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A cura del Gruppo Comunicazione di SIGASCOT
SIGASCOT HIGHLIGHTS1/
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... e non potete perdervi: Riabilitazione nelle protesi d’anca ad accesso anteriore - Instabilità rotulea: consensus meeting - Sessioni superspecialistiche SIOT: gli anni ’80 - Malattie reumatiche negli sportivi - Curry: NBA in Learning from Gazza - Rejuvenatium - Imaging delle lesioni cartilaginee - TempoLibero a Mykonos - ...
Henry Dejou
r raccontato
da Paolo Adr
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3° SIGASC-OST cambia data! 15 dicembre!
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7° Congresso nazionale SIGASCOT
Bologna, 3-5 ottobre 2018
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Caro Paolo quando e q u a n t o t e m p o h a i trascorso presso la scuola del Prof.Dejour a Lione?
Ho frequentato la Scuola diretta dal prof. Henry Dejour a Lione in due tempi diversi.
Se ben ricordo il primo periodo è stato il più lungo di circa tre mesi nel 1987 e la seconda volta fu un periodo più limitato di 4 settimane nel 1990.
Quanti anni e che esperienza chirurgica avevi allora?
Mi sono laureato nel 1979 per cui quando ho frequentato per la prima volta la Scuola Lionese erano trascorsi circa 7-8 anni dalla laurea e la mia esperienza chirurgica era estremamente limitata. Come tu ben sai allora la pratica chirurgica per noi neo-specialisti in Italia era praticamente inesistente.
Come ti accolse Dejour? Notasti differenze rispetto ai modi tenuti dai nostri grandi maestri di allora?
L’accoglienza di Dejour nei confronti dei chirurghi che venivano dall’estero era estremamente positiva anche se distaccata, nel senso che il prof, avendo spesso numerosi frequentatori, non era solito colloquiare con noi singolarmente ma spesso in gruppo.
La differenza che c’era tra il prof. Dejour ed i maestri della chirurgia ortopedica italiana era quella dell’estrema disponibilità all’insegnamento. I nostri maestri italiani tendevano invece ad evitare di insegnare i così detti “trucchi del mestiere” per non creare dei competitors all’interno della propria struttura universitaria.
Raccontaci in breve che persona e che professionista era Dejour?
A livello professionale Henry Dejour era una persona estremamente qualificata, completamente dedita al lavoro e molto severa nella sua pratica clinica. Sul lavoro non era assolutamente disponibile ad atteggiamenti che non fossero esclusivamente professionali.
Alcuni dati salienti del suo modo di lavorare che ti impressionarono allora e che hai fatto tuoi?
Il suo modo di lavorare era estremamente rigoroso e scientifico. Qualsiasi cosa che esulasse da questi criteri non facevano parte della sua figura.
Come si svolgeva una giornata di lavoro a Lione allora? Era molto diversa da cosa si faceva in Italia?
La giornata di lavoro a Lione era diversa a seconda dell’attività clinica o di sala operatoria. Le giornate di Sala iniziavano al mattino presto e finivano spesso nel pomeriggio verso le 17:30/18. Il Prof. Dejour non partecipava a tutti gli interventi ma seguiva i suoi più stretti collaboratori a distanza valutando tutto quello che avveniva in sala operatoria.
Le giornate di assistenza clinica iniziavano con le visite di reparto, spesso molto lunghe, puntigliose e meticolose. Il mercoledì mattina spesso faceva le visite ambulatoriali dei pazienti assistiti dal SSN, cosa molto atipica in Italia. Si dedicava con impegno e serietà professionale anche a questo tipo di consulto mututalistico.
Il lunedì pomeriggio c’era un briefing sui pazienti da operare in settimana e su casi clinici particolarmente interessanti al quale erano costretti a partecipare
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Paolo Adravanti ci raccontaCHI ERA... Henry Dejour
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“Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole chi erano mai questi Beatles”. Da questa famosa canzone degli Stadio, l’idea di questa nuova rubrica. Chiedere a chi ha avuto la fortuna di conoscerli di raccontarci chi sono stati i “mostri sacri” della moderna chirurgia ortopedica nazionale ed internazionale. Esperienze personali, insegnamenti, aneddoti affinché i giovani, dal ricordo del passato, traggano insegnamenti per il presente.
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tutti gli specializzandi, gli specialisti e anche gli aiuti più anziani. Giornata estremamente complessa per noi che venivamo interrogati in maniera molto precisa sulle problematiche dei casi clinici presentati durante la riunione.
Chirurgicamente che cosa hai imparato di piu’ dalla scuola lionese?
Quello che mi aveva impressionato dal punto di vista chirurgico della Scuola Lionese era la rigorosissima e precisissima conoscenza anatomica delle strutture articolari in modo particolare del ginocchio. Questo determinava un’estrema precisione dal punto di vista chirurgico e soprattutto la possibilità di eseguire gesti estremamente complessi trasformandoli in maniera semplice nella pratica chirurgica. La chirurgia ricostruttiva del ginocchio rappresentava tutto quello che si poteva praticare sia artroscopicamente ma, a quei tempi, ancora di più a cielo aperto nell’ambito delle patologie del ginocchio.
Come approccio al paziente o alle diverse patologie?
L’approccio al paziente era estremamente rigoroso e molto professionale non tralasciando alcun dettaglio clinico anamnestico. Tutto era studiato ed analizzato nella fase pre-operatoria e di conseguenza messo in atto anche nella fase peri e post-operatoria.
Che cosa invece non ti piacque tanto?
Tutto mi è stato utile nel mio percorso professionale. Non esiste, credo, un minimo ricordo negativo.
Un aneddoto di quel tuo soggiorno a Lione?
Due forse le cose che mi sono rimaste impresse del mio periodo lionese. Una sicuramente la sua serietà professionale anche nei rapporti con i colleghi, cosa che allora era quasi inesistente in Italia.
Il primo aneddoto riguarda un giorno durante le visite che il prof. Dejour faceva con il SSN. Uno dei suoi giovani assistenti aveva presentato un caso di una protesi femoro-rotulea eseguita su una paziente di 28 anni con sindrome dolorosa rotulea da un famoso chirurgo francese (che aveva collaborato con lui nello stesso reparto a Lyon Sud sotto la guida del Prof. Trillat). Alla mia specifica domanda: “come mai è stata eseguita in un paziente così giovane?” il Prof. mi rispose in modo molto laconico e serio: “peut être”
senza lasciar trasparire un minimo atteggiamento negativo nei confronti di chi aveva eseguito l’intervento.
Altro aneddoto che mi riguarda personalmente accadde durante quelle terribili riunioni del lunedì pomeriggio dove il Prof. ci interrogava. Uno dei suoi collaboratori aveva presentato un caso complesso di neo-formazione del bacino inglobante il rachide lombosacrale. Ovviamente come spesso succedeva tutti cercavano di nascondersi per evitare di essere interrogati ed io, di fronte a questo caso, che non riguardava il ginocchio, mi trovavo estremamente in difficoltà. Mi ero quasi nascosto sotto i banchi fatti ad anfiteatro e il Prof. Dejour guardandomi con aspetto duro mi chiese: “Qu’est que tu ne pense mon ami italien?”. Potete immaginare quale sia stata la mia risposta balbettante e non sicura e soprattutto fuori tema. A quel punto Henry Dejour mi guardò e mi disse: “probabilmente diventerai un bravo chirurgo del ginocchio ma non un bravo chirurgo ortopedico”.
Dovessi descrivere Dejour con tre aggettivi cosa sceglieresti?
Rigoroso
Professionale
E, come lui voleva essere chiamato, “duro”.
Diceva lui stesso parlando di sé: “Je suis trè dur, Je suis un alsacien!”
Paolo Adravanti
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LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDOA cura di Francesco Uboldi, Giacomo Placella e Francesco Perdisa
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OGNI MESE ARRIVA NELLA VOSTRA CASELLA MAIL
La Gazze2a dello Specializzando!
Dal numero di Marzo: I grandi Clsssici: La protesi MonocomparCmentaleIl racconto della AO Trauma Fellowship a Leuven
Il report di Bozzi sul Menisco discoide e much more...
LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDO
3° FORTE SUMMER SCHOOL 2018
2-6 giugnoMILANO
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Molte malattie reumatiche, come Spondilite Anchilosante, Gotta, Condrocalcinosi, Artrite Psoriasica, Artrite Reumatoide (AR), Lupus Eritematoso Sistemico (LES) possono mascherarsi sotto condizioni traumatiche o meccaniche nei soggetti che praticano attività sportive. In questi soggetti è necessaria, pertanto, una indagine molto accurata comprendente un’adeguata anamnesi, un accurato esame obiettivo e indagini di laboratorio e strumentali mirate.
Le tendinopatie
Le tendinopatie sono frequentemente causate da sovraccarico funzionale e si correlano spesso con l’avanzare dell’età, difetto anatomico o allenamento non corretto. I siti più frequentemente interessati sono i tendini del sovraspinato, i flessori delle dita, il tendine rotuleo ed il tendine di Achille. Alcune tendinopatie sono particolarmente correlate a certe attività sportive, come l’epicondilite laterale o “Gomito del tennista”.
In alcuni casi, però, le tendinopatie dei soggetti che praticano attività sportive possono essere conseguenze di malattie reumatiche sottostanti. Da uno studio è emerso una elevata prevalenza del fattore reumatoide (FR) nei pazienti affetti da ricorrenti episodi di epicondilite laterale e tenosinovite del polso (1). È stata segnalata una frequenza di interessamento tendineo di circa il 64% nei pazienti affetti da AR (2). I siti più frequentemente interessati sono i flessori e gli estensori delle dita (2), sedi frequenti di sinoviti e deformità.
Negli ultimi anni si è verificato un incremento delle attività sportive accompagnato da una maggiore incidenze delle rotture tendinee, in particolare a livello del Tendine di Achil le. Questo tendine è part icolar mente suscett ibi le ad al terazioni degenerative causate da carico eccessivo ed è anche bersaglio di molte malattie sistemiche come la gotta, pseudogotta, spondiloartropatie e AR (2).
Sebbene non ci siano dati in letteratura riguardanti le rotture tendinee causate da malattie reumatiche negli atleti, è stato decritto che l’AR, gotta, condrocalcinosi e LES possono determinare rotture tendinee nei soggetti giovani. Le sedi più frequentemente
interessate nei soggetti affetti da AR sono gli estensori delle dita delle mani (2) e la causa probabilmente è da ricondurre ad una maggiore produzione di metalloproteinasi a livello della matrice (3). Sono state inoltre descritte rotture dei tendini peronei lungo e breve a causa di depositi tofacei nella gotta (5), rotture degli estensori del polso causate da deposito di CPPD (5), mentre il LES può portare raramente a rottura spontanea del tendine (6).
Le entesiti
I Microtraumi ripetuti e le malattie autoimmuni possono essere cause di infiammazione, fibrosi e calcificazioni delle entesi (sito di attacco dei muscoli e legamenti alle ossa). La fascite plantare è un entesite frequentemente diagnosticata negli atleti. Altri siti comuni di entesiti sono le tuberosità ischiatiche, grande trocantere, processi spinosi, articolazioni costocondrali, manubrio-sternali e le creste iliache (7). Le entesi sono frequentemente interessate nelle spondiloartriti, in particolare nella spondilite anchilosante e nell’artrite psoriasica e spesso sono accompagnate da sintomi costituzionali (lombalgia notturna, rigidità mattutina) ed incremento degli indici di flogosi.
In conclusione: Anche negli sportivi le cause di dolori articolari e tendinopatie possono essere multiple e possono essere conseguenze di malattie reumatiche sottostanti (8). È necessario pertanto, in questi soggetti, una anamnesi scrupolosa ed eventualmente un invio dal Reumatologo per ulteriori approfondimenti con indagini di laboratorio e strumentali mirate in relazione al sospetto clinico.
Bibliografia:
1. Malmivaara A, et al. Scand J Rheumatol 1995; 24 (3): 154-6
2. Jarvinen TA et al. Curr Opin Rheumatol 2001; 13 (2): 150-5
3. Bourikas LA et al.. Clin Exp Rheumatol 2007; 25 (3): 461-3
4. Lagoutaris ED et al. J Foot Ankle Surg 2005; 44 (3): 222-4
5. Ariyoshi D et al. Mod Rheumatol 2007; 17 (4): 348-51
6. Cronin ME. Rheum Dis Clin North Am 1988; 14 (1): 99-116
7. Van Der Linden et al.. editors. Kelley’s textbook of rheumatology. 7th ed. Philadelphia (PA): Elsevier Saunders, 2005
8. Jennings F et al. Sports Med. 2008;38(11):917-30.
REUMATOLOGISMMALATTIE REUMATICHE NEGLI SPORTIVI
A cura di Orazio De Lucia
Reumatologia Clinica - ASST G.Pini - CTO (Milano)
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Ci sono tante patologie di confine fra ortopedia e reumatologia e ci può essere un diverso approccio fra ortopedico e reumatologo nell'affrontare la stessa patologia. Questa nuova rubrica vuole creare un ponte fra i due mondi dando voce al mondo reumatologico.
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IMPACT SIGASCOT FACTORI più recenti articoli dei soci apparsi su riviste impattate
A cura di Francesco Perdisa e Giacomo Placella
I più recenti articoli dei Soci SIGASCOT apparsi sulle riviste di settore con impact factor!
Hai pubblicato un articolo e vuoi apparire in questa rubrica? Comunicalo a [email protected] Facebook!
Early Osteoarthritis. Numerosi Soci SIGASCOT hanno partecipato con articoli originali e di commento! [Knee Surgery Sport Arthroscopy. Vol. 24, Issue 5 e 6, May and June 2016]
KSSTA IF: 3.227
No evidence for combining cartilage treatment and knee osteotomy in osteoarthritic joints: a systematic literature review. Filardo G, Zaffagnini S, De Filippis R, Perdisa F, Andriolo L, Candrian C E Pub
Significant differences between manufacturer and surgeon in the accuracy of final component size prediction with CT-‐based patient-‐specific instrumentation for total knee arthroplasty Cucchi D, Menon A, Compagnoni R, Ferrua P, Fossati C, Randelli P Epub
Association between incision technique for hamstring tendon harvest in anterior cruciate ligament reconstruction and the risk of injury to the infra-‐patellar branch of the saphenous nerve: a meta-‐analysis -‐ Grassi A, Perdisa F, Samuelsson K, Svantesson E, Romagnoli M, Raggi F, Gaziano T, Mosca M, Ayeni O, Zaffagnini S Epub
Concomitant injuries may not reduce the likelihood of achieving symmetrical muscle function one year after anterior cruciate ligament reconstruction: a prospective observational study based on 263 patients Hamrin Senorski E, Svantesson E, Beischer S, Thomeé C, Grassi A, Krupic F, Thomeé R, Karlsson J, Samuelsson K Epub
Patellar resurfacing versus patellar retention in primary total knee arthroplasty: a systematic review of overlapping meta-‐analyses. Grassi A, Compagnoni R, Ferrua P, Zaffagnini S, Berruto M, Samuelsson K, Svantesson E, Randelli P Epub
Bone morphology and morphometry of the lateral femoral condyle is a risk factor for ACL injury. Vasta S, Andrade R, Pereira R, Bastos R, Battaglia AG, Papalia R,Espregueira-‐Mendes -‐ Epub
ACTA Orthopedica Belgica IF: 0.576
Distal femoral medial closing wedge osteotomy for degenerative valgus knee : mid-‐term results in active patients. Buda R, Castagnini F, Gorgolini G, Baldassarri M, Vannini F E pub
Sports Med Arthrosc Rev IF: 1.368
Achilles Tendinopathy. Longo UG, Ronga M, Maffulli N -‐ Epub
J Knee Surg IF: 1.657
Return to Sports after Unicompartmental Knee Arthroplasty: Reality or Utopia? A 48-‐Month Follow-‐Up Prospective Study. Lo Presti M, Costa GG, Cialdella S, Agrò G, Grassi A, Caravelli S, Mosca M, Marcheggiani Muccioli GM, Zaffagnini S.P Epub
Arthroscopy IF: 4.292
Magnetic Resonance Imaging and Functional Outcomes After a Polyurethane Meniscal Scaffold Implantation: Minimum 5-‐Year Follow-‐up. Monllau JC, Poggioli F, Erquicia J, Ramírez E, Pelfort X, Gelber P, Torres-‐Claramunt R Epub
The Effect of Sequential Tearing of the Anterior Cruciate and Anterolateral Ligament on Anterior Translation and the Pivot-‐Shift Phenomenon: A Cadaveric Study Using Navigation. Monaco E, Fabbri M, Mazza D, Daggett M, Redler A, Lanzetti RM, De Carli A,Ferretti A Arthroscopy. Dec 2017
Cartilage IF: 2.000
Osteochondritis Dissecans of the Knee -‐ Conservative Treatment Strategies: A Systematic Review Andriolo L, Candrian C, Papio T, Cavicchioli A, Perdisa F, Filardo G Epub
Br Med Bull IF: 3.045
Osteoarthritis of the hip and knee in former male professional soccer players. Petrillo S, Papalia R, Maffulli N, Volpi P, Denaro V Epub
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IMPACT SIGASCOT FACTORI più recenti articoli dei soci apparsi su riviste impattate
A cura di Francesco Perdisa e Giacomo Placella
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L’artroprotesi totale di anca è uno degli interventi più eseguiti e di maggior successo nel mondo ortopedico e riabilitativo internazionale. Negli anni abbiamo assistito ad un’evoluzione degli impianti protesici per quanto riguarda design e materiali, mentre le vie chirurgiche utilizzate sono rimaste sostanzialmente quelle da tempo descritte in letteratura. Solo negli ultimi anni sono state proposte soluzioni volte al risparmio del patrimonio osseo e al rispetto dei tessuti molli al fine di diminuire le complicazioni e ridurre i tempi di recupero1,2. Tra le tecniche mini-invasive, la via anteriore è quella che, secondo molti, , rispetta maggiormente le strutture anatomiche, fattore alla base di un recupero funzionale precoce; l’approccio classico avviene attraverso il gap muscolare esistente tra il tensore della fascia lata ed il sartorio3.Utilizzando queste tecniche si può ottenere inoltre u n a d i m i nu z i o n e d e l l e p e rd i t e e m at i ch e perioperatorie, della lunghezza delle incisioni chirurgiche, del dolore postoperatorio, del tempo medio di ricovero e di conseguenza un rapido recupero funzionale4.
•Cicatrice chirurgica cutanea ridotta;•Riduzione del dolore post-operatorio, poiché i muscoli non vengono sezionati o disinseriti;•Minor perdita di sangue grazie al rispetto delle strutture muscolari e dei vasi sanguigni;•Riduzione del rischio di lussazione in flessione ( eliminazione ausili domestici)•Preservazione della muscolatura glutea e conseguente migliore stabilità dell’articolazione;•Ripresa della completa funzionalità articolare più rapida.•Ridotta zoppia e limitazione funzionale nell’immediato post-operatorio.•Tecnica chirurgica più complessa.•Non adatta in pazienti obesi o con alterazioni morfologiche importanti dell’anca e grandi calcificazioni.•Rischio di lesione del nervo femoro-cutaneo laterale della coscia.
La riduzione del dolore e la conseguente funzionalità dell’arto operato nell’immediato postoperatorio sono eclatanti: i pazienti il giorno successivo all’intervento vengono fatti camminare seppur con carico protetto, la riabilitazione è agevole ed il periodo di ospedalizzazione è notevolmente ridotto.La mobilizzazione passiva ed attiva in flessione è permessa fin dai primissimi giorni, non esistendo il rischio di lussazione; questo permette, oltre all’eliminazione di tutti gli ausili per rialzare la seduta
in casa ed in auto, un più rapido drenaggio dell’edema post-operatorio, un miglior controllo del movimento ed un più veloce raggiungimento dell’autonomia nelle adl di base, igiene e vestizione, guida dell’auto. Preservando dal danno creato dall’accesso chirurgico la muscolatura glutea, anche la deambulazione e l’esercizio in carico sono anticipati ed enfatizzati fin dalle prime sedute. A seconda della tipologia di paziente che dobbiamo trattare ( età, peso, muscolatura, durata del dolore pre-operatorio, patologie associate, etc.) potremmo iniziare più o meno precocemente i l nostro programma riabilitativo integrando il trattamento manuale di massaggio e mobilizzazione passiva con gli esercizi autogestiti da eseguire in palestra, in piscina (riabilitativa) e a casa.A lettino con paziente supino, avremo l’accortezza di non estendere l’anca oltre gli zero gradi (per 45 gg) ma di eseguire da subito massaggio del quadricipite, trattamento della cicatrice e la mobilizzazione passiva e attivo-assistita in flesso-estensione.La rieducazione alla deambulazione viene attuata come solitamente, soltanto anticipata ed eseguita con meno dolore da parte del paziente5. Si passa così velocemente ad eliminare le stampelle ( spesso anche a 30 gg dall’intervento) e a salire e scendere scalini di altezza progressiva. Le esercitazioni in carico sono enfatizzate e proposte dapprima in acqua (altezza ombelico) e poi a secco: piccoli af fondi, semipiegamenti anche su piani instabili diventano il cuore della seduta, con l’obiettivo di ripristinare la miglior core stability. Consigliato in pz non collaboranti come in esiti di Alzheimer o altre patologie degenerative per il ridotto rischio di lussazione, sta suscitando curiosità e interesse sempre crescente nei chirurghi ortopedici e nei pazienti che vedono in una minore aggressione chirurgica una risposta alle loro necessità e alle loro attese. Va detto però che gli studi presenti in letteratura6 ad oggi non dimostrano un vero vantaggio a medio e lungo termine seppur i pazienti riportano un maggior comfort nelle prime settimane ed un più precoce ritorno alla piena autonomia.
Bibliografia:(1) Rachbauer F. Orthopade. 2006 Jul;35(7):723-4, 726-9.(2)Wojiechowski P. Orthop Traumatol Rehabil. 2007 Jan-Feb;9(1):1-7.(3) Noth U. Orthopade 2012 May;41(5):390-8.(4) Sebecic B. Med Glas Ljek. 2012 Feb;9(1):160-5.(5) Reininga IH. J Orthop Res. 2012 Aug 8. (6) Connolly KPs World J Orthop.2016 Feb 18;7(2):94-101.
LA RIABILITAZIONE NELLE PROTESI D’ANCA PER VIA ANTERIOREA cura di Milco Zanazzo - Comitato Riabilitazione
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23Mar
LIGHTS ON... SIGASCOT EVENTS
A cura di Francesco Uboldi - Gruppo Comunicazione
26Mag
Eventipatrocinati
Abano TermeTime-Out VenetoProtesi Monocompartimentale
15Giu
3Mag
13 aprile - CagliariChirurgia Artroscopica di Anca e Gomito
FirenzeOrthoSpritz ToscanaControversie in Chirurgia della spalla
MessinaTime-Out SiciliaTrauma distorsivo nel giovane sportivo: esiste solo il LCA?
RomaTime-Out LazioRevisioni di Protesi totale di ginocchio
20Apr
LaziseInternational Border Meeting 2018How to improve the results in TKR !
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PATELLO-FEMORAL-JOINT CORNERA cura di Paolo Ferrua e Stefano Pasqualotto Comitato Formazione
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CONSENSUS AOSSM/PFF SULL’INSTABILITA’ FEMORO-ROTULEAP. Ferrua, S. Pasqualotto
Recentemente l’American Orthopedic Society for Sports Medicine (AOSSM) e la Patellofemoral Foundation hanno promosso un workshop coinvolgendo 16 opinion leader internazionali in materia di instabilità femoro-rotulea per ridefinire i criteri di diagnosi e trattamento di tale patologia (1).Tra i numerosi aspetti presi in considerazione, i più importanti riguardano l’esame obiettivo e le tecniche di imaging necessarie a porre una corretta diagnosi ed a definire un’appropriata strategia terapeutica.
ESAME OBIETTIVO• Episodio acuto
- Misurazione del patellar glide a 0° e 30° di flessione valutando l’entità della tralsazione e l’endopoint
- Apprehension test a 30° (se tollerato) (2)- Sito di dolorabilità a livello del versante mediale della rotula e/o inserzione
femorale e decorso MPFL- Versamento (sospettare una frattura osteocondrale in presenza di versamento
cospicuo)- Valutazione degli assi del ginocchio, dell’antiversione femorale, della torsione
tibiale e della pronazione della sottoastragalica- Valutazione dell’ipermobilità (score di Beighton) (3)- Valutazione generale del ginocchio (range of motion, dolorabilità, con
particolare attenzione al legamento crociato anteriore ed al legamento collaterale mediale)
- Tutte le valutazioni devono essere comparate con l’arto controlaterale sano- In caso di dolore e/o versamento che compromettano la qualità dell’esame
obiettivo andrebbe pianificata una nuova valutazione a distanza di poche settimane.
• Instabilità recidivante- Valutazione degli assi del ginocchio, dell’antiversione femorale, della torsione
tibiale e della pronazione della sottoastragalica - Valutazione della deambulazione- Test dinamici: Single-leg stance, Squat e Step down, valutazione della forza
della muscolatura glutea, valutazione della core stability ed eventuale presenza di valgo dinamico
- Misurazione del patellar glide a 0° e 30° di flessione valutando l’entità della tralsazione e l’endopoint
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- Apprehension test a 0 e 30° (2, 4)- J-sign in flesso-estensione attiva- Valutazione di un fixed lateral tracking (lussazione in flessione)- Versamento- Valutazione dell’ipermobilità (score di Beighton) (3)- Iperalgesia- Valutazione generale del ginocchio (range of motion, dolorabilità, con
particolare attenzione al legamento crociato anteriore ed al legamento collaterale mediale)
- Gravity subluxation test (5), medial apprehension test (5) e Relocation test (6) se instabilità mediale (iatrogena)
IMAGING• Episodio acuto
- Radiografie in proiezione anteroposteriore, laterale vera e assiali di rotula a 45° (Merchant view) (7)
- RMN per escludere lesioni osteocondrali e valutazione lesione MPFL
• Instabilità recidivante- Radiografie in proiezione anteroposteriore, laterale vera e assiali di rotula a
45° (Merchant view) (7) per valutazione morfologia trocleare, altezza rotulea ed eventuale grado di artrosi
- Radiografie assiali dinamiche possono essere considerate per la valutazione dell’entità della traslazione rotulea sotto carico (8)
- RMN o TAC per valutazione dei fattori di instabilià, lo stato delle cartilagini ed il profilo rotazionale
Come risultato del consensus, gli autori propongono una classificazione clinica dell’instabilità rotulea basata sulla direzione e sul grado di flessione a cui si verifica la lussazione- Instabilità laterale nei primi 45° di flessione- Instabilità laterale in flessione (> di 45° di flessione): più rara e spesso associata a
brevità congenita dell’apparato estensore- Instabilità mediale (generalmente iatrogena)- Instabilità multidirezionale
In conclusione tale consensus AOSSM/PPF rappresenta una dimostrazione dell’attuale necessità di una più precisa definizione dei fattori che contribuiscono a garantire la stabilità della rotula e un tentativo di tracciare un percorso diagnostico-terapeutico accurato e standardizzato nella gestione del paziente con instabilità femoro-rotulea.
Bibliografia1. Post WR, et al. Orthop J Sports Med. 2018 Jan; 6(1). 2. Fithian DC, et al. Am J sports Med. 1995;23(5):607-6153. Beighton P, et al. Ann Rheum Dis 1973;32:413-84. Smillie I: Injury of the knee joint, Edinburgh and London, 1951, Livingston Ltd.5. Nonweiler DE, et al. Am J Sports Med. 1994; 22(5):680-6866. Fulkerson JP. Tech Orthop 1997; 12:165-169.7. Merchant AC, et al. J Bone Joint Surg Am 56:1391–1396, 1974.8. Teitge RA, et al. J Bone Joint Surg Am 1996; 78:193-203.
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LA PATOLOGIA OSTEOCONDRALE DEL GINOCCHIO - PARTE 1
A cura di Maurizio Busacca - Medico RadiologoIstituto Ortopedico Rizzoli - Bologna
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1° parte tecnica e criteri diagnostici in Risonanza Magnetica
Premessa
Le lesioni della cartilagine articolare del ginocchio, idiopatiche o post-traumatiche, sono una delle patologie di più frequente riscontro nella pratica clinica. E’ stato calcolato che in più del 36% degli infortuni negli atleti si verifica un coinvolgimento cartilagineo. In una revisione di 31516 artroscopie, pubblicata nel 1997, Curl ed altri hanno riscontrato il 63% di patologie cartilaginee.Se non trattate le lesioni cartilaginee possono accelerare lo sviluppo di una patologia artrosica.L’Imaging gioca un ruolo fondamentale nella individuazione precoce delle lesioni condrali con interessamento o meno del corrispondente osso subcondrale e, qualunque sia la scelta terapeutica attuata, nei successivi follow up.
Tecnica RM
Nell’imaging diagnostico della patologia cartilaginea il ruolo principale lo svolge sicuramente la RM.Nella valutazione della cartilagine articolare e dell’osso subcondrale è però indispensabile che le strumentazioni RM utilizzate siano di alta qualità, a medio-alto campo (di norma 1,5 Tesla) e dotate delle antenne di ricezione, definite tecnicamente bobine di superficie, specifiche per lo studio del ginocchio e possibilmente a più canali (“Phased Array”) . Tali aspetti tecnici sono indispensabili per eseguire studi ad alta risoluzione necessari ad individuare anche minuscole fissurazioni o fibrillazioni cartilaginee ed iniziali sofferenze subcondrali. A fine 2016 è decaduta la norma ministeriale che limitava l’utilizzo delle RM ad alto campo, ovvero da 3 Tesla, ai soli studi di ricerca. Di conseguenza tali apparecchiature sono adesso autorizzate a eseguire studi diagnostici di routine e si stanno iniziando a diffondere anche in Italia, ma, pur permettendo in virtù del loro maggiore campo magnetico, studi a più alta risoluzione, non ritengo siano da considerare al momento indispensabili per lo studio della cartilagine del ginocchio, sicuramente ben valutabile, con esami correttamente eseguiti, anche con RM da 1,5 Tesla. Queste ultime, infatti, grazie alla loro diffusione ormai capillare, consentono una più agevole riproducibilità dei protocolli di studio, uniformando meglio i dati provenienti da RM di analogo campo magnetico, anche se di ditte produttrici diverse, ciò è da tenere in considerazione soprattutto negli studi multicentrici.
La radiologia alla portata dell’ortopedico
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G TecnicaRM
ØRM ad alto campo magnetico (1,5 Tesla o 3 Tesla)ØUso di bobine dedicate. Possibilmente a più canali.ØTre piani di studio : Sagittale, Coronale e
Trasversale. ØSequenze “standard” ponderate in Densità
Protonica, senza e con soppressione del grasso, T1 e T2, con slice al massimo di 3 mm di spessore.
ØSequenze volumetriche, con spessori di sliceinferiori ad 1 mm, per eseguire eventuali ricostruzioni oblique.
• Delayed Gadolinium-Enhanced Imaging (DGEMRIC) ;
• T1-rho Mapping ; • T2 Mapping, • Ultrashort Echo Time Imaging ; • Magnetization Transfer Imaging ; • Diffusion Imaging • Sodium Imaging.
Imaging Quantitativo
Presso il nostro istituto il protocollo di studio per la valutazione delle patologie osteocondrali e dei successivi F.U., prevede l’esecuzione di due sequenze sul piano sagittale, una con spessore degli strati di 3 mm, ponderata in densità protonica (PD) con soppressione del grasso, che delinea ottimamente lo strato cartilagineo e consente la individuazione di eventuale edema osseo, la seconda una sequenza 3D volumetrica, di 0,8 mm di spessore, ponderata in DP o T2, senza soppressione del segnale grasso, dalle quali otteniamo delle ricostruzioni sugli altri piani dello spazio. Effettuiamo poi altre 2 sequenze sul piano coronale, la prima pesata in T1 e la seconda in PD Fat Sat ed infine una sequenza assiale o trasversale PD con soppressione del grasso, tutte di 3 mm di spessore (Fig 1).Vi sono poi delle sequenze per la valutazione “oggettiva” o “quantitativa” della cartilagine articolare, spesso differenti tra le diverse ditte produttrici di Risonanze Magnetiche (Fig.2).
Tali sequenze quantitative rappresentano un metodo non invasivo di analisi della composizione della cartilagine articolare e di conseguenza del suo eventuale degrado. D’altro canto i costi elevati dei software, di norma opzionali, che necessitano anche di hardware con caratteristiche tecniche particolarmente performanti e soprattutto il fatto che non sono riproducibili con tutte le varie tipologie di RM oggi prodotte, non esistendo un unico standard accreditato, le limita a specifici protocolli di ricerca.
Dovendo ricondurre l’analisi della cartilagine articolare a degli studi facilmente riproducibili, è a mio parere sufficiente basarsi sulle caratteristiche macroscopiche della cartilagine articolare del ginocchio con le normali RM da 1,5 Tesla.
Criteri diagnostici in RM
La semeiotica RM nella valutazione della cartilagine articolare del ginocchio è di norma basata sulla valutazione dello spessore e del segnale, nelle diverse sequenze di impulsi eseguite, sia in sede femoro-tibiale, dove è necessario eseguire sempre piani sagittali e coronali che femoro-rotulea, nella quale i piani di scelta sono il sagittale e l’assiale (Fig 3).
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G Lo spessore della cartilagine ialina ai condili femorali, secondo il Testut, è in media di circa 2,5-3 mm, più sviluppato sulla parte mediana rispetto ai margini. Analogo spessore si riscontra normalmente alla troclea femorale con maggiore spessore in corrispondenza della gola e sul versante laterale. Ai piatti tibiali la cartilagine è più spessa, essendo di norma tra i 3 ed i 4 mm al mediale e circa 6-7 mm al laterale, soprattutto nella porzione mediana (Fig 4).
Tali spessori, che in RM risultano più variabili rispetto a quanto descritto nel Testut, sono comunque nettamente maggiori di altre articolazioni, per cui ci consentono, con le sequenze di impulsi appropriate, valutazioni accurate e misurazioni estremamente affidabili (Fig. 5), che permettono di evidenziare iniziali riduzioni di spessore della cartilagine ialina.
L’entità del normale spessore della cartilagine del ginocchio ci consente allo stesso tempo accurate valutazioni del segnale cartilagineo, parametro molto influenzato dalle sequenze utilizzate e di più difficile valutazione in altre articolazioni, ove lo spessore della cartilagine articolare è molto più sottile (ad esempio l’anca).Altrettanto importante è l’analisi dell’osso subcondrale, nella cui valutazione sono da preferire, secondo la mia opinione, le sequenze DP con saturazione del grasso e le sequenze T1 senza saturazione del grasso, che possono mostrarci agevolmente aree di esposizione ossea spesso associate ad edema, solitamente piuttosto esteso nelle fasi acute della patologia e che di norma regredisce progressivamente e spontaneamente, magari accentuandosi nuovamente nel progredire della patologia artrosica.
5 Esempi di misurazione della cartilagine ialina del ginocchio.
In HighLights 2018/2 troverete: Casi clinici, follow-up e MOCART score!
Non perdetelo!
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REJUVENATIUM: “The truth is (still) out there”
A. Marmotti, G.M. Peretti, F, Castoldi e il comitato Ricerca (presidente: L. De Girolamo; membri: M. Saccomanno, M. Conca, A. Costa, D. Cucchi, S. De Giorgi, A. Russo, R. D’Apolito)
C’è una storia nel mondo della scienza di base, bellissima, che vale la pena di essere raccontata. Siamo negli anni ’50, in un setting di ricerca pionieristico, in una della più famose università americane, la Cornell University. Il professor Clive M. McCay con il suo gruppo di ricerca tenta un esperimento preclinico sui ratti ai limiti della fantasia: somministrare del sangue di un animale giovane in un esemplare più vecchio, unendoli attraverso la cute [8]. Si chiama “parabiosi eterocronica” e ricorda molto il racconto di Bram Stoker e la tradizione letteraria gotica mista ad atmosfere fantascientifiche tipo “l’invasione degli ultracorpi” [15], e poteva sembrare più un azzardo che altro. Ma l’esperimento riesce e alla fine, alle biopsie degli animali più vecchi McCay trova un risultato straordinario: la cartilagine dei ratti anziani trattati era davvero ringiovanita, aveva l’aspetto simile a quella degli animali più giovani. Anche alla luce delle nostre conoscenze questo risultato è una bomba. Tuttavia, il tempo non era giunto e nessuno conosceva il concetto di “cellule staminali” o “fattori di crescita”. Per andare avanti il mondo aveva bisogno di altro e gli studi si fermarono lì. E anche questa storia potrebbe finire così. Se non fosse che…Facciamo un salto di 50 anni; il setting del mondo della ricerca agli inizi del 2000 è cambiato e il ruolo delle cellule staminali nei processi riparativi è già stato intuito e osservato. Arnold Caplan ha g i à p u b b l i c a t o m o l t o e i l c o n c e t t o dell’ubiquitarietà nel nostro corpo delle cellule staminali è ormai un dato indiscutibile. In questo panorama il gruppo di ricerca di Thomas Rando ritenta un esperimento simile a quello di McCay, ma con una conoscenza di base completamente migliorata. La “Parabiosis reloaded” questa volta è stata fatta cercando di capire se poteva essere
fermato negli animali più anziani il declino inevitabile del muscolo scheletrico, intrinseco con l’età. L’attenzione venne posta su un meccanismo molecolare chiamato “notch signalling” che si riduce nel tempo nel muscolo degli individui più anziani e conduce alla diminuzione della rigenerazione del muscolo “anziano” [1]. Rando e i suoi ricercatori scoprirono che questo segnale veniva riattivato nelle cellule staminali del muscolo dei ratti sia attraverso dissezioni in vivo, sia replicando in vitro la coltura cellulare di cellule staminali anziane in presenza di siero proveniente da sangue di topi giovani. E le cellule staminali muscolari ricominciavano a proliferare. Ed è a questo punto che la partita si riapre di nuovo. L’intuizione fondamentale e sbalorditiva nel suo fascino è che davvero esiste qualcosa, un gruppo di fattori sistemici, che nel sangue degli individui giovani è un grado di stimolare l’attivazione dei progenitori tissutali staminali. L’unico “piccolo” problema era: che cosa è esattamente? Come fare a determinarlo? Nel sangue circolante c’è una quantità di segnali e molecole praticamente inimmaginabile. Le piastrine contengono microvescicole piene di fattori di crescita e miRNA (microRNA) che sono in grado di cambiare il comportamento delle cellule quando entrano nel citoplasma e modulano l’espressione del geni. Ma, in ogni caso, valeva la pena di continuare a cercare. E questo invito è stato accolto da una ricercatrice del team di Rando, Amy Wagers. La Wagers decise di andare avanti con la parabiosi eterocronica e, tenacemente, riprova gli esperimenti che, se negli anni ’50 sapevano di fantascienza da laboratorio, ora cominciano ad avere un sapore molto più reale e palpabile come i toni cinematografici che abbiamo imparato a conoscere in certi episodi di “X –Files” [16]. E anche questa volta gli esperimenti riescono e la Wagers ci regala una delle più brillanti scoperte degli ultimi anni: i fattori nel sangue esistono davvero, e uno di questi si chiama GDF-11 (growth differentiation factor-11) [5].
Continua ⇒
BEYOND - LE BOMBE DI MARMOTTILa rubrica dedicata ai lavori scientifici potenzialmente rivoluzionari, letti, interpretati e proposti da:
AntonGiulio Marmotti & Comitato Ricerca
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E gli effetti osservati non erano solo ristretti alla rigenerazione del muscolo scheletrico, ma si estendevano anche al sistema nervoso centrale, al fegato e al muscolo cardiaco [10] [7]. Una scoperta di questo genere ha una “fertilità scientifica” impressionante e se solo ci si ferma a riflettere sulla potenza di tutto questo, si può immaginare di curare in modo diverso le malattie degenerative. Invece di curare ogni specifica malattia con differenti farmaci, la prospettiva potrebbe essere quella di riuscire ad indentificare un gruppo di sostanze in grado di far andare “indietro” l’orologio biologico nel suo complesso o, come ha detto la Wager ““Instead of taking a drug for your heart and a drug for your muscles and a drug for your brain, maybe you could come up with something that affected them all” [14]. Intanto Villeda nel 2014 pubblicava l’aumento di sinapsi e di funzione cognitiva nei ratti anziani sottoposti a trasfusioni con sangue di ratti giovani [11] e ne l 2016 d imos t rava anche i l miglioramento delle memoria in un modello di Alzheimer nei ratti [9]. E il gruppo di Patrice D. Smith ha appena pubblicato un risultato simile per quanto concerne il miglioramento della memoria a breve termine dopo somministrazione specifica di GDF-11 in topi anziani [13].Sembra di veder nascere un sogno bellissimo.Ma come nei migliori film americani, c’è sempre un colpo di scena. Nel 2016 Egerman e i suoi collaboratori mettono tutto in discussione e dimostrano che GDF-11 non solo non diminuisce ma aumenta nel siero di topi e ratti anziani e, nello specifico, elevati livelli di GDF-11 nel muscolo dei ratti anziani sono riconducibili alla riduzione della rigenerazione muscolare e alla diminuzione della proliferazione delle cellule staminali muscolari [3]. E dello stesso parere è Shavonn Harper che, con il suo gruppo di ricerca, ha sostenuto nel 2016 che elevare i livelli di GDF-11 può essere più dannoso che altro [6]. Che cosa stava succedendo nel mondo scientifico? Dove è la verità?Le scelte a questo punto sono due: credere che sia stato tutto solo un bellissimo sogno e tornare nei nostri luoghi di lavoro riprendendo la nostra vita quotidiana, o, invece, provare a crederci davvero. E se siamo disposti a scommettere di crederci davvero, allora dobbiamo aprire ancora i nostri orizzonti e, al di là delle critiche fatte ai risultati della Wagers, dobbiamo vedere che qualcosa nel sangue giovane c’è davvero. Se non è solo
GDF-11 come la Wagers sosteneva, ci saranno altre proteine coinvolte, come l’ossitocina descritta dal gruppo di Conboy[4] , che in associazione con altre molecole bioattive sistemiche presenti nel sangue potrebbero essere in grado di real izzare i l processo di “rejuvenation” osservato mediante parabiosi eterocronica. E in questo orizzonte, le microvescicole circolanti nel sangue di individui giovani, provenienti da cellule staminali “giovani”, potrebbero avere un ruolo fondamentale nei processi rigenerativi sistemici. Il gruppo di ricerca di Lucienne Vonk e Magdalena J. Lorenowicz ha appena descritto il ruolo anabolico delle microvescicole di cellule staminali da midollo osseo nel confronti della cartilagine [12]. E se una chiave fosse proprio lì, nel secretoma degli individui giovani e in ciò che del secretoma è rilasciato nel sangue circolante? In altre parole: se invece che una sola sostanza come il GDF-11, dovessimo cercare la soluzione in un gruppo di sostanze (proteine, fattori di crescita, miRNA) [2] contenute microvescicole circolanti nel sangue di individui giovani? Se così fosse, e molto probabilmente così è, noi non siamo alla fine del sogno, ma solo all’inizio. E la verità è ancora là fuori, dobbiamo solo andare avanti.
Bibliografia1. Conboy IM, et al. Nature 433:760–7642. Conese M, et al. Open Med Wars Pol
12:376–3833. Egerman MA, et al. Cell Metab 22:164–
1744. Elabd C, et al. Science 345:1234–12376. Harper SC, et al. Circ Res 118:1143–1150;
discussion 11507. Loffredo FS, et al. Cell 153:828–8398. Mccay CM, et al. Gerontologia 1:7–179. Middeldorp J, et al. JAMA Neurol
73:1325–133310. Sinha M, et al. Science 344:649–65211. Villeda SA, et al. Nat Med 20:659–66312. Vonk LA, et al. Theranostics 8:906–92013. Zhang M,et al. Behav Brain Res 341:45–4914. Zimmer C (2014, May 4) Young Blood
May Hold Key to Reversing Aging. N. Y. Times
15. (2018, January 8) L’invasione degli ultracorpi (film). Wikipedia
16. (2018, February 24) X-Files. Wikipedia
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COME ERAVAMOImmagini, momenti, ricordi ed episodi dei grandi chirurghi che hanno fatto la storia della chirurgia ortopedica moderna e dei grandi eventi
A cura dei GianLuigi Canata
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Le sessioni SIOTsuperspecialistiche
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Roma, novembre 1983. All’Hilton Cavalieri di Monte Mario si svolgeva il sessantottesimo congresso SIOT. La chirurgia del ginocchio era in grande fermento in Italia. Nuove tecniche chirurgiche stavano emergendo e giovani chirurghi italiani diffondevano in Italia l’esperienza dei migliori esperti mondiali dell’epoca: Jack Hughston, Jimmy Andrews, Albert Trillat, Henry Dejour ed
i l c o n t rove r s o P h i l i p p e Bousquet. In Italia Giancarlo Puddu, Pierpaolo Mariani e Alberto M o s c h i i n i z i a v a n o a p u b b l i c a r e s u r i v i s t e i n t e r n a z i o n a l i n u o v e classificazioni e nuove tecniche chirurgiche. Era nata da poco a Roma la International Knee Society fra i cui fondatori spiccava Lamberto Perugia. Io, giovane ortopedico interessato
soprattutto alla traumatologia sportiva ed alla chirurgia del ginocchio, cercavo di assorbire quanto di nuovo stava emergendo e ammiravo questi colleghi che entusiasticamente trasmettevano le loro nuove conoscenze. Eravamo ancora agli albori della artroscopia in Italia e i relatori americani che presentavano grandi casistiche di chirurgia artroscopica erano ascoltati in incredulo silenzio da un gran numero di ortopedici provenienti dai principali ospedali italiani. Tutto all’epoca si svolgeva in ambito ospedaliero ed universitario.
Anni ‘80
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Erano rarissimi i rappresentanti della ospedalita’ privata. Anche nel CTO di Torino, dove ero giovane assistente, la chirurgia del ginocchio era in grande sviluppo: divisioni ospedaliere e reparti universitari erano in virtuosa competizione per migliorare i risultati di una chirurgia all’epoca molto invasiva e seguita da lunghe e dolorose riabilitazioni. Il prof Giorgio Fonda, mio maestro ed il prof Maurizio Crova erano estremamente attivi in questo ambito e trascinavano giovani come Flavio Quaglia e Daniele Comba. Appassionato triplista nel decennio precedente, profondamente coinvolto anche nelle attivita’ dell’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, all’epoca all’avanguardia in Italia e diretto dal Prof. Vittorio Wyss, ero imbevuto di agonismo ed entusiasta di poter competere nello sviluppo della chirurgia del ginocchio presentando nei congressi le esperienze che maturavano nel mio reparto e nell’Istituto. Avevo anche fondato nel 1980 il Servizio Medico del CUS Torino il cui presidente Primo Nebiolo era all’epoca letteralmente imperatore dell’atletica mondiale. Dal 1980 ero anche uno dei medici federali FIDAL i cui responsabili medici erano il prof. Mario Boni ed il dott. Leonardo Coiana, uomini apparentemente burberi ma di grande umanita’. In quel novembre 1983 iniziai a presentare due relazioni sul ginocchio del saltatore e sulla tecnica d i Andrews ne l le instabilita’ anterolaterali di ginocchio. Le sessioni super-s p e c i a l i s t i c h e e r a n o letteralmente assalite da folle oceaniche di ortopedici attirati dalle straordinarie novita’ emergenti. Le sessioni erano molto vivaci con accanite discussioni fra i cui animatori spiccava Giancarlo Puddu. Chiunque poteva presentare la propria esperienza o la propria tesi innovativa ma doveva affrontare le forche caudine della discussione in cui i punti deboli della presentazione erano stigmatizzati senza pieta’. Ero entusiasta di poter scendere in campo nell’arena e sostenere il mio punto di vista accettando il
confronto. Ricordo con nostalgia e riconoscenza vive discussioni con molti colleghi e soprattutto lo spirito vivace di Giancarlo Puddu che sapeva domare l ’ a u l a c o n s a p i e n t e fermezza. Riconosco in quelle sessioni una sostanziale onesta’ intellettuale e quei confronti aiutavano tutti a migliorare le proprie conoscenze. Chiunque chiuso nella propria stanza puo’ sentirsi
il migliore al mondo ma solo il confronto con il mondo esterno ci puo’ aiutare a crescere. A tal proposito ricordo una esperienza personale: il mio primo impegno nella nazionale giovanile di atletica a Thonon les Bains nel 1972.
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Avevo stabilito a Lione la migliore prestazione italiana dell’anno e mi sentivo molto competitivo. Grande fu la mia sorpresa quando lessi che il triplista francese mio avversario saltava un metro piu’ di me: vinse lui, seppure per pochi centimetri. Continuo ad essere convinto che la discussione sia il sale dei congressi e che il confronto onesto sia il miglior modo per verificare il proprio operato. Giancarlo Puddu e’ stato un costante punto di riferimento nella mia vita. Ammiro la sua intelligenza e l’eleganza con cui sa muoversi nel mondo. Ricordo a Basilea nel 1986 nel corso del secondo congresso ESKA il suo tentativo di incoraggiare i colleghi italiani in difficolta’ contro la preponderanza degli specialisti stranieri che dominavano nella societa’. Ma lo stesso Giancarlo seppe diventare in seguito presidente ESKA. In ogni congresso internazionale la sua presenza vivace e coagulativa e’ stata costante. Nel 1989 fu uno dei firmatari della lettera di presentazione con cui entrai nella International Knee Society. Nel 1992, anno olimpico in Spagna, partecipai a due congressi nel giro di pochi giorni, costringendo la mia famiglia ad un viaggio estenuante sulla Discovery dell’epoca: a Barcellona e Pamplona Giancarlo fu presente parlando un perfetto spagnolo: merito della madre cilena, mi disse. Sempre pronto a condividere le sue conoscenze mi convinse anche a cambiare vita nel 1994: eravamo ad Atene per il congresso FIMS (Federazione Internazionale di Medicina Sportiva). Visitammo insieme la citta’ ed il Partenone e ci trovammo in aeroporto con lo stesso piccolo PC portatile dell’epoca: realizzammo che avevamo stessi interessi e attivita’. In quei mesi stava lasciando l’universita’ e mi disse: “che ci fai in ospedale? “. Lo stesso dicembre diedi le dimissioni da ospedaliero e non me ne pentii mai. Ancora oggi gli sono grato per quanto mi ha dato nei decenni e continuo ad utilizzare qualcuna delle sue straordinarie invenzioni. Grazie Giancarlo!
Gian Luigi Canata
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INTERNATIONAL COMBINED MEETING: MASTERCLASS IN SPORTS TRAUMA ESMA-SIGASCOTGenova - Palazzo Ducale, 16-17 Novembre 2018
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A cura di Matteo Guelfi e Stefano Pasqualotto
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RadiologiaOrtopedica: www.radiologiaortopedica.it - Radiologiaortopedica.it è un sito creato per tutti coloro che vogliono conoscere od approfondire argomenti di radiologia nellʼambito delle patologie ortopediche.
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Introduzione“Paura. Più che per i Pelicans, ribaltati dai Warriors nella ripresa dopo essere stati sotto anche di 21, per Steph Curry, uscito con una brutta distorsione alla caviglia destra da una partita di cui era stato protagonista assoluto…” Durante la partita Golden State vs new Orleans, dopo aver segnato 31 punti ed essere diventato l’8° giocatore della storia sopra le 2000 triple in carriera, Steph Curry è dovuto uscire dal campo di gioco a causa dell’ennesima distorsione di caviglia. Il forte playmaker dei Warriors non è nuovo a questo tipo d’infortunio, tanto che su internet sono facilmente reperibili compilation di video in cui si procura distorsioni multiple a testimonianza di come sia affetto da un’instabilità cronica. (https://youtu.be/jn0sLhDkBzk).
Distorsione acuta e instabilità cronicaLe distorsioni di caviglia sono uno dei traumi più frequenti nella popolazione generale e sportiva. Più frequentemente il trauma avviene in inversione, con lesione a carico dei legamenti laterali della caviglia. La maggior parte delle distorsioni di caviglia sono trattate efXicacemente con protocollo PRICE (Protezione, Riposo, ghiaccio, Compressione ed Elevazione) e riabilitazione funzionale, come effettivamente eseguito da Steph Curry, tornato in campo dopo 26 giorni segnando 38 punti nella partita contro Memphis. Tuttavia, in seguito a uno o più episodi distorsivi, circa il 15-‐20% dei pazienti sviluppa un’instabilità cronica (CA I ) non r i sponden te a l t r a t t amen to conservativo. In questi casi i pazienti lamentano persistenza di sintomi quali dolore anterolaterale, gonXiore post-‐attività, distorsioni ricorrenti, sensazione di instabilità o mancanza di sicurezza nell'appoggio durante la deambulazione. In questi casi una stabilizzazione chirurgica dei legamenti laterali è necessaria.Alcuni pazienti affetti da instabilità laterale possono sviluppare nel tempo un’instabilità rotatoria: l’aumentata intrarotazione dell’astragalo
dovuta a un’insufXicienza del peroneo astragalico anteriore causa una lesione della porzione anteriore del legamento deltoideo. In questi casi, la lesione è evidenziabile artroscopicamente come una dissociazione delle Xibre anteriori del deltoideo dal malleolo mediale, con un aspetto tipo “open book”. In questi casi, con la sola riparazione del complesso legamentoso laterale potrebbe persistere una sintomatologia nella regione anteromediale della caviglia, pertanto è consigl iabi le r iparare s ia i l complesso legamentoso laterale sia quello mediale.InXine, alcuni pazienti (Xino al 30%) come sequela di uno o più traumi distorsivi lamentano un dolore anterolaterale, con una caviglia apparentemente stabile all’esame obiettivo e alle radiograXie in stress. Questi casi, che talvolta hanno una sensazione soggettiva d’instabilità, sono soventemente diagnosticati come soft-‐tissue impingement. Tuttavia all’esame artroscopico è spesso evidenziabile una lesione parziale del peroneo astragal ico anteriore con una conseguente microinstabilità che all’esame clinico può facilmente passare misconosciuta. Alcuni studi rivelano come un consistente numero di pazienti (20-‐30%) sottoposti a rimozione del soft-‐tissue impingement, continui a lamentare sintomi e in qualche caso sensazione d’instabilità. È probabile che in questi casi una instabilità minore dovuta a un’insufXicienza del PAA sia alla base degli scarsi outcome clinici e, in questi pazienti, sia preferibile eseguire una riparazione legamentosa.
La notizia pubblicata dalla “Gazzetta”, come spunto di approfondimento per conoscere di più e meglio una patologia, una tecnica chirurgica, un percorso riabilitativo. Una nuova rubrica di HIGHLIGHTS in grado di regalare, partendo dal quotidiano, un aggiornamento scientificamente serio e approfondito sulla traumatologia dello sport.
Lesioni legamentose della caviglia e trattamento
artroscopico
Tratto da: La Gazzetta dello Sport del 5 dicembre 2017
Articolo a cura di Matteo Guelfi
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Trattamento chirurgico: nuove tecniche artroscopicheIl trattamento chirurgico delle CAI si divide classicamente in riparazione o ricostruzioni dei legamenti laterali. La riparazione, originariamente descritta da Broström, prevede una sutura del residuo legamentoso. Nelle ricostruzioni invece, i legamenti laterali sono sostituiti con tendini autologhi o allograft. Nella maggior parte dei pazienti affetti da instabilità la riparazione anatomica dei legamenti è la scelta raccomandata, questa ha dimostrato ottimi risultati anche a lungo termine con basso rischio di complicanze quali rigidità, recidive e alterazioni biomeccaniche. Classicamente il trattamento dell’instabilità prevede una riparazione legamentosa per via open. Tuttavia, diversi studi hanno evidenziato come da l 66 a l 93% de i c a s i t r a t t a t i chirurgicamente per instabilità concomitino altre patologie intra-‐articolari. Queste possono contribuire alla sintomatologia, pertanto, anche in caso di riparazione legamentosa con tecnica open, è raccomandato associare il tempo artroscopico. Negli ultimi anni diversi fattori hanno portato a un boom d’interesse nell’artroscopia di caviglia e una conseguente evoluzione di tecniche artroscopiche o artroscopico assistite per il trattamento dell’instabilità. Queste sono state recentemente riportate come efXicaci, riportando risultati sovrapponibili alle tecniche open in termini di outcome clinici e soddisfazione del paziente. Tuttavia, è stato osservato un tasso di complicanze quasi raddoppiato. Queste sono principalmente causate da lesioni delle strutture anatomiche circostanti durante il passaggio percutaneo dei Xili di sutura, per lo più a carico del nervo peroneo superXiciale (PS), e alla prominenza dei nodi di sutura. Questo è facilmente giustiXicabile poiché, alcune delle tecniche deXinite artroscopiche, solitamente chiamate Arthro-‐Brostrom, sono in realtà delle tecniche artroscopico assistite. Infatti, prevedono il posizionamento di 2 ancore sotto diretta visualizzazione artroscopica e il passaggio percutaneo nella regione anterolaterale dei Xili di sutura. Questo, oltre a non eseguire una riparazione anatomica dei legamenti, aumenta sensibilmente il rischio d’intrappolamento di una delle branche terminali del nervo peroneo superXiciale.Nel 2013 Vega ha descritto una tecnica artroscopica di riparazione all-‐inside dei legamenti laterali utilizzando un’ancora senza nodo. Questa tecnica, insieme ai vantaggi propri dell'artroscopia, evita il passaggio percutaneo delle suture, azzerando i rischi di intrappolamento delle
strutture anatomiche circostanti. Rispetto ad altre tecniche artroscopiche o artroscopico assistite, permette di reinserire nel proprio footprint, e quindi in maniera anatomica, i legamenti laterali della caviglia. Inoltre, l’utilizzo di un’ancora senza nodo evita fastidi legati alla prominenza dei nodi di sutura. Recentemente, sempre Vega, ha descritto una tecnica simile per la riparazione del legamento deltoideo nei casi d’instabilità rotatoria. In questi casi entrambi i complessi legamentosi laterali e mediali possono essere riparati efXicacemente con tecnica all-‐inside.
Post OperatorioNel postoperatorio a protezione delle suture la caviglia è immobilizzata per 3-‐4 settimane con carico graduale concesso dalla seconda settimana postoperatoria. Dopo la rimozione del tutore, il paziente inizia un protocollo riabilitativo per il recupero del ROM, del tono muscolare e della propriocezione. I movimenti di eversione/inversione sono evitati Xino alla 6° settimana postoperatoria. Dall’8° settimana è solitamente concesso il ritorno a sport non di contatto, il ritorno a esercizi sport-‐speciXici e un graduale ritorno a sport di contatto sono concessi dalla 12° settimana.
Letture consigliate-‐ Vega J, et al. Foot Ankle Int 2013;34:1701–9. doi:
10.1177/1071100713502322. -‐ GuelXi M, et al. Foot Ankle Surg 2016. doi:10.1016/j.fas.
2016.05.315
-‐ Vega J, et al. Knee Surgery, Sport Traumatol Arthrosc 2017;0:0. doi:10.1007/s00167-‐017-‐4736-‐y.
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MEETING(S) WITH... FOODIL GUSTO DI ANDARE AI CONGRESSI
Con il “nostro” misterioso Craccon
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Tournedos alla Rossini
Per gli appassionati di storia e letteratura la risposta a chi fu colui che fece il gran rifiuto di dantesca memoria appare scontata….ma non agli appassionati di cucina.La leggenda narra infatti che “il gran rifiuto” nacque in cucina da uno chef che si rifiutò di aggiungere il tartufo, modificando la cottura e gli ingredienti del proprio filetto, per il Maestro Gioacchino Rossini. Il Maestro pretese che il cuoco si facesse da parte: non solo aggiunse il tartufo, ma pretese liquore e fois gras…..da qui il filetto alla Rossini.Si tratta di un’esplosione di sapori, in piramide.La ricetta originale prevedere una riduzione di Marsala da rapprendere con farina sul fondo, coperta da un letto di spinaci saltati con aglio, precedentemente bollito.Il fois gras va semplicemente rosolato velocemente nel burro con fiamma altissima e poi tenuto al tiepido: il rilascio del suo intingolo servirà per cuocere il filetto.I medaglioni di filetto devono essere legati nella loro circonferenza affichè mentengano la loro forma: l’impiattamento in questo piatto è di grande pregio.La carne viene quindi scottata nella stessa padella del fois gras, la massimo per 2 minuti per lato, in modo da dare croccantezza all’esteno ma lasciare il filetto bello rosso all’interno.Spinaci, filetto e fois gras: la piramide è presto fatta….ora da arricchire con scaglie di tartufo.Nei “periodi di magra” di tartufo possiamo variare con l’utilizzo di burro oppure olio tartufato: non è esattamente lo stesso ma se siamo fuori stagione, il piatto lo possiamo portare a casa.Il Maestro Rossini mi perdonerà…..ma possiamo anche rifiutarci di usare marsala e spinaci, a favore del Madeira come riduzione e le zucchine come accompagnamento. Chissà, così anche io un giorno potrò passare alla storia…..
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MEETING WITH... ARTS & DECO’Dai Congressi lungo le strade di s0le e cultura...... seguendo i consigli di Miss Vannini
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L’isola che vorrei... 2018 -‐ L’altra Mykonos
Si, lo so, immagino che, caro le0ore, 1 starai chiedendo cosa può mai avere Mykonos (nota isola del diver1mento più sfacciato e del peccato vario ed eventuale) con gli interessi di un gruppo di seri chirurghi e scienzia1 e con le a@vità paracongressuali, di preferibile connotazione culturale ed ar1s1ca, da ricercarsi nelle ci0à di des1nazione dei congressi medici; a@vità cui questa rubrica dovrebbe essere dedicata.
La verità è che forse non c’entra niente. Sopra0u0o perché, disgraziatamente, nessuno organizza congressi a Mykonos. Tu0avia, complice il lungo inverno, che volge al termine (ma fino ad un certo punto), la disperata voglia di mare e la rela1va penuria di congressi in località s1molan1, almeno negli ul1mi due mesi, io mi sento di dire che la SIGASCOT avrebbe assoluto bisogno di un congresso a Mykonos e vedremo il perché.
Mykonos è un’isola magica che gode di una reputazione alquanto peccaminosa (non del tu0o immeritata) ma con notevoli risvol1 di interesse culturale poco conosciu1 e certo non pienamente apprezza1.
Certo, giun1 sull’isola, si può facilmente venire travol1 dalla vita dell’isola e dimen1carne alcuni aspe@ più nascos1, ma ci sono super highlights che meritano senz’altro una visita.
La prima tappa necessaria è senz’altro da dedicarsi ad un bagno nel mare (gelido ma corroborante) di Kalolivadi. Mykonos, infa@, offre un’incredibile quan1tà di spiagge, considerata la dimensione modesta dell’isola, tu0e ges1te con estrema eleganza, sebbene ciascuna con una personalità più o meno mondana.
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Ci si stacca a gran fa1ca dalla spiaggia di Kalolivadi e dai suoi comodi le@, perché vi sono altre tappe fondamentali da visitare.
I tramon1 mykoniani sono imperdibili e la sede per un aperi1vo in grandissimo s1le, sarebbe certamente lo Skorpios sulla spiaggia di Paranga. Lo Skorpios, locale con anima diurna e no0urna, nato qua0ro anni fa, ha conquistato la scena dell’isola e con i suoi lussuosi divani sparsi tra le rocce davan1 ai trionfali tramon1 cicladici e sarebbe di eccellente ispirazione per qualunque cosa, non ul1ma la crea1vità scien1fica.
Insospe0abilmente, anche il giro chiese, a Mykonos, è imprescindibile. L’isola è pressoché disseminata di piccole cappelle solitarie, a picco sul mare, dallo straordinario sapore. Ve ne sono decine e scoprirle tu0e, con le loro offerte di fiori e candele, e gli inevitabili ga@ addormenta1 al sole, è una ricerca squisitamente poe1ca.
La principale, tu0avia, è certo la chiesa di Panagia Parapor1ani.
Si trova nell’an1co quar1ere veneziano, accanto al porto. È composta da un agglomerato di cinque chiese, quali, oltre a Panagia Parapor1ani,sono Agios Sozontas, Agioi Anargyroi, Agia Anastasia e Agios Efstathios, tu0e quante con la stessa colorazione di bianca calce. La costruzione di esse va dal 1475, quando fu costruita la prima, al XVII secolo e sono sorte una di fianco all'altra in una con1nuità non dis1nguibile. Le prime qua0ro vennero poi fuse per diventare le basi di una quinta chiesa, sovrastante le altre, dotata anche di una cupola. Il nome significa porta secondaria o porta interna per il fa0o di essere edificata in una delle an1che porte dell'an1ca cinta muraria, di epoca medievale, che racchiudevano la ci0à e l'an1co forte.
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La scelta di ristoran1 e bar è vas1ssima. Basta desiderare. Io desidero mangiare di fronte al mare e locali come Spelià esaudiscono questo desiderio con grande facilità. Resta un minimo di incertezza, tra o@me sedi per riposare e per mangiare, per quel che riguarda la sede ufficiale da scegliersi per il nostro ipote1co Orthospritz SIGASCOT a Mykonos. Si potrebbe optare per il magnifico Principato di Mykonos, sulla spiaggia vip di Panormos, che ha aree ampie e bene alles1te per la nostra riunione (è da vedere a che prezzo…). Oppure, se decideremo di riunirci dire0amente all’arcifamoso Cavo
Tagoo, che una sale0a congressuale, dovrà pure averla…
Non so. Deciderà il comitato, dopo lunga delibera.
Certamente non potremo esimerci, in quanto medici, dall’andare a rendere omaggio ad Apollo, dio della medicina, nato proprio nell’isola di fronte, Delos, esempio mozzafiato di archite0ura civile greca, pressoché inta0a. Una piccola Pompei sull’Egeo. Un’isola sacra per eccellenza, a 30 min di traghe0o dal
porto vecchio, dove sorge i l santuario di Apollo, famoso già nei tempi omerici, che raggiunse il suo massimo splendore nei tempi arcaici (VIII-‐VII sec. a.C) e classici (V-‐IV sec. a.C).
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Merita una visita anche il museo e si dovrà salire sulla collina dalla quale si domina il paesaggio dell’Egeo, disseminato di isole.
Rientra1 a Mykonos, ci perderemo nel labirinto di strade della ci0à vecchia, o Kora, tra negozi e gallerie d’arte innumerevoli, dove troveremo arte contemporanea di livello internazionale o pezzi di ar1s1 emergen1.
Di colpo, si sbuca a Li0le Venice, lungo le an1che mura, ammiriamo i mulini, simbolo di Mykonos, e con uno sguardo all’ul1mo tramonto, torniamo alla vita reale e alle sedi congressuali più frequentemente scelte e meno riprovevoli.
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