscopica di Ohm con il potenziale elettrico di Poisson e Green. Si aprì poi un grande filone di ricerca con lo studio delle reti e delle sue leggi.

CONCLUSIONE

A lato della gran mole di risultati sperimentali e delle speculazioni teoriche che necessariamente entreranno in questioni relative alla costituzione della materia, ad iniziare dalla molecola elettrodinamica di Ampère fino ad arrivare alla scoperta dei componenti dell'atomo che si compì, per ciò che qui interessa, con la scoperta dell'elettrone fatta da J. J. Thomson nel 1897, vi saranno imponenti ricadute tecnologiche che sono alla base del mondo in cui oggi viviamo (dai processi industriali, alla corrente, all'illuminazione, alla radio, all'elettrochimica che trovò in Faraday il primo sistematore, ad ogni dispositivo elettrico che è entrato nelle case di ciascuno).

Ma vi è dell'altro da sottolineare ed è questione di primaria importanza. Con la pila è a

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disposizione degli scienziati uno strumento che trasforma, oggi diremmo, energia. E' un altro strumento a disposizione a fianco di varie macchine, di processi chimici e di calore. Proprio la trasformabilità di elettricità in calore o in lavoro meccanico aiuterà alla comprensione del fondamentale principio della fisica che è il principio di conservazione dell'energia che Helmholtz enunciò in forma chiara nel 1847. Fu lo stesso Volta a mostrare delle perplessità quando aveva sostenuto:

cette circulation sans fin du fluide électrique (ce mouvement perpetuel), peut paroitre paradoxe, peut n'étre pas explicable: mais elle n'en est pas moins vraie et réelle, et on la touche, pour ainsi dire, des mains.

Insomma sembrava paradossale che una pila fornisse energia senza che qualche altra cosa venisse meno, ma il fatto era lì tanto che già Sadi Carnot (1796-1832) aveva detto cose di grande rilievo a chi parlava della pila come di un apparato in grado di dare della "forza" con continuità (Réflexions sur la puissance motrice du feu et sur les machines propres a developper cette puissance, 1824). Diceva Carnot che è impossibile:

non seulement le mouvement perpetuel, mais une création indéfinie de force motrice sans consommation ni de calorique ni de quelque autre agent que ce soit

qualcosa da qualche parte doveva consumarsi per far funzionare la pila. Aggiungendo:

L'on a regardé quelquefois l'appareil électromoteur (la pile de Volta) comme capable de produire le mouvement perpetuel; on a cherché a réaliser cette idèe en construisant des piles sèches, prétendues inaltérables. Mais, quoi que l'on ait pu faire, l'appareil a toujours éprouvé des détériorations sensibles, lorsque son action a été soutenue pendant un certain temps avec quelque énergie

e quindi l'esperienza giocava sempre nel senso delle pile che, dopo un poco, si deterioravano. Vi erano molti aspetti da riguardare, ad esempio sulla natura elettrochimica o fisica dei fenomeni con l'aggancio alla scienza del calore in auge per la sua applicazione alle macchine della rivoluzione industriale, problemi giganteschi alla soluzione dei quali troviamo tutti i fisici dell'Ottocento. Ed anche la chimica, che si attardava su posizione antiche quando non addirittura sull'alchimia, trasse dalla pila l'opportunità reclamata da Kant di divenire scienza proprio perché finalmente aveva spazio l'analisi matematica.

Insomma vi è un convergere di molte ricerche che nascono da campi apparentemente diversi. E, mentre si scoprono delle unità, si aprono molti campi d'indagine su argomenti insospettati. E' la scienza che procede in modo non lineare, per provocazioni successive, per errori e negazioni, per stimoli sociali e per esigenze produttive. Certamente senza bavagli di sorta come qualcuno, ancor oggi, tenta di fare in Italia.

NOTE

(1) La trascrizione delle parole greche risulterà in gran parte priva di accenti e spiriti perché il computer non mi permette queste opzioni.

(2) Si sa per certo che i cinesi, nel VII secolo, abbiano viaggiato da Canton all'Eufrate, viaggio che appare impossibile senza l'uso della bussola. Verso il 1190 Guyot de Provins descrive una bussola (di

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quelle a galleggiamento dell'ago magnetico) usata dai cinesi nel 1111.

(3) Il fatto che quella di Flavio Gioia fosse una leggenda fu stabilito in un Congresso di Storia che si tenne a Roma nel 1903.

Si noti che non fu data in Italia soverchia importanza alla bussola almeno fino al XV secolo per il fatto straordinario che essa era ritenuta uno strumento della magia nera.

Per parte sua il cardinale di Cusa (Niccolò Cusano) assegnava a questa "azione a distanza" proprietà mistiche che diventavano teologiche. Marsilio Ficino, alla pari di Talete, assegnava un'anima al magnete. Fracastoro individuava una simpatia tra affini. Cardano la rivelazione della vita nell'inerte mondo minerale. Gli occultisti, come Agrippa, individuavano nel magnetismo la presenza di potenze misteriose, di spiriti, ...

(4) Anche Brunetto Latini, nel suo Tesoro del 1260/1266, parla della bussola. Osservo che una sospensione alla Cardano era già nota tra i meccanici alessandrini, particolarmente in Filone.

(5) Altri autori che scrissero sulla bussola all'epoca furono: Vincenzo di Beauvais e Alberto Magno. Dall'osservazione che i due scrissero sotto l'influenza di Gherardo da Cremona che era stato uno dei massimi traduttori di scritti dall'arabo tra cui il Libro del tesoro dei mercanti sopra la conoscenza delle pietre (di Baylak al-Qabagaqi del 1292) nel quale vi è la prima descrizione nota della bussola per navigazione (un sughero galleggiante con infilzato un ago di ferro magnetizzato per induzione).

(6) Lucera dei Pagani, in provincia di Foggia.

(7) Tra il secolo XV ed il XVII vi furono molti perfezionamenti legati alla navigazione e particolarmente agli strumenti della navigazione, con particolare riferimento alla bussola.

Già nel viaggio verso le Indie Colombo di rese conto di un fenomeno già osservato in terra da costruttori di meridiane solari (e certamente noto ai marinai che erano molto più interessati alla cosa), la declinazione magnetica (l'angolo formato dal meridiano magnetico con quello geografico nel luogo d'osservazione, angolo che varia proprio da luogo a luogo e rende complessa l'individuazione del Nord). Il fenomeno era certamente noto perché verso la metà del XV sec. a Norimberga venivano fabbricati dei quadranti solari portatili, che si orientavano mediante l'uso di una bussola e sui quali erano segnate le correzioni dovute alla declinazione. Colombo ebbe modo di notare queste variazioni ed addirittura l'inversione delle correzioni che si conoscevano, poiché nella sua rotta aveva attraversato l'Equatore. Gliozzi osserva che la vicenda delle declinazione non fu osservata dall'ottimo sperimentatore Pierre de Maricourt solo perché all'epoca non doveva esistere in Italia. Infatti, e la cosa fu scoperta dopo lunghe osservazioni in un medesimo luogo da Henry Gellibrand nel 1634, la declinazione magnetica varia anche nel tempo in un medesimo luogo. Ignorando quest'ultimo fatto i navigatori credettero fino a tutto il XVIII secolo di aver risolto con la conoscenza della declinazione magnetica in ogni luogo il problema della determinazione della longitudine di quel luogo. Da questa credenza totalmente errata fu elaborata la prima carta magnetica da parte del missionario gesuita Cristoforo Borri e pubblicata nell'opera perduta De arte navigandi. Noi conosciamo tale carta perché riportata da A. Kircher nella sua Magnes sive de Arte Magnetica del 1643. La prima carta magnetica in originale che conosciamo è quella redatta dal famoso astronomo inglese Edmund Halley nel 1701.

G. Hartmann (1544) e poi, più correttamente, R. Norman (The New Attractive, 1576), scoprirono l'inclinazione magnetica, sospendendo un ago magnetico a un asse orizzontale passante per il suo centro di gravità, si accorsero che l'ago punta, con vari angoli, a seconda del luogo, verso il suolo. E' doveroso notare che questa scoperta richiede osservazioni molto accurate poiché la piccola inclinazione che subisce l'ago in una normale bussola può essere facilmente attribuita ad una dissimmetria della sospensione dell'ago sul suo asse. Per osservare con precisione il fenomeno occorre avere un ago non magnetizzato e sospenderlo sull'asse orizzontale in modo che risulti perfettamente in equilibrio. A questo punto si magnetizza e si osserva l'angolo di inclinazione che è comunque piccolo (intorno ai 10°).

(8) Mary B. Hesse ricorda molte delle analogie cui fa espressamente riferimento Gilbert in apertura del suo lavoro. Non si pensi però di trovare le analogie della fisica ottocentesca. Riporto il brano di Hesse che riporta le analogie di Gilbert:

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Gilbert inizia compendiando le opinioni degli antichi e dei suoi predecessori immediati, gli autori del Rinascimento, a proposito delle qualità attrattive dei corpi elettrici e della magnetite. Egli cita varie similitudini per l'attrazione: negli inni orfici si dice che "il ferro è attratto dalla magnetite come dalle braccia dello sposo è attratta la sposa"; Aristotele pensava che la calamita fosse animata; tra gli autori del Rinascimento, Marsilio Ficino, Paracelso e altri attribuiscono il magnetismo al potere delle stelle e in particolare le proprietà della bussola alle stelle che sono in prossimità del polo celeste, "nello stesso modo in cui talune piante seguono il sole, come fa l'eliotropio"; Cornelio Gemma ritiene che la magnetite attragga per mezzo di raggi insensibili, "alla quale opinione egli aggiunge una storia di un pesce succhiatore e un'altra su un'antilope"; Giambattista Porta parla di una lotta, nella magnetite, tra il ferro e la pietra: "il ferro, che potrebbe non essere soggiogato dalla pietra, desidera la forza e la compagnia del ferro, che non essendo in grado di resistere da solo, può riuscire a difendersi se riceve un aiuto maggiore"; cosi la magnetite attrae il ferro o un altro pezzo di magnetite a causa del suo ferro, mentre non attrae le pietre prive di ferro. Cardano spiega l'attrazione dell'ambra come quella di una sostanza secca imbevuta di un umore untuoso, ma Gilbert gli obietta che non c'è un accrescimento nell'ambra né una diminuzione nel corpo attratto. Altri autori parlano semplicemente di un'attrazione derivante dalla "natura essenziale" della magnetite, affermando che essa muove il ferro verso la sua "perfezione" come i corpi si muovono verso la terra, e asserendo che "il ferro è trasportato da una brama miracolosa ... a unirsi col proprio principio." Gilbert ha qualche rispetto per l'opinione di Tommaso d'Aquino, il quale suggerisce che la magnetite dia una certa qualità al ferro. "Col suo divino e chiaro intelletto," dice Gilbert, "egli ci avrebbe insegnato molto di più se avesse avuto pratica di esperimenti magnetici" [davanti alla fede si perde la ragione, ndr]. Gilbert oppone alla teoria tradizionale dell'attrazione del simile per il simile le obiezioni ovvie. Non è vero che il simile attragga il simile, "come la pietra la pietra, la carne la carne né qualsiasi altra cosa al di fuori della classe del magnetismo e dell'elettricità." D'altra parte, tutti i tipi di corpi sono attratti dall'ambra. È vero che la magnetite attrae la magnetite e che il ferro eccitato attrae il ferro, ma è erroneo ricorrere a questi fenomeni, come fanno alcuni medici, per dimostrare la validità della teoria di Galeno secondo cui i purganti e i medicamenti usati per tirare fuori i veleni agiscono in virtù della somiglianza tra sostanze. L'azione dei farmaci è del tutto diversa da quella dei corpi magnetici. Gilbert dedica però la massima attenzione alle spiegazioni meccanicistiche dei Greci. Egli è in disaccordo nei loro confronti ma ritiene che siano degni di una confutazione esplicita, talvolta per mezzo di esperimenti progettati con accuratezza. Egli cita la teoria degli ippocratici secondo cui l'attrazione avrebbe luogo a opera del calore e dimostra sperimentalmente che non ha alcun fondamento. Se ci si limita a riscaldare l'ambra col fuoco, o se addirittura le si fa prender fuoco, essa non attrae pagliuzze, ma le attrae soltanto se viene strofinata. Molti altri corpi non attraggono affatto, né quando vengano riscaldati dal fuoco né quando siano strofinati, benché una fiaccola accesa o un ferro o un carbone incandescenti attraggano e consumino aria. L'attrazione delle coppette mediche non è dovuta al calore ma alla rarefazione dell'aria all'interno di esse. Né il sole attrae umori dalla terra, limitandosi invece a rarefarli e a convertirli in aria, la quale si solleva al di sopra dell'aria circostante, più densa. Inoltre varie teorie atomistiche implicano che le attrazioni elettriche e magnetiche abbiano luogo mediante il moto dell'aria e l'aspirazione che ne risulta. Nel caso del magnetismo, Gilbert rifiuta questa spiegazione dimostrando che nulla di corporeo passa tra il magnete e il ferro; e nel caso dell'attrazione elettrica la confuta ricorrendo a un esperimento con una fiamma di candela, la quale non è disturbata dalla presenza di un pezzo d'ambra dotato di un forte potere attrattivo, come avverrebbe invece se l'ambra producesse una forte corrente d'aria. Plutarco e altri avevano suggerito che l'ambra emette un sottile effluvio che rarefa l'atmosfera nelle sue vicinanze, cosicché altri corpi sono spinti verso di essa dall'aria più densa. Gilbert obietta però che in questo caso ci si dovrebbe attendere il trascorrere di un po' di tempo prima dell'inizio del moto, e che questo dovrebbe rallentare al diminuire della distanza tra i corpi, che un corpo non sarebbe attratto verso l'alto da questa forza e che il potere di attrarre scomparirebbe ben presto dopo lo strofinamento. Nessuno di questi effetti è stato osservato: il moto comincia subito, è più rapido quanto più i corpi sono reciprocamente vicini e un corpo elettrizzato conserva per molto tempo dopo essere stato strofinato il potere di attrarre corpi leggeri. Infine, egli dice, "lasciamo ai tarli e ai vermi" le opinioni degli aristotelici che attribuiscono il magnetismo "ai quattro elementi e alle qualità prime." L'esposizione che Gilbert fa delle teorie dei suoi predecessori indica la varietà di argomentazioni che era corrente all'inizio del secolo, e i suoi propri commenti in proposito

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sono buoni esempi del metodo di ipotesi e sperimentazione che si sarebbe imposto ben presto. Le teorie da lui suggerite attestano la stessa accurata attenzione all'esperimento e dimostrano ugualmente che non era ancora giunto il tempo di mutamenti radicali nel tipo di ipotesi; egli continua infatti a spiegare l'attrazione elettrica in termini di effluvi e di una tendenza naturale di tutte le cose a unirsi, e il magnetismo in categorie animistiche ancora più antiche. Dimostrato che l'attrazione elettrica non è dovuta al moto dell'aria, Gilbert asserisce che qualcosa deve nondimeno passare tra i corpi, e parla in proposito di un "respiro" emanante dal corpo che esercita l'attrazione; questo respiro raggiunge un corpo che si [trovi all'interno del raggio d'azione degli effluvi e unisce i due. La tendenza naturale di tutte le cose a unirsi è un principio da lui attribuito a Pitagora, e pare che secondo lui sia questa una spiegazione sufficiente della coesione tra corpi e del moto verso un corpo dotato del potere di attrarre, una volta che i suoi effluvi [vengono percepiti. Ma tra gli effluvi dev'esserci un contatto reale: "Poiché, dal momento che nessuna azione può aver luogo per mezzo di materia se non attraverso un contatto, se questi corpi elettrici non si toccano, è inevitabile che qualcosa passi dall'uno l'altro, qualcosa che possa esercitare uno stretto contatto ed essere l'inizio di tale eccitazione.

(9) E' solo un mio sospetto ma lo riporto lo stesso. Probabilmente influì in Galileo la conoscenza e l'ammirazione per Bruno di Gilbert. Non occorre dimenticare che Galileo lavorava vicino agli Stati Pontifici in una Italia che viveva già sotto il terrore della repressione dell'Inquisizione.

(10) Si veda l'Edizione Nazionale delle opere di Galileo, pagg. 426-441.

(11) Non farò un discorso lungo, anche se la cosa lo meriterebbe, ma devo almeno accennare allo sciovinismo degli storici francesi che assegnano a Descartes ogni merito nella rivoluzione scientifica dell'età barocca (in proposito rimando ad un mio articolo che si può trovare nel sito: Alcuni elementi di giudizio su Galileo). E' davvero insopportabile leggere queste cose e vedersi spacciare Descartes come il padre del razionalismo. Io non concordo in alcun modo. A parte il suo essere un bigotto conservatore, Descartes orecchia qua e là (Marsenne) e non ne azzecca una nell'ambito della Filosofia della natura. Si cerchino divagazioni fantasiose come quelle che propongo nel testo in Galileo, si cerchi ad esempio una qualche influenza divina nei fatti naturali. Non si troverà nulla! Ciò che dispiace è che i filosofi che seguirono, in nome di Galileo, tradirono di molto il suo spirito. Solo in Huygens si ritroverà un vero galileiano, lo stesso Newton (anch'egli mago, bigotto ed alchimista) metterà Dio all'interno del mondo a regolare il moto dei pianeti con spintarelle adeguate quando qualcuno di essi ne avesse avuto bisogno.

(12) Hauksbee si occupò anche di uno strano fenomeno che era stato scoperto nel 1675 dall'abate Picard in Parigi. Questi trasportava al buio un barometro e, ad ogni scossone del mercurio nel vetro che lo conteneva, aveva notato una luce azzurrognola proveniente dall'apparecchio. Non vi furono spiegazioni possibili ad un fenomeno che anticipava di molto la scarica nei gas rarefatti.

(13) La terminologia in uso a quei tempi era molto varia. In particolare si parlava di corpi coibenti o coercenti (in quanto la parte elettrizzata rimane confinata alla zona strofinata), idroelettrici (nel senso di elettrici per sé stessi) o elettrici per origine o semplicemente elettrici. Comune era anche il termine non conduttori. Si parlava anche di corpi simperielettrici (elettrizzati da altri), deferenti, propagatori o semplicemente non elettrici. Questa varietà di espressioni creava anche non poche confusioni.

(14) Gianni Bonera, Il caso dell'elettricità: dalle origini a Volta, Dipartimento di Fisica ‘A. Volta’, Università di Pavia in: http://ppp.unipv.it/PagesIt/6Dif/6Videoconf/2VideoC.htm.

(15) Le foto di molte macchine elettriche originali o ricostruite si possono trovare in http://www.sparkmuseum.com/FRICTION.HTM http://www.sparkmuseum.com/FRICTION_HIST.HTM http://brunelleschi.imss.fi.it/museum/isim.asp?c=500080

(16) Altre macchine furono realizzate in quel periodo, come quella di Martinus van Marum (1750-1837) del 1784, con dischi in vetro di 165 cm di diametro (con un condensatore di 21 metri quadrati costituito da una batteria di bottiglie di Leida, in grado di produrre 300 scariche al minuto (circa 60kV) e scintille lunghe 60 cm e larghe fino a 40 cm. Ma quella di maggior successo fu costruita nel

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1766 da Jesse Ramsden (1735-1800). Egli sostituì al cilindro di vetro un disco della stessa sostanza strofinato da quattro cuscinetti. Da allora la macchina di Ramsden rimase in voga per circa un secolo, perfezionata da John Cuthbertson (1743-1806), e fu la prima macchina elettrica largamente conosciuta ed utilizzata. Fra due sostegni di legno, si trova un disco, P, di vetro (diametro 0,5 m), fissato per il suo centro ad un asse che si fa ruotare per mezzo di una manovella M. Questo disco è compreso fra quattro strofinatori o cuscinetti di stoffa, fissi, impregnati di amalgama di Zinco e Solfuro di stagno. Nella direzione del suo diametro orizzontale il disco passa fra due tubi di ottone, curvati a ferro di cavallo, detti pettini, dotati di punte collocate ai lati e dirimpetto al disco. Questi pettini sono connessi a voluminosi tubi di ottone, C , di elevata capacità, detti conduttori, collegati per mezzo di un tubo di ottone di diametro minore.

Schema della macchina elettrica di Ramsden

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Foto della macchina elettrica di Ramsden

Il disco di vetro, messo in rotazione, si elettrizza positivamente per strofinio nella zona di contatto delle due coppie di cuscinetti. Questi ultimi, collegati con il suolo, D, perdono immediatamente la loro carica negativa. L’ elettricità positiva del disco agisce per induzione sui conduttori ed attrae le cariche negative che, attraverso i pettini, vanno a combinarsi con l’elettricità positiva del vetro e la neutralizzano. I conduttori, nelle loro parti più lontane, restano carichi positivamente e possono trasmettere la propria carica ad altri conduttori per mezzo di eccitatori o collegamenti metallici.

L'ultima della serie di macchine elettrostatiche è quella di James Wimshurt (1832 - 1903) del 1893.

Macchina elettrostatica di Wimshurt

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La macchina consta di dischi eguali, di ebanite o di vetro ricoperto di gomma lacca, paralleli e vicini, girevoli sullo stesso asse in senso contrario, e muniti sulle facce esterne di strisce o vettori di stagnola, radiali ed equidistanti. I dischi sono a contatto, in un piano orizzontale, con due collettori A e B della elettricità di induzione, piegati ad U, armati di punte (pettini) e comunicanti coi poli della macchina. Essi sono costruiti mediante due aste metalliche terminanti con due sferette C e D, la cui distanza può essere variata a volontà (spinterometro). Vi sono poi due bracci conduttori, disposti diametralmente ai dischi e fissati al centro, inclinati di 45° e 60° sulla linea dei pettini (i quali poggiano leggermente sulle strisce di stagnola mediante pennellini che, per strofinio, danno elettrizzazione alle superfici di stagnola). Questa macchina è la più atta più atta per ottenere elettricità ad alto potenziale, mediante strofinio ed induzione. Durante la rotazione dei dischi, le strisce radiali, che vengono debolmente elettrizzate per strofinio, inducono sui pettini con i settori di stagnola grandi quantità di cariche elettriche, le quali, tramite i conduttori, creano tra le sferette dello spinterometro una notevole d.d.p. (20000 volt). Vengono accoppiati alla macchina condensatori cilindrici che servono ad aumentare la capacità della macchina. Aumentando il numero dei dischi si possono raggiungere d.d.p. di 250000 volt e scintille di 40 cm. Le macchine elettrostatiche di Whimshurst sono sorgenti di elettricità ad alto potenziale, sì, ma con piccole intensità di corrente.

(17) Von Kleist, sembra per curarsi, stava elettrizzando dell'acqua. Per far ciò aveva immerso nell'acqua di una bottiglia un chiodo che attraversava il tappo. Teneva la bottiglia in mano facendo toccare il chiodo alla sua macchina elettrica. Staccata la bottiglia dalla macchina, si accorse che, passando vicino ad un oggetto non isolato, scoccò una grande scintilla. Allora egli prese in mano l'oggetto non isolato per osservarlo e, nel far questo, subì una violenta scossa. Il fatto che egli manteneva la bottiglia nella mano gli fece ipotizzare una qualche influenza del corpo nell'insorgere del fenomeno. Fu poi Musschenbroek che mostrò l'indipendenza del fenomeno dal corpo umano.

(18) Appena la notizia si diffuse vi furono varie altre persone che rivendicarono la scoperta del fenomeno. Nel 1744 il fisico tedesco Georg Matthias Bose, nel Wittenberg aveva descritto un fuoco proveniente da acqua elettrizzata in una bottiglia e fu questo l’esperimento specifico che van Musschenbroek tentò di imitare. E ancora, il fisico e sismologo svizzero Jean Nicolas Sebastien Allamand, nel 1745, aveva ricevuto una forte scossa elettrica in una situazione simile (la cosa risulta da una lettera del 4 febbraio del 1745 di Mr. Trembley alle Philosophical Transactions; da tale lettera risulta che quell'effetto era noto nel laboratorio di Musschenbroek almeno da un anno) e così pure, nello stesso anno, era arrivato in modo del tutto indipendente anche il canonico Ewald Jürgen von Kleist, decano della cattedrale di Cammin in Pomerania. Jean-Antoine Nollet, che diffuse la notizia, forse per non essere implicato in polemiche di priorità, chiama il dispositivo descritto da Musschenbroek Bottiglia di Leida.

(19) Si passò da libri come quello di Cristian Kratzenstein, Trattato dell'utilità dell'Elettricismo nella scienza medica (Pietroburgo 1745), fino ad arrivare alle pratiche

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Cura dei denti con l'elettricità

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Un paralitico spera nel miracolo elettrico.

barbare dell'elettroschock inventato dall'italiano Ugo Cerletti nel 1938. Oltre alle cure elettriche erano diffuse cure magnetiche tra le quali la pranoterapia ed altre cose inenarrabili. La cosa straordinaria, che purtroppo ho vissuto da ragazzo, fino alla fine degli anni Cinquanta, è stata la cura con le acque minerali da tavola che avevano la prodigiosa proprietà di essere radioattive alla sorgente!

Ma con l'elettricità si tentavano anche cose più divertenti, come il bacio elettrico che una signorina elettrizzata dispensava (forse a pagamento).

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Il bacio elettrico

(20) E' doveroso notare che, indipendentemente, molte delle cose elaborate da Franklin furono studiate da William Wilson (1715-1787) che dimostrò il fatto che la forza elettrica descrive sempre un circuito (A sequel to the experiments and observations tending to illustrate the nature and properties of electricity: wherein it is presumed, by a series of experiments expresly for that purpose, that the source of the electrical power, and its manner of acting are demonstrated. Addressed to the Royal Society. By William Watson. London, Printed for C. Davis, 1746):

Ho tentato di provare con l'esperienza che viene messa in circolazione dal non elettrico più vicino una quantità di elettricità uguale a quella accumulata nei corpi eccitati ... Il fuoco elettrico perduto da un uomo viene immediatamente supplito dal suolo.

(21) Sostenitore della teoria di Du Fay divenne Robert Symmer (1707-1763) della Royal Society (New Experiments and Observations Concerning Electricity) che si imbatté in uno strano episodio che ha a che fare con le sue calze bianche e nere (indossava due paia di calze, le bianche sotto e le nere sopra). Una sera del 1759, si sfilò la calza nera che era

Calze di Symmer

sulla bianca. Nel farlo sentì un crepitìo di piccole scintille ed osservò che le calze erano elettrizzate di elettricità opposta (si attraevano). Dice Symmer:

“Entrambe le calze [bianche e nere] quando sono tenute a distanza l’una dall’altra appaiono gonfie a tal punto che formano l’intera figura della gamba […]. Quando le due bianche o le due nere sono tenute insieme alle estremità, si respingono tra loro. Quando una calza nera ed una bianca vengono avvicinate esse si attraggono e [..] nell’avvicinarsi, il loro rigonfiamento si abbassa gradualmente; quando si incontrano, si appiattiscono e si stringono insieme. A questo punto le palline dell’elettroscopio non sono più sensibili [...] quando le calze vengono di nuovo separate e portate a distanza sufficiente [esse si rigonfiano] e la loro elettricità non sembra essersi minimamente indebolita dalla scarica che hanno avuto nell’incontrarsi”.

Dopo questo primo episodio che lo sconcertò, Symmer notò che un foglio di carta attraversato da scariche elettriche presenta fori che hanno i bordi sporgenti sia in un verso che in un altro (e la cosa oggi è chiara in quanto sappiamo che la scarica elettrica ha carattere oscillante e quindi entra alternativamente dai due lati del foglio).

NOTE DELLA PARTE 3

(1) Con questa bilancia Henry Cavendish (1731-1810) misurò la densità della Terra e la

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Henry Cavendish

Schema della bilancia di torsione

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Esperimento di Cavendish

costante di gravitazione universale nel 1798 (H. Cavendish Philosophical Transactions of the Royal Society 17, 469). E' lo stesso Cavendish che, nell'introduzione al suo lavoro, assegna tutti i meriti della scoperta di tale bilancia a Michell:

Many years ago, the late Rev. John Mitchell of this Society, contrived a method of determining the density of the Earth, by rendering sensible the attraction of small quantities of matter; but, as he was engaged in other pursuits, he did not complete the apparatus till a short time before his death, and did not live to make any experiments with it. After his death, the apparatus came to the Rev. Francis John Hyde Wollaston, Jacksonian professor at Cambridge, who, not having conveniences for making experiments with it, in the manner he could wish, was so good as to give it to me.

Cavendish studiò anche fenomeni elettrici scoprendo varie cose d'interesse ed introducendo con chiarezza il concetto di potenziale elettrico e quello di carica elettrica (in uno scritto del 1771 sulle Philosophical Transactions). Malauguratamente, a parte lo scritto citato, lasciò quasi l'intero complesso delle sue ricerche non pubblicato (tali scritti furono ritrovati da Maxwell che li pubblicò nel 1879). In tali scritti egli aveva stabilito sperimentalmente la legge dell'inverso del quadrato per le azioni elettriche (1772-1773), aveva definito correttamente la capacità elettrica, aveva stabilito che la carica si trova sulla superficie esterna dei conduttori, introdusse il concetto e misurò le costanti dielettriche, confronto delle conduttività elettriche di diversi corpi.

(2) L'intuizione che l'attrazione tra magneti avvenisse con una legge regolata dall'inverso del quadrato della distanza risale addirittura al Cardinale Cusano (1401-1464) che la propose nel 1450.

(3) Le più importanti memorie di Coulomb sull'elettricità e magnetismo sono pubblicate nel sito all'indirizzo: http://www.fisicamente.net/FISICA/index-1096.htm .

(4) Le memorie di Coulomb sono raccolte in un tomo (Tome 1) del 1884: Société franaise de Physique. Mémoires relatifs à la Physique, tome 1: Mémoires de Coulomb. Paris: Gauthier-Villars, 1884. Di seguito riporto il frontespizio del tomo e l'indice delle memorie ivi contenute (le prime 5 delle 7 che Coulomb scrisse sui fenomeni elettrici). Le ultime

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due memorie sull'argomento pubblicate sul medesimo tomo sono:

Sixième Mémoire. - Suite des recherches sur la distribution du fluide électrique entre plusieurs conducteurs. Détermination de la densité électrique dans les différents points de la surface de ces corps (1788).

Septième Mémoire. - Du magnétisme (1789). (Extrait des Mémoires de l'Académie royale des Sciences).

A queste, le più importanti, seguirono altre memorie che allo stesso modo hanno trovato posto nel tomo di cui sopra:

Détermination théorique et expérimentale des forces qui ramènent différentes aiguilles, aimantées à saturation, à leur méridien magnétique. [Extrait du t. III des Mémoires de l'Institut, an IX (1801).]

Expériences destinées à déterminer la cohérence des fluides et des lois de leur résistance dans les mouvements très lents. [Extrait du t. III des Mémoires de l'Institut, an IX (1801.]

Résultat des différentes méthodes employées pour donner aux lames et aux barreaux d'acier le plus grand degré de magnétisme. [Extrait du t. VI des Mémoires de l'Institut (1806).]

Influence de la température sur le magnétisme de l'acier. (Extrait, d'après Biot, d'un Mémoire inédit).

ADDITION. Sur la distribution à la surface de deux sphères conductrices électrisées, et l'attraction de ces sphères, d'après Poisson et Sir W. Thomson.

Approfitto di questa nota per dire che Coulomb, agli inizi della Rivoluzione Francese, si dimise da tutte le cariche pubbliche che aveva (Soprintendente delle Acque e delle Fontane del Re). Si ritirò nel paesino di Blois e non tornerà a Parigi che agli inizi dell'Ottocento, quando fu nominato Ispettore Generale della Pubblica Istruzione. Da questo posto egli ebbe un ruolo importante nella realizzazione del sistema dei licei di Francia.

(5) Una osservazione è a questo punto utile. Sul Galvani influirono certamente le concezioni del fisiologo svizzero Albert von Haller (1708-1777) secondo il quale nei corpi viventi esiste un fluido o spirito animale o forza vitale diffusa nel sistema nervoso, da cui, per un'irritazione esterna, può scorrere verso i muscoli. Come sempre la cosa veniva letta in ambienti cristiani come la prova dell'esistenza dell'anima. Quando iniziò la controversia con Volta, sembrò che la cosa diventasse una specie di guerra di religione tra chi riteneva che esistesse (Galvani) e chi no (Volta). Naturalmente tutta questa diatriba era indipendente dagli effettivi credi dei due scienziati.

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(6) La polemica tra i sostenitori di Galvani e Volta continuò fino al 1844 quando Carlo Matteucci (1811-1868) dimostrò che esiste una elettricità animale della stessa natura dell'ordinaria elettricità.

NOTE DELLA PARTE 4

(0) Per leggere le biografie dei vari scienziati dell'elettricità che ho citato, alcune delle loro opere, bibliografie, glossario e cronologia si vada al sito: http://www.webalice.it/sergio.arienti/sommario/home.htm )

(1) La decomposizione dell'acqua o elettrolisi fu realizzata, mediante la pila di Volta, dai britannici William Nicholson (1753-1815) e Anthony Carlisle (1768-1840) nell'aprile del 1800.

(2) Un breve sunto della situazione lo si trova nel sito della Sips:

Lo sviluppo tecnologico seguito in Europa alla prima rivoluzione industriale, come pure l'interesse per la scienza manifestatosi negli ultimi anni dell'impero napoleonico, influiscono profondamente sulla società europea negli anni dopo la Restaurazione in ogni campo della scienza: dalla matematica alla fisica, dalla chimica alla biologia. Figure rappresentative di questa epoca sono Alexander von Humboldt, Karl Friedrich Gauss, Justus von Liebig in Germania, Jöns Jacob Berzelius in Svezia, Andrè-Marie Ampère, Augustin Louis Cauchy, Louis Joseph Gay-Lussac e Dominique Arago in Francia, Friedrich Wilhelm Herschel e Michael Faraday in Inghilterra, Hans Christian Oersted in Danimarca, Amedeo Avogadro e Giovanni Battista Amici in Italia. Le università ed i politecnici formano giovani sulla base della nuova acquisizione della scienza: si forma così un gruppo sempre più efficiente di tecnici, da un lato, e dall'altro, di docenti ad ogni livello. Alcuni rimangono presso le università attratti dal piacere e dalla curiosità della ricerca. L'interesse per dibattere e confrontare i risultati scientifici spinge gli studiosi ad unirsi in associazioni scientifiche, come la Chemische Gesellschaft in Germania, la Physical Society in Gran Bretagna e la Sociètè Chimique in Francia. Esse gestiscono prevalentemente la stampa di periodici per la pubblicazione dei lavori e delle ricerche contribuendo così alla diffusione della scienza nel mondo. Le accademie, di solito sotto la protezione munifica dei sovrani, nei secoli XVII e XVIII, accolgono scienziati di varie discipline, consentendo loro di realizzare esperienze e soprattutto di discutere i risultati anche tra specialisti di varie aree della scienza. Alla loro azione di promozione della ricerca e di tutela dell'immagine del ricercatore scienziato, si deve il progresso scientifico e tecnologico esploso al principio del XIX secolo. I cultori delle scienze sono ormai troppo numerosi per esporre e dibattere i propri risultati nell'ambito delle accademie e delle società scientifiche. Sono queste condizioni a suscitare in Germania un movimento che porterà a realizzare delle riunioni annuali di professori e cultori di scienze naturali, a cominciare dal 1822 per iniziativa del naturalista Lorenz Oken e con l'appoggio dei Principi tedeschi. Segue la Gran Bretagna, ove la Association for the Advancement of Sciences, tiene la sua prima riunione a York, nel 1832, sotto la presidenza del fisico David Brewster. L'Italia, dal punto di vista politico, si può paragonare in quegli anni alla Germania, dove pur non esistendo, come in Francia e in Inghilterra, un forte stato unitario, vi è però una forte coscienza nazionale. In Italia, dove coesistono il Regno di Sardegna, il Regno Lombardo Veneto-Trento e Trieste, il Regno delle due Sicilie, gli Stati della Chiesa, il Granducato di Toscana, il Ducato di Modena, il Ducato di Parma, Piacenza e Guastalla, gli interessi stranieri non permettono nemmeno una forma associativa tra i vari Stati. Tuttavia, un gruppo di eminenti uomini di Scienza e di Lettere, di fronte ai risultati così promettenti delle riunioni degli scienziati tedeschi, aperte anche agli ospiti stranieri, prende l'iniziativa di seguire questo esempio e convoca a Pisa, per l'autunno 1839, la prima Riunione degli scienziati italiani, celebrata anche dal Giusti, nei noti versi: Di sì nobile congresso/ Si rallegra con sé stesso/ Tutto l'uman genere.

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(3) Niente di nuovo nella storia d'Italia. Piccole minoranze si pongono alla testa di movimenti, pagano in proprio, riescono a raddrizzare qualcosa e poi tutto viene fagocitato dal mostro della quotidianità, dell'ipocrisia, dell'opportunismo e dell'indifferenza. Passeranno altri 100 anni per riavere un Fermi, frutto di cinquant'anni di laicità dello Stato Unitario ed ecco pronto un Mussolini che di nuovo distruggerà tutto con il Concordato e con le Leggi Razziali. Poi Amaldi che ricostruisce nel dopoguerra e di nuovo la routine di tutti i governi che sembra abbiano in odio la ricerca scientifica in un Paese in cui occorre essere accondiscendenti con il potere della Chiesa che controlla tanti piccoli personaggi che neppure sanno cosa è ricerca scientifica, ma che hanno il potere di decidere.

Ho già accennato in nota (1) che, scoperta la pila, l'elettrolisi fu realizzata in Gran Bretagna. Come in Gran Bretagna si svilupparono gli studi di Davy, di Faraday e di Maxwell; in Olanda quelli di Lorentz; in Danimarca quelli di Oersted; in Francia quelli di Ampère; in Prussia quelli di Ohm, di Hertz; .... solo per citare alcuni scienziati che si occuparono di fenomeni elettrici, tutti da localizzare fuori d'Italia (ma anche fuori da Spagna e Portogallo, Paesi con analoga influenza religiosa).

Vi è un fatto che deve far rendere conto del nostro provincialismo culturale e delle sue origini. Mentre in Europa lavoravano Kant, Hegel, Marx, Fichte, Schopenauer, Schelling, Saint Simon, Comte, Stuart Mill, Owen, Malthus, Ricardo, Bentham, Lamarck, Darwin, Spencer, ... in Italia discutevamo di libera chiesa in libero stato con Rosmini e Gioberti !

(4) Svariatissime furono le pile che vennero realizzate, ciascuno con un suo proprio merito ed una sua particolare funzione. Riporto di seguito alcune di esse:

Pila Bunsen (1840)

Pila Daniell (1836)

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Pila Grove (1838)

Pila Wollaston (1816)

Pila a secco Leclanché (1868)

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Pila a secco Zamboni (1910-12)

Pila Grenet (1856)

(5) Napoleone fu un vero e grande "protettore" delle scienze e non solo a parole. Destinò una gran quantità di fondi per la ricerca, potenziò le scuole politecniche nate dalla Rivoluzione, fondò dei premi importanti, promosse contatti tra scienziati di vari Paesi e dimostrò anche capacità non scioviniste assegnando, nel 1808, il premio del galvanismo a Humprey Davy, cittadino di quel Paese, l'Inghilterra, contro cui la Francia era in guerra. La grande pila di figura, che Napoleone fece costruire, fu messa a disposizione di giovani promesse della scienza francese, come Gay Lussac e Thénard. Dalla politica di sostegno alla scienza di Napoleone, vennero fuori importantissimi scienziati, come Malus, Biot, Fresnel, Arago, Dulong che seppero dare il primato scientifico alla Francia. Con la Restaurazione le cose cambiarono e la Francia cedette il passo alla Gran Bretagna. ed alla nascente Germania.

(6) § - Concezioni particellari nel XVII e XVIII secolo. La "crisi" dell'azione a distanza. Si riassume la disputa continuità­discontinuità che riprese vigore sul finire del Rinascimento. Si passa poi a studiare il ruolo dell'azione a distanza fino alla sua "completa affermazione"

§ - La nascita della teoria di campo. I lavori di Faraday e Maxwell

§ - La "verifica" sperimentale della teoria di Maxwell. I lavori di Hertz

§ - La Relatività da Newton ad Einstein (Cap 3). L'Ottocento: la nascita dell'elettromagnetismo, l'ottica dei corpi in movimento, la termodinamica. La "crisi" della visione newtoniana del mondo

e, dopo quest'ultimo articolo (in realtà il capitolo di un libro), si deve proseguire fino alla fine del libro che tratta la Relatività di Einstein.

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(7) E' inutile che dica che, anche qui, vi fu un fiorire incredibile di strumentazione per la misura di correnti, sulla quale non mi soffermo.

BIBLIOGRAFIA

(1) U. Eco, G. B. Zorzoli (a cura di) - Storia figurata delle invenzioni - Bompiani 1961

(2) U. Forti - Storia della scienza - Dall'Oglio 1968

(3) R. Pitoni - Storia della fisica - Società Tipografico Editrice Nazionale 1913

(4) E. Whittaker - A History of the Theories of Aether and Electricity - Thomas Nelson & Sons 1951/1953

(5) Maurice Daumas (a cura di) - Storia della scienza: le scienze del mondo fisico - Laterza 1976

(6) Mario Gliozzi, Michele Giua - Storia delle scienze (Vol. II) - UTET 1965

(7) Antonio Favaro (a cura di) - Edizione Nazionale delle Opere di Galileo Galilei (20 voll.), Giunti Barbera, 1890-1909; ristampa 1968

(8) E. J. Dijksterhuis - Il meccanicismo e l'immagine del mondo - Feltrinelli 1971

(9) Stephen Gaukroger - Descartes, an intellectual biography - Clarendon Press Oxford 1995

(10) R. Descartes - I principi della filosofia - Bollati Boringhieri 1992

(11) R. Descartes - Il mondo. L'uomo - Laterza 1969

(12) I. Newton - Optics - in Newton, Huygens, Encyclopedia Britannica 1952

(13) Mary B. Hesse - Forze e campi - Feltrinelli 1974

(14) E. Bellone - Le congetture settecentesche su elettricità e magnetismo - in La Scienza vol. 12, UTET, De Agostini, La Repubblica 2005

(15) F. Sebastiani - I fluidi imponderabili - Dedalo 1990

(16) Felip Cid - Historia de la ciencia - Planeta, Barcelona 1979

(17) Isaac Newton - Philosophiae Naturalis Principia Mathematica - UTET 1965

(18) L.S. De Camp, C.C. De Camp - The Story of Science in America - Scribners Library Binding 1967

(19) Beniamino Franklin - Vita, scritta da sé medesimo - G. Barbèra 1885.

(20) Jacques Ahrweiller - Franklin - Accademia 1973

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(21) Associazione Elettrotecnica Italiana (a cura della) - L'opera di Alessandro Volta nel 1° centenario della morte - Ulrico Hoepli 1927

(22) Salvo D'Agostino - Introduzione alla scienza dell'Ottocento e Elettricità e magnetismo fino all'introduzione del potenziale in Dispense di Storia della Fisica - Istituto di Fisica Università di Roma (a. a. 1973/1974)

(23) Luigi Galvani - Opere scelte - UTET 1967

(24) Alessandro Volta - Opere scelte - UTET 1967

(25) A. Gigli Berzolari - 1795-1796; gli anni decisivi della sperimentazione voltianasulle proprietà elettriche delle catene di conduttori; l'invenzione della pila, le prime discussioni sul suo funzionamento, le sue prime conseguenze, tra verità ed errori - Quaderno di Storia della Fisica (SIF), 1, 1997

(26) E. A. Giannetto - La relazione tra teoria ed esperimento nella fisica di Alessandro Volta - Quaderno di Storia della Fisica (SIF), 5, 1999

(27) Donald S. L. Carwell - Tecnologia, scienza e storia - Il Mulino 1976

(28) André Marie Ampère - Opere - UTET 1969

(29) Georg Simon Ohm - Comunicazione provvisoria della legge secondo la quale i metalli conducono l'elettricità di contatto (1825) - - in Quaderno n.14; La Fisica nella Scuola XXXV, 2002

(30) Georg Simon Ohm - Determinazione della legge secondo la quale i metalli conducono l’elettricità di contatto, insieme ad un abbozzo di una teoria dell’apparato di Volta e del moltiplicatore di Schweigger (1826) - in Quaderno n.14; La Fisica nella Scuola XXXV, 2002

(31) Edward Tatnall Canby - Storia dell'elettricità - Mursia 1965

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