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Prime note sull’assetto delle competenze legislative
statali e regionali nella proposta di revisione
costituzionale del Governo Renzi
di Gino Scaccia1
16 aprile 2014
1. Prologo. 2. Gli ambiti di legislazione esclusiva. 3. La clausola di supremazia. 4. Le
competenze residuali. 5. Epilogo. Verso un’autonomia legislativa regionale “ottriata”.
1. Prologo
Del disegno di legge costituzionale predisposto dal Governo Renzi mi limiterò
ad esaminare alcuni aspetti concernenti la revisione del titolo V della Costituzione,
e in particolare il nuovo assetto delle competenze legislative statali e regionali.
Mentre nell’attuale art. 117 tali competenze sono distribuite secondo uno
schema ternario (esclusive, concorrenti, residuali), nella proposta di riforma sono
del tutto soppresse le competenze concorrenti, si conferma la clausola di residualità
in favore del legislatore regionale e viene inoltre introdotta la delega di esercizio
della funzione legislativa in materie di competenza esclusiva statale.
La scomparsa delle competenze concorrenti non può suscitare grandi rimpianti.
Il criterio basato sulla distinzione fra norme di principio e norme di dettaglio è
infatti sempre stato troppo teorico e sfuggente per funzionare efficacemente da
linea di divisione e anzi ha rappresentato una delle cause dell’esplosione del
contenzioso costituzionale. Del resto questo criterio di riparto era rimasto un
unicum nell’esperienza comparata; abbandonato nel 2006 anche dalla Germania,
che pure lo aveva declinato – nelle forme della Rahmengesetzgebung di cui all’art.
74 GG – in modo più razionale di noi, prevedendo che la legislazione locale fosse
1 Professore Ordinario di Istituzioni di diritto pubblico nel Dipartimento di Giurisprudenza
dell’Università di Teramo
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vincolata solo dai principi espressamente posti dal legislatore federale e non anche
– come in Italia – da quelli desumibili dalla legislazione vigente in materia.
Va salutata con favore anche la previsione che, «con legge dello Stato,
approvata a maggioranza assoluta dei componenti della Camera dei deputati,
l’esercizio della funzione legislativa, in materie o funzioni di competenza esclusiva
statale (…) può essere delegato ad una o più Regioni, anche su richiesta delle
stesse e per un tempo limitato, previa intesa con le Regioni interessate».
La possibilità di differenziate discipline regionali in materie di competenza
esclusiva vale a compensare la prevista eliminazione della clausola di asimmetria
di cui all’art. 116 Cost., che prevede l’attribuzione alle Regioni, previa intesa con
lo Stato, di ulteriori forme e condizioni di autonomia in tutte le materie concorrenti
e solo in alcuni delimitati ambiti di legislazione esclusiva statale2. La proposta di
revisione rovescia la prospettiva, indicando le materie statali per le quali la
delegazione non è consentita3 e quindi espande, potenzialmente, gli ambiti di
intervento della legislazione regionale e, a rimorchio di questa, della funzione
amministrativa. Il nuovo art. 117, comma quinto, prevede infatti che – in caso di
delegazione – la legge disciplina l’esercizio delle funzioni amministrative nel
rispetto dei princìpi di sussidiarietà (art. 118 Cost.) e di integrale finanziamento di
dette funzioni con le risorse di cui all’art. 119 Cost. Quanto ai limiti della potestà
legislativa regionale delegata, la proposta in commento fa espresso cenno soltanto
a quello temporale, con formulazione che non chiarisce in modo inequivoco se la
delega possa essere conferita “anche” o “solo” per un tempo limitato4. Ulteriori più
specifici limiti, eventualmente ricalcati su quelli previsti per la delegazione
2 Organizzazione della giustizia di pace, istruzione e tutela dell’ambiente e dell’ecosistema.
.
3 Ordine pubblico e sicurezza; cittadinanza, stato civile e anagrafi; giurisdizione e norme
processuali (salva l’organizzazione della giustizia di pace); ordinamento civile e penale; giustizia
amministrativa. 4 La frase incidentale «anche su richiesta delle stesse (Regioni) e per un tempo limitato» può essere
intesa nel senso che l’avverbio “anche” si riferisce sia alla richiesta sia al tempo o nel senso che
esso è riferibile solo all’iniziativa regionale e non al tempo di esercizio del potere delegato. Per
ragioni sistematiche è questa seconda soluzione ad apparire più convincente.
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legislativa nell’art. 76 Cost., potranno peraltro essere definiti in sede di intesa con
la Regione, ferma sempre restando la possibilità di unilaterale revoca statale della
delega, avendo essa ad oggetto l’esercizio e non la titolarità della funzione
legislativa.
2. Gli ambiti di legislazione esclusiva
Lo Stato ha legislazione esclusiva in una serie di materie e funzioni, indicate
nelle lettere da a) a z). Prima di segnalare quelle più innovative rispetto al quadro
vigente è opportuno soffermarsi sul significato del riferimento alle «funzioni».
Esso appare diretto a dare forma positiva alla giurisprudenza costituzionale che –
fin dal 2002 – ha elaborato la nozione di materie funzionali o “trasversali”,
distinguendole dalle materie-oggetto e dalle materie ordinamentali.
In queste “materie non materie”5, lo Stato ha competenza in relazione a tutti gli
oggetti e rapporti strumentalmente connessi a uno scopo o interesse di rilievo
nazionale, senza che siano preventivamente determinabili gli ambiti in relazione ai
quali tale interesse può venire in considerazione. In tal senso lo spazio della
materia trasversale può essere definito solo nell’atto in cui, con il concreto
esercizio della competenza, un dato interesse viene assunto a fine prevalente della
disciplina statale. Quando la fonte è valida, l’estensione della materia tende a
coincidere con l’estensione della regolazione statale. La legge statale ripartisce e
qualifica in concreto le due competenze» (nazionale e regionale) e proprio per
questa sua capacità conformativa della competenza regionale è soggetta a uno
scrutinio stretto di proporzionalità/ragionevolezza. Non può infatti comprimere
l’autonomia normativa locale oltre quanto sia strettamente necessario al
conseguimento del fine statale6. Dove più forti sono l’intreccio e il
5 Così le definisce la sent. n. 228/2004.
6 Riprendendo una terminologia diffusa nella letteratura di lingua tedesca, si potrebbe affermare che
il criterio ordinatore della relazione tra unità dell’ordinamento e articolazione pluralistica degli
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condizionamento della legislazione trasversale sulle competenze regionali (ad
esempio in materia di determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni
sanitarie e assistenziali), è inoltre necessario il coinvolgimento delle Regioni nella
fase attuativa della legge7. Con la previsione secondo cui lo Stato ha legislazione
esclusiva in alcune «materie» e «funzioni», il legislatore di revisione fa proprie
queste acquisizioni della giurisprudenza costituzionale; riconosce, cioè, che non
tutte le materie di competenza esclusiva statale sono soggette alle medesime forme
di controllo costituzionale, né tutte articolano identicamente i loro rapporti con la
potestà attuativo-regolamentare.
Venendo più specificamente agli elenchi delle materie, sono state riattribuite
allo Stato, in accoglimento di un’opinione unanime in dottrina, competenze
legislative che nel vigente titolo V sono irrazionalmente affidate alla potestà
legislativa concorrente: grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione,
trasporto e distribuzione nazionali dell’energia, porti e aeroporti civili,
ordinamento della comunicazione. Torna così saldamente in mani statali la
disciplina delle principali leve dello sviluppo economico, che la giurisprudenza
costituzionale aveva cercato di riconoscere allo Stato attraverso percorsi
argomentativi molto originali e talora fortemente creativi rispetto alla littera
Constitutionis (si allude specialmente alla sentenza n. 303 del 2003 e alla
“sussidiarietà legislativa”). A queste opportune ricollocazioni in capo allo Stato di
competenze oggettivamente corrispondenti a interessi nazionali, si somma la
previsione di numerose nuove competenze esclusive: le infrastrutture strategiche,
l’ordinamento scolastico, l’istruzione universitaria, l’ordinamento delle professioni
intellettuali, la programmazione strategica della ricerca scientifica e tecnologica, il
commercio con l’estero, il coordinamento della finanza pubblica e del sistema
tributario, il sistema nazionale e coordinamento della protezione civile, la
previdenza complementare e integrativa, i beni paesaggistici.
interessi sta nella regola del “mezzo più lieve” (Gebot des mildesten Mittels), nell’esigenza di
evitare interventi sovradimensionati e “inutili” sulle sfere di autonomia costituzionale delle Regioni. 7 Un esempio nella sent. n. 88/2003.
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Sempre nell’ambito delle materie di legislazione esclusiva, nella competenza di
cui alla lettera p) sono ora ricompresi «ordinamento, organi di governo,
legislazione elettorale e funzioni fondamentali dei Comuni, comprese le loro forme
associative8, e delle Città metropolitane; ordinamento degli enti di area vasta». Il
riferimento alla disciplina ordinamentale degli enti territoriali infraregionali dà
copertura al Testo Unico degli Enti Locali (d.lgs. n. 267 del 2000) e lo rende
uniformemente applicabile, in ogni sua parte, alle Regioni ordinarie, superando i
dubbi che erano sorti al riguardo in dottrina e nella giurisprudenza amministrativa
proprio per la mancata espressa previsione, nel vigente art. 117, lett. p), di una
competenza statale sull’ordinamento degli enti locali.
Tutte le materie esclusive di cui si è finora detto operano secondo lo schema
della riserva di competenza in senso tecnico, della competenza-esclusione, secondo
il quale a diversità formale di atti corrisponde una separazione di ambiti materiali9.
E’ preservata perciò in esse la piena corrispondenza materia-competenza, perché la
norma costituzionale di attribuzione funge immediatamente da limite di legittimità
della fonte regionale, senza la mediazione di alcuna norma legislativa di
produzione che ulteriormente definisca il contenuto del vincolo.
Vi sono però altre competenze statali esclusive che articolano il loro rapporto
con le fonti regionali secondo uno schema diverso, in base al quale allo Stato
spetta dettare le sole “norme generali” della materia. Questa tecnica di riparto,
attualmente operante in materia di istruzione (ove peraltro la competenza esclusiva
statale deve accordarsi con la materia concorrente “istruzione” e con la competenza
residuale nominata in tema di istruzione e formazione professionale) è ora estesa a
una molteplicità di materie: procedimento amministrativo e lavoro alle dipendenze
8 La competenza sulle forme associative ritaglia ambiti di materia dalla competenza regionale
residuale sulla disciplina delle Comunità montane (riconosciuta dalla sent. n. 244/2005). 9 Su questa nozione di competenza come separazione di campi è d’obbligo il rinvio a G. ZANOBINI,
Gerarchia e parità fra le fonti, in Scritti vari di diritto pubblico, Milano, 1955, 299 ss., 321 e a
V.CRISAFULLI, Gerarchia e competenza nel sistema delle fonti, in Studi in memoria di Guido
Zanobini, Milano, 1965, III, 202.
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delle amministrazioni pubbliche (lett. g); tutela della salute, sicurezza alimentare e
tutela e sicurezza del lavoro (lett. m); attività culturali, turismo e ordinamento
sportivo (lett. s); governo del territorio, urbanistica (lett. u). Tutte materie che,
venute meno le competenze concorrenti, sono da ascrivere alla legislazione
residuale regionale per la parte non coperta dalle “norme generali” di fonte statale.
Può sembrare che in tal modo sia stato sostanzialmente riprodotto il meccanismo
di ripartizione delle competenze operante nelle materie concorrenti. Come in
queste ultime la competenza statale è limitata ai principi fondamentali, con riserva
alle Regioni della normativa di dettaglio, nelle materie sopra indicate sarebbe
limitata alle “norme generali”, con conseguente competenza regionale residuale a
dettare le norme non generali. In realtà la differenza fra le due tecniche di
distribuzione delle competenze è sensibile.
La Corte costituzionale ha infatti chiarito nella sentenza n. 279 del 2005 che «le
norme generali (…) si differenziano (…) dai principi fondamentali, i quali (…) non
esauriscono in se stessi la loro operatività, ma informano, diversamente dalle
prime, altre norme, più o meno numerose». Secondo la Consulta sono norme di
principio quelle che ammettono molteplici modalità di attuazione, territorialmente
diversificate; “norme generali” quelle «capaci di esaurire in se stesse la loro
operatività» e di assumere perciò contenuto minutamente regolativo. Ulteriormente
specificando, “norme generali”, indipendentemente dal loro contenuto di principio
o di dettaglio, cioè dalla densità precettiva della disciplina statale, sono quelle
«sorrette, in relazione al loro contenuto, da esigenze unitarie» e quindi dalla
volontà politica di risultare «applicabili indistintamente, al di là dell’ambito
propriamente regionale»10
. Una tale scelta politica, come è intuibile, può essere
censurata dalla Corte costituzionale soltanto in ipotesi macroscopiche di evidente
irragionevolezza, incoerenza, incongruenza. Ne deriva che il legislatore statale, in
tutte le materie in cui è autorizzato a porre norme generali, è in condizione di
definire pressoché liberamente l’area di estensione della disciplina regionale. La
10
Così ancora sent. n. 279/2005.
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legislazione statale, prima che da norma regolativa, funge perciò da norma sulla
normazione, che definisce e qualifica, in concreto, la sfera materiale della
competenza regionale. E le “norme generali”, nelle sopra richiamate materie di
legislazione esclusiva, hanno funzione analoga alle “norme generali” (il lessico
onomastico è significativo) che, ai sensi dell’art. 17, comma 2, della legge n. 400
del 1988, regolano la materia “delegificata” e orientano l’esercizio della potestà
regolamentare delegata. Come queste ultime pongono norme uniformi e
inderogabili, e segnano con ciò i limiti di oggetto delle fonti secondarie, così le
“norme generali” di competenza esclusiva delimitano lo spazio nel quale si può
dispiegare la legislazione regionale, ponendosi per essa come disciplina
inderogabile11
. In questi termini, fra la competenza statale sulle “norme generali” e
la legislazione regionale residuale non sussiste un concorso vincolato, come nelle
materie concorrenti, ma un concorso sostanzialmente libero12
.
Le competenze residuali nominate risultanti “per differenza” dalla competenza
esclusiva statale quanto alle norme generali sono dunque atipiche perché soggette
non solo ai vincoli indicati nel primo comma dell’art. 117 Cost., ma anche,
11
Anche sul piano dei contenuti regolativi parrebbe sussistere una simmetria: come le norme
generali sull’istruzione hanno un contenuto più puntuale dei “principi fondamentali”, così «le
“norme generali regolatrici della materia” hanno, tendenzialmente una funzione delimitativa più
stringente rispetto ai “principi e criteri direttivi”» che vincolano costituzionalmente l’esercizio della
delega legislativa (così Corte cost., sent. n. 303/2005). In dottrina, G.DE MURO, Le delegificazione:
modelli e casi, Torino, 1995, 76, ritiene che l’ambito prescrittivo delle norme generali regolatrici
«debba per lo meno coincidere con quello individuato dai “principi e criteri direttivi” (…) o,
meglio, con quello individuato dalla Corte costituzionale come necessario a fondare la legittimità
degli atti amministrativi di indirizzo e coordinamento» (su cui Corte cost., sent. n. 150/1982); S.
LABRIOLA, Compressione e deviazione, non ampliamento dei poteri normativi dell’esecutivo in
Italia, in Quad.cost. 1988, 104 sostiene che l’espressione “norme generali” denoti «una estensione
virtuale maggiore» rispetto a quella dei principi della delega legislativa; in senso analogo G.TARLI
BARBIERI, Le delegificazioni (1989-1995). La difficile attuazione dell’art. 17, secondo comma,
della legge 23 agosto 1988, n. 400, Torino, 1996, 129. 12
L’ipotesi tipica di concorso libero si realizza quando le norme poste da una fonte limitano o
condizionano la capacità di produzione di altra fonte per il semplice fatto di essere intervenute o di
sopravvenire sulla materia e presuppone che a nessuna delle fonti concorrenti sia attribuita una
riserva di disciplina: sul punto basti il rinvio a V.CRISAFULLI, Gerarchia e competenza , cit., 202.
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appunto, alle “norme generali”. Questo limite, a sua volta, potrà essere inteso dalla
giurisprudenza costituzionale come necessario oppure eventuale. Nel primo caso le
“norme generali” dovranno essere ricavate, in assenza di loro espressa
enunciazione, dalla legislazione statale vigente, come accade già per i principi
fondamentali in materia concorrente13
; nel secondo, dovranno invece risultare da
atti normativi specificamente destinati a porle, che si autoqualifichino come tali14
.
Ciò che, tra l’altro, consentirebbe di definire in modo preciso la cornice entro la
quale le Regioni possono iscrivere la loro attività legislativa, contribuendo così a
ridurre le occasioni di contenzioso costituzionale.
Pare certo, in ogni caso, che nell’esercizio della competenza esclusiva a definire
“norme generali” il legislatore statale potrà restringere la legislazione regionale nei
ristretti confini della mera attuazione-integrazione, trovando una debole
opposizione nelle impugnazioni regionali per la già evidenziata difficoltà di
esercitare un controllo costituzionale realmente incisivo sulle competenze in
esame. In materie di grande rilevanza politica e sociale, in cui le Regioni esercitano
un’intensa attività amministrativa, come il governo del territorio, l’urbanistica, la
salute, il turismo, le attività culturali, gli spazi dell’autonomia regionale non sono
adeguatamente garantiti dalla norma costituzionale di competenza e dipendono in
realtà dalla unilaterale e sostanzialmente insindacabile scelta del legislatore statale.
3. La clausola di supremazia
13
L’orientamento è stato confermato, dopo la revisione del titolo V, da sent. n. 282/2002 e n.
120/2005. 14
Questa seconda prospettiva, più sensibile alle ragioni dell’autonomismo, è avvalorata dalla prassi
applicativa in tema di “norme generali sull’istruzione”. Tutti i decreti legislativi che hanno attuato
la delega contenuta nella legge 28 marzo 2003, n. 53 manifestano infatti già nel titolo l’intento di
porre la disciplina generale uniforme della materia: cfr. il d.lgs. 19 febbraio 2004, n. 59
(Definizione delle norme generali relative alla scuola dell’infanzia e al primo ciclo dell’istruzione, a
norma dell’articolo 1 della legge 28 marzo 2003, n. 53), il d.lgs. 15 aprile 2005, n. 76, recante
«Definizione delle norme generali sul diritto-dovere all’istruzione e alla formazione» e il d.lgs. 15
aprile 2005, n. 77, recante «Definizione delle norme generali relative all’alternanza scuola-lavoro».
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In base al quarto comma dell’art. 117 Cost. «Su proposta del Governo, la legge
dello Stato può intervenire in materie o funzioni non riservate alla legislazione
esclusiva quando lo richieda la tutela dell’unità giuridica o dell’unità economica
della Repubblica o lo renda necessario la realizzazione di programmi o di riforme
economico-sociali di interesse nazionale».
Questa “clausola di supremazia” consente al legislatore statale di imporre limiti
di validità o di efficacia alla legge regionale in tutti gli ambiti sui quali lo Stato non
disponga già di un titolo di competenza esclusiva. La clausola (diversamente
dall’omologo art. 72 GG, al quale il comma in esame si ispira anche nel fraseggio),
si applica senza limitazione di materie, e quindi è liberamente attivabile sol che
ricorrano l’esigenza di tutelare l’unità giuridica o economica o di realizzare
programmi o riforme economiche e sociali di interesse nazionale. Si tratta di un
dispositivo che risponde alla necessità di assicurare al sistema delle competenze un
punto di chiusura, così da garantire, pur nella diversificazione pluralistica degli
interessi, l’unità dell’ordinamento. In tal senso esso assolve a una funzione che la
giurisprudenza costituzionale ha insediato nella cosiddetta “chiamata in
sussidiarietà” e, in prospettiva, ne decreta il superamento. Come la chiamata in
sussidiarietà, la clausola di supremazia fungerà infatti da competenza di necessità
(Bedarfkompetenz)15
, derogatoria dell’ordine formale delle competenze per
materia, ponendo l’intero sistema delle autonomie normative regionali sotto la
riserva di una clausola generale derogatoria unilateralmente azionabile da parte
dello Stato.
Fra sussidiarietà legislativa e clausola di supremazia vi sono però differenze
notevoli, che attengono ai loro presupposti di esercizio. Quelli della “sussidiarietà
legislativa” sono stati scolpiti nella sentenza-madre n. 303 del 2003 e consistono:
a) nella inadeguatezza dell’ente regionale a svolgere la funzione amministrativa
attratta a livello statale; b) nella necessità di un accordo con la Regione interessata,
15
Cfr. art. 11, comma 2, Costituzione austriaca; e già art. 9 della Costituzione di Weimar.
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nel quale prenda forma la concreta disciplina di attuazione della legge statale. E’
vero che queste condizioni, interpretate dapprima in modo rigoroso, sono state
“ammorbidite” nella giurisprudenza successiva (ad esempio ammettendo
l’attrazione a livello statale della sola funzione di coordinamento normativo e
quindi configurando la sussidiarietà come meccanismo di spostamento della
competenza legislativa a prescindere da quella amministrativa); ma resta fermo che
la sussidiarietà esige almeno «una condizione minima e imprescindibile per la
legittimità costituzionale della disciplina legislativa statale»: la previsione di forme
più o meno intense di cooperazione e di concertazione con le Regioni16
. Ed è
proprio la procedimentalizzazione “forte” della sussidiarietà a “depoliticizzarne” il
controllo costituzionale, che si incentra su parametri valutativi dotati di una qualche
oggettività e controllabilità giuridica (l’an dell’accordo, il rispetto del principio di leale
collaborazione) senza focalizzarsi, se non nei casi di manifesta irragionevolezza,
sull’attendibilità della scelta – squisitamente politica – di “attrazione” della competenza.
I presupposti di esercizio della clausola di supremazia non sono altrettanto
stringenti e promettono di essere soggetti a uno scrutinio di costituzionalità non
particolarmente incisivo. Lo suggerisce l’esperienza applicativa dell’art. 72 della
Legge fondamentale tedesca, che – al pari della clausola di supremazia italiana –
autorizza il legislatore federale a intervenire “fuori competenza” «quando lo
richiedono la tutela dell’unità giuridica ed economica», secondo il modello della
konkurrierende Gesetzgebung. Il Bundesverfassungsgericht ha riconosciuto che
queste formule sono «concetti giuridici (…) così indeterminati, che, nel valutare se
il perseguimento di tali finalità richieda una legislazione federale, è largamente
decisiva la loro concretizzazione» e per questo ha ritenuto di doversi limitare a una
verifica di non manifesta irrazionalità della scelta legislativa, da svolgersi nelle
forme molto blande del controllo di evidenza (Evidenzkontrolle)17
. Su
sollecitazione dello stesso tribunale costituzionale, oltre che dell’unanime dottrina,
16
Sent. n. 383 del 2005. 17
BVerfGE 13, 230, 233 ss.
G. SCACCIA - PRIME NOTE SULL’ASSETTO DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE STATALI E REGIONALI
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la norma è stata allora due volte modificata (nel 1994 e nel 2006) allo scopo di
elevarne l’insufficiente grado di giustiziabilità18
; e solo nel 2002 la Corte di
Karlsruhe ha previsto per essa un nuovo modello di verifica giudiziale19
.
Sennonché il diligente tentativo della Corte di scolpire le nozioni di unità giuridica
ed economica, lungi dal fugarli, ha rinfocolato i dubbi circa la loro effettiva
controllabilità giuridica. Secondo i giudici tedeschi, infatti, la tutela dell’unità
economica «risponde all’interesse complessivo dello Stato se riguarda la
preservazione della capacità funzionale dello spazio economico della Repubblica
federale (…); se dunque discipline differenziate a livello territoriale o il mancato
intervento dei Länder arrechino considerevoli svantaggi al sistema economico
complessivo»20
; mentre l’unità giuridica «riguarda in via diretta i presupposti
istituzionali dello Stato federale e solo indirettamente le condizioni di vita dei
cittadini», sicché il legislatore federale non è autorizzano ad intervenire invocando
la generica finalità di migliorare le condizioni di vita dei cittadini. Dinanzi ad
affermazioni simili, che spostano l’asse del controllo costituzionale su valutazioni
inafferrabili, talora di natura economica (come verificare se la legge risponde alla
«preservazione della capacità funzionale dello spazio economico» nazionale?) è
ragionevole supporre che la Corte italiana sperimenterà le medesime difficoltà
incontrate dal Bundesverfassungsgericht e che si limiterà a sanzionare il cattivo
uso della clausola di supremazia solo in ipotesi eccezionali di macroscopica
carenza dei presupposti. Si comprende, allora, come l’unica realistica possibilità di
limitare un uso centralistico di questa clausola potenzialmente “onnivora” stia nella
procedura di approvazione delle leggi che ne sono espressione21
, ove sarebbero
18
Come si legge nella proposta della commissione costituzionale congiunta del Bundestag e del
Bundesrat in BRDrucks 360/92, nota 56. 19
Nella sentenza del 24 ottobre 2002 sui “cani pericolosi”: BVerfGE 106, 62, 135 ss. 20
BVerfGE 106, 62, 146 ss. 21
Non a caso questa era la proposta della commissione costituzionale congiunta
Bundestag/Bundesrat istituita nel gennaio 1996.
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ricomposte in sede politica controversie difficilmente risolubili in sede
giurisdizionale.
Sotto questo profilo la garanzia apprestata dall’art. 70, quarto comma, del testo
di riforma non appare sufficiente. La norma prevede che per i disegni di legge di
cui all’art. 117, comma quarto, «la Camera dei deputati possa non conformarsi alle
modificazioni proposte dal Senato delle Autonomie pronunciandosi nella votazione
finale a maggioranza assoluta dei suoi componenti». E tuttavia, per far scattare una
clausola che consente allo Stato di travolgere, senza limiti costituzionali di materia,
le già deboli autonomie legislative regionali, sarebbe opportuno prevedere che
queste leggi “fuori competenza”, al pari di quelle costituzionali, siano sottoposte al
procedimento bicamerale paritario, con riconoscimento di un vero potere di blocco
al Senato delle autonomie. Tanto più in presenza di una legge elettorale che, grazie
a un corposo premio di maggioranza, consente a una minoranza numerica di
conseguire la maggioranza assoluta dei seggi della Camera.
Prima di concludere resta da dire che l’esigenza di tutelare l’unità giuridica ed
economica, cui l’art. 117, quarto comma, collega l’attivazione della clausola di
supremazia, è già ora, nel secondo comma dell’art. 120 Cost., uno dei presupposti
di esercizio dei poteri sostitutivi statali. Il che fornisce ulteriori decisivi argomenti
alla tesi, attualmente contrastata, secondo la quale l’art. 120 autorizza il Governo a
esercitare poteri sostitutivi di natura amministrativa (ed eventualmente
regolamentare), ma non legislativa22
. In caso contrario, infatti, l’art. 120
22
Così C. MAINARDIS, I poteri sostitutivi statali: una riforma costituzionale con (poche) luci e
(molte) ombre, in Le Regioni, 6/2001, 1387 ss.; R. TOSI, La legge costituzionale n. 3 del 2001: note
sparse in tema di potestà legislativa e amministrativa, in Le regioni, 2001, 1241; A. ANZON, I
poteri delle regioni dopo la riforma costituzionale. Il nuovo regime e il modello originario a
confronto, Torino, 2002, 217; S. MANGIAMELI, La riforma del regionalismo italiano, Torino, 2002,
150-151; G. SCACCIA, Il potere di sostituzione in via normativa nella legge n. 131 del 2003, in Le
regioni 4/2004, 883 ss.
Contra: P.CARETTI, L’assetto dei rapporti tra competenza legislativa statale e regionale, alla luce
del nuovo titolo V della Costituzione: aspetti problematici, in Le regioni, 2001, 1229; A.CERRI, Alla
ricerca dei ragionevoli principi della riforma regionale, in AA.VV., Problemi del federalismo,
Milano, 2001, 211; E.GIANFRANCESCO, Il potere sostitutivo, in La Repubblica delle autonomie.
Regioni ed enti locali nel nuovo titolo V, a cura di T.Groppi e M.Olivetti, II ed., Torino, 2003, 239.
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risulterebbe un inutile doppione dell’art. 117. Per l’effetto, anche l’art. 8 della
legge n. 131 del 2003, il quale, nel dare attuazione all’articolo 120 Cost., afferma
espressamente che i provvedimenti di sostituzione sono anche normativi, dovrà
essere riferito ai soli poteri regolamentari.
4. Le competenze residuali
Venute meno le competenze concorrenti, spetta alle Regioni la potestà
legislativa in riferimento a tutte le materie e funzioni non espressamente riservate
alla legislazione esclusiva dello Stato, con particolare riferimento alla
pianificazione e alla dotazione infrastrutturale del territorio regionale e alla
mobilità al suo interno, all’organizzazione in ambito regionale dei servizi alle
imprese, dei servizi sociali, sanitari e scolastici (nel rispetto dell’autonomia delle
istituzioni scolastiche), all’istruzione e formazione professionale.
Accanto a queste competenze residuali individuate direttamente dal nuovo terzo
comma dell’art. 117, e per questo enumerate, altre competenze sono scorporabili
dai titoli di competenza statale per implicito. Si fa riferimento, oltre ai profili di
disciplina non costituenti “norme generali” nelle materie di cui alle lettere n, s, u,
(ne abbiamo già riferito supra, par. 2), ai casi in cui la competenza statale si radica
sulla dimensione nazionale o internazionale dell’interesse (porti e aeroporti civili,
infrastrutture strategiche e grandi reti di trasporto e di navigazione, sistema della
protezione civile, commercio con l’estero). Da essa è desumibile, infatti, la
competenza regionale residuale per la disciplina, in quei medesimi ambiti, di
rapporti e interessi di rilievo esclusivamente locale.
Va apprezzato il tentativo di ancorare almeno in parte l’accertamento della
competenza residuale a criteri meno sfuggenti dell’argumentum ex absentia,
quello, cioè, fondato sulla mera assenza di un determinato oggetto di disciplina
normativa dall’elenco delle materie di legislazione esclusiva statale. Questo
ASTRID RASSEGNA - N.8/2014
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criterio, infatti, per ragioni che abbiamo altrove illustrato23
, raramente ha rilievo
autonomo ed esclusivo ai fini dell’assegnazione della competenza. Lo dimostra
meglio di ogni argomentazione la giurisprudenza costituzionale, ove le materie
residuali sono state ricavate prevalentemente dall’analisi storico-normativa. In una
sorta di parallelismo rovesciato fra funzione amministrativa e legislativa, la Corte
ha ritenuto che alle Regioni fossero da intestare, nell’attesa dei ulteriori più ampi
trasferimenti di funzioni, competenze legislative non inferiori a quelle
corrispondenti alle funzioni trasferite alla stregua della legislazione vigente e
specialmente dei decreti di attuazione delle leggi Bassanini. Seguendo questa linea
di ragionamento sono state già individuate dalla giurisprudenza costituzionale
competenze residuali che ben si potrebbero formalizzare in un apposito elenco
(non tassativo): agricoltura24
, agriturismo25
, commercio26
, artigianato27
, pesca28
,
industria e insediamenti produttivi29
, trasporto pubblico e viabilità locale30
, sagre e
fiere31
, servizi pubblici locali32
, lavori socialmente utili33
, edilizia residenziale
pubblica34
, organizzazione amministrativa delle Regioni e degli enti pubblici
regionali e stato giuridico ed economico del relativo personale35
, edilizia
sanitaria36
, servizi e politiche sociali37
, usi civici38
.
23
G. Scaccia, Legislazione esclusiva statale e potestà legislativa residuale delle Regioni, in
Trasformazioni della funzione legislativa, vol. IV – Ancora in tema di rapporti Stato-Regioni
dopo la riforma del titolo V della Parte II della Costituzione, F. Modugno e P. Carnevale (a
cura di), Napoli, 2008, 113 ss. 24
Sent. n. 12/2004. 25
Sent. n. 339/2007. 26
Sent. n. 1/2004. 27
Sent. n. 162/2005. 28
Sent. n. 213/2006. 29
Sentt. nn. 14/2004 e 49/2006. 30
Sent. n. 222/2005. 31
Sent. n. 1/2004. 32
Sent. n. 29/2006. 33
Sent. n. 219/2005. 34
Sentt. nn. 118/2006 e 94/2007. 35
Sent. n. 274/2003. 36
Sent. n. 105/2007. 37
Sentt. n. 287 e 423/2004.
G. SCACCIA - PRIME NOTE SULL’ASSETTO DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE STATALI E REGIONALI
15
Quanto all’estensione della competenza residuale, la previsione di una clausola
di supremazia accentua le differenze, già ora evidenti, fra legislazione residuale e
legislazione esclusiva statale. In astratto, la legge regionale adottata nell’esercizio
di una potestà residuale compone l’ordinamento giuridico in posizione in tutto
analoga alla legge del Parlamento; ed entro il proprio ambito territoriale, può
abrogare disposizioni legislative statali (o meglio delimitarne la sfera territoriale di
efficacia39
), senza incontrare ostacolo nella loro natura di principio. Ma mentre è
soggetta, quanto ai limiti necessari, v’è assoluta equivalenza fra legge statale e
legge regionale, quest’ultima soffre di limiti eventuali che rendono ad essa non
riferibile l’attributo dell’esclusività. L’area entro la quale agisce la potestà
residuale non può essere definita avendo esclusivo riguardo alla norma
costituzionale di attribuzione. In essa può infatti penetrare, ridefinendola, una
norma statale condizionante, capace di riconformare in concreto l’attribuzione
regionale assegnata in astratto, non solo attraverso le potestà trasversali, che sono
state peraltro “legittimate” dalla proposta di riforma, ma anche, e soprattutto, per
effetto della clausola di supremazia. In tal senso può dirsi che la competenza
statale opera nei rapporti tra fonti, quella regionale nei rapporti tra norme. E che il
quadro dei limiti della legislazione regionale ha un carattere meramente
tendenziale, perché nessuno spazio normativo regionale, pur quando sia certa la
sua attinenza a una materia residuale, è, in concreto, completamene impermeabile
alla legislazione statale, che, ove sopravvenga, prevale sulla disciplina regionale
incompatibile, determinandone l’abrogazione. Non sussiste dunque, a favore della
fonte regionale, una riserva di materia in senso pieno.
38
Sent. n. 39/2007. 39
La legge regionale, come del resto quella statale, non può invece disporre la sospensione dell’atto
legislativo che ritenga viziato di incompetenza: è infatti escluso dal sistema costituzionale «che il
legislatore regionale (così come il legislatore statale rispetto alle leggi regionali) utilizzi la potestà
legislativa allo scopo di rendere inapplicabile nel proprio territorio una legge dello Stato che ritenga
costituzionalmente illegittima, se non addirittura solo dannosa o inopportuna, anziché agire in
giudizio dinnanzi a questa Corte, ai sensi dell’art. 127 Cost.» (sent.n. 198/2004).
ASTRID RASSEGNA - N.8/2014
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5. Epilogo. Verso un’autonomia legislativa regionale “ottriata”.
Ad una visione d’insieme, la riforma prefigura un modello di autonomismo che
abbandona del tutto ogni ambizione “federalista” e imprime ai rapporti fra Stato ed
enti territoriali un tratto marcatamente centralistico, specie con riguardo
all’esercizio della funzione legislativa. L’elemento di sistema che caratterizza la
riforma è in effetti la drastica riduzione degli spazi della legislazione regionale. Il
massiccio incremento delle competenze esclusive statali, la soppressione di quelle
concorrenti, unitamente alla presenza di una clausola di supremazia che funge da
criterio di chiusura (e di deroga) degli elenchi di materie delineano i contorni di un
riparto di competenze che ulteriormente marginalizza la già debole produzione
legislativa regionale.
Sotto questo riguardo il regionalismo di ispirazione federalista vagheggiato dalla
riforma del 2001 cede il campo a un autonomismo “per concessione statale”, o se
si preferisce “ottriato” nel quale – come si è argomentato – gli ambiti di
competenza regionale sono soggetti a incursioni statali più penetranti e più
difficilmente controllabili in sede di giudizio costituzionale di quelle attualmente
consentite. E i confini delle materie regionali non si ricavano tanto dall’analisi
delle norme costituzionali di competenza, ma risultano piuttosto il mero “effetto
riflesso” della volontaria autolimitazione del legislatore statale. Questa
riallocazione centripeta della legislazione è, a sua volta, il segno di una generale
sfiducia nell’autonomia legislativa regionale, che in questi anni non ha saputo e
potuto dare buona prova di sé, e consegue alla presa d’atto che in uno spazio
giuridico sempre più integrato la presenza di due livelli di legislazione (europeo e
nazionale) lascia fatalmente al legislatore regionale solo margini di intervento
ridotti, di attuazione più che di autentica progettazione e innovazione normativa. In
questo senso la riforma in itinere, che ha nella svalutazione della potestà legislativa
regionale il proprio Leitmotiv, sembra prospettare un più generale spostamento
G. SCACCIA - PRIME NOTE SULL’ASSETTO DELLE COMPETENZE LEGISLATIVE STATALI E REGIONALI
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dell’asse cartesiano dell’autonomismo dall’attività legislativa a quella
amministrativa40
.
40
Secondo una prospettiva che in dottrina è stata da ultimo avanzata da M. CAMMELLI, Regioni e
regionalismo: la doppia impasse, in Le Regioni 4/2012, 673 ss. e, se si vuole, G. SCACCIA, L’ente
regionale fra mitologia federale e realtà costituzionale, in Riv.AIC 1/2014.