razorblade kiss - virginia de winter

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RAZORBLADES KISS I taste death in every kiss we share Every sundown seems to be the last we have Your breath on my skin has the scent of our end Ti guardo scorrere insieme ai miei sogni immacolati lungo i binari, tra i territori del buio che si tuffa nelle gallerie e negli sprazzi improvvisi di luce che mi accecano al termine dell’ombra. Aggrappata al metallo di un supporto, tiepido per le impronte delle mani che lo hanno abbracciato prima di me, incontro gli occhi dei mosaici e dei medaglioni circondati d’oro che mi si spalancano davanti quando il treno si arresta. Le porte si aprono rompendo gli argini del fiume umano che si riversa dentro e fuori i vagoni. Pronta alla notte da quando il crepuscolo mi ha destata, inseguo l’odore che hai lasciato nei nostri

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Il racconto offerto da Virginia De Winter per lo Speciale Extraordinary Merry Christmas del blog letterario Sangue d'inchiostro

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Page 1: Razorblade Kiss - Virginia De Winter

RAZORBLADES KISS

I taste death in every kiss we share Every sundown seems to be the last we have

Your breath on my skin has the scent of our end

Ti guardo scorrere insieme ai miei sogni immacolati lungo i binari, tra i territori del buio che si tuffa nelle gallerie e negli sprazzi improvvisi di luce che mi accecano al termine dell’ombra.

Aggrappata al metallo di un supporto, tiepido per le impronte delle mani che lo hanno abbracciato prima di me, incontro gli occhi dei mosaici e dei medaglioni circondati d’oro che mi si spalancano davanti quando il treno si arresta.

Le porte si aprono rompendo gli argini del fiume umano che si riversa dentro e fuori i vagoni.

Pronta alla notte da quando il crepuscolo mi ha destata, inseguo l’odore che hai lasciato nei nostri

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vagabondaggi tra queste stazioni, ore di gioco a rimpiattino tra le colonne e le gallerie, quando ti raccontavo l’effetto iridescente dei cristalli dei lampadari e delle impronte dorate delle lampade sulle fioriture di stucco che si arrampicano verso le volte del soffitto.

Cercavi di vedere coi miei occhi anche se ti è impossibile e allora li chiudevi, lasciandoti guidare soltanto dalla mia mano e dal tocco della mia voce.

La linea Kalužsko-Rižskaja si scioglie come una chioma di seta dove il pettine incontra, di tanto in tanto, in un nodo da sciogliere - Alekseevskaya, Rizhskaya, Prospekt Mira-Radialnaya, Sukharevskaya, Turgenevskaya, Kitay-Gorod – e il nodo è fatto di luminosità accecante che ferisce i miei occhi troppo sensibili.

Dall’altra parte del vagone, tra vecchiette infagottate di panni dal colore indefinibile, giovani coppie dark e donne cariche di borse patinate dei negozi eleganti del centro, una persona mi guarda con insistenza.

Dico persona e non uomo, perché non è umano più di quanto lo sia io. E’ solo un altro passeggero della notte che come me si desta quando il cielo scolora e che adesso, avendomi riconosciuta per ciò che sono, accenna un gesto col mento ma non pensa neppure ad avvicinarmi.

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Rispondo al saluto, immersa com’ero nei miei pensieri, non mi ero neppure accorta della sua presenza.

Disattenzione pericolosa perché la notte non è fatta solo di creature discrete, ma anche da cose disposte a seguirti nel buio di un vicolo tra l’indifferenza della miseria di strada e la neve di Mosca che copre ciò che non riesce a pulire.

Obbedisco automaticamente alla voce maschile che annuncia le fermate a chi viaggia verso il centro della città, la Koltsevaya è il mio prossimo tragitto fino alla Zamoskvoretskaya, il nastro verde che mi porterà verso le volte metalliche della fermata Aeroport, oppure verso le ombre di marmo e ocra, più tenere e calde della Dinamo.

Ho sete mentre prendo la via per la superficie e anche da questa distanza posso avvertire l’odore gelido della Moscova che scorre ghiaccio sotto i ponti della città.

Ho sete e osservo con una certa intenzione un ragazzo che sbuca dietro uno dei pilastri rivestiti di marmo grigio verde della Dinamo.

Non può avere più di venticinque anni ed è magro, ma sembra in salute. I sui vestiti sono da poco prezzo ma posso sentire anche da qui l’odore del suo sapone. E quello del suo sangue.

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Non richiederebbe più di un quarto d’ora: un rapido abbraccio in una nicchia di strada, poi in cambio dei minuti di memoria e del sangue rubato un biglietto da cento dollari e un po’ di debolezza destinata a svanire presto.

Ma io non ho sete del suo sangue. Ho sete di te, del tuo profumo e del tuo sorriso,

dell’odore del tuo sudore quando tra poco mi abbraccerai e del calore del tuo corpo acceso come una torcia.

Ogni goccia di sangue sottratta a un altro è qualcosa che non tolgo a te.

Mi fermo sui gradini e mi giro all’odore dello sconosciuto. Lui si ferma e mi guarda, perplesso.

In Russia la gente cammina a testa bassa, non si ferma a fissare gli sconosciuti e non sorride.

Tutto di me gli dice: straniera, il cappotto lungo bianco, le scarpe col tacco e il taglio di capelli, i tratti del mio viso che sono troppo occidentali per essere russi, ma sbaglierebbe a pensarlo.

Io sono russa quanto lo è lui perché è qui che sono nata, nel giorno in cui sono morta.

Sento che cosa lui sia: uno studente che lavora per pagarsi la seconda laurea, un musicista, un ragazzo solo che torna in una casa decorosa, dai suoi libri e dalla zuppa che sua madre gli ha preparato per cena.

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Quando lo abbraccerò toccherò anche tutto questo: quanti tratti di pianoforte percorrerà stanotte, le parole dei suoi libri; quella cosa sua e delle sua gente di inseguire la bellezza nei panorami dell’anima qui e adesso e su questa terra difficile, cercandola tra i piedi di una ballerina di fila al Bolshoi Teatr, sotto il cielo pesto di un’aula dell’Università, fra gli spartiti comprati su un banchetto di strada.

Basta uno sguardo e le dighe della sua volontà cedono alla pressione dei miei occhi. Mi volto e comincio a camminare badando a costeggiare la Khoroshevskoye senza toccarla, sarebbe un disastro se qualcuno che mi conosce mi vedesse adescare uno sconosciuto, anche se nella migliore delle ipotesi penserebbe al capriccio sessuale di un momento.

Continuo a camminare tanto so che lui è dietro di me, così fugo nella borsa alla ricerca di contanti.

***

La Russia fa male al cuore quando è bella della sua

povertà e quando è bella della sua ricchezza. Un palazzo dell’era degli zar si sgretola nel gelo

che sale dalla Moscova e lungo le immense prospettive della periferia edifici di metallo e cemento e specchio, che sanno di stelle e di un

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futuro troppo vicino per poterlo respirare senza soffocarsi, distendono le loro piume verso il cielo notturno.

Lo Sports Palace è illuminato a giorno e mi accorgo che nutrirmi è stata, dopotutto, una mossa sensata: la luce violenta accentua il pallore e ho mani da stringere e visi da baciare.

Il lieve rossore sulle mie guance e lo scintillio negli occhi passano tranquillamente per l’effetto del freddo su una ragazza giovane e sana, non sanno di calore sottratto a qualcuno.

È in corso il programma libero per l’ultimo gruppo di lavoro, quello dei potenziali vincitori, poi la serata finirà, almeno per quanto riguarda le competizioni.

Continuerà dopo, negli alberghi, nei ristoranti e nei locali notturni.

Il pattinaggio artistico a volte mi appare come un carnevale itinerante che si sposta da un capo all’altro del mondo, da Parigi a Sendai, da Mosca a Calgary, per dieci mesi l’anno da settembre a giugno, con tutto il suo seguito di banchetti e gala, podi e medaglie; isterismi, cuori infranti, sogni spezzati, caviglie slogate e legamenti che hanno visto giorni migliori.

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Certe volte mi domando come riescano a sostenere tutta questa emozione. Io ci riesco a stento.

Escludere i pensieri, abbassare il loro rumore a un suono di fondo che non mi faccia perdere coscienza di me stessa è difficile, ma, quando riesco a regolare il volume e a creare una sintonia nemmeno troppo dolorosa, è una sensazione inesprimibile.

Vene e sangue e cuori e menti che battono sul tasto troppo doloroso dei miei sensi.

La voce cortese e impersonale rimbomba per tutto lo stadio del ghiaccio mentre saluta l’ingresso sul ghiaccio di Sasha Steiner.

Nessuno lo chiama Alexander o Alex, da quando ha compiuto i tredici anni e per la prima volta è venuto ad allenarsi qui in Russia.

All’epoca io avevo compiuto i diciassette anni. Dovrei averne ventisette, in realtà mi sono fermata

a ventitré e da qualche parte nei prossimi decenni smetterò di contarli.

Sasha mi aveva chiesto di aspettarlo, di non crescere troppo in fretta perché potesse raggiungermi e starmi vicino. Ora abbiamo la stessa età, soltanto che lui continuerà a crescere e io no.

Ci è costato tre anni di separazione e un riavvicinamento pieno di dolore e incomprensioni, paura atroce che ho provato per lui e per me.

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Da quando siamo insieme e quei momenti difficili trascorsi a venire a patti con quello che siamo – con quello che io sono diventata – quando ancora lui non sapeva la verità, sgusciano fuori solo in rari momenti di tenerezza, quando l’uno scopre nell’altro la traccia di una ferita non ancora risanata e stende le dita verso il passato per cercare di lenirla.

Lui si infuria al solo pensiero di quanto io abbia taciuto e di quanto il mio silenzio ci abbia allontanati fino a rischiare di spezzarci.

Non è mai stato facile: non abbiamo nessuna parentela di sangue, ma mio padre ha sposato sua madre ed essere fratellastri era il primo ostacolo.

Dopo un primo periodo passato a ignorarci e un altro a detestarci, eravamo diventati inseparabili.

Avevamo avuto appena il tempo per arrivare a domandarci che cosa in realtà stesse succedendo tra noi, quando io ero partita per San Pietroburgo per una breve vacanza di studi.

Da allora, le notti bianche sono quanto di più simile io possa vedere del giorno perché la luce diretta del sole mi ridurrebbe in fiamme e poi in cenere.

Prima di quel momento, c’erano le porte delle nostre stanze sempre aperte e i vestiti scambiati, le gelosie davanti a un’amicizia troppo stretta, le nottate trascorse a chiacchierare e a guardare la

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televisione quando uno dei due era sempre troppo stanco per raggiungere il proprio letto anche se si trovava dall’altra parte del corridoio.

C’erano le mattine in cui mi svegliavo col suo respiro sul collo o quelle in cui mi salutava con un lieve bacio sulla spalla prima di uscire, molto presto, per andare ad allenarsi.

Dopo San Pietroburgo, per lungo tempo mi sono rifiutata di tornare a casa e quando ero costretta a farlo, lo evitavo.

Ero stata costretta a rinunciare a lui e dirgli addio mi aveva strappato l’ultima scintilla di vita. Se solo lo avessi rivisto sapevo che sarei crollata e non avrei potuto più continuare l’apparenza di vita che lasciavo mi passasse accanto in attesa di capire cosa farne.

La notte era diventava giorno e il giorno scomparivo, col cuore che batteva per il terrore e l’anima che lasciava frammenti dolorosi davanti alla porta ormai chiusa della sua stanza.

Poi un giorno ha semplicemente suonato alla mia porta, nel cuore del più freddo degli inverni russi.

La nostra lontananza appartiene al passato, mi resta soltanto la vita di Sasha tra le dita e le mie passioni da gestire, quando mi sorride e sa bene, quasi quanto me, che il mio amore significa anche il desiderio lancinante di bere da lui e sentire il suo

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cuore forte indebolirsi e battere sempre più piano fino a spingermi in bocca l’ultima goccia del suo sangue.

Sa che stare con me potrebbe significare morire e morire in molti modi, ma non gli importa.

Lo guardo, interamente vestito di nero e d’argento, mentre raccoglie le ultime parole dalla sua allenatrice e poi si sposta al centro della pista.

Sa che sono qui, glielo leggo nei pensieri. Fino a un attimo fa ero troppo in ansia per lui per spingermi a toccargli la mente: quando è nervoso o spaventato mi sento impazzire, ma ora c’è solo concentrazione.

Gli fa male la caviglia sinistra e la spalla duole ancora per la caduta dell’altro ieri in allenamento.

Non mostrerà nulla di tutto questo, nessuno del pubblico avrà la minima consapevolezza di quanta fatica e lavoro ci sia dietro quello che fa, nasconderà la sua sofferenza tanto da dare a ciascuno l’impressione che per volare sul ghiaccio basti allacciare un paio di pattini ai piedi.

In posizione iniziale è leggermente flesso sul ginocchio destro e il braccio sinistro è un arco aggraziato sopra la testa.

Inizia la musica e giunge le mani intrecciandole sul petto e le muove mimando il battito del cuore.

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Alza la testa di scatto cominciando a guadagnare in velocità il lato sinistro della pista per eseguire la prima combinazione di salti, le braccia allargate, la grazia innata dei fili profondi che incide sul ghiaccio, una mano che si abbassa per sfiorare la farina di gelo smossa dai pattini. Per una frazione di secondo, alza lo sguardo nella mia direzione.

Sa dove sono perché mi riserva sempre un posto per sapere dove trovarmi.

Ma è solo illusione: non può cercarmi dopo che ha iniziato il programma, basta abbandonare la concentrazione per un singolo istante e il ghiaccio gli si può rivoltare contro con tutta la sua crudeltà.

Ma sa che sono accorsa sul filo del crepuscolo solo per lui e che è sul mio cuore che passerà quelle lame fino a che durerà la musica.

***

Adora la Russia e le ha perdonato quello che ci ha fatto. Ama il freddo e la brina, le gelate sui fiumi e la neve che quando fa troppo freddo cade in una pioggia di minuscoli cristalli simili a frammenti di vetro.

Ama me e questo basta a entrambi, difficile credere che ci sono stati momenti in cui abbiamo chiesto qualcosa di più.

Lui ha il suo ghiaccio e ha me.

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Si allena in parte Canada, un paese abbastanza grande per consentirci la nostra riservatezza, e per parte dell’anno a San Pietroburgo, dove nel periodo delle notti bianche sono libera di uscire nel bagliore di un sole troppo basso per farmi del male.

Mi ricordo il giorno in cui me lo disse, è stampato nella mia memoria per l’accecante bellezza della sua semplicità.

- Andiamo a vivere insieme, Marina. Non ha senso continuare così –

- Noi viviamo già insieme – Era seduto sul divano e parlandomi ripose il libro

che stava leggendo sul tavolo di fronte a lui. Stese semplicemente il braccio, ma anche quel gesto aveva una grazia insostenibile.

Un muscolo levigato si tese sotto il maglione bianco che indossava, la mano lasciò il libro sfiorando la copertina con delicatezza distratta.

- Nella casa dei nostri genitori, - riprese lui – dove vivevamo come fratello e sorella. Adesso le cose sono cambiate, mi sembra -

Sasha ha mani grandi, bianche e snelle sempre in lotta con le ingiurie del freddo, in quel momento le teneva intrecciate su un ginocchio e rimase ad aspettare, paziente che spostassi lo sguardo dalle sue dita ai suoi occhi.

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Se guardargli le mani mi provocava uno spasmo allo stomaco, i suoi occhi mi distruggevano dentro, così mi voltai, ricominciando a guardare le fiamme del camino davanti a cui mi scaldavo a cauta distanza.

- Che intendi dire? - Mi guardò i capelli biondi che alla luce delle

fiamme assumevano riflessi color tiziano, gli occhi così verdi sul volto pallido, le sopracciglia che disegnavano un arco delicato alle estremità.

- Che quando capirai se nonostante tutto questo ghiaccio ancora mi vuoi, allora vieni con me, Marina - disse, calmo.

***

Ты меня на рассвете разбудишь, Проводить не обутая выйдешь,

Ты меня никогда не забудешь, Ты меня никогда не увидишь

(La musica non è mai abbastanza forte da coprire il rumore della lama che sbatte sul ghiaccio, il suono friabile della polvere gelida che solleva quando graffia la superficie liscia e opaca simile a uno specchio di nebbia.

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Sogno quel suono anche quando dormo di un sonno talmente profondo che è come non esistere fino al momento in cui la mente torna nel mio corpo dietro le palpebre chiuse. E’ anche la voce familiare che mi richiama dalle mie evasioni quando le cose mi scorrono davanti agli occhi spalancati.

Mentre pattino a volte mi sembra che copra anche il rumore della musica. Ha un’eco strana, la lama sul ghiaccio, che negli intervalli tra le note si ripercuote fino agli spalti più lontani, richiamando alla mente che musica e grazia è questo che ricoprono: lame e ghiaccio.

Il suono di qualcosa di duro e freddo e tagliente, da amare nonostante la fatica e le amarezze.

E’ l’altra faccia dell’amore, il ghiaccio che aderisce alla pelle, anestetizzandola e strappandola, il filo delle lame che è un rasoio sulle dita, la durezza su cui precipitare dopo il volo più alto che si è riusciti a spiccare.

Ho accettato di assaggiare quel gelo, di accoglierlo tra le braccia prima ancora di rendermi conto di cosa stessi facendo.

Con l’incoscienza dell’infanzia dove non c’è paura in un salto né negli occhi a migliaia puntati su di sé.

Quando ho capito che su quella superficie di nebbia lucida ci avrei lasciato brandelli di me, pelle e anima e sangue, era troppo tardi perché il ghiaccio mi aveva preso, e con la faccia giusta dell’amore ho saputo anche che avrei sopportato tutto ciò che di dolore mi avrebbe dato.

Camminare e danzare, mostrare di sé quello che il mondo non dovrebbe vedere, farlo su una superficie che da un

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momento all’altro può tradire la dedizione che le hai donato, cadere su di essa, provare freddo e sofferenza, sapere che è comunque l’unico sostegno per rialzarsi.

In fondo, non è diverso dall’amore. ***

You on my skin this must be the end

The only way you can love me

Is to hurt me again, and again

Your love is a razorblade kiss

HIM, Razorblade kiss Amo ascoltare la voce di Sasha ma non ne avrei

bisogno. Fa parte della mia natura poter leggere le menti degli umani e questo è un fastidio e una benedizione quando si vive una condizione di clandestinità.

Quando lui vuole dirmi qualcosa in pubblico gli basta guardarmi e formulare un pensiero con chiarezza nella mente, a volte siamo così assorti nella nostra sintonia che io rispondo a una domanda prima che lui la faccia oppure termino una frase che ha iniziato.

Dobbiamo stare attenti, ma è meraviglioso. Potermi insinuare nei pensieri degli umani mi

permette di aggirarne le difese, qualcosa in loro,

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l’istinto ancestrale sopravvissuto alla civilizzazione, che li mette in allarme in presenza di un predatore.

Non è un impulso cosciente, perché è un concetto ormai sepolto da millenni di supremazia sulle altre forme animate.

Due millenni or sono, un uomo mi avrebbe riconosciuta per quella che sono e sarebbe fuggito, o mi avrebbe braccata per uccidermi: nessuna via di mezzo. E’ a questo che serve la mia bellezza.

Sostenere l’impatto delle emozioni umane è una sofferenza, non ho schermi in questo momento, non mentre guardo Sasha saltare e girare in aria, una, due, tre, quattro volte.

Sento le mani scattare tutte insieme, e i muscoli delle mie braccia hanno uno spasmo, tanto che mi sembra di avere migliaia di mani e milioni di dita che rispondono all’impulso di alzarsi e battere le une contro le altre in un applauso doloroso per la mia testa perché lo sento risuonare in mille altre.

Atterra sulla lama sinistra, la gamba destra che scatta all’indietro, il ginocchio che si flette e la punta del pattino che si conficca con forza nel ghiaccio ed è di nuovo in aria. Sento il peso gravare sulla caviglia sinistra, quella che fa male, sento il dolore e la lama sul ghiaccio, so che di quel dolore non è trapelato nulla, e che si farà ancora più forte mentre lancia la gamba destra per prendere lo slancio e di nuovo

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ferma il tempo nell’aria sparsa di gelo sfarinato e dolce come zucchero a velo.

L’ultimo impatto col ghiaccio è lancinante, freddo e bollente come un morso di piacere nella notte più buia.

Il suo cuore batte forte e calmo, sento il sangue arrivare alle dita che si schiudono come fiori mentre apre le braccia e flette la gamba destra nell’equilibrio perfetto che lo tiene su un unico filo di lama, mentre curva in un semicerchio dolce per assorbire il movimento con cui è atterrato.

Alza gli occhi e vedo il suo sorriso, vedo contrarsi e distendersi i muscoli sotto il tessuto liscio e morbido del suo costume, vedo cose che gli altri non possono vedere.

Lo vedo abbandonato in una vasca piena di acqua e fiori e poi piegarsi, pensoso, per raccogliere un mio indumento da un tappeto e accostarlo al viso.

Lo vedo sbarrare le finestre all’alba e accendere una luce bassa prima di sedersi su una poltrona ai piedi del mio letto e guardarmi per ore, in silenzio, rannicchiato con le braccia strette intorno alle ginocchia e il viso pieno di strazio e tenerezza.

Sento la paura che un raggio di sole abbatta le imposte per raggiungermi, ascolto il suo ansimare lieve mentre mi avvicina dita leggere al viso per scostare una ciocca di capelli dalla mia fronte.

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Capisco che non è mai servito a nulla abbandonare il suo letto all’alba per ritirarmi nella mia stanza e chiudere la porta.

Il vento smosso dai suoi stessi movimenti gli fa volare una ciocca di capelli sulla linea delicata dello zigomo. Prende velocità all’indietro e ha appena un’occhiata sopra la spalla per valutare le distanze.

In realtà non ha neppure bisogno di farlo, potrebbe pattinare al buio e lo ha fatto, davanti a me, alla luce di un’unica candela posata sul ghiaccio che rendeva solo più densa e fluida l’ombra che lo avvolgeva. La luce bassa serve solo a questo, per rendere più soffice l’oscurità in cui annegare.

Ha sparso petali di rose sul ghiaccio, vi ha lasciato cadere il suo sangue, ha graffiato lo specchio impolverandolo di neve e lo ha fatto per me, solo per i miei occhi mentre la musica bassa riempiva gli angoli abbandonati.

Adesso sento la sua tensione mentre sta per lanciarsi nel vuoto, ancora una volta. Guarda avanti la durezza del ghiaccio dove potrebbe sbattere il viso da un momento all’altro, c’è aria sotto le lame e il tempo è immobile così in alto che sembra impossibile poter atterrare senza morire nell’urto.

Ogni volta che cade è dolore e fascino. C’è qualcosa di assoluto nel modo in cui non risparmia le forze spiccando un salto, senza pensare che questo aumenterà la sofferenza quando si abbatterà

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al suolo. Non esita, non ha timore, cadere non lo spaventa.

L’unico incubo è lo stadio ammutolito, la musica che continua e non riuscire a rialzarsi.

Nella gola ho la pressione di mille urla che premono per uscire, poi esplodono tutte insieme e il respiro mi esce dai polmoni di colpo, insieme al suo quando ritrova il suolo sotto i piedi.

Piega le ginocchia fino a toccare il ghiaccio e si lascia scivolare in avanti, le braccia aperte, la testa gettata all’indietro, il suo corpo snello piegato come un arco, il sorriso trasognato sulle labbra e gli occhi chiusi.

Sento che qualcuno ha le lacrime agli occhi, mi pungono come spine sotto le palpebre. Non sono mie e se lo diventassero la mia pelle chiara si righerebbe di rosso.

Sasha gira su se stesso ed è di nuovo in piedi, si è alzato come una marionetta a cui abbiano tirato i fili.

Mi osserva intento per ore e io non capisco mai cosa ci sia di particolare in quello che faccio, poi lo sorprendo a imitare il movimento del mio braccio o il modo in cui ho piegato il collo.

Studia da me, lui per il quale la grazia non ha segreti, lui che ha imparato che si può mostrare la bellezza danzando sui piedi feriti, macchiando le sue scarpette rosse di sangue. Anche quando soffre i suoi movimenti restano fluidi come se si

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muovesse sott’acqua, ma se è l’armonia della morte che vuole, da me non l’avrà.

Non ancora. Mi turba vedere la delicatezza e l’eleganza con cui

la sua mano sfiora il suolo e sapere che tutto ciò gli richiede una potenza fisica che di delicato non ha nulla.

La prima volta che siamo stati insieme mi aveva atteso per così tanti anni che se fossi stata umana avrebbe potuto farmi male.

Si piega su un ginocchio nella figura finale, quando la musica cessa di colpo la tensione si spezza e mi dilania la mente mentre mille anime balzano in piedi e le loro dita mi toccano le orecchie.

Io sento in bocca soltanto il sapore del suo cuore. Si rialza e si sta inchinando quando il primo fiore

raggiunge i suoi piedi. E’ una rosa bianca e mentre tende una mano per raccoglierla so che è per me, ma nei suoi pensieri è rossa. Lo vedo in un nitore accecante aprirsi una vena per far gocciolare il sangue sui petali prima di offrirmela.

E’ solo uno sprazzo nella sua mente ma basta a riempirmi la bocca del suo sapore e di colpo ho di nuovo sete.

Non posso aspettare nemmeno un momento, ho bisogno di toccarlo.

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Una pioggia di animali di peluche e di fiori cade sul ghiaccio, i flowers, i bambini delle scuole di pattinaggio si lanciano nei loro costumi colorati per raccogliere tutto.

Vedo con la mente di Sasha una bambina che inciampa e lo sento scattare per sostenerla, sorridere alla sua espressione intimidita e poi prenderla in braccio per portarla fuori dalla pista.

Devo costringermi a camminare a velocità umana perché sento da qui il profumo del suo sorriso e la confusione nel cuoricino della bimba che tiene tra le braccia.

Quando finalmente esco nella zona intorno al kiss and cry, lui ha già deposto la bimba a terra e abbracciato la sua allenatrice impellicciata.

Sasha non mi guarda, ma sa che sono qui. Lo sento nei suoi pensieri che volano verso di me

quasi stupiti che il suo corpo invece si stia dirigendo in tutta calma verso il kiss and cry, l’angolo dove i pattinatori si profondono in baci e lacrime.

La sua allenatrice gli passa un braccio intorno alle spalle, lui saluta una telecamera e abbassa lo sguardo, ha sempre la rosa tra le mani e tocca piano i petali, in un modo così intimo che devo distogliere gli occhi perché non posso sostenerlo.

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Ascolto i suoi pensieri e anche quelli rendono difficile sopportare i minuti di distanza e tutta la gente che abbiamo attorno.

Ci sono promesse nella sua mente che dovrebbe tenere al chiuso delle nostre stanze e lui sa che in questo momento le sto contemplando.

***

No, non è così diverso dal mio amore. Una notte mi accadrà di non svegliarmi più dal suo bacio e

di doverle sacrificare le mie lame e il mio ghiaccio, ma la mia vita senza di lei sarebbe un deserto freddo di cui non si potrei scorgere altro che un orizzonte dal quale scrutarne un altro ancora più lontano.

A volte, quando la tento al punto che non riesce a resistere al mio sangue la mia debolezza è tale che il ghiaccio mi appare cosparso di una nebbiolina dorata e luminescente che ferisce gli occhi, il respiro si arresta nei polmoni e ho sensazione di essere sul punto di cadere da un momento all’altro.

Prima o poi accadrà, le donerò anche l’ultimo briciolo di forza.

L’impatto con il ghiaccio mi lascerà senza fiato, quello della sua passione mi priverà della vita.

Non posso dirglielo, dovrò seppellire questo pensiero nel più profondo dentro me o lei metterà fine a tutto questo.

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A questa graranella di istanti, leggera e dolce come la glassa di neve sparsa ai suoi piedi, che mi scalda come il barlume del fuoco che lei tanto ama e che a tratti diventa un barlume d’oro nei suoi occhi quando si incanta a fissarlo e protende le mani verso la barriera troppo labile di un parafiamma.

Quando Marina muore davanti ai miei occhi ogni mattina al sorgere del sole ascolto il calore abbandonare la sua pelle sapendo che soltanto il contatto della mia le restituisce quella parvenza di vita che conserverà solo fino a quando sarò vicino a lei.

Il fragore dell’alba è così forte che lei sembra avvertirlo molto tempo prima che la luce cominci a emergere dagli strati di notte all’orizzonte; cerca di nascondermi la paura e l’inquietudine forse per proteggermi o forse per proteggere se stessa, ma la mia mente viaggia sempre lungo visioni di corse folli verso un riparo qualsiasi dove la luce non possa raggiungerla.

Il fuoco sarà la sua maledizione per tutta l’eternità, l’unica cosa che potrà distruggerla e togliermela, così guardo con malinconia l’amore che ha per le candele, la minuscola lingua di fiamma che sussurra fumo nell’aria, il profumo di cera quando si inginocchia davanti alle icone incrostate d’oro e argento delle cattedrali ortodosse, la cautela con cui accende la punta di una sigaretta.

Ama il fuoco nello stesso modo in cui io amo lei e stanotte sarò ancora suo.

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La guardo avvicinare le mani ai parafiamma, desiderio e prudenza, scaldarsi attenta a ogni scintilla.

Ho paura in quei momenti: da quando ho Marina, ho imparato che cosa sia il terrore insostenibile che il tuo assassino muoia davanti ai tuoi occhi.

Prima di averti ucciso.)

Возвращаться плохая примета.

Я тебя никогда не увижу

“Юнона и Авось”

Андрея Вознесенского и Алексея Рыбникова

Copyright ©2012 by Virginia de Winter Published by permission of Trentin e Zantedeschi Literary Agency