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LA CAMPAGNA DI RUSSIA 1941 - 43 : RASSEGNA BIBLIOGRAFICA I. In una nostra recente rassegna sulle grandi linee della produzione storiografica e memorialistica dedicata alla guerra italiana 1940-43 \ ab- biamo avuto modo di osservare che, a distanza di 20-25 anni dagli avve- nimenti, la storia della partecipazione italiana alla seconda guerra mon- diale è ancora quasi tutta da fare, poiché scarseggiano sintesi d’insieme sufficientemente ampie e critiche, studi approfonditi sulle singole cam- pagne o battaglie, repertori delle fonti edite ed archivistiche. Con questo nostro studio intendiamo portare un contributo agli studi bibliografici, fortemente trascurati, che pure rappresentano la base necessaria di una più ampia ricostruzione. Abbiamo scelto come tema la campagna di Russia (più esattamente la partecipazione italiana alla guerra russo-tedesca) che ha suscitato acri polemiche (tutt’altro che scevre da pregiudizi e preoc- cupazioni politiche) ed un numero notevolissimo di studi e soprattutto di memorie, con successi editoriali anche recenti che documentano la sen- sibilità del pubblico. Si è quindi parlato molto della campagna di Russia, per lo meno in relazione ad altri teatri su cui operarono contingenti ita- liani numericamente assai più forti, ed una messa a punto delle principali questioni ci sembra perciò di un qualche interesse. Richiamiamo brevemente i fatti. La partecipazione italiana fu inizia- tiva personale di Mussolini e di 'Ciano, dovuta a ragioni di prestigio ed a preoccupazioni per il futuro assetto post-bellico : il desiderio di rendere all’amico Hitler l’aiuto prestato dalle truppe tedesche in Africa Setten- trionale (restituzione piuttosto formale, dato il diverso peso delle forze in campo), l’esigenza di essere presenti sul teatro della lotta antibolscevica e di partecipare ad una vittoria che si immaginava pronta e colossale, il tentativo di crearsi meriti e pegni per la determinazione delle sfere d’in- fluenza. A questa iniziativa furono contrari Hitler ed i comandi militari italiani, che giustamente la giudicavano una dispersione di forze, ma en- trambe le resistenze furono puramente formali e nel luglio 1941 fu ini- ziato il trasporto ferroviario del Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR) su tre divisioni scelte e rinforzate al comando del gen. Messe. Queste truppe dovettero lottare in un primo tempo soprattutto contro ostacoli logistici, sostenendo poi con successo nell’inverno alcuni attacchi sovietici, violenti ma territorialmente limitati. Contro ogni logica militare, nel 1942 furono inviate in Russia altre 6 divisioni (poi diventate 7), dando origine all’ARMIR (Armata italiana in Russia o 8a armata), comandata dal gen. Gariboldi, che, dopo alcuni duri1 1 G. R ochat, Recenti pubblicazioni sulla guerra italiana 1940-43, « Nuova Rivista Storica », 1964, fase. V-VI, pp. 638-46.

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Page 1: I.€¦ · Richiamiamo brevemente i fatti. La partecipazione italiana fu inizia tiva personale di Mussolini e di 'Ciano, dovuta a ragioni di prestigio ed a preoccupazioni per il futuro

L A C A M P A G N A D I R U S S I A 1941-43 : R A S S E G N A B I B L I O G R A F I C A

I.

In una nostra recente rassegna sulle grandi linee della produzione storiografica e memorialistica dedicata alla guerra italiana 1940-43 \ ab­biamo avuto modo di osservare che, a distanza di 20-25 anni dagli avve­nimenti, la storia della partecipazione italiana alla seconda guerra mon­diale è ancora quasi tutta da fare, poiché scarseggiano sintesi d’insieme sufficientemente ampie e critiche, studi approfonditi sulle singole cam­pagne o battaglie, repertori delle fonti edite ed archivistiche. Con questo nostro studio intendiamo portare un contributo agli studi bibliografici, fortemente trascurati, che pure rappresentano la base necessaria di una più ampia ricostruzione. Abbiamo scelto come tema la campagna di Russia (più esattamente la partecipazione italiana alla guerra russo-tedesca) che ha suscitato acri polemiche (tutt’altro che scevre da pregiudizi e preoc­cupazioni politiche) ed un numero notevolissimo di studi e soprattutto di memorie, con successi editoriali anche recenti che documentano la sen­sibilità del pubblico. Si è quindi parlato molto della campagna di Russia, per lo meno in relazione ad altri teatri su cui operarono contingenti ita­liani numericamente assai più forti, ed una messa a punto delle principali questioni ci sembra perciò di un qualche interesse.

Richiamiamo brevemente i fatti. La partecipazione italiana fu inizia­tiva personale di Mussolini e di 'Ciano, dovuta a ragioni di prestigio ed a preoccupazioni per il futuro assetto post-bellico : il desiderio di rendere all’amico Hitler l’aiuto prestato dalle truppe tedesche in Africa Setten­trionale (restituzione piuttosto formale, dato il diverso peso delle forze in campo), l’esigenza di essere presenti sul teatro della lotta antibolscevica e di partecipare ad una vittoria che si immaginava pronta e colossale, il tentativo di crearsi meriti e pegni per la determinazione delle sfere d’in­fluenza. A questa iniziativa furono contrari Hitler ed i comandi militari italiani, che giustamente la giudicavano una dispersione di forze, ma en­trambe le resistenze furono puramente formali e nel luglio 1941 fu ini­ziato il trasporto ferroviario del Corpo di spedizione italiano in Russia (CSIR) su tre divisioni scelte e rinforzate al comando del gen. Messe. Queste truppe dovettero lottare in un primo tempo soprattutto contro ostacoli logistici, sostenendo poi con successo nell’inverno alcuni attacchi sovietici, violenti ma territorialmente limitati.

Contro ogni logica militare, nel 1942 furono inviate in Russia altre 6 divisioni (poi diventate 7), dando origine all’ARMIR (Armata italiana in Russia o 8a armata), comandata dal gen. Gariboldi, che, dopo alcuni duri 1

1 G. R ochat, Recenti pubblicazioni sulla guerra italiana 1940-43, « Nuova Rivista Storica », 1964, fase. V -V I, pp. 638-46.

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combattimenti estivi, assunse in autunno la difesa di un settore di 270 km. sul Don, con uno schieramento debolissimo e privo di riserve (in ottem­peranza ai piani tedeschi, che sottovalutavano le possibilità russe). A metà dicembre una possente offensiva sovietica travolse il fronte, costringendo 6 divisioni ad una disastrosa ritirata; a metà gennaio anche le divisioni alpine dovettero ripiegare e furono praticamente distrutte. Nella battaglia l’ARMlR perse 85.000 uomini tra morti e dispersi e 30.000 feriti e conge­lati, cioè gran parte delle truppe combattenti; cessava quindi di esistere come grande unità, per rientrare in Italia in primavera. Solo poco più di 12.000 prigionieri, su un totale di circa 50.000 uomini caduti in mano ai russi, rimpatriarono nel 1945-46, dando esca ad una violenta campagna anticomunista e parallelamente a dure accuse ai comandi militari italiani per il crollo dell’armata italiana sul Don.

E ’ appunto all’entità del disastro, alle accuse ed alle polemiche del dopoguerra che si deve la rapida pubblicazione di una relazione ufficiale sulla campagna (sia pure in veste provvisoria): entro due anni dalla fine del conflitto apparvero due volumi dell’Ufficio Storico dello Stato Mag­giore dell’esercito, cui si aggiunse autorevolmente un volume del mare­sciallo Messe, relativo alle operazioni dal luglio 1941 all’ottobre 1942. Si consideri che, a distanza di 20 anni dalla fine del conflitto, l’Ufficio Sto­rico non ha ancora completato la serie di volumi sulla guerra in Africa Settentrionale e neppure iniziato quella sulla guerra alla Grecia e l’occu­pazione balcanica, e che tra i comandanti italiani il solo Messe ha sentito il bisogno di scrivere la storia delle operazioni da lui dirette : e la docu­mentazione di cui disponiamo apparirà subito eccezionale, almeno in con­fronto a quella esistente per gli altri fronti italiani.

Un primo volumetto di 70 pagine vide la luce nel settembre 1946: L ’8a armata, italiana nella seconda battaglia difensiva sul D on2, cioè nei combattimenti dell’inverno 1942-43: un’opera affrettata ed incompleta, condotta solo sulle relazioni degli ufficiali superstiti, ovviamente apolo­getiche. Non fu valorizzata la documentazione proveniente dai più alti comandi, nè si cercò di integrare le relazioni esistenti con l’interrogatorio sistematico dei reduci; infine, come in tutte le opere successive, furono ignorate le fonti russe e tedesche. La narrazione è quindi lacunosa: basti ricordare che viene descritto il ripiegamento della divisione Tridentina, ma non si parla delle vicende delle altre divisione del Corpo d’armata alpino che in nota e col condizionale3, perchè il grosso di queste unità venne catturato dai russi.

Tuttavia, non l’insufficienza della documentazione è il difetto prin­cipale dell’opera, bensì la mancata analisi delle cause della rotta. Una sola, la maggiore, viene messa in luce: l’errore strategico dei comandi tedeschi, che imposero uno schieramento troppo debole ed esteso. Ma la

2 Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Ministero della Guerra: L ’8a armata italiana nella seconda battaglia d ifensiva sul D on (11 dicem bre 1942- - 31 gen­naio 1943), Roma, Tip. Regionale 1946, pp. 70.

3 L ’ 8a armata, op. cit., pp. 53-54.

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relazione delPUfficio Storico sorvola sull’operato dei comandi italiani, nel periodo della preparazione ed in quello dei combattimenti : viene così sot­tratto al giudizio storico una parte fondamentale degli avvenimenti, per la fretta con cui fu compiuta la stesura dell’opera e per un malinteso senso dell’onore militare e della tradizione- Lo stesso silenzio copre troppi mo­menti della ritirata; è noto (e lo troveremo nella memorialistica) che molti reparti si sbandarono nelle marce disperate per sfuggire ai russi, ma ciò compare solo di sfuggita nella relazione ufficiale, che è invece pronta a bollare ripetutamente il comportamento egoistico dei reparti tedeschi, i quali, di prepotenza in prepotenza, giunsero fino ad usare le armi contro gli alleati italiani. Il volume fornisce cifre generali sulle perdite, ma evita di dare informazioni troppo precise: per es. le perdite delle singole divi­sioni non sono rapportate alla loro consistenza alla vigilia dell’offensiva, nè la cifra globale di 222.000 soldati e 7000 ufficiali in Russia viene sud­divisa tra unità combattenti e servizi. Manca persino un elenco delle unità dell’ARMIR che scenda sotto la divisione!

Più completo il volume dedicato nel 1947 a Le operazioni del CSIR e dell’ARMIR dal giugno 1941 all’ottobre 19 4 24, ma ugualmente reti­cente su vari problemi. In questo periodo le truppe italiane non conob­bero insuccessi e le relazioni consegnate agli archivi sono numerose e com­plete, quindi il racconto è più dettagliato ed in complesso soddisfacente per lo meno per quanto riguarda le operazioni; mancano però sempre sta­tistiche analitiche, un elenco delle unità italiane, cifre sull’armamento dei reparti italiani e dati sull’efficacia delle armi, come pure informazioni sulle retrovie italiane, dallo1 svolgimento dei servizi alla lotta antipartigiana. I tedeschi vengono1 accusati di gravi inadempienze nella consegna dei ri­fornimenti pattuiti e nella messa a disposizione dei treni per il collega­mento con l’Italia, e di avere tentato di sfruttare i reparti italiani senza tener conto della loro inferiore disponibilità di mezzi; ma naturalmente l’esito positivo delle operazioni non permette che affiorino forti motivi di dissenso. Ugualmente assente un inquadramento dell’invio del CSIR nella condotta italiana della guerra. In conclusione, entrambi i volumi del­l’Ufficio Storico trattano solo la condotta delle operazioni, sulla base esclu­sivamente delle relazioni dei comandi responsabili e con lacune notevoli per il periodo più drammatico, ed evitano un esame critico della parteci­pazione italiana e della rotta sul Don, rigettando sui tedeschi accuse che, per quanto giustificate, vengono esageratamente sottolineate dal silenzio sulle responsabilità dei comandi italiani.

Anche il volume del maresciallo Messe5 comprende essenzialmente la narrazione delle operazioni delle sue truppe (prima il CSIR, poi il

4 Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Ministero della Difesa: L e operazioni del C SIR e d e ll’A R M IR dal giugno 1941 all’ottobre 1942, Roma, T ip . Regionale 1947, pp. 2 i 1 . Si noti come il volume edito per primo tratti l’ultimo periodo della campagna e come tra i due volumi rimanga un mese di vuoto.

5 G. Me sse , L a guerra al fronte russo. Il C SIR , Milano, Rizzoli 1947, pp. 253; 4a ediz. riveduta, accresciuta e aggiornata, 1964, pp* 39^- Il volume è appesan­tito da una appendice sulla sorte dei dispersi dell’ARM IR, infelice esempio di polemica politica tendenziosa fino alla forzatura delle fonti.

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XXXV0 Corpo d’armata, dal luglio 1941 all’ottobre 1942), ma le inqua- dra nella sua molteplice attività di comandante. Le difficoltà logistiche, l’insufficienza deH’armamento e dell’equipaggiamento, lo scarso aiuto avuto dai comandi italiani e tedeschi, non vengono taciuti, perchè valgano a far risaltare la bravura delle truppe e dei quadri; inoltre il maresciallo tratta anche problemi come la sicurezza delle retrovie, la sorte dei pri­gionieri russi, il morale degli uomini e l’ infelice metodo di avvicenda- mento. Messe non sottovaluta il nemico, sa farsi rispettare dai tedeschi e manifesta scarsa considerazione per i comandi di Roma e Gariboldi; non teme di prendere posizione e di dire verità spiacevoli, coperto dalla sua buona reputazione militare. Il tono è ovviamente (ma discretamente) apo­logetico, il che urta meno nelle memorie di un comandante che nella rela­zione di un Ufficio Storico; un giudizio politico è accuratamente evitato. In conclusione il libro è buono e soprattutto fortunato : lasciando la Russia alla vigilia dell’offensiva russa, Messe ha evitato di vedere poste alla prova più dura la sua abilità di comandante (il che non può certo essergli impu­tato) e la sua serietà di scrittore; infatti le contraddizioni ed i pericoli della partecipazione italiana, presenti sin dall’inizio, vennero alla luce solo con l’offensiva sovietica dell’inverno 1942-43 e quindi possono essere lasciati in sordina nel volume in esame.

Questi tre volumi costituiscono la base di ogni studio sulla campagna di Russia; in particolare hanno fornito a tutti gli autori posteriori la de­scrizione delle operazioni ed un’impostazione antitedesca della narrazione, che ritroviamo specialmente in quelli più vicini agli ambienti militari (Tosti, Scala, Corselli, Faldella)5. Rifiutano questa interpretazione solo gli autori dichiaratamente volti a giustificare il fascismo e l’alleanza con la Germania nazista. Nel capitolo della polemica storia del Canevari6 7 ven­gono infatti rovesciate quasi tutte le tesi finora rilevate: così rinvio del CSIR e dell’ARMIR trova una giustificazione politica (l’ipoteca italiana sui Balcani) ed un’attenuante strategica (la Russia era pur sempre il teatro di guerra decisivo). L ’equipaggiamento invernale viene magnificato, la do­tazione di automezzi spacciata per superiore a quella delle divisioni tede­sche, l’impiego in pianura degli alpini diventa un’utile trovata, perchè il someggio avrebbe garantito loro la massima mobilità anche nella ne­ve (sic); l’armamento era ottimo, insufficiente solo quello anticarro, il che però non ebbe importanza perchè lo sfondamento russo fu effettuato dalle fanterie (altra affermazione testuale). In conclusione, le divisioni italiane erano pienamente attrezzate per la guerra d’inverno : fu l’errata impo-

6 A . T osti, La guerra che non si doveva fare, Roma, F a r o 19 4 5 , p p . 2 4 2 ; E . Scola, La riscossa dell’ esercito, R o m a , T i p . R e g io n a le 19 4 8 , p p . 3 5 7 ; R . Corselli, Cinque anni di guerra italiana nella conflagrazione mondiale, R o m a , T i p . R e g io n a le 1 9 5 1 , p p . 2 8 0 ; E . Scala, Storia delle fanterie italiane, v o l . X , Le fanterie nella seconda guerra mondiale, R o m a , T i p . R e g io n a le 19 5 6 , p p . 8 9 2 ; E . Faldella, L ’ Italia nella seconda guerra mondiale, B o lo g n a , C a p p e ll i , 19 5 9 , p p . 7 8 3 . S u l l ’ im p o s ta z io n e a n d - te d e sc a d e lla s to r io g ra fia d i a m b ie n te m il ita r e , c f r . R . G uercio, Responsabilità germaniche sulle operazioni che condussero al ripiegamento invernale 19 4 2 -4 3 nella campagna di Russia, « R iv is t a m ilita re » , fe b b ra io 19 4 6 , p p . 16 1 - 6 8 .

7 E . Canevari, La guerra italiana, R o m a , T o s i 19 4 8 , 2 v o i . d i p p . 6 3 2 e 8 3 6 ; p e r la c a m p a g n a d i R u s s ia c fr . c a p . X I I I (20 v o i.) p p . 6 9 9 -74 0 .

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■ stazione strategica dei tedeschi a causare la rotta. Ma qui il Canevari ro­vescia le sue posizioni e passa da un’esaltazione sfacciata delle forze italiane ad accuse durissime; così Gariboldi viene criticato per non aver preso alcuna precauzione per un ripiegamento, per essersi logorato in una difesa statica, per avere dato gli ordini di sganciamento troppo tardi e per non aver saputo condurre una ritirata manovrata. JLe splendide divisioni sono ora accusate di essersi sbandate senza resistenza: calcolando 80.000 prigionieri su 85.000 morti e dispersi, il Canevari suggerisce che sul Don non ci fu­rono combattimenti, nè vere difficoltà nella ritirata, ma solo panico, fuga disperata e resa in massa. Naturalmente le accuse dell’Ufficio Storico ai tedeschi diventano solo una manovra per coprire le responsabilità dei comandi italiani : i tedeschi si portarono lealmente, ma se anche tenta­rono di mettere le mani su autocarri e magazzini dell’ARMIR, fecero bene, perchè li avrebbero impiegati certamente meglio che non gli italiani. Così la rivalutazione del nazi-fascismo porta logicamente ad una totale condanna degli italiani, uomini e comandi.

Altre ricostruzioni di estrema destra8 sono invece più misurate : respingono le accuse ai tedeschi (pur addebitando loro, come è inevitabile, le cause strategiche della ritirata), ammettono varie deficienze nell’arma- mento, nell’equipaggiamento e nella condotta di truppe e comandi, ma non portano' a fondo queste critiche, preferendo insistere sul carattere onorevole della sconfitta, cioè sul buon comportamento delle truppe. Que­ste opere non si distinguono quindi da quelle più vicine all’Ufficio Storico che per una diversa valutazione del significato politico della partecipa­zione italiana, della guerra in genere e del comportamento dei tedeschi9.

Nel 1950-51 fu pubblicata in fascicoli periodici poi raccolti in due volumi l’opera più ampia e seria sul nostro tema: La campagna di Russia di Aldo Valori10 11, volume che si può considerare una dei migliori e più tipici esempi della produzione storiografica sulla guerra. Il Valori, autore della più viva storia della prima guerra mondiale, fu uno dei maggiori critici militari del fascismo, dalle origini alla fine del regime, continuando nel secondo dopoguerra a collaborare a iniziative editoriali di impronta nostalgicau. Sarebbe però troppo semplice accusare di fascismo il suo vo-

8 Cfr. il saggio (non firmato, ma di M. C arloni) L e operazioni m ilitari, pp. 19-283 del voi. ItalianZy kaputt? Con l’A R M IR in Russia, Roma, CEN 1959, pp. 655 e U . Gugielm otti, L e armi italiane n el secondo conflitto m ondiale, Roma, CEN 1963, pp. 7 11 . Lo studio del Carloni è assai interessante, sorretto da un’espe­rienza diretta.

9 Tutti i difetti di questa impostazione si ritrovano in alcune recenti ricostruzioni giornalistiche, condotte con superficialità di documentazione e di studio: F. L a GuiDARA, Ritorniam o sul D on, Roma, Ediz. Internazionali 1965, pp. 2 17 e B. VAN- DANO, I disperati del D on, Milano, Ediz. Storia Illustrata (Mondadori) 1965, pp. 155.

10 A . V alori, La campagna d i Russia. C SIR -A R M IR 1941-43, Roma, Grafica Nazio­nale 1950-51, due volumi di complessive pp. 801.

11 Per brevità ricordiamo soltanto il primo studio de) Valori sulla campagna di Russia, L ’epopea del C SIR (pp. 177-94 del voi. D ue anni d i guerra 1940-42, a cura del Ministero della Cultura Popolare, Roma 1942, pp. 258). In questo scritto il Valori approvava pienamente le decisioni di Mussolini: « ... a questa guerra anti­bolscevica non poteva mancare la partecipazione italiana. I motivi ne sono ovvii.

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lume sulla campagna di Russia, anche se una valutazione positiva della guerra mussoliniana è implicita (più nei silenzi che nelle dichiarazioni): la posizione del Valori è quella degli studiosi di parte militare o comun­que vicini agli ambienti militari, che, dopo la parentesi fascista ritornano al tradizionale rifiuto della politica, illudendosi di poter tracciare una storia puramente militare delle operazioni, dell’eroismo dei soldati e delle capacità dei quadri. Questa impostazione ammette critiche tecniche, spesso condotte con indipendenza di giudizio e sicurezza di analisi, purché si compongano in un più ampio giudizio positivo sull’esercitó e la tradizione militare. Su un piano politico, l ’approvazione della politica estera fascista viene controbilanciata dalla denuncia delle pericolose ingerenze musso- liniane nella preparazione e nella condotta della guerra: la richiesta di una politica estera forte ed il rifiuto di un controllo politico sono del resto motivi costanti degli ambienti militari. Su un piano tecnico, la constata­zione degli errori dei comandi, delle deficienze di materiali, dei cedimenti delle truppe, viene sempre riscattata dall’esaltazione del sacrificio dei sol­dati. Il Valori è chiarissimo:

« .... a errori e colpe di comandi abbiamo accennato senza tut­tavia insistervi perchè lo scopo della nostra pubblicazione non è essenzialmente critico nè polemico, ma solo di esaltazione del valore dei combattenti, tanto più meritevole quanto meno favo­rito dalla necessaria preparazione e dall’abilità di condotta » 12.

Quest’opera di esaltazione è però fatta con serietà: il Valori ha sa­puto egregiamente valersi della collaborazione di molti reduci dalla Russia (consultando per es. 16 generali e 21 ufficiali superiori) e di una tale copia di relazioni ufficiali che è certo (anche se non è detto nel testo) che l’U f­ficio Storico gli ha aperto i suoi archivi (purtroppo il Valori non indica quasi mai la fonte delle sue informazioni e dei suoi documenti); inoltre la pubblicazione in fascicoli successivi dell’opera ha permesso a vari re­duci di inviare contributi integrativi, riportati in appendice ai capitoli suc­cessivi. L ’opera ha insomma una base documentaria tale che può a buon Si

Si trattava di dimostrare ancora una volta la nostra solidarietà d ’alleati con la Germania; si trattava di prendere ancora una volta posizione contro il bolsce­vismo: quel nemico d’ogni civiltà che l ’Italia fascista aveva per prima affron­tato e debellato. C ’era inoltre l ’occasione di mettere alla prova, in condizioni nuove ed estremamente interessanti, la nostra preparazione militare e la tempra dei nostri combattenti (...). L ’occasione di distinguersi era ottima e non poteva esser lasciata cadere » (p. 178). Con uguale allegra faciloneria il Valori guardava gli aspetti tecnici della campagna: « . . . l ’equipaggiamento delle truppe era stato molto curato; abiti e calzature speciali fecero eccellente prova, nonostante che le circostanze superassero in durezza quanto si poteva umanamente prevedere. Lo stesso deve ripetersi per quanto riguarda l ’armamento. Le nostre unità ricevettero l’armamento ordinario delle divisioni italiane, che si dimostrò all’ altezza di ogni necessità » (p. 179); e il nostro autore concludeva preannunciando l ’invio in Russia dell’ARMIR, « potente strumento di guerra, studiato e preparato con ogni cura facendo tesoro delle antiche e recenti esperienze; il suo equipaggiamento sarà il più adatto ai compiti specifici che gli competono » (p. 194).

12 A . V alori, La campagna di Russia, op. cit., p. 708.

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diritto essere considerata la vera relazione ufficiale sulla campagna di Russia e comunque lo studio più completo. L ’autore biasima la partecipazione italiana, ha un atteggiamento non viziato da pregiudizi verso russi e tede­schi, documenta le deficienze di armamento ed equipaggiamento, non rinuncia a trattare episodi poco gloriosi ed a notare le incertezze dei co­mandi, talora gli errori più netti. Praticamente ogni problema suscitato viene trattato; particolarmente curata la descrizione dei combattimenti.

Sempre nell’ambito di questa impostazione si muovono i non molti contributi di valore dedicati a singoli momenti od unità della campagna, tra i quali ricordiamo l’ottimo libro dell’Odasso sul Corpo d’armata alpino, l’articolo del Guercio sulla divisione Celere nel dicembre 1942, gli studi ufficiosi del Santoro sul concorso dell’aviazione, un nuovo contributo di dati e cifre dell’Ufficio Storico ed infine lo studio esemplare per ricchezza di notizie e documentazione contenuto nell’ultimo volume della Storia dell’artiglieria italiana iniziata dal gen. Montù13 14. Complessivamente delu­denti le storie di corpo, apologetiche e rapide, per le quali rimandiamo all’appendice bibliografica.

II.

Ci sembra ora necessario precisare le nostre critiche all’interpretazione ormai consolidata ed autorevole della campagna di Russia, di cui il Valori è il massimo rappresentante ed a cui isi rifanno nelle linee generali pres- socchè tutti gli studi pubblicatiu. Nell’ambito di un breve studio biblio­grafico non possiamo che accennare ad alcuni problemi, sia pure tra i mag­giori, che ci sembrano insufficientemente approfonditi: la responsabilità della partecipazione italiana alla guerra russo-tedesca, il grado di efficienza delle truppe italiane e gli sforzi compiuti dai comandi per colmare le de­ficienze, la responsabilità del comando dell’ARMIR nella rotta dell’in­verno 1942-43. Passeremo poi in rassegna la memorialistica, assai abbon­dante, che non è tutta inquadrabile senza difficoltà nella versione ufficiale.

Abbiamo- visto che tutti gli autori concordano nel ritenere un errore la partecipazione italiana, per lo meno da un punto di vista militare, adde­bitandola però al potere politico e solo saltuariamente lamentando che i

13 M. Odasso, Coi corpo alpino italiano in Russia, Cuneo, Panfilo 1949, pp. 224; R. Guercio, L a 3 a divisione C elere P .A .D .A , nella seconda battaglia difensiva del D on, « Rivista militare » luglio-agosto 1953, pp. 669-96; G . SANTORO, L e o pe- razioni aeree sul fronte russo, « Rivista aeronautica » giugno e luglio 1954, pp. 613-37 e 723-41; Historicus, Da Versailles a Cassibile. L o sforzo militare ita- liano n el venticinquennio 1918-43, Bologna, Cappelli 1959, pp. 783 (pubblicazione ufficiosa curata dall’Ufficio Storico in collaborazione col Tosti); Storia dell’arti­glieria italiana. Volume XVI : L ’artiglieria italiana nelle operazioni belliche 1920- 1945, Roma, Biblioteca d’artiglieria e genio, 1955, pp. 1103.

14 Solo il Battaglia si discosta da questa interpretazione, con pagine tuttavia troppo rapide per permettere un approfondimento de) discorso: cfr. R. Battaglia, La se­conda guerra m ondiale, Roma, Editori Riuniti i960, pp. 452.

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capi militari non avessero il potere di impedire questo grave logorio di forze15; e parimenti tutti criticano l’invio in Russia di tre divisioni alpine (se era giustificato mandare truppe scelte, particolarmente quando il con- tingente italiano aveva le ridotte dimensioni del CSIR, pericolosissimo era privarsi del fiore delle truppe alpine, che giustamente Hitler apprezzava e chiedeva) e specialmente il loro impiego in pianura, dove andavano sprecate le loro caratteristiche ed il loro armamento aveva efficienza ancora inferiore rispetto a quello già esiguo delle divisioni di fanteria (si pensi alla portata ridotta degli obici da montagna someggiati, ex-austroungarici ed ex-francesi). Queste divisioni erano state concesse per l’impiego nel Caucaso, meglio valeva ritirarle che impiegarle sul Don, scrive il Valori16: ma quando ne venne ordinato l’approntamento (inverno 1941-42) i tede­schi erano vicini al Caucaso solo nei sogni di Hitler. Non sappiamo quindi se sia peggiore accusa per i capi militari italiani (che qui non crediamo si possa parlare ancora di responsabilità di Mussolini) l’aver veramente creduto a quanto dicevano, buttando allo sbaraglio le più belle divisioni alpine su una promessa vaga ed improbabile (senza contare che tutti gli sforzi per mantenere sotto unico comando le truppe italiane in Russia naufragavano nel momento in cui gli alpini erano destinati al Caucaso ed i fanti inviati sul Don), oppure l’aver coscientemente impiegato in pia­nura queste divisioni, fidando che con il loro sperimentato valore (cioè col sangue) avrebbero colmato ogni inferiorità tecnica e combattuto come e meglio di unità di fanteria, dimostrando così quella faciloneria e quel disprezzo per le vite dei soldati che troppe battaglie italiane attestano. Ma su questo punto le versioni ufficiali sorvolano17 18.

Con uguale leggerezza fu impostato il problema della dipendenza delle truppe italiane dai comandi tedeschi e quello della funzione che dovevano svolgere sul campo di battaglia. Il Valori attesta che tutto fu lasciato nel vago1B, cioè al comandante ed alle circostanze, e le truppe italiane furono impiegate come più conveniva ai tedeschi (data anche la loro inferiorità in mezzi ed armi). Dopodiché ci sembra eccessiva l’insi­stenza dell’Ufficio Storico sulle responsabilità dei tedeschi nella rotta del- l’ARMIR, che non fu trattata peggio della 6a armata di Paulus; preten­dere di partecipare alla campagna senza condividerne le sconfitte ci sem­bra illusorio e se i reparti tedeschi inquadrati nell’ARMIR in genere usci­rono dalla sacca in condizioni migliori, la causa prima fu quasi sempre la superiorità della loro organizzazione (dall’equipaggiamento invernale ai mezzi di trasporto idonei al clima). Pretendere che Gariboldi riuscisse a

15 Le io divisioni dell’ARMIR rappresentavano solo 1/24 delle forze dell’Asse con­tro la Russia nel 1942, ma assorbivano una parte sproporzionata delle risorse ita­liane: si pensi che in tutta la guerra le forze italiane impegnate contro gli inglesi in Africa Settentrionale non superarono mai le 7 - 8 divisioni ad organici in­completi; di fronte ai 7000 automezzi che queste divisioni avevano nel 1941» stanno i 5500 del CSIR ed i 16.700 dell’ARM JR (più trattori e moto).

16 A. V alori, La campagna di Russia, op. cit.* p. 448.17 Cfr. però Odasso, op. cit., p. io, che biasima fortemente le autorità italiane.18 A. V alori, La campagna di Russia, op. cit., p. 49.

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farsi rispettare dai comandi tedeschi (che facevano capo direttamente ad Hitler) significava dimenticare che a tanto non era riuscito nemmeno in Africa Settentrionale con Rommel, nominalmente suo subordinato; e lamentare le inadempienze germaniche nella fornitura dei materiali pat­tuiti, significa trascurare che la negativa esperienza del CSIR, chiaramente espressa da Messe, era stata dimenticata al momento di inviare l’ARMIlR.

Del resto non si può studiare la partecipazione italiana alla guerra russo-tedesca senza approfondire la sua motivazione politica — e invece la storiografia ufficiale la riduce a capriccio di Mussolini. Per alcuni autori la presenza sul fronte russo di una scelta rappresentanza italiana (le tre divisioni del CSJ.R) rappresentava una necessità per il prestigio italiano: è questa in particolare la posizione di Messe, che nel 1942 chiese un potenziamento qualitativo- del CSIR con reparti motorizzati e truppe fresche, ma si oppose all’invio di altre divisioni19. In questa prospettiva l’invio di due nuovi corpi d’armata, deciso da Mussolini, non ha eviden­temente spiegazione logica: ma non è forse più giusto vedere la parteci­pazione italiana come un nuovo episodio della rivalità che contrapponeva Mussolini ad Hitler, espressa nella formula « la guerra parallela » e nei colpi di testa come l’aggressione alla Grecia? Se questa nostra ipotesi è esatta, è inutile discutere se e fino a quale punto la partecipazione italiani fosse giustificabile: è chiaro che da un punto di vista militare l’invio del CSIR come dell’ARMIR rappresentava una pericolosa dispersione di forze (e tanto più grave è l’acquiescenza degli Stati Maggiori), mentre per chi non arretri dinanzi ad un giudizio politico della guerra fascista, Francia, Libia, Grecia, Russia diventano logici sviluppi della convinzione musso- liniana che all’Italia spettasse strappare la sua parte di bottino più dalle fauci dell’amico già vittorioso che da quelle del nemico. I rischi militari della partecipazione alla campagna di Russia diventano- quindi trascurabili dinanzi alla necessità di figurare dinanzi ad Hitler più che la Slovacchia, come disse Mussolini20.

La storiografia ufficiale sorvola pure sul carattere antibolscevico che la partecipazione italiana ebbe per la propaganda del tempo: infatti agli italiani ed alle truppe l'invio delle divisioni del CSIR e dell’ARMIR fu presentato come il culmine della lotta ventennale del fascismo contro il comuniSmo. Chi sfoglia le opere dedicate nel 1942-43 alla guerra di Russia constata accanto ai consueti temi della letteratura di guerra la presenza di temi anticomunisti del livello più rozzo, che vanno dalla descrizione in tono di superiorità delle misere condizioni di vita e di sviluppo intel­lettuale della popolazione russa alla riaffermazione del carattere di crociata

19 G . Me sse , op. cit., pp. 173, 176. La posizione di Messe è condivisa dalla maggior parte degli autori citati, che ritengono che l’invio e -poi il potenziamento quali­tativo del CSIR fosse la giusta via di mezzo tra esigenze politiche e militari.

w Mussolini ebbe a dire a Messe : « Non possiamo esser da meno della Slovacchia e di altri stati minori (...). Al tavolo della pace peseranno assai più i 200 mila dell’ARMIR che i 60 mila del CSIR » (Me sse , op. cit., pp. 177-78).

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ideale della guerra in corso21. Un opuscolo di un ufficiale superiore dei bersaglieri reduce dal fronte russo pubblica foto di bimbi smunti per la fame come illustrazione degli efEetti del regime sovietico, un altro uffi- ciale rimpatriato inveisce contro gli ebrei addetti alla pulizia delle sta­zioni tedesche e polacche (visione che in molte memorie pubblicate nel dopoguerra viene invece presentata come un primo choc per ufficiali e soldati, una prima penosa impressione)22. E poi altri opuscoli ufficiali : uno dello Stato Maggiore che si rivolge ai soldati scampati alla rotta sul Don e li invita a diffondere in Italia la loro esperienza della miseria bolsce­vica e la loro fede nella vittoria, un altro dello Scala che raduna tutti i luoghi comuni della propaganda per annunciare la prossima vittoria di Stalingrado, salvo poi ad aggiungere nelle ultime pagine, scritte nel mar­zo 1943, che la vittoria è temporaneamente sfumata23 24 *. Anche nel noto volume di don Gnocchi, Cristo con gli alpini24 è accolto il tema della crociata, del lavacro- cruento e redentore della guerra, con una fusione di motivi patriottici e clericali: gli alpini buoni e semplici muoiono per la grandezza d’Italia ed il ritorno dell’infelice popolo russo alla fede cat­tolica.

Non ci sembra però che questo antibolscevismo abbia avuto parte nelle decisioni di Mussolini e quindi si -può legittimamente tralasciarlo parlando delle cause politiche dell’intervento italiano in Russia; e la memorialistica testimonia -che questa propaganda non ebbe grande -presa sulle truppe, che combatterono- senza odio Non è però giusto dimenticare questi miti, questo clima diffuso anche tra i comandi, perchè concorsero ad ali­mentare la faciloneria, la sottovalutazione del nemico (nelle opere cui abbiamo accennato, i russi sono presentati secondo due modelli fissi : bambinoni primitivi e ingenui, facile preda della propaganda comunista e poi della bontà italiana, oppure selvaggi combattenti, fanatizzati e bru­tali). Del resto, l’entità del disastro venne nascosta dal governo fascista26

21 Cfr. T . N apolitano, In Russia con il C SIR , « Nuova Antologia », fase. 1684-1690 -(maggio - agosto 1942) per complessive pp. 63 circa; A . M azzara, Fanti in Russia, Roma, De Carlo 1942, pp. 167.

22 L . G ianturco, Ritorno dalla Russia, R o m a , -M arte 19 4 3 , p p . 62; V . Qu erel , Fronte E st. U n anno d i guerra del C SIR , V e r o n a , L ’ a lb e ro 19 4 3 , p p . 2 6 6 .

23 Stato Maggiore R. Esercito, Ufficio Stampa e Assistenza, Eroism o dei combattenti italiani in Russia, senza data nè luogo di stampa [ma Roma 1943] pp. 30; E . Scala, 1 com battenti italiani nella guerra contro la Russia, Roma, Marte 1943, pp. 147.

24 C. Gnocchi, Cristo con gli a lpini, Lecco, Stefanoni 1943, pp- 114 . Si veda: E . Ra­gionieri, Anticom unism o cattolico e guerra fascista, in « Rinascita », giugno 1961, pp. 537-50.

45 Cfr. A . V alori, L a campagna d i Russia, op. ci-t., p. 43. La storiografia ufficiale sorvola sulla propaganda antibolscevica ed insiste invece sulla bontà dei soldati italiani, che combattevano senza odio, quindi con maggior merito, cioè con mag­gior fedeltà alla tradizione ed al dovere.

26 Fu verosimilmente per il desiderio di non attirare l’ attenzione sui reduci di Russia che il loro rientro in patria avvenne senza alcuna cerimonia: anzi furono loro -tolte le armi, le divise, -persino i distintivi di corpo ed imposto un periodo con­tumaciale in completo abbandono. Con quale effetto sul morale dei reduci ben si

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e solo nel 1944 un opuscolo pubblicato nella R.S.I. ammetteva la scon­fitta e le gravi perdite, tentando però di sdrammatizzare il quadro ed assolvendo autorità italiane e tedescheZ7. Ma nel 1942-43 un volume come quello di Tomaselli, Battaglia sul D on28, che raccoglie una serie di corrispondenze dal novembre 1942 al gennaio 1943, spicca per since­rità e crudezza, mentre, dinanzi alla memorialistica posteriore, la descri­zione della vita, dei combattimenti e della ritirata appare molto attenuata, con [’eliminazione dei motivi più drammatici e dei riferimenti all’entità delle perdite.

La versione tradizionale quindi rinuncia a dare un giudizio politico sulla guerra mussoliniana (sarebbe più giusto dire che in certe opere è sottinteso un giudizio positivo) e ad approfondire le responsabilità delle maggiori autorità militari. Quest’ultimo motivo si ripresenta chiaramente nel secondo ordine di problemi che ora affrontiamo, relativi all’efficienza delle forze italiane.

Le deficienze della preparazione militare italiana sono ormai talmente note e riconosciute, che è inutile ritornarvi sopra in questo breve studio. Le divisioni italiane in Russia avevano un armamento antiquato, erano sprovviste di carri armati e pezzi anticarro efficienti e disponevano di pochi automezzi; l’equipaggiamento invernale dei soldati era penosamente insufficiente e fu causa di innumerevoli perdite, durante il combattimento e la ritirata29. Non tutte queste deficienze possono essere imputate ai comandi italiani, che anzi dotarono il CSIR di reparti anticarro, mortai e motociclisti oltre l ’organico e l’ARMIR delle migliori artiglierie di medio calibro esistenti30; la mancanza di carri armati ed armi automatiche, di radio ed autocarri tormentava tutto l’esercito, dalla Russia all’Africa. Quindi una ricerca di responsabilità va estesa al campo politico, a tutta la preparazione militare italiana e cioè ad un settore di studi che non può rientrare nelle monografie dedicate ad una campagna. E difatti i nostri autori, molto fermi nella denuncia delle deficienze dell’armamento ed

immagina! Ma secondo la pubblicistica di ispirazione di destra, si trattò di una manovra disfattista preannunciante il badoglianesimo : cfr. per es. M. Carloni, La campagna di Russia, Milano, Longanesi 1956, pp. 198 (v. pp. 193-98) e G . Be- deschi, Centomila gavette di ghiaccio, Mursia, Milano 1963, pp. 425 (v. pp. 424-25).

27 G . CALVI, L ’armata italiana nella battaglia del Don, ed. erre, senza data nè luogo di stampa [ma 1944, Italia settentrionale], pp. 32.

28 C. T omaselli, Battaglia sul Don, Milano-Roma, Rizzoli, 1943, pp. 270.29 Secondo certi autori però l’equipaggiamento italiano era per lo meno discreto

(cfr. v . pp. 38-40 di A . Cappellini, Inchiesta sui dispersi in Russia, Milano, IT E 1949, pp. 221): si tratta però di affermazioni dovute ad un clima di polemica ormai sorpassato.

30 Per es. l’ARM IR ebbe circa due terzi delle scarse batterie moderne di artiglieria di medio calibro allora esistenti, mentre l’ultimo terzo veniva destinato in Africa settentrionale, dove pur si decidevano le sorti del Mediterraneo: si veda l’ottimo volume della Storia dell’artiglieria, già cit.

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equipaggiamento delle truppe italiane, non tentano di approfondire la ri­cerca delle cause di questa situazione (tranne in alcune opere qualche cenno alle responsabilità del regime fascista); ma dalla descrizione dell’in- feriorità materiale essi traggono solo nuovo slancio ad esaltare il valore dei soldati, che con armi antiquate seppero tenere il loro posto con onore. Chi ha presente gli scopi della pubblicazione del Valori (cfr. nota 12) può capire la sua minuziosa indicazione di deficienze che tornano a maggior gloria degli uomini che seppero farvi fronte, ma anche la sua rinuncia a coordinare queste deficienze, a sceverare quelle che hanno origini troppo lontane da quelle che possono attribuirsi con molta precisione ad un comando o ad una tradizione militare. La memorialistica ci ricorda quale fu il prezzo di questa inferiorità tecnica: un prezzo1 troppo alto perchè ci si possa contentare di monumenti ai caduti ed assoluzioni ai vivi.

E' noto che i tedeschi non preventivarono nel 1941 la protrazione della guerra fino all’inverno, che affrontarono in condizioni di equipag­giamento disastrose, mentre il CS1R ricevette per tempo oltre all’equi­paggiamento invernale normale un congruo numero di cappotti foderati di pelliccia e di indumenti di lana, tanto da poter affrontare l’inverno in condizioni sopportabili (ma si trattò di un inverno trascorso senza spo­stamenti, con le truppe acquartierate nei villaggi russi). Però i tedeschi seppero nel corso del 1942 approntare un equipaggiamento invernale ade­guato, prendendo a modello quello russo, mentre l’ARMIR non potè nemmeno contare sull’abbondanza di materiali che il CSIR aveva cono­sciuto. Nulla fu fatto in due anni di guerra per dotare i reparti di calza­ture adatte : i soldati italiani erano gli unici a sfoggiare scarponcelli chiodati (gli stessi in distribuzione alle truppe in Africa) in un clima in cui il ghiaccio si formava immediatamente tra i chiodi delle suole. Nulla fu fatto per sostituire le pellicce (ingombranti e poco igieniche) con tute imbottite del genere di quelle russe. Nulla fu fatto per dotare le armi automatiche di un lubrificante che non temesse il gelo: le mitragliatrici sparavano solo se tenute nei rifugi oppure avvolte in coperte e scaldate con elmetti di brace. Gli automezzi erano gli stessi in uso in Africa, mancavano spazzaneve e mezzi cingolati, i muli non sopportavano il freddo e la neve alta. E il nostro elenco potrebbe continuare: l’esperienza del CSIR non ebbe alcuna conseguenza, le divisioni italiane partirono per la Russia con lo stesso equipaggiamento che aveva procurato 2000 conge­lati in dieci giorni del giugno 1940 sulle Alpi. Si ha l’impressione che lo Stato Maggiore dell’esercito fosse una macchina molto ben funzionante per i problemi conosciuti, ma completamente disarmata dinanzi a problemi nuovi e non previsti dai regolamenti come un inverno di guerra in Russia.

Le deficienze che abbiamo segnalato non hanno bisogno di docu­mentazione, perchè tutte le opere (studi e memorie) lo registrano, pur senza inquadrarle adeguatamente. Passiamo ora ad un altro genere di critiche ai comandi italiani, particolarmente ai comandi in Russia, che non hanno supporto documentario e che pure non ci sembra possano passare sotto silenzio. Non è difficile trovare nella memorialistica accuse ai co­mandi superiori, in parte dovute al risentimento dei combattenti per chi

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non condivide le loro sofferenze, in parte riconosciute sostanzialmente esatte da tutti (ne abbiamo parlato sopra), in parte, infine, senza risposta; ci sono infatti alcuni problemi non secondari della campagna di Russia che sono rimasti completamente ignorati nelle relazioni ufficiali e negli studi. Zone d'ombra che indicheremo, pur consapevoli dell’impossibilità di precisare gli appunti, per un silenzio della tradizione ufficiale forse si­gnificativo.

Anzitutto, il comando dell’ARMIR. Una testimonianza gli attribuisce 500 ufficiali, 105 dei quali per un ufficio informazioni che avrebbe dovuto averne 16 e che non pare aver avuto alcun ruolo nella campagna31 : ma questo comando non compare mai nella storiografia ufficiale, forse perchè non ebbe grande influsso sulle operazioni32. Sta di fatto che gli ordini ai corpi d’armata sembrano provenire sempre dal comando supe­riore tedesco, fedelmente trasmessi da Gariboldi; che la battaglia sul Don fu condotta senza alcuna indipendenza, nella più assoluta aderenza agli ordini di Hitler di resistenza sul posto, fino al disastro; che con gli ordini di ripiegamento, tardivi, si interruppe l’azione di comando di Gariboldi, per inefficienza delle radio e assenza di ufficiali di collegamento33. Il co­mando dell’ARMIR sembra stranamente imprevidente anche nei mesi che precedettero la battaglia, anche dopo l’inizio della controffensiva sovie­tica (metà novembre) : i magazzini risultarono proiettati tanto in avanti, che caddero subito in mano ai russi, con materiali che erano stati lesinati alle truppe, (tra cui cappotti di pelliccia, che mancavano in linea). Di più, gli autocarri ed i trattori delle truppe dovettero essere abbandonati all’i­nizio del ripiegamento o dopo poche ore per mancanza di carburante : particolare questo che ci sembrerebbe incredibile, se non fosse attestato da più fonti insospettabili ed anche dagli studi ufficiali, che però non ne rilevano la tragicità. Il ripiegamento ebbe inizio dopo vari giorni di

31 G. T o llo y , Con l’armata italiana in Russia, Torino, De Silva 1947, pp. 231(v. pp. 19-21).

33 II Valori critica la designazione di Gariboldi, troppo remissivo (La campagna di Russia, op. cit., pp. 421-23), la sua docilità dinanzi ai tedeschi (p. 447), l’assenza di azione di comando nei confronti del Corpo alpino (p. 697-98) e la mancanza di un piano di ripiegamento (p. 588) : denuncia cioè molti singoli errori, ma non dà un giudizio completo su Gariboldi e sul suo comando. L'Ufficio Storico evita il problema. Messe è invece assai polemico, perchè ebbe con Gariboldi forti con­trasti (Me sse , op. cit., pp. 232-40); Canevari infine muove accuse precise e pe­santi, in un contesto però poco attendibile. In conclusione manca un giudizio meditato e documentato sull’operato del comandante dell’ARMIR e sul funzio­namento del suo comando.

33 Si pensi che due divisioni alpine andarono perdute perchè non fu possibile co­municare loro di deviare di pochi chilometri dal loro itinerario : dal primo giorno della ritirata in tutto il Corpo alpino funzionava solo una radio tedesca e non fu mai possibile stabilire un collegamento aereo (o meglio, aerei e ufficiali tedeschi ci riuscirono, gli italiani no, nè risulta che abbiano tentato (Od a sso , cit., pp. 145-49). Si ricordi che l’armata ungherese affiancata all’ARM IR ripiegò d ’iniziativa del suo comandante 24 ore prima del corpo alpino (16 - 17 gennaio 1943); Gariboldi invece non seppe assumersi questa responsabilità, che avrebbe permesso forse di salvare il grosso del corpo. Per l’incapacità dimostrata dal comando dell’ARMIR nella riorganizzazione degli sbandati e dei superstiti, cfr. V alo ri, La campagna di Russia, op. cit., pp. 553-54 e O dasso , op. cit., pp. 149-58.

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combattimento, quindi non il tempo era mancato a provvedere benzina e nafta; nè vale asserire che il carburante mancasse, perchè nelle retrovie ce n’era e più di un deposito dovette essere incendiato prima dell’arrivo dei russi; del resto i reparti tedeschi affiancati agli italiani ne avevano, anche se non in gran quantità. Chiedere alle truppe di ripiegare a piedi, senza autocarri per viveri, armi e feriti, senza trattori per l’artiglieria che sola poteva tener lontani i carri armati nemici, sembra la dimostra- zione della completa inefficienza, professionale e morale, del comando dell’ARMIR; il silenzio delle fonti ufficiali è inesplicabile e avvalla un’ac­cusa così dura che non ammette attenuanti31 * * 34.

Nè è stato fornito alcun dato sulla consistenza delle retrovie: eppure si tratta di un buon terzo dell’ARM IR35, cui non è dedicato una riga nè una cifra in tutte le pubblicazioni ufficiali ed ufficiose36. Non sappiamo quali quantitativi di materiali avesse l’armata, come fossero impiegati i 16.700 autocarri, dove fossero distribuiti i 7000 ufficiali e quali gradi avessero, come fosse organizzato lo sfruttamento delle zone agricole con­cesse dai tedeschi o la repressione della guerriglia partigiana. Su tutta l’organizzazione ed il funzionamento delle retrovie abbiamo solo testi­monianze deprimenti e certo bisognose di controllo, che parlano di cor­ruzione, traffici illeciti, carrierismi ed imboscamenti a tutti i livelli37 e sarebbe utile, anzi necessario, disporre di dati ed informazioni di prima mano. Invece la storiografia ufficiale non si sofferma su questi problemi, che pure coinvolgono la responsabilità dei quadri e l’efficienza dell’orga­nismo militare : così gravi sono le lacune, eppure non dovrebbe esser difficile colmarle, poiché gli incartamenti burocratici del comando del- 1’ARM IR, dell’intendenza, dei vari servizi e comandi tappa sono stati certamente salvati con i rispettivi uffici, che ripiegarono in genere senza pericoli nè disagi eccessivi.

# * *

Già abbiamo detto che invece la storiografia ufficiale è sufficiente- mente completa per quanto riguarda la narrazione delle operazioni, spe-

31 Per la maggior parte di queste accuse, si può trovare una convalida nel Valori{La campagna di Russia, op. cit., pp. 549: mancanza di carburante per il ripie­gamento; p. 549: scarsezza di pellicce in linea, ma non nei magazzini; p. 552: in­cendio di un deposito di carburante il 19 dicembre nelle immediate retrovie); però solo nella memorialistica questi fatti sono presentati in tutta la tragicità delleloro conseguenze.

35 Sul totale di 222.000 uomini, le dieci divisioni con le truppe suppletive di corpo d ’armata e d ’armata dovrebbero raggiungere i 140.000 uomini circa; rimangono 70 - 80.000 uomini per i servizi delle retrovie.

36 11 Valori, di solito assai informato, dedica a questi problemi un capitolo che è costituito dalla relazione ufficiale del gen. Biglino, comandante deH’intendenza dell’ARM IR: si può capire come la relazione sia ampia, ma apologetica, ed eluda tutti gli interrogativi che poniamo.

37 Ci sembra inutile citare le singole opere, poiché tutta la memorialistica riecheggia queste accuse; ben si intende come l’importanza che viene loro attribuita varia da libro a libro e così pure l’attendibilità, ma le accuse sono troppo ripetute per essere senza fondamento.

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cialmente con l’opera più volte citata del Valori. Ci limiteremo quindi a rapidissime osservazioni sulla posizione che alcuni episodi hanno assunto nel quadro generale.

I combattimenti del CSIR e poi del XXXV° Corpo d’armata che ne assunse l’eredità (luglio 1941 - ottobre 1942) sono ampiamente illustrati nel volume di Messe, in quello dell’Ufficio Storico e nell’opera di Valori; andrebbero però inquadrati nelle operazioni delle armate tedesche: iso­lando le vicende delle truppe italiane si è portati a sopravalutare quelli che furono combattimenti violenti, ma di limitata durata ed entità3S. Manca purtroppo per tutto questo primo periodo la memorialistica38 39 con la sua funzione essenziale di contrappunto critico alle relazioni ufficiali, e le preziose testimonianze sullo stato d’animo delle truppe, sulle loro condizioni di vita e sulla natura dei combattimenti. Per l’aviazione dispo­niamo del buon studio ufficioso del Santoro40, che però tratta la storia dei gruppi aerei in Russia prescindendo quasi dalle vicende delle forze di terra: abbiamo cioè una documentazione relativamente ampia sulle vicende dell’aviazione, non però una analisi della portata e dell’efficacia della cooperazione aero-terrestre in campo tattico (cooperazione che pare esser stata fortemente ostacolata nei mesi invernali dall’incapacità del materiale di volo di affrontare le avverse condizioni climatiche: nei quin­dici giorni del ripiegamento del Corpo alpino non fu visto un aereo ita­liano, ma solo cicogne tedesche e caccia russi).

La battaglia sul fronte del Don a metà dicembre è ugualmente piut­tosto nota nelle sue linee generali; assai più oscure le vicende della ritirata, poiché conosciamo solo i movimenti delle maggiori colonne. La narrazione dell’Ufficio Storico e del Valori, basata sulle relazioni e sulle testimonianze di alti ufficiali, rivela i suoi limiti di informazione e soprattutto di obiet­tività dinanzi alle memorie di molti superstiti di ogni grado; la versione ufficiale infatti non prende in considerazione episodi accertati di sbanda­mento morale (reparti che si disgregarono dopo poche ore di marcia, uffi­ciali che abbandonarono i loro uomini per fuggire più in fretta, comandi che caricarono gli automezzi di effetti personali abbandonando i feriti, soldati ridotti dalla fame e dai patimenti all’ultimo abbrutimento) oppure li riduce a manifestazioni di brutalità di una soldataglia non più inqua­drata, episodi isolati di teppismo e rapina; mentre invece una ricostruzione veramente seria e sollecita di verità del ripiegamento dell’ARMIR non deve esitare dinanzi agli episodi più tristi, cercando le loro cause anche nella situazione eccezionale (esaurimento fisico degli uomini, mancanza

38 Cfr. Odasso, op. cit., pp. 17-18.39 Oltre al volume cit. di Messe, ricordiamo U. SALVATORES, Bersaglieri sul D on, Bo­

logna, Tip. Compositori, 1958, pp. 625; G . Gozzi, Con noi era l’ infinito, Genova, ed. prisma, 1950, pp. 140 e F. C osta, T re girasoli p er M aria Speranza, Monza, Nuova Massimo, 1957, pp. 365. Nessuna di queste opere è particolarmente signi­ficativa, se si eccettua quella di Messe; ancora più inconsistenti le opere 1942-43 già citate.

40 SANTORO, op. cit.; cfr. anche G. SANTORO, L ’aeronautica italiana nella seconda guerra m ondiale, Milano-Roma, ed. esse, 1957, 2 voi. di pp. 580 e 582 (v. pp. 193- 232 del 11° voi.).

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di viveri e di assistenza ai feriti, constatata impotenza dinanzi ai mezzi corazzati russi, sfiducia nei comandi dinanzi al disordine della ritirata, ecc.) anche quando queste cause siano dovute all’inefficienza del sistema o dei comandi, invece di tacere o accusare i soldati41 * 43.

Merita di rilevare che l’unico reparto autocarrato che potè sganciarsi dal nemico, il 6° reggimento bersaglieri, benché duramente provato nei giorni di battaglia sul Don, potè uscire dalla sacca combattendo, com­patto, con perdite lievi ed un morale tanto alto da permetterne il ritorno al fuoco dopo un breve riposo. Si noti che il reggimento non potè sempre muovere in autocarro per deficienza di carburante: ebbe però sempre (tranne per le ultime ore di cammino) gli automezzi sufficienti per il trasporto dei feriti e di viveri e munizioni, per la formazione di pattuglie esploranti ed il traino di pezzi da 75 capaci di tenere lontani i mezzi co­razzati russi tó. Non siamo cioè dinanzi ad un’unità motorizzata in tutti i suoi elementi, ma provvista soltanto di un nucleo minimo di automezzi che permise di conservare efficienza combattiva e solidità: il che fa pen­sare in quali diverse condizioni avrebbe potuto svolgersi la ritirata se tutte le unità italiane avessero avuto il carburante necessario per gli autocarri che avevano in dotazione. La storiografia ufficiale preferisce invece insi­stere sullo spirito di corpo dei bersaglieri e sulla figura del loro coman­dante, cui certo fu dovuto un’alta parte del successo; ma senza gli autocarri anche il 6° reggimento si sarebbe sbandato, come altri reparti altrettanto sperimentati, i quali avrebbero potuto salvarsi con un po’ di carburante. E ’ questo il caso della 298* divisione tedesca di fanteria, che faceva parte dell’ARMIR ed era in linea tra le divisioni italiane, anche se non dovette sopportare il peso dell’offensiva sovietica : la divisione uscì dalla sacca con le sue forze, dopo combattimenti violentissimi, provata ma ancora compatta e funzionante. La storiografia italiana insiste sempre sul com­portamento dei reparti tedeschi verso gli italiani, che fu iniquo (furono negati viveri persino ai reparti che combatterono fianco a fianco con i tedeschi e fu invece prelevata la benzina italiana per i mezzi tedeschi) ma non si ferma mai ad illustrare le vicende di questa divisione di fan­teria che, a differenza di quelle italiane, potè ripiegare combattendo senza sbandamenti (la divisione Torino, che pure non aveva combattuto sul Don, fu praticamente distrutta nella ritirata, compiuta in parte insieme

41 E ’ tristemente significativo che la prima reazione del comando dell’ARMIR di­nanzi ai successi dell’offensiva sovietica fosse di sfiducia nelle truppe: l’inizio del ripiegamento fu attribuito al cedimento morale della divisione Ravenna e quindi non furono prese misure per lo sgombero dei magazzini avanzati e per il solle­cito inizio della ritirata, poiché si credeva che l’intervento di reparti sperimentati avrebbe bloccato i progressi dei russi : si noti che contemporaneamente i tedeschi preparavano lo sganciamento! (Valori, La campagna di Russia, op. cit., p. 553). Solo nella relazione di fine febbraio di Gariboldi sulla rotta fu attestato il buon comportamento della truppa: ma l'analisi delle cause della sconfitta era sempre sommaria e reticente (V alo ri, ibidem, pp. 765-66).

43 Si veda il buon volume del comandante del reggimento: CARLONI, op. cit., e lo studio cit. di G uercio, La 3a divisione Celere.

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alla 298* divisione); eppure sarebbe interessante ricercare le cause della superiorità tedesca.

III.

Buona parte degli spunti critici della nostra esposizione dei limiti della storiografìa ufficiale provengono dalla memorialistica; potremmo anzi dire che l’orientamento generale della memorialistica stessa mette in di­scussione la versione tradizionale della campagna di Russia e specialmente della rotta dell’ARMIR, perchè solleva problemi e pone interrogativi che non trovano risposta nelle pagine dell’Ufficio Storico, del Valori e degli studi da essi condizionati. E’ però necessario in primo luogo caratterizzare a grandi linee la cinquantina di opere43 che abbiamo visto, raggruppan­dole con un certo schematismo in alcuni gruppi omogenei.

Ricordiamo in primo luogo le memorie di alcuni comandanti ed uffi­ciali superiori, che hanno tracciato la storia della loro unità per un periodo più o meno lungo, inserendo in essa la loro esperienza personale e una certa documentazione; volumi equilibrati ed attendibili, assai divergenti però nella valutazione della campagna e dei suoi insegnamenti. Si passa da una certa retorica di corpo (Salvatores) ad un racconto asciutto che non solleva accuse nè recriminazioni (Catanoso); le denuncia dell’impre­parazione tecnica diventa motivo di esaltazione per il valore dei soldati in un contesto di approvazione della guerra e della campagna (Messe, Carloni) oppure di accuse fermissime ai comandi italiani e tedeschi (Odasso, il migliore degli studi per ampiezza di analisi)43 44. Ma in tutti questi volumi traspare sempre una piena fiducia nell’esercito e nella sua tradizione; sono infatti opera di ufficiali superiori non più giovani, che hanno conosciuto la prima guerra mondiale con i suoi orrori e passata la loro vita nell’eser­cito: dinanzi alla sconfitta costoro possono chiedere che qualcuno paghi per tanti morti, ma non vedono messo in causa il loro mondo, i valori

43 Esattamente 49 autori, 16 dei quali reduci dalla prigionia: due generali, 8 uffi­ciali superiori, 8 capitani, 15 subalterni, 5 cappellani e 4 ufficiali di grado impre­cisato, più 3 sottufficiali e 4 tra graduati e soldati. Per quanto riguarda l’arma, 15 alpini, 7 tra medici e militari di sanità, 6 fanti, 5 cappellani e 4 artiglieri, 3 bersaglieri, 2 automobilisti, 2 genieri, 1 camicia nera, più il generale Messe e 3 ufficiali di arma imprecisata. Sono così rappresentati tutti i reparti (con una fortissima prevalenza del Corpo alpino, cui appartennero circa la metà degli autori) e gradi, anche se quasi tutti sono ufficiali. Alcune altre opere, comprese nell’ appendice bibliografica, hanno interesse meno diretto; altre ancora non ci è stato possibile rintracciare.

41 I col. Salvatores e Carloni si succedettero al comando del 6° reggimento bersaglieri: il magg. Catanoso comandava un battaglione del i° reggimento alpini, col quale fu fatto prigioniero; il t. col. Odasso era capo dell’ufficio operazioni del Corpo alpino. Salvatores, C arloni, M e sse , Odasso, op. cit., C . Catanoso, Il 1° reggim ento alpini dal D on all’ O skol, Genova, Morino, 1955, pp. 107. Si veda anche il diario di un colonnello d'artiglieria della 'T ridentina : F . A cquistapace, L a divisione alpina T riden tin a nella battaglia del D on, « Rivista militare », agosto-settembre 1946, pp. 968-1004.

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in cui credono e che riaffermano (con più asciuttezza gli alpini, Odasso e Catanoso, con più verbosità i bersaglieri, Messe, Salvatores e Cationi). Per gli ufficiali più giovani, in genere di complemento, l ’esperienza della ritirata e della rotta ebbe invece una ripercussione molto più profonda, tale da mettere in crisi la loro posizione dinanzi all’esercito ed i loro ideali e da portare spesso ad una sconsolata constatazione di fallimento. La testi- monianza del crollo di valori di cui furono vittime molti dei più giovani combattenti ci sembra uno degli apporti più importanti della memo­rialistica.

Scegliamo, tra le tante, quella del Corti: uno studente universitario che non aveva compiuto 22 anni al momento del crollo del fronte sul Don, chiamato alle armi nel 1941 come sottotenente d’artiglieria, distintosi nei primi mesi passati in Russia e proposto per una medaglia d’ argento. Sulla traccia di un diario tenuto anche nei giorni più duri, egli racconta la ritirata, l’accerchiamento e la salvezza (19 dicembre - 16 gennaio) del XXXV0 corpo d’armata, o meglio delle poche migliaia di superstiti. E ’ una testimonianza impressionante della vastità e profondità dello sfacelo: l’or­dine di ripiegare vede l’immediato sbandamento di alcuni reparti d’arti­glieria, che pure non avevano portato il peso maggiore dei combattimenti dei giorni precedenti; una notte di marcia segna la fine di ogni legame organico, due giorni di sofferenze tramutano un ufficiale valoroso come l’autore in un fuggiasco preoccupato solo della sua salvezza personale, pronto ad abbandonare i resti del suo reparto. L ’autore si descrive ora pronto a fuggire, ora deciso a combattere, spesso con la pistola in pugno, sempre pronto a prendersela con la vigliaccheria altrui ed a drammatizi- zare i suoi contrasti interni; ma malgrado la proclamata « capacità spiri­tuale » non appare che come uno degli sbandati, incapace di azione auto­noma, di decisione, di giudizio. Anche durante la ritirata i tedeschi con­tinuano a fucilare i prigionieri russi e gli italiani a consegnare i prigionieri ai tedeschi; ed il Corti scrive:

« Nel profondo del mio cuore, l’innata avversione contro i tede­schi crebbe e si tramutò in un’ira sorda e costante. Faticavo ad obbedire al comandamento di Dio e a non lasciarmi prendere dall’odio. Dal canto loro, in quel tempo, i nemici agivano verso i prigionieri allo stesso modo: noi sapevamo che non un tedesco veniva tenuto vivo nelle loro mani e che gli italiani subivano quasi sempre la stessa sorte. Era penosissimo per noi, uomini civili, essere coinvolti in quel mostruoso urto di barbari. Se almeno ad Arbusow i tedeschi avessero risparmiato i prigionieri! Si era quasi certi ormai di cadere tutti in mano russa e con quel modo! di agire ci si scavava con sicurezza la tomba con le nostre mani. Anche i prigionieri fatti da noi venivano chiesti dai te­deschi per il massacro e si dovevano consegnare » 45. 43

43 E . Corti, 1 più non ritornano, Milano, Garzanti, 1947, pp. 300; citiamo dalla 5a ediz. 1964, pp. 285 (v. p. 94).

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Era penosissimo per noi, uomini civili, essere coinvolti in quel mo­struoso urto di barbari! Questa è l’unica riflessione che il Corti trae dalla tragedia di cui è attore: nè mai si chiede perchè gli italiani fossero in Russia, coinvolti nell’urto di barbari, nè mai spiega cosa intenda per ci­viltà, dinanzi afl’abbrutimento degli italiani sbandati. Il crollo dei miti fascisti di potenza lo ha lasciato disarmato, la tradizione militare non gli offre alcun sostegno, la sua intensa fede cattolica si risolve in chiave indi­viduale; egli passa quindi da un’illusione nazionalista ad un pessimismo rinunciatario, sempre incapace di un giudizio politico e morale autonomo.

L ’esperienza russa si chiude quindi con un bilancio fallimentare, con un vuoto ideale, con una rinuncia a capire ed a lottare. Un vuoto che ritorna nelle parole di un altro ufficiale, ugualmente stanco :

« Tedio della guerra che non è paura, ma stordimento, abbru­timento, selvaggia allucinazione. Ma era necessario studiare tanto, e sacrificarsi e costruirsi e civilizzarsi e ingentilirsi, per correre carico di pidocchi, con le armi spianate, contro uomini scono­sciuti, che non ti hanno mai dato fastidio {...)? tedio di chi fa la guerra, di chi continuerà a farla e la odia » “ .

Il disgusto della guerra non si traduce mai in una protesta coerente e logica: per il capitano medico Sacco, ugualmente demoralizzato dalla guerra, dal fango, dagli imboscati, c’è una sola via d’uscita:

« Ma perchè questi russi continuano a fare la guerra? Perchè ancora questo incubo di morte e rovina? Come sarebbe bella questa notte di luna! Non si potrebbe avere un po’ di pace? » a.

Testimonianze demoralizzate come queste (e quelle dei tenenti Fin­cato, Pedani, Gozzi e del cappellano Del Monte)46 47 48 lasciano un’impres­sione assai triste; alcuni di questi autori hanno combattuto fin dove era possibile, altri invece narrano senza ritegno di aver abbandonato il loro reparto, ma tutti concordano nel descrivere la ritirata in termini dram­matici, come un disastro che tutto travolge, contro cui non si può reagire. E ’ in questi libri che si trovano descritti gli episodi più neri di sfacelo morale, di sbandamento di reparti, di viltà di superiori, di morale basso. Non è possibile dire fino a che punto- questo crollo di valori fosse provo­cato dall’esperienza russa (come per il Corti) o fosse preesistente (come sembra per il Sacco- ed il Gozzi); ma questo pessimismo rinunciatario non giunge mai fino ad una critica decisa dei comandi, fino ad un giudizio politico sulla guerra, -che è accettata come una catastrofe naturale. Tutti narrano di alti ufficiali imboscati o -incompetenti, ma nessuno tenta di risalire dai casi singoli di viltà o eroismo ad un giudizio generale che non

46 S. Rudiè, Harasciò. Russia non inventata, Bari, Laterza, 19 51, pp. 291 (v. p. 220).47 E . Sacco, E ’ niente se si torna, Torino, SA T E T , 1945, pp. 265 (v. p. 84).48 S. F incato, Attraverso la sacca. M em orie d i un alpino nella campagna d i Russia,

«Rivista militare », gennaio e febbraio 1946, pp. 95-1 io e 208-225; Gozzi, op. cit.; A . Pedani, La tragedia del D on, Roma, Stampa d’oggi, 1951, pp. 158; A . D el M onte, L a croce sui girasoli, Alba, S. Paolo, 1945, pp. 363.

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sia cupo disfattismo o retorica patriottica altrettanto facile “ . In questi autori è evidente un certo distacco verso la popolazione ucraina (che tanto più colpisce in un medico o in un cappellano) di cui si nota la miseria, la sporcizia e poco più; e una condanna delle brutalità dei soldati russi che stupisce in chi enumera tanti episodi di bestiale violenza commessi da italiani e tedeschi. In conclusione, ciò che più colpisce in questi uffi­ciali è la rinuncia ad un giudizio su quanto vedono e vivono, che non sia pessimismo apocalittico : essi narrano un’esperienza puramente indivi­duale, in cui non c’è posto per amici, colleghi o subordinati, in cui tutti gli orrori sono ricondotti alle conseguenze per l’autore. Sono volumi che illustrano lo smarrimento di una generazione di giovani cresciuti nel mito dell’invincibilità fascista e ritrovatisi nudi e disarmati nel crollo del- l’ARMIR 49 50.

Una testimonianza singolare ed unica nel suo genere è quella di Tolloy, ufficiale di carriera di sentimenti antifascisti, liberal-crociano51 ; egli descrive la vita del comando dell’ARMIR, cui appartenne, e la poli­tica italiana verso le popolazioni (manca purtroppo una conoscenza diretta delle truppe e del fronte) denunciando con lucido pessimismo la corru­zione e l’incompetenza degli ufficiali dei comandi, quasi tutti raccoman­dati politici in cerca di facile gloria e burocrati interessati solo alla carriera. Il Tolloy è l’unico tra i nostri autori che sia giunto in Russia con una chiara posizione antifascista, che viene confermata dal crollo dell’armata; dà quindi un giudizio duro e motivato della politica mussoliniana, della partecipazione italiana alla campagna, della preparazione delle truppe e del comportamento dei tedeschi, temi che saranno ripresi dagli studi po­steriori; ma anche il Tolloy ha una posizione puramente negativa, non vede in Russia che marcio ed incompetenza : solo più tardi, nella Resi­stenza, egli saprà giungere a scelte politiche positive (nel suo caso, l’ade­sione al socialismo). Per il momento, la sua posizione rimane un caso limite, dell’intellettuale antifascista sdegnosamente solo nel crollo di un mondo che non è più il suo.

Un altro gruppo di testimonianze esprime invece l ’orientamento di una parte degli ufficiali più giovani, che nel crollo degli ideali loro offerti seppero trovare qualcosa cui afferrarsi, un motivo per continuare a com­battere: alcuni subalterni degli alpini (Revelli, Quattrino, Moscioni Negri, Corradi), un capitano dei battaglioni d’assalto delle camicie nere (Dotti),

49 Per es. il Corti, quando riferisce che gli alpini non si sbandarono, pur in condi­zioni simili a quelle da lui vissute, non si chiede affatto la ragione di questo di­verso comportamento, ma ritorna ai miti nazionalistici, rallegrandosi che truppe italiane abbiano potuto mostrarsi « truppe superiori a qualsiasi altra, tedeschi compresi » (CORTI, cit., p. 9).

50 Una vicenda individuale, ma semplice e pulita, è quella di un caporale di sanità, uno dei pochi che difendano gli sbandati dall’accusa di viltà, attribuendo la rot­tura dei vincoli organici all’esaurimento fisico: A . C. L azzeretti, I giorni dell’ ira. La ritirata dal Don con la divisione Torino, Torino, Milano, SED 1T , 1957, pp. 245.

51 T olloy, op. cit. I capitoli del volume furono scritti in Russia e man mano inviati a Roma e fatti circolare dattiloscritti; furono poi pubblicati clandestinamente nel 1944 in Brianza, con false indicazioni d ’autore e di edizione.

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un sottufficiale degli alpini (Rigoni Stern)52. Un gruppo alquanto etero­geneo, potrebbe sembrare a chi si fermi al tono delle memorie (dalla vio­lenza accusatrice del Revelli al tono sommesso del Quattrino, dal distacco del Rigoni Stern all’inchiesta giornalistica del Corradi); ma un esame attento rivela la costanza di caratteristiche fondamentali. Si tratta anzi­tutto di giovani, ufficiali e sottufficiali di complemento (tranne il Revelli, che ha però pochi mesi di carriera militare alle spalle e lascerà l'esercito dopo l’esperienza russa), che hanno accettato la guerra talora con entu­siasmo ma soprattutto con serietà, come un dovere da compiere senza discutere (non un’avventura nè una crociata antibolscevica); tutti hanno combattuto valorosamente, senza abbandonare il loro reparto, e sono usciti a testa alta dalla sacca. Quando narrano dello sfacelo della ritirata, non usano i toni cupi e talora compiaciuti degli scrittori prima citati, ma rac­contano con tristezza, con amarezza; eppure i loro libri sono quelli più critici per i comandi e per il sistema, perchè solo ad essi, e non ai soldati, essi attribuiscono la sconfitta e la rotta. fie loro accuse scaturiscono dalle cose stesse: armi che si inceppano, razioni scarse, scarpe che facilitano i congelamenti, ordini tardivi, imboscati nelle retrovie, superiori spesso incompetenti e sprezzanti; tranne il Revelli ed in parte il Moscioni Negri, questi autori non vogliono fare processi e perciò le loro pacate testimo­nianze sono più efficaci. E in tutte si sente il peso degli amici e dei sol­dati morti senza ragione, il loro muto rimprovero. Quando si cerca di individuare la ragione della resistenza di questi uomini, che andarono all’assalto quando sarebbe stato possibile imboscarsi come migliaia di altri superstiti, non si trovano i motivi cari alla tradizione oleografica dell’amor patrio (che per i più significava solo la casa e non poteva spiegare la guerra di conquista in Russia) e del dovere militare, ma un forte senti­mento di solidarietà e responsabilità verso il loro reparto, gli uomini che si affidavano a loro. Entrano qui in gioco lo spirito di corpo delle truppe scelte ed il reclutamento regionale delle truppe di montagna, ma in un quadro che ha ben poco di tradizionale: gli alpini si sentono traditi, sanno di non aver mancato, essi, al patto che stringe comandanti e soldati, sanno che la colpa della rotta non è loro; la lealtà che lega questi giovani ufficiali ai loro uomini è un protesta contro i superiori, contro un ordi­namento, un sistema che non è stato leale. Gli uomini nella sacca cercano nei loro compagni quei valori che non trovano più nei miti crollati e continuano a combattere per tornare a casa, per chiedere conto dei morti a chi li ha abbandonati, per non venir meno alla fiducia dei loro uomini o soltanto per un istinto di conservazione che non è mai fuga egoistica, ma ricerca di qualcosa di buono, di sano, di vero; e tutti questi libri sono pervasi di amore per colleghi e soldati, come pure di simpatia per

a2 N . ReVELLI, Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, Cuneo, Panfilo, 1946, pp. 261; U . Quattrino, Sacrificio di alpini sul Don, Pinerolo, Tajo, 1950, pp. 228; N egri C. M ., I lunghi fucili. Ricordi della guerra di Russia, Torino, Einaudi, 1956, pp. 147; E . CORRADI, La ritirata di Russia, Milano, Longanesi, 1964, pp. 242; S. DOTTI, Ri­tirata in Russia, Bologna, Cappelli, 1956, pp. 158; M. R igoni Stern, Il sergente nella neve, Torino, Einaudi, 1953, pp. 160.

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la popolazione russa e persino per i partigiani ed i militari sovietici, visti più spesso come uomini che come nemici53 *.

Perciò questi volumi, così scettici verso gli alti comandi, così critici verso l’esercito, così ai margini rispetto alla tradizione militare, di cui ripetono solo elementi secondari, ma da cui non traggono i motivi della resistenza, ci sembrano i più belli e veri racconti di guerra, quelli che possono aiutare a comprendere perchè tante unità non si siano sfasciate, mentre crollava un sistema5t. Non sono certo racconti antimilitaristici, anzi più d’uno attesta una maschia gioia di combattere, ma contengono un giudizio, chiaro anche se quasi sempre implicito, sulla campagna e sui comandi; un giudizio negativo sugli scopi della guerra (nessuno sa perchè sia in Russia a portare lutti e massacri) e sulla sua preparazione e condotta, un giudizio largamente negativo, ci sembra, sui valori più cari alla storio- grafìa ufficiale sulla campagna55. La quale trova invece rispondenza in un quarto gruppo di testimonianze, in cui raggruppiamo coloro che sem­brano entusiasti della guerra e pronti a ricominciarla ed alieni da giudizi negativi. Si tratta spesso di ufficiali di una certa età, di carriera o reduci della prima guerra mondiale: un colonnello dei bersaglieri che rivendica il valore dei suoi soldati, un capitano dei servizi automobilistici, che riesce a trovare donne e cognac che lo consolino del freddo, un capitano degli alpini imboscato nei comandi, rientrato in patria con l’ultimo treno prima dell’offensiva russa, che scrive in tono goliardico, come se la rotta non fosse avvenuta, il fascispio caduto e la guerra persa; oppure l’ex seguace di D’Annunzio che invano cerca in Russia lo spirito dei legionari fiumani o infine il racconto di un valoroso capitano delle retrovie, battutosi nella ritirata con truppe di formazione (l’unico tra questi volumi che ci sembri

53 « Combattevamo per una guerra sbagliata, dirà uno di costoro, e lo sapevamo. Morivano male i nostri soldati. I feriti li bendavano con la carta igienica, li ab­bandonavano su quattro dita di paglia come cani. Senza armi, senza retrovie. Ecco la nostra guerra. Nei primi tempi i fanatici, i puri, morivano sorridendo. Poi anche i puri incominciarono a bestemmiare. Combattevamo per il fascismo, per ritalia, per l’esercito, per noi stessi? Combattevamo da uomini e basta ». E ancora: « La colpa peggiore del fascismo non è di aver tradito la generazione del littorio, di aver tradito noi che gridammo ’ viva la guerra, viva il duce ’ . E ' di aver tradito questi poveri cristi [gli alpini del suo reparto] a cui la guerra era caduta sulle spalle come un’epidemia ». (N. Revelli, pp. 167 e 34-35 di La guerra dei poveri, Torino, Einaudi, 1962, pp. 528, nuova edizione delle me­morie 1946). Si veda anche A . Garosci, Italiani in Russia (« Belfagor » 1948, n. 2, pp. 210-17): « I reduci del CSIR e dell’ARMIR li abbiamo trovati, in così grande parte, nella guerra di liberazione, perchè la campagna di Russia, quantunque con­finata ad un settore necessariamente piccolo delle forze armate, è stato il primo uscir dell’Italia da quella specie di guerra limitata e sotto controllo in cui Mus­solini l’aveva tenuta fino allora. La guerra di Russia è stato il primo atto della guerra vera, della tragedia vera italiana, il segno del risveglio brusco» (p. 2 11) .

51 C fr. su « Il Ponte », gennaio 1965, pp. 135-36 (M. G. L osano, Il diritto alla sberla) le intemperanze di un generale dei lancieri, difensore della versione più edulco- ratamente patriottica della guerra italiana, contro il Moscioni Negri, considerato nefando esempio di disfattismo.

55 Si veda anche uno studio molto interessante sullo stato d ’animo dei combattenti, arricchito con documenti assai importanti: B. Ceva, Cinque anni di storia ita- liana (1940-45). Da lettere e diari di caduti, Milano, Comunità, 1944, pp. 350.

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utile per lo storico)a6. E inoltre due subalterni di complemento, che a due decenni di distanza tornano sulle loro vicende di Russia, l’uno per trac­ciare il suo distaccato itinerario spirituale conclusosi nella Decima repub­blichina, l’altro per un romanzone storico confortato dal successo di pubblico, costruito secondo i più tradizionali schemi della retorica nazio­nalistica e patriottica 56 57 58. Un insieme di esperienze quanto mai eterogenee, anche nella motivazione della loro posizione di consenso implicito alla guerra, in cui vanamente si cercherebbe lo slancio epico o la commozione umana di certe pagine della memorialistica da Revelli a Rigoni Stern.

Parte a se formano le opere dei reduci dai campi di prigionia russi. Sugli 85.000 morti e dispersi dell’ARMIR, forse 50.000 furono catturati dalle truppe e dai partigiani sovietici5S; circa tre quarti di costoro mori­rono per la mancanza di una organizzazione sanitaria al seguito delle truppe sovietiche, per le durissime marce di trasferimento a piedi ed il succes­sivo viaggio in treno in spaventose condizioni (vitto scarsissimo, nessuna precauzione igienica, confisca dei migliori capi di vestiario, ecc.) ed infine per i primi mesi nei campi di concentramento, dove l’insufficiente ali­mentazione e le epidemie causarono un’ultima falcidia. Dal maggio 1943 le condizioni di vita migliorarono e cessarono i decessi; i prigionieri fu­rono però sottoposti a corsi di indottrinamento politico ed a penose discri­minazioni, dinanzi alle quali non sempre seppero reagire con fermezza.

56 A . Palazzo, Eroi d ’Italia fra Ladoga e Mar Nero, Milano, Gastaldi, 1952, pp. 185 (non ci è stato possibile vedere un’altra opera del colonnello sulla campagna di Russia, che dal titolo sembrerebbe polemico: Verità sulla campagna di Russia. L ’olocausto della divisione Torino, Roma, Tip. Agostiniana, 1944, pp. 23); V . G iordano, La tragedia dell’ARM IR, Milano, Gastaldi, 1950, pp. 254; M. Cere- ghini, Alpini in Russia, 1942, Milano, Milione, 1952, pp, 164; F. Costa, op. cit.; E . Carerj, L'epopea di Tscherkowo. Campagna di Russia, Roma, Stab. Graf. N a­zionale, 1957, pp. 221; si aggiunga l ’anonimo Manus, Crepuscolo sul Don. Con gli alpini nella campagna di Russia, Milano, 1st. edit, di propag. per la cultura stor. naz., senza data, pp. 154.

57 M. Gandini, La caduta di Varsavia, Milano, Longanesi, 1963, pp. 287; Bede- SCHI, op. cit.

58 La polemica anticomunista che negli anni 19 4 7-4 9 prese pretesto dalla sorte dei prigionieri dell’ARMIR per condannare il sistema sovietico e che ancora oggi permea pubblicazioni giornalistiche rievocative, ha impedito che la questione fosse approfondita con serietà; per es. un volume che si presenta come sintesi delle ricerche, dà un totale di prigionieri in mano russa di 9 0 .0 0 0 , quattro anni dopo che l’Ufficio Storico aveva stabilito la cifra di 8 5 .0 0 0 per caduti e prigionieri (v. p. 5 1 d i: E . F r a n z in i , Reduci dalla Russia. Libro-ricordo, Treviso, Stamp, artig., senza data, pp. 2 5 6 ). Tenendo conto delle perdite fortissime delle truppe italiane sul Don e nella ritirata, ci sembra che il totale dei prigionieri caduti in mano russa non possa superare i 5 0 .0 0 0 , circa tre quarti dei quali non ritorna­rono. Incuria e malvolere dei sovietici causarono la terribile falcidia; va però an­che ricordato che durante la ritirata stessa i tedeschi continuarono a fucilare i prigionieri russi e che quindi è molto comodo ricordare solo il buon trattamento riservato dal CSIR ai prigionieri russi; e che fino all’ inverno 19 4 2 -4 3 i russi non avevano praticamente mai fatto prigionieri agli eserciti invasori. Tutta la que­stione andrebbe comunque studiata e non solo presentata di sfuggita (come fa il Valori, anche se con una certa obiettività: pp. 7 3 9 -4 0 , La campagna di Rus­sia, cit.).

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Giorgio Rochat

I rimpatri avvennero nel 1945-46, tranne per piccoli gruppi che si erano opposti al prepotere russo e che furono trattenuti in parte fino al 1954. Nelle memorie dei superstiti l’esperienza della prigionia supera per inten­sità e tragicità quella della ritirata e dei combattimenti, quindi su di essa si imperniano i volumi; analogamente le testimonianze di coloro che rimpatriarono nel 1943 si riducono quasi sempre al periodo della ritirata, più denso e drammatico. Le memorie di reduci dalla prigionia hanno quindi per la nostra rassegna, che sulla prigionia non intende adden­trarsi, solo un valore relativo, sia perchè nemmeno la metà delle opere esaminate dedica più di qualche pagina alle vicende vissute nell’ARMIR prima della resa, sia perchè anche queste vicende sono logicamente filtrate attraverso gli anni di prigionia.

Tuttavia merita di notare che tutte le opere che si soffermano sui combattimenti sul Don hanno accenti polemici ed amari verso l’organiz­zazione militare italiana. I temi sono i consueti (equipaggiamento, arma­mento, vitto, ordini tardivi, ecc.); ad essi si aggiunge il rimpianto di essere stati avviati alla sconfitta ed alla prigionia in condizioni disperate 59. Due volumi si soffermano con più ampiezza su questi problemi: l’uno è un’affrettata accusa ai comandi di un subalterno di complemento, for­temente polemico ma anche superficiale (le accuse sono quasi sempre giu­stificate, ma l’autore esagera, a nostro avviso, nell’addebitare ai comandi colpe ed intenzioni su cui andrebbe approfondito l’esame); l’altro una testimonianza amarissima di un capitano comandante di battaglione della sfortunatissima divisione Vicenza, che più di ogni altra scontò l’impre­videnza dei comandi italiani: il racconto, cupo e forte, sembra attendi­bile 60. Infine occorre registrare i volumi di due soldati che tornarono dalla prigionia comunisti61 : testimonianze polemiche, ma più moderate della maggioranza di quelle analoghe, che hanno il pregio notevole di illustrare le condizioni di vita delle truppe. E ’ infatti caratteristica pressocchè co­stante della memorialistica il riferirsi solo agli ufficiali, poiché ufficiali erano la grande maggioranza degli autori; questi due volumi, entrambi assai vivi, gettano uno spiraglio di luce sulla vita delle retrovie e della prima linea, descrivendo il morale delle truppe come assai oscillante, ma soprattutto insistendo sulla scarsezza del vitto per i soldati semplici e sul­l’equipaggiamento inadeguato che causavano malumore e apprensione.

59 Cfr. per es. E . Fanciulli, In terra di Russia. Ricordi d ’un prigioniero, Roma, Maglio, senza data, pp. 143; Zabeo G ., Hai veduto mio figlio? Quattro anni nella Russia dei Soviet, Mestre, T ip . artig-, 1952, pp. 201; F . Fabietti, Redivivo. QuaL tro anni di prigionia in Russia, Milano, Garzanti, 1949, pp. 142. I primi due autori (rispettivamente sottufficiale di una compagnia pontieri e soldato di sanità) furono inviati in linea con reparti di formazione e facilmente catturati dai russi avanzanti; il terzo, medico della divisione Vicenza, cadde prigioniero per man­canza di ordini.

60 F . S e r io , La steppa accusa, M ila n o , L a P r o r a , 19 4 8 , p p . 2 1 6 ; G . G h e r a r d in i , La vita si ferma. Prigionieri italiani nei lager russi, M ila n o , B a ld in i & C a s to ld i, 19 4 8 , pp. 3 4 7 .

61 F . Gam betti, I morti ed i v iv i dell’ARM IR, Milano, ed. Milano-Sera, 1948, pp. 238; P . G iuffrida, L ’ ARMIR, il generale e la ritirata, Novara, Macchia, 1953, pp. 229.

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La campagna di Russia 1941-43: Rassegna bibliografica 85

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In complesso ci sembra che l’esame della memorialistica convalidi le nostre osservazioni sui limiti della storiografia ufficiale. Attraverso queste opere si può giungere ad una ricostruzione più critica e dettagliata della campagna e particolarmente del ripiegamento: la documentazione ufficiale e le testimonianze di alti comandanti su cui si basa il Valori possono essere utilmente integrate e corrette dal confronto con gli autori citati, in gran parte giovani ufficiali a contatto delle truppe. E nuovo incitamento da queste memorie si dovrebbe trarre ad una raccolta sistematica di testi­monianze di superstiti (come ha fatto il Corradi, limitatamente alle sue esperienze personali, nel volume citato). Ma la memorialistica concorre a mettere in crisi l’ impostazione storiografica che ha il suo maggiore espo­nente nel Valori anche da un altro punto di vista, come testimonianza del morale e del comportamento dei quadri dell’ARMIR.

Nella campagna di Russia (e più in genere nella guerra mondiale), coloro che continuarono a combattere anche quando si era palesata la vanità dei miti fascisti, lo fecero per motivazioni assai diverse, una delle quali fu indubbiamente la fedeltà ad una tradizione di onore e di dovere, che trovava un punto di riferimento nelle istituzioni militari, al di là del crollante regime fascista: è questa la posizione che abbiamo indivi­duato anche in memorie polemiche come quelle di Odasso o di Messe. Bisogna però distinguere tra il rispetto dovuto a questa posizione, per la quale molti seppero soffrire e morire, ed il tentativo compiuto in sede storiografica di presentarla come unica vitale, assumendo tutti gli episodi di valore e tutti i morti dell’ARMIR come prova della validità della tra­dizione militare. Ci sembra però che non prendendo in considerazione la memorialistica più demoralizzata e più critica, la storiografia ufficiale non solo commetta una deformazione della realtà storica ma isterilisca proprio quella posizione di fedeltà al dovere che viene posta a modello. Il Valori, si è detto, sottolinea che i soldati italiani in Russia combatte­vano senza odio, senza credere veramente alla propaganda antibolscevica che pure offriva loro l’unica motivazione al loro soffrire e morire; ed il fatto è confermato pressocchè da tutta la memorialistica: per quasi tutti gli autori (tanto più quindi per la massa dei soldati) la guerra è senza ragione. I combattenti erano quindi mossi soltanto dal dovere e dalla disciplina, secondo la versione ufficiale, che non manca di sottolineare che ciò va ascritto a loro maggior merito; il che significa, sviluppando il ra­gionamento, che se morire per un ideale è possibile a chiunque, solo un esercito regolare forte della sua tradizione e disciplina può addestrare gli uomini a morire senza ragione. E ’ questa la conclusione estrema cui porta l’esaltazione acritica del valore e del sacrificio dei combattenti ed il rifiuto di una qualsiasi altra motivazione del loro eroico comportamento che non sia la fedeltà ad una tradizione singolarmente atemporale, studiatamente collocata al di sopra delle fluttuazioni politiche e ridotta quindi alla difesa di un’istituzione (l’esercito permanente avulso dal contesto politico) e di una categoria (i quadri dell’esercito). In altri termini, è questa la conclu­sione cui si giunge insistendo nel rifiuto di un giudizio politico e di una

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visione critica ed ampia della guerra, e dimenticando che molti di quei caduti oggi presentati come eroi caddero senza sapere il perchè del loro sa- orificio, forse cercando di fuggire per salvare la vita e che molti di quelli che combatterono e morirono eroicamente lo fecero protestando contro la tradizione ed il regime che li avevano mandati in Russia. La storiografia ufficiale persevera infatti nell’illusione che sia possibile una storia pura- mente tecnica e patriottica, prescindendo non tanto da un giudizio sul regime e sull’operato di Mussolini (la cui generica condanna è ormai luogo comune pressocchè obbligato) quanto da una spregiudicata analisi dei rap­porti di collaborazione tra esercito e fascismo e dei problemi politici posti dalla guerra, e da una coraggiosa revisione dei miti cari al fascismo (anche se anteriori) di un patriottismo senza incrinature. In queste pagine cre­diamo di aver dimostrato che questa impostazione permette solo una ricostruzione degli avvenimenti agiografica e parziale, pur se pregevole sotto molti aspetti, e che la storia della seconda guerra mondiale, anche per un argomento limitato nel tempo e nello spazio come la partecipa­zione italiana alla guerra russo-tedesca, non può sottrarsi ad una più ampia prospettiva, che si assuma i rischi di un giudizio sui fatti e sulle responsabilità politiche e militari.

G iorgio R o c h a t .

Appendice

BIBLIOGRAFIA

Questo elenco è stato compilato sulla base del Saggio Bibliografico sulla seconda guerra mondiale dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito (Roma, T ip . Re­gionale, 1955, pp. 524), della Bibliografia Storica Italiana, voi. 1945 - 62, a cura della Giunta centrale per gli studi storici (Bari, Laterza), dei cataloghi delle princi­pali biblioteche milanesi e della Nazionale di Firenze e delle appendici bibliogra­fiche contenute nei seguenti volumi: A . V alori, La campagna di Russia, Roma, Grafica Nazionale, 1950-51, pp. 801: E . Franzini, Campagna di Russia, Treviso, La tipografica, 1952 (2a ed.), pp. 273; E. Corradi, La ritirata di Russia, Milano, Longa­nesi, 1964, pp. 242.

Le opere sono state raggruppate per argomenti ed ordinate secondo la data di pubblicazione e l’ordine alfabetico. Indichiamo con un asterisco in margine le opere che non ci è stato possibile rintracciare ed esaminare personalmente: per esse le indicazioni bibliografiche (talora incomplete) possono quindi non essere esatte e così pure l ’assegnazione per argomenti. Di queste opere non è stato tenuto conto nel nostro studio.

Nelle intenzioni dell’autore e della rivista, questa rassegna è l’inizio di un più ampio lavoro: saremo quindi grati a quanti volessero segnalare errori ed omissioni. I.

I. - Opere pubblicate nel 1942-44

Magliari - Galante L u ig i, Il Corpo di spedizione italiano sul fronte dell’Est, « Ras­segna Italiana », febbraio 1942, pp. 59-67.

Mazzara A ldo, Fanti in Russia, Roma, De Carlo, 1942, pp. 167.N apolitano T omaso, In Russia con il CSIR, « Nuova Antologia », fase. 1684-1690

(maggio-agosto 1942) per complessive pp. 63.* Parente G ., L ’asse e l’URSS, Milano, Centauro, 1942.

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La campagna di Russia 1941*43 : Rassegna bibliografica 87

V alori A ldo, L ’epopea dello CSIR, pp. 177*194 del volume: Due anni di guerra (1940*42), Roma, Minist. della Cultura Popolare, 1942, pp. 258.

(Anon.), Sesto reggimento bersaglieri. Dal Gianicolo al Don (1836*1943), Bologna, ti. Compositori, 1943, pp. 47.

* Cappuccini G uido, La guerra meravigliosa, Milano, Mondadori, 1943, pp. 401.* G ianbelvo N ., Crociata europea antibolscevica, Roma, Voce della stampa, 1943.G ianturco L u ig i, Ritorno dalla Russia, Roma, Marte, 1943, pp. 62.Gnocchi C arlo, Cristo con gli alpini, Lecco, Stefanoni, 1943, pp. 114 . Seconda ediz.:

Brescia, La scuola, 1945, pp. 1 13 .* Meille E nrico, Diario di una squadriglia (Russia 1941), Roma, De Carlo, 1943,

pp. 263.Pagano Salvatore, Leuthen e la battaglia del Don, « E c h i e c o m m e n ti » , 2 0 a p r i­

le 19 4 3 , p p . 14 8 *50 .

Querel V ittorio, Fronte Est. Un anno di guerra del CSIR, Verona, L ’albero, 1943, pp. 266.

Scala E doardo, 1 combattenti italiani nella guerra contro la Russia (1941-42), Roma, Marte, 1943, pp. 147.

Stato Maggiore R . Esercito, Ufficio Stampa e Assistenza, Eroismo dei combattenti italiani in Russia, senza data nè luogo di stampa [ma Roma 1943], pp. 30.

Terzo reggimento bersaglieri. In memoria del colonnello A . Carretto, Com. 30 Bers., senza luogo di stampa, 1943, pp. 32.

T o m a s e l l i Cesco, Battaglia sul Don, M ila n o -R o m a , R iz z o li , 19 4 3 , p p . 2 7 0 .

Calvi G ianni, L ’armata italiana nella battaglia del Don, senza data nè luogo di stampa [ma 1944, Italia settentrionale], ed. erre, pp. 32.

II. - Studi

a) studi maggiori

Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Minist. Guerra, L ’8a armata italiana nella seconda battaglia difensiva sul Don ( 1 1 dicembre 19 4 2 -3 1 gennaio 1943), Roma, T ip . Regionale, 1946, pp. 70.

M esse G iovanni, La guerra al fronte russo. Il CSIR, Milano, Rizzoli, 1947, pp. 253. L ’opera ha avuto numerose ristampe: 4a ediz. riveduta, 1964, pp. 398.

Ufficio Storico dello Stato Maggiore Esercito, Minist. Difesa, Le operazioni del CSIR e dell’ARMIR dal giugno 1941 all'ottobre 1942, Roma, T ip . Regionale, 1947, pp. 2 1 1 .

V alori A ldo, La campagna di Russia. CSIR - ARMIR 1941-43, Roma, Grafica N a­zionale 1950-51, 2 voi. di pp. 801 complessive (l’opera uscì in fascicoli periodici).

b) studi monografici

G uercio Romolo, Responsabilità germaniche sulle operazioni che condussero al ri­piegamento invernale 1942-43 nella campagna di Russia, « Rivista militare », feb­braio 1946, pp. 161-68.

Odasso Mario, Col corpo alpino italiano in Russia, Cuneo, Panfilo, 1949, pp. 224.Pallotta P ietro, Dottrina tattica ed esperienza bellica. La difesa di Nowaja Orlowka,

« Rivista militare », dicembre 1952, pp. 369-73.Pallotta P ietro, Una divisione ternaria all’attacco. Chapetowha 5-14 dicembre 1941,

« Rivista militare », marzo 1953, pp. 367-71.G uercio Romolo, La 3a divisione Celere « Principe Amedeo Duca d ’Aosta » nella

seconda battaglia difensiva del Don (dicembre 1942 - febbraio 1943), « Rivista militare », giugno 1953, pp. 669-96.

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88 Giorgio Rochat

Pallotta P ietro, Esperienze di una campagna di guerra. Russia 1941-43, « Rivista militare », luglio-agosto 1953, pp. 774-81.

Pallotta P ietro, Motorizzati contro corazzati. Sseraflmowitsch 30 luglio - 8 ago­sto 1943, « Rivista militare », dicembre 1953, pp. 1202-06.

Santoro G iu seppe , Le operazioni aeree sul fronte russo (luglio 1941 - maggio 1943), « Rivista aeronautica », giugno 1954, pp. 613-37 e luglio 1954, pp. 723-41).

Pallotta P ietro, Fanteria: Kalibaki 1940, Petrikoroka 1942, Serio e Santerno 1945, « Rivista militare », settembre 1954, pp. 849-62.

Catanoso C armelo, Il i° reggimento alpini dal Don all’ Oskol, Genova, Stab. Graf. Morino, 1955, pp. 107.

Santoro G iu seppe , L ’aeronautica italiana nella seconda guerra mondiale, Milano- Roma, ed. esse, 1957, due voi. di pp. 580 e 582. Cfr. cap. XVII, pp. 195-232.

aa. vv ., Storia dell’artiglieria italiana. Vol. X V I: L ’artiglieria italiana nelle ope­razioni belliche (2920-45), Roma, Bibl. d’artiglieria e genio, 1955, pp. 1103. Cfr. cap. XI, pp. 705-838.

Cfr. anche Salvatore (II. d) e Carloni (III. a).

c) trattazioni generali nell’ambito di opere più vaste

T osti 'Amedeo, La guerra che non si doveva fare (giugno 1940 - settembre 1943), Roma, Faro, 1945, pp. 242. Cfr. cap. XII, pp. 181-90.

Roluti Francesco, Il CSIR, l’ARMIR e la guerra in Russia, « Rivista aeronautica », dicembre 1947, pp. 725-34.

Canevari E milio , La guerra italiana. Retroscena della disfatta, Roma, Tosi, 1948, 2 voi. di pp. 632 e 836. Gfr. vol. II, cap. XIII, pp. 699-740.

Scala E doardo, La riscossa dell’ esercito, Roma, Tip. Regionale 1948, pp. 357 (Uffi­cio Storico SME). Cfr. pp. 5T-60.

Corselli Rodolfo, Cinque anni di guerra italiana nella conflagrazione mondiale I939 '4 5> Roma. T ip . Regionale, 19 51, pp. 280. Cfr. pp. in - 1 3 , 136-39, 160-61.

H istoricus, Da Versailles a Cassibile. Lo sforzo militare italiano nel venticinquen­nio 1918-43, Bologna, Cappelli, 1954, pp. 238. Cfr. pp. 161-67, 182-89, 203-08.

Faldella E milio , L ’ Italia nella seconda guerra mondiale. Revisione di giudizi, Bo­logna, Cappelli, 1959, pp. 783. Cfr. pp. 398-99, 465-69, 547.

aa. vv ., ItalianZy kaputt? Con l’ ARMIR in Russia, Roma, C EN , 1959, pp. 655.Cfr. il saggio di M. Carloni: Le operazioni militari, pp. 19-283.

Battaglia Roberto, La seconda guerra mondiale, Roma, Ed. Riuniti, i960, pp. 452. Cfr. pp. 120, 200-01, 214-17.

Guglielmotti U mberto, Le armi italiane nel secondo conflitto mondiale, Roma, 1963, CEN , pp. 7 1 1 . Cfr. cap. XIX, pp. 309-61.

Cfr. Storia dell’artiglieria italiana (II. b).

d) storie di corpo

B a r i l l i M a n l io , Alpini in Russia sul Don, Milano, Ciarrocca, 19 5 4 , p p . 2 3 0 .

aa. vv ., Alpini. A cura dell’ Ist. di divulgazione storica e dell’ Ist. del nastro Az­zurro, Roma, Apollon, 1954, pp .486+106. Cfr. il saggio di E. Faldella: Il Corpo alpino in Russia, pp. 224-231.

Scala Edoardo, Storia delle fanterie italiane. Vol. X : Le fanterie nella seconda guerra mondiale, Roma, T ip. Regionale, 1956, pp. 892. Cfr. capp. X IV -X V I , pp. 468-523.

G ioda C arlo, Sesto reggimento alpini, Rovereto-Bolzano, Manfrini, 1956, pp. 19 1.T ramonti N ino, I bersaglieri dal Mincio al Don, Milano, Tip. Artigianelli, 1956,

p. 528.

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La campagna di Russia 1941-43: Rassegna bibliografica 89

De Zolt G ermano, Gli alpini da Abba Garima a Nikolajewka, Feltre, Tip. Castaidi, 1958, pp. 233.

S alvatores U mberto, Bersaglieri sul Don, Bologna, Tip. Compositori, 1958, pp. 625.L ombardi G iacomo, Battaglioni L ’Aquila e Val Pescara, Pescara, Ballerini, i960,

pp. 152.R a s e r ò A ld o , Quinto alpini, R o v e r e to , M a n fr in i , 19 6 3 , p p . 6 4 3 .

Cfr. anche Odasso e Catanoso (II. b), Adami e Carloni (III. a).

III. - Memorialistica 19 4 4 -19 6 4

a) Memorie di reduci non caduti in prigionia

Palazzo A rchimede, Verità sulla campagna di Russia. L ’olocausto della divisione « Torino », Roma, T ip . Agostiniana, 1944, pp. 23.

T archi Mario, Con l’armata italiana in Russia, Livorno [ma in realtà località della Brianza), a cura del Partito It. del Lavoro, 1944, pp. 2 15. L ’opera fu poi p u b ­blicata nel dopoguerra con il vero nome dell’autore: T olly G iusto . Con Var­mata italiana in Russia, Torino, De Silva, 1947, pp. 231.

Del M onte A ldo, La croce sui girasoli. Giornale intimo di un cappellano militare in Russia, Alba, ed. S. Paolo, 1945, pp. 363.

Sacco Ettore, E ’ niente se si torna, Torino, SA T E T , 1945, pp. 265.A cquistapace F ilippo, La divisione alpina « Tridentina » nella battaglia del Don,

« Rivista Militare », agosto-settembre 1946, pp. 986-1004.Bonicelli Sandro e Cesare, Lettere e pagine di diario, Brescia, La Scuola, 1946,

pp. 242.F incato S ilvano, Attraverso la sacca. Memorie di un alpino nella campagna di

Russia, « R iv i s t a m i l i t a r e » , g e n n a io e fe b b ra io 19 4 6 , p p . 9 5 - 1 1 0 e 2 0 8 -2 2 5 .

Revelli N uto, Mai tardi. Diario di un alpino in Russia, Cuneo, Panfilo, 1946, pp. 261. Ora ripubblicato in: R evelli N uto, La guerra dei poveri, Torino, Einaudi, 1962, pp. 528.

C a r a c c io lo A l b e r t o , Teresio Olivelli, Brescia, L a Scuola, 19 4 7 , p p . 2 0 5 .

C o r t i E u g e n i o , I più non ritornano, M ila n o , G a r z a n t i , 19 4 7 , p p . 30 0 (5a e d . 19 6 4 ).

Sorrentino L amberti, Isbà e steppa. La Russia era comunista da prima degli zar, Milano, Mondadori, 19 4 7 , p p . 30 8 .

T o m a s e l l i C e s c o , Strana gente a Pitcairn, M ila n o , 19 4 8 , p p . 2 7 1 . (C fr . c a p . X IV , PP- 237 ' 57)-

* Baviera G iu seppe , Un artigliere dell’ eroica divisione « Ravenna » racconta, Enna,Airone, 1950.

G iord ano V in c e n z o , La tragedia dell’ARM IR, Milano, Gastaldi, 19 5 0 , p p . 2 5 4 .

Gozzi G ianni, Con noi era l’ infinito, Genova, ed. prisma, 1950, pp. 140.M a n u s (p s e u d .) , Crepuscolo sul Don. Con gli alpini nella campagna di Russia, M i­

la n o , 1 s t . e d it , d i p r o p a g . p e r la c u lt . s t . n a z . , se n z a d a ta , p p . 1 5 4 .

* Pedrazzini Fulvio, La campagna della divisione « Tridentina » in Russia, Genova,Bozzi, 1950.

Quattrino U mberto, Sacrificio di alpini sul Don, Pinerolo, Tajo, 1950, pp. 228.PEDANI A delmo, La tragedia del Don, Roma, Stampa d ’ o g g i, 1 9 5 1 , pp. 1 5 8 .

R u d iÈ S t e f a n o , Harasciò. Russia non inventata, Bari, Laterza, 1 9 5 1 , p p . 2 3 1 .

C e r e g h i n i M a r io , Alpini in Russia, 19 4 2 , M ila n o , e d . d e l m ilio n e , 1 9 5 2 , p p . 16 4 .

Palazzo A rchimede, Eroi d ’Italia fra Ladoga e Mar Nero, Milano, Gastaldi, 1952, pp. 185.

Rigoni Stern Mario, Il sergente nella neve, Torino, Einaudi, 1953, pp. 160. Varie ediz. successive presso Einaudi, in collane diverse.

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go Giorgio R achat

C a r l o n i M a r io , La campagna di Russia, M ila n o , L o n g a n e s i , 19 5 6 , p p . 19 8 .

DOTTI S t e f a n o , Ritirata in Russia, B o lo g n a , C a p p e ll i , 19 5 6 , p p . 1 5 8 .

N e g r i M o sc io n i C r is t o f o r o , 7 lunghi fucili. Ricordi della guerra di Russia, T o r in o ,1956, Einaudi, pp. 147.

* B o z z in i V it t o r io , N eve rossa, Verona, ICA, 1957.C a r e r j E zio, L ’epopea di Tscherkowo. Campagna di Russia, Roma, Stab. Graf. Naz.,

1957, pp. 221.COSTA Flaminio, Tre girasoli per Maria Speranza, Monza, Nuova Massimo, 1957,

pp. 365.L a z z e r e t t i A p p io C l a u d io , I giorni dell’ ira. La ritirata dal Don con la divisione

« Torino », Milano, SED IT, 1957, pp- 245.* L U P I A n t o n io , Ricordi di guerra di un alpino, Genova, Ass. Naz. Alpini, 1 9 5 7 .

N o v e l l o G i u s e p p e , Steppa e gabbia, Verona, Mondadori, 1 9 5 7 , pp. 8 7 (più disegni). C r e s p i A n g e l o , Breve storia del ripiegamento del corpo d ’armata alpino dal Don

al DoneZ. Gennaio 1943, Bologna, T ip . Villaggio del fanciullo, i960, pp. 48. Revelli N uto, Campagna di Russia: « Il Ponte », maggio 1961, pp. 702-10. REVELLI N uto, La ritirata italiana in Russia, pp. 284-90 di: Trent’anni di storia ita­

liana. Dall’antifascismo alla resistenza. Lezioni con testimonianze, Torino, Einau­di, 1961, pp. 387.

Spinella M ario, L ’intervento italiano contro l’ Unione Sovietica, pp. 428-32 d i: Fa­scismo ed antifascismo. Lezioni e testimonianze, Milano, Feltrinelli, 1962, pp. 706.

* A d a m i G i u s e p p e , G li alpini del Quinto in Russia, Milano, Ass. Naz. Alpini, 1963. B e d e s c h i G i u l i o , Centomila gavette di ghiaccio, Milano, Mursia, 1963, pp. 431. G a n d in i M a r io , La caduta di Varsavia, Milano, Longanesi, 1963, pp. 287.C e v a B ia n c a , Cinque anni di storia italiana (1940-45). Da lettere e dialoghi di caduti,

Milano, Comunità, 1964, pp. 350.C h ia v a z z a C a r l o , Scritto sulla neve, Bologna, Ponte Nuovo, 1964, pp. 173. C o rra d i E g is t o , La ritirata di Russia, Milano, Longanesi, 1964, pp. 242.C o st a G i u s e p p e , V ent’anni dopo. 1 disperati del Don. Il sacrificio della « Cuneense »

in Russia, Milano-Napoli, Relationes Latines, 1964, pp. 143.

Cfr. Messe (IL a), Odasso, Guercio e Pallotta (IL b), Salvatores (IL d).

b) Memorie di reduci dalla prigionia

Franzini E gidio, In Russia. Memorie di un alpino redivivo, Venezia, ed. già Za­netti, 1946, pp. 2 17 . Ediz. definitiva: Verona, T ip . Commerciale, 1962, pp. 270.

Fanciulli Enrico, In terra di Russia. Ricordi di un prigioniero, Roma, Il Maglio, senza data [ma 1947], pp. 143.

GAMBETTI F idia, I morti e i v iv i dell’ARM IR, Milano, ed. Milano-Sera, 1948, pp. 238. Nuova ediz.: Roma, Editori Riuniti, 1953, pp. 277.

G herardini G abriele, La vita si ferma. Prigionieri italiani nei « lager » russi, Mi­lano, Baldini e Castoldi, 1948, pp. 347.

* Palmieri L u ig i, Davai, Roma, Danesi, 1948.Serio Franco, La steppa accusa, Milano, La Prora, 1948, pp. 216.T urla M aurilio, La nostra e la loro prigionia. Russia, Russia, Russia. Quattro anni

di prigionia in meZZo ad un popolo di prigionieri, Milano, IT E , 1948, pp. 198.Bonadeo A gostino, Sangue sul Don, Milano, Accademia, 1949, pp. 238.Fabietti Franco, Redivivo. Quattro anni di prigionia in Russia, Milano, Garzanti,

1949, pp. 142.B u f f a N in o , Steppa bianca. Quattro anni di prigionia nella Russia sovietica, P a ­

le rm o , R e n n a , 19 5 0 , p p . 2 4 7 .

Page 31: I.€¦ · Richiamiamo brevemente i fatti. La partecipazione italiana fu inizia tiva personale di Mussolini e di 'Ciano, dovuta a ragioni di prestigio ed a preoccupazioni per il futuro

La campagna di Russia 1941-43: Rassegna bibliografica 91

Franzini E gidio, Reduci dalla Russia. Libro-ricordo, Treviso, stamperia artigiana, senza data /m a 19 50 /, pp. 256. Nuova ediz.: Campagna di Russia. Libro ricordo del CSIR e dell’ARM IR, Treviso, la tipografica, 1952, pp. 273.

Z abeo G ino, Hai veduto mio figlio? Quattro anni nella Russia dei Soviet, Mestre, tip. artigiana, 1952, pp. 201.

G iuffrida P., L ’ARM IR, il generale, la ritirata, Novara, Macchia, 1953, pp. 229.Brevi G iovanni (redazione di Franco Di Bella), Russia 1942-53, Milano, Garzanti,

1955, pp. 237.Reginato E nrico, Dodici anni di prigionia nell’URSS, Milano, Garzanti, 1955,

pp. 232.Massa Gallucci A lberto, N o ! Dodici anni prigioniero in Russia, Milano, Rizzoli,

1958, pp. 214.BATTISTI E milio , Prigioni sovietiche, pp. 287-326 del volume: Italianzy kaputt?

Con l’ARM IR in Russia, Roma, C EN , 1959, pp. 655.

Cfr. Catanoso, (II. b).

c) Inchieste giornalistiche

Fusco G iancarlo, La lunga marcia, Milano, Longanesi, 1961, pp. 186.L a G uidara Franco, Ritorniamo sul Don, Roma, Ediz. Internazionali, 1965, pp. 317 . V andano Brunello, l disperati del Don, Milano, Ediz. Storia Illustrata (Mondadori),

1965, pp. 155.Cfr. Tomaselli (I) e Costa Giuseppe (III. a). Non abbiamo tenuto conto delle inchie­

ste apparse su settimanali e quotidiani.

d) Polemiche sulle vicende dei prigionieri

* D ’A rduini, Le verità sui prigionieri italiani, Roma, Stampa Moderna, 1947. D ’Onofrio E doardo - Palermo Mario, Vogliamo un’inchiesta sul disastro dell’ARMIR,

Roma, Stampa Moderna, 1948, pp. 146.Serio Franco, Via crucis. Risposta all’on. sen. Bruschi, Milano, Unione Tipogra­

fica, 1948, pp. 23.* Benassi B., Il processo D’Onofrio e la verità, Bologna, Abes.C appellini A rnaldo, Inchiesta sui dispersi in Russia, Milano, IT E , 1949, pp. 221. Mastino Del R io G iorgio, In difesa dei reduci di Russia, Roma. Centro assistenza

milit., 1949, pp. 15 5 .SoTGlU G iu seppe - Paone Mario, La tragedia dell’ARMIR nelle arringhe di G. Sotgiu

e M. Paone, Milano, ed. Milano-Sera, 1950, pp. 362.Saini Ezio, Sono v iv i in Russia, Roma, Ariete, 1951, pp. 219. *

*

Correggendo le bozze, veniamo a sapere che l ’Ufficio Storico dello Stato Mag­giore ha in programma una rielaborazione della relazione sulla campagna di Russia, che ci auguriamo possa rispondere ai molti interrogativi aperti.

Segnaliamo pure le seguenti opere, apparse troppo tardi per poter essere uti­lizzate nel nostro studio:

T urla G uido Manlio, Sette rubli al cappellano, Milano, IT E , 1965, pp. 347. Robotti Paolo, La prova, Bari, Leonardo da Vinci, 1965, pp. 446.Crespi Benigno, La battaglia di Natale. Quando la vittoria ci sorrideva in Russia,

Milano, Longanesi, 1965, pp. 247.