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Laboratorio di Geomorfologia Applicata Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche Insegnamento di Laboratorio di Geomorfologia ApplicataFilippo Catani Dipartimento di Scienze della Terra – Via La Pira, 4 50121 Firenze Tel. 055 2757559 – email: [email protected]

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Land systems, alterazione rocce, idrologia dei versanti e calcoli GIS relativi

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Laboratorio di Geomorfologia Applicata

•  Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali •  Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche •  Insegnamento di “Laboratorio di Geomorfologia Applicata”

Filippo Catani Dipartimento di Scienze della Terra – Via La Pira, 4 50121 Firenze

Tel. 055 2757559 – email: [email protected]

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•  Università degli Studi di Firenze – Facoltà di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali •  Corso di Laurea Magistrale in Scienze e Tecnologie Geologiche •  Insegnamento di “Laboratorio di Geomorfologia Applicata”

Argomenti del Corso Introduzione ai processi geomorfologici terrestri, evoluzione recente della superficie terrestre e l’impatto dell’uomo. Influenza dei cambiamenti climatici sulle forzanti dei processi geomorfologici. Descrizione e cartografia dei processi geomorfologici, sistemi di paesaggio, materiali sulla superficie terrestre, suoli e regolite, geomorfologia e idrologia dei versanti. Richiami sui processi di alterazione, trasporto e sedimentazione come fasi del paesaggio dinamico. Geomorfometria, misure delle forme del paesaggio, indici morfometrici principali per versanti, reticoli idrografici, bacini e forme del paesaggio. Parametri idrologici e di equilibrio dei versanti. Con esercitazioni pratiche in ambiente GIS e Matlab. Introduzione al telerilevamento, basi fisiche del telerilevamento, tipi di sensori e satelliti, analisi di dati ottici, radar e iperspettrali, applicazioni del TRL alla geomorfologia e ai rischi naturali. Con esercitazioni pratiche su dati radar interferometrici in ambiente GIS e Matlab. Corso basato su lezioni frontali ed esercitazioni.

Info e news sul corso, materiale didattico da scaricare, date appelli, link utili e riassunto delle esercitazioni sono reperibili sul blog didattico del docente: http://geomorfapp.blogspot.it/ (vedi codice CR qui a fianco)

Filippo Catani Dipartimento di Scienze della Terra – Via La Pira, 4

50121 Firenze Tel. 055 2757559 [email protected]

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CARTOGRAFIA DELLE FORME E DEI PROCESSI GEOMORFOLOGICI PER SCOPI

APPLICATIVI

Come descrivere, riconoscere, comprendere e prevedere l’evoluzione del paesaggio

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Sistemi di Paesaggio (Land Systems)

Schema logico di classificazione delle aree della Terra secondo i processi e le forme che le caratterizzano. Un sistema di paesaggio è una classificazione scientifica di un territorio (di solito vasto) basata sui caratteri morfologici, pedologici e di vegetazione. Ogni sistema (land system) può essere diviso in unità di paesaggio (land unit) a loro volta composta da elementi (land elements). Serve ad accelerare e omogeneizzare la produzione di carte geomorfologiche in aree vaste e poco note ma anche a capire i processi e le forme dominanti in un determinato ambiente

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Sistemi di Paesaggio (Land Systems)

Categorie, scale di rappresentazione e applicazioni principali delle mappe basate su Sistemi di Paesaggio Per aree con dimensioni inferiori ai 1000 km2 è di solito direttamente applicata la cartografia geomorfologica tradizionale con rilievi di campagna e foto aeree e mappatura delle forme.

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Sistemi di Paesaggio (Land Systems)

Esempio di applicazione di sistema di paesaggio alla valutazione e mappatura delle proprietà geotecniche dei suoli per studi sui rischi naturali

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Sistemi di Paesaggio (Land Systems)

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Cartografia geomorfologica per applicazioni

Classificazione delle mappe geomorfologiche sulla base della scala con le norme dell’International Association of Engineering Geology (UNESCO, 1976; Hansen, 1984)

Relazione tra scala e scopo di una carta geomorfologica (Cooke et al., 1982)

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Cosa si può cartografare?

Quando la cartografia geomorfologica avviene nel dettaglio, sia che si usino rilievi diretti (campagna) che indiretti (foto aeree, remote sensing, etc) si possono riprodurre, con vari gradi di difficoltà, le seguenti caratteristiche generali: 1. Le FORME del paesaggio. In sintesi, si studiano con vari metodi gli andamenti della topografia (essenzialmente elevazione, pendenza e curvatura) per isolarne porzioni con caratteristiche peculiari e riconoscibili da assegnare poi ad una categoria con simboli adatti. 2. I MATERIALI che costituiscono la porzione di superficie terrestre in esame. In particolare è fondamentale riuscire a distinguere tra aree dove il bedrock affiora ed aree dove invece compare un regolite (che è il prodotto del ciclo alterazione-trasporto-sedimentazione). Sebbene questo compito non sia complesso nelle 2 dimensioni, risulta invece difficile quando ci spingiamo nelle 3 dimensioni e vogliamo stimare la profondità del limite tra bedrock e regolite (detto anche spessore delle coperture o, in inglese, depth-to-bedrock) 3. I PROCESSI che hanno condotto alle forme del paesaggio e quelli che le stanno producendo. Solitamente quello che si riesce a cartografare non è il processo in sé, tuttavia, bensì le forme e/o i materiali che esso a prodotto (es. i processi di movimento di massa non sono mappati di per sé, ma lo sono i loro prodotti, cioè le frane – le alluvioni non vengono cartografate ma è possibile mappare i limiti delle aree inondate). In altri casi, invece, è possibile anche mappare alcune caratteristiche del processo stesso (es. le direzioni principali nell’erosione eolica tramite diagrammi a rosa dei venti). E’ però ovvio che riconoscere determinate forme del paesaggio dà in molti casi precise indicazioni sul processo che le ha prodotte. 4. Le ETA’ e STATO DI ATTIVITA’ delle forme e dei prodotti. Si tratta di una delle cose più difficili da determinare in modo preciso. Molto spesso si riesce comunque a dare indicazioni relative o categoriche (attivo, inattivo, quiescente)

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Cartografia geomorfologica per applicazioni: legende

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Land systems in pratica – Google Earth

Che morfologie si riconoscono? Com’è il reticolo idrografico? Che tipo di uso del suolo? Che informazioni supplementari ho a disposizione?

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Cartografia geomorfologica per applicazioni: sistemi Mappatura disaggregata per elementi nel caso di 4 diversi tematismi

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Cartografia geomorfologica per applicazioni: test Mappare la geometria del versante disaggregata per elementi usando la legenda fornita

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Cartografia geomorfologica per applicazioni: esempio Mappatura della geometria del versante disaggregata per elementi

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Cartografia geomorfologica a land systems

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Cartografia geomorfologica a land systems: 1

Mappa dei sistemi di paesaggio riconoscibili

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Cartografia geomorfologica a land systems: 2

Mappa delle unità di paesaggio riconoscibili, suddivise in forme di denudamento e forme di accrescimento

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Variazione dei processi nel

tempo

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Variazioni e ipotesi ergodica

Spazio e tempo possono essere considerati intercambiabili entro sistemi quasi-stazionari. Questo vuol dire che possiamo usare diversi stadi di evoluzione attuali in aree diverse per ipotizzare scenari di evoluzione nel tempo passato. L’esempio si riferisce alla evoluzione delle sponde in erosione del Mississippi.

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Dalla ipotesi ergodica ai modelli geomorfologici di

evoluzione

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I PROCESSI DI ALTERAZIONE

Cause e conseguenze della alterazione dei materiali sulla superficie della Terra. Formazione dei sedimenti e delle

coperture oggetto dei processi geomorfologici

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PROCESSI DI ALTERAZIONE

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Alterazione di rocce per processi di gelo-disgelo negli Appalachi (USA)

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Relazione tra fattori climatici e alterazione

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Caratteristiche dei materiali

Porosità e permeabilità sono fattori molto importanti nel condizionare l’intensità e l’efficacia dei processi di alterazione. La porosità aumenta la superficie specifica esposta agli agenti fisici mentre la permeabilità favorisce l’azione dell’acqua che è molteplice (cicli gelo-disgelo, pressione interstiziale, dissoluzione chimica…)

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Stadi e percorsi di alterazione

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Progressione tipologica e spaziale della alterazione

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Disgregazione meccanica e “arching”

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La esfoliazione o disgregazione a strati paralleli al versante (sheeting) in rocce più o meno isotropiche è molto probabilmente dovuta al rilascio degli stress interni al materiale stesso, anche di origine intra formazionale per le rocce magmatiche intrusive. Il carico è essenzialmente biassiale con gli stress principali (σ1 e σ2) che sono compressivi e limitati lateralmente dall’ammasso roccioso circostante. In senso verticale invece non vi è confinamento (σ3 molto piccolo) e la roccia può estendersi solo in quella direzione, arcuandosi proporzionalmente alla relazione:

x2 = (le)2 – (lo)2

dove le-lo è la espansione lineare del blocco, secondo lo schema sottostante.

Esfoliazione con sheeting e arching

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Esfoliazione con sheeting e arching

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Varie tipologie di disgregazione

meccanica delle rocce

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Disgregazione termica Vi sono ancora dubbi sulla capacità delle variazioni termiche di provocare fratturazione e quindi alterazione o disgregazione meccanica di rocce integre. Si sono sperimentalmente verificati, tuttavia, gli effetti anche notevoli di riscaldamento, raffreddamento e diffusione differenziate del calore per rocce di tipo diverso. Queste differenze sono generate principalmente dal colore (quindi albedo) e dalla conducibilità termica e conducono all’instaurarsi di differenti gradienti termici all’interno delle varie rocce ma anche alla diversa espansione (o contrazione) dei cristalli di diversi minerali. Tutto ciò può condurre, specie in presenza di confinamento parziale degli stress, a micro-fratturazione e quindi, in seguito, fratturazione anche per concomitanza con altri processi.

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Disgregazione per cicli di gelo-disgelo La presenza di acqua nei pori delle rocce e dei terreni può condurre ad un processo di alterazione chiamato gelifrazione (frost weathering). Questo processo è legato in parte alle forze meccaniche connesse al cambiamento di fase dell’acqua da liquido a solido. Ad esempio si ha un incremento di volume di circa il 9% a 0°C e di 13.5% a -22°C. Tuttavia, vari ricercatori hanno dimostrato che l’effetto principale di alterazione non è dovuto in questo caso alla espansione volumetrica dell’acqua che congela, bensì alle pressioni interstiziali che si sviluppano lungo le fratture via via che l’acqua all’interno della roccia migra verso le fessure beanti più grandi (a forma di lente in Fig. c sotto). Queste pressioni permettono all’acqua di continuare a scorrere, e quindi al processo di congelamento di continuare, anche a temperature ben al disotto di quella di congelamento.

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L’affluire di acqua anche a basse temperature permette a sua volta l’accrescimento delle lenti di ghiaccio all’interno della roccia, favorendo la disgregazione meccanica della stessa. Nelle terre, le pressioni indotte da questo meccanismo possono raggiungere i 20 Mpa. Lo stesso è ritenuto possibile anche all’interno delle rocce (pur se non direttamente verificato al momento). Queste pressioni eccedono la resistenza tensionale di gran parte delle rocce. L’intensità critica dello stress necessaria perché una frattura possa propagarsi è (dove r = massimo raggio delle fratture e Pi = pressione interna del ghiaccio): Kic = (4r/π)0.5 Pi La frattura soggetta a dilatazione si apre assumendo forma a lente con una massima apertura legata alla max apertura del joint (w), al rapporto di Poisson (ν) e al modulo di taglio della roccia (G): w/r = (4/π) (1-ν)/G Pi Per sostenere la propagazione delle fratture è necessario che l’acqua continui ad affluire altrimenti Kic e Pi iniziano a diminuire ed il processo di arresta.

Gelifrazione - Meccanismo

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Aloclastismo - Climi caldi (aridi) Dovuto principalmente a 3 processi: 1) crescita dei cristalli del sale; 2) espansione termica differenziale rispetto alla roccia; 3) idratazione in sali a maggior volume. Necessario solitamente un ambiente che favorisce la deposizione di sali sulle rocce.

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Limite di affaticamento dei materiali – Cicli di stress Il limite di affaticamento è un livello di stress oltre il quale un materiale offre resistenza finita che si esaurisce a rottura dopo un numero critico di cicli di sforzo. Nelle rocce il numero di cicli di stress necessari alla rottura aumenta all’aumentare delle pressioni di confinamento.

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Alterazione e dissoluzione chimica Il primo stadio della alterazione chimica è la soluzione. Essa è influenzata principalmente da 3 fattori ambientali: 1) volume di acqua a contatto con le particelle del terreno; 2) solubilità del materiale soggetto a soluzione; 3) disponibilità di ioni idrogeno (pH) in dipendenza della tipologia di reazione chimica.

Esempi di pH: - Suoli alcalini 8-10 - Acqua marina 8-9 - Acqua piovana 6-7 - Suoli acidi 4-6 - Acque termali acide 2-3

La solubilità dipende molto dal pH in modo diverso per diversi composti e minerali. La solubilità del ferro aumenta 105 volte passando da pH=8.5 a pH=6. Al2O3 invece è solubile solamente per pH<4 e pH>9 per cui in ambienti naturali standard finisce per concentrarsi a spese degli altri elementi più solubili. Il più riconosciuto ordine di solubilità degli elementi è il seguente: Ca>Na>Mg>K>Si>Al>Fe Tuttavia, quando combinati in minerali, gli elementi assumono solubilità molto diverse.

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Alterazione dei principali minerali delle rocce

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Indici di alterazione Esistono svariati modi di determinare l’entità relativa di alterazione di una roccia o di un suolo rispetto al suo chimismo. Indici chimici: possono essere rappresentati da rapporti tra minerali originari e di alterazione in un dato volume di roccia. Ad esempio: Wi = (Proporzione di minerali non alterati) / (Proporzione minerali alterati) Wi = (feldspati + miche + calcite) / (minerali argillosi + quarzo) Oppure l’indice di alterazione di Miura: Wm = (MnO+FeO+CaO+MgO+Na2O+K2O) / (Fe2O3+Al2O3+H2O) Indici fisici: sono spesso messi in relazione con parametri che esprimono il grado di alterazione fisico quali la capacità di assorbire acqua, le proprietà indice di una terra (limiti liquido, plastico etc), il grado di rigonfiamento con la saturazione, variazioni nella resistenza e nella durezza, velocità delle onde sismiche (K=V0-Vw)/V0)), quantità e assetto delle microfratture. Con la alterazione progressiva si nota sempre un peggioramento nella resistenza del materiale, osservabile anche con semplici test basati sul martello di Schmidt o lo sclerometro di Shore. Esiste inoltre una relazione tra indici di alterazione chimica (come quello di Miura Wm) e fisica (come la durezza allo sclerometro di Shore Sh): Sh = 118.2 (log Wm) + 91.4

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Prodotti dell’alterazione Profili di suolo e

regolite

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Profili di alterazione

I profili di alterazione dipendono non solo dalla stratigrafia e storia tensionale/geologica precedente ma anche dalla topografia, dal clima, dalla vegetazione e da una serie di fattori ancora più complessi legati alla cinetica dei processi. I risultati del processo di alterazione, sommandosi a quelli di trasporto e sedimentazione, conducono alla formazione di profili tipici. In ognuno di questi profili, di cui la figura a lato riporta qualche esempio, le condizioni di stabilità fisica sono diverse.

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Profili di alterazione

Esempi di processi di alterazione e profili corrispondenti in diverse tipologie di roccia o terra originaria.

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Profili di alterazione e implicazioni per processi di erosione La formazione dei lateriti (ferricrete) e le sue possibili conseguenze sulla idrologia superficiale e subsuperficiale. Normalmente gli orizzonti lateritici si sviluppano su basse pendenze ed hanno alta permeabilità. L’acqua può quindi infiltrarsi con facilità e innescare pressioni interstiziali anche notevoli nei livelli inferiori a minore permeabilità, dando luogo a fenomeni di sifonamento (piping) che a loro volta costituiscono il primo innesco di fenomeni di instabilità al margine delle scarpate.

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Profili di versante

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Sequenze di catena e profili morfogenetici

Una sequenza di catena (catenary sequence) è il tipico susseguirsi di suoli (s.l.) lungo un profilo crinale valle in un determinato ambiente morfogenetico. In realtà non esistono catene che si ripetono esattamente e il concetto è astratto più che empirico. Esso serve tuttavia a poter generalizzare le componenti suolo/versante che possiamo attenderci in una data area. Un tipico esempio di modello che ipotizza un legame tra posizione lungo il versante e tipologia di processi e forme è quello a 9 Unità di Dalrymple et al. (1968). In esso, si riconoscono 9 possibili unità, non sempre presenti in natura e combinabili in modi anche diversi da quello sequenziale in figura, con possibili ripetizioni di unità all’interno.

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Processi idrologici di superficie

CONTROLLO SUI MECCANISMI DIRUSCELLAMENTO

Caratteristichedel pendio

PendenzaCurvatura planareCurvatura profiloEsposizione

Conducibilità idraulicaContenuto d'acquaPermeabilità orizzontaleProfondità falda

Copertura vegetaleIntercezioneStemflowTroughfall

Caratteristichedelle precipitazioni

DurataIntensità

Partial area concept Variable source-area concept

MECCANISMI DIDEFLUSSO

RAPIDO

Flusso Hortoniano oeccesso di infiltrazione

flusso s.s pipe-flow fluso di ritorno

Flusso sub-superficiale

Eccesso di saturazione

DEFLUSSO DI PIENA

Flusso superficiale

Flusso sub-superficiale

Flusso profondo

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Flusso Hortoniano I

Avviene quando l'intensità di precipitazione supera il tasso di infiltrazione potenziale o capacità di infiltrazione del suolo. Lo strato superficiale di suolo diventa saturo e il fronte di saturazione comincia a propagarsi in basso. La durata dell'evento piovoso deve essere maggiore del tempo necessario affinché l'acqua cominci a ristagnare in superficie, definito time of ponding. Tale intervallo di tempo dipende strettamente dal contenuto d'acqua iniziale del suolo. Horton (1933) postulò che tale meccanismo si verificasse su un'area comprendente l'intero bacino. Dingman (1994) dimostrò invece che tale supposizione è possibile solo in limitate circostanze, cioè quando l'intensità di pioggia è elevata e il suolo è a tessitura piuttosto fine, come è evidente dalla figura. Il deflusso Hortoniano si genererebbe come una lama d'acqua (sheetwash) di spessore crescente scendendo lungo il pendio. Come Selby (1993) evidenzia, la formazione di una lama d'acqua di tali caratteristiche si verifica molto raramente in condizioni naturali. Quando ciò accade, gli spessori sono molto variabili e l'acqua tende a concentrarsi lungo percorsi specifici dove le caratteristiche del flusso sono soltanto in pochi casi uguali a quelle postulate da Horton.

Lama d’acqua

Fronte di saturazione

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Flusso Hortoniano II

Betson (1964) e poi Freeze and Cherry (1979) : il flusso Hortoniano avviene solo su una piccola porzione di bacino (partial area concept) ed è importante solo in condizioni particolari: •  regioni con clima da arido a semiarido (poche piogge molto intense, conducibilità idraulica molto bassa) •  aree coltivate o dedite al pascolo con scarsa vegetazione, dove questo tipo di uso del suolo tende a ridurre notevolmente la conducibilità idraulica; •  aree poco permeabili, tipo calanchi, o impermeabili, quali superfici rocciose in affioramento.

In realtà, quando si verifica una percolazione verticale su un pendio, il gradiente di permeabilità e l'inclinazione degli strati del suolo determinano la formazione di un flusso laterale d'acqua che va ad affiancarsi al flusso verticale. Ciò determina una risposta idrologica non compatibile con il modello di infiltrazione verticale Hortoniano. Questo infatti ricorre solo alla filtrazione verticale e trascura la presenza contemporanea della filtrazione laterale.

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Flusso Sub-superficiale I

Orizzonti a permeabilità ridotta rispetto agli strati soprastanti inducono parte dell'acqua a deviare dal percorso verticale seguendo un movimento laterale che viene appunto definito scorrimento sub-superficiale. Quest'ultimo può avvenire secondo svariati meccanismi che possono essere ricondotti a due situazioni generali, come riportato da Atkinson (1978): •  flusso all'interno della matrice del suolo (matrix flow), tra gli spazi intergranulari a carattere prevalentemente laminare •  flusso lungo condotti (pipe flow) quali tane di animali, cavità di radici o di dissoluzione, a carattere prevalentemente turbolento

Massime condizioni d i f l u s s o s u b -superficiale

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Flusso Sub-superficiale II

Questo tipo di flusso è molto comune in aree boschive con stratificazione dei suoli che determina una diminuzione di permeabilità verso il basso. Condizione necessaria è inoltre la presenza di un gradiente di pendenza sufficiente nel pendio e nella stratificazione

In alcune condizioni particolari il flusso sub-superficiale diviene importantissimo. Tali condizioni sono, come visibile in figura: •  Spessore dello strato superficiale permeabile minore di 3-5 metri •  Presenza di un forte contrasto di permeabilità verso il basso •  Stratificazione dei suoli sub-parallela al versante In queste condizioni si forma una falda sospesa temporanea che ha azione fortemente destabilizzante sul pendio. Quando il livello dell’acqua nel suolo supera lo spessore dello strato superficiale l’acqua ipodermica può riaffiorare in superficie, dando luogo al cosiddetto flusso di ritorno (return flow). La pioggia che a questo punto cade non può più infiltrare e ruscella come flusso per eccesso di saturazione (saturation-excess overland flow).

Flusso di ritorno

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Flusso Sub-superficiale III

Evoluzione del flusso e delle tensioni all’interno dello strato superficiale nelle condizioni di flusso sub-superficiale. In (a) il flusso è quello normale prima della pioggia. Solo una piccola porzione di suolo alla base del versante è satura. In (b) la pioggia è iniziata ed il flusso scorre nella zona insatura verso il basso, parallelamente al versante In (c) il processo continua, con lo spessore saturo che aumenta secondo le modalità della figura In (d) lo spessore saturo è risalito per buona parte del pendio ed è anche aumentato di spessore Con proseguire del fenomeno si genererà l’emersione in superficie del tetto della falda temporanea.

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Situazione complessiva dell’idrologia di superficie (Selby, 1993)

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Saturazione del suolo: parametri climatici e stagionali

Variazione stagionale delle zone di saturazione per effetto del flusso sub-superficiale (da Dingman, 1994)

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Saturazione del suolo: localizzazione di S.O.F. e Return Flow

Ward (1984) ha verificato che saturation overland flow e return flow si verificano, oltre che lungo i corsi d'acqua anche in: •  (a) concavità (hollows), dove la convergenza delle linee di flusso dovuta alla concavità della superficie topografica aumenta l'intensità dell'afflusso che supera la conducibilità idraulica del suolo; •  (b) rotture di pendio in corrispondenza di concavità, per differenze nel gradiente idraulico •  (c) zone di riduzione dello spessore del suolo entro cui scorre il flusso sub-superficiale •  (d) porzioni di pendio dove la presenza di un substrato impermeabile a scarsa profondità favorisce il verificarsi del processo sloping slab L’individuazione di porzioni di versanti con queste caratteristiche permette di definire rapidamente siti di probabile instabilità. Si nota già da questa immagine l’importanza dei FATTORI TOPOGRAFICI e LITOLOGICI, quali pendenza, curvatura, spessori e discontinuità.

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Modelli digitali del terreno (DTM): tipi di rappresentazione

Modello a maglie quadrate regolari (GRID)

zi

Modello a triangoli (TIN)

zi

Risoluzione dei DTM

Tipici dati di origine dei DTM

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Modelli digitali del terreno (DTM): tipi di rappresentazione II

DTM in formato GRID (Vista Piana)

DTM in formato GRID (Vista Prospettica – Nord verso il basso)

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•  Pendenza (slope): variazione di quota nello spazio. Si esprime come il gradiente di z sulla superficie topografica:

•  Esposizione (aspect): orientazione della porzione di versante considerata rispetto al nord

•  Curvatura (curvature): variazione di pendenza nello spazio. Si esprime come gradiente di s, cioè:

Modelli digitali del terreno (DTM): parametri morfometrici principali

zs ∇=

zc 2∇=

•  Curvatura planare: derivata seconda della curva generata dall’intersezione della superficie topografica con un piano verticale tangente alle curve di livello

•  Curvatura di profilo: derivata seconda della curva generata dall’intersezione della superficie topografica con un piano verticale perpendicolare alle curve di livello

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Curvatura del versante

Curvatura di profilo: si nota allontanamento tra curve di livello procedendo verso valle nelle aree azzurre (concavità) e avvicinamento in quelle rosse (convessità). Influenza la velocità e l’accelerazione del flusso.

Curvatura planare: si nota bombatura verso valle nelle aree rosse (convesse) e verso monte in quelle azzurre (concave). Importante per determinare la divergenza o la convergenza del flusso.

Convergenza del flusso Divergenza del flusso Profilo convesso Profilo concavo

Vettore velocità del flusso

ν

ν

ν ν

ν

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1.  Determinazione delle direzioni di flusso tramite algoritmi con o senza distribuzione di flusso

2.  Individuazione delle depressioni chiuse (sink o pit) non reali e loro eliminazione iterativa

3.  Delimitazione degli spartiacque geografici per tutti i bacini e sottobacini

4.  Determinazione dei poligoni dei bacini 5.  Calcolo dell’area drenata per ogni cella del grid

tramite conteggio dell’accumulazione di flusso 6.  Estrazione della rete idrografica a partire dai

valori dell’area drenata 7.  Valutazione morfometrica della rete idrografica

con gerarchizzazione dei carsi d’acqua

Calcolo dei Parametri Idrologici da DTM - Procedure

Dem

Direzioni di

deflusso

SinksCorrezione

BacinoSpartiacque Accumulo deflussi

Reticolo teorico

Ovviamente questa procedura ed i passaggi sequenziali che essa comporta costituiscono solo uno dei modi possibili per la determinazione degli indici idrologici di base in un bacino idrografico. Per maggiori informazioni si vedano ad esempio Moore et al. (1992, 1993), Burrough & McDonnell (1998), Wilson & Gallant (2000), Tarboton (2001).

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Direzione di flusso

E’ la direzione del flusso lungo la porzione di pendio rappresentata da un pixel (*). Flusso superficiale (overland flow) e sub-superficiale (sub-surface flow) sono considerati entrambi paralleli al versante. Il valore di direzione può essere calcolato in vari modi più o meno sofisticati anche se quelli più adatti al calcolo automatico sono i due illustrati in figura. In zone a concavità planare (valli e impluvi) il flusso tende a concentrarsi e si usa il criterio della unica direzione di flusso (a).

In zone a convessità planare (crinali e creste anche poco accentuate) il flusso tende a suddividersi e si utilizza il criterio della distribuzione su più pixel (b). I GIS normalmente memorizzano le direzioni di flusso con codici numerici interi. ArcInfo e ArcView (© ESRI) utilizzano potenze del 2 a partire da est in senso orario (20=1 est; 21=2 sud-est; 22=4 sud e così via).

(a) (b)

(*)

(*)

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Individuazione e rimozione delle depressioni chiuse

Il calcolo delle direzioni di flusso determina in molti casi la formazione di cicli chiusi, che indicano la presenza di depressioni (sink o pit) come quella indicata nella figura a lato (a). In questi casi non è più possibile determinare la direzione del flusso lungo il versante e l’acqua tende ad accumularsi in modo indefinito. L’algoritmo di rimozione delle depressioni (algoritmo di FILL) usa semplicemente un criterio di riempimento delle stesse e conservando la direzione prevalente dell’intorno (b).

Rete di drenaggio prima della rimozione dei pits. Nei punti indicati si notano interruzioni nella continuità dei canali, dovute alla presenza di aree depresse nelle quali non esiste nessuna direzione di flusso uscente.

Rete di drenaggio dopo la rimozione dei pits. Adesso le aree di incertezza nella definizione delle dierzioni di drenaggio sono state eliminate e il GIS è in grado di determinare l’andamento connesso del reticolo idrografico.

(a)

(b)

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Accumulazione di flusso (Area drenata)

La accumulazione di flusso, o area drenata (upslope contributing area), esprime l’estensione (in pixel o in m2) del sottobacino drenato dal pixel considerato (area in rosso nella figura a lato rispetto al punto P). Il calcolo di questa quantità a partire da un DTM richiede il GRID delle direzioni di flusso connesse. Si tratta di una procedura iterativa che si propaga all’indietro, controllando quali celle inviano il flusso verso il pixel considerato. Per ognuna di queste la procedura viene ripetuta finché non si arriva al crinale. Il conteggio finale cumulato indica il numero di celle dell’area a monte. Anche qui il calcolo può tener conto, eventualmente, della divergenza del flusso se prevista nel grid delle direzioni.

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Esempio di Confronto tra D8 e FD8 D8

FD8

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Altri indici derivati

Wetness Index (Beven & Kirkby, 1979) Indica approssimativamente l’andamento del contenuto di umidità dei suoli. As è l’area drenata unitaria (m2/m), S è la pendenza del versante espressa come rapporto (m/m). I fondovalle hanno ovviamente i valori maggiori di W. Importante per il riconoscimento di aree asciutte o umide e quindi per l’individuazione di possibili aree di origine di return flow o S.O.F.

SAW Sln=

Stream Power Index (Moore et al., 1992) Indica la possibilità di erosione per flusso incanalato o concentrato. I simboli sono gli stessi che nel caso precedente. Combinata con fattori quali uso del suolo e pedologia costituisce un buon indicatore del probabilità di distacco del suolo. In forma modificata può servire anche per la previsione dell’inizio di erosione per fossi (gully erosion)

SAS ⋅=Ω

Sediment Transport Index (Moore et al., 1992) E’ funzione dell’area drenata e della pendenza locale. Nella formula β indica l’angolo del pendio in radianti. As è l’area drenata unitaria (m2/m).

3.16.0

0896.0sin

13.22 ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=β

τ SA

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Saturazione del suolo: il modello di O’Loughlin I

Flusso lungo un pendio in condizioni reali (da O’Loughlin, 1981) •  Conducibilità idraulica satura che diminuisce con la profondità •  Pendenza variabile della superficie topografica

DARCY: il flusso lungo la direzione s è

dzshzKdq s ∂

∂= )(

Dove dz è lo spessore del suolo e Ks la conducibilità idraulica satura. Si assume che il flusso sub-superficiale che attraversa una sezione b(x) dell'elemento areale (figura in basso) sia proporzionale all'area A dell'elemento stesso soprastante la sezione.

In queste condizioni il flusso è:

bAQxq /)( =dove Q rappresenta la portata per unità di superficie all’ interno dell’elemento considerato.

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Saturazione del suolo: il modello di O’Loughlin II – Substrato orizzontale

)/( dxdhhKq s=

Per intervalli di tempo limitati il flusso può essere considerato stazionario. Darcy può essere scritto (simboli in figura):

dove h è l’altezza della falda al di sopra dello strato impermeabile (K=0) ad una distanza data x dal corso d’acqua. Integrando tra h0 e h si ottiene l’eq. della forma del profilo della superficie di falda:

[ ] 2/120/21/ hKqxhoh s+=

In un pendio di pendenza costante sinβ, l’altezza del piano campagna alla distanza x dal corso d’acqua sarà:

xhz o ⋅+= )(sin β

Combinandola con la precedente si può individuare il punto dove z=h, cioè dove si ha emersione della falda:

( ) ββ 20 sin/sin2 ⋅⋅⋅−= sss KhKqx

Perché vi sia flusso superficiale di ritorno quindi dovrà essere Xs>0, cioè:

0sin hKq s ⋅⋅> β

β

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Saturazione del suolo: il modello di O’Loughlin III – Substrato inclinato

Se lo strato impermeabile è inclinato di un gradiente S (vedi figura), la forma del profilo di falda sarà data da:

⎟⎟⎠

⎞⎜⎜⎝

−−

−=

02 ln ShKq

ShKqSKq

Shh

xs

s

s

o

Il punto di emersione della falda, nel quale si verificheranno fenomeni di return flow ed eventualmente S.O.F. (in caso di pioggia), sarà sempre localizzato dove z=h, cioè ad una distanza xs dal corso d’acqua tale che:

⎥⎦

⎤⎢⎣

−+−

⋅=

)/)(sin1(/1/ln

sin 00

0

hSxShKqShKq

SKqx

ss

s

ss ββ

Supposto il flusso q > 0, perché la superficie di scorrimento si formi è necessario che il termine logaritmico della eq. precedente sia anch’esso maggiore di zero. Questo è possibile se le seguenti condizioni sono soddisfatte:

S>βsin )(sin/ 0 SxhSKq ss −+> β

Dalla prima si intuisce come la pendio e strato impermeabile debbano avere pendenze tali da far diminuire lo spessore del suolo z procedendo verso il fiume (vedi figura). Dalla seconda si può dedurre lo spessore critico zs all’intersezione (z=h) e quindi la trasmissività T del suolo in quel punto, che deve essere superata dal flusso perché possa generarsi scorrimento superficiale :

TSSKzq ss =>

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Saturazione del suolo: il modello di O’Loughlin IV – Condizioni reali

Il flusso q può essere stimato, come già visto, dal prodotto dell’area drenata specifica (per unità di lunghezza della sezione attraversata) per la pioggia netta Q. Per pioggia netta o net rainfall rate si intende la quantità piovuta meno le perdite per evapotraspirazione e per infiltrazione profonda.

TSbAQ ≥/

bAQxq /)( =

dove Q è la pioggia netta (mm), A l’area drenata (m2) e b la sezione attraversata dal flusso, pari alla dimensione della cella nei modelli basati su elementi finiti (grid).

L’equazione di O’Loughlin che lega trasmissività e pendenza al flusso in condizioni di saturazione può essere quindi riscritta in termini topografici. dove T è la trasmissività del suolo e S il gradiente dello

strato impermeabile.

Linee di flusso ed andamenti della falda freatica corrispondente a diversi valori del gradiente piezometrico. Connessione con fenomeni di distacco superficiale.

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Saturazione del suolo e altri indici – Esercitazione

Wetness Index (Beven & Kirkby, 1979) Partendo dall’area drenata As, moltiplicare per l’area del pixel (per passare da pixel a m2). Poi calcolare S come gradiente a partire dalle pendenze (S=tanβ), ricordando di convertire prima in RADIANTI. Infine calcolare il logaritmo naturale del rapporto As/S. Per tutte queste operazioni usare Analysis/Map Calculator.

SAW Sln=

Stream Power Index (Moore et al., 1992) Utilizzando l’area drenata in m2 e il gradiente S calcolati prima determinare il prodotto. Provare anche col logaritmo naturale dello stesso. Confrontare i risultati con le caratteristiche topografiche del bacino e tra di loro.

SAS ⋅=Ω

Sediment Transport Index (Moore et al., 1992) Utilizzare As in m2 e calcolare stavolta il seno della pendenza. Poi scrivere nel Map Calculator la formula per parti. Ricordare di convertire in radianti le pendenze prima di calcolare sinβ.

3.16.0

0896.0sin

13.22 ⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡⋅⎥⎦

⎤⎢⎣

⎡=β

τ SA

QTbSATSbQA SS /// ≥⇒≥

Saturation Index (O’Loughlin, 1981, 1986) Utilizzare l’area drenata e il gradiente già calcolati. Porre b uguale alla larghezza del pixel. Partire da un valore di T/Q pari a 1000. Provare anche con T/Q = 200, 600, 800, 1200, 1500. Confrontare i risultati: come si modificano le zone di saturazione al variare del valore combinato di pioggia e trasmissività?

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Caratteristiche del suolo – Spessore I

Wu and Sidle (1995) osservano che i fattori che condizionano la stabilità dei pendii di un bacino possono essere considerati come appartenenti a due categorie: 1. Variabili definite quasi–statiche: determinano la propensione all’instabilità, ad esempio la geologia, le proprietà geotecniche, la pendenza, l’esposizione, le caratteristiche topografiche, la profondità del suolo. 2 . Var iab i l i de f in i te d inamiche: c o n d i z i o n a n o l a p r o p e n s i o n e all’instabilità, ad esempio cambiamenti nelle condizioni di saturazione o nella resistenza al taglio offerta dalle radici. Esse dipendono a loro volta da altre variabili quali i cambiamenti climatici, i processi idrologici e le attività umane. Tra le variabili del primo gruppo la profondità del suolo influenza fortemente la stabilità del pendio e la vulnerabilità all’erosione.

Wu and Sidle (1995) e Johnson and Sitar (1987) dimostrano come i parametri appartenenti al primo gruppo influiscono in maniera diversa nel determinare condizioni di instabilità. Come è evidente dalla figura il fattore di sicurezza è molto sensibile a modifiche dei valori di coesione e profondità del suolo, mediamente sensibile a cambiamenti dell’angolo d’attrito e della pendenza e molto meno sensibile a variazione del peso dell’unità di volume e del livello dell’acqua nel suolo.

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Caratteristiche del suolo – Concetto di soil catena

Il concetto di soil catena fu proposto inizialmente da Milne (1935) e poi utilizzato diffusamente per indicare una sequenza di t i p o l o g i e d i s u o l i c h e contraddistinguono le varie porzioni di un versante generico in base alle caratteristiche topografiche di questo. Le sequenze catena si verificano più f r equen temen te l à dove l a pedogenesi è control lata dal movimento dell’acqua nel suolo. Derivato da questo concetto è il modello a nove componenti (nine-un i t l andsu r face mode l ) d i Dalrymple et al. (1968) riprodotto in figura. In esso si riconoscono appunto nove diversi settori del versante caratterizzati dal predominio di determinati processi e forme. E’ chiara la dipendenza esistente tra caratteristiche dei suoli sul versante e topografia dello stesso (in termini di pendenza, curvatura, forma, spessori, quote, esposizione, etc.)

Modello del versante a nove componenti (Dalrymple et al. (1968)

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Un esempio di un modello per l’analisi delle caratteristiche pedologiche secondo il concetto di catena è stato presentato da Gessler et al. (1996). Gli autori hanno sviluppato un’equazione empirica per la previsione della profondità del suolo, partendo dalla considerazione che il parametro fondamentale che condiziona questa variabile è un indice wetness definito come W = ln(As/tanβ), dove As è l’area drenata unitaria (m2m-1) e β è l’angolo del pendio (°). La relazione proposta ha la forma generale:

dove ∇2zpl è la curvatura planare e a, b, c sono costanti opportunamente tarate su dati sperimentali per l’area di interesse. Gessler et al. (1996) propongono a=57.95, b=12.83 e c=21.46. NOTA: molti GIS calcolano la curvatura come negativa in caso di concavità e positiva in caso di convessità. E’ chiaro che in questo caso il parametro b nella formula precedente deve assumere segno NEGATIVO (ad es. b=-12.83). Un modello più semplice è invece quello che associa linearmente lo spessore del suolo alla pendenza, basato sull’ipotesi che questa rappresenti il fattore di controllo più importante nella formazione e nella permanenza del suolo sul versante.

Caratteristiche del suolo – Spessore II

cWba z s pl2 +∇+−=

ed +⋅−= βtan s

nella quale d ed e sono costanti definite in modo empirico. In essa si pone normalmente e pari allo spessore massimo del suolo, in zone piatte (tanβ=0). Il parametro d è invece determinato fissando, tramite analisi di campagna, la pendenza critica β* oltre la quale il suolo non può formarsi o mantenersi in posto (cioè se β= β* allora s=0). Avremo allora che:

*max

max*

tan0tan

ββ

sdsd =⇒=+⋅−

Ad esempio, supponendo uno spessore massimo della copertura (intesa come regolite) pari a smax=10 m ed una pendenza massima di 55° oltre la quale non si ha più suolo, avremmo un valore d=7.

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Caratteristiche del suolo – Spessore III E’ chiaro tuttavia che questo modello è molto semplice. In particolare vari autori hanno mostrato, vedi concetto stesso di soil catena, che le relazioni spessore-topografia sono molto complesse e dipendono anche dal clima e dalla storia dell’evoluzione geomorfologica del versante.

La figura a lato chiarisce come lo spessore del suolo dipenda dai processi attivi sul versante. In (a) il suolo si forma su un versante stabile e la sequenza di spessori e caratteristiche è prevedibile e dipende dal clima. In (b) il versante subisce, ed ha subito episodicamente in passato, fenomeni di erosione. La catena presenta irregolarità: •  nella parte sommitale si conserva tutto il suolo formato •  nella zona ad alta energia (convessità di profilo) sottoposta ad erosione si troveranno materiali più recenti e spessori minori •  nella zona concava basale si ritroveranno sequenze di materiali a testimonianza degli episodi di erosione passati. Gli spessori saranno ovviamente i maggiori.

(a)

(b)

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Caratteristiche del suolo – Spessore IV

Queste differenze portano allo sviluppo di sequenze catenarie di tipo diverso a seconda dei fattori in gioco. A lato sono riportati alcuni esempi di evoluzione possibili (da Birkeland et al., 1991). In questi casi i fattori topografici da soli possono essere utilizzati ma solo con grande cautela e comunque previa una dettagliata conoscenza delle caratteristiche di pedogenesi presenti all’interno dell’area indagata. Se queste condizioni sussistono possono essere adottati modelli più completi, nei quali si combinano contemporaneamente il fattore pendenza e quello curvatura, sia planare che di profilo. In generale lo spessore del suolo dipenderà da una legge del tipo:

( ) 02 hgzzfs m

+⋅∇−+∇⋅−=

Dove f, g, m e h0 sono costanti empiriche. Si noti inoltre che sia pendenza che curvatura sono espresse come gradienti. Ciò è necessario per: •  tenere in considerazione le differenze tra le direzioni di pendenza considerate •  poter includere sia gli effetti di curvatura planare (accumulazione dei sedimenti nelle aree di valle), che di quella di profilo (minore erosione e contropendenze che possono determinare depressioni chiuse verso valle, dette hollows)