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equilibra edizioni MASSIMO FRANCESCHETTI PARLARE IN PUBBLICO

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Page 1: PARLARE IN PUBBLICO€¦ · Parlare in pubblico è un’abilità comunicativa che si apprende. Certamente, alcune persone nascono con una predisposizione maggiore di altre, ma tutti

equilibra edizioni

MASSIMO FRANCESCHETTI

PARLARE IN PUBBLICO

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PRESENTAZIONE

I testi qui presentati riguardano i temi della comunicazione e della collaborazione. Hanno lo scopo di condividere quanto ho appreso attraverso la mia esperienza personale, gli studi e le lezioni tenute in aziende, istituzioni o scuole. Essi vogliono essere di stimolo alla riflessione e all’azione per coloro che vogliono migliorare il proprio comportamento nelle relazioni interpersonali. Non vogliono esaurire l’argomento, né sostituire la lezione. Alla fine viene dato qualche riferimento per orientarsi. Tutto quanto qui scritto è frutto di letture di altri autori rielaborate personalmente. Scrivo per far riflettere e non per dimostrare, anche quando il testo, per motivi di sintesi, assume un tono perentorio o apodittico. Questi testi non sono definitivi. Sono uno strumento provvisorio e parziale per aiutare innanzitutto me stesso e poi gli altri a riflettere sulle proprie relazioni personali.

Ringrazio Emilia Sintoni per la lettura, le correzioni e i suggerimenti. Grazie a lei il testo è molto migliorato. Per qualsiasi commento o suggerimento scrivere a: [email protected]

I testi sono di proprietà dell’autore, Massimo Franceschetti, che si assume la responsabilità di quanto scritto. Essi non sono utilizzabili da terzi per nessun fine commerciale.

Creative Commons

! Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate CC BY-NC-ND

In copertina: Cesare Maccari, Cicerone denuncia Catilina, 1880. Affresco Palazzo Madama, Roma.

Edizioni Equilibra Settembre 2018

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INDICE

Premessa 5

Introduzione 6

Criteri generali 7

Competenza 7

Personalità 8

Valorizzazione 9

Criteri per la preparazione 9

Obiettivo 9

Contesto 10

Interlocutore 10

Tempo 10

Altri criteri di preparazione 11

Infine: preparati in profondità 12

La paura di parlare in pubblico 14

Respiro e paura 16

Il discorso 17

Iniziare un discorso 18

Far ridere 22

Finire un discorso 22

Le slide 25

Altri supporti 29

Durante la presentazione 31

Sistemi di verifica del discorso 32

Conclusioni 34

Riferimenti 35

Testi 35

Ted Conference 35

Film 36

APPENDICE: COME NON FARE SLIDE 37

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Tutti i grandi oratori sono stati pessimi oratori, una volta. R. W. Emerson

Esistono solo due tipi di oratori: gli ansiosi e i bugiardi. Mark Twain

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Parlare in pubblico

Premessa

Sono un insegnante e quindi parlo spesso davanti alle persone. Ho avuto modo di parlare anche a teatro, sia come attore che come insegnante, quando abbiamo messo in scena delle lezioni spettacolo. Mi è capitato di parlare in tv, oppure in convegni o conferenze, di essere intervistato da giornalisti davanti a telecamere di qualche tv locale, oppure di essere al centro dell’attenzione di centinaia di persone quando giocavo a calcio. Nonostante possa stupire qualcuno, sono sempre stato molto timido, desideroso ma anche spaventato dal mettermi in evidenza. Ogni volta che esco da una situazione pubblica ho un sentimento sgradevole di disagio. Una voce (il mio critico interiore) mi rimprovera di aver fatto qualcosa di sbagliato (ho un critico interiore molto creativo che trova sempre da ridire). Così come prima di comparire ho spesso l’ansia, se non l’angoscia o peggio. Ricordo di uno spettacolo che dovevamo fare in Germania, davanti a trecento persone, in parte in italiano e in parte in tedesco (non parlo per niente bene il tedesco). Ero terrorizzato. Letteralmente. Allora perché sono qui a scrivere questo testo? Perché nonostante la vergogna o la paura, l’ho fatto. Perché, nonostante non si nasca insegnante, probabilmente, ho scelto comunque di affrontare la vergogna e la paura per condividere con altri conoscenze, emozioni, storie. Quel giorno in Germania, ricordandomi di essere un insegnante di certe tecniche per rilassarsi, sapendo cos’è l’ansia e come si gestisce, ho trovato il modo di tranquillizzarmi quel tanto che è bastato per portare il mio corpo davanti al leggio e al microfono e cominciare a leggere in tedesco. L’ho fatto. E così tutte le volte che ho potuto, voluto o dovuto farlo. L’ho fatto. Inoltre, non avevo mai pensato di occuparmi di questa forma di comunicazione fino a quando qualcuno non me l’ha chiesto. Allora ho iniziato a studiare e riflettere su quello che facevo. Ho capito meglio certi miei modi di gestire un’aula (ovviamente, ma forse non troppo, avevo subito molte lezioni su come si gestisce un’aula), ho capito in che cosa consisteva la mia evoluzione, in che cosa potevo migliorare e che cosa dovevo smettere di fare. Ho iniziato a guardarmi nelle riprese video che ho sempre fatto, in modo nuovo e più preciso. Ho imparato meglio cosa stavo facendo da anni. Perché parlare è un’attività talmente connaturata al nostro modo di essere che si possono fare tantissime cose senza rendersene conto. Ho così scoperto un mondo. Quel mondo la cui sintesi mi piace qui condividere con te.

Con un’avvertenza: questo testo non parla di tutto quanto è possibile dire sull'argomento, non è affatto esaustivo; mancano molti aspetti del parlare in pubblico. Alcuni sono trattati molto brevemente, altri li ho evitati, anche se sono importanti. Ad esempio mi soffermo poco sull’organizzazione del discorso, sulla sua costruzione. Tantissimi altri testi lo fanno, anche molto

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Parlare in pubblico

bene. Lo scopo di questo testo è raccontare una certa mia esperienza ed un mio modo di vedere questa materia. Vorrei anche contenere questo testo dentro un numero di pagine ristretto. Per questo qui troverai alcuni temi ma non altri. Non fermarti qui.

Introduzione

Parlare in pubblico è un’abilità comunicativa che si apprende. Certamente, alcune persone nascono con una predisposizione maggiore di altre, ma tutti possono apprendere a parlare in pubblico. La vera differenza non è la competenza, né il talento, ma il coraggio. Il coraggio di affrontare il fantasma che la paura mette di fronte ad ognuno: il giudizio negativo degli altri. Coloro i quali riescono ad affrontare questo fantasma del giudizio negativo altrui, scoprono che parlare in pubblico è un’arte che può essere appresa, migliorata e goduta.

È indubbio, comunque, che accanto a conoscenze e nozioni, per poter parlare in pubblico con efficacia, occorre fare molta esperienza, molti tentativi, molti errori. Per i più fragili e rimuginanti comporta passare molte notti insonni. E questo è proprio necessario, inevitabile. Affrontare la paura e sopravvivere, osservare che il tanto temuto giudizio degli altri non arriva, arriva in modo positivo o che, comunque, non uccide, è un’esperienza decisiva. E poi gustare, poco a poco, il fascino conturbante di essere al centro dell’attenzione di un gruppo di persone. Piano piano, imparare a gestire questo fascino, diventarne consapevole e nutrirsene (senza poi abusarne).

La comunicazione efficace è un processo che apprende continuamente, flessibile e mutevole, come tutto, in natura. Non c’è una ricetta definita, valida sempre, ma un continuo processo di crescita, una costante ricerca: definizione di criteri, messa a punto, verifica, trasformazione ed esperienza. Così anche per il parlare in pubblico. Non c‘è un modo giusto di farlo, non ci sono tecniche valide sempre e comunque, non c’è una ricetta unica, né tantomeno facile. Ognuno deve trovare il proprio modo di parlare ad un pubblico e ciò che può andar bene per una persona, in un certo contesto, potrebbe essere deleterio per un’altra, in un altro contesto. Certamente, esistono una serie di parametri di cui tenere conto: le proprie specificità, le condizione degli ascoltatori, il contesto, gli scopi, ecc. Tuttavia, non è possibile ridurre ad una formula la sostanza di un buon discorso tenuto in pubblico. Occorre rielaborare personalmente il tutto e cercare il più possibile di restituire

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autenticità e forza al discorso singolo, unico, svolto proprio in quel momento specifico. La parola (come l’immagine o il corpo), per quanto sia uno strumento nato per essere riproducibile, è troppo viva e mutevole perché possa essere fissata in qualcosa come una “ricetta-sicura-valida-sempre”. La comunicazione in pubblico, come qualsiasi altra forma di comunicazione, diviene efficace solo se viene collocata all’interno di un ciclo di apprendimento continuo, composto da esperienza, criteri, preparazione, verifica dei risultati, verifica dei criteri e di nuovo esperienza. Perciò: buon lavoro!

Criteri generali

Secondo quello che ho potuto sperimentare come ascoltatore, relatore e lettore di saggi, i criteri generali per offrire presentazioni quanto più appropriate, sono: competenza, personalità, valorizzazione.

Competenza

Se una persona è chiamata a parlare è perché si ritiene che abbia la competenza per poterlo fare. Se hai deciso di farlo, ti prego di valutare se le cose che hai da dire non possa averle già dette, magari meglio, qualcun altro. Ma, se dopo un’attenta analisi, tu continui ad essere la persona che vuole/deve parlare, allora fallo e fallo nel miglior modo possibile, sapendo che probabilmente in quel contesto sei la persona più competente per farlo. Ricordati che parlare non è necessario in sé. Se qualcuno lo fa, deve avere contezza di ciò che dice e del perché lo dice. Anche se oggi tutti si sentono in diritto di parlare di tutto, tanto è facile farlo, cerca di parlare quando hai qualcosa da dire che sia fondato su esperienze e conoscenze. Anche se queste dovessero essere poche, iniziali, e in via di costruzione, parti da ciò che sai, da ciò di cui hai sicurezza. Quello è solo tuo e solo tu puoi dirlo. Più cercherai di rispettare il tuo sapere e il tuo punto di vista, più il tuo discorso darà un contributo originale. Ovviamente, più sarai competente dell’argomento, più potrai costruire con oculatezza il tuo discorso. La competenza dell’oratore, in ogni caso, è qualcosa che il pubblico avverte. Non serve snocciolare parole straniere o difficili. La tua competenza verrà fuori dal tuo corpo, dal tuo modo di porti, più che da ciò che dirai. Emergerà dal modo in cui parlerai, dalla calma che avrai quando si tratterà di affrontare domande, dalla tua tranquillità interiore.

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Ricorda, comunque, che la competenza, di per sé, non è sufficiente. Conosciamo tutti persone molto competenti che non sono efficaci quando espongono il loro sapere. Saper presentare è, a sua volta, una competenza necessaria per valorizzare la propria competenza specifica.

Personalità

La forza di una presentazione sta nell’autenticità di chi parla. Essere autentici significa, in breve, essere abbastanza in pace con ciò che si è, senza voler scimmiottare qualcun altro che si crede meglio o superiore e senza avere paura di mostrarsi nella propria vulnerabilità. Significa non nascondere i propri limiti, non aver timore di presentarsi “nudi” davanti agli altri. Come dice Salman Khan:

“Siate voi stessi. I discorsi peggiori sono quelli di persone che fingono di essere qualcosa che non sono. Se siete eccentrici, siate eccentrici. Se siete emotivi, siate emotivi. L’unica eccezione è se siete arroganti ed egocentrici. In questo caso vi consiglio assolutamente di fingere di essere qualcun altro.”

Questo, ovviamente, si apprende. Non si nasce “se stessi”, lo si diventa. E per diventarlo occorre esperienza, riflessione, volontà di andare oltre certi schemi appresi da bambini, di confrontarsi con altri, di capire cosa di noi è più genuino e cosa di noi, invece, risponde al bisogno di sentirsi qualcosa o qualcuno. È la parte affascinante del parlare in pubblico. Fai attenzione agli oratori che “arrivano” alle persone, quelli che lasciano il segno più con la loro personalità che con il loro discorso in quanto tale: sono coloro che esprimono anche una certa sicurezza di sé, una certa pace con se stessi. Anche quando sembrano titubanti o insicuri, e magari lo sono veramente, e lo si vede e non temono che si veda. Ho conosciuto tante persone che hanno questa qualità, un po’ per talento personale, un po’ perché ci hanno lavorato, avvertivo che avevano costruito o ottenuto una certa forma di pace con loro stessi. Erano ciò che erano e davano ciò che ritenevano giusto. Non cercavano di ottenere qualcosa dal pubblico. Non lo usavano per la propria vanità (un po’ magari, ma solo un po’, quanto basta, quanto anche è un po’ necessario che sia). Erano lì soprattutto per dare ciò che sentivano giusto dare, con onestà e generosità.

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Valorizzazione

Valorizzare il proprio discorso, anzitutto: curarlo, prepararlo, costruirlo. Perché è vero che l’efficacia di un discorso è poco prevedibile; è vero che dipende da molte variabili, è vero che non c’è una ricetta univoca per ottenerla, ma è altrettanto vero che, se non si cura il discorso, la propria competenza, personalità, volontà potrebbero non bastare. È importante valorizzare se stessi, magari con ironia. Non sminuire il proprio lavoro, non chiedere scusa per il fatto di presentarlo o presentarlo in un certo modo, non chiedere benevolenza. Infine, valorizzare il pubblico che ascolta, perché è grazie ad esso che la nostra presenza e il nostro discorso hanno senso!

Criteri per la preparazione

I criteri più generali di cui tenere conto, nella preparazione di una presentazione, sono:

Obiettivo

Comunicare è agire insieme in funzione di uno scopo. Quindi, se parli devi avere uno scopo. Se sei lì a raccontare qualcosa hai uno scopo, anche se non te ne rendi conto, e forse sono anche più di uno. Quindi, più chiarisci lo scopo, più lo rendi concreto, delimitato e fattibile, più potrai capire se il tuo discorso è stato efficace. Dovresti farti queste domande nella preparazione: Perché parlo? Quale obiettivo specifico voglio ottenere dalla presentazione? È molto importante esprimere in modo concreto il comportamento atteso dai partecipanti alla fine della presentazione. Infine, considera una cosa importante: l’obiettivo che vuoi raggiungere deve essere utile agli altri, non (solo) a te. Parlare è dare, offrire, al limite restituire ad altri qualcosa: un’idea, un’emozione, un’esperienza. Pertanto, nella definizione dell’obiettivo che vuoi raggiungere, tieni presente quale vantaggio potranno ottenere i partecipanti dal tuo discorso.

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Contesto

Il contesto determina il senso e la riuscita del tuo discorso. Per questo è fondamentale che tu ti ponga le seguenti domande nel prepararti: In quale contesto si colloca il mio discorso? Come potrebbe essere letto? Quali regole scritte o non scritte vigono in quel contesto? Come posso risultare il più appropriato possibile rispetto all’obiettivo e al contesto?

Interlocutore

Va da sé che si parla sempre a qualcuno e che il vero, unico, riferimento del tuo discorso è questo “qualcuno”. Perciò, preparandoti, cerca di chiarire il più possibile: Chi sono i miei interlocutori e che competenze hanno? Quali obiettivi hanno? Cosa si aspettano da me? Quali valori di riferimento seguono? Cosa potrebbe essere importante per loro? Cosa potrebbero apprezzare di ricevere?

Tempo

Il tempo è una dimensione tanto invocata quanto sconosciuta. È ignorato, sottovalutato, quasi deriso da alcuni che se ne fregano altamente di quanto tempo hanno a disposizione. Costoro parlano il tempo che è necessario. Ora, o sei uno, tipo il Presidente della Repubblica, che se lo può permettere, oppure stai abusando (del tempo) delle persone. Che tu sia il capo, il megadirettore galattico, oppure un docente qualsiasi, è bene che consideri che le persone non sono (più) disposte a regalare il loro tempo a quasi nessuna condizione. E poi anche il Presidente della Repubblica fa attenzione a non abusare del tempo degli altri. Il tempo comunica il rispetto che hai per gli altri. Se usi in modo improprio il tempo altrui, riducendolo perché tu dovevi parlare di più, vuol dire non solo che ti sei preparato male, ma che non hai capito cosa sta succedendo. Sei pericoloso. Per te e per gli altri. Qui, in queste pagine, un bellissimo discorso che dura troppo vale molto meno di un discorso normale che dura quanto deve. Sono rari i casi in cui si perdona uno sforamento. Perciò spero di aver reso bene l’idea: rispetta il tempo che ti viene dato. A costo di cambiare il tuo discorso in corso. Il tempo viene prima del tuo discorso, perciò preparati bene a considerare quanto tempo hai o per quanto tempo puoi chiedere al tuo pubblico un’attenzione di qualità. A quel punto stai sotto. Finisci prima. L’efficacia del tuo discorso ne guadagnerà moltissimo, fidati.

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Altri criteri di preparazione

1. Conosci lo spazio dove andrai a presentare. Avere la possibilità, durante la preparazione, di immaginare lo spazio in cui si andrà a svolgere il tuo discorso, è molto utile, soprattutto per potersi immaginare in modo realistico e prepararsi adeguatamente all’impatto che il contesto potrà avere sulla tua persona. È molto utile soprattutto se sei alle prime armi.

2. Elabora una scaletta degli argomenti prima di fare le slide. Definisci, in modo schematico, tutti gli argomenti trattabili, poi, in un secondo momento, individua una gerarchia tra essi e seleziona solo gli quelli essenziali, che possono ottenere l'obiettivo prefissato, nel tempo a tua disposizione.

3. Verifica la reale durata del discorso, provando e riprovando. Se il testo ti sembra troppo lungo, organizzare gli argomenti per livelli d’importanza.

4. Il linguaggio deve essere comprensibile per l’interlocutore. Evita slang, gerghi, parole tecniche o in lingue sconosciute all’interlocutore. Se devi proprio usarle, danne anche traduzione o una breve spiegazione.

5. Prepara una versione ridotta della presentazione e senza supporto delle slide da utilizzare in caso di emergenza. Molto spesso gli strumenti tecnici non funzionano. Rimanere interdetti può invalidare il discorso. Preparati a non usare alcuno strumento.

6. Confrontati con un esterno. Fai rivedere il tuo discorso da (o provalo con) qualcuno di “esterno”, verificando la comprensibilità del linguaggio usato, la sequenza logica degli argomenti e se l’obiettivo perseguito è raggiunto.

7. Rileggi ed asciuga il più possibile. La sintesi è un grande pregio, anche se non deve andare a scapito della comprensibilità. Chiediti cosa è essenziale e cosa non lo è. Se tutto ti sembra essenziale, fatti aiutare da qualcun altro. Adatta, comunque, il discorso al tempo reale che hai.

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Infine: preparati in profondità

In passato, ho sicuramente perso delle occasioni, rovinato certi interventi e questo perché o non mi ero preparato o mi ero preparato poco o male. Ho capito lentamente l’importanza di prepararmi a certe occasioni. Credo di essere stato educato all’improvvisazione e ad una certa sottovalutazione dell’importanza di prepararsi quando si deve tenere un discorso a qualcuno. La facilità che ho ad esprimermi verbalmente mi ha fatto spesso credere che me la sarei cavata comunque. Ma non è stato sempre vero.

Il primo passaggio, una volta compresa l’importanza di prepararsi, è stato quello prepararmi di più. Studiavo di più, leggevo di più, scrivevo di più, accumulavo più materiale. È un momento importante perché in questo modo ho molto migliorato la mia competenza. Ma poi ho capito che non bastava. Che ciò non garantiva di per sé la buona riuscita dell’intervento. A volte ero molto preparato, eppure non ricevevo i feedback che mi aspettavo e le cose non funzionavano.

Mi accorsi allora che preparavo certe parti del discorso e non certe altre. Ad esempio, ero diventato abile nel preparare l’inizio, ma non curavo altrettanto bene la fine del discorso. Oppure preparavo meglio le slide, ma non consideravo ciò che avrei trovato in aula o le difficoltà tecniche che a volte mi hanno costretto ad una penosa marcia indietro dall’uso delle slide. Così ho, piano piano, imparato a prepararmi su tutti gli aspetti del discorso, ma avevo anche qualche altro passaggio da fare.

Mi resi conto, infatti, che competenza e attenzione ai dettagli non bastavano. Poiché l’emotività, molto spesso, mi giocava contro. Così ho iniziato a considerare la preparazione anche del piano emotivo. In questo modo, ho imparato a far fronte alla paura e all’ansia da prestazione. Ho capito meglio come funzionavo, quali situazioni mi mettevano più a disagio e perché. Mi sono allenato piani piano a fronteggiare tali emozioni e ho visto che questo lavoro mi aiutava molto. Mano a mano che la mia competenza aumentava e riconoscevo l’importanza di affrontare l’ansia e la paura imparando a gestirle, succedeva un fatto ulteriore, del tutto naturale, credo: la mia sicurezza aumentava. A mano a mano che diventavo più sicuro, mi preparavo meglio.

(Qui fai attenzione a comprendere che quando scrivo “meglio” non intendo “di più”, ma in maniera più estesa: dai contenuti al mio stato d’animo).

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La preparazione è un modo di occuparsi di se stessi, di entrare in contatto con se stessi, parlarsi, accompagnarsi e, sì, anche, volersi bene, stimarsi, riconoscersi. Questo processo permette di arrivare di fronte alle persone con un grado di benessere che fa essere più autentici. E l’autenticità, mi sento di dire, è la chiave più importante, anche se non l’unica, del successo di un discorso in pubblico.

Così la preparazione non dovrebbe riguardare solo la competenza, gli aspetti tecnici, i dettagli, l’emotività, ma anche il rapporto con se stessi: accettarsi, accompagnarsi, sostenersi, mettersi nelle condizioni migliori (e non costringersi alle peggiori, per pigrizia o timore).

Questo è evidente se si segue un corso di parlare in pubblico, almeno i miei. Il lavoro che si fa è sulla preparazione ad avere un buon rapporto con se stessi, il che significa fare attenzione innanzitutto a se stessi, perché non è poi così normale e scontato essere noi al centro della nostra attenzione. Spesso lo è il lavoro, i risultati, altre persone, ma non noi.

Per questo, la buona preparazione prevede anche domande del tipo: come sto al pensiero di fare questo discorso? Se ho paura, cosa posso fare per affrontarla, guardarla? Cosa posso dirmi per accettare di avere paura? Come posso fare di questa paura un’occasione per fare meglio quello che devo fare? Mi sento in diritto di farlo, il discorso? Se no, a quale fine lo faccio? E se sono costretto, come potrebbe capitare, cosa posso dire a me stesso per darmi un po’ di più questo diritto?

È importante, per il pubblico, che la persona che presenta un discorso sia coerente con il fatto che lo sta facendo. Se qualcuno parla, ma non vorrebbe farlo o ha così tanta paura da non volerlo fare, il pubblico si domanda: cosa lo sta spingendo? E se è così, allora sarebbe meglio dirlo subito, fin dall’inizio, chiaramente, perché così almeno saremo considerati onesti e coerenti. Il che è preferibile, almeno per i miei parametri, a qualsiasi altro giudizio possano dare sulla nostra competenza o attitudine. Le persone perdonano molto, ma non la menzogna o l’incoerenza. Il pubblico non ama essere preso in giro. Non ama che le persone fingano di essere o stare diversamente da come è evidente a tutti che stiano.

Perciò preparati, preparati il più possibile, dando la maggiore attenzione possibile a te e alle tue cose, a ciò che sai, a ciò che senti e sii onesto e diretto, il più possibile. Il pubblico te ne sarà grato.

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Parlare in pubblico

La paura di parlare in pubblico

Esistono due tipi di paura: il primo è la paura come emozione sana che ti aiuta a sopravvivere. È la paura che provi di fronte ad un pericolo reale, presente, incombente, quando qualcosa mette a repentaglio la nostra salute, la nostra sicurezza, la nostra vita. E poi c’è un’altra paura. Un’emozione che potremmo chiamare più propriamente “ansia”, ed è la paura di qualcosa che stai immaginando, ma che non è presente, che non è fisicamente incombente. Non c’è una vera e propria minaccia per il tuo fisico, la tua salute o la tua incolumità. Semmai c’è qualcosa che potrebbe, si badi bene, potrebbe minacciare la tua vita sociale, la tua reputazione, l’immagine che gli altri hanno di te, ma non è comunque realmente presente. È una possibilità: perdere la faccia, perdere la stima, perdere il ruolo sociale che hai, forse l’amore degli altri. La paura di parlare in pubblico appartiene a questa seconda categorie di paure. Una categoria più evanescente, ma non per questo meno potente. Anzi.

Le persone che si apprestano a parlare in pubblico le prime volte, in genere, immaginano di ricevere un giudizio negativo: di essere giudicate inadatte, incompetenti, incapaci, persino ridicole. Immaginano, quindi, di ricevere un giudizio negativo che si ripercuoterà sulla loro reputazione, sulla stima che gli altri hanno nei loro confronti. Il che può anche essere, ma sicuramente non è possibile determinarlo prima. Certamente non è un bene per la propria reputazione parlare davanti a delle persone senza esserne autorizzati, senza competenza, senza precauzioni. Tuttavia, gli oratori alle prime armi hanno un’idea poco realistica delle persone che li ascoltano. A meno che non succeda qualcosa di particolare, queste non ascoltano aspettando di cogliere in fallo la persona, né hanno un atteggiamento aggressivo e valutativo fin da subito. In genere, gli ascoltatori sono solidali con gli oratori, se questi non si dimostra aggressivo nei loro confronti.

L’ansia da parlare in pubblico è in gran parte determinata da un cattivo uso dell’immaginazione, il quale tende ad assolutizzare o esagerare le possibilità di fallimento del discorso. La persona in ansia teme qualcosa che ha poche possibilità di accadere e, che se anche accadesse, non condurrebbe certamente a quei risultati disastrosi che s’immagina. Anche se poi questo accadesse veramente, difficilmente tutti i presenti sarebbero condotti ad avere un così pessimo giudizio così come invece l’oratore in erba crede. In genere, ciò che mette l’ansia è l’espressione di emozioni, l’improvvisa perdita del filo del discorso, gli inceppamenti, le mani che tremano, la voce che

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Parlare in pubblico

balbetta, le amnesie, esaurire i contenuti prima che sia finito il tempo a disposizione. Tutte cose che effettivamente possono accadere, ma che normalmente non danno luogo a terribili giudizi sull’oratore, né mettono a repentaglio la sua reputazione.

Cosa puoi fare contro la paura, l’ansia del parlare in pubblico? Innanzitutto parlare in pubblico. Non c’è niente come la pratica che possa ridurre ai minimi termini questa ansia. Mano a mano che l’immaginazione cede il posto all’esperienza e si vive il fatto che parlare in pubblico non solo non presenta tutti questi svantaggi, ma anzi può essere un’esperienza piacevole, allora l’ansia si riduce.

Un’altra cosa che puoi fare è imparare a vedere la tua immaginazione mentre costruisce immagini che ti spaventano e bloccano. Prendere coscienza del processo mentale che, dentro di te, crea l’ansia. Osservare, senza giudicare, come il processo sia una sorta di coazione a ripetere, automatico e necessario, perché è quella stessa voce che ti permette di comportarti in modo adeguato alla vita sociale, ma che in questi casi esagera e ti blocca. Di fatto, un metro per valutare se l’ansia comincia a diventare un problema, è capire quanto e quando t’impedisce di agire, quanto ti paralizza e ti tiene lontano da esperienze che, pur difficili, ti potrebbero far crescere e dare anche piacere.

Il passaggio successivo è disattivare il processo di creazione dell’ansia. È possibile, piano piano, sostituire al discorso interiore che crea l’ansia, un altro discorso più realistico e costruttivo. Di fatto, è quello che hai sempre fatto, anche se in modo inconsapevole. Lentamente, facendo esperienza, hai sostituito a discorsi che spaventano discorsi più costruttivi. Mano a mano che hai fatto esperienza, l’ansia è diminuita, perché è cambiato il discorso interiore, si è ridotta la parte di immaginazione usata male fino a scomparire (quasi) del tutto.

Ricorda comunque che un po’ d’ansia di fare brutta figura è salutare. Il giorno che non avrai più ansia è un giorno pericoloso sia per te che per il pubblico. Entrambi rischiate la noia o l’indifferenza, ossia i veri nemici di un discorso in pubblico efficace.

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Parlare in pubblico

Respiro e paura

Premetto che non sono un esperto di respiro. Collaborando con persone che, invece, sono esperte e avendo fatto molta attività sportiva, ho imparato quanto sia importante respirare bene. Nella fase di preparazione, e durante l’esposizione stessa, il respiro può avere un ruolo molto importante. Respirare bene permette una migliore ossigenazione e questo aiuta tutto l’organismo. Quando siamo in ansia, sotto stress, abbiamo paura, il respiro si fa più veloce, meno profondo. Si respira con la parte alta del petto. Brevi e frequenti inspirazioni. Così s’incamera molta meno aria. Il corpo si tende. Quando siamo in ansia respiriamo meno. Se si vuole rilassare un poco il corpo, invece, è meglio fare alcuni respiri profondi, mandando l'aria nella parte bassa dei polmoni. Per farlo pensate all'atto della spinta che attuate a livello addominale nel momento in cui spingete con la zona pelvica, muscoli che si attivano di solito normalmente se siete stesi proni o supini: noterete infatti che l'addome si alza e si abbassa da solo, quella è la respirazione chiamata "diaframmatica" da utilizzare come "sostegno" per la voce e per, ancor prima - appunto -  rilassarsi e rallentare il battito cardiaco. In ogni caso, cercate di respirare con la zona bassa dei polmoni. Tre respiri profondi, intervallati da altri respiri normali, possono aiutare a rilassarsi. Se gira la testa, rallentate, respirate come avete sempre fatto e poi riprovate. Molti di noi sono talmente poco abituati a respirare che quando lo fanno possono avere dei contraccolpi. In ogni caso, cercate di respirare con più polmoni e con più calma. Qualche minuto prima di una performance lo faccio sempre. Mi aiuta a concentrami. Visualizzo l’inizio, respiro lentamente, cerco di rilassare il corpo. Ripasso mentalmente la parte iniziale del discorso. Osservo dove sono le tensioni e continuo a respirare prima profondamente e poi normalmente. Non molto, due o tre volte. Faccio lo stesso durante l’esposizione. Può capitare, infatti, che durante l’esposizione puoi andare in apnea. Una volta ricordo che durante una conferenza smisi di respirare. Ero letteralmente in apnea. E con me tutto il pubblico. Non riuscivo a fermarmi per respirare. La paura stava prevalendo. Fu veramente difficile. Per me e per il pubblico. Poi trovai la forza di fermarmi e fare un respiro. Breve, forzato, ma un respiro. Ne feci un altro ed ebbi l’impressione che anche il pubblico, o buona parte di esso, riprendesse a respirare con me. Piano piano ripresi a respirare, il discorso continuò e la cosa passò. Insomma, senza entrare in questioni tecniche su come respirare, ricorda di fare qualche respiro profondo prima di iniziare e cerca di respirare anche durante. Se l’ansia cresce, ricorda che respirare è un buon modo per ridurla.

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Il discorso

Costruire e realizzare un discorso è un tema molto impegnativo che qui non prenderò quasi in considerazione. La retorica classica, ma non solo, offre molti suggerimenti per costruire un discorso. Qui voglio solo suggerire alcune forme di costruzione del discorso breve, volto a presentare gli argomenti in modo semplice. Il principiante, in genere, affastella una grande quantità di contenuti,nel proprio discorso. Non farlo. Tre argomenti, anche due e semmai anche uno solo, sono sufficienti. Non è dalla quantità di argomenti che si comprenderà il tuo discorso, ma dalla qualità della tua esposizione. Più il discorso è focalizzato, mirato, delimitato e più è compreso. Perciò, a partire da quanto è emerso nella fase di preparazione (Cosa vuoi ottenere? Cosa si aspetta il tuo pubblico di ottenere? Di cosa potrebbero aver bisogno? Cosa puoi dare loro? ecc.), definisci un argomento, un nucleo, un contenuto attorno al quale costruire il tuo discorso. A partire da questo nucleo, ecco alcuni modi di organizzare l’argomentazione:

• Dal problema alla soluzione - In Italia abbiamo questo problema… vi presento la nostra soluzione…

• Dagli effetti alle cause - Questo è ciò che constatiamo… la causa che lo spiega è questa….

• Dalle cause agli effetti - Queste nostre attese sono le cause del nostro scontento…È per questo che poi accadono

queste cose.

• Dai valori alle azioni - Noi siamo questo, per questo agiremo in questo modo

• Dalle azioni ai valori - Noi facciamo questo perché noi siamo così

• Dall’inizio alla fine di un percorso - Abbiamo vissuto questo, poi è accaduto questo, ed oggi siamo qui…

Nelle presentazioni brevi, che trattano argomenti difficili o poco conosciuti dalla platea, scegliere la semplicità della costruzione. Esiste un detto anglosassone che dice: dì cosa dirai, dì cosa vuoi dire e infine dì quello che hai detto.

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• Introduzione: Parlerò di questo argomento…. perché…., • Contenuto centrale: L’argomento è questo…queste alcune

conseguenze pratiche • Conclusione: Ho parlato di … perché… questo è ciò che accadrà…

Ricordare comunque:

1. Valorizza l’oralità. È la voce la prima cosa che “arriva” alle persone. Per questo cerca di parlare chiaramente, di scandire le parole, in modo che siano comprensibili, di avere un volume di voce adeguato a che l’ultimo della fila senta e capisca.

2. Non correre, non avere fretta, non dare per scontato che ciò che dici sia chiaro agli altri e se è necessario non avere paura di fare una pausa o di rallentare.

3. È importante ripetere. Sottolinea i passaggi importanti e ripetili lungo il discorso.

4. Chiudere generando una emozione positiva sul lavoro fatto (usa una frase, un aforisma, dei ringraziamenti oppure apprezzamenti. Tieni un tono positivo o “alto”, esprimendo gioia od orgoglio. Su questo vedi anche più avanti.

Iniziare un discorso

Considero l’inizio di un discorso quei pochi minuti in cui l’oratore prende la parola e inizia ad introdurre il suo discorso. È il momento in cui quel benedetto (o maledetto) giudizio su di noi si forma nella testa delle persone. Esse valuteranno il nostro volto, le espressioni che faremo, il modo di gestire le mani, il modo di camminare, fino a considerare il nostro abbigliamento, gli accessori e via dicendo. D’altra parte, l’inizio è anche il momento in cui l’oratore prepara il pubblico ad ascoltarlo. L’oratore dà il “là” del suo approccio, mostra un po’ chi è e qual è il suo stile.

L’inizio è anche il momento emotivamente più difficile per l’oratore. Egli prende coscienza di essere al centro dell’attenzione delle persone. Le persone sono in attesa delle sue parole. L’oratore prende coscienza della responsabilità che ha. È il momento in cui sale veramente la paura: alcuni si bloccano, iniziano a tremare, la bocca si secca, il respiro si fa difficile, perdono la memoria. Dunque, è bene non sottovalutarlo. Cosa tenere presente, quindi? Quali possibilità si hanno?

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Il suggerimento che normalmente si dà è quello di caratterizzarsi, distinguersi, fin da subito. Il pubblico deve essere colpito e la sua attenzione immediatamente catturata. Questo si può fare in molti modi. Certamente, non dire qualcosa che deve essere ascoltato dalle persone per poter comprendere il discorso. Perché se l’inizio è difficile per l’oratore lo è anche per il pubblico. In genere, esso è ancora distratto, magari c’è chi parla con il vicino, oppure è rimasto a pensare a quello che ha detto l’eventuale precedente oratore. Dunque, anche per il pubblico è bene avere la possibilità di sintonizzarsi sul nuovo evento che sta per iniziare.

Cosa dire, allora, all’inizio? Soprattutto se si è agli inizi delle proprie esperienze, non vergognarsi di dire qualcosa di generico, non impegnativo, forse anche rituale. In questo modo non si sovraccarica la propria tensione emotiva con un inizio impegnativo. Ad esempio, non è fuori luogo o troppo banale salutare ed esprimere la propria emozione positiva nell’essere dove si è. Ringraziare chi vi ha invitato. Ringraziare il pubblico. Esprimere apprezzamento per gli speaker precedenti, se ce ne sono stati. Ad esempio:

Buongiorno a tutti. Mi fa molto piacere essere qui con voi, oggi… e poter partecipare a questa bella iniziativa. Ringrazio di cuore.… Ho apprezzato molto gli interventi precedenti e ne ho tratto numerosi spunti interessanti. (pausa)

A questo punto si può iniziare a focalizzarsi sul proprio discorso, partendo ad esempio dall’obiettivo:

Il mio discorso riguarda questo tema e vuole dare questo contributo. L’obiettivo del mio discorso è… Vorrei, con questo mio discorso, aggiungere un altro tassello ad una giornata molto ricca. Il mio scopo è…

È possibile fare anche altre cose, a seconda dei contesti e del temperamento dell’oratore, il quale, al di là di queste indicazioni, deve sempre partire da ciò che sente, da ciò che avverte essere appropriato. Sarà dopo, in sede di verifica, che egli comprenderà meglio la propria capacità di cogliere il momento, di sentire l’uditorio ecc. È molto importante sperimentare la propria sensibilità e la propria capacità di lettura del momento. È solo provando (e sbagliando, a volte) che si prende coscienza di queste e la si affina. Dunque, dicevo, è possibile fare alcune cose subito dopo i brevissimi convenevoli. Ecco alcuni suggerimenti schematici:

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1) Partire da una storia che può essere: a) Personale, che parta da sé, che racconti una propria storia (vera). Le

storie migliori sono quelle che si sono vissute personalmente. Esse vanno curate e non raccontate come viene. Quando una storia riguarda la persona che la racconta è molto più vivida, vissuta, sentita. E così arriva anche agli altri.

b) Tratta da un film o un romanzo, da un testo sacro o molto (ri)conosciuto, come può essere la Bibbia, i Veda, l’Iliade, ecc.).

c) Ispirata al luogo o al contesto in cui si parla. d) Una parabola esistente come tale.

La prima cosa da sapere è perché raccontate una storia. A cosa serve? Di solito, serve ad attrarre l’attenzione dello spettatore. Le storie sono più facili da ascoltare, comprendere e ricordare. Tuttavia, una storia deve servire a raggiungere l’obiettivo del discorso, deve essere il veicolo su cui il tuo dono viaggia verso il pubblico.

Ecco altre cose che si possono fare: 2) Rivolgersi al pubblico direttamente, interrogandolo, chiedendo

retoricamente: Avete mai sentito parlare di autopoiesi e cognizione? No? Vorrei dire qualcosa proprio su questo…

3) Parlare del luogo in cui ci si trova. Prendere spunto da qualcosa di particolare del luogo.

4) Definire chiaramente lo scopo e l’organizzazione del proprio discorso: Vorrei darvi alcuni strumenti per comprendere… Organizzerò il mio discorso in tre parti…

5) Esprimere una frase in modo apodittico. Una frase che, cioè, viene data come vera, assunta come un principio di base:

Le persone diventano sempre più importanti per le aziende. 6) Indicare alcune parole chiave del proprio discorso, riprendendole poi

successivamente: Vorrei soffermarmi su tre parole: Libertà, Uguaglianza e Fraternità

7) Dare una sorta di mappa del discorso che si deve tenere Parlerò di… e poi di… arrivando a concludere che… Ma partiamo dall’inizio…

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8) Fare un gesto simbolico che dia inizio al discorso e catturi l’attenzione perché forse più delle parole, i gesti catturano l’attenzione:

Entrate in scena e gettate a terra un bicchiere, strappate dei fogli, fate vedere un oggetto

9) Usare un’immagine di partenza dalla quale far iniziare il proprio discorso. Mostrando una slide con al centro un grande 0, dite: Tutto dipende da uno zero virgola e il vostro discorso ruoterà attorno al concetto di come piccoli gesti siano importanti per il risultato finale.

Sono solo dei suggerimenti, ripeto. L’oratore è bene che sviluppi i propri modi di iniziare tenendo presente alcuni dei principi che sto definendo. Eccone alcuni in negativo, ovvero cosa (sarebbe bene) non fare:

1. Non leggere. Anche se il proprio intervento viene letto, l’inizio si dovrebbe non leggere e non dare l’impressione di farlo. Il fatto di leggere dà un senso di distanza, artificiosità, distacco, freddezza. Anche se siete emozionati, è meglio dire due parole iniziali in modo diretto e personale. Poi potete leggere. Per esempio: Buonasera a tutti. Sono felice di essere qui. Data l’importanza della cosa ho preferito scrivere il mio discorso e leggervelo. Cercherò di farlo nel modo migliore e vi ringrazio fin da ora della vostra attenzione.

2. Non scusarsi. Molte persone, siccome sono a disagio, invece di esprimerlo direttamente si scusano per non esser capaci, perché sicuramente deluderanno il pubblico dopo oratori così bravi come quelli che li hanno preceduti; oppure si scusano di essere emozionati; per un motivo o per l’altro. Non farlo. Non c’è bisogno ed è, alla fine, un modo un po’ subdolo e un po’ violento di implorare il consenso del pubblico. Non c’è bisogno. Se si è emozionati dirlo: Sono emozionato. Parlare di fronte a voi è un onore che mi emoziona. E non dire “Scusatemi, mi trema la voce, non so se sarò capace…”. suona male e inutile: “Se non sai se sei capace resta a casa!” verrebbe da urlare dal fondo!

3. Non svalutarsi. Le persone sono state educate a catturare l’attenzione del pubblico o degli altri parlando male di sé. Non è necessario. Inoltre è controproducente indurre il pubblico che ascolta ad avere una immagine svalutante dell’oratore. È, in fondo, una mossa sleale e, anche questa, subdola. Mette l’ascoltatore in una posizione scomoda. Quindi non farlo. Non esprimere giudizi su di te all’inizio di un discorso. Più avanti si può fare anche dell’autoironia, ma non all’inizio, quando non ci si conosce ancora.

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Far ridere

Sono riconosciuto come una persona simpatica, spiritosa, che ha senso dell’umorismo. Spesso in aula faccio ridere, ma a volte ho fatto solo pena. Far ridere è difficilissimo, come dicono tutti quelli che lo fanno di mestiere. Per questo fai attenzione alla voglia di attirare l’attenzione facendo ridere. Lo so, è bellissimo sentire qualcuno che ride delle tue battute, e ancor più lo è quando un’intera platea ride. Però è pericoloso se viene fatto a ruota libera, se non sei Fiorello, se ti fai prendere la mano. Riprendo alcuni suggerimenti dal testo di Chris Anderson, Il miglior discorso della tua vita, poiché mi sembrano particolarmente appropriati:

1. Racconta aneddoti che siano collegati al tuo discorso e la cui comicità emerga in modo naturale. Magari puoi esagerare un po’ (è una chiave comica classica, semplice e quasi sempre efficace).

2. Scherza sempre su di te, cerca di non coinvolgere altri. 3. Usa le immagini in modo spiritoso, per contrasto, o usando anche qui la

chiave dell’esagerazione. Ad esempio, come ho visto in una presentazione, se parli della difficoltà di parcheggio mostra nelle slide un auto su un albero!

Evita: 1. Un linguaggio scurrile o offensivo. La volgarità, perché faccia ridere e sia

apprezzabile, richiede un contesto e un’abilità molto particolari. 2. Giochi di parole, calembour, doppi sensi a raffica: sicuramente non siete

Alessandro Bergonzoni! 3. Usare sarcasmo nei confronti di altro o di altri. Il sarcasmo è violenza! 4. Evitate battute di natura politica o religiosa, non sapete, probabilmente,

chi avete in ascolto, potreste offendere qualcuno senza accorgervene.

Finire un discorso

Finire un discorso è tanto importante quanto iniziarlo. Il finale di un discorso ne decreta spesso la riuscita complessiva. Il finale lascia un segno nella memoria dell’ascoltatore. Per questo è importante curare il finale. Le persone valutano l’intera esperienza spesso da come essa finisce. Quindi la parte

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conclusiva del discorso è tanto importante anche perché probabilmente è quella che lascia maggiori tracce nella memoria dell’ascoltatore e dalla quale si ricaverà l’impressione complessiva.

“Curare il finale” significa, per me, ottenere due risultati:

1. che si sia compreso il senso del discorso; 2. fare in modo che alla fine del discorso rimanga comunque un “sapore

buono”.

Mentre sul primo risultato si può concordare facilmente, credo, sul secondo si può discutere. Non è sempre detto che sia così necessario lasciare, alla fine, un “sapore positivo”. Proverò a dirlo in modo diverso.

A meno che non ci siano ragioni specifiche o contesti speciali, un discorso dovrebbe essere fatto di contenuti e di emozioni. C’è da capire, quando qualcuno parla, ma c’è anche da “sentire”, “provare”. I buoni oratori colgono i due aspetti, altrimenti sono noiosi o perché incomprensibili o perché “freddi”. Quando Martin L. King dice “I have a dream” sta dicendo che vuole l’integrazione, ma lo dice in modo da lasciare un segno nel sentire delle persone (usa la dimensione del futuro, utopica, ma usa anche la ripetizione, usa un tono accalorato, in crescendo, usa espressioni personali con le quali è facile identificarsi). Il “buon” discorso tiene insieme queste due dimensioni. A seconda dei contesti e degli interlocutori si preme più su uno o sull’altro, ma entrambi sono presenti ed importanti.

Questa cura vale soprattutto per il finale. Nel finale gli aspetti di contenuto e quelli affettivi è bene che siano entrambi presenti. In questo senso, dico a lezione che il discorso deve finire “in alto”. L’oratore aiuta il proprio discorso se lo colora con qualche emozione forte, facendo vibrare anche sul piano emotivo il proprio ascoltatore. È la cosa che gli attori fanno quando vogliono strappare l’applauso: sia a livello figurato che a livello non verbale vero e proprio chiudono il discorso in modo che il finale sia energetico, forte, trascinante, “in maggiore”.

Forse si capisce meglio se dico che sarebbe da evitare che chiudessi il tuo discorso dicendo “Ho finito.”, abbassando la voce e voltandoti verso l’uscita. Le persone, infatti, spesso non finiscono un discorso: scappano. Le ultime parole le dicono velocemente e a voce bassa, sempre più bassa. Non è il massimo. Non è valorizzante. Se riesci, evitalo. So che non è facile. Ma si può

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fare meglio che chiudere così. Brevemente, ecco alcuni criteri attraverso i quali impostare la parte finale del discorso:

1. Riepilogazione: riprendere il concetto principale che si è voluto comunicare e riepilogare gli aspetti importanti. È la conclusione migliore soprattutto per contesti tecnici, dove l’aspetto emotivo conta meno. È importante essere schematici e non andare oltre i tre punti da ricordare. Essere schematici facilita la memorizzazione.

Dunque, concludendo, il mio discorso aveva come scopo… e sintetizzerei questo in tre punti: 1 2 e 3 . Concluderei, quindi, dicendo che alla luce di questo… (e si usa un aforisma, una massima, un’affermazione, oppure un augurio per il pubblico).

2. Appello all’azione: s’impegnano le persone a fare qualcosa. Alla fine del discorso si incitano le persone all’azione.

Di fronte a tutto questo io vi invito a prendere l’iniziativa: potete scrivere a….potete andare presso e far sentire la vostra voce. Possiamo farci sentire forte e chiaro, visto che finora non ci hanno dato ascolto! La nostra voce, la vostra voce conta!

3. Impegno personale: si parla del proprio impegno a fare qualcosa, a prescindere da ciò che faranno le altre persone. Prendo come esempio il discorso che Elon Musk fece ai suoi impiegati dopo il fallimento del terzo lancio di Space X) (Traduzione mia)

Non c’è alcun dubbio che Space X riuscirà ad andare in orbita e a dimostrare che è possibile un trasporto spaziale affidabile. Da parte mia, io non mi arrenderò mai, e intendo mai! Grazie del vostro duro lavoro ed ora al volo 4.

4. Utopia: il discorso viene portato ad un livello più alto, ideale, utopico, mettendo in risalto valori fondamentali. ecco, come esempio il finale del discorso già citato di di M.L. King…

E quando lasciamo risuonare la libertà, quando le permettiamo di risuonare da ogni villaggio e da ogni borgo, da ogni stato e da ogni città, acceleriamo anche quel giorno in cui tutti i figli di Dio, neri e bianchi, ebrei e gentili, cattolici e protestanti, sapranno unire le mani e cantare con le parole del vecchio spiritual: "Liberi finalmente, liberi finalmente; grazie Dio Onnipotente, siamo liberi finalmente.

5. Simmetria narrativa: alla fine si comprende l’inizio, la fine chiude il cerchio con l’inizio. Hai iniziato il discorso con un messaggio, non proprio comprensibile e hai poi argomentato e spiegato e proposto e poi alla fine hai ripreso quell’inizio che adesso appare molto chiaro, comprensibile, forte.

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Inizio: “Noi siamo uno zero virgola… (e vengono proposti tanti numeri in cui si dimostra come piccole azioni fanno grandi risultati). Fine: Noi siamo uno zero virgola, quello zero virgola che ci fa grandi!

Qualcuno mi ha chiesto se è giusto o appropriato ringraziare alla fine del discorso, sempre e comunque, vedendolo come un rituale ormai privo di significato. Premettendo che uno, alla fine, chiude come può o vuole, sì, direi che ringraziare per l’attenzione data al discorso, per l’opportunità offerta di poterlo presentare, per il tempo che le persone hanno investito ascoltandoti, quand’anche fosse rituale, è un rituale necessario ed appropriato. In ogni caso, ringraziare è il segno distintivo della chiusura. In qualsiasi modo tu chiuda, se dici “grazie” tutti capiscono che hai finito.

Le slide

Le slide possono avere un ruolo importante nella presentazione. Possono orientare l’interlocutore, aiutare la comprensione di quanto si sta dicendo verbalmente. Le slide sono uno strumento grafico che integra e prosegue il discorso di presentazione. Le slide non sono sempre necessarie, ma quando si vuole e si può usarle possono essere di aiuto.

Va detto però che, spesso, ho visto dare alle slide un’importanza eccessiva. Le persone confondono “preparare un discorso” con “preparare le slide”. Il discorso viene così ridotto alle slide. In realtà, le slide sono una parte del discorso e non sempre sono necessarie. Esistono anche altri supporti che possono essere usati.

Non solo. Le slide spesso vengono costruite ad uso dell’oratore e non del pubblico. L’oratore le usa per ricordarsi cosa deve dire e “infligge” questo suo difetto al pubblico. In più, lo fa seguendo criteri che somigliano più alla stesura di un testo scritto che a quelli appropriati per le slide. Infatti, si confonde la slide con una pagina scritta. Ma la slide non è un oggetto bidimensionale (vedi Prezi, ad esempio), né è un oggetto statico. È uno strumento di comunicazione a se stante che ha una sua logica, che obbedisce molto di più al linguaggio pittorico e filmico che a quello testuale.

Se tu volessi usare la slide come una pagina dovresti dare almeno 3 o 4 minuti alle persone per ciascuna slide, tacere e attendere che tutti abbiano letto. Se

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puoi farlo, allora costruisci pure le slide come fossero scritte, ma a quel punto tu che parli diventi un elemento di disturbo!

Le slide, quindi, sono un supporto; lo ripeto perché sia chiaro. Non sono lo scopo del discorso, non devono essere al centro dell’attenzione del pubblico. Sono un supporto. Altrimenti, come ebbe a dire una professoressa allo studente: “Se sono così importanti le slide, tu che vieni a fare? Resta a casa”.

Parlare in pubblico è diventato per molti “presentare delle slide”. Ma questo non è ciò per cui lavoro. Per me, se stai tenendo un discorso è perché tu sei importante. Sono le persone, sia quelle che parlano che quelle che ascoltano, ad essere al centro del parlare in pubblico, non i supporti. In linea di principio, non dovresti aver bisogno di nessun supporto. È il tuo corpo, la sua espressività, la qualità del tuo discorso, il tuo modo di guardare, la tua presenza fisica che vanno curati, non solo le slide. Detto questo, nessuno contesta, che, in certe occasioni, può essere di aiuto alla comprensione seguire un discorso guardando delle immagini. Ma non sempre, e a condizione che le immagini siano appropriate sia rispetto al discorso sia rispetto alla capacità umana di capire quelle immagini.

Molto spesso, assistendo a una serie di presentazioni, mi ritrovo stanchissimo dopo poco. Al netto del fatto che sto invecchiando, ciò è dovuto al fatto che l’oratore mi ha costretto ad una battaglia cognitiva tra il seguire il suo discorso (spesso con lo sguardo rivolto verso la slide piuttosto che verso di me) e il leggere delle slide molto complesse, proiettate velocemente. Mi ha costretto a gestire lo stimolo uditivo e quello visivo, il sentire e il decrittare le piccole scritte delle slide. Ho dovuto seguire il discorso, mentre dovevo anche collegare, scegliere, capire una serie di immagini, scritte, numeri, schemi. Alla fine, l’unica scelta, inevitabile, è quella di distrarsi. In questi casi, distrarsi è riposarsi. Quando vedi della gente distratta mentre stai tenendo il tuo discorso chiediti se puoi farci qualcosa. Spesso stai costringendo le persone ad uno sforzo cognitivo eccessivo, perché il tuo discorso è troppo complicato o troppo pieno di stimoli. È questo che vuoi?

Breve nota tecnica: il cervello non è uno scanner e non processa le informazioni che riceve in ordine, ma le campiona. Salta di qua e di là, cercando una sintesi. Se mi presenti una slide piena di immagine e scritte, tutte insieme, il mio cervello deve campionare e saltare di qua e di là, cercando di cogliere più informazioni possibili e non posso fermarlo. Sarò costretto a guardare tutto. Avendo tutto questo da considerare (mentre nel frattempo devo anche ascoltare, altro processo di per sé complesso), è molto probabile che ciò

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che farò sarà staccare la mia attenzione e andare altrove. Per questo, occorre usare le animazioni e dosare quanto viene offerto al pubblico, per permettergli di seguire in modo coordinato al discorso. Offrire tutto subito affatica moltissimo chi ascolta e lo induce ancora una volta a distrarsi.

Aggiungo un’ultima nota: parlando con i miei allievi e di loro certe esperienze, mi sono reso conto che, in certi contesti, il modo di usare le slide che qui viene proposto non è molto apprezzato. In certe aziende, infatti, si ricava la complessità e la qualità del lavoro svolto dalla complessità e ricchezza con cui viene fatta una slide; dalla quantità di informazioni che vengono pigiate in una sola slide. O, ancora, dalla quantità di slide che viene utilizzata, ben oltre il tempo umanamente sopportabile. In questi contesti, una presentazione curata, essenziale e mirata può essere considerata “troppo semplice” (non conoscono la frase di Voltaire: “Mi scusi, ma non ho avuto tempo di farla breve”!) e quindi considerata inadatta.

Ognuno è padrone di usare il proprio tempo come crede e di fare le presentazioni come ritiene meglio, ovviamente. Segnalo soltanto, a te che stai leggendo, di fare attenzione a quale filosofia di gestione delle slide vige nel tuo contesto, perché quello che si scrive qui potrebbe non essere apprezzato e mi dispiacerebbe indurti a fare qualcosa di inappropriato per te. Quindi ritorna al capitolo sulla preparazione e valuta cosa si aspettano i tuoi interlocutori e, se lo ritieni, dà loro cosa si aspettano, non ciò che è qui considerato più appropriato.

Non voglio comunque esaurire un argomento molto complesso. Ci sono testi dedicati a questo, a cui volentieri rimando. Ora mi preme dare alcuni elementi di base. Lo farò in modo schematico, ma spero comprensibile.

La logica comunicativa delle slide poggia su almeno due criteri di base:

1. Le slide sono uno strumento visuale, grafico e come tali devono essere immediatamente comprensibili. Le slide non si leggono, si guardano. Una slide ben fatta deve essere comprensibile a colpo d’occhio. In questo modo, non interferisce con l’ascolto del discorso verbale, che resta al centro dell’attenzione del pubblico.

2. Ogni elemento sulla slide deve tenere conto della logica del linguaggio pittorico e filmico che procede per immagini, movimenti, simboli, orientamenti spaziali, colori, spessori delle linee, grafica, ecc.

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Questo significa che il modo che ritengo essere più opportuno di usare le slide è il seguente:

1. Usare immagini e non scritte. Se usi scritte (che sono comunque immagini) che siano parole immediatamente comprensibili. Una parola, massimo due.

2. Definisci un layout di base unico per tutte le slide. Non variare il modo di usare la grafica, il disegno, le linee e i colori a seconda delle slide, ma organizza la diversità delle slide sulla base di una stessa linea grafica.

3. Ogni slide dovrebbe avere un riferimento al numero delle pagine in corso e a quelle mancanti alla fine. Questo per dare al pubblico l’idea del punto in cui l’oratore si trova, rispetto all’insieme. In questo modo si dà la possibilità alle persone di avere il controllo del processo.

4. Sarebbe opportuno che ogni slide avesse un titolo. Non è sempre necessario, ma nella maggior parte dei casi aiuta. I titoli possono essere: descrittivi (parliamo di questo argomento), evocativi (tipo domande: “è possibile ottenere questo risultato?”) oppure risolutivi (con già la risposta che la slide andrà a spiegare: “Sì, attraverso queste risorse”).

5. Concentrati sull’essenziale. Evita di comporre le slide su tanti livelli orizzontali e verticali. Riduci al minimo il “disturbo” grafico e la necessità dell’occhio del pubblico di viaggiare sulla slide. Costruisci un percorso semplice e lineare. Preferibilmente da sinistra verso destra e dall’alto verso il basso.

6. Usa più slide invece di mettere tutto in una. E questo soprattutto quando si tratta di esprimere un concetto complesso. Le immagini devono essere chiaramente visibili e comprensibili. Perciò puoi far in modo, attraverso vari trucchi, che sembri la stessa slide, ma in realtà non lo è: è un’animazione continua che permette di illustrare in modo chiaro un concetto complesso.

7. Usa la grafica per rendere concetti quali: gravità, importanza, processi di causa ed effetto, emergenza di problematiche, soluzioni…

8. Si possono usare suoni e musiche durante la presentazione. Nessuno lo fa quasi mai, ma in realtà se vuoi sottolineare, anche ironicamente, qualche passaggio, puoi usare suoni buffi o musiche strategiche.

9. Usa l’animazione per regolare il flusso delle informazioni durante la presentazione. Le animazioni possono essere sia a comparsa sia a scomparsa. Posso far vedere e togliere dalla vista.

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10. Quando definisci font e grandezze dei caratteri considera lo spettatore più lontano. Il font e le immagini devono essere leggibili a distanza di almeno 20 metri per garantire massima visibilità a tutti. Questo soprattutto se lo schermo di proiezione è piccolo (2 metri per 2). Se lo schermo è grande, come in certe aule, non c’è bisogno di fare attenzione alla grandezza del font e delle immagini. Ma normalmente sì..

11. Se vuoi comunicare numeri, fai in modo di mostrare i numeri principali ed importanti. Non riempire la slide di numeri piccoli ed illeggibili, che il nostro cervello sarà portato a processare inutilmente. Al massimo usa diverse slide per ogni numero o gruppo di numeri.

12. Nei grafici evita di usare la “legenda” dei colori, ma rendi chiaro il senso del grafico immediatamente, senza costringere lo spettatore a cercare di capire a quale colore corrisponde l’informazione. È un tipico errore di chi considera la slide una pagina di libro. Ma non lo è. Quindi: in un grafico deve essere immediatamente chiaro il rapporto tra grafica e informazione.

13. Scegli i grafici in base a ciò che vuoi comunicare. Se vuoi comunicare un processo di crescita la torta non va bene, per intenderci, mentre un istogramma va molto meglio.

14. I video possono rendere molto bene i processi e possono aver anche un impatto emozionale importante Possono essere anche molto utili per rendere conto di situazioni concrete e specifiche, che è meglio far vedere che raccontare: un danno subito, un luogo particolare, ad esempio. Il video, combinando musica e immagini, può avere un impatto emotivo sulle persone molto più forte delle parole.

In linea di principio, per comprendere se una slide è ben fatta bisognerebbe domandarsi: è comprensibile senza il discorso? Se sì, non lo è. Se no, forse lo è.

Altri supporti

Le slide non sono l’unico supporto possibile al discorso orale. La cosa più semplice da pensare, in alternativa, sono gli oggetti. Oggetti che possono rappresentare qualcosa, oppure mostrare ciò di cui si parla. Ad esempio, se voglio rappresentare l’importanza di distinguere tra priorità e non priorità, metterò in una brocca della sabbia, che rappresenterà la miriade di cose non prioritarie che affollano la nostra vita. Dopodiché una volta riempita la brocca

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con la sabbia, le cose importanti, rappresentate da delle pietre grandi e tonde, non entreranno più. Se, invece, faccio il contrario, posando nella brocca vuota, prima le grandi pietre e poi aggiungendo la sabbia, osservo che c’è sempre spazio per le sciocchezze! 1

Questa è una cosa che difficilmente le persone dimenticheranno. Quando è possibile, se si parla di qualcosa, fallo vedere, fallo toccare, rendilo presente, visibile, esperibile. È molto meglio. Una volta, in un lavoro che stavo seguendo, parlavamo di un prototipo di un oggetto. Ma parlare di un oggetto senza vederlo o vedendolo su una slide non è la stessa cosa che toccarlo. Allora, abbiamo provato a produrlo, a realizzarlo, approssimativamente, ma abbastanza realisticamente. Dava un’idea dell’oggetto in questione, non era perfetto, ma poterlo toccare e vedere ha fatto tutto un altro effetto. Oltre alle slide e agli oggetti, si possono creare simulazioni a vari livelli di complessità. Si possono ricreare situazioni durante il discorso che possono servire ad illustrare un concetto. Per esempio: il tema è come gestire un’obiezione? Un vostro complice vi fa un’obiezione e voi fare vedere come la gestite. Oppure, si possono fare delle vere e proprie simulazioni con attori che mettono in scena delle situazioni preparate. Con i miei colleghi Sabrina Agnoli e Maurizio Granelli mettiamo in scena riunioni burrascose, oppure l’aggressione di un cliente. Attraverso pochi minuti si vedono molte cose e possiamo mostrare come da una scena di aggressività si possa passare ad una di assertività. Io mi servo di loro, formatori e professionisti, ma tu puoi organizzare, con chi si presta, piccoli sketch per illustrare quanto vuoi dimostrare. Simulazioni che richiamano il teatro, ma anche il cinema. Al posto delle slide puoi usare spezzoni di film. Esiste un sito che fornisce spezzoni di film per ogni argomento. Si chiama ilcinemainsegna.it. Provalo. Su YouTube, comunque, trovi tutto ciò che ti serve. Ci sono persone in grado di prodursi i video e quindi mostrare in forma cinematografica o televisiva quello che vogliono dire. Se hai le competenze tecniche per farlo, ed oggi non è difficile averle, sperimenta, crea. A questo proposito ricordo anche che ci sono programmi e applicazioni che fanno fumetti. È possibile che ad accompagnare il tuo discorso, se contesto e scopo lo permettono, siano dei fumetti e non delle slide.

Chiaramente non c’è che da essere creativi. Si possono sperimentare cartelloni, come fanno gli scienziati nei loro convegni, oppure cartelli che si sollevano al momento opportuno. Non porre limiti alla creatività. Ripeto: nei limiti del contesto e dello scopo, tutto è lecito e, tanto più sarà coerente con il tuo discorso e il tuo scopo, tanto più il tuo discorso sarà originale.

Devo questa idea al dott. Mark Padellini, coach e docente, che l’ha fatto in una lezione. 1

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Durante la presentazione

È il momento della performance. Laddove comunicazione verbale e non verbale si uniscono per dare un senso al tuo discorso. Si possono dire molte cose di questa parte, ma per ciò che mi riguarda darò poche indicazioni. Se si è lavorato bene alla preparazione questa parte risulta più facile. Mi limiterò a dare alcune indicazioni maggiori e poi rimando soprattutto alla verifica.

Cerca il più possibile di esprimere ciò che senti e vivi in quel momento. Non fingere, non spaventarti per le persone che ti stanno guardando, non ti giudicano male, ti stanno ascoltando, probabilmente, stanno cercando di capire cosa vuoi dire, valutano se sei coerente, ma non stanno pensando “male” di te. E se ti accade di spaventarti, perché improvvisamente ti rendi conto che tutta quella gente sta guardando proprio te, allora fermati, respira, prenditi pure una pausa di qualche secondo, se vuoi, se ritieni che si possa fare, dì pure che sei emozionato, non c’è niente di male: lo stanno vedendo tutti. Guadagnerai in credibilità. E poi, concentrati su ciò che vuoi dire; concentrati sullo scopo che hai, sulle tue motivazione e vai, parla, dona.

Collocati in modo che tutti ti possano vedere e tu possa vedere tutti. È sempre preferibile, soprattutto per lezioni o esposizioni lunghe, la massima esposizione del corpo, l’uso delle mani e dei movimenti. Usare gesti e piccoli movimenti è molto utile per agevolare l’attenzione e la comprensione. Gesti e movimenti non sono adeguati quando non seguono il discorso, sono rapidi e ripetuti. Ma se i tuoi gesti sono naturalmente connessi al discorso e i movimenti sono brevi e lenti, come degli intercalare del tuo discorso, allora non disturberanno l’ascoltatore, anzi, gli permetteranno di seguirti meglio.

Se il contesto lo permette, stimola la partecipazione del pubblico attraverso domande o una composizione del discorso che, riducendosi all’essenziale, induce il pubblico a fare domande per approfondimenti o chiarimenti. In questo modo, offrirai le informazioni che il pubblico chiede o ritiene utili e non quelle che tu credi siano utili. Inoltre, l’interattività mantiene viva l’attenzione.

Crea un contatto con il pubblico, soprattutto attraverso un comportamento non verbale adeguato: sorridi, apriti, vai verso le persone, accogli le loro domande e le loro obiezioni.

Accetta sempre critiche ed obiezioni, rispondendo con domande di approfondimento, per capire meglio. Non contraddire il pubblico. Non

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metterti a discutere più di tanto. Accetta che ci siano pareri diversi o esperienze diverse. Ringrazia per averle condivise. Riservati di pensarci meglio o approfondire per verificare, nel caso ci siano delle obiezioni particolari.

Attenzione ai segnali di fatica o disattenzione del pubblico. Se ci sono, prendere una pausa e ridurre la presentazione. La fatica del pubblico può essere un ottimo segno che c’è qualcosa che puoi migliorare nella tua presentazione. Non farne una tragedia, però. Accade a tutti di annoiare. In parte non dipende da te, ma anche dalle motivazioni di coloro che ascoltano. Chiaro: se tutti si annoiano è facile che dipenda da te, ma in una platea di tante persone sicuramente avrai quelle distratte, annoiate, ed anche quelle che dormono! Concentrati su chi ti segue e ogni tanto dai anche uno sguardo a chi non lo fa, magari lo svegli!

Focalizzati sui temi e gli obiettivi della presentazione, ossia non fare digressioni, portano via tempo e appesantiscono. Per alcuni, tipo me, è difficile non fare digressioni. Con il tempo ho imparato a ridurle, soprattutto quando non ho molto tempo. Anche qui conta la preparazione e avere una scaletta del discorso davanti, che aiuti a regolare il discorso. Soprattutto, mi aiuta il desiderio di rispettare il tempo delle persone.

Sistemi di verifica del discorso

Un buon comunicatore impara riflettendo sulle proprie esperienze, sui propri successi e sui propri errori. Va detto che qui, in questo testo, “successo” ed “errore” non sono legati al giudizio del pubblico. È un parametro anche quest’ultimo, ed è senza dubbio importante, ma qui il metro del tuo successo è quanto i tuoi obiettivi sono stati appropriati e tu sei stato coerente con essi. Di converso si definisce l’errore: non aver tarato bene l’obiettivo, non aver lasciato ciò che si voleva lasciare o, alla fine, aver verificato che non è rimasto ciò che si voleva far rimanere. Possono aiutarti alcune domande: le persone si portano a casa qualcosa, oltre al piacere di averti ascoltato? Se il tuo scopo è donare, essi hanno ricevuto quello che hai donato? La tua scelta di donare quella tale conoscenza era utile al pubblico? Era ciò che il pubblico si aspettava?

Conosco bravissimi oratori, che affascinano, lasciando ogni volta un’aura calda di stupore attorno a loro. Bene, non è il mio obiettivo. Se arrivi a questo,

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lasciando qualcosa che sia coerente con le attese tue e quelle altrui, allora sei al top. Altrimenti stai usando le tue doti oratorie solo per guadagnare il calore del pubblico, il suo stupore vi nutre, ma tu non nutri loro. Infatti, alla fine, ad esse non rimane niente, e alla lunga questo si vedrà.

Perciò, il buon oratore si dota di sistemi di verifica del proprio operato. Ecco di seguito alcuni semplici suggerimenti.

A discorso concluso, poniti due semplici domande: cosa è stato coerente con i miei obiettivi, cosa invece non lo è stato? Certo, sarebbe meglio confrontarsi anche con altri. Ascoltare chi era presente e farsi indicare gli aspetti positivi e negativi della propria performance. Purtroppo però le persone, in genere, non danno feedback circostanziati e totalmente sinceri, specialmente se qualcosa non ha funzionato. Sarebbe perciò opportuno, ogni tanto, chiedere a qualcuno di vederti e darti un giudizio personale completo. (Mi capita sempre più spesso di farlo io stesso. Di essere chiamato a guardare qualcuno e a dare un feedback). Chiedere delle indicazioni su cosa, secondo questa persona, è piaciuto e cosa ritiene invece si possa migliorare. Probabilmente, usando quest’ultima espressione, renderai più semplice al tuo interlocutore dire qualcosa, piuttosto che dire “Dimmi cosa è andato male”.

Riprenditi con una videocamera, periodicamente, per poi analizzare la tua performance. Con un’avvertenza: le persone non si piacciono mai quando si rivedono in foto, in video o si riascoltano in audio. Quindi devi imparare a vederti senza pregiudizi. Per questo consiglio di vedere il video con qualcuno. Almeno le prime volte. In questo modo, l’altra persona ti può aiutare ad avere un’idea più realistica di ciò che vedi.

Puoi anche registrare l’audio del tuo discorso. Ti permetterà di focalizzare la tua attenzione, in modo particolare, sulla tua voce e sul tuo discorso. In questo modo, potrai capire se la costruzione del discorso, il volume e il tono della tua voce, l’interazione con il pubblico, le digressioni, sono appropriate oppure no. La registrazione audio ti permette, in modo più accurato, di valutare la tua performance verbale.

Offri, laddove possibile, un breve questionario scritto, anonimo, a domande aperte o chiuse, con risposte multiple già preparate, nel quale chiedi al pubblico di darti un feedback sul discorso. Credo potrebbe darti molti spunti di riflessione.

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Insomma, trova il tuo modo di capire com’è andata. Puoi migliorare molto più velocemente.

Conclusioni

Questo testo vuole essere soltanto una sintesi di alcuni elementi importanti di cui tenere conto nel parlare in pubblico. Non ho trattato tutti i temi che lo riguardano, né ho trattato tutto allo stesso livello di dettaglio. Se hai suggerimenti o critiche ti prego di farmele avere!

Il mio scopo, con questo testo, era duplice: sintetizzare alcune cose che ho appreso e che non sempre trovo scritte nei testi sull’argomento; e poi fornire spunti di riflessione utili nel caso qualcuno volesse approfondire l’arte del parlare in pubblico. Questo perché parlare in pubblico è un’arte, non certo una scienza. Un’arte necessaria e bellissima che permette di sperimentare nuove forme di partecipazione e di conoscenza di sé.

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Riferimenti

Testi

Su questo argomento i testi sono molti. In italiano, consiglio i testi indicati sotto. Essi coprono gli aspetti più importanti di una presentazione.

Chris Anderson, Il miglior discorso della tua vita, Mondadori, 2018. Alberto Fedel, Andrea Notarnicola, Massimo Targa, Parlare in pubblico con successo, Franco Angeli, 2011. Silvio Grigis, Parlare in pubblico: come organizzare un discorso ed avere successo, Franco Angeli, 1997. Giacomo Mason, Come si presenta con le slide, Tecniche Nuove, 2009. Ma trovate anche qui un suo testo dell’autore sullo stesso tema.

Ted Conference

Alcune Ted Conference, citate da Chris Anderson, possono essere interessanti sia per osservare l’oratore o l’oratrice, sia per i contenuti.

MONICA LEWINSKI Sull’avere un leggio, ma soprattutto, sia a livello di ciò che dice sia di come lo dice: sul coraggio di farsi vedere, di affrontare un pubblico, di superare la vergogna.

RICHARD TURERE Sull’essere se stessi, non fingere.

BRYAN STEVENSON Su come inizia e come introduce il suo discorso con aneddoti.

KEN ROBINSON Su come gestisce l’umorismo, ma anche sull’importanza di sbagliare, per imparare.

LAWRENCE LESSING RON GUTMAN Sull’uso delle slide.

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BRENÈ BROWN Sulla presentazione della propria vulnerabilità e la presa che questo ha sul pubblico.

BRENÈ BROWN Per il contenuto, più che per la presentazione. È sulla vergogna, base della nostra vita.

Film

Denzel Washington, The Great Debaters. Il potere della parola. 2007. Un film sul razzismo americano, ma anche su come i ragazzi sono educati a parlare in pubblico.

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APPENDICE: COME NON FARE SLIDE

Parafrasando il famoso incipit del romanzo di Lev Tolstoi, Anna Karenina, potremmo dire che mentre le slide ben fatte sono tutte diverse, le slide mal fatte si somigliano tutte. Coerentemente all’idea che ci siano molti modi di fare slide appropriate, non ne presento qui alcuna, ma mi limiterò ad alcune slide che proprio non vanno e ne spiegherò il motivo. Spero così di aiutare le persone ad evitare di fare gli errori più grandi nel caso della composizione di slide. Ecco dunque alcuni esempi di slide inappropriate secondo i criteri che abbiamo illustrato già sopra.

Considero questa slide inappropriata perché, se il principio guida è che “le slide sono oggetti che si guardano, ma non si leggono”, allora il pubblico è costretto a leggere. E non avrà il tempo di farlo. A meno che l’oratore o oratrice non legga ad alta voce il testo, permettendo al pubblico di leggerlo insieme. Al che la domanda seguente è: “Perché?” Leggere insieme può essere utile se si legge un passo di qualcosa che ha un ruolo centrale nel proprio discorso. Ma non è questo il caso. La realtà è che questa slide serve soprattutto a chi l’ha fatta per ricordarsi il proprio intervento. E non è corretto. Non far pagare al pubblico i tuoi problemi di memoria. Per quello ci sono altri sistemi: appunti, foglietti, note sotto le slide…

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Questa slide è inappropriata sotto diversi punti di vista. Innanzitutto c’è, ancora una volta, molto testo che deve essere letto per essere compreso. In secondo luogo, è troppo piccolo. Inoltre i colori non sono appropriati. Tu ora stai leggendo attraverso uno schermo, ma questa slide, proiettata su un telo è praticamente illeggibile. Il che mi permette di dire che, quando costruisci una slide, non devi considerare ciò che vedi sul tuo schermo del pc, ma ciò che si vedrà su un telo bianco a sette metri e con un proiettore che probabilmente falserà i colori.

Anche questa slide è inappropriata, poiché sostanzialmente illeggibile. Le parti bianche dello sfondo rendono di difficile letture le scritte bianche. A cosa serve quello sfondo? In che modo esso è funzionale alla comprensione e al supporto del discorso orale? In realtà, credo che questa slide sia stata fatta per mostrare

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l’abilità del suo creatore a fare slide d’effetto. D’effetto, è vero, ma anche inutili.

Le slide dei numeri sono quelle più difficili. Questa slide è inappropriata perché illeggibile. Troppe cose da leggere, scritte troppo piccole. L’occhio si perde. Si potrebbe obiettare che chi parla può, con uno strumento, ad esempio un laser, indicare quali numeri sono importanti da considerare, ma la mia contro obiezione è semplice: era così difficile fare una slide con solo i numeri importanti? Questa slide forse in certi contesti può essere apprezzata, poiché mostra, a suo modo, una grande quantità di lavoro svolto. Bene, se è così. Altrimenti è una slide che mostra quanto poco lavoro è stato fatto per preparare la presentazione.

Questa slide è molto particolare. È anch’essa inappropriata perché molto complicata da leggere e capire. Chi l’ha costruita ha dato molte informazioni, alcune inutili (le immagini), altre collocate male (i numeri). Vediamola da

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vicino. Il concetto che si vuole dare è la composizione dei consumi energetici nazionali. Il titolo in alto a sinistra è piccolo e quasi soverchiato dalle immagini. In particolare, poi si vuole, nella slide, dare la specifica della porzione di torta definita “industria”. A parte una grafica scadente e che dà l’idea di “fretta” (è probabile che la persona più che fretta, non fosse tecnicamente abile nell’uso di powerpoint, il che non è una colpa, ma deve essere chiaro che non è neutro), i problemi di questa illustrazione sono diversi: a) si danno delle cifre, scritte in piccolo e staccate dalla categoria a cui appartengono. Si comprende lo stesso, ma non era necessario. b) Dopodiché a ciascuna categoria è collegata un’immagine che ne illustra il senso: così vicino alla scritta vetro, vedo del vetro; vicino a siderurgia vedo un altoforno… Perché? Quale informazione utile mi dà l’immagine? Aveva bisogno, chi ha costruito la slide, delle immagini? Ovviamente no. c) Altro dettaglio: i quadrati della composizione sono in relazione analogica con le percentuali: il vetro consuma solo il 3 percento e quindi lo spazio che lo rappresenta è piccolo. Lo vedi? All’interno dei quadrati c’è il nome di ciascun quadrato. La frase sotto, infine, spiega quello che uno ha appena visto. Per semplificare questa mia breve analisi si veda la slide seguente, una prima evoluzione della precedente:

Qui il titolo è più chiaro, la slide anche più bella graficamente, appare più curata. L’idea che si tratti dell’Italia è stata resa con lo sfondo e così il titolo è diventato immediatamente leggibile. La composizione della fetta di torta “industria” è più chiara poiché molto più visibile. I numeri seguono la categoria, gli spazi sono tutti uguali e sono più leggibili. Si è aggiunta la striscia sotto che definisce la posizione della presentazione rispetto al tutto. Questa slide è più chiara, anche se quel rosso e la scritta nera, sul proiettore non si vedranno bene e andranno cambiati. Tuttavia questa slide rappresenta una

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migliore messa a fuco di ciò che è importante comunicare attraverso questo supporto.

Bene, potrei continuare così per altre 30 pagine, perché, purtroppo, il modo in cui normalmente vedo fare le slide è in gran parte inappropriato. Tuttavia, se facessi così scriverei un altro testo e non è questo l’obiettivo. Per ora mi fermo quindi, sperando di aver reso l’idea e di avere dato qualche stimolo a saperne di più. Buon lavoro.

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