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1 A cura del Gruppo Comunicazione di SIGASCOT SIGASCOT HIGHLIGHTS 1/2018 WWW.SIGASCOT.COM ... e non potete perdervi: Riabilitazione nelle protesi d’anca ad accesso anteriore - Instabilità rotulea: consensus meeting - Sessioni superspecialistiche SIOT: gli anni ’80 - Malattie reumatiche negli sportivi - Curry: NBA in Learning from Gazza - Rejuvenatium - Imaging delle lesioni cartilaginee - TempoLibero a Mykonos - ... Henry Dejour raccontato da Paolo Adravanti

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    A cura del Gruppo Comunicazione di SIGASCOT

    SIGASCOT HIGHLIGHTS1/

    2018

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    ... e non potete perdervi: Riabilitazione nelle protesi d’anca ad accesso anteriore - Instabilità rotulea: consensus meeting - Sessioni superspecialistiche SIOT: gli anni ’80 - Malattie reumatiche negli sportivi - Curry: NBA in Learning from Gazza - Rejuvenatium - Imaging delle lesioni cartilaginee - TempoLibero a Mykonos - ...

    Henry Dejou

    r raccontato

    da Paolo Adr

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    7° Congresso nazionale SIGASCOT

    Bologna, 3-5 ottobre 2018

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    Scadenza 30

    marzo 2018

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  • Caro Paolo quando e q u a n t o t e m p o h a i trascorso presso la scuola del Prof.Dejour a Lione?

    Ho frequentato la Scuola diretta dal prof. Henry Dejour a Lione in due tempi diversi.

    Se ben ricordo il primo periodo è stato il più lungo di circa tre mesi nel 1987 e la seconda volta fu un periodo più limitato di 4 settimane nel 1990.

    Quanti anni e che esperienza chirurgica avevi allora?

    Mi sono laureato nel 1979 per cui quando ho frequentato per la prima volta la Scuola Lionese erano trascorsi circa 7-8 anni dalla laurea e la mia esperienza chirurgica era estremamente limitata. Come tu ben sai allora la pratica chirurgica per noi neo-specialisti in Italia era praticamente inesistente.

    Come ti accolse Dejour? Notasti differenze rispetto ai modi tenuti dai nostri grandi maestri di allora?

    L’accoglienza di Dejour nei confronti dei chirurghi che venivano dall’estero era estremamente positiva anche se distaccata, nel senso che il prof, avendo spesso numerosi frequentatori, non era solito colloquiare con noi singolarmente ma spesso in gruppo.

    La differenza che c’era tra il prof. Dejour ed i maestri della chirurgia ortopedica italiana era quella dell’estrema disponibilità all’insegnamento. I nostri maestri italiani tendevano invece ad evitare di insegnare i così detti “trucchi del mestiere” per non creare dei competitors all’interno della propria struttura universitaria.

    Raccontaci in breve che persona e che professionista era Dejour?

    A livello professionale Henry Dejour era una persona estremamente qualificata, completamente dedita al lavoro e molto severa nella sua pratica clinica. Sul lavoro non era assolutamente disponibile ad atteggiamenti che non fossero esclusivamente professionali.

    Alcuni dati salienti del suo modo di lavorare che ti impressionarono allora e che hai fatto tuoi?

    Il suo modo di lavorare era estremamente rigoroso e scientifico. Qualsiasi cosa che esulasse da questi criteri non facevano parte della sua figura.

    Come si svolgeva una giornata di lavoro a Lione allora? Era molto diversa da cosa si faceva in Italia?

    La giornata di lavoro a Lione era diversa a seconda dell’attività clinica o di sala operatoria. Le giornate di Sala iniziavano al mattino presto e finivano spesso nel pomeriggio verso le 17:30/18. Il Prof. Dejour non partecipava a tutti gli interventi ma seguiva i suoi più stretti collaboratori a distanza valutando tutto quello che avveniva in sala operatoria.

    Le giornate di assistenza clinica iniziavano con le visite di reparto, spesso molto lunghe, puntigliose e meticolose. Il mercoledì mattina spesso faceva le visite ambulatoriali dei pazienti assistiti dal SSN, cosa molto atipica in Italia. Si dedicava con impegno e serietà professionale anche a questo tipo di consulto mututalistico.

    Il lunedì pomeriggio c’era un briefing sui pazienti da operare in settimana e su casi clinici particolarmente interessanti al quale erano costretti a partecipare

    CHIEDI CHI ERANO...

    Paolo Adravanti ci raccontaCHI ERA... Henry Dejour

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    “Voi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole chi erano mai questi Beatles”. Da questa famosa canzone degli Stadio, l’idea di questa nuova rubrica. Chiedere a chi ha avuto la fortuna di conoscerli di raccontarci chi sono stati i “mostri sacri” della moderna chirurgia ortopedica nazionale ed internazionale. Esperienze personali, insegnamenti, aneddoti affinché i giovani, dal ricordo del passato, traggano insegnamenti per il presente.

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  • tutti gli specializzandi, gli specialisti e anche gli aiuti più anziani. Giornata estremamente complessa per noi che venivamo interrogati in maniera molto precisa sulle problematiche dei casi clinici presentati durante la riunione.

    Chirurgicamente che cosa hai imparato di piu’ dalla scuola lionese?

    Quello che mi aveva impressionato dal punto di vista chirurgico della Scuola Lionese era la rigorosissima e precisissima conoscenza anatomica delle strutture articolari in modo particolare del ginocchio. Questo determinava un’estrema precisione dal punto di vista chirurgico e soprattutto la possibilità di eseguire gesti estremamente complessi trasformandoli in maniera semplice nella pratica chirurgica. La chirurgia ricostruttiva del ginocchio rappresentava tutto quello che si poteva praticare sia artroscopicamente ma, a quei tempi, ancora di più a cielo aperto nell’ambito delle patologie del ginocchio.

    Come approccio al paziente o alle diverse patologie?

    L’approccio al paziente era estremamente rigoroso e molto professionale non tralasciando alcun dettaglio clinico anamnestico. Tutto era studiato ed analizzato nella fase pre-operatoria e di conseguenza messo in atto anche nella fase peri e post-operatoria.

    Che cosa invece non ti piacque tanto?

    Tutto mi è stato utile nel mio percorso professionale. Non esiste, credo, un minimo ricordo negativo.

    Un aneddoto di quel tuo soggiorno a Lione?

    Due forse le cose che mi sono rimaste impresse del mio periodo lionese. Una sicuramente la sua serietà professionale anche nei rapporti con i colleghi, cosa che allora era quasi inesistente in Italia.

    Il primo aneddoto riguarda un giorno durante le visite che il prof. Dejour faceva con il SSN. Uno dei suoi giovani assistenti aveva presentato un caso di una protesi femoro-rotulea eseguita su una paziente di 28 anni con sindrome dolorosa rotulea da un famoso chirurgo francese (che aveva collaborato con lui nello stesso reparto a Lyon Sud sotto la guida del Prof. Trillat). Alla mia specifica domanda: “come mai è stata eseguita in un paziente così giovane?” il Prof. mi rispose in modo molto laconico e serio: “peut être”

    senza lasciar trasparire un minimo atteggiamento negativo nei confronti di chi aveva eseguito l’intervento.

    Altro aneddoto che mi riguarda personalmente accadde durante quelle terribili riunioni del lunedì pomeriggio dove il Prof. ci interrogava. Uno dei suoi collaboratori aveva presentato un caso complesso di neo-formazione del bacino inglobante il rachide lombosacrale. Ovviamente come spesso succedeva tutti cercavano di nascondersi per evitare di essere interrogati ed io, di fronte a questo caso, che non riguardava il ginocchio, mi trovavo estremamente in difficoltà. Mi ero quasi nascosto sotto i banchi fatti ad anfiteatro e il Prof. Dejour guardandomi con aspetto duro mi chiese: “Qu’est que tu ne pense mon ami italien?”. Potete immaginare quale sia stata la mia risposta balbettante e non sicura e soprattutto fuori tema. A quel punto Henry Dejour mi guardò e mi disse: “probabilmente diventerai un bravo chirurgo del ginocchio ma non un bravo chirurgo ortopedico”.

    Dovessi descrivere Dejour con tre aggettivi cosa sceglieresti?

    Rigoroso

    Professionale

    E, come lui voleva essere chiamato, “duro”.

    Diceva lui stesso parlando di sé: “Je suis trè dur, Je suis un alsacien!”

    Paolo Adravanti

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  • LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDOA cura di Francesco Uboldi, Giacomo Placella e Francesco Perdisa

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    LA BACHECA DELLO SPECIALIZZANDO

    3° FORTE SUMMER SCHOOL 2018

    2-6 giugnoMILANO

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  • Molte malattie reumatiche, come Spondilite Anchilosante, Gotta, Condrocalcinosi, Artrite Psoriasica, Artrite Reumatoide (AR), Lupus Eritematoso Sistemico (LES) possono mascherarsi sotto condizioni traumatiche o meccaniche nei soggetti che praticano attività sportive. In questi soggetti è necessaria, pertanto, una indagine molto accurata comprendente un’adeguata anamnesi, un accurato esame obiettivo e indagini di laboratorio e strumentali mirate.

    Le tendinopatie

    Le tendinopatie sono frequentemente causate da sovraccarico funzionale e si correlano spesso con l’avanzare dell’età, difetto anatomico o allenamento non corretto. I siti più frequentemente interessati sono i tendini del sovraspinato, i flessori delle dita, il tendine rotuleo ed il tendine di Achille. Alcune tendinopatie sono particolarmente correlate a certe attività sportive, come l’epicondilite laterale o “Gomito del tennista”.

    In alcuni casi, però, le tendinopatie dei soggetti che praticano attività sportive possono essere conseguenze di malattie reumatiche sottostanti. Da uno studio è emerso una elevata prevalenza del fattore reumatoide (FR) nei pazienti affetti da ricorrenti episodi di epicondilite laterale e tenosinovite del polso (1). È stata segnalata una frequenza di interessamento tendineo di circa il 64% nei pazienti affetti da AR (2). I siti più frequentemente interessati sono i flessori e gli estensori delle dita (2), sedi frequenti di sinoviti e deformità.

    Negli ultimi anni si è verificato un incremento delle attività sportive accompagnato da una maggiore incidenze delle rotture tendinee, in particolare a livello del Tendine di Achil le. Questo tendine è part icolar mente suscett ibi le ad al terazioni degenerative causate da carico eccessivo ed è anche bersaglio di molte malattie sistemiche come la gotta, pseudogotta, spondiloartropatie e AR (2).

    Sebbene non ci siano dati in letteratura riguardanti le rotture tendinee causate da malattie reumatiche negli atleti, è stato decritto che l’AR, gotta, condrocalcinosi e LES possono determinare rotture tendinee nei soggetti giovani. Le sedi più frequentemente

    interessate nei soggetti affetti da AR sono gli estensori delle dita delle mani (2) e la causa probabilmente è da ricondurre ad una maggiore produzione di metalloproteinasi a livello della matrice (3). Sono state inoltre descritte rotture dei tendini peronei lungo e breve a causa di depositi tofacei nella gotta (5), rotture degli estensori del polso causate da deposito di CPPD (5), mentre il LES può portare raramente a rottura spontanea del tendine (6).

    Le entesiti

    I Microtraumi ripetuti e le malattie autoimmuni possono essere cause di infiammazione, fibrosi e calcificazioni delle entesi (sito di attacco dei muscoli e legamenti alle ossa). La fascite plantare è un entesite frequentemente diagnosticata negli atleti. Altri siti comuni di entesiti sono le tuberosità ischiatiche, grande trocantere, processi spinosi, articolazioni costocondrali, manubrio-sternali e le creste iliache (7). Le entesi sono frequentemente interessate nelle spondiloartriti, in particolare nella spondilite anchilosante e nell’artrite psoriasica e spesso sono accompagnate da sintomi costituzionali (lombalgia notturna, rigidità mattutina) ed incremento degli indici di flogosi.

    In conclusione: Anche negli sportivi le cause di dolori articolari e tendinopatie possono essere multiple e possono essere conseguenze di malattie reumatiche sottostanti (8). È necessario pertanto, in questi soggetti, una anamnesi scrupolosa ed eventualmente un invio dal Reumatologo per ulteriori approfondimenti con indagini di laboratorio e strumentali mirate in relazione al sospetto clinico.

    Bibliografia:

    1. Malmivaara A, et al. Scand J Rheumatol 1995; 24 (3): 154-6

    2. Jarvinen TA et al. Curr Opin Rheumatol 2001; 13 (2): 150-5

    3. Bourikas LA et al.. Clin Exp Rheumatol 2007; 25 (3): 461-3

    4. Lagoutaris ED et al. J Foot Ankle Surg 2005; 44 (3): 222-4

    5. Ariyoshi D et al. Mod Rheumatol 2007; 17 (4): 348-51

    6. Cronin ME. Rheum Dis Clin North Am 1988; 14 (1): 99-116

    7. Van Der Linden et al.. editors. Kelley’s textbook of rheumatology. 7th ed. Philadelphia (PA): Elsevier Saunders, 2005

    8. Jennings F et al. Sports Med. 2008;38(11):917-30.

    REUMATOLOGISMMALATTIE REUMATICHE NEGLI SPORTIVI

    A cura di Orazio De Lucia

    Reumatologia Clinica - ASST G.Pini - CTO (Milano)

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    Ci sono tante patologie di confine fra ortopedia e reumatologia e ci può essere un diverso approccio fra ortopedico e reumatologo nell'affrontare la stessa patologia. Questa nuova rubrica vuole creare un ponte fra i due mondi dando voce al mondo reumatologico.

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    IMPACT SIGASCOT FACTORI più recenti articoli dei soci apparsi su riviste impattate

    A cura di Francesco Perdisa e Giacomo Placella

    I più recenti articoli dei Soci SIGASCOT apparsi sulle riviste di settore con impact factor!

    Hai  pubblicato  un  articolo  e  vuoi  apparire  in  questa  rubrica?  Comunicalo  a  [email protected]   Facebook!  

    Early  Osteoarthritis.    Numerosi  Soci  SIGASCOT  hanno  partecipato  con  articoli  originali  e  di  commento!  [Knee  Surgery  Sport  Arthroscopy.  Vol.  24,  Issue  5  e  6,  May  and  June    2016]    

           KSSTA  IF:  3.227  

    No  evidence  for  combining  cartilage  treatment  and  knee  osteotomy  in  osteoarthritic  joints:  a  systematic  literature  review.    Filardo  G,  Zaffagnini  S,  De  Filippis  R,  Perdisa  F,  Andriolo  L,  Candrian  C  E  Pub  

    Significant  differences  between  manufacturer  and  surgeon  in  the  accuracy  of  final  component  size  prediction  with  CT-‐based  patient-‐specific  instrumentation  for  total  knee  arthroplasty  Cucchi  D,  Menon  A,  Compagnoni  R,  Ferrua  P,  Fossati  C,  Randelli  P    Epub  

    Association  between  incision  technique  for  hamstring  tendon  harvest  in  anterior  cruciate  ligament  reconstruction  and  the  risk  of  injury  to  the  infra-‐patellar  branch  of  the  saphenous  nerve:  a  meta-‐analysis  -‐  Grassi  A,  Perdisa  F,  Samuelsson  K,  Svantesson  E,  Romagnoli  M,  Raggi  F,  Gaziano  T,  Mosca  M,  Ayeni  O,  Zaffagnini  S    Epub  

    Concomitant  injuries  may  not  reduce  the  likelihood  of  achieving  symmetrical  muscle  function  one  year  after  anterior  cruciate  ligament  reconstruction:  a  prospective  observational  study  based  on  263  patients  Hamrin  Senorski  E,  Svantesson  E,  Beischer  S,  Thomeé  C,  Grassi  A,  Krupic  F,  Thomeé  R,  Karlsson  J,  Samuelsson  K    Epub  

    Patellar  resurfacing  versus  patellar  retention  in  primary  total  knee  arthroplasty:  a  systematic  review  of  overlapping  meta-‐analyses.  Grassi  A,  Compagnoni  R,  Ferrua  P,  Zaffagnini  S,  Berruto  M,  Samuelsson  K,  Svantesson  E,  Randelli  P    Epub  

    Bone  morphology  and  morphometry  of  the  lateral  femoral  condyle  is  a  risk  factor  for  ACL  injury.  Vasta  S,  Andrade  R,  Pereira  R,  Bastos  R,  Battaglia  AG,  Papalia  R,Espregueira-‐Mendes  -‐  Epub  

    ACTA  Orthopedica  Belgica  IF:  0.576  

    Distal  femoral  medial  closing  wedge  osteotomy  for  degenerative  valgus  knee :  mid-‐term  results  in  active  patients.  Buda  R,  Castagnini  F,  Gorgolini  G,  Baldassarri  M,  Vannini  F    E  pub  

    Sports  Med  Arthrosc  Rev  IF:  1.368  

    Achilles  Tendinopathy.  Longo  UG,  Ronga  M,  Maffulli  N  -‐    Epub  

    J  Knee  Surg  IF:  1.657  

    Return  to  Sports  after  Unicompartmental  Knee  Arthroplasty:  Reality  or  Utopia?  A  48-‐Month  Follow-‐Up  Prospective  Study.  Lo  Presti  M,  Costa  GG,  Cialdella  S,  Agrò  G,  Grassi  A,  Caravelli  S,  Mosca  M,  Marcheggiani  Muccioli  GM,  Zaffagnini  S.P    Epub  

    Arthroscopy  IF:  4.292  

    Magnetic  Resonance  Imaging  and  Functional  Outcomes  After  a  Polyurethane  Meniscal  Scaffold  Implantation:  Minimum  5-‐Year  Follow-‐up.  Monllau  JC,  Poggioli  F,  Erquicia  J,  Ramírez  E,  Pelfort  X,  Gelber  P,  Torres-‐Claramunt  R    Epub  

    The  Effect  of  Sequential  Tearing  of  the  Anterior  Cruciate  and  Anterolateral  Ligament  on  Anterior  Translation  and  the  Pivot-‐Shift  Phenomenon:  A  Cadaveric  Study  Using  Navigation.  Monaco  E,  Fabbri  M,  Mazza  D,  Daggett  M,  Redler  A,  Lanzetti  RM,  De  Carli  A,Ferretti  A  Arthroscopy.  Dec  2017    

    Cartilage  IF:  2.000  

    Osteochondritis  Dissecans  of  the  Knee  -‐  Conservative  Treatment  Strategies:  A  Systematic  Review  Andriolo  L,  Candrian  C,  Papio  T,  Cavicchioli  A,  Perdisa  F,  Filardo  G    Epub  

    Br  Med  Bull  IF:  3.045  

    Osteoarthritis  of  the  hip  and  knee  in  former  male  professional  soccer  players.    Petrillo  S,  Papalia  R,  Maffulli  N,  Volpi  P,  Denaro  V    Epub  

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    IMPACT SIGASCOT FACTORI più recenti articoli dei soci apparsi su riviste impattate

    A cura di Francesco Perdisa e Giacomo Placella

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  • L’artroprotesi totale di anca è uno degli interventi più eseguiti e di maggior successo nel mondo ortopedico e riabilitativo internazionale. Negli anni abbiamo assistito ad un’evoluzione degli impianti protesici per quanto riguarda design e materiali, mentre le vie chirurgiche utilizzate sono rimaste sostanzialmente quelle da tempo descritte in letteratura. Solo negli ultimi anni sono state proposte soluzioni volte al risparmio del patrimonio osseo e al rispetto dei tessuti molli al fine di diminuire le complicazioni e ridurre i tempi di recupero1,2. Tra le tecniche mini-invasive, la via anteriore è quella che, secondo molti, , rispetta maggiormente le strutture anatomiche, fattore alla base di un recupero funzionale precoce; l’approccio classico avviene attraverso il gap muscolare esistente tra il tensore della fascia lata ed il sartorio3.Utilizzando queste tecniche si può ottenere inoltre u n a d i m i nu z i o n e d e l l e p e rd i t e e m at i ch e perioperatorie, della lunghezza delle incisioni chirurgiche, del dolore postoperatorio, del tempo medio di ricovero e di conseguenza un rapido recupero funzionale4.

    •Cicatrice chirurgica cutanea ridotta;•Riduzione del dolore post-operatorio, poiché i muscoli non vengono sezionati o disinseriti;•Minor perdita di sangue grazie al rispetto delle strutture muscolari e dei vasi sanguigni;•Riduzione del rischio di lussazione in flessione ( eliminazione ausili domestici)•Preservazione della muscolatura glutea e conseguente migliore stabilità dell’articolazione;•Ripresa della completa funzionalità articolare più rapida.•Ridotta zoppia e limitazione funzionale nell’immediato post-operatorio.•Tecnica chirurgica più complessa.•Non adatta in pazienti obesi o con alterazioni morfologiche importanti dell’anca e grandi calcificazioni.•Rischio di lesione del nervo femoro-cutaneo laterale della coscia.

    La riduzione del dolore e la conseguente funzionalità dell’arto operato nell’immediato postoperatorio sono eclatanti: i pazienti il giorno successivo all’intervento vengono fatti camminare seppur con carico protetto, la riabilitazione è agevole ed il periodo di ospedalizzazione è notevolmente ridotto.La mobilizzazione passiva ed attiva in flessione è permessa fin dai primissimi giorni, non esistendo il rischio di lussazione; questo permette, oltre all’eliminazione di tutti gli ausili per rialzare la seduta

    in casa ed in auto, un più rapido drenaggio dell’edema post-operatorio, un miglior controllo del movimento ed un più veloce raggiungimento dell’autonomia nelle adl di base, igiene e vestizione, guida dell’auto. Preservando dal danno creato dall’accesso chirurgico la muscolatura glutea, anche la deambulazione e l’esercizio in carico sono anticipati ed enfatizzati fin dalle prime sedute. A seconda della tipologia di paziente che dobbiamo trattare ( età, peso, muscolatura, durata del dolore pre-operatorio, patologie associate, etc.) potremmo iniziare più o meno precocemente i l nostro programma riabilitativo integrando il trattamento manuale di massaggio e mobilizzazione passiva con gli esercizi autogestiti da eseguire in palestra, in piscina (riabilitativa) e a casa.A lettino con paziente supino, avremo l’accortezza di non estendere l’anca oltre gli zero gradi (per 45 gg) ma di eseguire da subito massaggio del quadricipite, trattamento della cicatrice e la mobilizzazione passiva e attivo-assistita in flesso-estensione.La rieducazione alla deambulazione viene attuata come solitamente, soltanto anticipata ed eseguita con meno dolore da parte del paziente5. Si passa così velocemente ad eliminare le stampelle ( spesso anche a 30 gg dall’intervento) e a salire e scendere scalini di altezza progressiva. Le esercitazioni in carico sono enfatizzate e proposte dapprima in acqua (altezza ombelico) e poi a secco: piccoli af fondi, semipiegamenti anche su piani instabili diventano il cuore della seduta, con l’obiettivo di ripristinare la miglior core stability. Consigliato in pz non collaboranti come in esiti di Alzheimer o altre patologie degenerative per il ridotto rischio di lussazione, sta suscitando curiosità e interesse sempre crescente nei chirurghi ortopedici e nei pazienti che vedono in una minore aggressione chirurgica una risposta alle loro necessità e alle loro attese. Va detto però che gli studi presenti in letteratura6 ad oggi non dimostrano un vero vantaggio a medio e lungo termine seppur i pazienti riportano un maggior comfort nelle prime settimane ed un più precoce ritorno alla piena autonomia.

    Bibliografia:(1) Rachbauer F. Orthopade. 2006 Jul;35(7):723-4, 726-9.(2)Wojiechowski P. Orthop Traumatol Rehabil. 2007 Jan-Feb;9(1):1-7.(3) Noth U. Orthopade 2012 May;41(5):390-8.(4) Sebecic B. Med Glas Ljek. 2012 Feb;9(1):160-5.(5) Reininga IH. J Orthop Res. 2012 Aug 8. (6) Connolly KPs World J Orthop.2016 Feb 18;7(2):94-101.

    LA RIABILITAZIONE NELLE PROTESI D’ANCA PER VIA ANTERIOREA cura di Milco Zanazzo - Comitato Riabilitazione

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    A cura di Francesco Uboldi - Gruppo Comunicazione

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    FirenzeOrthoSpritz ToscanaControversie in Chirurgia della spalla

    MessinaTime-Out SiciliaTrauma distorsivo nel giovane sportivo: esiste solo il LCA?

    RomaTime-Out LazioRevisioni di Protesi totale di ginocchio

    20Apr

    LaziseInternational Border Meeting 2018How to improve the results in TKR !

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  • PATELLO-FEMORAL-JOINT CORNERA cura di Paolo Ferrua e Stefano Pasqualotto Comitato Formazione

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    CONSENSUS AOSSM/PFF SULL’INSTABILITA’ FEMORO-ROTULEAP. Ferrua, S. Pasqualotto

    Recentemente l’American Orthopedic Society for Sports Medicine (AOSSM) e la Patellofemoral Foundation hanno promosso un workshop coinvolgendo 16 opinion leader internazionali in materia di instabilità femoro-rotulea per ridefinire i criteri di diagnosi e trattamento di tale patologia (1).Tra i numerosi aspetti presi in considerazione, i più importanti riguardano l’esame obiettivo e le tecniche di imaging necessarie a porre una corretta diagnosi ed a definire un’appropriata strategia terapeutica.

    ESAME OBIETTIVO• Episodio acuto

    - Misurazione del patellar glide a 0° e 30° di flessione valutando l’entità della tralsazione e l’endopoint

    - Apprehension test a 30° (se tollerato) (2)- Sito di dolorabilità a livello del versante mediale della rotula e/o inserzione

    femorale e decorso MPFL- Versamento (sospettare una frattura osteocondrale in presenza di versamento

    cospicuo)- Valutazione degli assi del ginocchio, dell’antiversione femorale, della torsione

    tibiale e della pronazione della sottoastragalica- Valutazione dell’ipermobilità (score di Beighton) (3)- Valutazione generale del ginocchio (range of motion, dolorabilità, con

    particolare attenzione al legamento crociato anteriore ed al legamento collaterale mediale)

    - Tutte le valutazioni devono essere comparate con l’arto controlaterale sano- In caso di dolore e/o versamento che compromettano la qualità dell’esame

    obiettivo andrebbe pianificata una nuova valutazione a distanza di poche settimane.

    • Instabilità recidivante- Valutazione degli assi del ginocchio, dell’antiversione femorale, della torsione

    tibiale e della pronazione della sottoastragalica - Valutazione della deambulazione- Test dinamici: Single-leg stance, Squat e Step down, valutazione della forza

    della muscolatura glutea, valutazione della core stability ed eventuale presenza di valgo dinamico

    - Misurazione del patellar glide a 0° e 30° di flessione valutando l’entità della tralsazione e l’endopoint

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    - Apprehension test a 0 e 30° (2, 4)- J-sign in flesso-estensione attiva- Valutazione di un fixed lateral tracking (lussazione in flessione)- Versamento- Valutazione dell’ipermobilità (score di Beighton) (3)- Iperalgesia- Valutazione generale del ginocchio (range of motion, dolorabilità, con

    particolare attenzione al legamento crociato anteriore ed al legamento collaterale mediale)

    - Gravity subluxation test (5), medial apprehension test (5) e Relocation test (6) se instabilità mediale (iatrogena)

    IMAGING• Episodio acuto

    - Radiografie in proiezione anteroposteriore, laterale vera e assiali di rotula a 45° (Merchant view) (7)

    - RMN per escludere lesioni osteocondrali e valutazione lesione MPFL

    • Instabilità recidivante- Radiografie in proiezione anteroposteriore, laterale vera e assiali di rotula a

    45° (Merchant view) (7) per valutazione morfologia trocleare, altezza rotulea ed eventuale grado di artrosi

    - Radiografie assiali dinamiche possono essere considerate per la valutazione dell’entità della traslazione rotulea sotto carico (8)

    - RMN o TAC per valutazione dei fattori di instabilià, lo stato delle cartilagini ed il profilo rotazionale

    Come risultato del consensus, gli autori propongono una classificazione clinica dell’instabilità rotulea basata sulla direzione e sul grado di flessione a cui si verifica la lussazione- Instabilità laterale nei primi 45° di flessione- Instabilità laterale in flessione (> di 45° di flessione): più rara e spesso associata a

    brevità congenita dell’apparato estensore- Instabilità mediale (generalmente iatrogena)- Instabilità multidirezionale

    In conclusione tale consensus AOSSM/PPF rappresenta una dimostrazione dell’attuale necessità di una più precisa definizione dei fattori che contribuiscono a garantire la stabilità della rotula e un tentativo di tracciare un percorso diagnostico-terapeutico accurato e standardizzato nella gestione del paziente con instabilità femoro-rotulea.

    Bibliografia1. Post WR, et al. Orthop J Sports Med. 2018 Jan; 6(1). 2. Fithian DC, et al. Am J sports Med. 1995;23(5):607-6153. Beighton P, et al. Ann Rheum Dis 1973;32:413-84. Smillie I: Injury of the knee joint, Edinburgh and London, 1951, Livingston Ltd.5. Nonweiler DE, et al. Am J Sports Med. 1994; 22(5):680-6866. Fulkerson JP. Tech Orthop 1997; 12:165-169.7. Merchant AC, et al. J Bone Joint Surg Am 56:1391–1396, 1974.8. Teitge RA, et al. J Bone Joint Surg Am 1996; 78:193-203.

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  • LA PATOLOGIA OSTEOCONDRALE DEL GINOCCHIO - PARTE 1

    A cura di Maurizio Busacca - Medico RadiologoIstituto Ortopedico Rizzoli - Bologna

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    1° parte tecnica e criteri diagnostici in Risonanza Magnetica

    Premessa

    Le lesioni della cartilagine articolare del ginocchio, idiopatiche o post-traumatiche, sono una delle patologie di più frequente riscontro nella pratica clinica. E’ stato calcolato che in più del 36% degli infortuni negli atleti si verifica un coinvolgimento cartilagineo. In una revisione di 31516 artroscopie, pubblicata nel 1997, Curl ed altri hanno riscontrato il 63% di patologie cartilaginee.Se non trattate le lesioni cartilaginee possono accelerare lo sviluppo di una patologia artrosica.L’Imaging gioca un ruolo fondamentale nella individuazione precoce delle lesioni condrali con interessamento o meno del corrispondente osso subcondrale e, qualunque sia la scelta terapeutica attuata, nei successivi follow up.

    Tecnica RM

    Nell’imaging diagnostico della patologia cartilaginea il ruolo principale lo svolge sicuramente la RM.Nella valutazione della cartilagine articolare e dell’osso subcondrale è però indispensabile che le strumentazioni RM utilizzate siano di alta qualità, a medio-alto campo (di norma 1,5 Tesla) e dotate delle antenne di ricezione, definite tecnicamente bobine di superficie, specifiche per lo studio del ginocchio e possibilmente a più canali (“Phased Array”) . Tali aspetti tecnici sono indispensabili per eseguire studi ad alta risoluzione necessari ad individuare anche minuscole fissurazioni o fibrillazioni cartilaginee ed iniziali sofferenze subcondrali. A fine 2016 è decaduta la norma ministeriale che limitava l’utilizzo delle RM ad alto campo, ovvero da 3 Tesla, ai soli studi di ricerca. Di conseguenza tali apparecchiature sono adesso autorizzate a eseguire studi diagnostici di routine e si stanno iniziando a diffondere anche in Italia, ma, pur permettendo in virtù del loro maggiore campo magnetico, studi a più alta risoluzione, non ritengo siano da considerare al momento indispensabili per lo studio della cartilagine del ginocchio, sicuramente ben valutabile, con esami correttamente eseguiti, anche con RM da 1,5 Tesla. Queste ultime, infatti, grazie alla loro diffusione ormai capillare, consentono una più agevole riproducibilità dei protocolli di studio, uniformando meglio i dati provenienti da RM di analogo campo magnetico, anche se di ditte produttrici diverse, ciò è da tenere in considerazione soprattutto negli studi multicentrici.

    La radiologia alla portata dell’ortopedico

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    G TecnicaRM

    ØRM ad alto campo magnetico (1,5 Tesla o 3 Tesla)ØUso di bobine dedicate. Possibilmente a più canali.ØTre piani di studio : Sagittale, Coronale e

    Trasversale. ØSequenze “standard” ponderate in Densità

    Protonica, senza e con soppressione del grasso, T1 e T2, con slice al massimo di 3 mm di spessore.

    ØSequenze volumetriche, con spessori di sliceinferiori ad 1 mm, per eseguire eventuali ricostruzioni oblique.

    •  Delayed Gadolinium-Enhanced Imaging (DGEMRIC) ;

    •  T1-rho Mapping ; •  T2 Mapping, •  Ultrashort Echo Time Imaging ; •  Magnetization Transfer Imaging ; •  Diffusion Imaging •  Sodium Imaging.

    Imaging Quantitativo

    Presso il nostro istituto il protocollo di studio per la valutazione delle patologie osteocondrali e dei successivi F.U., prevede l’esecuzione di due sequenze sul piano sagittale, una con spessore degli strati di 3 mm, ponderata in densità protonica (PD) con soppressione del grasso, che delinea ottimamente lo strato cartilagineo e consente la individuazione di eventuale edema osseo, la seconda una sequenza 3D volumetrica, di 0,8 mm di spessore, ponderata in DP o T2, senza soppressione del segnale grasso, dalle quali otteniamo delle ricostruzioni sugli altri piani dello spazio. Effettuiamo poi altre 2 sequenze sul piano coronale, la prima pesata in T1 e la seconda in PD Fat Sat ed infine una sequenza assiale o trasversale PD con soppressione del grasso, tutte di 3 mm di spessore (Fig 1).Vi sono poi delle sequenze per la valutazione “oggettiva” o “quantitativa” della cartilagine articolare, spesso differenti tra le diverse ditte produttrici di Risonanze Magnetiche (Fig.2).

    Tali sequenze quantitative rappresentano un metodo non invasivo di analisi della composizione della cartilagine articolare e di conseguenza del suo eventuale degrado. D’altro canto i costi elevati dei software, di norma opzionali, che necessitano anche di hardware con caratteristiche tecniche particolarmente performanti e soprattutto il fatto che non sono riproducibili con tutte le varie tipologie di RM oggi prodotte, non esistendo un unico standard accreditato, le limita a specifici protocolli di ricerca.

    Dovendo ricondurre l’analisi della cartilagine articolare a degli studi facilmente riproducibili, è a mio parere sufficiente basarsi sulle caratteristiche macroscopiche della cartilagine articolare del ginocchio con le normali RM da 1,5 Tesla.

    Criteri diagnostici in RM

    La semeiotica RM nella valutazione della cartilagine articolare del ginocchio è di norma basata sulla valutazione dello spessore e del segnale, nelle diverse sequenze di impulsi eseguite, sia in sede femoro-tibiale, dove è necessario eseguire sempre piani sagittali e coronali che femoro-rotulea, nella quale i piani di scelta sono il sagittale e l’assiale (Fig 3).

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    G Lo spessore della cartilagine ialina ai condili femorali, secondo il Testut, è in media di circa 2,5-3 mm, più sviluppato sulla parte mediana rispetto ai margini. Analogo spessore si riscontra normalmente alla troclea femorale con maggiore spessore in corrispondenza della gola e sul versante laterale. Ai piatti tibiali la cartilagine è più spessa, essendo di norma tra i 3 ed i 4 mm al mediale e circa 6-7 mm al laterale, soprattutto nella porzione mediana (Fig 4).

    Tali spessori, che in RM risultano più variabili rispetto a quanto descritto nel Testut, sono comunque nettamente maggiori di altre articolazioni, per cui ci consentono, con le sequenze di impulsi appropriate, valutazioni accurate e misurazioni estremamente affidabili (Fig. 5), che permettono di evidenziare iniziali riduzioni di spessore della cartilagine ialina.

    L’entità del normale spessore della cartilagine del ginocchio ci consente allo stesso tempo accurate valutazioni del segnale cartilagineo, parametro molto influenzato dalle sequenze utilizzate e di più difficile valutazione in altre articolazioni, ove lo spessore della cartilagine articolare è molto più sottile (ad esempio l’anca).Altrettanto importante è l’analisi dell’osso subcondrale, nella cui valutazione sono da preferire, secondo la mia opinione, le sequenze DP con saturazione del grasso e le sequenze T1 senza saturazione del grasso, che possono mostrarci agevolmente aree di esposizione ossea spesso associate ad edema, solitamente piuttosto esteso nelle fasi acute della patologia e che di norma regredisce progressivamente e spontaneamente, magari accentuandosi nuovamente nel progredire della patologia artrosica.

    5 Esempi di misurazione della cartilagine ialina del ginocchio.

    In HighLights 2018/2 troverete: Casi clinici, follow-up e MOCART score!

    Non perdetelo!

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  • REJUVENATIUM: “The truth is (still) out there”

    A. Marmotti, G.M. Peretti, F, Castoldi e il comitato Ricerca (presidente: L. De Girolamo; membri: M. Saccomanno, M. Conca, A. Costa, D. Cucchi, S. De Giorgi, A. Russo, R. D’Apolito)

    C’è una storia nel mondo della scienza di base, bellissima, che vale la pena di essere raccontata. Siamo negli anni ’50, in un setting di ricerca pionieristico, in una della più famose università americane, la Cornell University. Il professor Clive M. McCay con il suo gruppo di ricerca tenta un esperimento preclinico sui ratti ai limiti della fantasia: somministrare del sangue di un animale giovane in un esemplare più vecchio, unendoli attraverso la cute [8]. Si chiama “parabiosi eterocronica” e ricorda molto il racconto di Bram Stoker e la tradizione letteraria gotica mista ad atmosfere fantascientifiche tipo “l’invasione degli ultracorpi” [15], e poteva sembrare più un azzardo che altro. Ma l’esperimento riesce e alla fine, alle biopsie degli animali più vecchi McCay trova un risultato straordinario: la cartilagine dei ratti anziani trattati era davvero ringiovanita, aveva l’aspetto simile a quella degli animali più giovani. Anche alla luce delle nostre conoscenze questo risultato è una bomba. Tuttavia, il tempo non era giunto e nessuno conosceva il concetto di “cellule staminali” o “fattori di crescita”. Per andare avanti il mondo aveva bisogno di altro e gli studi si fermarono lì. E anche questa storia potrebbe finire così. Se non fosse che…Facciamo un salto di 50 anni; il setting del mondo della ricerca agli inizi del 2000 è cambiato e il ruolo delle cellule staminali nei processi riparativi è già stato intuito e osservato. Arnold Caplan ha g i à p u b b l i c a t o m o l t o e i l c o n c e t t o dell’ubiquitarietà nel nostro corpo delle cellule staminali è ormai un dato indiscutibile. In questo panorama il gruppo di ricerca di Thomas Rando ritenta un esperimento simile a quello di McCay, ma con una conoscenza di base completamente migliorata. La “Parabiosis reloaded” questa volta è stata fatta cercando di capire se poteva essere

    fermato negli animali più anziani il declino inevitabile del muscolo scheletrico, intrinseco con l’età. L’attenzione venne posta su un meccanismo molecolare chiamato “notch signalling” che si riduce nel tempo nel muscolo degli individui più anziani e conduce alla diminuzione della rigenerazione del muscolo “anziano” [1]. Rando e i suoi ricercatori scoprirono che questo segnale veniva riattivato nelle cellule staminali del muscolo dei ratti sia attraverso dissezioni in vivo, sia replicando in vitro la coltura cellulare di cellule staminali anziane in presenza di siero proveniente da sangue di topi giovani. E le cellule staminali muscolari ricominciavano a proliferare. Ed è a questo punto che la partita si riapre di nuovo. L’intuizione fondamentale e sbalorditiva nel suo fascino è che davvero esiste qualcosa, un gruppo di fattori sistemici, che nel sangue degli individui giovani è un grado di stimolare l’attivazione dei progenitori tissutali staminali. L’unico “piccolo” problema era: che cosa è esattamente? Come fare a determinarlo? Nel sangue circolante c’è una quantità di segnali e molecole praticamente inimmaginabile. Le piastrine contengono microvescicole piene di fattori di crescita e miRNA (microRNA) che sono in grado di cambiare il comportamento delle cellule quando entrano nel citoplasma e modulano l’espressione del geni. Ma, in ogni caso, valeva la pena di continuare a cercare. E questo invito è stato accolto da una ricercatrice del team di Rando, Amy Wagers. La Wagers decise di andare avanti con la parabiosi eterocronica e, tenacemente, riprova gli esperimenti che, se negli anni ’50 sapevano di fantascienza da laboratorio, ora cominciano ad avere un sapore molto più reale e palpabile come i toni cinematografici che abbiamo imparato a conoscere in certi episodi di “X –Files” [16]. E anche questa volta gli esperimenti riescono e la Wagers ci regala una delle più brillanti scoperte degli ultimi anni: i fattori nel sangue esistono davvero, e uno di questi si chiama GDF-11 (growth differentiation factor-11) [5].

    Continua ⇒

    BEYOND - LE BOMBE DI MARMOTTILa rubrica dedicata ai lavori scientifici potenzialmente rivoluzionari, letti, interpretati e proposti da:

    AntonGiulio Marmotti & Comitato Ricerca

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  • E gli effetti osservati non erano solo ristretti alla rigenerazione del muscolo scheletrico, ma si estendevano anche al sistema nervoso centrale, al fegato e al muscolo cardiaco [10] [7]. Una scoperta di questo genere ha una “fertilità scientifica” impressionante e se solo ci si ferma a riflettere sulla potenza di tutto questo, si può immaginare di curare in modo diverso le malattie degenerative. Invece di curare ogni specifica malattia con differenti farmaci, la prospettiva potrebbe essere quella di riuscire ad indentificare un gruppo di sostanze in grado di far andare “indietro” l’orologio biologico nel suo complesso o, come ha detto la Wager ““Instead of taking a drug for your heart and a drug for your muscles and a drug for your brain, maybe you could come up with something that affected them all” [14]. Intanto Villeda nel 2014 pubblicava l’aumento di sinapsi e di funzione cognitiva nei ratti anziani sottoposti a trasfusioni con sangue di ratti giovani [11] e ne l 2016 d imos t rava anche i l miglioramento delle memoria in un modello di Alzheimer nei ratti [9]. E il gruppo di Patrice D. Smith ha appena pubblicato un risultato simile per quanto concerne il miglioramento della memoria a breve termine dopo somministrazione specifica di GDF-11 in topi anziani [13].Sembra di veder nascere un sogno bellissimo.Ma come nei migliori film americani, c’è sempre un colpo di scena. Nel 2016 Egerman e i suoi collaboratori mettono tutto in discussione e dimostrano che GDF-11 non solo non diminuisce ma aumenta nel siero di topi e ratti anziani e, nello specifico, elevati livelli di GDF-11 nel muscolo dei ratti anziani sono riconducibili alla riduzione della rigenerazione muscolare e alla diminuzione della proliferazione delle cellule staminali muscolari [3]. E dello stesso parere è Shavonn Harper che, con il suo gruppo di ricerca, ha sostenuto nel 2016 che elevare i livelli di GDF-11 può essere più dannoso che altro [6]. Che cosa stava succedendo nel mondo scientifico? Dove è la verità?Le scelte a questo punto sono due: credere che sia stato tutto solo un bellissimo sogno e tornare nei nostri luoghi di lavoro riprendendo la nostra vita quotidiana, o, invece, provare a crederci davvero. E se siamo disposti a scommettere di crederci davvero, allora dobbiamo aprire ancora i nostri orizzonti e, al di là delle critiche fatte ai risultati della Wagers, dobbiamo vedere che qualcosa nel sangue giovane c’è davvero. Se non è solo

    GDF-11 come la Wagers sosteneva, ci saranno altre proteine coinvolte, come l’ossitocina descritta dal gruppo di Conboy[4] , che in associazione con altre molecole bioattive sistemiche presenti nel sangue potrebbero essere in grado di real izzare i l processo di “rejuvenation” osservato mediante parabiosi eterocronica. E in questo orizzonte, le microvescicole circolanti nel sangue di individui giovani, provenienti da cellule staminali “giovani”, potrebbero avere un ruolo fondamentale nei processi rigenerativi sistemici. Il gruppo di ricerca di Lucienne Vonk e Magdalena J. Lorenowicz ha appena descritto il ruolo anabolico delle microvescicole di cellule staminali da midollo osseo nel confronti della cartilagine [12]. E se una chiave fosse proprio lì, nel secretoma degli individui giovani e in ciò che del secretoma è rilasciato nel sangue circolante? In altre parole: se invece che una sola sostanza come il GDF-11, dovessimo cercare la soluzione in un gruppo di sostanze (proteine, fattori di crescita, miRNA) [2] contenute microvescicole circolanti nel sangue di individui giovani? Se così fosse, e molto probabilmente così è, noi non siamo alla fine del sogno, ma solo all’inizio. E la verità è ancora là fuori, dobbiamo solo andare avanti.

    Bibliografia1. Conboy IM, et al. Nature 433:760–7642. Conese M, et al. Open Med Wars Pol

    12:376–3833. Egerman MA, et al. Cell Metab 22:164–

    1744. Elabd C, et al. Science 345:1234–12376. Harper SC, et al. Circ Res 118:1143–1150;

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    73:1325–133310. Sinha M, et al. Science 344:649–65211. Villeda SA, et al. Nat Med 20:659–66312. Vonk LA, et al. Theranostics 8:906–92013. Zhang M,et al. Behav Brain Res 341:45–4914. Zimmer C (2014, May 4) Young Blood

    May Hold Key to Reversing Aging. N. Y. Times

    15. (2018, January 8) L’invasione degli ultracorpi (film). Wikipedia

    16. (2018, February 24) X-Files. Wikipedia

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  • COME ERAVAMOImmagini, momenti, ricordi ed episodi dei grandi chirurghi che hanno fatto la storia della chirurgia ortopedica moderna e dei grandi eventi

    A cura dei GianLuigi Canata

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    Le sessioni SIOTsuperspecialistiche

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    Roma, novembre 1983. All’Hilton Cavalieri di Monte Mario si svolgeva il sessantottesimo congresso SIOT. La chirurgia del ginocchio era in grande fermento in Italia. Nuove tecniche chirurgiche stavano emergendo e giovani chirurghi italiani diffondevano in Italia l’esperienza dei migliori esperti mondiali dell’epoca: Jack Hughston, Jimmy Andrews, Albert Trillat, Henry Dejour ed

    i l c o n t rove r s o P h i l i p p e Bousquet. In Italia Giancarlo Puddu, Pierpaolo Mariani e Alberto M o s c h i i n i z i a v a n o a p u b b l i c a r e s u r i v i s t e i n t e r n a z i o n a l i n u o v e classificazioni e nuove tecniche chirurgiche. Era nata da poco a Roma la International Knee Society fra i cui fondatori spiccava Lamberto Perugia. Io, giovane ortopedico interessato

    soprattutto alla traumatologia sportiva ed alla chirurgia del ginocchio, cercavo di assorbire quanto di nuovo stava emergendo e ammiravo questi colleghi che entusiasticamente trasmettevano le loro nuove conoscenze. Eravamo ancora agli albori della artroscopia in Italia e i relatori americani che presentavano grandi casistiche di chirurgia artroscopica erano ascoltati in incredulo silenzio da un gran numero di ortopedici provenienti dai principali ospedali italiani. Tutto all’epoca si svolgeva in ambito ospedaliero ed universitario.

    Anni ‘80

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    Erano rarissimi i rappresentanti della ospedalita’ privata. Anche nel CTO di Torino, dove ero giovane assistente, la chirurgia del ginocchio era in grande sviluppo: divisioni ospedaliere e reparti universitari erano in virtuosa competizione per migliorare i risultati di una chirurgia all’epoca molto invasiva e seguita da lunghe e dolorose riabilitazioni. Il prof Giorgio Fonda, mio maestro ed il prof Maurizio Crova erano estremamente attivi in questo ambito e trascinavano giovani come Flavio Quaglia e Daniele Comba. Appassionato triplista nel decennio precedente, profondamente coinvolto anche nelle attivita’ dell’Istituto di Medicina dello Sport di Torino, all’epoca all’avanguardia in Italia e diretto dal Prof. Vittorio Wyss, ero imbevuto di agonismo ed entusiasta di poter competere nello sviluppo della chirurgia del ginocchio presentando nei congressi le esperienze che maturavano nel mio reparto e nell’Istituto. Avevo anche fondato nel 1980 il Servizio Medico del CUS Torino il cui presidente Primo Nebiolo era all’epoca letteralmente imperatore dell’atletica mondiale. Dal 1980 ero anche uno dei medici federali FIDAL i cui responsabili medici erano il prof. Mario Boni ed il dott. Leonardo Coiana, uomini apparentemente burberi ma di grande umanita’. In quel novembre 1983 iniziai a presentare due relazioni sul ginocchio del saltatore e sulla tecnica d i Andrews ne l le instabilita’ anterolaterali di ginocchio. Le sessioni super-s p e c i a l i s t i c h e e r a n o letteralmente assalite da folle oceaniche di ortopedici attirati dalle straordinarie novita’ emergenti. Le sessioni erano molto vivaci con accanite discussioni fra i cui animatori spiccava Giancarlo Puddu. Chiunque poteva presentare la propria esperienza o la propria tesi innovativa ma doveva affrontare le forche caudine della discussione in cui i punti deboli della presentazione erano stigmatizzati senza pieta’. Ero entusiasta di poter scendere in campo nell’arena e sostenere il mio punto di vista accettando il

    confronto. Ricordo con nostalgia e riconoscenza vive discussioni con molti colleghi e soprattutto lo spirito vivace di Giancarlo Puddu che sapeva domare l ’ a u l a c o n s a p i e n t e fermezza. Riconosco in quelle sessioni una sostanziale onesta’ intellettuale e quei confronti aiutavano tutti a migliorare le proprie conoscenze. Chiunque chiuso nella propria stanza puo’ sentirsi

    il migliore al mondo ma solo il confronto con il mondo esterno ci puo’ aiutare a crescere. A tal proposito ricordo una esperienza personale: il mio primo impegno nella nazionale giovanile di atletica a Thonon les Bains nel 1972.

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    Avevo stabilito a Lione la migliore prestazione italiana dell’anno e mi sentivo molto competitivo. Grande fu la mia sorpresa quando lessi che il triplista francese mio avversario saltava un metro piu’ di me: vinse lui, seppure per pochi centimetri. Continuo ad essere convinto che la discussione sia il sale dei congressi e che il confronto onesto sia il miglior modo per verificare il proprio operato. Giancarlo Puddu e’ stato un costante punto di riferimento nella mia vita. Ammiro la sua intelligenza e l’eleganza con cui sa muoversi nel mondo. Ricordo a Basilea nel 1986 nel corso del secondo congresso ESKA il suo tentativo di incoraggiare i colleghi italiani in difficolta’ contro la preponderanza degli specialisti stranieri che dominavano nella societa’. Ma lo stesso Giancarlo seppe diventare in seguito presidente ESKA. In ogni congresso internazionale la sua presenza vivace e coagulativa e’ stata costante. Nel 1989 fu uno dei firmatari della lettera di presentazione con cui entrai nella International Knee Society. Nel 1992, anno olimpico in Spagna, partecipai a due congressi nel giro di pochi giorni, costringendo la mia famiglia ad un viaggio estenuante sulla Discovery dell’epoca: a Barcellona e Pamplona Giancarlo fu presente parlando un perfetto spagnolo: merito della madre cilena, mi disse. Sempre pronto a condividere le sue conoscenze mi convinse anche a cambiare vita nel 1994: eravamo ad Atene per il congresso FIMS (Federazione Internazionale di Medicina Sportiva). Visitammo insieme la citta’ ed il Partenone e ci trovammo in aeroporto con lo stesso piccolo PC portatile dell’epoca: realizzammo che avevamo stessi interessi e attivita’. In quei mesi stava lasciando l’universita’ e mi disse: “che ci fai in ospedale? “. Lo stesso dicembre diedi le dimissioni da ospedaliero e non me ne pentii mai. Ancora oggi gli sono grato per quanto mi ha dato nei decenni e continuo ad utilizzare qualcuna delle sue straordinarie invenzioni. Grazie Giancarlo!

    Gian Luigi Canata

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    INTERNATIONAL COMBINED MEETING: MASTERCLASS IN SPORTS TRAUMA ESMA-SIGASCOTGenova - Palazzo Ducale, 16-17 Novembre 2018

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  • A cura di Matteo Guelfi e Stefano Pasqualotto

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    Introduzione“Paura.   Più   che   per   i   Pelicans,   ribaltati   dai  Warriors   nella   ripresa   dopo   essere   stati   sotto  anche  di  21,  per  Steph  Curry,  uscito  con  una  brutta  distorsione  alla  caviglia  destra  da  una  partita  di  cui  era   stato   protagonista   assoluto…”   Durante   la  partita   Golden   State   vs   new   Orleans,   dopo   aver  segnato  31  punti  ed  essere  diventato  l’8°  giocatore  della   storia   sopra   le  2000  triple   in   carriera,   Steph  Curry  è   dovuto  uscire   dal  campo  di  gioco  a   causa  dell’ennesima   distorsione   di   caviglia.   Il   forte  playmaker  dei  Warriors  non  è  nuovo  a  questo  tipo  d’infortunio,   tanto  che  su   internet  sono  facilmente  reperibili   compilation   di   video   in   cui   si   procura  distorsioni   multiple   a   testimonianza   di   come   sia  affetto  da  un’instabilità  cronica.  (https://youtu.be/jn0sLhDkBzk).

    Distorsione  acuta  e  instabilità  cronicaLe   distorsioni  di   caviglia   sono  uno  dei   traumi  più  frequenti   nella   popolazione   generale   e   sportiva.  Più   frequentemente   il   trauma   avviene   in  inversione,   con   lesione   a   carico   dei   legamenti  laterali   della   caviglia.   La   maggior   parte   delle  distorsioni   di   caviglia   sono   trattate   efXicacemente  con  protocollo  PRICE  (Protezione,  Riposo,  ghiaccio,  Compressione   ed   Elevazione)   e   riabilitazione  funzionale,   come  effettivamente  eseguito  da  Steph  Curry,   tornato   in  campo  dopo  26   giorni   segnando  38  punti  nella  partita   contro  Memphis.  Tuttavia,  in  seguito   a   uno   o   più   episodi   distorsivi,   circa   il  15-‐20%  dei  pazienti  sviluppa  un’instabilità  cronica  (CA I )   non   r i sponden te   a l   t r a t t amen to  conservativo.   In   questi   casi   i   pazienti   lamentano  persistenza  di  sintomi  quali  dolore   anterolaterale,  gonXiore   post-‐attività,   distorsioni   ricorrenti,  sensazione   di   instabilità   o  mancanza   di   sicurezza  nell'appoggio   durante   la   deambulazione.   In   questi  casi   una   stabilizzazione   chirurgica   dei   legamenti  laterali  è  necessaria.Alcuni   pazienti   affetti   da   instabilità   laterale  possono   sviluppare   nel   tempo   un’instabilità  rotatoria:  l’aumentata  intrarotazione  dell’astragalo  

    dovuta   a  un’insufXicienza  del  peroneo  astragalico  anteriore   causa   una   lesione   della   porzione  anteriore  del  legamento  deltoideo.   In  questi   casi,  la   lesione   è   evidenziabile   artroscopicamente  come   una   dissociazione   delle   Xibre   anteriori   del  deltoideo   dal   malleolo   mediale,   con   un   aspetto  tipo   “open   book”.   In   questi   casi,   con   la   sola  riparazione   del   complesso   legamentoso   laterale  potrebbe   persistere   una   sintomatologia   nella  regione   anteromediale   della   caviglia,   pertanto   è  consigl iabi le   r iparare   s ia   i l   complesso  legamentoso  laterale  sia  quello  mediale.InXine,  alcuni  pazienti  (Xino  al  30%)  come  sequela  di   uno   o   più   traumi   distorsivi   lamentano   un  dolore   anterolaterale,   con   una   caviglia  apparentemente   stabile   all’esame   obiettivo  e  alle  radiograXie   in   stress.   Questi   casi,   che   talvolta  hanno   una   sensazione   soggettiva   d’instabilità,  sono  soventemente  diagnosticati  come  soft-‐tissue  impingement.   Tuttavia   all’esame   artroscopico   è  spesso   evidenziabile   una   lesione   parziale   del  peroneo   astragal ico   anteriore   con   una  conseguente   microinstabilità   che   all’esame  clinico   può   facilmente   passare   misconosciuta.  Alcuni   studi   rivelano   come   un   consistente  numero   di   pazienti   (20-‐30%)   sottoposti   a  rimozione  del  soft-‐tissue  impingement,  continui  a  lamentare   sintomi   e   in   qualche   caso   sensazione  d’instabilità.   È   probabile   che   in   questi   casi   una  instabilità   minore   dovuta   a   un’insufXicienza   del  PAA  sia  alla  base  degli  scarsi  outcome  clinici  e,  in  questi   pazienti,   sia   preferibile   eseguire   una  riparazione  legamentosa.  

    La notizia pubblicata dalla “Gazzetta”, come spunto di approfondimento per conoscere di più e meglio una patologia, una tecnica chirurgica, un percorso riabilitativo. Una nuova rubrica di HIGHLIGHTS in grado di regalare, partendo dal quotidiano, un aggiornamento scientificamente serio e approfondito sulla traumatologia dello sport.

    Lesioni legamentose della caviglia e trattamento

    artroscopico

    Tratto da: La Gazzetta dello Sport del 5 dicembre 2017

    Articolo a cura di Matteo Guelfi

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    Trattamento   chirurgico:   nuove   tecniche  artroscopicheIl   trattamento   chirurgico   delle   CAI   si   divide  classicamente   in   riparazione   o   ricostruzioni   dei  legamenti  laterali.   La   riparazione,   originariamente  descritta   da   Broström,   prevede   una   sutura   del  residuo   legamentoso.   Nelle   ricostruzioni   invece,   i  legamenti   laterali   sono   sostituiti   con   tendini  autologhi   o   allograft.   Nella   maggior   parte   dei  pazienti   affetti   da   instabilità   la   riparazione  anatomica  dei  legamenti  è   la   scelta   raccomandata,  questa  ha  dimostrato  ottimi  risultati  anche  a   lungo  termine   con   basso   rischio   di   complicanze   quali  rigidità,  recidive  e  alterazioni  biomeccaniche.  Classicamente   il   trattamento   dell’instabilità  prevede   una   riparazione   legamentosa   per   via  open.   Tuttavia,   diversi   studi   hanno   evidenziato  come   da l   66   a l   93%   de i   c a s i   t r a t t a t i  chirurgicamente   per   instabilità   concomitino   altre  patologie   intra-‐articolari.   Queste   possono  contribuire  alla   sintomatologia,   pertanto,  anche   in  caso  di   riparazione   legamentosa  con  tecnica  open,  è   raccomandato   associare   il   tempo   artroscopico.  Negli  ultimi  anni  diversi  fattori  hanno  portato  a  un  boom  d’interesse   nell’artroscopia  di   caviglia  e  una  conseguente   evoluzione   di   tecniche   artroscopiche  o   artroscopico   assistite   per   il   trattamento  dell’instabilità.   Queste   sono   state   recentemente  riportate   come   efXicaci,   riportando   risultati  sovrapponibili   alle   tecniche   open   in   termini   di  outcome   clinici   e   soddisfazione   del   paziente.  Tuttavia,  è  stato  osservato  un  tasso  di  complicanze  quasi   raddoppiato.   Queste   sono   principalmente  causate   da   lesioni   delle   strutture   anatomiche  circostanti  durante   il  passaggio  percutaneo  dei   Xili  di   sutura,   per   lo   più   a   carico   del   nervo   peroneo  superXiciale   (PS),   e   alla   prominenza   dei   nodi   di  sutura.   Questo   è   facilmente   giustiXicabile   poiché,  alcune   delle   tecniche   deXinite   artroscopiche,  solitamente   chiamate   Arthro-‐Brostrom,   sono   in  realtà   delle   tecniche   artroscopico  assistite.   Infatti,  prevedono   il   posizionamento   di   2   ancore   sotto  diretta   visualizzazione   artroscopica   e   il   passaggio  percutaneo  nella   regione   anterolaterale   dei   Xili   di  sutura.   Questo,   oltre   a   non   eseguire   una  riparazione   anatomica   dei   legamenti,   aumenta  sensibilmente   il   rischio  d’intrappolamento   di   una  delle   branche   terminali   del   nervo   peroneo  superXiciale.Nel   2013   Vega   ha   descritto   una   tecnica  artroscopica  di  riparazione  all-‐inside  dei  legamenti  laterali   utilizzando   un’ancora   senza   nodo.   Questa  tecnica,  insieme  ai  vantaggi  propri  dell'artroscopia,  evita   il   passaggio   percutaneo   delle   suture,  azzerando   i   rischi   di   intrappolamento   delle  

    strutture   anatomiche   circostanti.   Rispetto   ad  altre   tecniche   artroscopiche   o   artroscopico  assistite,   permette   di   reinserire   nel   proprio  footprint,   e   quindi   in   maniera   anatomica,   i  legamenti  laterali  della   caviglia.   Inoltre,   l’utilizzo  di   un’ancora   senza   nodo   evita   fastidi   legati   alla  prominenza   dei   nodi   di   sutura.   Recentemente,  sempre  Vega,  ha  descritto  una   tecnica   simile   per  la   riparazione   del   legamento   deltoideo   nei   casi  d’instabilità   rotatoria.   In   questi   casi   entrambi   i  complessi  legamentosi   laterali  e  mediali  possono  essere   riparati   efXicacemente   con   tecnica   all-‐inside.  

    Post  OperatorioNel   postoperatorio   a   protezione   delle   suture   la  caviglia   è   immobilizzata   per   3-‐4   settimane   con  carico  graduale  concesso  dalla  seconda  settimana  postoperatoria.   Dopo   la   rimozione   del   tutore,   il  paziente   inizia   un   protocollo   riabilitativo   per   il  recupero   del   ROM,   del   tono   muscolare   e   della  propriocezione.   I   movimenti   di   eversione/inversione   sono   evitati   Xino   alla   6°   settimana  postoperatoria.   Dall’8°   settimana   è   solitamente  concesso   il   ritorno   a   sport   non   di   contatto,   il  ritorno   a   esercizi   sport-‐speciXici   e   un   graduale  ritorno  a  sport  di  contatto  sono  concessi  dalla  12°  settimana.    

    Letture  consigliate-‐   Vega   J,   et   al.   Foot   Ankle   Int   2013;34:1701–9.   doi:

    10.1177/1071100713502322.  -‐   GuelXi  M,  et   al.  Foot  Ankle   Surg  2016.  doi:10.1016/j.fas.

    2016.05.315

    -‐   Vega   J,   et   al.   Knee   Surgery,   Sport   Traumatol   Arthrosc  2017;0:0.  doi:10.1007/s00167-‐017-‐4736-‐y.

    !"#$$%&'#(&)#&*#++,$$#&',--%&./%"$&',-&!"#$%&$'(#)*!"#Tratto da: La Gazzetta dello Sport del 5 dicembre 2017

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  • MEETING(S) WITH... FOODIL GUSTO DI ANDARE AI CONGRESSI

    Con il “nostro” misterioso Craccon

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    Tournedos alla Rossini

    Per gli appassionati di storia e letteratura la risposta a chi fu colui che fece il gran rifiuto di dantesca memoria appare scontata….ma non agli appassionati di cucina.La leggenda narra infatti che “il gran rifiuto” nacque in cucina da uno chef che si rifiutò di aggiungere il tartufo, modificando la cottura e gli ingredienti del proprio filetto, per il Maestro Gioacchino Rossini. Il Maestro pretese che il cuoco si facesse da parte: non solo aggiunse il tartufo, ma pretese liquore e fois gras…..da qui il filetto alla Rossini.Si tratta di un’esplosione di sapori, in piramide.La ricetta originale prevedere una riduzione di Marsala da rapprendere con farina sul fondo, coperta da un letto di spinaci saltati con aglio, precedentemente bollito.Il fois gras va semplicemente rosolato velocemente nel burro con fiamma altissima e poi tenuto al tiepido: il rilascio del suo intingolo servirà per cuocere il filetto.I medaglioni di filetto devono essere legati nella loro circonferenza affichè mentengano la loro forma: l’impiattamento in questo piatto è di grande pregio.La carne viene quindi scottata nella stessa padella del fois gras, la massimo per 2 minuti per lato, in modo da dare croccantezza all’esteno ma lasciare il filetto bello rosso all’interno.Spinaci, filetto e fois gras: la piramide è presto fatta….ora da arricchire con scaglie di tartufo.Nei “periodi di magra” di tartufo possiamo variare con l’utilizzo di burro oppure olio tartufato: non è esattamente lo stesso ma se siamo fuori stagione, il piatto lo possiamo portare a casa.Il Maestro Rossini mi perdonerà…..ma possiamo anche rifiutarci di usare marsala e spinaci, a favore del Madeira come riduzione e le zucchine come accompagnamento. Chissà, così anche io un giorno potrò passare alla storia…..

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  • MEETING WITH... ARTS & DECO’Dai  Congressi    lungo  le  strade  di  s0le  e  cultura...... seguendo i consigli di Miss Vannini

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    L’isola  che  vorrei...  2018  -‐  L’altra  Mykonos

    Si,  lo  so,   immagino  che,   caro  le0ore,   1   starai   chiedendo  cosa  può  mai  avere  Mykonos  (nota   isola   del   diver1mento   più   sfacciato   e   del   peccato   vario   ed   eventuale)   con   gli  interessi  di  un  gruppo  di  seri  chirurghi  e  scienzia1  e  con  le  a@vità  paracongressuali,  di  preferibile  connotazione  culturale  ed  ar1s1ca,  da  ricercarsi  nelle  ci0à  di  des1nazione  dei  congressi  medici;  a@vità  cui  questa  rubrica  dovrebbe  essere  dedicata.

    La  verità  è  che  forse  non  c’entra  niente.  Sopra0u0o  perché,  disgraziatamente,  nessuno  organizza  congressi  a  Mykonos.    Tu0avia,  complice  il  lungo  inverno,  che  volge  al  termine  (ma  fino  ad  un  certo  punto),  la  disperata  voglia  di  mare  e  la  rela1va  penuria  di  congressi  in  località  s1molan1,  almeno  negli  ul1mi  due  mesi,   io  mi  sento  di  dire  che  la  SIGASCOT  avrebbe  assoluto  bisogno  di  un  congresso  a  Mykonos  e  vedremo  il  perché.

    Mykonos  è  un’isola  magica  che  gode  di  una  reputazione  alquanto  peccaminosa  (non  del  tu0o   immeritata)  ma  con  notevoli  risvol1  di  interesse  culturale  poco  conosciu1  e  certo  non  pienamente  apprezza1.

    Certo,  giun1  sull’isola,  si  può  facilmente  venire  travol1  dalla  vita  dell’isola  e  dimen1carne  alcuni  aspe@  più  nascos1,  ma  ci  sono  super  highlights  che  meritano  senz’altro  una  visita.

    La  prima  tappa  necessaria  è  senz’altro  da  dedicarsi  ad  un  bagno    nel  mare  (gelido  ma  corroborante)  di  Kalolivadi.  Mykonos,  infa@,   offre   un’incredibile   quan1tà   di  spiagge,   considerata   la   dimensione  modesta   dell’isola,   tu0e   ges1te   con  estrema  eleganza,  sebbene  ciascuna  con  una  personalità  più  o  meno  mondana.

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    Ci  si  stacca  a  gran  fa1ca  dalla  spiaggia  di  Kalolivadi  e  dai  suoi  comodi  le@,  perché  vi  sono  altre  tappe  fondamentali  da  visitare.  

    I  tramon1  mykoniani  sono  imperdibili  e  la  sede  per  un  aperi1vo   in  grandissimo  s1le,  sarebbe   certamente   lo   Skorpios   sulla   spiaggia   di   Paranga.   Lo   Skorpios,   locale   con  anima  diurna  e  no0urna,  nato  qua0ro  anni  fa,  ha  conquistato  la  scena  dell’isola  e  con  i  suoi  lussuosi  divani  sparsi  tra  le  rocce  davan1  ai  trionfali  tramon1  cicladici  e  sarebbe  di  eccellente  ispirazione  per  qualunque  cosa,  non  ul1ma  la  crea1vità  scien1fica.

    Insospe0abilmente,   anche   il   giro   chiese,   a   Mykonos,   è   imprescindibile.   L’isola   è  pressoché   disseminata   di   piccole   cappelle   solitarie,   a   picco   sul   mare,   dallo  straordinario  sapore.  Ve  ne  sono  decine  e  scoprirle  tu0e,  con  le  loro  offerte  di  fiori  e  candele,   e   gli   inevitabili   ga@   addormenta1   al   sole,   è   una   ricerca   squisitamente  poe1ca.

    La  principale,  tu0avia,  è  certo  la  chiesa  di  Panagia  Parapor1ani.

    Si   trova   nell’an1co   quar1ere   veneziano,   accanto   al   porto.     È   composta   da   un  agglomerato  di  cinque  chiese,  quali,  oltre  a  Panagia  Parapor1ani,sono  Agios  Sozontas,  Agioi   Anargyroi,   Agia   Anastasia   e   Agios   Efstathios,   tu0e   quante   con   la   stessa  colorazione  di  bianca  calce.  La  costruzione  di  esse  va  dal  1475,  quando  fu  costruita  la  prima,   al   XVII   secolo   e   sono   sorte   una   di   fianco   all'altra   in   una   con1nuità   non  dis1nguibile.   Le  prime  qua0ro   vennero   poi  fuse  per   diventare  le  basi   di  una  quinta  chiesa,   sovrastante   le   altre,   dotata   anche   di   una   cupola.   Il   nome   significa   porta  secondaria  o  porta  interna  per  il  fa0o  di  essere  edificata  in  una  delle  an1che  porte   dell'an1ca   cinta   muraria,   di  epoca  medievale,   che   racchiudevano  la  ci0à  e  l'an1co  forte.

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    La  scelta  di   ristoran1   e   bar   è  vas1ssima.   Basta  desiderare.   Io   desidero  mangiare  di  fronte  al  mare  e  locali  come  Spelià  esaudiscono  questo  desiderio  con  grande  facilità.  Resta  un  minimo  di   incertezza,  tra  o@me  sedi  per   riposare  e  per  mangiare,  per  quel  che  riguarda  la  sede  ufficiale  da  scegliersi  per  il  nostro  ipote1co  Orthospritz  SIGASCOT  a  Mykonos.  Si  potrebbe  optare  per   il  magnifico   Principato  di  Mykonos,   sulla  spiaggia  vip  di  Panormos,  che  ha  aree  ampie  e  bene  alles1te  per  la  nostra  riunione  (è  da  vedere  a  che  prezzo…).   Oppure,   se  decideremo   di   riunirci  dire0amente   all’arcifamoso   Cavo  

    Tagoo,   che   una   sale0a   congressuale,  dovrà  pure  averla…

    Non   so.   Deciderà   il   comitato,   dopo  lunga  delibera.

    Certamente   non   potremo   esimerci,   in  quanto   medici,   dall’andare   a   rendere  omaggio  ad   Apollo,   dio   della  medicina,  nato  proprio   nell’isola  di   fronte,  Delos,  esempio  mozzafiato  di  archite0ura  civile  greca,   pressoché   inta0a.   Una   piccola  Pompei   sull’Egeo.   Un’isola   sacra   per  eccellenza,   a   30   min   di   traghe0o   dal  

    porto   vecchio,   dove   sorge   i l  santuario   di   Apollo,   famoso   già  nei  tempi  omerici,   che  raggiunse   il   suo  massimo  splendore  nei  tempi  arcaici  (VIII-‐VII   sec.  a.C)   e  classici  (V-‐IV   sec.  a.C).  

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    Merita  una  visita  anche  il  museo  e  si  dovrà  salire  sulla  collina  dalla  quale  si  domina  il  paesaggio  dell’Egeo,  disseminato  di  isole.

    Rientra1  a  Mykonos,  ci  perderemo  nel  labirinto  di  strade  della  ci0à  vecchia,  o  Kora,  tra  negozi   e   gallerie   d’arte   innumerevoli,   dove   troveremo   arte   contemporanea  di  livello  internazionale  o  pezzi  di  ar1s1  emergen1.

    Di  colpo,  si  sbuca  a  Li0le  Venice,  lungo  le  an1che  mura,  ammiriamo  i  mulini,  simbolo  di  Mykonos,   e  con  uno   sguardo   all’ul1mo   tramonto,   torniamo   alla  vita  reale  e  alle  sedi  congressuali  più  frequentemente  scelte  e  meno  riprovevoli.

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