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3° RAPPORTO FEDERALIMENTARE-ISMEA 2005 SCENARI 2015 DELLA FILIERA AGROALIMENTARE FEDERALIMENTARE – ISMEA CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA Settembre 2005

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3° RAPPORTO FEDERALIMENTARE-ISMEA 2005

SCENARI 2015 DELLA FILIERA AGROALIMENTARE

FEDERALIMENTARE – ISMEA

CENTRO STUDI CONFINDUSTRIA

Settembre 2005

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Federalimentare - ISMEA - Centro Studi Confindustria2

Lo studio è frutto del lavoro congiunto di:

Luigi Pelliccia (Federalimentare), che ha coordinato il lavoro per Federalimentare ed ha provveduto in particolarealla redazione dei par. 1.2 e 1.3.Fabio Del Bravo (ISMEA), che ha coordinato il lavoro per ISMEA ed ha provveduto in particolare alla redazione delpar. 1.1.Antonella Finizia (ISMEA), che ha elaborato i dati “macro”, effettuato l’analisi dei risultati delle macrosimulazionie redatto in particolare il capitolo 2 e i par. 3.1 e 3.2.Riccardo Magnani (Università di Verona), che ha eseguito le macrosimulazioni di cui al cap. 3 e redatto l’appendiceA2.Antonio Minguzzi (Università del Molise), che ha messo a punto il modello di simulazione “micro”, ha eseguito lemicrosimulazioni e provveduto in particolare alla redazione dei par 4.1 e 4.2.Carmine Pappalardo (ISAE), che ha elaborato i dati “micro” e contribuito alla messa a punto del modello di simulazione“micro” di cui al cap. 4 e redatto l’appendice A3.Guido Pellegrini (Università di Bologna), che ha largamente contribuito alla progettazione della metodologia e allastruttura del lavoro, alla definizione degli scenari, supervisionando i risultati e contribuendo altresì alla redazione deltesto, in particolare i capp. 2 e 5.Federico Perali (Università di Verona), che ha seguito in particolare la messa a punto del modello MEG-D, hasupervisionato le macrosimulazioni, ha contribuito all’analisi dei risultati di cui al capp. 3 e 4 e alla redazione del testo.Francesca G. M. Sica (Centro Studi Confindustria), che ha progettato e realizzato il sondaggio, predisposto la bancadati “micro” (AIDA), fornito le previsioni macroeconomiche dell’OEF e redatto l’appendice A1.

Lo studio è basato sulle informazioni disponibili al mese di giugno 2005.

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INDICE

Introduzione di Luigi Rossi di Montelera . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 5

1. Il quadro di riferimento del settore agricolo, dell’industria alimentare, della distribuzione e dei consumi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9

1.1 L’agricoltura . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 91.2 L’industria alimentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 101.3 Consumi e distribuzione . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 16

2. Le prospettive delle filiere agroalimentari italiane e la costruzione degli scenarial 2015 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 19

2.1 Politiche economiche internazionali e tendenze macroeconomiche . . . . . . 192.2 Gli scenari analizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 30

3. L’analisi macroeconomica degli effetti dei diversi scenari per l’intera economiae i comparti dell’agroalimentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36

3.1 Il modello utilizzato per l’analisi macroecononomica . . . . . . . . . . . . . . . . . 363.2 Gli impatti generali e settoriali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 37

3.2.1 Lo scenario tendenziale base, di moderata liberalizzazione e concorrenza 373.2.2 Lo scenario di accentuata liberalizzazione e crescita della concorrenza inter-

nazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 453.2.3 Lo scenario di crescita rallentata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 543.2.4 Le simulazioni di aumenti della produttività nella filiera agroalimentare . 613.2.5 I principali spunti forniti dall’analisi “macro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 64

4. L’analisi microeconomica degli effetti dei diversi scenari sull’industriaalimentare . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 68

4.1 Il modello microeconomico per l’analisi della redditività . . . . . . . . . . . . . . 684.1.1 Gli indicatori di redditività utilizzati . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 704.1.2 Le condizioni attuali nei diversi settori . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 70

4.2 Gli impatti sulla redditività delle imprese nei diversi scenari . . . . . . . . . . . 754.2.1 Lo scenario tendenziale base, di moderata liberalizzazione e concorrenza . 754.2.2 Lo scenario di accentuata liberalizzazione e crescita della concorrenza

internazionale . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 784.2.3 Lo scenario di crescita rallentata . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 824.2.4 I principali spunti forniti dall’analisi “micro” . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 85

5. Conclusioni . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 88

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Appendice . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

A.1 Sondaggio: le attese delle imprese alimentari e l’impatto della riformadella PAC . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 92

A2. Il MEG-D Ismea . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 96

A3. La metodologia di elaborazione dei microdati per l’analisi dei bilanci delle imprese alimentari . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 106

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INTRODUZIONE

Nell’ultimo decennio il gap di crescita dell’Europa rispetto agli altri paesi più industria-lizzati si è accresciuto a causa di una minore capacità di innovazione tecnologica e dellascarsa reazione all’apertura dei mercati mondiali. Lo sviluppo dell’economia italiana è an-cora più lento, appesantito da un sistema produttivo sbilanciato verso produzioni a bassaintensità tecnologica e sottoposte a una forte pressione concorrenziale dai paesi emergen-ti. In questo contesto la filiera agroalimentare è stata una delle risorse del Paese: pur sot-toposto a forti modifiche regolamentari, il settore agricolo ha mostrato una sostanziale te-nuta, mentre la produzione alimentare, presentando il consueto andamento anticiclico, hacontribuito positivamente alla pur modesta crescita del prodotto nazionale. L’andamentofavorevole della filiera è risultato ancora più apprezzabile in quanto si è confrontato conun contesto di mercato calante, che ha registrato una flessione dei consumi alimentari del-le famiglie marcata e anomala nella storia del settore.

Lo scenario futuro del settore agroalimentare d’altronde segnala la presenza di un guadocomplesso: le sorti della filiera sono strettamente collegate non solo alla capacità del si-stema-Paese di affrontare la sfida della competitività sui mercati nazionali e internazio-nali, ma anche all’abilità nel fronteggiare i nuovi cambiamenti regolamentari e di struttu-ra produttiva, legati all’introduzione della nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC).

A monte, infatti, l’agricoltura deve confrontarsi con le modifiche strutturali derivanti dal-la nuova regolamentazione agricola nell’UE e in particolare con il “disaccoppiamento”degli aiuti comunitari. A seguito dei nuovi criteri di scelta concessi agli agricoltori checonsentono di orientare le produzioni seguendo le opportunità del mercato, la produzioneagricola meno remunerativa viene abbandonata. Ne è un esempio il calo del 30% dellaproduzione nazionale di frumento duro e del 10% della carne bovina, per non parlare del-le attese negative sull’olio di oliva, sul latte, sull’ortofrutta.

A valle, l’industria alimentare ha di fronte prospettive incerte. La produzione, pur mostrandosegnali di crescita nel triennio 2001-2003 superiori al resto del settore manifatturiero, ha inseguito fortemente rallentato. La sua redditività ha risentito in modo significativo dell’anda-mento cedente della domanda. I prezzi alla produzione dei beni alimentari trasformati sonocalati, passando da un incremento poco superiore al 2,5% di inizio 2004, a una flessione dicirca l’1,5% nella prima parte del 2005, con un calo complessivo di quattro punti. Al consu-mo i prezzi 2005, rispetto ad un anno prima, sono invece cresciuti di circa lo 0,8%, con unariduzione di soli due punti circa. Ne è risultato un differenziale produzione-consumo che, in-vece di ridursi, come sarebbe stato auspicabile in una fase critica di mercato, si è stabilmenteallargato. Questo sottolinea le anomalie strutturali di parte del segmento distributivo, che so-stengono l’ulteriore aumento del peso dei settori del commercio e dei trasporti, ormai vicinoal 50% del valore del prodotto al dettaglio, a sfavore dei comparti produttivi della filiera.

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La necessità di comprendere le possibili prospettive della filiera agroalimentare italiana,in un momento di così elevata incertezza e cambiamento strutturale, ha motivato l’idea diFederalimentare, condivisa da Ismea e Confindustria, e successivamente dalle Universitàdi Bologna, Verona e del Molise, di avviare uno studio di approfondimento delle prospet-tive decennali del settore. Un’impresa che è apparsa subito molto complessa, legata allanecessità di prevedere e condividere, per quanto possibile, il futuro della filiera, almenonelle sue linee essenziali e per i comparti principali. Questo anche al fine di contribuire adindividuare le politiche economiche più idonee da attuare all’interno della filiera, in chia-ve nazionale e comunitaria.

L’obiettivo è di valutare l’impatto di medio-lungo periodo di cambiamenti radicali in at-to nel mercato e nella struttura del comparto agroalimentare, a livello nazionale ed inter-nazionale, che risultano dalla riforma della PAC, dal processo di creazione ed adozione dinuove tecnologie produttive e organizzative, dalla liberalizzazione dei mercati interna-zionali e dalla conseguente maggiore concorrenza. L’analisi è condotta sia a livello ma-croeconomico dell’intera economia e dei settori agricoli ed alimentari in particolare, sia alivello microeconomico delle singole imprese alimentari.

Lo studio è indirizzato a comprendere principalmente quali potrebbero essere gli effetti ele reazioni della filiera agroalimentare rispetto a differenti “choc” introdotti, suggerendo,di conseguenza, quali potrebbero essere le risposte più adeguate ai cambiamenti per ac-compagnare la filiera lungo un cammino di auspicabile crescita.

Esso si basa su un modello di previsione di medio-lungo periodo, sviluppato per il settoreagroalimentare, che integra gli aspetti macroeconomici settoriali con quelli microeconomi-ci aziendali. L’analisi ha utilizzato le proiezioni macroeconomiche, italiane e mondiali, svi-luppate dall’Oxford Economic Forecasting (OEF), le previsioni OCSE e i dati a disposizio-ne dell’Ismea per le variabili dei settori agricoli. L’analisi microeconomica ha utilizzato laBanca dati Aida–Bureau Van Dijk, che comprende i bilanci di un vasto campione di azien-de alimentari italiane, pari a oltre il 50% dell’intero universo. Il modello OEF e i dati Ai-da–Bureau Van Dijk sono stati messi a disposizione dal Centro Studi Confindustria.

I macro-dati di tendenza, specificati per tre diversi scenari di previsione, sono stati utiliz-zati come variabili “esogene” nel modello di equilibrio economico generale MEG-D Ismea.I comparti coinvolti nello studio macroeconomico sono 23 per il settore primario (agro-zootecnico e ittico) e 12 per la trasformazione alimentare. Il modello è di natura dinami-ca per operare previsioni di tendenza fino al 2015.

Uno dei pregi del lavoro è di dettagliare l’analisi e le previsioni per differenti dimensioniaziendali. I risultati del modello macro vengono infatti utilizzati per specificare gli effet-ti degli scenari delineati sui bilanci aziendali, aggregati per “piccole” aziende (meno di 7

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milioni di fatturato), “medie” aziende (da 7 a 40 milioni di fatturato), “grandi” aziende(oltre i 40 milioni di fatturato).

I principali risultati dell’analisi di previsione di medio-lungo periodo sono i seguenti:

a.- Nei diversi scenari, a fronte del previsto calo dei prezzi delle materie prime agricolesui mercati internazionali in alcuni comparti non corrisponde un aumento della profitta-bilità aziendale; al contrario, la dinamica dei costi energetici, dei trasporti e degli altri ser-vizi, del costo del lavoro porta invece a una generale compressione dei margini di reddi-tività dell’industria alimentare. Questo risultato non solo rafforza la necessità di interven-ti sul contesto, quali la dotazione infrastrutturale, il costo dell’energia e la dinamica delcosto del lavoro, ma anche di avviare azioni volte a favorire e rafforzare lo sviluppo del-la produttività delle imprese, strettamente collegata all’attività di ammodernamento, in-novazione e ricerca.

b. - Pesano, in altri settori, i rischi derivanti dall’elevata quota di approvvigionamento dimateria prima agricola nazionale, che, in presenza del disaccoppiamento degli aiuti, puòrarefarsi, con un incremento dei prezzi. Questi comparti sono quelli maggiormente tentatida rimodulazioni produttive, sia all’interno del territorio nazionale che fuori, alla ricerca dimaggiore vicinanza alle fonti di approvvigionamento e di economie sul piano logistico.

c. - La riduzione della redditività risulta diversa a seconda della dimensione aziendale. Inparticolare, le imprese alimentari “piccole”, cioè con meno di 7 milioni annui di fattura-to, e “medie”, con fatturato compreso tra i 7 ed i 40 milioni di fatturato, vedono ridursi imargini di mercato molto più di quanto non ci si attenda per le “grandi” imprese con ol-tre 40 milioni di fatturato. Questo risultato appare sufficientemente generalizzato fra i di-versi settori. Le implicazioni sono importanti: le economie di scala risultano fondamenta-li per garantire la presenza e la competitività sui mercati nazionali e internazionali, e l’a-zione di sostegno dovrà essere improntata a una riduzione della frammentazione azienda-le e dovrà favorire azioni di fusione e accorpamento d’imprese.

d. - Un ulteriore risultato importante del lavoro riguarda le relazioni interne della filieraagroalimentare. Gli scenari sviluppati mostrano come non vi sia concorrenza, ma una for-te complementarietà tra la crescita del settore agricolo, di quello agro-industriale e distri-butivo nazionale. Questo risultato sottolinea il comune interesse per i tre settori allo svi-luppo di maggiori sinergie e di politiche volte alla crescita di efficienza e competitività suiversanti produttivi e sul versante distributivo della filiera.

e. - Tra gli scenari analizzati si evidenzia come i processi di liberalizzazione del settorepossano avere una valenza particolarmente positiva per tutta la filiera, riducendo i prezzidelle materie prime e aumentando la domanda, trascinando in tal modo la produzione in-

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dustriale e i redditi del settore agricolo. Sebbene gli effetti possano risultare differenti neidiversi settori, nel complesso l’impatto di una politica di maggiore liberalizzazione e diincentivi alla competitività delle imprese risulta chiaramente positivo.

L’analisi indica quindi la necessità di una correzione di rotta da parte del settore agro-ali-mentare, per fronteggiare l’attesa perdita di redditività e incrementare la produttività. Lostudio suona come un campanello d’allarme, in particolare per alcuni comparti quali l’or-tofrutta, gli oli e i mangimi, e soprattutto, in generale, per i segmenti di piccole e mediedimensioni. Il messaggio principale che proviene dallo studio è quindi di innescare poli-tiche di sviluppo innovativo, da un lato, e di aggregazioni d’impresa, dall’altro, per poteranticipare e correggere le situazioni meno desiderate dell’evoluzione futura della filieraagroalimentare. Solo in questo modo sarà possibile convertire potenziali problemi in op-portunità di crescita.

Il lavoro procede nel prossimo capitolo con una sintetica analisi delle dinamiche economicherecenti dell’agricoltura, dell’industria alimentare, della distribuzione e delle spese. Nel capi-tolo 2 si descrivono brevemente gli elementi dello scenario futuro per le imprese agroalimentaridal punto di vista delle tendenze macroeconomiche e dell’evoluzione delle politiche econo-miche internazionali, con particolare riferimento alla PAC e al commercio internazionale, co-sì come emergono dalle fonti informative utilizzate nello studio (paragrafo 2.1). Si descrivo-no, inoltre, le ipotesi fatte negli scenari alternativi considerati nella previsione (paragrafo 2.2).

Nei due capitoli successivi sono riportati i risultati delle previsioni. Nel capitolo 3 si de-scrivono i risultati dell’analisi macroeconomica delle tendenze dell’intera economia e deisettori dell’agroalimentare al 2015, effettuata con il modello di equilibrio generale MEG-D Ismea. Nel capitolo 4 si analizzano i risultati dell’analisi microeconomica degli effettidei diversi scenari sulla redditività e capacità di permanenza sul mercato delle impresedell’industria alimentare. A conclusione di ciascuno dei due capitoli sono riportati i prin-cipali spunti di riflessione che emergono dall’analisi “macro” e da quella “micro”.

In appendice si riportano i risultati di un sondaggio presso le imprese industriali svolto dalCentro Studi Confindustria per rilevare “direttamente” le attese del mondo produttivo difronte alla nuova PAC, in modo da confrontare le percezioni degli imprenditori con le pre-visioni dell’analisi macro e microeconomica.

Gli altri due capitoli dell’appendice descrivono le caratteristiche e le metodologie di basedel modello di equilibrio generale MEG-D Ismea; le caratteristiche della banca dati AI-DA e la metodologia per l’analisi dei microdati.

Il Presidente di FederalimentareLuigi Rossi di Montelera

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1. IL QUADRO DI RIFERIMENTO DEL SETTORE AGRICOLO, DELL’INDU-STRIA ALIMENTARE, DELLA DISTRIBUZIONE E DEI CONSUMI

Lo studio parte dall’analisi dei risultati recenti dei due comparti fondamentali (agricolo ealimentare), per individuare difficoltà e linee di tendenze che potranno proiettarsi nel fu-turo. Nei prossimi paragrafi viene quindi presentata una rappresentazione all’oggi delledinamiche nei due settori.

1.1 L’agricoltura

L’agricoltura sta attuando forti cambiamenti strutturali a seguito del disaccoppiamento de-gli aiuti comunitari legato alla nuova Politica Agricola Comunitaria (PAC). Se da un latoalcuni settori sembrano perdere ampie fette di produzione agricola - come è avvenuto nel2005 per la produzione nazionale di frumento duro - dall’altro, sarà necessario valutarnel’impatto in termini di incremento di efficienza produttiva e qualità dell’output, per deter-minarne gli effetti complessivi sulla filiera agroalimentare. A seguito dei nuovi criteri discelta concessi, gli agricoltori hanno infatti a disposizione una maggiore elasticità rispettoal passato e possono orientare le proprie produzioni rispondendo ai segnali del mercato.

Con riferimento alla congiuntura, dopo un quadriennio contrassegnato in varia misura daeventi avversi di natura differente quali la siccità, le gelate primaverili, o la zoonosi, il2004 si è rivelato un anno favorevole per la produzione del settore primario nazionale, cheha raggiunto un livello di produzione ai prezzi di base pari a 46.183 milioni di euro cor-renti, in crescita del 3,8% sull’anno precedente. Tale crescita, se misurata a prezzi costanti,raggiunge livelli ben superiori (+8,4%) ad indicare che, alla forte ripresa delle quantitàprodotte, si è associata una netta flessione dei prezzi.

Il sensibile calo dei prezzi dei prodotti venduti (-4,2% in media) si è presentato nel 2004dopo quattro annate consecutive di dinamica positiva. Tale dinamica, nel contesto di calodei volumi prodotti degli anni passati, aveva consentito di sostenere il settore.

I consumi intermedi, per il complesso di agricoltura, silvicoltura e pesca, fanno registra-re invece nel 2004 un recupero delle quantità impiegate (+2,2%) associato, in questo ca-so, ad un incremento dei prezzi relativi (+2,5%). In Italia, nel periodo 2000-2004, i con-sumi intermedi dell’agricoltura sono andati crescendo fino a raggiungere la quota del 47%sul valore aggiunto, posizionandosi ad un livello appena inferiore alla media Ue-15.

Se, quindi, a valle del processo produttivo, l’agricoltura è tornata a rivestire il consuetoruolo di contenimento inflativo - risultato solo “potenziale” visto che non si è scaricato avalle della filiera - con una caduta dei prezzi dell’output di oltre il 4%, di gran lunga in-feriore all’incremento (+2,2%) dell’indice dei prezzi al consumo, a monte si è registrato

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un andamento sfavorevole della ragione di scambio (rapporto tra prezzo degli output equello degli input) degli agricoltori, dal momento che, alla diminuzione dei prezzi dei pro-dotti, ha fatto riscontro un incremento dei prezzi dei mezzi tecnici. Negli ultimi cinque an-ni, la bilancia commerciale del settore primario italiano, valutata a prezzi correnti, ha evi-denziato una certa stabilità del saldo, peraltro strutturalmente negativo, che nell’ultimoanno si è trasformata in una discreta flessione. La situazione dell’interscambio agricolodipende principalmente dalla dinamica dell’export che continua a sperimentare una certaerosione di quote di mercato, mentre le importazioni restano su livelli costanti.

1.2 L’industria alimentare

L’industria alimentare italiana è riuscita a mantenere un ritmo di crescita sostenuto fino al2003, ma poi, frenata dal rallentamento dei consumi e dell’intero ciclo economico del Pae-se, ha perso slancio espansivo. Nel 2004 essa è entrata così in una fase di stagnazione pro-duttiva.

(*) valore in miliardi di euro. (**) aziende con oltre 9 addetti1

Fonte: Elaborazioni Federalimentare su dati ISTAT.

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1 Le aziende con oltre 9 addetti sono passate dalle 6.742 unità del 1991, alle 6.910 unità del 2001, con un aumento del+2,5%. Gli addetti corrispondenti sono passati, dalle 294.167 unità del 1991, alle 278.321 unità del 2001, con un calodel –5,4%.

Industria alimentare italiana: le cifre di base

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Al calo del –0,5% registrato dalla produzione 2004, il primo semestre 2005 ha fatto se-guire, dopo una prima fase d’anno caratterizzata da ulteriori cedimenti, un recupero spe-culare del +0,5%, mentre il totale industria è arretrato del –2,5%. I dati più recenti mo-strano perciò che il settore si sta riappropriando delle sue doti anticicliche, tamponando letendenze recessive coerenti al quadro di generale stagnazione, con dinamiche in crescitarispetto all’aggregato industriale del Paese. Il fatturato del settore è risultato nel 2004 pa-ri a 105 miliardi di euro, con un aumento del +1,9% sull’anno precedente.

L’export del settore, dopo il passo indietro registrato nel 2003, ha ripreso a espandersi contassi modesti, nel 2004 (+3,5%) e nei primi cinque mesi 2005 (+4,9%). Il flusso esporta-tivo del settore rimane tuttavia al di sotto delle sue potenzialità, con un’incidenza sul fat-turato pari al 14%, largamente inferiore alla stessa incidenza media dell’industria alimen-tare comunitaria (18%).

Dinamica della produzione dell’industria alimentare e totale industria

Anni 2000-2005 - (Indici 2000=100)

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Istat

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Fatturato dei principali settori dell’industria alimentare italiana nel 2004(milioni di euro)

Fonte: Federalimentare

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Dal punto di vista strutturale, il settore continua ad essere costituito da una moltitudine dipiccole aziende. Sulle oltre 68mila imprese registrate nel Censimento 2001, solo un deci-mo (meno di 6.700) sono da considerare “industriali”, cioè con un numero di addetti su-periore alle 9 unità.

La produzione del settore si è evoluta nettamente negli ultimi anni, assecondando e in-centivando le nuove tendenze del mercato, alla ricerca di più elevati target di qualità e dinuovi segmenti di valore aggiunto. L’alimentare “tradizionale” copre circa l’83% dellaproduzione alimentare totale. Ne fanno parte, sia la parte più “classica” (la pasta, le con-serve, i vini, l’olio, il latte ecc.), che coprono il 67% circa della produzione alimentare to-tale, sia quella definibile del tradizionale “evoluto”, pari a circa il 16% della produzionetotale: sughi pronti, oli aromatizzati, condimenti freschi (come il pesto e altre specialità),i prodotti e piatti precotti a lunga conservazione a temperatura ambiente, i surgelati gene-rici, i formaggi duri e molli tradizionali a bassa percentuale di grassi, i nuovi tipi di pastacondita, la vasta gamma di prodotti dolciari nuovi, la cioccolata sposata ad altri prodotticome il caffè, lo stesso caffè in cialde per le macchinette da espresso ecc..

Alla grande area del tradizionale, si affianca il patrimonio dei veri e propri prodotti a de-nominazione protetta (circa il 9% del mercato). A questi si aggiunge un segmento di cre-scente importanza come quello dei “nuovi prodotti” che coprono, ormai, una fetta quasiuguale al tipico, pari all’8%.

Composizione % del fatturato dell’industria alimentare italiana per tipologie di prodotto - (stime 2004)

Fonte: elaborazioni Federalimentare

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Il fatturato dell’industria alimentare italiana per tipologie di prodotto - stime 2004(miliardi di euro)

Fonte: elaborazioni Federalimentare

Questi ultimi sono cibi e bevande dall’alto valore aggiunto e dall’elevato contenuto di ser-vizio che soddisfano le richieste dei consumatori dal punto di vista della conservazione,della preparazione del cibo e da quello nutrizionale e salutistico: bevande energetiche einnovative, yogurt “funzionali”, alimenti alleggeriti (light) o arricchiti (fortificati), prepa-razioni gastronomiche (primi e secondi piatti freschi, surgelati e precotti), cibi salutistici(fitness, wealthness), prodotti per categorie specifiche di consumatori (giovanissimi, an-ziani, ciliaci, diabetici ecc…) e nutriceutica (vitamine, integratori, barrette dietetiche ecc..).La loro crescita è estremamente elevata, e costituisce il fenomeno nuovo del “food anddrink”, non solo italiano, ma europeo.

Da ultimo il “food and drink” vede meno dell’1% circa di prodotti biologici, che affian-cano e finalizzano, sul piano della trasformazione, la produzione agricola biologica (parial 5% circa del totale) che caratterizza il Paese.

* Stime Federalimentare

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Istat

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Export industria alimentare e totale Italia 2000-2005(Milioni di euro correnti)

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Incidenza % delle esportazioni settore alimentare sul totale export nazionale

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Istat

1.3 Consumi e distribuzione

Il mercato alimentare manifesta da qualche anno erosioni senza precedenti. Nell’ultimoquinquennio, secondo l’Ismea, la riduzione del volume totale degli acquisti domestici diprodotti alimentari ha sfiorato il 10%. Parallelamente, la dinamica in valore ha avuto an-damenti altalenanti dovuti essenzialmente alla fluttuazione dei prezzi. Alla flessione com-plessiva dei consumi domestici nazionali hanno contribuito tutti i principali gruppi di pro-dotti. Gli ortofrutticoli si sono distinti in maniera particolare per il vero e proprio crollodei consumi che, nel periodo citato, ha raggiunto il 17%, pari al triplo della contrazioneregistrata per la spesa. Il fenomeno, sebbene parzialmente attenuato dalla dinamica deiconsumi extradomestici, è legato a modifiche nei modelli di consumo, ma soprattutto al-la diminuzione del potere di acquisto delle famiglie. Esso porta a modificare lo stesso giu-dizio di “rigidità” che aveva sempre accompagnato i consumi alimentari.

Negli anni più recenti, il consumatore italiano ha orientato le sue scelte in base a un para-metro prioritario: il risparmio. Il consumatore così spreca di meno, modifica i suoi criteridi scelta e finisce in qualche caso col sacrificare le stesse “marche”, quando la qualità, lasua identificazione, sono da sempre patrimonio centrale del “food and drink” nazionale.

Secondo un’indagine di Federdistribuzione, il nuovo consumatore sta diventando sempre piùinfedele e selettivo. Esso è stato definito: più razionale, più consapevole, esigente, critico, no-made. Si tratta di cambiamenti strutturali, che permarranno anche in presenza di una ripresa

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economica. Questi fenomeni hanno innestato profonde modifiche sul fronte distributivo. E’chiara la forte accelerazione dei discount, ed è evidente la fase di stallo degli stessi super-mercati. E’ palese, altresì, la discesa accelerata del dettaglio tradizionale, che perde ogni an-no punti percentuali pesanti nella torta della distribuzione complessiva. Solo gli ipermercati,in questa fase, riescono faticosamente a “tenere”, mentre è in ripresa l’ambulantato, comequando si coniugava risparmio, specie nei prodotti alimentari locali freschi, e prossimità diservizio. La grande distribuzione risponde in generale come può, ad esempio allargando lepromozioni che, in alcuni casi, toccano il 25-30% del venduto.

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Federdistribuzione e Istat

I prezzi alla produzione hanno risentito dell’andamento del mercato. Essi sono scesidell’1,5% nel confronto giugno 2005/2004: un calo che non trova riscontro al consumo,ove la dinamica dei prezzi è rallentata e si è attestata tra il +0,8% e il +1,0%. Ne segue chei margini di mercato si sono allargati attorno a 2,5 punti.

Questi fenomeni hanno incentivato un fenomeno in atto da tempo: lo spostamento dei pe-si dei segmenti produttivi della catena del valore a favore della distribuzione.

L’evoluzione dei canali distributivi

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Federdistribuzione

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La struttura dei consumi dal 1991 alle proiezioni 2015

(pesi %)

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Il patrimonio strutturale dei punti di distribuzione alimentare in Italia oggi tocca le 215.200unità. Le previsioni al 2015 di Federdistribuzione indicano una riduzione di questa plateaa 204.600 unità, con un calo del –4,9%, superiore a quello registrato in parallelo dall’in-tero universo distributivo, che dovrebbe scendere, da quota 721.500 unità a 713.200 uni-tà, con una riduzione del –1,2%. Il peso percentuale del consumi dei prodotti alimentari“domestici” oggi copre il 14% dei consumi complessivi del Paese: tale percentuale – sem-pre secondo Federdistribuzione - dovrebbe scendere al 12% nel 2015.

Variazione % dei punti vendita 2003-2015

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati Federdistribuzione

L’analisi delle tendenze recenti della filiera agroalimentare individua quindi l’esistenza diuna forte incertezza sugli andamenti futuri: sia dell’agricoltura, che risente della cadutadei consumi alimentari, sia dell’industria alimentare, che mostra una recente dinamica ri-flessiva. L’estrapolazione di queste tendenze su un arco di tempo pluriennale necessitad’altronde di molta prudenza: sia per le possibili evoluzioni della domanda, sia per la pre-senza di processi di modifica della produttività e della competitività delle imprese a se-guito anche delle modifiche regolamentari dei mercati. Questo rende necessaria quindiuna previsione basata su scenari che ipotizzino sentieri di crescita delle variabili esogenee di contesto, come il prezzo delle materie prime internazionali e l’evoluzione della pro-duttività relativa tra settori. Questo è l’argomento del prossimo capitolo.

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2. LE PROSPETTIVE DELLE FILIERE AGROALIMENTARI ITALIANE E LACOSTRUZIONE DEGLI SCENARI AL 2015

La costruzione di una previsione richiede la definizione di uno scenario – o di più scena-ri alternativi – fondati su ipotesi circa gli andamenti di un insieme di variabili esogene,cioè determinate al di fuori del “modello”. Scopo del modello è quello di attuare una ana-lisi di politica economica che valuta come variano le variabili endogene del modello, qua-li le quantità dei prodotti e dei fattori ed i loro prezzi domestici, al variare delle variabiliesogene, quali i prezzi internazionali e gli aumenti di produttività.

Uno degli sforzi più rilevanti nello studio è stato quello di identificare le tendenze dei mer-cati da incorporare negli scenari, ovvero la definizione di ipotesi coerenti sulle tendenzeevolutive delle variabili esogene. Le tendenze considerate fanno riferimento:

all’andamento generale dell’economia mondiale e all’evoluzione dell’economia italiana;alle tendenze nel settore agricolo, determinate in particolare dalla PAC;all’andamento dei prezzi internazionali, tenendo conto del processo di liberalizzazione de-gli scambi internazionali;al progresso tecnico nei settori economici.

Lo studio ha definito uno scenario tendenziale di moderata liberalizzazione e concor-renza (tendenziale base), che sintetizza e prolunga le tendenze di fondo così come si pre-sentano ad oggi, e due scenari alternativi: uno con un’accentuazione delle tendenze di li-beralizzazione a livello internazionale, uno con un’accentuazione di quelle di riduzionedella crescita macroeconomica. Tali scenari sono costruiti variando le ipotesi alla basedella costruzione delle tendenze delle variabili esogene sopra considerate.

Sebbene, a nostro parere, lo scenario tendenziale base possa ritenersi il più probabile, nonpossiamo esprimere un sistema di probabilità da accoppiare ai differenti scenari. Lo stu-dio quindi è indirizzato a comprendere principalmente quali potrebbero realisticamenteessere gli effetti e le reazioni della filiera agroalimentare rispetto a differenti ”shock” in-trodotti, suggerendo, di conseguenza, le risposte più adeguate ai cambiamenti per accom-pagnare la filiera lungo un cammino di auspicabile crescita.

2.1 Politiche economiche internazionali e tendenze macroeconomiche

Come si è detto, la definizione di scenari tendenziali di medio-lungo periodo deve tenereconto di una serie di fenomeni esogeni che determinano il contesto in cui gli operatori na-zionali (imprese, decisori pubblici) si troveranno ad agire. In questo paragrafo si tenta di delineare un breve quadro delle tendenze evolutive in atto,

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relativamente a fenomeni, quali risultano anche dalle fonti statistiche sui quali ci si è ba-sati in questo studio per la definizione degli scenari, come:

- l’evoluzione della PAC e i suoi effetti sull’agricoltura nazionale;- l’andamento dei prezzi internazionali dei prodotti agroalimentari ed il processodi liberalizzazione degli scambi;- l’andamento generale dell’economia mondiale ed italiana ed il progresso tecni-co nei settori economici nazionali.

In particolare, le variabili che entrano nel modello macroeconomico come esogene so-no rappresentate da: gli strumenti della politica agricola di mercato, come gli aiuti di-retti al reddito degli agricoltori e i prezzi di intervento; i prezzi mondiali ed europeiper i prodotti scambiati sui mercati internazionali; il progresso tecnico nei settori eco-nomici.

Nel modello utilizzato per l’analisi macroeconomica, la variabile proxy per i prezzi inter-nazionali dei prodotti agroalimentari è rappresentata dai prezzi medi all’importazione del-l’Italia dall’Ue a 15 e dal Resto del mondo. Nel modello si introducono in particolare levariazioni stimate reali (cioè deflazionate) dei prezzi medi all’importazione. Come proxydel tasso di progresso tecnico dei settori agricoli, si è considerata la crescita delle rese2. Ilprogresso tecnico nei settori dell’alimentare, bevande e tabacco, nelle altre industrie e neiservizi è invece approssimato dalla crescita della produttività del lavoro (produzione peraddetto).

Le fonti utilizzate per le tendenze di medio-lungo periodo di queste variabili sono diver-se. In primo luogo, si è fatto riferimento alle proiezioni di sviluppo macroeconomico, ita-liane e mondiali, del Centro di ricerca internazionale Oxford Economic Forecasting (OEF),fornite dal Centro Studi Confindustria. L’OEF è il modello econometrico globale elabo-rato e aggiornato mensilmente dalla società Oxford Economic Forecasting Ltd per un to-tale di 75 paesi3.

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2 Per le produzioni vegetali si sono considerate le rese della terra (produzione per ettaro), per le produzioni animali edella pesca, rispettivamente le rese per capo (consegne di latte per capo o peso medio a capo) e per battello (produzio-ne per battello).3 Al suo interno, i “modelli paese” - interdipendenti via commercio internazionale, tassi di cambio e tassi di interesse -forniscono previsioni per 45 paesi classificabili in 4 gruppi secondo un ordine decrescente di dettaglio settoriale:

I (US, Japan, Germany, France, Italy, UK, Canada, China); II (Spain, Netherlands, Belgium, Switzerland, Austria, Sweden, Australia, Mexico, South Korea, Taiwan, Hong Kong); III (Denmark Finland, Norway, Ireland, portugal, Bulgaria, Croatia, Greece, Romania, Slovakia); IV (Poland, Hungary, Russia, Czech Republic, Argentina, Brazil, Chile, Indonesia, Malaysia, Philippines, Singapore,Thailand, South Africa, Turkey, India). Tipicamente un modello paese si basa sull’identità contabile reddito-spesa e include mediamente 200 variabili e sche-maticamente è composto dalle seguenti parti:Demand di cui: Mercato dei beni (consumi, livello scorte, importazioni e esportazioni esclusi i combustibili);

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Inoltre, per la maggior parte delle variabili specifiche relative al settore agroalimentare, cisi è basati sui dati a disposizione dell’Ismea (Banca dati del commercio estero agroali-mentare e serie storiche relative alle produzioni agricole, dell’allevamento e della pesca).Per le tendenze dei prezzi mondiali, si è fatto riferimento anche alle previsioni OCSE al2013 per le principali commodity agroalimentari, pubblicate nel “OECD Agricultural Out-look 2004-2013, 2004”. Infine, per le produttività dei settori dell’industria alimentare edelle industrie non alimentari e servizi, si sono utilizzati i dati della Banca dati Aida–Bu-reau Van Dijk, insieme ai dati dei Censimenti dell’industria e dei servizi.

Nell’analisi del settore agroalimentare, sia della componente primaria che di quella indu-striale, non si può in generale fare a meno di considerare l’evoluzione della Politica Agri-cola Comunitaria. In particolare, ciò è importante in questa fase in cui, in conseguenzadella Revisione di Medio Termine del 2003, si sta realizzando una vera e propria rivolu-zione nel meccanismo di erogazione degli aiuti agli agricoltori. Infatti, dopo la RiformaMac Sharry dei primi anni ‘90, mentre la riforma di Agenda 2000 si è posta in fondo sul-la stessa linea della precedente, quella che doveva essere una semplice revisione di Agen-da 2000 è forse la riforma più radicale finora sperimentata dall’agricoltura comunitaria.

La riforma approvata a giugno 2003 a Lussemburgo e contenuta nei Regolamenti da 1782a 1788/2003/CE introduce come è noto il disaccoppiamento degli aiuti diretti agli agri-coltori, determinando il passaggio da un sostegno vincolato al prodotto ad un sostegnoerogato al produttore, attraverso un pagamento unico per azienda che resta legato al livellodegli aiuti percepiti in un determinato periodo di riferimento (2000-2002) per le seguentiOcm: seminativi, riso, colture proteiche, legumi da granella, carni bovine, latte e prodot-ti lattiero-caseari, carni bovine e ovicaprine. Lo stesso approccio è stato successivamenteadottato per le riforme delle Organizzazioni Comuni di Mercato nei settori del tabacco e

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Mercato monetario (domanda reale di moneta, tassi di interesse a lungo termine, tasso di cambio);Supply di cui: Accumulazione di Capitale (stock di capitale; investimenti al netto di quelli in costruzioni; tasso di interesse reale); Mercato del lavoro e NAIRU (offerta di lavoro; tasso di partecipazione; tasso naturale di disoccupazione; tasso natura-le di occupazione; prodotto potenziale; output gap, occupazione, salari reali);Prezzi (deflatore del Pil, prezzi all’importazione; prezzi al consumo) Government policyPolitica monetaria (regola di Taylor)Politica fiscale (spesa pubblica e imposte sono esogene)Rest of the world (commercio mondiale e prezzi mondiali)I “blocchi”, invece, si limitano a prevedere i principali aggregati macroeconomici - Pil, prezzi al consumo, tassi di cam-bio, partite correnti - per 39 paesi classificati in 6 gruppi: REST OF OECD (Greece, Iceland, Luxembourg, New Zealand);OPEC (Algeria, Iran, Iraq, Nigeria, Saudi Arabia, Venezuela); eastern europe (Bulgaria, Kazakstan, Romania, Slovak Re-public, Ucraine); africa (Cameroon, Egypt, Kenya, Morocco, South Africa, Sudan, Tunisia, Uganda); latin america (Bo-livia, Colombia, Costa Rica, Dominican Republic, Ecuador, Panama, Paraguay, Peru, Uruguay); rest of world (Bangla-desh, India, Israel, Myanmar, Pakistan, Syria, Vietnam). Per maggiori approfondimenti si veda “The Oxford World Macroeconomic Model. An overview”, June 2005, OxfordEconomic Forecasting, Abbey House, 121 St Aldates, Oxford, scaricabile anche dal sito http://www.oef.com/ Mod-el_Overviews/wukmacover.PDF.

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dell’olio di oliva, che entreranno in vigore nel 2006, e per quella, ancora non definitiva-mente adottata, dello zucchero.

Nelle singole OCM, la riforma prevede anche, in alcuni casi, variazioni nei livelli dei prez-zi d’intervento e nei livelli dei premi rispetto alle disposizioni di Agenda 2000. In parti-colare, modifiche dei prezzi di intervento e/o dei premi sono previste per frumento duro,riso, colture proteiche, barbabietola da zucchero e zucchero, tabacco, olio di oliva, lattebovino e prodotti lattiero caseari4. La riforma entrerà in vigore nel 2005 e le modifiche sa-ranno realizzate progressivamente nelle singole OCM; al più tardi nel 2009 tutta la rifor-ma sarà completamente a regime.

L’impatto della riforma dipende quindi sia dall’introduzione del disaccoppiamento, chedetermina la possibilità dei produttori di orientare la produzione secondo i termini di con-venienza relativi (rapporti ricavi/costi), sia dalle modifiche nei livelli degli strumenti disostegno delle singole OCM, che modificano tali termini di convenienza.

Inoltre, allo scopo di finanziare misure addizionali di sviluppo rurale, la riforma ha intro-dotto il meccanismo della modulazione, in base al quale sarà effettuata una decurtazionepercentuale di tutti i premi diretti già a partire dal 2005, che dal 2007 in poi sarà pari al5%, con esenzione dei premi al di sotto dei 5.000 euro annui.

Il recepimento della riforma in Italia è avvenuto con i decreti di attuazione adottati nel-l’agosto 2004. L’Italia ha optato per l’entrata in vigore del regime di disaccoppiamento to-tale fin dal 2005. Ha scelto inoltre di aderire alla possibilità prevista all’art. 69 del Reg.1782/2003/CE, di trattenere una percentuale del massimale di aiuti nei settori seminativi,carni bovine e ovicaprini per finanziare colture specifiche o per migliorare la qualità deiprodotti agricoli. Nello specifico, viene operata una trattenuta dell’8% della componentesettoriale seminativi, del 7% della componente settoriale carni bovine e del 5% della com-ponente settoriale ovicaprini del massimale nazionale. Le somme così ottenute sono de-stinate, settore per settore, e su base annua, a un pagamento supplementare agli agricolto-ri del settore interessato che rispettino determinate condizioni di ammissibilità al premio.

Una prima valutazione dell’impatto atteso della Revisione a medio termine una volta en-trata pienamente a regime è stata fatta dall’Ismea nel 2004, utilizzando la versione staticadel modello di equilibrio generale MEG-D Ismea usato in questo studio5.

Tale valutazione è stata effettuata sulla riforma adottata a Lussemburgo, mantenendo inva-riati i regimi di aiuto precedentemente in vigore nei settori olio di oliva, tabacco e barbabie-

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4 Cfr. Ismea, L’impatto della riforma PAC sulle imprese agricole e sull’economia italiana, Franco Angeli 2004, cap.2.5 Cfr. Ismea, 2004, già citato.

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tola, per i quali erano in corso i negoziati sulle proposte di riforma. Inoltre, le simulazioni nontenevano conto dei criteri di recepimento adottati successivamente in Italia ed in particolaredelle trattenute e dei relativi premi supplementari previsti in base all’art.69.Obiettivo del presente studio è quello di definire lo scenario tendenziale del prossimo de-cennio, in cui la riforma PAC è solo uno degli aspetti del contesto; i movimenti dei prez-zi, le produzioni e i redditi si modificheranno oltre che per effetto della PAC, anche per ledinamiche competitive con i prodotti esteri, per le dinamiche di crescita settoriali e perl’evoluzione del contesto macroeconomico generale.

Riguardo alla PAC, è necessario comunque fare delle ipotesi sull’evoluzione del sostegnodi mercato da qui al 2015. E’ importante sottolineare che in questa analisi si considera sol-tanto il sostegno di mercato, il cosiddetto “primo pilastro” della PAC, mentre non si tieneconto del finanziamento dello sviluppo rurale, cioè del “secondo pilastro”.

Il regime definito nella Riforma a medio termine entra in vigore nel 2005 (con un perio-do di attuazione progressiva fino al 2009) ed è previsto che resti in vigore fino al 2012. E’ importante guardare tuttavia anche all’evoluzione degli stanziamenti finanziari della PACnel budget comunitario. Il budget per la Riforma è in teoria fisso fino al 2013; a partire dal2007, viene introdotto un meccanismo di disciplina finanziaria per impedire il superamentodi un massimale di spesa definito con l’accordo di Bruxelles di ottobre 2002. In realtà, la de-finizione del massimale comporta che l’importo fissato per il finanziamento del sostegno dimercato della PAC non possa superare tale soglia, ma può certamente scendere, sulla basedelle future decisioni del Consiglio europeo. Il principale orientamento è verso un progressi-vo spostamento di risorse dal primo al secondo pilastro. Quindi, se gli stanziamenti com-plessivi per l’agricoltura resteranno stabili, la spesa per il sostegno di mercato risulta invecein riduzione, facendo ritenere possibili contrazioni dei livelli degli aiuti diretti.

Nel corso del 2004 sono state presentate le proposte della Commissione UE circa le pro-spettive finanziarie per il bilancio comunitario nel periodo 2007-2013, non ancora appro-vate. In queste proposte, gli stanziamenti previsti per il finanziamento delle misure di mer-cato della PAC sono in linea con quanto stabilito nel 2002. In particolare, le spese per lemisure di mercato nel complesso ammonterebbero nel 2013 a 42.293 milioni di euro (espres-si a prezzi 2004) con una riduzione del 3,3% rispetto allo stanziamento inizialmente pre-visto per il 2006 (43.735 milioni di euro). Deve essere poi sottolineato che la spesa com-plessiva per le misure di mercato comprende il sostegno per i 10 nuovi membri dell’U-nione. Per i vecchi 15 membri quindi, il finanziamento previsto nel 2013, considerandoanche il taglio dovuto alla modulazione, dovrebbe essere di 34.497 milioni di euro, conuna riduzione rispetto al 2006 del 15%.

Questi ed altri elementi di riflessione conducono a ritenere probabile una riduzione degliaiuti diretti erogati agli agricoltori dell’Ue a 15 nell’arco del prossimo decennio, anche per

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il futuro ingresso di Romania e Bulgaria nell’Unione Europea. La difficoltà nel trovareuna soluzione condivisa è testimoniata dal mancato accordo del Consiglio Europeo sulleprospettive finanziarie del giugno 2005. In particolare per l’Italia occorre considerare an-che la possibilità di un superamento del massimale nazionale, che obbliga alla riduzionedegli aiuti, oltre al finanziamento della costituzione della riserva nazionale.

Anche l’andamento dei prezzi internazionali è una variabile determinante nella definizio-ne dello scenario tendenziale; per la maggior parte dei settori agroalimentari, fortementeintegrati nell’economia comunitaria, il prezzo di mercato nazionale è influenzato dall’an-damento dei prezzi europei; inoltre, in molti settori l’isolamento dell’economia comuni-taria dalle influenze dei prezzi mondiali si è ridotto nel tempo, per effetto dell’abbassa-mento delle barriere agli scambi e della riduzione del sostegno di mercato interno. Pur re-stando ancora divari significativi tra i livelli dei prezzi europei e i livelli dei prezzi mon-diali, i gap si sono progressivamente ridotti negli ultimi anni per effetto dei negoziati WTOe degli accordi bilaterali di riduzione delle barriere tra aree commerciali diverse.

L’evoluzione stimata dei prezzi al 2015 è basata principalmente sull’andamento passato deiprezzi medi all’importazione, elaborati dall’Ismea per tutti i prodotti agroalimentari6; inoltre,per alcune commodity, si è fatto riferimento alle proiezioni dei prezzi mondiali stimate dal-l’OCSE per il periodo 2004-2013, che riguardano i seguenti prodotti: frumento, mais, riso, soia,carne bovina, suina e ovicaprina, prodotti lattiero-caseari, oli di semi, mangimi e zucchero7.

Secondo l’OCSE, per la maggior parte di questi prodotti nel medio-lungo periodo ci si deveattendere un apprezzamento dei prezzi in termini nominali, ma un deprezzamento in terminirelativi, cioè una riduzione dei prezzi dei prodotti rapportati all’inflazione dell’area. Si affer-ma infatti in sintesi: “Prices for almost all products covered in this Outlook are expected tostrengthen over the projection period in nominal terms, but continue to trend downwards inreal terms.”8 In particolare, solo per alcuni prodotti quali cereali, carni bovine e carni ovinesi prevedono prezzi relativi più elevati rispetto ai livelli estremamente bassi sperimentati ne-gli anni più recenti, tuttavia anche per questi prodotti il trend è discendente se valutato in unorizzonte di lungo periodo (1993-2013).

In questo studio, si assume quindi che l’andamento dei prezzi mondiali influenzi l’anda-mento dei prezzi all’importazione dell’Italia di commodity agroalimentari, considerando

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6 Elaborazioni Ismea dei dati Istat del commercio estero dell’Italia; l’Ismea calcola i volumi di import di diversi aggre-gati di prodotti agroalimentari in quantità coefficientate ed elabora quindi i valori medi unitari (rapporto tra importa-zioni in valore e importazioni in quantità). 7 Le tendenze delineate dall’OCSE sono in linea anche con quelle che emergono da altre previsioni internazionali, qua-li quelle del FAPRI e della Commissione Europea; cfr. Commissione Europea, Prospects for agricultural markets andincome 2005-2012, july 2005.8 OECD Agricultural Outlook 2004, Pag. 6.

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sia le importazioni dall’Ue che quelle dal Resto del mondo. Quindi, le tendenze dei prez-zi mondiali OCSE sono state applicate al dato 2003 del valore unitario all’importazione,una volta ricondotte in valuta comunitaria9.

Per quanto riguarda i prezzi all’importazione dal Resto del mondo, occorre infatti tene-re conto anche dell’evoluzione del tasso di cambio dell’euro. A questo riguardo, sullabase delle indicazioni del modello OEF, nel periodo 2003-2015 si assume una rivaluta-zione dell’euro rispetto al dollaro, con un tasso di cambio che passerebbe da un valoreal 2003 di 1,13 dollari per 1 euro a 1,24 dollari nel 2015; si deve notare, peraltro, chequesto livello del tasso di cambio è stato già raggiunto nel 2004, cosicché l’ipotesi equi-vale a supporre che il tasso di cambio si mantenga intorno al livello corrente per il pros-simo decennio10.

Circa i prezzi all’importazione dall’Ue, per la maggior parte delle commodity agroali-mentari si suppone che essi seguano nei prossimi anni sempre più strettamente le tenden-ze dei prezzi mondiali previste dall’OCSE (senza considerare l’effetto tasso di cambio).

Per i prezzi all’importazione degli altri prodotti agroalimentari, per i quali non sono dis-ponibili fonti di dati sulle proiezioni future dei prezzi internazionali11 si è effettuata un’e-strapolazione delle tendenze in atto nei sette anni precedenti (1997-2003). Le proiezioniottenute sono state controllate ed eventualmente corrette sulla base del giudizio degli esper-ti di settore Ismea.

Infine, tutte le variazioni stimate dei prezzi sono state deflazionate utilizzando la varia-zione dell’indice dei prezzi al consumo per l’Ue a 15 desunta dal modello OEF; il tassomedio annuo di inflazione previsto dall’OEF per l’Ue a 15 per il periodo 2003-2009 è del2%; tale tendenza di crescita è stata estesa fino al 201512.

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9 Per la stima degli anni 2014 e del 2015 si è applicato il tasso medio annuo di variazione del periodo 2004-2013 cal-colato sulla serie delle proiezioni OCSE.10 Per il tasso di cambio tra dollaro neozelandese e dollaro statunitense si è utilizzata la proiezione OCSE.11 Per alcuni prodotti è peraltro difficile individuare un prezzo di riferimento principale sui mercati internazionali.12 Si ottiene quindi una variazione complessiva dei prezzi al consumo di quasi 27 punti percentuali tra il 2003 e il 2015.

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Fonte: elaborazioni Ismea su dati Istat, OECD, OEF.

Lo scenario che sulla base dei dati a disposizione può essere ritenuto ragionevolmente pre-vedibile per la dinamica reale dei prezzi dei prodotti agroalimentari importati da qui a die-ci anni è quindi quello che risulta nella tabella sopra riportata.

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Variazioni stimate al 2015 dei prezzi internazionali(Variazione %)

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Questo scenario non tiene conto di possibili evoluzioni delle politiche di liberalizzazionedegli scambi internazionali; infatti, le proiezioni sono basate sulle tendenze passate e cor-renti e sulle politiche attualmente vigenti. In particolare, il negoziato Doha del WTO è at-tualmente in fase di stallo e poco si può dire sulle decisioni che verranno prese qualoradovesse ripartire. E’ prevedibile tuttavia che in caso di un nuovo accordo, saranno appro-fondite le azioni di liberalizzazione volte a ridurre i divari dei prezzi internazionali oggivigenti, soprattutto nei settori ancora significativamente protetti, primo fra tutto l’agroa-limentare. Secondo il Rapporto sulle politiche commerciali dell’Ue del Segretariato delWTO13, il tasso medio di protezione tariffaria del settore agricolo dell’Ue è attualmenteancora pari al 10%, con punte molto alte per alcuni prodotti primari e trasformati, e il so-stegno interno continua a limitare le concorrenza estera, malgrado gli importanti passiavanti in questa direzione fatti con la Revisione a Medio termine della PAC del 2003.

E’ possibile quindi ipotizzare nell’arco dei prossimi dieci anni per la maggior parte deiprodotti agroalimentari, sebbene con differente intensità, una riduzione dei divari dei prez-zi vigenti nell’Ue rispetto a quelli mondiali, con un allineamento tendenziale dei primiverso i livelli più bassi dei prezzi mondiali. Ciò è plausibile che si verifichi anche soltan-to per effetto dell’integrazione commerciale dei paesi dell’Est europeo nell’Ue14 e del pro-seguimento delle politiche di riduzione del sostegno di mercato da parte della Commis-sione Europea, secondo una linea politica che appare ormai irreversibile.

Per quanto riguarda le tendenze macroeconomiche globali, nella realizzazione delle previ-sioni con il modello macroeconomico si sono tenute presenti le proiezioni del modello OEF15.

Sulla base delle attuali indicazioni dell’OEF, l’economia italiana potrebbe registrare nel me-dio-lungo periodo performance poco brillanti, attestandosi su un tasso medio di crescita delPIL a prezzi costanti dell’1,3% annuo, che porterebbe ad una crescita reale complessiva di16% punti percentuali circa tra il 2003 e il 2015. Secondo le valutazioni del Centro di Ricer-ca OEF, la crescita italiana sarebbe trainata nei prossimi anni dai servizi, il cui valore aggiuntopotrebbe crescere del 2,2% annuo (+26% nel complesso al 2015), mentre l’industria nel com-plesso (manifatturiera più le costruzioni) registrerebbe una preoccupante stagnazione con unacrescita media del valore aggiunto reale dello 0,3% annuo (+3,6% in totale).

Queste tendenze sono state tradotte nel modello attraverso le ipotesi sulla crescita dellaproduttività dei settori dei servizi e delle industrie non alimentari.

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13 WTO, Trade Policy Review – European Communities, Report by the Secretariat, 23 june 2004.14 Nel modello l’analisi per l’Ue si riferisce all’Ue a 15.15 Ci si è basati in particolare sulle proiezioni disponibili al 2009; il tasso medio di variazione annuo del periodo 2004-2009 è stato esteso al periodo 2010-2015.

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Anche per i dati del contesto mondiale, ed in particolare per i prezzi internazionali relati-vi ai settori non agroalimentari, ci si è basati sulle proiezioni del modello OEF. In parti-colare, si sono utilizzate le proiezioni relative alle seguenti variabili: il prezzo del petro-lio16; il prezzo delle materie prime non agricole17; il prezzo dei fertilizzanti18; il prezzomondiale delle esportazioni manifatturiere19; la crescita dei consumi nell’area OCSE20 enell’area dell’Ue a 1521.

Fonte: elaborazioni su dati OEF

Dato questo quadro, per le tendenze di crescita dell’agricoltura e dell’industria alimenta-re si è partiti dall’analisi storica dei dati di produttività del decennio 1994-2003.

I dati storici delle rese dell’agricoltura e degli allevamenti evidenziano che nel decenniopassato i tassi di aumento della produttività dei fattori (terra e animali) sono stati molto li-mitati. L’analisi delle serie storiche deve però tenere conto delle oscillazioni congiuntu-rali tipiche del settore; in particolare, per molte coltivazioni il 2003 è stato un anno parti-colarmente negativo a causa di fattori climatici. Considerando le medie biennali della se-rie di dati, si osservano aumenti apprezzabili della produttività principalmente per gli al-levamenti di bovini da latte, per il riso, il tabacco, la barbabietola da zucchero e i bovinida carne, mentre per gli altri settori gli aumenti di produttività sono inferiori allo 0,5% an-nuo o vi sono addirittura riduzioni. Appaiono in calo in particolare le rese per alcune col-

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16 Oil price; Brent crude spot $/barrel : WPO.17 Raw materials, world price, 2000=100 : WPRM.18 Fertilisers, World price, 2000=100 : WPFER.19 Exports, manufactures, World prices, 2000=100 : WPMAN$.20 OECD, US$ bn, 2000 prices/PPPs : OC00.21 Consumption, EU15, US$bn, 2000 prices/PPPs : EUC00.

Variazioni dei prezzi internazionali delle industrie non alimentari e dei servizi

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ture non irrigue (foraggi in asciutta), la soia e le altre colture industriali come il girasole ela colza; per queste ultime colture, i cali delle rese possono ricollegarsi anche alle modi-fiche nelle OCM di settore intervenute negli ultimi anni.

La previsione delle tendenze future per le rese agricole si basa quindi solo parzialmentesull’evoluzione passata, dovendo necessariamente basarsi anche su valutazioni qualitati-ve che tengano conto dell’evoluzione della PAC, in particolare con l’introduzione del dis-accoppiamento.

In particolare, si può supporre che, nei settori interessati dal disaccoppiamento dei premiPAC, la possibilità per gli imprenditori di orientare le produzioni secondo le indicazionidel mercato rappresenti un incentivo agli incrementi di efficienza; a questo effetto si do-vrebbe aggiungere poi quello puramente statistico a livello settoriale, dovuto all’uscita dalmercato delle aziende marginali, meno efficienti.

Anche per l’industria alimentare, si è partiti dall’analisi delle tendenze del decennio prece-dente. Nel decennio 1993-2003 secondo i dati Istat della contabilità nazionale sul valore ag-giunto a prezzi costanti per occupato la crescita della produttività del lavoro dell’industriaalimentare, bevande e tabacco è stata pari all’8,4% nell’intero periodo, inferiore a quella me-dia delle industrie non alimentari (+13,2%) e dell’economia nel complesso (+9%). Tuttavia,se solo si slitta il periodo di riferimento di due anni e si prende in considerazione il decen-nio 1991-2001, i risultati del settore appaiono ben diversi; l’industria alimentare infatti è cre-sciuta del 22% in confronto al +17% delle altre industrie e al +15% dell’economia italiana.

Negli ultimi anni infatti il settore alimentare ha salvaguardato i livelli occupazionali, men-tre la crescita del valore aggiunto reale non è stata sufficiente a mantenere i precedenti rit-mi di crescita della produttività del lavoro. Anche l’analisi dei dati di Censimento evi-denzia la riduzione delle dimensioni medie delle imprese del settore (da 7,5 addetti perimpresa nel 1991 a 6,6 nel 2001), riduzione che ha interessato quasi tutti i settori dell’in-dustria (fanno eccezione le carni, il lattiero caseario, le granaglie).

Per le tendenze future, è necessario chiedersi se quello degli ultimi anni sia un vero e pro-prio cambiamento strutturale per l’industria alimentare; sulla base delle tendenze storichedella produzione per occupato per i singoli settori e tenendo presenti il quadro macroeco-nomico, che secondo le indicazioni dell’OEF appare estremamente pessimistico per l’inte-ra industria manifatturiera, si è ipotizzato che anche nel prossimo decennio i tassi di incre-mento della produttività reale saranno molto contenuti. Tuttavia, al fine di sottolineare la cri-ticità di questa variabile per la crescita della produzione e del valore aggiunto dei settori eco-nomici, si sono effettuate anche alcune simulazioni degli effetti sul settore alimentare, sullafiliera agroalimentare e sull’intera economia, di tassi di progresso tecnico ben più elevati.

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2.2 Gli scenari analizzati

Gli scenari alternativi considerati nella previsione sono determinati dalla combinazione didiverse ipotesi relativamente all’andamento al 2015 delle seguenti variabili esogene:

il sostegno di mercato della PAC (aiuti diretti al reddito degli agricoltori);la produttività dei 45 settori economici considerati nel modello MEG-D Ismea;i prezzi sui mercati dell’Ue e del Resto del mondo dei prodotti scambiati sui mercati in-ternazionali.

Nel lavoro si considerano tre scenari tendenziali principali, così riepilogabili, in sintesi:

Uno scenario di moderata liberalizzazione dei mercati, che, sulle linee del recente pas-sato, considera l’entrata a pieno regime della Riforma a medio termine della PAC e ridu-zioni tendenziali dei prezzi internazionali, ed è basato, per quanto riguarda la crescita com-plessiva dell’economia italiana, sulle proiezioni macroeconomiche del modello OEF (sce-nario tendenziale “base”).

Uno scenario di più accentuata liberalizzazione e maggiore concorrenza nei mercatiinternazionali per il settore agroalimentare, che incorpora un’ipotesi “forte” di riduzionedel sostegno per l’agricoltura della Ue e maggiori ribassi dei prezzi internazionali comeconseguenza dell’accelerazione della riduzione delle barriere commerciali per i prodottiagroalimentari in ambito WTO.

Uno scenario di ulteriore rallentamento della crescita macroeconomica, che assumeil proseguimento di un trend di bassa crescita della produttività dei settori industriali e deiservizi in Italia sperimentato nell’ultimo decennio.

Entrando maggiormente nel merito delle ipotesi introdotte negli scenari tendenziali, lo sce-nario di moderata liberalizzazione e concorrenza (tendenziale base), che si fonda sulrecente passato e sulle proiezioni di crescita macroeconomica del modello OEF, assume,per l’agricoltura e l’industria alimentare, quanto di seguito descritto.

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Relativamente alla Politica Agricola Comune, si considera il sostegno di mercato previ-sto dalla Riforma di Medio Termine della PAC a pieno regime, cioè trascorso il periodotransitorio di attuazione della riforma (2005-2009). Il modello tiene conto quindi delle mo-difiche introdotte dalla riforma per ciascuna Organizzazione comune di mercato (OCM)interessata, rispetto alla situazione pre-riforma (corrispondente allo stato di attuazione del-la politica di “Agenda 2000” nel 2003). Si introducono anche i nuovi regimi per olio dioliva, tabacco e zucchero. Inoltre, si considerano anche le trattenute e gli aiuti supple-mentari previsti per alcuni settori in base all’art.69 del Reg. 1782/200322.

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22 Su questi aspetti è stato necessario fare alcune ipotesi di studio, non essendo disponibili informazioni definitive sul-le modalità di attuazione.

Riepilogo delle ipotesi degli scenari tendenziali

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Lo scenario fornisce una valutazione dell’impatto del disaccoppiamento degli aiuti e del-la loro riduzione, prevista dalla modulazione. Nello scenario evolutivo base al 2015, nonsi considerano altre variazioni nel sostegno rispetto al livello stimato nel 2009, nel qualela riforma a medio termine sarà sostanzialmente a regime in tutti i settori.

E’ importante sottolineare che le simulazioni non tengono conto delle misure PAC di so-stegno allo sviluppo rurale e del trasferimento di fondi dal “primo pilastro” – il sostegno almercato – al “secondo pilastro”. Quindi non viene valutato l’effetto della redistribuzionedegli aiuti, trasferiti tramite la modulazione dal sostegno di mercato allo sviluppo rurale.

Come proxy del tasso di progresso tecnico dei settori agricoli, si è considerata la crescita del-le rese23, la cui tendenza nei singoli settori nel periodo 2004-2015 è stata desunta dall’anda-mento del decennio precedente (1993-2003) e da successive valutazioni degli esperti.

Per i settori dell’agricoltura e della pesca si considera uno scenario caratterizzato da re-cuperi di produttività molto limitati rispetto al periodo precedente, conclusosi con gene-ralizzati cali delle rese, solo in parte dovuti a fattori climatici congiunturali.

In particolare, per i settori interessati dal disaccoppiamento dei premi PAC, si è ipotizzato unlimitato recupero della produttività, ad esso conseguente, che conduce ad una sostanziale sta-bilità o a lievi aumenti delle rese dei cereali, compreso il riso, e delle colture industriali irri-gue, ed a un leggero calo delle colture industriali non irrigue e dei foraggi in asciutta.

Nell’ambito degli allevamenti, un’apprezzabile crescita della produttività si ipotizza soloper il latte bovino, per il quale dovrebbero farsi ulteriormente sentire gli effetti del pro-cesso di concentrazione in atto nel settore, mentre per la carne bovina e le carni suine siprevede un incremento limitato del peso medio per capo. Si considera infine il prosegui-mento del trend discendente della produttività della pesca, sebbene in misura più limitatarispetto al periodo precedente.

Il progresso tecnico nei settori dell’alimentare, bevande e tabacco è invece approssimatodalla crescita della produttività del lavoro (produzione per addetto). Così, per l’aggregatoindustria alimentare al 2015, si sono mantenute le tendenze registrate nel decennio 1993-2003, che vedono una crescita della produttività del lavoro più contenuta della media del-le altre industrie, da imputarsi al rallentamento registrato dal settore alimentare dopo il 2001. Complessivamente, si ipotizza una bassissima progressione della produttività dell’indu-

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23 Per le produzioni vegetali si sono considerate le rese della terra (produzione per ettaro), per le produzioni animali edella pesca, rispettivamente le rese per capo (consegne di latte per capo o peso medio a capo) e per battello (produzio-ne per battello).

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stria alimentare (+2,5% nell’intero periodo), se confrontata con l’andamento del decennio1993-2003 (+8,4%) e, soprattutto, con le performance registrate tra il 1991 e il 2001 (+22%),come si è visto nel paragrafo precedente.

A livello di singoli settori ed anche a seguito di valutazioni qualitative di esperti, la pro-duttività del lavoro è data in aumento, con incrementi superiori alla media del settore, perle industrie del vino, lattiero-casearia, della trasformazione ortofrutticola e degli altri ali-mentari (acque minerali, bevande, altri prodotti alimentari).

Per quanto riguarda i prezzi internazionali, in generale lo scenario tendenziale base ipo-tizza una situazione competitiva internazionale piuttosto sfavorevole per i prodotti agroa-limentari nazionali, sia nell’area Ue che nel Resto del mondo. I prodotti agroalimentari siconfronteranno infatti con prezzi internazionali generalmente calanti in termini reali: inmedia emerge una contrazione del 2,4% annuo per i prezzi mondiali e dell’1,6% annuoper i prezzi Ue deflazionati.

I prezzi all’importazione mondiali scontano in particolare la rivalutazione dell’euro, chesi ipotizza proseguire portando ad una crescita complessiva di nove punti percentuali deltasso di cambio dollaro/euro nel 2015 rispetto al 2003, sulla base delle indicazioni del mo-dello OEF. Peraltro essa, di fatto, appare già raggiunta attraverso la dinamica di apprez-zamento dell’euro sul dollaro Usa che ha contrassegnato il 2004. Ne conseguono contra-zioni più o meno marcate dei prezzi mondiali per tutti i prodotti agroalimentari, ad ecce-zione del riso, dell’olio di oliva e del vino. A ciò si aggiunge l’effetto del calcolo dei prez-zi depurati dall’inflazione.

L’andamento dei prezzi all’importazione dall’Ue si suppone seguire nei prossimi anni sem-pre più strettamente le tendenze dei prezzi mondiali (senza considerare l’effetto tasso dicambio) per la maggior parte dei prodotti. Nell’ambito dei prodotti agroalimentari, i prez-zi all’importazione dall’Ue sono previsti in calo in termini reali per tutti i prodotti, eccet-to il riso e i prodotti ortofrutticoli.

Per quanto riguarda le altre industrie e i servizi, lo scenario tendenziale base assume perla produttività del lavoro delle industrie non alimentari una crescita molto contenuta (+6%in media per l’insieme di queste industrie nell’intero periodo) in linea con quanto preve-de il modello OEF. Per la produttività del lavoro dei due settori dei servizi si prevedonorilevanti incrementi (1,5% annuo, che determina un aumento totale del 20% nel periodo),sempre in coerenza con le indicazioni del modello OEF, tanto da portare il settore dei ser-vizi a fare da traino per l’intera economia. Tale ipotesi si giustifica considerando che nelsettore dei servizi vi è maggiore spazio per il progresso tecnico generato dalla diffusionedelle conoscenze nell’economia globale, mentre il progresso tecnico dei settori industria-li richiede specifici investimenti in R&S.

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Anche per le altre industrie i prezzi mondiali si assumono stabili o in lieve calo, ad ecce-zione del prezzo per i combustibili e lubrificanti che, seguendo il prezzo del petrolio, siassume crescere ad un tasso medio annuo dell’1,4% (19% nel complesso). Similmente,anche per i servizi, infine, si assumono prezzi internazionali in aumento (in linea con lacrescita dei consumi nei paesi OCSE).

Lo scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza ipotizza che il processo di ri-duzione del sostegno di mercato della PAC sia accelerato e approfondito attraverso un for-te, ulteriore taglio del livello degli aiuti diretti, sia accoppiati che disaccoppiati (-20%),ben superiore alle attese. Tale ipotesi radicale è stata fatta al fine di ottenere valutazionichiare sugli effetti di una liberalizzazione spinta nel settore agricolo. In questo scenario siipotizza che tale drastico taglio sia associato ad un incremento della produttività per leproduzioni ancora soggette al sostegno che ne sperimentano la riduzione, per il sempliceeffetto statistico a livello di settore dovuto alla definitiva uscita dal mercato delle aziendemarginali meno efficienti, caratterizzate da bassi livelli delle rese.

Allo stesso modo, in questo scenario si suppone che l’attuazione di politiche di liberaliz-zazione degli scambi internazionali nell’ambito del WTO e di accordi commerciali regio-nali conduca ad una più forte riduzione dei prezzi internazionali per i prodotti agroali-mentari, per i quali ancora esistono elevate barriere commerciali suscettibili di abbassa-mento. Si considera quindi un’ulteriore contrazione dei prezzi di tutti i prodotti agroali-mentari dell’1% all’anno, rispetto a quanto ipotizzato nello scenario tendenziale base.

Lo scenario di crescita rallentata vuole invece prendere in considerazione un’ipotesi piùpessimistica sulla dinamica economica rispetto a quanto ipotizzato nello scenario tenden-ziale base, distaccandosi dalle previsioni di crescita del modello OEF e mantenendo, in-vece, uno scenario di bassa crescita dell’industria nel complesso e dei servizi sulle lineedelle performance deludenti degli ultimi anni. Lo scenario consente di valutare le conse-guenze per i settori agroalimentari del proseguimento di una situazione di sofferenza delcontesto economico generale, che si concretizza in una bassa crescita della produttivitàdelle altre industrie e dei servizi, cioè nei settori trainanti per l’economia italiana.

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Riepilogo dei valori medi assunti dalle variabili esogene per i macro-settori neitre scenari tendenziali

(variazioni percentuali totali 2003-2015)

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3. L’ANALISI MACROECONOMICA DEGLI EFFETTI DEI DIVERSI SCENARIPER L’INTERA ECONOMIA E I COMPARTI DELL’AGROALIMENTARE

3.1 Il modello utilizzato per l’analisi macroecononomica

Il modello utilizzato in questo studio per l’analisi degli effetti macroeconomici degli sce-nari tendenziali ipotizzabili sino al 2015 è il MEG-D Ismea.

Il MEG-D Ismea è un modello di equilibrio economico generale dell’economia italiana,multisettoriale focalizzato sull’agricoltura e l’industria alimentare, ricorsivo dinamico. Ilmodello è stato costruito per valutare gli impatti derivanti dall’attuazione di politiche na-zionali e comunitarie sul sistema agro-alimentare.

In particolare, si valutano gli effetti sulla produzione di ciascun settore economico, sulladomanda dei fattori produttivi, sui prezzi di mercato dei beni e dei fattori, sulla domandadi beni da parte dei consumatori e, in definitiva, sul livello di benessere delle famiglie agri-cole, rurali e urbane che compongono la società italiana.

Le principali caratteristiche del modello MEG-D Ismea sono illustrate in Appendice.

In sintesi, si tratta di un modello che rappresenta un’economia walrasiana in cui i merca-ti sono perfettamente competitivi. Data questa economia walrasiana, si considera l’attua-zione della Politica Agricola Comunitaria ed i suoi effetti distorsivi sulle scelte produtti-ve e sull’allocazione dei fattori. Il modello prevede 45 settori; l’agricoltura è articolata in23 settori e l’industria alimentare in 13. Gli altri settori dell’economia sono stati aggrega-ti sulla base dei legami con il settore primario e alimentare, come risulta dalle tavole in-tersettoriali Ismea24.

Nel modello sono considerate due aree commerciali, l’Unione Europea ed il Resto delMondo. Dal lato del consumo, le famiglie sono disaggregate in 11 categorie: 7 classi difamiglie agricole, 1 classe di famiglie rurali e 3 classi di famiglie urbane.

Il modello è stato reso dinamico allo scopo di valutare l’evoluzione nel medio periodo delsettore agricolo e dell’agro-industria. Gli elementi del modello che sono stati resi dina-mici sono l’evoluzione della produttività dei vari settori e l’offerta di capitale che rappre-sentano le equazioni che generano e sostengono la crescita. L’offerta di lavoro, al contra-rio, viene assunta costante.

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24 Ismea, La tavola delle interdipendenze settoriali del settore agroalimentare italiano, settembre 1997.

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3.2 Gli impatti generali e settoriali

3.2.1 Lo scenario tendenziale base, di moderata liberalizzazione e concorrenza

Come illustrato nel paragrafo 2.2, lo scenario tendenziale base si fonda sul recente passa-to, per quanto riguarda la dinamica dei prezzi internazionali e la produttività, e sulle proie-zioni di crescita macroeconomica del modello OEF. A livello aggregato, dal lato della produzione e del valore aggiunto si osservano i seguentirisultati:

una crescita del PIL di quasi 19 punti percentuali a valori costanti rispetto all’anno iniziale(1,6% all’anno in media per 12 anni), trainata soprattutto dai servizi, in linea con le pre-visioni del modello OEF; la stagnazione dell’agricoltura ed una crescita del settore alimentare inferiore alle altre in-dustrie;sia l’agricoltura che l’industria alimentare presentano basse performance soprattutto intermini di valore aggiunto, dato che la quantità di input intermedi consumati cresce piùdella produzione. In particolare, il valore aggiunto dell’industria alimentare crescerebbein termini reali complessivamente del 7% (cioè mediamente solo dello 0,6% all’anno).

Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, scenario tendenziale base

Fonte: ISMEA

Il settore agricolo è fortemente influenzato dalla riforma a medio termine della PAC che in-troduce il disaccoppiamento. Si confermano a questo riguardo le risultanze dell’analisi preli-minare condotta recentemente dall’Ismea25 sull’impatto della riforma PAC, sebbene i risul-tati siano ora ulteriormente qualificati dall’introduzione dell’evoluzione della competitivitàrelativa tra i settori (crescita delle rese) e della competitività in confronto ai prodotti esteri.

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25 Cfr. Ismea, L’impatto della riforma della PAC sulle imprese agricole e sull’economia italiana, Franco Angeli, 2004

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Le riallocazioni produttive indotte dal disaccoppiamento dei premi sono significative, concontrazioni delle produzioni cerealicole e delle colture industriali, oltre che dell’olivicol-tura, ed un aumento delle superfici foraggere e delle superfici non coltivate. I settori inte-ressati dalla riforma risentono inoltre in maggioranza della concorrenza sui mercati inter-nazionali in presenza di prezzi mondiali e Ue generalmente calanti, mentre la crescita del-la produttività (che si è ipotizzata in lieve recupero rispetto alle tendenze passate per ef-fetto del disaccoppiamento dei premi in tutti i settori interessati dalla riforma) non è suf-ficiente a controbilanciare le tendenze depressive per la produzione.

Contrazioni produttive talvolta molto rilevanti si prevedono per le produzioni di frumen-to duro e tenero, soia, altre colture industriali, tabacco, barbabietola, olive. Nell’ambitodegli allevamenti, risultano penalizzati solo gli ovicaprini; gli altri allevamenti da carne eda latte nel complesso non appaiono penalizzati dalla riforma PAC mentre gli andamentidelle rese sostengono ulteriormente la produzione. Vi è inoltre il settore della pesca cheregistra un calo produttivo significativo (-20% totale, pari ad una contrazione dell’1,5%all’anno) per effetto della ipotizzata riduzione della produttività del settore e della mag-giore competitività del prodotto estero.

La riforma della PAC sembrerebbe avere, inoltre, un impatto piuttosto limitato sull’indu-stria alimentare: ripercussioni negative a valle si evidenziano soltanto sulla produzione dizucchero e sulla lavorazione del tabacco. In questi settori, tuttavia, a differenza della mag-gior parte dei settori agricoli, la crescita della produttività agisce in senso compensativo.

Le dinamiche produttive attese sono quindi molto articolate. Variano dal +29,5% del set-tore degli oli di semi e grassi, favorito dalla riduzione dei costi delle materie prime sia na-zionali che estere, al –4,7% del settore delle barbabietole, per il quale predomina l’impat-to sfavorevole della riforma PAC. Sono molto modesti inoltre i tassi di espansione attesiper i comparti del vino (+4,6%) e dell’olio di oliva (+0,7%), quest’ultimo influenzato daldisaccoppiamento dei premi nel settore primario.

L’evoluzione del valore aggiunto reale, per tutti i comparti della trasformazione conside-rati, mostra dinamiche inferiori ai consumi intermedi, con l’unica eccezione del vino. Isettori che tengono maggiormente in termini di valore aggiunto sono: ortofrutta (+17,1%),altre industrie alimentari (acque minerali, bevande, altri alimentari, il cui valore aggiuntocresce del 14,9%), olio di semi (+10,5%), tabacco (+9,0%), latte e derivati (+8,5%) e vi-no (+8,4%).

Anche a monte dell’agricoltura, la riforma della PAC determina un impatto evidente sul-le industrie chimiche produttrici di concimi e pesticidi, la cui portata depressiva sulla pro-duzione è, però, sufficientemente compensata dalla crescita della produttività del lavoroprevista per questi settori.

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Le dinamiche deflazionate dei prezzi di mercato risultano discendenti per la maggior par-te dei settori economici. Ciò si deve attribuire in parte al generalizzato calo dei prezzi in-ternazionali; infatti, il prezzo di mercato di ciascun prodotto dipende dalla quantità di be-ni disponibili sul mercato, cioè dai beni prodotti in Italia e non esportati e dai beni im-portati, e quindi dall’andamento dei prezzi interni ed esteri. In particolare, i prezzi dei pro-dotti agroalimentari risultano in generalizzata contrazione al 2015; fanno eccezione solotre prodotti primari: il riso, l’uva, e il pesce.

Tra gli alimentari i minori cali dei prezzi si registrano per il vino; per questo prodotto loscenario tendenziale prevede una minore pressione concorrenziale sui mercati mondialirispetto agli altri prodotti, dato che si assumono prezzi all’importazione dal resto del mon-do in crescita al 2015.

In cinque settori alimentari su dodici le riduzioni dei prezzi di vendita risultano inferioria quelle degli input intermedi di produzione. In tali casi, emerge quindi una maggiore,“teorica” capienza di profitto. Si tratta delle carni, della panificazione e dolciumi, dellapasta e della lavorazione delle barbabietole. Tuttavia, affiancando agli andamenti dei prez-zi e dei costi le dinamiche dei volumi di produzione e consumi intermedi, neanche in que-sti settori si profila una tenuta della redditività.

Per quanto riguarda gli scambi con l’estero, complessivamente si registra una riduzionedell’avanzo commerciale italiano in valore, a causa del peggioramento del deficit dell’a-gricoltura, silvicoltura e pesca (+13,6%) e della riduzione dei saldi positivi delle industrienon alimentari (-3,7%), mentre si registra un miglioramento del deficit dell’industria ali-mentare, bevande e tabacco, che risulta dimezzato nel 2015 rispetto all’anno iniziale.

Le importazioni aumentano per la maggioranza dei prodotti agricoli sia in volume che invalore, soprattutto per i prodotti la cui produzione interna si contrae per effetto della ri-forma PAC (frumento, soia, tabacco grezzo). Incrementi dei flussi in valore di export diprodotti primari si stimano per il riso e i prodotti ortofrutticoli che in termini prospetticirisultano meno pressati da un ulteriore appesantimento della concorrenza internazionaledi prezzo rispetto agli altri prodotti primari, sebbene si tratti di aumenti che in media an-nua non superano lo 0,5%.

Il valore delle esportazioni dell’industria alimentare aumenta per tutti i settori; tra i pro-dotti di punta del nostro export, il maggiore incremento complessivo si stima per le acqueminerali e bevande (altri alimentari, +9%); per le carni trasformate, gli ortofrutticoli tra-sformati, i prodotti da forno e dolciumi e per la pasta si stimano variazioni comprese trail 7,3% e l’8%, mentre per il vino l’incremento è limitato al 6%.

Le importazioni mostrano oscillazioni più ampie, giustificate dai livelli modesti di import

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di alcuni settori, che amplificano gli effetti di crescita anche in caso di spostamenti asso-luti non rilevanti. Tra i settori per i quali la dipendenza dall’estero è più accentuata, si pre-vede l’ulteriore incremento del ricorso alle importazioni per i prodotti lattiero caseari.

Dinamica produttiva stimata per i settori dell’agricoltura, silvicoltura e pesca,scenario tendenziale base – Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica produttiva stimata per le industrie alimentari, bevande e tabacco,scenario tendenziale base – Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata dei prezzi per le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco,scenario tendenziale base – Var %

Fonte: ISMEA

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Saldo commerciale al 2015 e variazione rispetto all’anno iniziale, scenario tendenziale base – miliardi di euro e var %

Valore assoluto sulla scala di sinistra e variazione % sulla scala di destra

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per il settore agricolo, scenario tendenzialebase – Var % dei valori

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per l’industria alimentare, bevande e tabacco,scenario tendenziale base – Var % dei valori

Fonte: ISMEA

3.2.2 Lo scenario di accentuata liberalizzazione e crescita della concorrenza internazionale

Lo scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza si basa sulle ipotesi che il pro-cesso di riduzione del sostegno di mercato della PAC sia accelerato e approfondito attra-verso un forte, ulteriore taglio del livello degli aiuti diretti, che determina un passo rile-vante nel processo di liberalizzazione dei mercati agricoli nell’Ue, e che l’attuazione dipolitiche di liberalizzazione degli scambi internazionali proceda a livello mondiale, de-terminando una contrazione ulteriore dei prezzi internazionali di tutti i prodotti agroali-mentari rispetto a quanto ipotizzato nello scenario tendenziale base.

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In questo scenario si assume, inoltre, che la riduzione del sostegno PAC, inducendo la de-finitiva uscita dal mercato delle aziende marginali meno efficienti, possa generare un li-mitato aumento della produttività nei settori agricoli interessati al taglio degli aiuti, in con-fronto a quanto assunto nello scenario tendenziale base26.

Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, scenario diaccentuata liberalizzazione e concorrenza

Fonte: ISMEA

A livello aggregato questo scenario determina un effetto espansivo sulla produzione ed il va-lore aggiunto, in confronto allo scenario tendenziale base, che interessa tutti i macro-settoried in particolare l’industria alimentare. Anche l’agricoltura fa registrare una crescita della pro-duzione leggermente più sostenuta (5% complessivo al 2015, in confronto al 3% dello sce-nario tendenziale base). A livello settoriale, soltanto il frumento tenero, il duro e l’olivicoltu-ra nella fase agricola registrano un lieve effetto negativo sulla produzione in confronto alloscenario tendenziale base.

Al fine di esplorare più a fondo tali risultati, si è proceduto ad un’analisi di sensitività delsistema economico al solo taglio degli aiuti PAC. A parità di crescita della produttività deisettori agricoli e di andamento dei prezzi internazionali, che restano come ipotizzati nel-lo scenario tendenziale base, si evidenzia così che il taglio del sostegno, intervenendo nelnuovo regime PAC basato sul disaccoppiamento, ha un impatto molto limitato sulle pro-duzioni. Infatti, il sostegno rappresenta un’integrazione al reddito cosiddetta “lump sum”,svincolata dalle scelte produttive27.

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26 L’incremento totale nel periodo della produttività del settore agricoltura, silvicoltura e pesca nel complesso passa dal-lo 0,4% dello scenario tendenziale base all’1,6% dello scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza.27 A priori, quindi si possano ipotizzare invece impatti di rilievo sul reddito degli agricoltori. L’analisi effettuata con ilmodello di equilibrio generale mostra che a seguito del taglio degli aiuti PAC la crescita del reddito disponibile reale ditutte le famiglie sia agricole che urbane è inferiore rispetto allo scenario tendenziale base; in particolare sono penaliz-zate le tipologie di aziende famiglie agricole marginali (con risorse limitate, condotte da pensionati, residenziali).

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In termini di valore aggiunto, la simulazione di sensitività evidenzia un lieve impatto ne-gativo sul valore aggiunto dell’agricoltura e dell’industria alimentare. In particolare, l’im-patto sui prodotti agricoli è sfavorevole soprattutto per le produzioni che hanno ancora unaparte del premio accoppiato (frumento duro, olio di oliva, barbabietola e tabacco), cui siaggiungono limitati effetti negativi per il frumento tenero e il riso. Di conseguenza, ri-percussioni a valle negative del taglio PAC si registrano per le industrie dei derivati deicereali (molitoria, panificazione, pasta), per l’olio di oliva, lo zucchero e il tabacco.

Come si è detto, nello scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza si è ipotizza-to inoltre che in conseguenza del taglio degli aiuti PAC, vi sia una maggiore crescita del-la produttività dei settori agricoli interessati. In questo caso, si ha un effetto piuttosto si-gnificativo, che più che compensa l’influenza depressiva sulla produzione della riduzio-ne del sostegno, anche nei settori maggiormente penalizzati.

L’analisi dello scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza è proseguita attra-verso l’approfondimento dell’impatto della sola riduzione dei prezzi internazionali sul si-stema economico. Attraverso una seconda analisi di sensitività, che ha simulato la ridu-zione dei prezzi internazionali dei prodotti agroalimentari dello scenario di accentuata li-beralizzazione, mantenendo invariate le altre ipotesi dello scenario tendenziale base, si èmesso in evidenza un impatto della liberalizzazione commerciale in qualche misura fa-vorevole all’industria alimentare nel complesso, mentre non si registrano effetti negativineanche sull’agricoltura nel suo insieme. Infatti, l’industria alimentare, da un lato sfavo-rita dalla maggiore competitività dei prodotti importati, si avvantaggia, dall’altro, dellageneralizzata riduzione dei prezzi di mercato delle materie prime agricole. Tra i settoriagricoli, alcuni restano relativamente isolati dall’impatto della riduzione dei prezzi inter-nazionali (barbabietola, riso) o si avvantaggiano di effetti di sostituzione colturali (es. soia).Risultano sfavoriti dalla maggiore concorrenza internazionale soltanto il frumento tene-ro, il duro, le colture industriali oleaginose (girasole e colza), le carni ovicaprine.

In definitiva, l’attuazione congiunta delle due politiche di liberalizzazione a livello di Uee mondiale, con l’ulteriore ipotesi di un aumento del progresso tecnico nei settori agrico-li interessati dalla riduzione del sostegno PAC, in confronto alla situazione di moderata li-beralizzazione ipotizzata nello scenario tendenziale base, determina un impatto positivoaggiuntivo praticamente in tutti i settori agroalimentari, con poche eccezioni (il frumentotenero e duro, nella fase primaria).

Nel complesso, tuttavia, si determina un ulteriore peggioramento del deficit commercia-le del settore agricolo; le importazioni di prodotti agricoli aumentano ancor più che nelloscenario tendenziale base e particolarmente per il frumento duro. Viceversa, l’industriaalimentare sembra non risentire dell’accresciuta concorrenza internazionale in quanto ivantaggi di costo più che compensano la riduzione dei prezzi di mercato, stimolando la

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produzione. Aumenta quindi in questo scenario lo scollamento tra le componenti prima-ria e industriale della filiera agroalimentare.

A questo proposito è importante sottolineare che date le caratteristiche del modello utiliz-zato, l’analisi precedente non può tenere in considerazione i legami di tipo legislativo (pro-dotti DOP) e di tipo strategico che esistono tra materia prima di origine nazionale e pro-dotto industriale, che consentono all’industria italiana di differenziare la propria produ-zione dal mercato delle commodity, evitandole di entrare nella più ostica arena della com-petizione del prodotto indifferenziato. In questi casi la sostituzione della materia prima na-zionale con quella estera non rappresenta una soluzione efficiente o possibile e la libera-lizzazione dei mercati mondiali non ha l’impatto positivo atteso. D’altro lato, nell’ambi-to della concorrenza sui prodotti indifferenziati, l’esperienza ha più volte dimostrato, conrare eccezioni, che i tradizionali limiti strutturali, di costo ed organizzativi della media im-presa alimentare italiana non consentono margini sufficientemente remunerativi.

Va inoltre sottolineato come le assunzioni alla base dei risultati macro considerino una cre-scita di produttività dei settori agricoli particolarmente influenzati dal disaccoppiamentodei premi PAC. Tale crescita trova fondamento statistico, almeno per una parte consisten-te. Infatti, si è ritenuto che l’abbandono produttivo di un numero ragguardevole di picco-le e piccolissime aziende agricole caratterizzate da bassa produttività, comporterà un au-tomatico spostamento verso l’alto di tale parametro grazie al guadagno di efficienza delsettore.

Di nuovo, in una valutazione complessiva dello scenario, non si potrà non tenere contodell’impatto che un tale fenomeno potrà generare e che potrà toccare profondamente losviluppo socio-economico di alcune aree del Paese ove l’attività agricola, pure in part-ti-me, rappresenta una delle componenti determinanti il tessuto connettivale territoriale.

Anche dal punto di vista dell’industria alimentare, ciò porrà la necessità di ricostruire nuo-vi rapporti commerciali con i fornitori nazionali e/o esteri, se precedentemente basati sulegami con piccole aziende agricole emarginate dal mercato a seguito della Riforma PAC.Questo ribadisce l’importanza dell’efficiente funzionamento dei mercati di approvvigio-namento e delle strutture logistiche ed infrastrutturali.

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Dinamica produttiva stimata per i settori dell’agricoltura, silvicoltura e pesca,scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza – Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica produttiva stimata per le industrie alimentari, bevande e tabacco,scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza - Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata dei prezzi per le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco,scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza - Var %

Fonte: ISMEA

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Saldo commerciale al 2015 e variazione rispetto all’anno iniziale, scenario diaccentuata liberalizzazione e concorrenza - miliardi di euro e var %

Valore assoluto sulla scala di sinistra e variazione % sulla scala di destra

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per il settore agricolo, scenario di accentuataliberalizzazione e concorrenza - Var % dei valori

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per l’industria alimentare, bevande e tabacco,scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza – Var % dei valori

Fonte: ISMEA

3.2.3 Lo scenario di crescita rallentata

Lo scenario di crescita rallentata prende in considerazione un’ipotesi più pessimistica sul-la crescita economica rispetto a quanto ipotizzato nello scenario tendenziale base, assu-mendo il permanere delle tendenze di bassa crescita dell’industria nel complesso e dei ser-vizi negli ultimi anni in Italia.

In questo scenario si assumono, infatti, tassi medi di crescita della produttività delle in-

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dustrie non alimentari e dei servizi pari rispettivamente allo 0,3% annuo e allo 0,5% an-nuo, sulle linee delle performance deludenti dell’ultimo decennio. Vengono mantenuti in-vece i tassi di crescita della produttività dell’agricoltura e delle industrie alimentari, chegià risultano poco brillanti nelle ipotesi dello scenario tendenziale base: ciò, al fine di va-lutare le prospettive per i settori agroalimentari in una situazione di generale stasi dell’e-conomia.Infatti, la crescita reale dell’economia risulta più che dimezzata rispetto allo scenario ten-denziale base, con una produzione che arranca in tutti i macrosettori e la cui espansionesi riduce rispetto allo scenario tendenziale base. Tale processo si attenua proporzional-mente, tuttavia, in agricoltura e nell’industria alimentare. In questo contesto vengono mes-se in evidenza le caratteristiche di anticiclicità dell’industria alimentare. I settori dell’in-dustria alimentare che più risentono del clima di stagnazione generale con un effetto de-pressivo sulla produzione sono l’industria mangimistica, la trasformazione ortofrutticola,gli altri alimentari.

Il deficit commerciale dell’industria alimentare peggiora lievemente rispetto allo scena-rio tendenziale, mentre restano stabili il disavanzo agricolo e il saldo degli altri settori. Inuno scenario di bassa crescita, infatti, si comprime la domanda di beni di consumo nonalimentari mentre per i beni di necessità come gli alimentari per i quali la domanda è piùrigida si fa maggiore ricorso all’approvvigionamento estero.

Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, scenario dicrescita rallentata

Fonte: ISMEA

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Dinamica produttiva stimata per i settori dell’agricoltura, silvicoltura e pesca,scenario di crescita rallentata - Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica produttiva stimata per le industrie alimentari, bevande e tabacco, scenario di crescita rallentata - Var % in termini reali

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata dei prezzi per le industrie alimentari, delle bevande e del tabacco,scenario di crescita rallentata - Var %

Fonte: ISMEA

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Saldo commerciale al 2015 e variazione rispetto all’anno iniziale, scenario dicrescita rallentata - miliardi di euro e var %

Valore assoluto sulla scala di sinistra e valore % sulla scala di destra

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per il settore agricolo, scenario di crescitarallentata - Var % dei valori

Fonte: ISMEA

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Dinamica stimata di import ed export per l’industria alimentare, bevande e tabacco,scenario di crescita rallentata - Var % dei valori

Fonte: ISMEA

3.2.4 Le simulazioni di aumenti della produttività nella filiera agroalimentare

Gli scenari analizzati fino ad ora hanno incorporato ipotesi su alcuni fenomeni relativa-mente ai quali il margine di intervento nazionale è limitato o nullo (come la PAC e la li-beralizzazione degli scambi internazionali). Si è quindi ritenuto opportuno effettuare treulteriori simulazioni per valutare le conseguenze di strategie imprenditoriali e/o di politi-che economiche di stimolo della crescita della produttività nei settori agroalimentari.

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In particolare, le simulazioni mirano a valutare la portata correttiva che tali azioni po-trebbero arrecare se intraprese in ciascun macro-settore (agricoltura, industria alimentare)rispetto ai risultati dello scenario tendenziale e a valutare se azioni congiunte di filiera pos-sano o meno generare effetti potenziati rispetto ad azioni indipendenti portate avanti neidue macro-settori.

È utile sottolineare come la crescita della produttività, fattore sul quale si è agito nelle tresimulazioni, rappresenti solo l’effetto ultimo di un ampio set di interventi e/o fenomeni dicui i due macro-settori potrebbero essere oggetto. Solo a titolo di esempio si possono ci-tare: “l’effetto statistico” derivante dall’abbandono della produzione delle imprese più pic-cole e meno efficienti, una crescita del tasso di progresso tecnico nell’agroalimentare de-rivante da maggiori investimenti pubblici e/o privati in R&S, processi di concentrazioneche portino all’accorpamento di più imprese, la riduzione dei costi conseguente ad unainiezione di liberismo nel mercato dei servizi o ad un reale passo in avanti dal punto di vi-sta infrastrutturale. Resta inteso che in questa sede non si intende parlare soltanto di cre-scita delle produttività, soprattutto in agricoltura, nel senso di un incremento dei volumiunitari prodotti dal fattore terra - effetto che potrebbe derivare dai processi di accorpa-mento fondiario, per i quali c’è ancora ampio spazio in Italia - quanto, piuttosto, di cre-scita di valore aggiunto apportata da strategie di differenziazione, dall’utilizzo di nuovevarietà o dalla capacità di aumentare il contenuto in servizio delle produzioni agroali-mentari nazionali.

Nella prima simulazione (S1), le rese di tutti i settori agricoli e della pesca sono state au-mentate di un ulteriore 0,5% annuo, in confronto allo scenario tendenziale base; nel com-plesso, la produttività dell’agricoltura cresce quindi del 6,5% nel periodo considerato, inconfronto allo 0,4% dello scenario tendenziale base.

Nella seconda simulazione (S2), la produttività del lavoro di tutti i settori alimentari è stataaumentata dello 0,5% annuo, cosicché l’industria alimentare nel complesso registra un tas-so di progresso tecnico dell’8,6% nel periodo, in confronto al 2,5% del tendenziale base.Questo tasso sarebbe in linea con quello realizzato nel periodo 1993-2003.

Nella terza simulazione (S3), l’incremento di produttività è realizzato congiuntamente intutti i settori della filiera agroalimentare, assumendo cioè sia un tasso di crescita del 6,5%dell’agricoltura sia un tasso di crescita dell’8,6% dell’industria alimentare. Questo tassosarebbe in linea con quello realizzato nel periodo 1993-2003.

I risultati mostrano che la maggiore crescita della produttività genera effetti rilevanti siaper l’agricoltura che per l’industria alimentare; l’agricoltura, nel primo caso, guadagna nelcomplesso 6 punti percentuali di maggiore produzione rispetto allo scenario tendenzialebase e l’alimentare nel secondo caso ottiene risultati ancora migliori.

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Il modello, inoltre, mette in luce perfettamente il tipo di interazioni che intercorrono tra idue settori. A livello aggregato, se è vero che le politiche intraprese dai due settori singo-larmente avvantaggiano anche l’altro, è anche vero che una politica di filiera genera un“effetto moltiplicatore” che è certamente preferibile sia per l’agricoltura che per l’indu-stria alimentare, con vantaggi superiori soprattutto per i settori dell’alimentare.

Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, simulazionedi un aumento della produttività dell’agricoltura

Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, simulazionedi un aumento della produttività dell’industria alimentare

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Fonte: ISMEA

Fonte: ISMEA

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Variazioni totali 2003-2015 dei principali aggregati macroeconomici, simulazione di unaumento della produttività della filiera agroalimentare

3.2.5 I principali spunti forniti dall’analisi “macro”

In generale, i risultati macroeconomici hanno mostrato una tenuta del comparto agricoloed alimentare nei diversi scenari, sebbene rispetto alle variazioni della produzione i con-sumi intermedi aumentino relativamente di più per l’agricoltura che per l’industria ali-mentare. Inoltre, nell’arco del periodo di previsione, i prezzi dei prodotti e dei fattori alnetto dell’inflazione diminuiscono in modo economicamente poco significativo.

In particolare, il confronto tra lo scenario tendenziale e lo scenario di accentuata liberaliz-zazione e concorrenza, disegnato per isolare i potenziali effetti di una riduzione del soste-gno comunitario ai redditi agricoli in un periodo di riduzione delle difese commerciali, purmantenendo la crescita del resto dell’economia come nello scenario di riferimento, rivelache: 1) la riduzione dei contributi PAC non ha un impatto negativo sulla produzione del set-tore; 2) i settori agricoli, rilevanti per l’industria alimentare nazionale, più esposti al cam-biamento sono il settore del frumento tenero e duro che sono anche i settori dove la passa-ta politica di sostegno dei prezzi ha mantenuto nel mercato produzioni non efficienti. Inte-ressante è anche la pesca che va incontro ad una forte riduzione della produzione che puògenerare un marcato aumento dei prezzi; 3) le variazioni dei prezzi agricoli non hanno, ingenerale, un impatto economicamente significativo sulle produzioni alimentari - costi-tuendone solo una delle componenti dei costi intermedi – e, quindi, sui loro prezzi.

Questa osservazione vale anche per i settori alimentari che hanno un elevato tasso di ap-provvigionamento dalle produzioni nazionali come ortofrutta e vino le cui performancenon sono direttamente influenzate dalla PAC quanto piuttosto dai consumi finali. Inoltre,

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Fonte: ISMEA

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lo scenario di crescita rallentata rivela che la riduzione della produttività nel resto dell’e-conomia è responsabile di una riduzione delle produzioni di agricoltura ed industria ac-compagnata da una contrazione più che proporzionale dei costi intermedi, dovuta sia aduna flessione dei volumi dei consumi intermedi sia dei prezzi dei fattori, oltre che da unaminore riduzione relativa dei prezzi dei prodotti.

Per quello che concerne le riforme in agricoltura e le associate variazioni di produttività,esse sembrano non arrecare detrimento alla crescita dell’industria alimentare. Si tratta diun’affermazione forte e certamente valida per quei settori che già presentano un tasso diapprovvigionamento di materia prima sui mercati internazionali piuttosto alto e, quindi,hanno già sviluppato una certa confidenza con il mercato internazionale e con le sue re-gole e presentano un’organizzazione logistica efficace. Certamente diverso - ma il mo-dello utilizzato non può tenerne conto - è il discorso per i settori o i segmenti che hannolegami di tipo legislativo o strategico con le materie prime di origine nazionale o per lequali, alternativamente, il legame è più “semplicemente” di tipo logistico. Quest’ultimoaspetto riguarda tutte quelle imprese di trasformazione che, pur potenzialmente potendoattingere materia prima sui mercati internazionali, sono situate in zone infrastrutturalmentecarenti e vedrebbero annullati i benefici derivanti dai minori costi della materia prima este-ra da insostenibili costi di trasporto o da più radicali limiti di organizzazione logistica (pe-scaggio dei porti e presenza di sili portuali, le inadeguatezze strutturali dei mezzi e dellarete ferroviaria, nonché per scelte degli operatori orientate perfino alla chiusura degli sno-di ferroviari esistenti presso gli utilizzatori).

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* I - scenario tendenziale base, II - scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza, III

scenario di crescita rallentata

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Quadro riepilogativo per settore degli impatti delle simulazioni sulle differentigrandezze economiche*(variazioni % a prezzi costanti)

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Quadro riepilogativo per settore degli impatti delle simulazioni sulle differentigrandezze economiche* - continua(variazioni % a prezzi costanti)

* I - scenario tendenziale base, II - scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza, III

scenario di crescita rallentata

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4. L’ANALISI MICROECONOMICA DEGLI EFFETTI DEI DIVERSI SCENARISULL’INDUSTRIA ALIMENTARE

4.1 Il modello microeconomico per l’analisi della redditività

L’analisi microeconomica degli impatti dei diversi scenari sulla redditività delle impresedell’industria alimentare è stata effettuata utilizzando i bilanci delle imprese della Bancadati Aida–Bureau Van Dijk, che comprende i dati di bilancio di un vastissimo campionedi aziende alimentari italiane, pari a oltre il 50% dell’intero universo. Tale fonte è statamessa a disposizione dal Centro Studi Confindustria.

I microdati sono stati elaborati secondo la metodologia descritta in Appendice. In parti-colare, ai fini del presente lavoro i dati di bilancio sono stati disaggregati anche per di-mensione (“piccole” aziende, sotto i 7 milioni di fatturato, “medie” aziende, da 7 a 40 mi-lioni di fatturato, “grandi” aziende, oltre i 40 milioni di fatturato).

La ripartizione del fatturato per classi dimensionali, nella sua diversa struttura settoriale,assume particolare rilevanza in questo studio per l’interpretazione degli effetti dei diver-si scenari sulla redditività delle imprese e la valutazione degli effetti dei diversi interven-ti di politica economica.

La struttura del settore alimentare evidenzia una differente distribuzione settoriale del fat-turato tra le classi dimensionali. Considerando infatti il peso percentuale di ogni aggrega-to dimensionale sul totale del settore, emerge che il settore della pasta appare il più con-centrato con il 70,2% del fatturato realizzato dalle grandi imprese, seguite dalle medie(23,5%) e dalle piccole (6,3%). Anche il settore degli oli evidenzia un rilevante peso del-le grandi imprese (70,9%), mentre il settore delle granaglie appare l’unico dove la più ele-vata percentuale di fatturato settoriale non è di appannaggio delle grandi imprese (30,2%),ma delle medie (51,9%), con le piccole che pesano per il 17,0%.

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La distribuzione del fatturato dei settori dell’industria alimentare per classidimensionali d’impresa

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Per la valutazione delle prospettive reddituali delle imprese si sono costruiti due indica-tori in particolare, il MOL e il BEP; l’interpretazione dei due indicatori è illustrata nel para-grafo 4.1.2 mentre nel paragrafo 4.1.3 si descrive la situazione iniziale, in termini di pro-fitti netti di bilancio e dei due indicatori, per le imprese dei nove settori alimentari sui qua-li si è effettuata l’analisi degli scenari futuri al 2015.

L’analisi microeconomica degli scenari tendenziali è stata effettuata valutando gli effettisui bilanci settoriali degli impatti macroeconomici evidenziati con il modello MEG-DIsmea sulla produzione, sui prezzi di vendita, sui consumi intermedi, sui prezzi degli in-put intermedi e sul costo del lavoro28. I risultati per i tre scenari tendenziali sono illustra-ti nel paragrafo 4.2.

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28 Si tratta di microsimulazioni “non comportamentali” cioè che non considerano possibili reazioni comportamentali de-gli agenti economici agli shock introdotti. Le risposte comportamentali sono invece incorporate nell’analisi macroeco-nomica.

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4.1.1 Gli indicatori di redditività utilizzati

Al fine di semplificare l’analisi delle prospettive reddituali - che appaiono molto proble-matiche per i diversi settori dell’industria alimentare - sono stati utilizzati solo due indi-catori tra i tanti che la metodologia offre. In particolare la capacità reddituale “puntuale”,la sua intensità, è rappresentata dal MOL (margine operativo lordo) che individua la dif-ferenza tra i ricavi e le voci di costo relative alla produzione diretta dei beni al netto degliammortamenti e della gestione finanziaria, fiscale e straordinaria dell’impresa. Il valoredell’indice rappresenta quindi la redditività del “core business” fondamentale dell’impre-sa e, a livello settoriale, la capacità reddituale di quella specializzazione produttiva.

Il punto di pareggio (Break Even Point o BEP) è il secondo indice utilizzato perché indi-vidua la “soglia” produttiva da raggiungere perché i ricavi pareggino i costi diretti di pro-duzione. Anche in questo caso l’indicatore non è influenzato da politiche di bilancio e/ofinanziarie dell’impresa ma è sensibile solo alle attività produttive industriali. E’ quindipiù rappresentativo delle condizioni strutturali delle diverse imprese rispetto ad altri indi-ci più sofisticati. Inversamente ad altri indicatori finanziari il BEP rappresenta una situa-zione migliore quanto più è basso perché segnala la capacità dell’impresa di avere costiproduttivi minori in relazione al fatturato. In questo lavoro l’indicatore è stato percentua-lizzato e quindi il fatturato annuale delle imprese (o del settore) è pari al 100%.29

Nella struttura di questo lavoro il ruolo del MOL è quindi quello di rappresentare la ca-pacità reddituale delle imprese nella sua “intensità” che è confrontabile orizzontalmentetra i settori e nello spazio tra i diversi anni. Il ruolo del BEP è di rappresentare la capaci-tà reddituale in modo più “strutturale” al fine di sviluppare soprattutto confronti finaliz-zati all’esame delle prospettive future delle diverse imprese/settori in un’ottica di indica-zioni di “policy”.

4.1.2 Le condizioni attuali nei diversi settori

In relazione al database dei bilanci delle imprese dell’industria alimentare, analizzato pernove settori dell’industria alimentare, sono stati elaborati i dati relativi ai profitti netti dibilancio (utile e/o perdita), al MOL ed al BEP per l’esercizio finanziario del 2003.

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29 Se un’impresa raggiunge il punto di pareggio con valori molto alti (ad esempio oltre il 90%) non ha elevati marginidi redditività perché - sempre fatto 100 quanto ha venduto in un anno - per coprire i costi totali è dovuta arrivare fino al90% del valore del venduto lasciando ad una percentuale piccolissima del suo fatturato la capacità di remunerare tuttele voci di costo non legate alla produzione (gestione extracaratteristica). E’ ovvio che un BEP maggiore di 100 indivi-dua una “strutturale” situazione di non redditività dell’impresa.

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I valori dell’utile, percentualizzati rispetto al fatturato, evidenziano un valore di 0,8% perl’intero database dell’industria alimentare. Come si nota dalla tabella che segue, la red-ditività più elevata è realizzata dal settore pastario (2,7%) seguito dal settore del vino(1,5%) e dal settore delle carni (1,3%). Emergono perdite invece per il settore dell’orto-frutta (-0,2%) e per il settore delle granaglie (-0,1%).

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

In relazione ai risultati delle diverse classi dimensionali, è possibile notare come le pic-cole imprese tendano a realizzare performance peggiori, con cinque settori in perdita (or-tofrutta –0,7%; oli –2,4%; latte –0,2%; granaglie –0,6%; pasta –5,3%). La lettura dei ri-sultati delle grandi imprese evidenzia invece una linea di risultati sempre superiori a quel-li riferiti all’intero settore. Ad eccezione del settore dell’ortofrutta, che registra una perdi-ta, in tutti gli altri settori esaminati il gruppo delle grandi imprese si caratterizza per le per-formance migliori che, nel caso della pasta, superano il dato generale di 1,3 punti percen-tuali (4,0% per le grandi imprese e 2,7% per il settore).

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Utile/perdite per classi dimensionali nei settori - esercizio 2003

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Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

L’analisi dei dati relativi al MOL dei diversi settori mette in luce alcune differenze rispet-to all’esame dei dati dell’utile. Il settore con maggiore redditività risulta essere quello del-la panificazione e dolciumi (15,7%), seguito dalla pasta (11,8%) e, in antitesi con i datidell’utile, dall’ortofrutta (9,1%). Considerando invece i settori che realizzano bassi livel-li di redditività si conferma il momento non facile del settore delle granaglie (6,5%), conla carne e il vino superiori di poco (6,8%). Il valore generale del MOL per l’industria ali-mentare è dell’8,7%.

Considerando la distribuzione dell’indice per classi dimensionali, emerge un dato sostan-zialmente differente da quello emerso in relazione ai profitti di bilancio. In quattro setto-ri (ortofrutta, latte, mangimi e vino) le grandi imprese realizzano risultati migliori dellemedie e delle piccole, ma nel caso delle carni, degli oli e delle granaglie la situazione siribalta. In tali ambiti sono, in ordine, le piccole imprese a superare le medie e le grandi.Nei settori della panificazione e della pasta, infine, le grandi imprese precedono le picco-le, con le medie che realizzano il risultato peggiore. Come emerge dal grafico che segue,valutando l’industria alimentare nel suo complesso, le grandi imprese (9,7%) esprimonouna redditività superiore alle medie (7,5%) ed alle piccole (7,3%).

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MOL/fatturato per classi dimensionali nei settori - esercizio 2003

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MOL/fatturato settoriale e dimensionale - esercizio 2003

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Considerando infine i valori del punto di pareggio (BEP) per i diversi settori possono es-sere meglio valutate le potenzialità di sviluppo evolutivo. Il dato relativo all’intera indu-stria alimentare evidenzia un valore dell’88,0% che appare già abbastanza critico. Signi-fica infatti che il 12% del cash flow generato dalle vendite deve coprire la politica degliammortamenti, dell’insieme della gestione extra-caratteristica e, se possibile, la remune-razione imprenditoriale. Non sono valori che offrono un quadro di serenità ma piuttostodi sofferenza e lasciano intravedere rischi di incapacità di sviluppo competitivo e soste-gno dell’innovazione.

Rispetto al dato medio appaiono in condizioni migliori il settore degli oli (77,4%), il set-tore della pasta (84,7%), il settore della panificazione e dei dolciumi (84,9%) ed il setto-re del latte (85,2%). Con strutture peggiori del valore generale medio si posizionano in-vece il settori delle carni (88,6%), il settore delle granaglie (89,9%), il settore dei mangi-mi (91,0%), il settore dei vini (92,6%) ed il settore dell’ortofrutta con un significativa-mente elevato 95,4%.

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Punto di pareggio (BEP) per classi dimensionali nei settori - esercizio 2003

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Considerando i dati dimensionali emerge che i settori in cui le grandi imprese realizzanole performance migliori delle medie e delle piccole sono quelli dell’ortofrutta, della pa-sta, dei vini e degli oli dove grandi e medie raggiungono lo stesso risultato. Nel settoredella pastificazione e dei dolciumi le grandi imprese mostrano il valore migliore ma sonoseguite dalle piccole imprese mentre le medie realizzano il valore peggiore. Al contrariole medie imprese evidenziano il risultato migliore nel settore delle carni, del latte e deimangimi seguite dalla grandi imprese e dalle piccole. Solo il settore dell’ortofrutta pre-senta un’inversione completa dell’ordine della redditività degli altri settori con le piccoleimprese che realizzano il valore più basso seguite dalle medie ed infine dalle grandi.

BEP settoriale e dimensionale - esercizio 2003

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

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4.2 Gli impatti sulla redditività delle imprese nei diversi scenari

4.2.1 Lo scenario tendenziale base, di moderata liberalizzazione e concorrenza

In questo scenario il valore di redditività dell’industria alimentare previsto per il 2015 èpari al 6,2% evidenziando una perdita di 2,5 punti rispetto alla situazione del 2003. I set-tori con i valori migliori appaiono essere quelli della panificazione e dei dolciumi (13,8%),della pasta (10,2%) e del latte (6,3%). Peggiori del valore generale sono invece i risultatidei settori della carne (5,6%), delle granaglie (5,2%), dei vini (5,0%), dell’ortofrutta (4,4%),degli oli (3,9%) e dei mangimi (3,4%).

Considerando le differenze rispetto al 2003 l’ortofrutta è il settore che risente di più del-le evoluzioni attese perché la redditività regredisce di 4,7 punti percentuali. Lo seguono ilsettore degli oli (-3,7 punti) ed il settore dei mangimi (-3,5 punti). Con un peggioramen-to minore di quello generale dell’industria alimentare (-2,5 punti) si posizionano invece isettori del latte e della panificazione (-2,0 punti), dei vini (-1,8 punti), della pasta (-1,6punti), delle granaglie (-1,3 punti) e della carne (-1,2 punti).

MOL/fatturato per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015, scenario tendenziale base

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

In relazione ai risultati delle diverse classi dimensionali emerge una tendenza alla cresci-ta della redditualità con la dimensione d’impresa sia nei valori generali dell’intera indu-stria che nei settori del latte, del vino, dei mangimi e dell’ortofrutta dove, per le piccoleimprese, il MOL assume addirittura valore negativo (-2,0%). Nel settore della panifica-zione e della pasta le grandi imprese realizzano i risultati migliori (con un picco del 18%)ma sono poi seguite dalle piccole imprese con le medie che esprimono i risultati peggio-ri. In tre settori (carni, granaglie, olio), infine, le condizioni della redditività sono inverti-

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te rispetto alle classi dimensionali, con le piccole imprese in testa e le grandi che realiz-zano i risultati peggiori.

MOL/fatturato settoriale - proiezione 2015, scenario tendenziale base

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Rispetto ai valori assoluti le piccole imprese del settore ortofrutta sarebbero quelle su cuilo scenario impatta in modo peggiore (-6,0 punti percentuali), mentre le grandi impresedel settore delle granaglie risultano quelle su cui si ripercuote in modo minore l’impattopeggiorativo dello scenario (-0,8 punti).

L’analisi dei dati relativi al punto di pareggio evidenzia un risultato del 97,2% per l’inte-ro settore alimentare con un peggioramento di 9,2 punti percentuali rispetto ai valori del2003. La pasta emerge come settore che conserva le migliori potenzialità (88,8%) segui-to dal settore della panificazione e dolciumi (89,6%), dal settore della carne e del latte(93,3%), dal settore dell’olio (94,7%) e dal settore delle granaglie (95,0%).

L’analisi per classi dimensionali mette in luce che i settori della pasta, dei vini e dell’or-tofrutta premiano la crescita dimensionale con le grandi imprese davanti alle medie ed al-le piccole. Le medie imprese realizzano le performance migliori nei settori delle carni, dellatte, dell’olio e dei mangimi. Il settore delle granaglie è l’unico nel quale i risultati mi-gliori sono realizzati dalle piccole imprese davanti alle medie ed alle grandi.

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Punto di pareggio (BEP) per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015, scenario tendenziale base

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

In generale però lo scenario favorisce le crescita dimensionale perché la perdita di reddi-tività rispetto al 2003 è maggiore per le piccole imprese (-2,9 punti) rispetto alle medie(-2,7 punti) ed alle piccole (-2,3 punti). Ovviamente la dinamica generale dello scenario,come per il MOL, privilegia le grandi imprese che peggiorano il punto di pareggio solo di7,9 punti percentuali rispetto agli 11 punti delle medie ed agli 11,5 delle piccole.

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BEP settoriale - proiezione 2015, scenario tendenziale base

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

4.2.2 Lo scenario di accentuata liberalizzazione e crescita della concorrenza internazionale

In questo scenario l’industria alimentare al 2015 realizza un MOL pari al 6,2%. Rispettoai valori del 2003 si osserva un calo di redditività di 2,5 punti percentuali per l’intero set-tore con le piccole imprese più penalizzate (-3,0 punti) delle medie (-2,8 punti). Le gran-di imprese contengono invece il regresso a -2,2 punti.

Il settore della panificazione e dei dolciumi (13,9%) realizza le performance migliori se-guito dal settore della pasta (11,0%). In contrapposizione tutti gli altri settori si posizio-nano invece su valori inferiori a quelli generali del settore (6,2%). In ordine si posiziona-no i settori lattiero (6,1%), granaglie (5,7%), carni (5,5%), vini (5,0%), oli (4,0%), l’orto-frutta (3,5%) ed l’alimentazione animale (3,0%).

Considerando la dinamica dello scenario sul MOL dei diversi settori l’ortofrutta emergecome quello la cui sofferenza in termini di redditività è più elevata (-5,6 punti). A segui-re si posiziona il settore dei mangimi (-3,9 punti) e degli oli (-3,6 punti). Impatti minori diquello generale dell’intero settore alimentare si verificano invece per il settore del latte (-2,2 punti), per il settore del vino e della panificazione (-1,8 punti), per il settore delle car-ni (-1,3 punti) e per i settori delle granaglie e della pasta (-0,8 punti).

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MOL/fatturato settoriale - proiezione 2015, scenario di accentuata liberalizzazione econcorrenza

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Considerando i valori assoluti lo scenario impatta in modo peggiore sulle piccole impre-se del settore ortofrutticolo (-7,1 punti) ed in modo meno negativo in assoluto sulle gran-di imprese del settore delle granaglie il cui MOL regredisce solo di 0,1 punti.

MOL/fatturato per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015, scenario diaccentuata liberalizzazione e concorrenza

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

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Considerando la dinamica della redditività nelle classi d’impresa emerge che, come perl’intero settore alimentare, lo scenario favorisce il fattore dimensionale nei settori del lat-te, del vino, dell’ortofrutta e dei mangimi. Anche nei settori della panificazione e della pa-sta le grandi imprese registrano le performance migliori, ma sono seguite dalle piccole im-prese invece che dalle medie. Al contrario, l’effetto dimensionale è invertito nei settoridelle granaglie, delle carni e dell’olio dove i risultati migliori si registrano per le piccoleimprese seguite dalle medie e dalle grandi.

L’analisi dei dati relativi al punto di pareggio evidenzia che il dato relativo al totale delsettore alimentare passa dal valore dell’88,0% al 96,7% con un peggioramento di 8,7 pun-ti percentuali. Subiscono gli effetti peggiori le piccole imprese che innalzano il BEP di11,4 punti percentuali seguite dalle medie (10,0%) e dalle grandi imprese (7,1%).

Il settore della pasta registra il valore più basso (86,1%), seguito dalla panificazione e dol-ciumi (88,7%), dalla lavorazione delle granaglie (91,9%), dalla carne (93,2%), dagli oli(93,6%) e dal settore lattiero-caseario (93,8%). I restanti settori registrano valori del pun-to di pareggio superiori al 100% rappresentando quindi situazioni di strutturale perdita edi tendenziale uscita dal mercato. I settori per cui si delinea tale impatto sono quelli delvino (101,2%), dei mangimi (109,4%) e dell’ortofrutta (117,7%).

Punto di pareggio (BEP) per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015,scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Considerando la dinamica dello scenario il settore che registra il differenziale peggiore èl’ortofrutta (+22,3 punti percentuali), seguito dal settore dei mangimi (+18,4 punti) e dalsettore degli oli (+16,2 punti). Con differenziale inferiore a quello generale si posiziona-no invece i settori del latte e del vino (+8,6 punti), della carne (+4,7 punti), della panifi-cazione e dei dolciumi (+3,8 punti), delle granaglie (+2,0 punti) e della pasta con un in-

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cremento di soli 1,4 punti percentuali. In assoluto in risultato peggiore si registra per lepiccole imprese dell’ortofrutta che innalzano il punto di pareggio di ben 47,9 punti per-centuali. Al contrario questo scenario registra, per le grandi imprese del settore delle gra-naglie, addirittura un miglioramento di un punto del BEP che scende da 93,3% a 92,3%.

In relazione, invece, alla dinamica delle classi dimensionali emerge l’impatto positivo del-lo scenario, proporzionalmente alla crescita dimensionale, nei settori della pasta, del vinoe dell’ortofrutta. Nel settore della panificazione e dei dolciumi le grandi imprese restanole migliori ma sono seguite dalle piccole invece che dalle medie. Nei settori della carne,dell’olio, del latte e dei mangimi sono invece proprio le grandi imprese a realizzare il BEPpiù basso seguite dalle grandi imprese e dalle piccole. Solo nel settore delle granaglie sirealizza l’inversione completa della relazione tra redditività e dimensione con le piccoleimprese davanti alle medie ed alle grandi.

BEP settoriale - proiezione 2015, scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Federalimentare - ISMEA - Centro Studi Confindustria 81

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4.2.3 Lo scenario di crescita rallentata

In questo scenario la redditività generale del settore subisce una contrazione di 1,3 puntipercentuali con il MOL che decresce da 8,7% a 7,4%. Non si registra un effetto dimen-sionale significativo per le diverse classi d’impresa infatti le piccole e medie imprese re-gistrano, ugualmente, un decremento di 1,5 punti percentuali e le grandi imprese di pocominore (1,1%).

Il risultato peggiore in assoluto lo registrano le piccole imprese ortofrutticole (-6,0%) edil migliore le grandi imprese della carne che innalzano la redditività dello 0,4 punti.

Considerando i differenti settori al 2015 la redditività più elevata si registra per il settoredella panificazione e dolciumi (15,4%), seguito dalla pasta (11,5%) e dal settore del latte(7,9%). Al di sotto della redditività generale dell’intero settore (7,4%) si posizionano i set-tori delle carni (7,1%), il settore del vino (6,2%), il settore delle granaglie (6,1%), il set-tore degli oli (4,8%), il settore dei mangimi (4,7%) ed il settore dell’ortofrutta (4,2%).

Le differenze più elevate tra la situazione del 2003 e la proiezione 2015 si realizzano nelsettore dell’ortofrutta (-4,9 punti) seguito dal settore degli oli (-2,7 punti) e dal settore deimangimi (-2,2 punti). Minori del dato generale di settore sono le performance dei settoridel vino (-0,5 punti), del settore delle granaglie (-0,4 punti), dei settori della panificazio-ne, del latte e della pasta (-0,3 punti) e del settore della carne che, unico fra tutti, incre-menta la sua redditività di 0,3 punti percentuali passando dal 6,8% al 7,1%.

MOL/fatturato per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015, scenario dicrescita rallentata

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

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In relazione agli effetti dello scenario sulle classi d’impresa si verifica una relazione di-retta tra dimensione e redditività nei settori del latte, dei vini, del mangime e dell’orto-frutta dove le grandi imprese realizzano sempre migliori risultati delle medie e delle pic-cole. Nei settori della panificazione e della pasta questa relazione e spezzata dal fatto chele grandi imprese sopravanzano le piccole e poi le medie. L’effetto è completamente in-vertito nei settori della carne, delle granaglie e degli oli dove le performance migliori so-no ad appannaggio delle piccole imprese davanti alle medie ed alle grandi.

MOL/fatturato settoriale - proiezione 2015, scenario crescita rallentata

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

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L’analisi delle elaborazioni relative al BEP mette in luce un dato del 92,2% al 2015 perl’intero settore alimentare. Considerando il valore del 2003 (88,0%) si registra un peg-gioramento di 4,2 punti percentuali con un inasprimento anche maggiore per le piccole(5,6 punti) e per le medie (5,4 punti) rispetto al peggioramento più contenuto che regi-strano le grandi imprese (3,3 punti). Il peggiore risultato in assoluto è quello delle picco-le imprese ortofrutticole che innalzano il punto di pareggio di ben 39,9 punti percentualimentre la performance migliore appartiene alle grandi imprese del settore della carne che,al contrario, abbassano il BEP di 1,8 punti percentuali.

Punto di pareggio (BEP) per classi dimensionali nei settori - proiezione 2015,scenario di crescita rallentata

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

Rispetto ai diversi settori nel 2015 si posizionano su risultati migliori i settori della pani-ficazione e della pasta (85,0 punti) seguiti dal settore del latte (86,0 punti), dal settore del-la carne (87,0 punti), dal settore degli oli (89,3 punti), dal settore delle granaglie (90,7 pun-ti) e dal settore del vino (94,8 punti). Le dinamiche dello scenario pongono fuori dal mer-cato i settori dei mangimi (101,3 punti) e dell’ortofrutta (115,8 punti) che, superando ilvalore del 100%, si posizionano in condizione di perdita strutturale ed insostenibile.

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BEP settoriale - proiezione 2015, scenario crescita rallentata

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

La valutazione dei differenziali tra il 2003 ed il 2015 mette in luce il peggioramento piùelevato del settore dell’ortofrutta (+20,4 punti) seguito dal settore degli oli (+11,9 punti)e dal settore dei mangimi (+10,3 punti). Con un rilevante differenziale da questi troviamoinvece i settori del vino (+2,2 punti) ed altri settori ad effetto quasi nullo o addirittura po-sitivo: latte (+0,8 punti), granaglie (+0,7 punti), pasta (+0,3 punti), panificazione e dol-ciumi (stabile) e carni che abbassa invece il BEP di 1,6 punti percentuali.

L’effetto dello scenario si riflette in modo variabile sulle differenti classi d’impresa. Si ve-rifica un effetto legato alla dimensione nei settori dell’ortofrutta, dei vini e della pasta do-ve le grandi impresa hanno risultati migliori rispetto alle medie ed alle piccole. Le medieimprese sono le migliori nei settori dei mangimi, degli oli, della carne e del latte. Infinel’effetto si ribalta nel settore delle granaglie dove le piccole imprese precedono le mediee le grandi.

4.2.4 I principali spunti forniti dall’analisi “micro”

L’analisi svolta a livello “micro” ha messo in evidenza come al mutare degli scenari lareattività delle imprese appartenenti ai differenti settori sia simmetrica, ovvero, non esi-stono settori che, nel complesso, dimostrano di avvantaggiarsi o, al contrario, di essere

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particolarmente penalizzati dall’uno o dall’altro degli scenari ipotizzati. Di fatto, non c’ènessun settore che modifica le sue performance tendenziali tra gli scenari.

Quadro riepilogativo per settore degli impatti delle simulazioni sui differenti indicatori di redditività*

* I - scenario tendenziale base, II - scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza, III

scenario di crescita rallentata

Fonte: elaborazioni Federalimentare su dati “AIDA” Bureau Van Dijk

In quattro settori (latte, mangimi, ortofrutta e vino) la redditività premia sempre le dimen-sioni e quindi le politiche di supporto alla crescita dimensionale possono essere meccani-smi di intervento efficaci in presenza delle diverse situazione configurate nei diversi sce-nari. Per quanto è possibile valutare, il fenomeno è sensibile sia alla struttura dei costi chea quella dei ricavi. Ciò significa che la redditività è sensibile in alcuni casi soprattutto alleproblematiche di approvvigionamento (prezzo degli input agricoli) ed in altri, invece, allecondizioni dei rapporti con la grande distribuzione che influenza la ripartizione degli utilifra gli attori rispetto al prezzo che si richiede al consumatore finale. Ciò non toglie che an-che in questi settori, specialmente nel lattiero caseario e nel vino, trovino spazio politichedi valorizzazione delle specificità territoriali attuate ad imprese di limitate dimensioni.

In modo opposto, però, nei settori della carne, delle granaglie e degli oli, sono sempre lepiccole imprese a realizzare le performance migliori rispetto alle medie ed alle grandi. So-no settori in cui in cui le eventuali economie di scala produttive, legate ai processi indu-

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striali di trasformazione ed alla apertura internazionale dei mercati, sono meno importan-ti dei fattori di costo che l’impresa sviluppa nelle sue relazioni verticali verso monte (coni fornitori) e/o verso valle (con i mercati). In altre parole la redditività è più sensibile aidifferenziali di costo/prezzo relativi tra gli attori della filiera piuttosto che alle quote dimercato. In questo caso non sono le “quantità” a sostenere la redditività dell’industria ditrasformazione ma soprattutto fattori come i marchi, le certificazioni, le tipicità e quan-t’altro difenda la specificità del prodotto, la sua qualità, la sua localizzazione ed in defi-nitiva il suo prezzo.

In modo autonomo i settori della pasta e della panificazione/dolciumi presentano, in tuttigli scenari, le grandi imprese come soggetto con le migliori performance ma sempre se-guito dalle piccole imprese e poi dalle medie. La spiegazione di tale fenomeno risiede,probabilmente, sia nella composita struttura dei settori, in cui grandi imprese si confron-tano con le piccole, sia nella variabile struttura dei canali commerciali in cui la grande dis-tribuzione non sempre costituisce l’attore principale, sia in relazione alle quantità veico-late che alle scelte di marketing mix delle imprese di trasformazione alimentare.

E’ logico supporre che nei comparti in cui le imprese appaiono più proiettate sui mercatiinternazionali sia per la maggiore dimensione media sia per il tipo di materia prima uti-lizzata, la redditività sia maggiormente sensibile a politiche di apertura/chiusura dei mer-cati. Tuttavia, l’impatto di politiche ad elevato contenuto di liberismo e, quindi, la possi-bilità – almeno per questi comparti – di accedere alle materie prime a prezzi inferiori, nongarantisce automaticamente performance migliori. Si tratta di un’indicazione di sostan-ziale importanza e indicativa che in un contesto di elevato costo della manodopera, scar-sa crescita di produttività conseguente anche all’ulteriore frammentazione che l’industriaalimentare nazionale ha messo in evidenza in anni recenti, e, infine, eccessivi costi di ac-cesso ai servizi, una strategia focalizzata esclusivamente sulla ricerca di materia prima abasso prezzo risulta insufficiente.

Questo aspetto aiuta anche a spiegare un fenomeno apparentemente incongruente comel’impatto non propriamente negativo sull’industria alimentare di uno scenario a “crescitarallentata”. Il modello macro utilizzato, infatti, basandosi su un mercato di concorrenzaperfetta e determinando in maniera endogena i costi della manodopera e dei servizi, for-nisce alle simulazioni “micro” relative a tale scenario un input caratterizzato proprio dabassi prezzi della manodopera e dei servizi. Sono queste le “leve” che consentono, pur inun ambiente economicamente asfittico, di mantenere una redditività accettabile da partedelle imprese del settore.

Viceversa, nei settori dove la redditività delle piccole imprese è più elevata risulta deter-minante la reattività a fattori “domestici” più prossimi alle esigenze strategiche di difesadella specificità, della tipicità, della qualità.

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5. CONCLUSIONI

In un contesto macroeconomico complessivamente stagnante, ulteriormente appesantitodalla presenza di elementi di crisi del modello di sviluppo dell’industria nazionale, l’ana-lisi svolta ha evidenziato la presenza di potenziali rischi nel prossimo decennio anche perle imprese facenti capo alla filiera agro-alimentare nazionale, specie per le imprese di pic-cola e media dimensione e per i settori ad alto tasso di approvvigionamento di materie pri-me nazionali. Tali prospettive preoccupano ancor più per il ruolo centrale e l’importanzasia in termini di fatturato che di occupazione di questa filiera.

Le tendenze di fondo evidenziate dallo studio risultano coerenti e in linea con le previ-sioni delle stesse industrie emergenti dal sondaggio del Centro Studi Confindustria, ancheconsiderando l’apparente scostamento in fatto di attese al rialzo delle quotazioni delle ma-terie prime, che in realtà ha riguardato esclusivamente l’impatto della PAC sul prezzo del-le materie prime nazionali.

I tratti salienti dei risultati macro e micro economici vengono riassunti a seguire a secon-da che nel prossimo futuro si realizzi uno dei diversi scenari considerati.

I risultati macroeconomici

Scenario tendenziale base, di moderata liberalizzazione e concorrenza: • una generale tenuta del comparto agricolo ed alimentare in cui i prezzi deflazionati deiprodotti e dei fattori si mantengono relativamente stabili a vantaggio dei consumatori;

• la Riforma in agricoltura e le associate variazioni di produttività sembrano non arrecaredetrimento alla crescita dell’industria alimentare e della distribuzione.

Scenario di accentuata liberalizzazione e concorrenza: • la riduzione dei contributi PAC, essendo questi in buona misura disaccoppiati, non sem-bra avere impatto negativo sull’efficienza del settore complessivamente considerato. Esi-stono comunque situazioni specifiche e variabili da settore a settore.

• esponendo alcuni settori agricoli al pericolo di sostituzione con materie prime di prove-nienza estera, si registra un peggioramento del deficit commerciale. Nella valutazionedella possibilità di sostituire le materie prime nazionale con quelle estere, è necessariotenere in considerazione i legami di tipo legislativo e di tipo strategico esistenti nella fi-liera che consentono all’industria italiana di differenziare la propria produzione dal mer-cato delle commodity. In questi casi la sostituzione della materia prima nazionale conquella estera non rappresenta una soluzione sempre efficiente o possibile e la liberaliz-zazione dei mercati mondiali non ha l’impatto positivo atteso.

• l’abbandono produttivo di un numero ragguardevole di piccole e piccolissime aziendeagricole caratterizzate da bassa produttività porrà la necessità, per parte dell’industria ali-

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mentare, di ricostruire nuovi rapporti commerciali con i fornitori nazionali e/o esteri.Questo ribadisce l’importanza dell’efficiente funzionamento dei mercati di approvvi-gionamento e delle strutture logistiche ed infrastrutturali.

Scenario di crescita rallentata:• la riduzione della produttività nel resto dell’economia è responsabile di una riduzionedelle produzioni di agricoltura ed industria accompagnata da una contrazione più che pro-porzionale dei costi intermedi.

I risultati microeconomici

Il confronto tra gli scenari:• L’analisi svolta a livello “micro” ha messo in evidenza come al mutare degli scenari la reatti-vità delle imprese appartenenti ai differenti settori sia simmetrica, ovvero, non esistono setto-ri che, nel complesso, dimostrano di avvantaggiarsi o, al contrario, di essere particolarmentepenalizzati dall’uno o dall’altro degli scenari ipotizzati. Di fatto, non c’è nessun settore chemodifica le sue performance tendenziali tra gli scenari. Nei casi in cui la redditività è influen-zata da fattori di scala però le politiche di apertura/chiusura sono ovviamente più importanti.

• Nei settori in cui la redditività premia sempre le dimensioni, le politiche di supporto al-la crescita dimensionale possono essere meccanismi di intervento efficaci in presenzadelle diverse situazione configurate nei diversi scenari.

• Le economie di scala e di scopo si rivelano particolarmente importanti nei settori quali,ad esempio, i settori della panificazione e della pasta, generando una formidabile spintaall’accorpamento ricorrendo al capitale aziendale proprio.

• I settori più a rischio per riduzione relativa del MOL/fatturato e aumento del BEP sono l’or-tofrutta e l’industria mangimistica che dovrebbero essere oggetto di politiche mirate.

In generale, i risultati dell’analisi delineano con chiarezza le seguenti linee di interventonei diversi ambiti:

Politica della concorrenza: questa è stata fortemente perseguita sia dal settore agricolo cheda quello alimentare e distributivo, anche attraverso la scelta di adottare una riforma total-mente disaccoppiata. La maggiore competitività dà luogo a maggiore efficienza e potreb-be rivelarsi uno strumento efficace al sostegno della qualità e tipicità dei prodotti, ed indi-rettamente dei consumatori, in quanto le imprese poco efficienti che non producono quali-tà escono dal mercato, in presenza degli elevati rischi in termini di approvvigionamento.

Politica finanziaria e fiscale: deve essere orientata a sostegno dell’evoluzione strutturalein atto nell’industria alimentare verso un maggiore accorpamento delle imprese e riloca-lizzazione, quale espressione di una strategia sia: a) di sopravvivenza dell’impresa, qua-lora fosse in pericolo la permanenza nel mercato; b) espansionistica, delle aziende piùcompetitive e ad alto tasso di innovazione tecnologica, e c) di spostamento dei centri diproduzione vicino alle aree di interscambio modale, per avvantaggiarsi delle economie di

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posizione derivanti dai minori costi logistici di trasporto e manipolazione delle merci.Politica tecnologica e della ricerca: deve evolversi in stretto collegamento con la politi-

ca della concorrenza e finanziaria in quanto gli investimenti in R&S, anche attraversooperazioni di merging che permettono sia di allargare lo stock di conoscenze nel breveperiodo, sia di favorire la differenziazione verticale ed orizzontale del prodotto, por-tando ad una riduzione dei costi di produzione, ad un potenziamento della qualità e del-la marca, e quindi ad una maggiore competitività. Inoltre, mercati non eccessivamenteconcentrati spingono a differenziare ed innovare prodotti e processi produttivi sia nel-l’ambito dell’agricoltura che dell’industria alimentare e nei processi distributivi, dandoluogo, come mostrato nell’analisi, ad effetti sinergici e di moltiplicatore di grande im-patto sulla crescita dei comparti di interesse e dell’intera economia.

Politica infrastrutturale: la logistica, con la severità della competizione che incombe,assume nello studio grandi valenze strategiche, non solo per i comparti legati agli ap-provvigionamenti nazionali, ma anche per quelli che possono rivolgersi per quote si-gnificative all’importazione di commodity e di altri prodotti destinati alla trasformazio-ne. E’ chiaro che la vicinanza a porti ed interporti degli impianti di trasformazione el’efficienza della rete infrastrutturale e degli snodi intermodali saranno chiavi fonda-mentali per assicurare competitività, sia ai prodotti alimentari di prima trasformazione,che successivamente a quelli di seconda trasformazione.

Da un punto di vista del coordinamento delle iniziative di politica economica è significa-tivo il fatto che la produttività agricola e quella dell’industria alimentare si influenzino re-ciprocamente in modo positivo. È, quindi, di comune interesse a tutta la filiera l’elabora-zione di maggiori sinergie e politiche di efficienza e competitività sui due versanti. Il van-taggio permane anche se il loro legame, in termini di peso quantitativo degli approvvi-gionamenti agricoli nazionali su quelli complessivi dell’industria alimentare, sembra de-stinato a ridursi leggermente, in prospettiva, per la stazionarietà della produzione agrico-la prevista, a fronte dell’aumento di quella industriale.

Lo studio mostra come sia un obiettivo strategico importante il raggiungimento di una dimen-sione economica che consenta, da un lato, il conseguimento di economie di scala e, dall’altro,una struttura organizzativo-gestionale in grado di presidiare il posizionamento competitivo del-l’impresa sui mercati scelti, anche attraverso l’assicurazione di risorse sufficienti da investirein innovazione e ricerca e promozione dei marchi. In definitiva, si tratta di giungere a livelli difatturato atti a garantire gli strumenti minimi per reggere il confronto internazionale e tenere ilpasso dei crescenti livelli di produttività caratteristici dell’economia globalizzata.

La prevista discesa dei prezzi delle materie prime agricole sul mercato internazionale dialcuni comparti non va sopravvalutata. Malgrado tale fenomeno, e benché i prezzi allaproduzione di alcuni comparti evidenzino cali più contenuti rispetto a quelli delle materieprime, non si crea lo spazio che ci si potrebbe attendere per il profitto delle aziende. Le

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previsioni di redditività dell’industria alimentare, infatti, sono pessimistiche. Significa chepesano di più sulle imprese altri costi, come quello del lavoro, quelli dei servizi e dell’e-nergia, raccolti nella voce consumi intermedi.

E’ plausibile che la filiera sopporterà sempre meno anelli deboli, penalizzanti il rapportoprezzo-qualità del prodotto finale e la sua capacità di penetrazione sui mercati. In questosenso, il contributo della grande distribuzione nazionale è ancora carente, a causa dellasua limitatissima proiezione internazionale.

A questo gap, che penalizza le esportazioni dell’industria nazionale rispetto alle sue grandipotenzialità, andrà data risposta adeguata, a pena di emarginare sempre più il settore da quelprocesso di inserimento sui mercati internazionali di cui ha estremo bisogno. La proiezioneexport oriented dell’industria alimentare italiana rimane non a caso, a tutt’oggi, malgrado lasua grandissima immagine nel mondo, largamente inferiore rispetto alla media dell’industriaalimentare comunitaria.

Infine, il consumatore, l’ultimo anello di filiera, dovrà essere curato in modo più moder-no ed equilibrato. Con questo impegno dovrà cimentarsi soprattutto la parte meno effi-ciente della distribuzione nazionale. Il fenomeno del calo in volume degli acquisti ali-mentari, verificatosi da fine 2003 a 2005 avanzato, è un campanello d’allarme di grandegravità. E non è meno grave il fatto che, in un periodo di mercato flettente, si sia amplia-ta, invece di ridursi, la “forbice” tra prezzi alla produzione e al consumo dei prodotti ali-mentari trasformati, fino ad assestarsi tra due e tre punti percentuali.

In conclusione, se la morsa, tra gap interni e crescente concorrenza dei nuovi competitors in-ternazionali, è destinata a stringersi sempre più per l’industria alimentare, è anche vero che bi-sogna operare in modo che il fenomeno possa essere controllato e gestito nella sua evoluzio-ne. In questo senso, sarà legittimo valutare anche nuove forme di valorizzazione della produ-zione nazionale. Piuttosto che chiudere completamente segmenti importanti di alcuni comparti,andrà probabilmente considerata l’opportunità di spostare fasi di semilavorazione, in funzio-ne dell’ottimizzazione dei costi e della logistica, rinsaldando i momenti essenziali del ciclo.

Il rischio di approssimazione ed incertezza dei profili di sviluppo evidenziati dallo studio ri-mane elevato, essendo “fisiologico” a ogni previsione di lungo periodo. D’altronde gli stessiesercizi di sensitività effettuati simulando scenari diversi non hanno mostrato divaricazioni ditendenze molto rilevanti, a dimostrazione di una buona stabilità degli scenari delineati.

Un fatto è certo: la massima “piccolo è bello” non risulta confermata dalla ricerca. Il futurodell’industria alimentare dipenderà dalle “politiche di filiera” che verranno definite e dallatempestività e convinzione con cui esse saranno attuate dai rispettivi protagonisti. Questepolitiche, di carattere finanziario, logistico, innovativo, dovranno favorire che i “motori” dialcuni comparti creino, non solo valore, ma utile.

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APPENDICE

A.1 SONDAGGIO: LE ATTESE DELLE IMPRESE ALIMENTARI E L’IMPATTODELLA RIFORMA DELLA PAC

L’obiettivo del sondaggio è, in primo luogo, di cogliere la percezione “sul campo”, sullabase delle valutazioni direttamente espresse dalle aziende stesse, dell’impatto sull’indu-stria alimentare nazionale della nuova PAC e dell’Organizzazione comune di mercato(OCM) nei prossimi anni. In secondo luogo, il sondaggio è diretto a verificare i risultatidel modello di micro-simulazione relativamente alla quantificazione del rischio di abban-dono parziale o totale di certe produzioni agricole nazionali e alla variazione dei prezzidelle materie prime agricole. Il sondaggio mira, infine, a conoscere quali strategie di in-ternazionalizzazione hanno intenzione di mettere in atto le imprese del settore, specie quel-le di prima trasformazione, per fronteggiare l’aumento dei costi di approvvigionamentodelle materie prime agricole.

Dalla somma30 delle risposte delle singole aziende è emerso che:

1. L’impatto della PAC percepito dalle imprese è negativo.

Per il 70% delle imprese intervistate la PAC influirà negativamente sull’industria alimen-tare soprattutto su quella di prima trasformazione. Le imprese che hanno risposto riten-gono che il disaccoppiamento degli aiuti previsto dalla PAC, determinando l’abbandonodi alcune produzioni agricole, provocherà una diminuzione della disponibilità delle ma-terie prime agricole nazionali (secondo il 30% delle imprese) che, a sua volta, indurrà an-che un aumento dei prezzi interni delle stesse (+22% il saldo tra i “rialzisti” e i “ribassi-sti”31 ) e quindi dei costi di approvvigionamento sul mercato nazionale (secondo il 40%degli intervistati).

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30 La composizione percentuale dei rispondenti per classe dimensionale fa emergere uno sbilanciamento del campionesulle medio-grandi: le piccole, sotto i 50 addetti rappresentano il 39,7%, le medie, sotto i 250 addetti il 36,2% e, infi-ne, le grandi, oltre i 250, il 24,1%.

31 È bene sottolineare che le opinioni espresse dalle imprese riguardano esclusivamente il livello atteso dei prezzi in-terni delle materie prime agricole di origine nazionale per effetto dell’attuazione della PAC.

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Inoltre, secondo la metà delle imprese intervistate l’incidenza delle materie prime di ori-gine nazionale sul totale (la media campionaria è intorno al 75% 32) dovrebbe subire unariduzione compresa tra il 10% e il 25%.

2. La PAC dispiegherà i suoi effetti in tempi rapidi.

Secondo il 61% delle imprese, la ridotta disponibilità di materie prime agricole nazionali, de-terminata dall’abbandono totale o parziale delle relative produzioni per effetto della PAC, pro-vocherà una sostituzione delle materie prime nazionali con quelle importate entro 5 anni.

A seguito della PAC, prevede una diminuzione dell'utilizzo delle materie primeagricole nazionali da parte della sua azienda e se si, in che tempi prevede que-sta diminuzione?

Fonte: Centro Studi Confindustria

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32 La media della popolazione è intorno al 70%.

Quale impatto ritiene avrà sulla sua azienda l’entrata in vigore della nuova PAC edell’OCM di competenza?

Nota: il totale delle risposte è superiore a 100 in quanto le domande sono a risposta multipla.

Fonte: Centro Studi Confindustria

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3. La reazione delle imprese alla PAC.

A seguito dell’aumento dei costi di approvvigionamento delle materie prime agricole in-dotto dalla riforma della PAC, oltre due terzi delle imprese dichiara di essere intenziona-ta a recuperare competitività agendo sia sui costi di produzione (secondo il 73%) sia sul-la qualità dei prodotti (secondo il 71%). L’abbattimento dei costi verrà conseguito trami-te strategie di internazionalizzazione dell’impresa che potranno concretizzarsi in alleanzeall’estero, commerciali (per l’86%) e/o produttive (per il 56%) o nella delocalizzazioneproduttiva (per il 26%)33.

Per mantenere e/o migliorare le vostre quote sul mercato nazionale e interna-zionale quale strategia di internazionalizzazione ritenete necessario adottare?

Fonte: Centro Studi Confindustria

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33 Tale valore si ottiene ponderando le risposte sulla base del numero di dipendenti: a delocalizzare saranno le medie ele grandi imprese che hanno un peso maggiore in termini di occupati alle dipendenze.

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4. Ragioni a monte della delocalizzazione produttiva.

Sulla base delle indicazioni fornite dal sondaggio, per circa un terzo delle imprese inter-vistate la decisione di delocalizzare parte della capacità produttiva all’estero si configurapiù come risposta alla necessità impellente di affrontare il problema della redditività, ab-battendo i costi o della manodopera34 o delle materie prime, che come strategia azienda-le di ampliamento produttivo sui mercati esteri.

In caso di delocalizzazione produttiva, quali sono le ragioni a monte della decisione?

Fonte: Centro Studi Confindustria

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34 Secondo i dati pubblicati nel check-competitività del Centro Studi Confindustria per 100 di retribuzione netta, un’im-presa italiana sostiene un costo di 183, di cui oltre due terzi contributi sociali. Includendo l’IRAP (che pur avendo un’a-liquota del 4,25, incide sulla retribuzione netta per il 7,8%), il valore del cuneo sale al 91% (101% con il TFR) di cui il53% è a carico delle imprese.

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A2. IL MEG-D ISMEA

Il MEG-D sviluppato dall’Ismea in collaborazione con l’Università di Verona, è unmodello di equilibrio economico generale ricorsivo dinamico dell’economia italiana,multisettoriale focalizzato sull’agricoltura e l’industria alimentare. Si colloca dunqueall’interno dei modelli di equilibrio generale dedicati al settore agricolo con valenzanazionale, quali ad esempio il modello francese dell’INRA (MEGAAF), quello irlan-dese (IMAGE), quello statunitense dell’USDA/ERS e quello olandese (WAGEM).

La particolarità del modello è quella di basarsi principalmente su dati provenienti dall’in-dagine condotta da Ismea sulle condizioni socio-economiche dell’agricoltura italiana nel1996; i microdati sono stati elaborati per costruire le Tavole intersettoriali del settore agroa-limentare italiano35 e integrati con altre fonti di dati per costruire la Matrice di Contabili-tà Sociale (SAM), che descrive le relazioni economiche tra la struttura della produzione ela distribuzione del reddito tra le classi di famiglie.

L’indagine Ismea è l’insieme congiunto di 4 indagini: (1) sui bilanci delle impreseagricole, tenendo conto dell’utilizzo dei fattori produttivi nelle differenti attività al fi-ne di costruire la parte agricola della tavola Input-Output; (2) sull’uso del tempo; (3)sui consumi delle famiglie agricole; (4) sui redditi delle famiglie agricole. Ciò assi-cura un elevato grado di omogeneità nella costruzione dei dati e offre la possibilità diaggregare i micro dati a livello macroeconomico per costruire la Matrice di Contabi-lità Sociale.

Per costruire la Matrice di Contabilità Sociale (SAM) ed il modello di equilibrio eco-nomico generale (AGE) relativo all’economia italiana, le famiglie urbane, rurali e agri-cole sono state disaggregate in differenti gruppi socio-economici usando le informazio-ni sulle caratteristiche dell’impresa agricola e della famiglia contenute nel data set Ismea.Le tipologie di famiglia sono le seguenti: 1) risorse limitate; 2) pensionati; 3) residen-ziali; 4) professionali a basso livello di Plv; 5) professionali ad alto livello di Plv; 6) im-presa familiare grande; 7) impresa familiare molto grande; 8) rurali; 9) urbane ad altoreddito; 10) urbane a medio reddito; 11) urbane a basso reddito. Il modello infine in-clude il tempo libero che viene misurato nella sezione sull’uso del tempo, caratteristicapeculiare dell’Indagine Ismea. Il tempo libero viene definito come ore settimanali de-dicate alle attività ricreative, alla cura personale e al riposo.

Il modello rappresenta un’economia walrasiana in cui i mercati sono perfettamente com-petitivi. Le imprese, quindi, producono i beni con l’obiettivo di massimizzare i profitti. I

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35 Ismea, La tavola delle interdipendenze settoriali del settore agroalimentare italiano, settembre 1997.

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fattori produttivi sono remunerati sulla base della loro produttività marginale. Le famiglieeffettuano le scelte di consumo massimizzando il proprio benessere, benessere che dipendesia dal consumo di beni che dal tempo libero. Data questa economia walrasiana, si consi-dera l’attuazione della Politica Agricola Comunitaria (PAC) ed i suoi effetti distorsivi sul-le scelte produttive e sull’allocazione dei fattori.

La struttura del MEG-D Ismea:

Le caratteristiche del modello sono sintetizzate nella tabella 1.

I settoriIl modello prevede 45 settori, come indicato nella tabella 2. L’agricoltura è articolata in23 settori e l’industria alimentare in 13. Gli altri settori dell’economia sono stati aggrega-ti sulla base dei legami con il settore primario e agro-industriale, come risulta dalle tavo-le intersettoriali Ismea.

Ogni settore produce un singolo output impiegando sia input intermedi che fattori finalisecondo una funzione di produzione CES a due stadi. Nel primo livello, la quantità pro-dotta da ciascun settore è rappresentata da una tecnologia CES che impiega il valore ag-giunto e l’input aggregato intermedio come fattori. Il valore aggiunto è a sua volta unafunzione CES della quantità impiegata di fattori primari mentre l’input aggregato inter-medio è una funzione CES della quantità di input intermedi acquistati dagli altri settori.La funzione di profitto è data dalla differenza fra i ricavi netti e il costo complessivo diproduzione (costo dei fattori primari e dei beni intermedi). La funzione di investimento èdi tipo CES, in cui la quantità aggregata di investimento lordo dipende dalla quantità deibeni utilizzati.

I settori agricoli, come indicato nella tabella 3, impiegano 5 fattori primari: la terra (di-stinta in tre tipi), il capitale agricolo, il lavoro indipendente, il lavoro dipendente e gli ani-mali (distinti in quattro tipi). I settori non agricoli usano due fattori primari: il capitale nonagricolo ed il lavoro dipendente.

Relativamente alla mobilità dei fattori primari, il lavoro dipendente viene assunto perfet-tamente mobile in tutti i settori economici, il capitale non agricolo perfettamente mobileall’interno dei settori non agricoli, mentre il lavoro indipendente agricolo e il capitale agri-colo risultano perfettamente mobili solo all’interno dei settori agricoli.

Le famiglieUn elemento di notevole rilievo è costituito dalla disaggregazione delle famiglie in 11 cate-gorie. Come mostra la tabella 4, sono state considerate 7 classi di famiglie agricole, 1 clas-

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se di famiglie rurali 36 e 3 classi di famiglie urbane. La classificazione delle famiglie agri-cole è basata sulla tipologia proposta in Ismea, Agricoltura e ruralità: l’indagine socio-eco-nomica dell’Ismea sull’agricoltura italiana, Franco Angeli 200537. Le tre classi di famiglieurbane sono classificate in base alla fascia di reddito come risulta da “I bilanci delle fami-glie italiane” della Banca d’Italia (1995). Le preferenze di ogni tipologia di famiglia sonodescritte nel modello mediante una funzione di utilità a due stadi. Nella prima fase, l’obiet-tivo di ogni classe familiare è di determinare il livello di consumo aggregato e di tempo li-bero che massimizzano il benessere nel rispetto del vincolo di bilancio e del tempo a dispo-sizione. Nella seconda fase ogni classe decide, dal lato del consumo, come ripartire in mo-do ottimale il consumo aggregato tra i beni prodotti dai 45 settori e, dal lato dell’allocazio-ne del tempo, come allocare il tempo tra lavoro in azienda e fuori azienda.

Le preferenze di ogni tipologia di famiglia sono descritte nel modello mediante una fun-zione di utilità a due stadi. Nella prima fase, l’obiettivo di ogni classe familiare è di de-terminare il livello di consumo aggregato e di tempo libero che massimizzano il benesse-re nel rispetto del vincolo di bilancio e del tempo a disposizione. Nella seconda fase ogniclasse decide, dal lato del consumo, come ripartire in modo ottimale il consumo aggrega-to tra i beni prodotti dai 41 settori e, dal lato dell’allocazione del tempo, come allocare iltempo tra lavoro in azienda e fuori azienda.

La funzione di utilità delle tipologie familiari è di tipo CES. Il reddito disponibile, al net-to della tassazione diretta, dipende dalla remunerazione del lavoro prestato fuori azienda,dal salario-ombra dell’azienda agricola, dalla remunerazione della terra, del capitale e delbestiame, dalle pensioni e dagli interessi sul debito pubblico. Il reddito esteso è ottenutosommando al reddito disponibile la remunerazione implicita del tempo libero.

Il governoLe entrate del governo derivano dalla tassazione indiretta sulla produzione, sul consumoe sull’importazione di beni, dalla tassazione diretta sulla remunerazione dei fattori di pro-duzione, sulle pensioni e sugli interessi del debito pubblico. Le uscite del governo sonorappresentate dalla domanda di beni sul mercato, dal pagamento degli interessi sul debi-to pubblico, delle pensioni e dei contributi alla produzione, dei contributi legati all’im-piego dei fattori e di quelli relativi al set-aside. La differenza fra le entrate e le uscite de-termina il risparmio governativo. La quantità domandata dal governo per ciascun bene èricavata dalla minimizzazione del costo totale di acquisto dei beni, dove il consumo ag-gregato del governo è rappresentato da una funzione di tipo CES del consumo settorialedel governo.

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36 Le famiglie rurali sono definite partendo dai dati Istat e limitandole a quelle residenti nelle case sparse ovvero: “Quel-le case disseminate sul territorio comunale a distanza tale tra loro da non poter costituire nemmeno un nucleo abitato”(ISTAT, 2001).37 I sette tipi di imprese familiari agricole sono stati individuati tramite l’applicazione di tecniche di analisi multivaria-ta al campione Ismea.

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Il commercio internazionaleNel modello sono considerate due aree commerciali, l’Unione Europea (UE) ed il Restodel Mondo (RoW). La quantità totale prodotta da ogni settore può essere venduta nel mer-cato interno oppure esportata (in Europa e nel resto del mondo). Il bene venduto nel mer-cato interno ed il bene esportato sono considerati perfettamente sostituibili, di conseguenzail prezzo di vendita sul mercato interno, su quello europeo e su quello mondiale, coinci-dono. Le esportazioni verso l’Unione Europea ed il Resto del mondo sono modellizzateconsiderando una funzione di domanda decrescente in funzione del prezzo domestico.La quantità complessivamente disponibile sul mercato di ciascun bene è data dalla quan-tità di beni prodotti in Italia e non esportati, dalle importazioni dall’Europa e dalle im-portazioni dal resto del mondo. Sono considerati due casi:

L’Italia è un “paese grande” per alcuni prodotti agricoli. Ciò implica che il prezzo nazio-nale è determinato in modo endogeno secondo il livello della domanda e dell’offerta sulmercato domestico. Viene dunque ipotizzato che il bene nazionale e il bene importato nonsiano perfettamente sostituibili e quindi che i loro prezzi siano differenti, secondo la spe-cificazione tradizionale di Armington.

L’Italia è un “paese piccolo” rispetto all’Europa per altri prodotti agricoli: il grano tene-ro, il grano duro e la soia. Ciò implica che il prezzo interno non dipende dalle condizionidel mercato interno ma è fissato al livello del prezzo europeo. In questo caso, è stata adot-tata una specificazione modificata di Armington, dove il bene importato dal resto del-l’Europa è considerato un sostituto perfetto del bene domestico, mentre il bene importatodal resto del mondo rimane un bene sostituto imperfetto.

Il Mercato dei Fattori L’offerta della terra e del capitale sono considerati fissi mentre l’offerta di lavoro nell’aziendaagricola e l’offerta di lavoro fuori azienda sono ottenuti come soluzione del problema di mas-simizzazione dell’utilità. Date le assunzioni sulla mobilità dei fattori, il lavoro dipendenterisulta essere perfettamente mobile in tutti i settori economici, il capitale non agricolo per-fettamente mobile all’interno dei settori non agricoli, mentre il lavoro indipendente agrico-lo e il capitale agricolo risultano perfettamente mobili solo all’interno dei settori agricoli. Iltempo dedicato al lavoro è dato dalla differenza tra il tempo totale disponibile ed il tempolibero determinato nella prima fase della massimizzazione dell’utilità.

Nella seconda fase, ogni classe decide come allocare in modo ottimale il tempo tra lavo-ro in azienda e lavoro fuori azienda. Ipotizzando che le due tipologie di lavoro non sianoperfettamente sostituibili, e di conseguenza ad esse siano associate due remunerazioni dif-ferenti, l’obiettivo di ogni individuo è di massimizzare la remunerazione complessiva. Glianimali sono considerati come un fattore specifico. Per quanto riguarda la terra, nel modello sono considerati diversi tipi di terra cui sono as-sociati diversi livelli di sostituibilità. Nel modello sono considerati tre tipi di terra. In que-

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sto modo è possibile prendere in considerazione i vincoli di natura agronomica, climati-ca, e tecnica, nonché i vincoli imposti dal legislatore relativamente alle condizioni da ri-spettare per percepire il premio unico disaccoppiato, come previsto dalla riforma della Ri-forma PAC (Ismea 2004). Nel modello, la terra è considerata mobile esclusivamente tra isettori che utilizzano lo stesso tipo di terra. Si ipotizza inoltre che, tra i settori che utiliz-zano lo stesso tipo di terra, la terra non sia perfettamente mobile. Questa sostituibilità im-perfetta è introdotta nel modello attraverso una funzione di tipo CES. Le condizioni di equilibrioLa condizione di equilibrio è data dall’uguaglianza tra la domanda e l’offerta in ogni mer-cato, sia dei beni che dei fattori di produzione. Tali condizioni permettono di determinareil livello dei prezzi di equilibrio su ogni mercato.

Dinamica del modelloIl modello MEG-D-Ismea è stato reso dinamico allo scopo di valutare l’evoluzione nelmedio periodo del settore agricolo e dell’agro-industria. Gli elementi del modello che so-no stati resi dinamici sono l’evoluzione della produttività dei vari settori e l’offerta di ca-pitale. L’offerta di lavoro, al contrario, viene assunta costante.

In particolare, per quanto riguarda l’evoluzione della produttività, viene assunto che il pro-gresso tecnologico aumenti la produttività della terra nei settori agricoli e la produttivitàdel lavoro dipendente in tutti gli altri settori.

L’evoluzione dell’offerta di capitale dipende dal volume degli investimenti effettuati nelperiodo, al netto dell’ammortamento del capitale esistente:

dove gli investimenti coincidono con il risparmio nazionale, ovvero con il risparmio del-le famiglie e del governo.

Il collegamento micro-macro La dimensione macroeconomica è data dalla somma delle produzioni delle M imprese edei consumi delle N famiglie italiane nei rispettivi campioni riportati alla popolazione. Laconsistenza statistica tra il livello micro e macro economico è assicurata dal peculiare di-segno dell’inchiesta Ismea sull’agricoltura italiana che fornisce i dati relativi alle impresee famiglie agricole che vengono aggregati per formare la matrice di contabilità sociale del-l’agricoltura italiana. Grazie a questa complementarietà tra il micro ed il macro livello del-l’analisi non è necessario mettere in atto dei meccanismi di feedback tra i due livelli.

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Tabella 1 - La struttura del modello MEG-Ismea (versione dinamica)

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Tabella 2 - Definizione dei settori del modello)

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Tabella 3 - Fattori della produzione

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Parametri

Variabili esogene

Variabili endogene

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INDICI

i,y I,Y = = Settori

f F = ,Labind, Capagr, Cap, Land A, Land B, Land C, Anim18, Anim19, Anim21, =Fattori della produzione= Classi familiari

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A3. LA METODOLOGIA DI ELABORAZIONE DEI MICRODATI PER L’ANA-LISI DEI BILANCI DELLE IMPRESE ALIMENTARI

In questa nota si descrive la procedura di aggregazione delle informazioni campionarieprovenienti dalla base di dati “AIDA” rispetto un insieme di caratteristiche di struttura (lo-calizzazione geografica, dimensione in termini di classi di addetti e di classi di fatturato,settore di attività economica di appartenenza) delle imprese appartenenti ai principali com-parti dell’industria agro-alimentare (divisione “15” della classificazione ATECO2002,“Industria alimentare e delle bevande”). Per le finalità delle presente analisi, funzionali al-la descrizione di scenari di medio-lungo termine del comparto agro-industriale italiano, ilcampo di osservazione delle attività produttive è risultato limitato alle sole società di ca-pitali (società a responsabilità limitata, società per azioni), escludendo in tal modo pres-soché interamente il sistema delle piccole e medie imprese che caratterizzano tale settoree quello delle imprese artigiane. I microdati di riferimento sono stati estratti dalla bancadati “AIDA”, costruita ed aggiornata dal Bureau Van Dijk, che include informazioni so-cio-demografiche ed economiche a livello di impresa per le sole società di capitali. Essacostituisce, dunque, la fonte informativa di riferimento per una completa e diffusa analisidel settore industriale.

1. – Banca dati “AIDA”Aida (Analisi Informatizzata Delle Aziende, Bureau Van Dijk electronic publishing) è unabanca dati che contiene informazioni finanziarie, anagrafiche e commerciali su oltre 250.000società di capitali che operano in Italia. Essa contiene inoltre dati sui principali detentoridi partecipazioni, sui collegamenti, sulle banche d’appoggio e sui bilanci di tali società, apartire dal 1994 e con una copertura del 90% dell’universo societario con fatturato di al-meno 2 miliardi di lire. In particolare, lo stato patrimoniale e il conto economico sono dis-ponibili riclassificati secondo la IV Direttiva CEE (recepita in Italia con il D. Lgs 127/91,che ha modificato gli articoli del Codice Civile riguardanti la redazione del bilancio d’e-sercizio) e sono disponibili per oltre 190mila società, di cui circa 70mila appartenenti alsettore manifatturiero.

Si tratta di una base di dati particolarmente flessibile,che consente di creare campioni per-sonalizzati per studi sia di carattere micro che macroeconomico; nel dettaglio, le impresepossono essere classificate secondo le seguenti variabili: la classe dimensionale, la loca-lizzazione geografica, il fatturato e il comparto di attività economica. Con riferimento al-la dimensione, le società piccole (1-49 dipendenti) pesano per il 59,9%, quelle medie (50-499 dipendenti) per il 27% e quelle grandi (500 e oltre dipendenti) per il restante 13,1%;per quanto riguarda le circoscrizioni territoriali di appartenenza, le informazioni disponi-bili sono relative, per il 36,9%, a società del Nord Ovest (Piemonte, Liguria, Valle d’Ao-sta e Lombardia), per il 25,3%, a quelle del Nord Est (Trentino Alto-Adige, Veneto, Friu-li Venezia Giulia ed Emilia Romagna), per il 22,5%, a quelle del Centro (Toscana, Mar-

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che, Umbria, Lazio e Abruzzo) e per il 15,3%, a società del Sud e Isole (Molise, Campa-nia, Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia e Sardegna); in base al volume degli affari, inve-ce, le società con fatturato inferiore a 2,5 milioni di euro pesano per il 54,5%, quelle confatturato compreso tra 2,5 e 7,5 milioni di euro per il 27,3%, le società con fatturato com-preso tra i 7,5 e i 25 milioni di euro per il 12,1% mentre quelle con fatturato superiore a25 milioni di euro per il 6,1%; con riguardo, infine, alla Classificazione ATECO2002, lesocietà sono ripartite come segue: l’1,5% nell’agricoltura, caccia e silvicoltura, pesca, pi-scicoltura e servizi connessi, il 37,6% nell’industria in senso stretto, il 10,2% nelle co-struzioni mentre la restante parte è classificata nei settori dei servizi.

2. – Analisi dei microdatiLe informazioni campionarie di interesse provenienti dalla base di dati “AIDA” fanno ri-ferimento ai gruppi di attività economica della classificazione ATECO2002 (dal 151 al159) identificati nell’ambito del comparto dell’industria alimentare e della bevande. Perciascun gruppo si dispone di dati di impresa a livello “micro” per ciascun anno compresonel periodo temporale 1999-2003. Tra le principali caratteristiche dei dati oggetto di ana-lisi, occorre osservare che, in primo luogo, una quota soddisfacente dell’insieme com-plessivo di imprese è stata soggetta a indagine in ciascun anno del periodo di interesse.Pur non costituendo propriamente un panel, la banca dati di riferimento ha presentato, perciascun comparto, una struttura sufficientemente costante nel tempo. Al contrario, è ri-sultata elevata l’incidenza di dati mancanti parziali, con particolare riferimento alle prin-cipali variabili di bilancio. Un ulteriore problema è stato costituito dalla presenza di in-coerenze sistematiche con riferimento delle classificazioni ATECO2002 per un quota nontrascurabile, sia pure marginale, di imprese. In particolare, è risultato che le imprese clas-sificate come appartenenti a un determinato gruppo di attività economica (ad esempio, il151, “Produzione, lavorazione e conservazione di carne e prodotti a base di carne”) nonsono state successivamente ripartite rispetto alle corrispondenti classi (in questo caso, 1511,1512, 1513). Con la conseguenza che il numero di imprese del gruppo non è coerente conla somma delle imprese attribuite alle corrispondenti classi. Ciò si verifica, nella maggiorparte dei casi, con riferimento ai grandi gruppi industriali attivi in diversi settori del com-parto agro-alimentare, con la conseguenza che l’eccessiva diversificazione dell’attivitàproduttiva rende di fatto complessa l’attribuzione dell’impresa a uno specifico settore. Ladimensione di tale fenomeno, riportata nella tabella 1, è risultata particolarmente rilevan-te nei gruppi di attività economica relativi alla “Lavorazione e conservazione di frutta eortaggi” (gruppo 153), “Fabbricazione di oli e grassi vegetali e animali” (gruppo 154) e“Fabbricazione di prodotti per l’alimentazione degli animali” (gruppo 157).

In questo lavoro, non si è ritenuto di escludere dall’analisi le unità produttive generica-mente classificate. Si tratta infatti di imprese di dimensioni medio-grandi, particolarmen-te rilevanti per l’analisi settoriale, la cui esclusione avrebbe potuto portare a distorsionidelle grandezze economiche e di struttura. L’attribuzione delle imprese rispetto ai setto-

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ri è stata effettuata secondo un criterio di prevalenza: ogni impresa è stata attribuita allaclasse ATECO2002 corrispondente alla tipologia di attività economica giudicata preva-lente nell’ambito delle differenti attività da essa realizzate.

Per quanto concerne il trattamento dei dati mancanti parziali, la definizione di un cam-pione “chiuso”, definito come un panel delle sole imprese che non hanno presentato ca-dute di rilevazione in ogni periodo compreso tra il 1999 e il 2003, avrebbe comportato unamarcata riduzione della numerosità campionaria. Oltre a ridurre la rappresentatività dellestime, tale procedura avrebbe prodotto significativi effetti di selezione del campione, do-vuti alla scelta delle unità produttive presumibilmente più dinamiche, di dimensione me-dio-grande e con soddisfacenti risultati aziendali. Al fine di contenere tali effetti di sele-zione, minimizzando la distorsione delle statistiche campionarie, il criterio seguito per lacostruzione del campione di riferimento è consistito nella selezione delle stesse impresein ciascun biennio del periodo compreso tra il 1999 e il 2003. Tale procedura presenta ilvantaggio di tener conto della dinamica demografica delle imprese, poiché nel campionedi analisi risultano incluse quelle risultate attive in due periodi consecutivi ma non neces-sariamente negli anni successivi (o precedenti). Per contro, l’adozione di questo criterioostacola la diretta confrontabilità nel tempo dei livelli delle principali variabili di bilancio(medie e somme campionarie, ad esempio). Ciò vale con riferimento alle stime campio-narie: si tratta, infatti, di livelli stimati con riferimento a un numero di volta in volta dif-ferente di imprese. Dalle aggregazioni campionarie è invece possibile costruire delle di-namiche temporali delle grandezze cui si è interessati (ad esempio, tassi di crescita per-centuali). Attraverso il riproporzionamento delle variabili economiche all’universo di ri-ferimento è possibile pervenire alla stima dei livelli assoluti di tali grandezze, circostan-za che consente di superare il limite del confronto dei livelli delle variabili di interesse.

3. – Riproporzionamento all’universoL’universo di riferimento è rappresentato dalle società di capitali appartenenti all’industriaalimentare e delle bevande (divisione “15” della Classificazione ATECO2002). Ai fini delriproporzionamento, il campione è stato opportunamente stratificato, per ciascun anno del-l’intervallo di riferimento, rispetto alle dimensioni “ripartizione geografica”, “classi di ad-detti”, “classe di attività economica”, definite come risulta dalla tabella 238.

Si perviene in tal modo alla identificazione di 408 celle campionarie, ottenute dalla con-catenazione delle modalità delle variabili di stratificazione definite in precedenza. Per cia-scuno strato, il peso diretto (o peso base) per il riporto all’universo è determinato in fun-zione del disegno di campionamento come reciproco della probabilità di inclusione del-

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38 Le imprese del campione di analisi, inoltre, sono state ulteriormente suddivise rispetto a tre classi di fatturato: fino a7 milioni di euro, da 7 a 40 milioni di euro, 40 milioni e oltre. Tale variabile non è stata considerata per la costruzionedegli strati campionari ai fini del riporto all’universo.

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l’unità campionata. Tali pesi sono costruiti rispetto alla variabile “numero di addetti di-pendenti” per ciascun anno compreso tra il 1999 e il 2003. L’universo di riferimento perciascuno strato è tratto dall’VIII Censimento dell’Industria e dei Servizi dell’ISTAT39. Inprimo luogo, è rilevante considerare che la struttura del comparto agro-alimentare (divi-sione “15” della classificazione ATECO2002), così come desunta dal campione AIDA eriportata nella tabella 3, sia risultata fortemente in linea con quella del Censimento 2001dell’Industria e dei Servizi (tabella 4). Si tratta di dati relativi all’anno 2003, anno baseper la stima degli effetti di lungo periodo presentati nel presente lavoro.

Anche per ciascun gruppo di attività economica, la rappresentatività del campione AIDAè risultata molto soddisfacente, fornendo sostegno alla bontà dell’evidenza empirica.

La tabella 5 presenta i risultati del confronto relativo alla numerosità di ciascuna classe diattività economica, così come risulta dai dati campionari e censuari, valutata sia in termi-ni di numero di addetti dipendenti che di imprese (tabella 5). Il tasso di campionamento,ad eccezione di limitati casi, è sempre risultato apprezzabile e compreso tra il 3 e l’80 percento.

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39 I dati relativi al Censimento 2001 sono disponibili per la consultazione sul sito censimenti.istat.it.

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Tabella 1 - Imprese non correttamente classificate per gruppo di attività eonomica

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Tabella 2 - Variabili di stratificazione

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Tabella 3 - Struttura del campione AIDA (composizione percentuale del numero diimprese)

Tabella 4 - Struttura dell’universo di riferimento (VIII Censimento dell’Industria edei servizi - composizione percentuale del numero di imprese)

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Tabella 5 - Struttura dell’universo e del campione AIDA

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Finito di stampare nel mese di settembre 2005