universale laterza ul - uniroma2.it · laterza ul spiritualismo e ... tamente, per dirla in maniera...

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«L'unitàdelvolereedell'istintodifelicitàèil pensierofondamentaleinbasealquale Feuer- bach arrivaaunariformulazionedi . tuttiiprin- cipaliconcettietici . [ . . .] . Il bene eilmalemora le,che Kant avevarelegatonelnebulosoaldi làdelsoprasensibile,hannorapportoinvece conlostatosensibiledellapersona,almeno dellapersonadi ch subiscel'azione,colsuo benessereoilsuodolore» . .' Dall'introduzionediFerruccioAndolfi UNIVERSALE LATERZAUL Spiritualismoematerialismo èl'ultimoscritto editodi Feuerbach, chelopubblicònel1866 nelvolumeXdelle sueOpere . Latraduzioneè ;tatacondottasullabasedell'edizionedei SämtlicheWerke curatada Bolin e Jodl (2a tcL ;Iutlgart1959-1964) . I, . tj )()( ιι ι ι ISBN 88-420 - 4221 -8 I UI IhH 9 788842042211 LI) N C') C') ó

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«L'unità del volere e dell'istinto di felicità è ilpensiero fondamentale in base al quale Feuer-bach arriva a una riformulazione di .tutti i prin-cipali concetti etici . [ . . .].

Il bene e il male morale, che Kant aveva relegato nel nebuloso al dilà del soprasensibile, hanno rapporto invececon lo stato sensibile della persona, almenodella persona di ch subisce l'azione, col suobenessere o il suo dolore» .

.'Dall'introduzione di Ferruccio Andolfi

UNIVERSALELATERZA ULSpiritualismo e materialismo è l'ultimo scrittoedito di Feuerbach, che lo pubblicò nel 1866nel volume Xdelle sue Opere . La traduzione è;tata condotta sulla base dell'edizione deiSämtliche Werke curata da Bolin e Jodl (2at cL ;Iutlgart 1959-1964) .

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© per l'Introduzione, 1972, 1993, Gius . Laterzá & Figli

Nella «Piccola biblioteca filosofica Laterta»Prima edizione 1972

Nella "Universale Laterta»Prima edizione 1993

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effet-tuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico .Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale purchénon danneggi l'autore . Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di unlibro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmetterela scienza .Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopia-re, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e operaai danni della cultura .

Proprietà letteraria riservataGius. Laterta & Figli Spa, Roma-Bari

Ludwig Feuerbach

Spiritualismoe materialismospecialmente in relazione

alla libertà del volere

a cura di Ferruccio Andolfi

Editori Laterta 1993

a

NOTA DI FEUERBACH

Solo, per ragioni di brevità il titolo del presente saggioè quello attuale . Inizialmente esso portava il più modestotitolo : Alcuna pensieri, beninteso solo alcuni, e per giuntadi poco conto, su spiritualismo e materialismo ecc. Alcuni,perché questo lavoro cominciato già anni fa' ha subito tantee così moleste interruzioni, che infastidito, se il suo oggettoprincipale non fosse stato proprio il volere, lo avrei messoper sempre da parte, mentre ad onta dell'affaticamento dellavolontà e del pensiero ho portato interi alla luce soltantoalcuni frammenti di tutto il lavoro progettato . Di poco con-to, in parte perché le interruzioni subite mi avevano toltoquel gusto e amore per il mio lavoro, che soltanto la lietacertezza di essere divenuti padroni del proprio oggetto puòprocurare, in parte perché nessuna questione, sia in con-seguenza della natura della cosa che in conseguenza dell'ar-bitrarietà ed equivocità dell'uso linguistico filosofico ed anchecomune, tormenta tanto la mente, si sottrae tanto a un'affer-mazione o negazione decisa come la questione della libertàdel volere . - Ma come non è compito dei miei scritti sul-l'immortalità, sull'essenza della religione ecc . « negare l'esi-stenza della divinità e dell'immortalità » - chi può negareche esistono almeno in libri e immagini, nella fede e nellarappresentazione? - bensì solo riconoscere il senso e ilmotivo vero, il testo originale non falsificato della divinità edell'immortalità o, che è tutt'uno, della fede in esse, unriconoscimento attraverso cui la questione della loro esistenzao non esistenza si risolve da sé : allo stesso modo anche quinon è mio compito dimostrare che non c'è alcuna libertà divolere ; per lo meno la mia tendenza essenziale, caratteristicaè piuttosto quella di riconoscere il senso e il motivo verodell'assunto e della rappresentazione della libertà del volere,di riconoscere cioè che cosa determina l'uomo ad attribuirlaa sé e agli altri, e con ciò insieme di accertare i limiti entrocui ha diritto di farlo .

1 .

I1 volere all'interno della necessità naturale

I filosofi soprannaturalisti attribuiscono all'uomoun volere libero, cioè, a loro parere, indipendenteda tutte le leggi e cause naturali e appunto perciò datutti gli impulsi sensibili. Come prova di fatto diquesta libertà soprannaturalistica adducono il suicidio,e, a dire il vero, se di essa si dà d piuttosto devedarsi una prova, non può essere trovata all'internoe nel corso della vita, ma soltanto là dove l'uomospezza volontariamente tutti i vincoli che lo leganoalla vita . Nell'Epistolario di Allwill F . H . Jacobi af-ferma : « Scegliere tra la morte e la vita non è inpotere di alcun animale : esso ha soltanto impulsisensibili diretti tutti alla conservazione, che lo costrin-gono esclusivamente a continuare la sua esistenza sullaterra . L'uomo è in grado di farlo » ' .

« Tu scegliesti la vita e io scelsi la morte » diceAntigońe alla sorella Ismene . Fichte nel Sistema delladottrina morale : « La decisione di morire è la piùpura rappresentazione del predominio del concettosulla natura . Nella natura c'è soltanto l'impulso aconservarsi, e la decisione di morire è proprio il con-trario di quest'impulso . Ogni suicidio eseguito confredda riflessione . . . è un esercizio di quel predomi-nio » 2 . Hegel nel suo Diritto naturale : « Nell'elemen-

i Allwills Briefsammlung, Werke, ed . Roth-Köppen,Darmstadt 1968, vol . I, p. 175 .

2 Das System der Sittenlehre, Werke, ed . I . H . Fichte„Berlin 1834-46, vol . IV, p. 267 .

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to (della pura indeterminatezza) del volere risiede lapossibilità ch'io mi liberi da tutto, rinunci a ogniscopo, astragga da tutto . L'uomo soltanto può lasciarcadere ogni cosa, persino la sua vita ; egli può com-mettere un suicidio » ~ .

Ma tra natura e libertà, istinto di conservazionee suicidio sussiste davvero una tale opposizione, comeaffermano questi filosofi e í loro seguaci? No, perchénella natura non c'è un istinto di conservazione puroe isolato, come lo immagina, per sé stante, il sopran-naturalista nella sua testa . L'animale vuole conservar-si ; ma conservarsi in rapporto con la sua terra d'ori-gine, se è un animale patriottico - ché ci sonoanche animali cosmopoliti -, in rapporto con glianimali suoi simili, se è sociale, in rapporto con unessere della medesima specie, ma di sesso diverso, seè monogamico, in rapporto con la libertà di movi-mento, se è un animale teso al progresso . Quando adesempio alcuni uccelli non sopportano assolutamentela cattività, e insieme alla libertà perdono anche l'ap-petito fino a morirne in breve tempo, mostrano conquesta morte che anche in loro l'istinto della libertàè più forte dell'istinto di conservazione, o più esat-tamente, per dirla in maniera più conforme alla na-tura, che l'istinto di conservazione è in loro intima-mente legato all'istinto della libertà .

Ma tanto poco che nell'animale, anzi ancor menoche in esso, c'è nell'uomo, almeno in quello capacedi suicidio, un istinto di conservazione indipendente,sfrenato e senza limiti . L'istinto di conservazione nonsi estende in lui oltre il suo io (Selbst), ovvero oltreil bene ch'egli riguarda come suo io, che non puòseparare da sé, a cui non può rinunziare senza rinun-ziare a se stesso . Che cos'è l'ío (das Selbst) o la vita- chi può separare la vita e l'essere se stessi? -per l'amante senza l'oggetto amato, per l'ambizioso

3 Grundlinien der Philosophie des Rechts, 4 5, Werke,ed . Glockner, vol. VII, p. 55 .

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senza onore, per il ricco senza ricchezza, per il guetriero senza guerra o armi? Che cos'è in generale lavita senza ciò che a seconda del punto di vista, delbisogno dell'uomo, per lui appartiene necessariamentealla • vita? La vita in carcere è anche vita, ma chegenere di vita! Una vita di pane e acqua è anch'essavita ; ma « che cos'è la vita », si legge nella Bibbia,in Sitach, « quando non c'è vino »? ° . Se l'uomo per-ciò mette fine alla sua vita, perché ha perduto o temedi perdere ciò che giudica essenziale alla vita, nonagisce in contrasto ma in accordo col suo istinto diconservazione .

Il suicidio appartiene alla classe delle manifesta-zioni contraddittorie dell'essere umano - delle mani-festazioni o azioni, che stanno o meglio sembranostare nel più stridente contrasto col suo amor pro-prio e che pure accadono soltanto per amor proprio .Il suicida rinuncia ad ogni soddisfazione dell'istintodi felicità, ma solo per sottrarsi così ad ogni meno-mazione di quello; non vuole più godere nessunagioia ma solo per non soffrire più nessuna sventura ;sacrifica il suo migliore amico - ciascuno ha in séil suo migliore e più fedele amico - ma solo perdare così il colpo di grazia al suo nemico mortale .La morte, è vero, è in contraddizione con la natura ;ma essa contraddice solo la natura perfetta sana felice,non quella mutila sofferente infelice . Per se stessa eun veleno che suscita orrore, ma come contravvelenoè un farmaco ardentemente desiderato . E come laforza del malato di prendere una medicina nauseantenon è affatto in contrasto con l'inclinazione del sanoper ciò che è gustoso, così la decisione di morire dicolui che in qualche modo è offeso o anche soltantominacciato di offese non è in contrasto con l'istintodi conservazione di chi è illeso . Ciò si verificherebbesoltanto se il suicidio fosse un autoannientamento im-

a Ecclesiastico 31-3 . I1 libro dell'Ecclesiastico è anchechiamato Sapienza di Gesù figlio di Sitach .

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motivato. Ora però il suicida non si decide a morireliberamente o più esattamente per capriccio, per diver-timento, ma per triste necessità, determinato da unaragione, che per lui è una ragione ultima, insupeta-bile; identica col suo essere, non eliminabile conargomenti contrari, dunque non arbitraria . I1 voleteè la causa ultima cioè la più prossima, ma non Eacausa prima della morte volontaria . La proposizione :voglio morire, è soltanto la volontaria conseguenzadella ripugnante premessa : non posso più vivere, deb-bo morire. La decisione per il summum malúm, ilsommo male, ha come presupposto, come ragione, laperdita del sommo bene . Voglio morire, perché nonposso vivere senza ciò che un destino avverso, meri-tato o immeritato, mi ha tolto o vuole togliermi miomalgrado ; lascio la vita, perché non posso lasciarequel che debbo lasciare, e questo non poter lasciared'altra parte non posso esprimerlo ed affermarlo chemediante la morte : in breve, mi decido a morire,perché sono costretto a separarmi dall'inseparabile, arinunciare all'irrenunciabile • La vita è il legame congli oggetti amati ; la morte volontaria una • separazioneda essi, che però esprime soltanto la irresolvibilità, lanecessità di quel legame poiché una separazione acui io non sopravvivo, che è legata con la mia fine,è appunto soltanto una prova di inseparabilità. Ciòche la luce della vita esprime in modo filantropico;,affermativo, che l'uomo cioè si allieta della dolce lucedegli occhi solo grazie al sole, lo afferma pure 1anotte della morte, ma in modo negativo, misantropico ..Come il medesimo essere, la medesima causa, pro-duce con la sua presenza la luce, con la sua essenzagla notte, così è il medesimo istinto, fondamentale, laLmedesima forza, che ama la vita e lascia la vita, fugge :la morte e cerca la morte. La sentenza capitale del-l'infelice: io non esisto senza te, ha lo stesso sensodell'espressione di colui che è felice : io esisto soltantose sono accanto a te . Anche chi muore da eroe, la-sciando la vita per la patria, per la libertà, per le

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sue convinzioni, mostra con ciò che non può farastrazione da questi beni, che questa libertà, questeconvinzioni sono per lui una necessità, si trovano inrapporto indissolubile con il suo essere e la sua vita .

I1 suicidio è perciò così poco una prova della li-bertà o capacità di « astrarre da tutto », che anzidimostra piuttosto il contrario. Da tutto può astrarr .esoltanto colui che può farlo senza pregiudizio dellasua esistenza. Chi invece rinuncia, insieme a ciò dacui astrae, alla sua esistenza, a se stesso, confessacon ciò in modo assai umiliante, anzi annientante, larelatività e limitatezza del suo potere di astrazione .I1 volere, che annienta il corpo, la vita, annienta sestesso e dimostra così di fatto che non è nulla senzacorpo, senza vita; che io non ho il mio corpo grazieal mio volere - come dice Hegel nella Filosofia deldiritto : « io ho queste membra, la vita, solo in quantovoglio ; l'animale non può mutilarsi o uccidersi, l'uo-mo sì » s - ma al contrario ho volontà soltantograzie al mio corpo e alla vita . L'uomo dimostrerebbela capacità di astrarre da tutto, una libertà del voleresuperiore ad ogni necessità naturale, soltanto se potes-se astrarre anche dalla morte, non morire nel caso chevolesse non morire, se dunque la morte e l'immorta-lità dipendessero solo dal suo volere . Ma dato chequesto notoriamente non è in potere della sua volontà,con la morte volontaria egli dimostra soltanto cheanche il supremo atto della sua libertà rimane entroi limiti della necessità naturale, che egli compie sudi sé di propria iniziativa solo ciò che subisce comun-que dalla natura : che il suo volere dunque non è ungenio originale, ma solo un imitatore della natura,non un creatore dal nulla, come lo finge il sopranna-turalista filosofo, ma un artefice che impiega per ísuoi fini la materia data .

Sì, certo, se non potessi morire, se non dovessi

5 Grundlinien der Philosophie des Rechts, 4 47, Werke,cit ., p • 101 •

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morire, non potrei neppure voler morire . La volontàdi morire ha per sua base e punto d'appoggio lamorte non voluta, inevitabile . « Che sarei morta »,dice Antigone condannata a morte a Creonte, « losapevo da lungo tempo con certezza . Non c'era biso-gno del tuo proclama » . E Sarpedonte nell'Iliadedice a Glauco : « E poi, diletto mio, se noi, quisfuggiti alla morte, viver, potessimo eterni, immunida morte e vecchiezza, non mi vedresti allor lan-ciarmi tra í primi alla pugna, I né te sospingerei nellapugna che onora le genti ; I ma perché, invece, sopraci stanno le Parche di morte innumerevoli, e l'uomoschivarle non può, né fuggire, avanti! E alcuno a noidia gloria, o da noi la riceva! » 6 .

Libera nel senso dei nostri idealisti e sopranna-turalisti, soprannaturale, sarebbe la decisionę di mo-rire unicamente nell'ipotesi che ci fosse solo unamorte volontaria, ma non una morte necessaria,naturale, se l'uomo non sacrificasse una vita mortalema immortale, e la morte stesse in contrasto con lasua natura .

In realtà la morte, come si è detto, è in contraddi-zione con la natura fintanto che questa si trova nellasua condizione normale, sana, ma fino ad allora anchela morte non è oggetto del volere. « Niente », diceSenta, « ci ha in suo potere, perché noi abbiamo lamorte in nostro potere », cioè possiamo morire quan-do vogliamo . Ma la vita e la morte dipendono vera-mente solo dal nostro volere? Viviamo soltanto per-ché vogliamo vivere, e possiamo perciò volere adogni attimo il contrario, la morte? Certamente ioposso uccidermi quando voglio uccidermi ; ma che iolo voglia non dipende dal puro volere, non rientranella mia libertà . Io posso volere la morte soloquando essa è per me una necessità, in quanto nonvoglio per la vita sacrificare tutto ciò che a miogiudizio rende la vita veramente vita . Ma ora che

6 Iliade XII, vv . 322-8 (trad . Romagnoli) .

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niente si oppone alla vita e non c'è nessuna ragioneper la morte, è una mia pura immaginazione se credoche la mia vita dipenda semplicemente dalla graziadel mio volere; ora è in verità un'impossibilità nonsolo morale ma fisica volermi uccidere o farmi ucci-dere. « Tu hai scelto la vita e io ho scelto la morte! » .La scelta tra questi termini opposti è distribuita,com'è giusto, tra due diverse persone . Ciò che erapossibile ad Antígone con la sua sensibilità e il suocarattere, era impossibile ad Ismene .

« Io posso ciò che voglio »; ma soltanto se e inquanto voglio ciò che posso, altrimenti il mio volereè privo di fondamento e del tutto immaginario :poiché il fondamento del volere è il potere, l'esserecapaci di ciò che si vuole . Un volere reale, e nonimmaginario com'è quello che con esso viene conti-nuamente scambiato, è un volere pieno di talento,certo del fatto suo, corrispondente e adeguato alsuo oggetto. Io voglio diventare musicista ; ma que-sto volere, se è fondato e appunto perciò efficace, èsoltanto la manifestazione del mio talento per lamusica . Come non -posso generare figli mediante ilpuro volere senza facoltà generatrice, tosi in gene-rale il volere non è capace di nulla senza lo strumen-to, il materiale, l'organo per ciò che vuole . Quandoper una cosa manca sensibilità e disposizione, peressa manca anche il volere . Dove il volere e ilpotere si trovano in contrasto, come tanto spessoaccade nella vita civile, non compaiono appunto per-ciò altro che mostruosità .

Anche l'uomo pertanto può volere la propriamorte solo quando ha in sé fondati motivi per mo-rire, quando l'abisso tra la vita e la morte, che incircostanze diverse gli rende- impossibile il suicidio,è scomparso, quando il suo cervello è già tosi arsoe consumato che egli scorge la sua immagine soloin un teschio, e il suo cuore è talmente morto almondo che nella morte egli non cerca la morte dellasua vita ma solo la morte della sua morte, quand'egli

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con la sua vita toglie di mezzo ormai solo un'appa-renza, una menzogna, una contraddizione, e nellamorte soltanto trova la vera' espressione del suoessere e della sua volontà. I1 detto comune « il simi-le si accompagna volentieri al simile » vale anchein questo caso. « La morte è il mio sposo », diceAntigone risoluta a morire . Ma chi sposa la morte,la desidera come un essere suo pari, viene attrattoda essa secondo la legge dell'affinità elettiva, non sidiletta più della pinacoteca della vita, ha dinanzi agliocchi nella morte soltanto la tabula rasa del propriosentimento e del proprio io. « La mia anima », diceancora Antigone, « è morta già da tempo, per votarsial servizio dei morti » . In breve, io posso volermorire sol oo quando è messo da parte ciò che incircostanze normali impedisce in me questo volere,gli offre resistenza, anzi non lo lascia affatto apparire .Questa resistenza è l'amore per la vita o la volontàdi vivere perché vivo . Come non ho la libertà di nonamare una persona che in effetti amo o finché la amo,così non• ho la libertà di volere l'opposto della vitafinché amo la vita. Solo quando quest'amore si estin-gue o viene rimosso mediante l'eliminazione violentadelle condizioni che rendono la vita oggetto di amore,il mio volere viene posto in libertà ed è lasciatospazio al pensiero e alla volontà di morire . Prima chela morte diventi oggetto di desiderio, è la vita chediviene oggetto di indifferenza, di noia, di disgusto,di orrore, di disprezzo.

« Dappertutto », dice Seneca lo stoico, « è apertaall'uomo la via verso la libertà . Dovunque ti volgi,trovi la fine dei mali . Vedi quel precipizio? Là si scen-de verso la libertà . Vedi quel mare, quel fiume, quellafonte? La libertà abita nella loro profondità . Vediquell'alberello secco e infruttuoso? La libertà pendeda esso. Vedi il tuo collo, la gola, il cuore? Sonovie di scampo dalla servitù. Ma forse trovi questevie d'uscita troppo gravose, e chiedi se esista una viaalla libertà che richieda meno coraggio e forza . Può

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esserlo ogni vena del tuo corpo » . Proprio così, lamorte è per natura la libertà da tutti i mali, e quandoad uno la vita, per qualsivoglia motivo, è divenutaun male insopportabile, per lui questa libertà, e soloquesta, è libertà del volere . Se l'istinto di conserva-zione della natura fosse illimitato, istinto senza misurané scopo, non ci sarebbe neppure la morte . Ora peròl'istinto di conservazione è tutt'uno con l'istinto difelicità, e questo aumenta e viene meno insieme conla capacità di essere felici . Ogni vita si trasforma coitempo in un peso, in un male, o a cagione dellemalattie o dell'età . Ma se la vita non è più che unmale, la morte non è un male, ma un bene, anzi undiritto - il sacro diritto naturale di chi soffre aliberarsi dal male . La morte in se non è una puni-zione per i peccati commessi è il premio per le soffe-renze e le lotte sostenute . Per questo gli antichi grecie romani imponevano ai morti corone come segnid'onore e di vittoria . La morte naturale e quellavolontaria avvengono perciò secondo la stessa leggedi natura, la quale, in contrasto con la morale asce-tica della nostra filosofia e teologia soprannaturalistica,fa dipendere il dovere dell'autoconservazione solo daldiritto alla felicità, e a una felicità non intesa in

senso soprannaturalistico . È vero che l'uomo non sisuicida sempre a causa di mali irreparabili e insop-

portabili, spesso al contrario per motivi di vanitàoffesa, di avidità insoddisfatta, di amori delusi ; mada quali insignificanti cause o occasioni non ha ori-gine spesso anche la morte naturale!

2 .

I1 volere all'interno del tempo

I1 volere non è un taumaturgo o uno stregone,non è un potere pronto ad ogni momento, in ogni

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luogo, a qualsivoglia gioco di bravura; i1 volere, comel'uomo in genere - che cos'altro è il volere se nonl'uomo che vuole? - è legato allo spazio e al tempo .Quel che io non posso qui ed ora, lo posso altrove• in un altro momento. Quanti suicidi prima delmomento del loro gesto insano non sono inorriditial pensiero della sola possibilità di una tale azione,• non si sono ritenuti assolutamente incapaci di essa,• non lo sono stati effettivamente mentre agitavanoquesti pensieri! Solo quando giunge il tempo perqualcosa, giunge anche la forza e la volontà per essa .« Io so incontestabilmente che io, che ora voglio,sono il medesimo io, che anni fa ha voluto » . Macolui che anni fa ha voluto esiste ormai soltanto neltuo ricordo, nei tuoi pensieri, e così lo pensi senzadifficoltà e senza distinzioni come una sola cosa concolui che vuole ora . In realtà però tra il tuo voleredi prima e quello di adesso c'è una differenza altret-tanto grande quanto tra la tua esistenza passata e łapresente . « I1 volere dell'uomo è il suo regno deicieli »; ma il regno dei cieli del bambino non èquello del giovane, e il regno dei cieli del giovanenon è il regno dei cieli dell'uomo o del vecchio.

Quel che l'uomo fa o esegue in un certo mo-mento, è il massimo ch'egli può fare in quel mo-mento, il limite del suo potere, la sua volontà estre-ma; poiché egli non può voler fare più di quantopuò fare con l'impiego di tutte le sue forze, e nelsentimento di esaurimento e di vuoto che ogni sforzoinnalzato al massimo grado trae con sé, egli si negaogni futuro, e si avvia nel pensiero á1 riposo eterno .Quale inganno! I1 suo volere si arresta tanto pocoquanto il tempo o il sangue delle sue vene . Ogninuovo periodo di vita reca anche nuovi materiali enuovo volere . Quel che egli in precedenza ricono-sceva sua ultima volontà per ogni tempo, gli appareora come l'ultima di un determinato tempo, e quelche in precedenza valeva per lui come l'essenzaassoluta del suo potere e volere, è retrocesso ora nel

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rango più modesto di un'essenza finita . Ma se mutal'oggetto del volere, muta anche il volere . I1 volereè determinato da ciò che esso vuole ; interamentepreso dal suo oggetto, ne assume il colore, l'essenza .Anche linguisticamente decidersi equivale a « pren-dere partito » . Un volere in abstracto, pura entitàdi pensiero, imparziale e indeterminato, che si estendasenza differenze a tutte le cose, anche le più con-trarie, è in realtà un assurdo . « Chi ama », diceJohannes Gochius', un luterano prima di Lutero,« diviene tale qual è l'oggetto del suo amore . Se amila carne, sei carne tu stesso, cioè assumi la forma(l'essenza) carnale . Se ami la natura, sei natura, per-ché assumi la forma della natura ; se ami il porco,sei un porco, perché assumi la forma porcina . Final-mente se ami Dio, sei Dio tu stesso, perché assumila forma divina » . L'amore però non è altro che ilvolere sensibile, appassionato, dell'uomo, ma appun-to perciò vero profondo radicale . Un volere senzapassione è un volere affettato, solamente un prodottodel pensiero e dell'artificio . Perciò se mi togli l'og-getto del volere, mi togli il volere stesso ; poichénon volere nulla e non volere è tutt'uno . Ma in ogniperiodo della mia vita ho voluto qualcosa di deter-minato s'intende, soltanto ciò che allora era maturoe in mio potere, non ciò che voglio ora dopo tantianni, e che forse è pervenuto soltanto ora e quialle mie orecchie o ai miei occhi e quindi allacoscienza. No, quel che una volta ho voluto abbrac-ciava in sé il mio intero essere, esauriva tutto ilcapitale di volontà che allora avevo a disposizione .Ma appunto per questo insieme a ciò che il ragazzovoleva è venuta meno già da tempo la volontà delragazzo, insieme a ciò che voleva il giovane la volontà

7 Johannes Pupper von Goch, teologo di tendenze mi-stiche vissuto nei XV sec . Poiché Lutero si richiamò a lui,ULLMANN (in Ref ormatoren vor der Re f ormation, I, Gotha18662) lo considerò tra i precursori della Riforma .

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del giovane . Per lo stesso motivo l'uomo non sa inanticipo quel che un giorno potrà ancora volere evorrà, non più di quanto sappia in anticipo tuttoquello che ancora vivrà e sperimenterà . Un volereche si ritiene capace di ogni azione in anticipo, senzaprecedenti sofferenze, senza necessità, senza motivo,astraendo dalle condizioni di tempo e di spazio, èun fanfarone .

Ogni cosa ha il suo tempo, e solo il volere con-forme al tempo non è un volere impotente e fanta-stico. Così ogni età ha le sue virtù, ma anche i suoivizi e imperfezioni, e per quanto intensamente tupossa volerlo, non ti liberi .di essi finché non haidietro le spalle gli anni a cui questi difetti conveni-vano. Se è vero che non ti liberi di essi senzavolontà, ciò avviene comunque con l'aiuto del tem-po . E non haj nessun motivo di lamentarti del fattoche j1 tuo volere è limitato dal tempo, vale a direche non puoi nuotare contro la corrente del tempo ;poiché un difetto confacente all'età è meglio, è piùsignificativo e promettente di una virtù' intempe-stiva o contraria all'età. « La verità è figlia del tem-po », ma anche della libertà, che a quella è inveroidentica . Ogni pagina della storia contraddice la li-bertà del volere fantastica, soprannaturalistica . Nonla volontà, né la ragione, soltanto il tempo, il futuro,libera dalle passioni e dalle follie, dai vizi e dai malidel presente. Solo quando cade nei dominio dellastoria un uomo o un avvenimento diviene oggettodi un giudizio giusto e libero : a chiara prova chela libertà è solamente affare della storia, che l'uomonon è libero a priori ma a posteriori, vale a dire chetanto nella vita del singolo come in quella dell'uma-nità la libertà succede alla schiavitù solo con l'aiutodel tempo, allo stesso modo che la verità succedesolo all'errore, la ragione solo all'irragionevolezza,l'umanità della pace solo alla brutalità della guerra .

Kant ha fatto valere anche nella Critica dellaragion pratica il suo pensiero prediletto, espresso

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nella Critica della ragion pura, che il tempo non ènulla in sé ma solo una rappresentazione umana,che non riguarda la cosa in sé ma soltanto il suofenomeno, anzi ha fatto senz'altro dipendere l'esi-stenza della libertà del volere dalla nullità del tempoper la ragione e la volontà 8 . Nel tempo infatti ognicondizione sarebbe la necessaria conseguenza della pre-cedente, e un potere attivo che si trovi nel tempo sa-rebbe pertanto determinata nelle sue azioni presentidal passato, che « non è più in suo potere » : nel tempodunque, un potere capace di costituire di per sé uninizio, senza essere condizionato da un prima, qualedovrebbe essere la libertà del volere, sarebbe impos-sibile. È giusto, « ciò che è passato non è più innastro potere » ; ma manca l'aggiunta altrettanto giu-sta e importante, che quel che è passato non ha nem-meno più noi in suo potere . Così la fame, a seguitodi un precedente digiuno o privazione di cibo, mi hain suo potere, mi costringe a pensare esclusivamenteallo stomaco; ma se la fame è placata e quindi pas-sata, allora ho tempo e libertà di pensare alla miatesta invece che allo stomaco . Primum vivere deindephilosophari. Prima vivere, poi pensare o filosofare .La libertà non consiste nel poter cominciare, manel poter finire. La possibilità, la condizione di que-sta libertà è però j1 tempo . Tu puoi cominciare apensare soltanto quando e se cessi di saziarti, comin-ciare a vegliare quando e se cessi di sognare ; comin-ciare a dubitare quando e se cessi di credere. « Nuo-vo amore, nuova vita » : ma ' nessun nuovo amoresenza che il vecchio sia tramontato e il dente deltempo abbia roso i vincoli che ti legavano al vecchioamore e al suo tempo. Ogni presente del volerepresuppone un perfetto temporale del suo contrarioo comunque di un diverso volere . Voglio lavoraree muovermi dopo che e perché ho riposato ; ripo-sarmi dopo che e perché ho lavorato e mi sono mosso

8 Kritik der praktischen Vernunft, A 169-70 .

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u

e dunque non ho riposato . Senza questo precedente« non » non ho nessun motivo, stimolo o spinta avolere. « Ogni cosa ha il suo tempo ». E non seilibero se neghi il tempo, ma se lo utilizzi e loimpieghi bene, se ad ogni impulso e bisogno conformea natura accordi il suo diritto, la sua libertà, vale adire lo sfogo e lo spazia di tempo che gli compete .«Dividi e domina » . Ma solo mediante il tempopuoi dividere e quindi dominare í nemici della tualibertà ; puoi spezzare la foga e l'arroganza dei tuoidesideri solo a patto di imporre loro come legge1'« adattatevi al tempo opportuno » . Tra í precettifondamentali dei buddisti vige ancor oggi quello di« non mangiare fuori tempo » . E il predicatore delVecchio Testamento esclama : « Guai a te, terra, chehai per re un bambino e i cui prìncipi mangianopresto (di mattina, il tempo destinato ai giudizi e adaltri uffici) . Benedetta tu, o terra i cui prìncipi man-giano al tempo giusto, per ristoro e non per pia-cere » (letteralmente : per bere, per gozzovigliare) 9 .Sì, benedetta tu, o terra, i cui prìncipi danno ascoltoal predicatore biblicó, ma al tempo stesso fannotesoro delle massime dei saggi greci (« Riconosci ilmomento giusto », « I1 tempo è il sapientissimo ») ele mettono in pratica .

Per sostenere la nullità metafisica e morale deltempo Kant si richiama al « pentimento per un'azio-ne compiuta da molto tempo, ogni volta che essavien ricordata : sentimento di dolore, prodotto dalladisposizione morale, il quale è così praticamentevuoto da non poter servire a fare che ciò che è avve-nuto non sia avvenuto - ma che tuttavia come dolo-re è affatto legittimo, perché la ragione, quando sitratta della legge della nostra esistenza intellegibile(della legge morale), non riconosce alcuna differenzadi tempo, e domanda soltanto se l'evento mi appar-tiene come fatto : allora è sempre connessa moral-

9 Ecclesiaste 10, 16-7 .

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mente con ciò la medesima sensazione, o che l'even-to accada adesso, o che sia accaduto da molto tem-po » 10 . Ma anche con ciò che abbiamo provato,subìto e vissuto colleghiamo nel ricordo le mede-sime sensazioni, senza distinguere se è accaduto orao molto tempo fa. Lo schiaffo, che come maestriabbiamo dato a uno scolaro senza che lo meritasse,ci brucia nella coscienza ancora dopo venti e piùanni; ma lo schiaffo, che come scolari abbiamo rice-vuto da un maestro, forse anche meritatamente, dopoaltrettanti anni ci brucia ancora sul viso . Noi nondimentichiamo il torto fatto agli altri, ma non dimen-tichiamo neppure il torto, í1 dolore, il danno, cheun altro ci ha recato . De la Condamine racconta,secondo quanto riferisce Condorcet nel panerigico alui dedicato 11, che incontrando una volta uno deisuoi maestri sentì di non avergli ancora perdonatouna punizione ricevuta ingiustamente cinquant'anniprima . Anche A. v . Haller, come lo stesso Condorcetracconta nel panerigico a lui dedicato 12, non poté piùrivedere in seguito il suo severo e pedante maestrodi corte, del quale già da ragazzo, a dieci anni, s'eravendicato con una satira, senza provare un involon-tario terrore .

Noi ci muoviamo rimprovero delle azioni com-messe una volta, specialmente quando esse ci pon-gono dinanzi i difetti di cui siamo coscienti e cheancóra ci molestano, oppure quando sono in con-trasto con le nostre virtù attuali, sviluppatesi solopiù tardi, alle quali dobbiamo il nostro nome e ilnostro credito ; ma appunto perciò ci muoviamo que-sti rimproveri soltanto ora che questi difetti non sonopiù fusi col nostro essere e sono ormai solo oggettodi ricordo o per lo meno si sono tanto attenuati

1° Kr. d . prakt. Vern ., A 176 .11 CONDORCET, Éloge de M. de Haller, Oeuvres, Nouvelle

impression en facsimile de l'édition Paris 1847-49, Stuttgart1968, vol. II, p. 284 .

12 Éloge de M. de la Condamine, in op . cit ., p . 159 .

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che non compaiono più in forma così vistosa e urtantecome prima: infatti se avessimo avuta già prima ipensieri e í sentimenti di adesso, e già allora ci fos-simo fatti i medesimi rimproveri, non avremmo af-fatto commessa quelle azioni . Noi ci comportiamo coidifetti del nostro passato come i padri coi figli, acui essi rimproverano salo í difetti - spesso anchele virtù - ereditati da loro, quei difetti da cui essistessi si sono liberati solo mediante il tempo o al-mena col tempo. Eppure, come si è detto, non solole nostre azioni memorabili, anche le sensazioni eintuizioni, le sofferenze e le gioie memorabili si con-servano in un ricordo vivo, anzi eterno, che si spegnesoltanto con la nostra coscienza . E nella memoriacontinuiamo a lodare o biasimare, benedire o male-dire, non solo il bene e il male morale che abbiamofatto, ma anche il bene e il male fisico che abbiamovissuto e provato . Perfino ai cibi e alle bevande siestende questa critica della ragion pratica . « Io nondimenticherò mai quel che ho mangiato e bevuto dalsignore di Kressen ». Così terminò una volta un'ora-zione funebre a Norimberga . E quanto spesso sisentono espressioni del genere, specialmente sullabocca di gente sincera! Tanto è buono il ricordoche lascia il bere e mangiar bene . E viceversa cibie bevande disgustose, prese o assaggiate anche unasola volta, provocano ripugnanza per sempre. Anchesofferenze e dolori puramente fisici, ad esempio perle membra intirizzite dal gelo, si rinnovano ad ogniinverno, benché il congelamento sia avvenuto parec-chi anni prima, e noi allora ci rincresciamo e cipentiamo di aver disdegnato negli anni precedenti didifenderci convenientemente dal freddo, sia pureforse per lodevoli motivi morali .

La negazione del tempo per la volontà non hadunque il senso che il tempo non esista affatto o inassoluto, ma soltanto che ora non è tempo di godere,giocare o passeggiare ecc ., perché è tempo di agire,di lavorare, è insomma una negazione che cade sem-pre all'interno del tempo . Allo stesso modo ogninegazione, da cui l'uomo - l'uomo in generale, nonquesto o quel filosofo - ha tratto la rappresenta-zinne della propria libertà di volere o in cui ha scor-to una prova in favore di essa, non cade al di là, maal di qua di una necessità o di un bisogno naturale,si estende solo a singoli e particolari elementi diuna sfera, di una specie, ma non alla specie stessa .Posso « astrarre » per esempio da questo o quelcibo, ma non da ogni cibo, dal cibo in generale ;debbo mangiare se non voglio venir mena . Ma inquesta necessità, almeno finché sono in senno e nonmi distacco dalla natura, non avverto contrasto al-cuno col mio essere e il mio volere ; poiché sonopur sempre un essere bisognoso di nutrimento . Nonposso pensarmi senza questo bisogno, e perciò nonmi passa nemmeno per la testa di porre la mia libertànell'assenza o negazione di esso . Io la pongo soloin ciò, che posso non mangiare questo o quel cibo,se non voglio mangiarlo ; che non dipendo da certicibi, che non sono infelice né fuori di me per larabbia se ne sono privo ; che posso mangiare qual-siasi cosa appartenga alla sfera, alla specie degli ali-menti umani . I1 volere è autodeterminazione, maall'interno di una determinazione naturale in&pen-dente dal volere dell'uomo . « La volontà è il desi-derio razionale », come fino a Kant í filosofi hannoaffermato quasi concordemente . Ma è la specie o ilconcetto della specie che stabilisce la differenza tra

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la ragione e í sensi . Gli alberi li dobbiamo ai sensi,ovvero - dato che i sensi non sono nulla senzacervello, vale a dire senza intelletto o ragione -alla ragione sensibile, l'albero alla ragione pensante .L'albero come tale non è sensibile, è soprasensibile ;ma questa soprasensibilità riguarda solo la forma,non il contenuto o l'oggetto. Ora il volere non èaltro che il desiderio in quanto non è determinatoesclusivamente da quest'oggetto singolo e particolare,com'è il caso del desiderio irrazionale, ma dallaspecie dell'oggetto nei senso dell'esempio citato. « I1volere è un potere soprasensibile », ma solo nel sensoin cui l'albero, il fiore, l'uomo sono esseri sopra-sensibili .

Kant nella sua filosofia pratica, in contrasto conla teoretica, ha assunto la pura forma della leggecome oggetto e causa determinante della volontà, ein tal modo ha fatto della volontà un potere speci-ficamente distinto dalla facoltà sensibile di deside-rare, ma appunto perciò un puro noumenon, inparole povere un ente di pensiero (Gedankending) .La legge, è vero, secondo la sua forma è qualcosadi non sensibile, di soprasensibile ; ma il suo oggetto,il suo contenuto, è sensibile, allo stesso modo chél'albero, soprasensibile secondo il suo concetto speci-fico, è in realtà sensibile . Ma così vanno le cose .L'uomo non pensante non vede al cospetto deglialberi l'albero, mentre l'uomo che pensa solamente,e non sostiene né determina il suo pensiero medianteí sensi, oblia gli alberi per l'albero, scambia la vuotaforma con il contenuto, fa dell'albero senza alberiun essere per sé stante . Kant si è arrestato alla leggeper se stessa come alla prima e ultima verità . Lalegge è priva di riguardi, universale, incondizionata,ma non è nulla, se non viene eseguita, messa in atto ;dunque - egli concluse - deve darsi un potereattivo corrispondente all'essenza della legge, un pote-re determinato solo dalla legge, indipendente da ogni

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Impulso sensibile . Questo potere è « la volontàpura

Ma la legge, quella mosaica ad esempio, dicesoltanto: « Non desiderare la donna del tuo prossi-mo, né il suo servo, né la sua ancella, né il suobue, né il suo asino » ; ma non dice : non desiderarealcuna"donna, né un servo o un'ancella, un bue o unasino. Essa non mi . vieta la soddisfazione del mioistinto sessuale e di proprietà, mi vieta soltanto disoddisfarli mediante questa donna, questo servo, que-st'asino, che appartengono al mio vicino . I1 divieto« non rubare » o « non commettere adulterio » èsenza dubbio soprasensibile per me, è una negazionedella mia sensibilità, ma solo in quanto essa è concu-piscenza della moglie del mio prossimo, non dellamia sensibilità in generale . Poiché in definitiva èl'istinto sessuale dell'altro che per mezzo del legi-slatore fa questa proibizione, impone questo limiteal mio istinto sessuale : di conseguenza l'istinto ses-suale in generale e in sé è legalmente riconosciuto eassicurato . La legge - s'intende la legge conformea ragione, giusta, non arbitraria, aristocratica o dispo-tica - non è altro che il mio istinto di felicità postoin accordo con l'istinto di felicità degli altri . Poichédove non c'è istinto, non c'è volontà, e d'altra partedove non c'è istinto di felicità non c'è istinto disorta. L'istinto di felicità è l'istinto degli istinti . Ogniistinto è un istinto di felicità anonimo, che prendenome soltanto dall'oggetto in cui l'uomo ripone la suafelicità. Lo stesso istinto del sapere non è altro cheistinto di felicità in quanto si appaga dapprima permezzo dell'intelletto, e più tardi, nel corso dell'inci-vilimento, quando l'istinto del sapere diviene unistinto autonomo, nell'intelletto . Perché mai infattigli uomini si sono chiesti, all'inizio, qual'è la causa- o piuttosto l'autore, il creatore, ma da ciò fac-ciamo qui astrazione - del lampo e del tuono, delgiorno e della notte, del caldo e del freddo e dialtri fenomeni naturali che li stupivano? Perché?

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Perché mediante la conoscenza delle cause volevanoeliminare la causa dell'insicurezza, dell'angoscia edella paura, che l'uomo ha dinanzi a cose estranee esconosciute . Secondo Arriano i Celti dissero ad Ales-sandro che non temevano nulla tranne che il cielorovinasse su di loro. È ben naturale questo timore,se costui nel cielo vede una volta bronzea, nei nubi-fragi il « mare celeste » che s'abbatte sulla terra, enelle stelle cadenti stelle che cadono effettivamentedal cielo! Ma com'è vicino a questo timore d'altraparte l'aspirazione ad accertare se esso abbia o menoun fondamento, per garantirsi della propria esistenza!Quel che è tangibile, l'afferro con le dita, per impa-dronirmene e assicurarmene materialmente ; quel cheeccede il mio potere tattile, lo afferro invece coll'in-telletto, per impadrònirmene e assicurarmene almenospiritualmente . Tantum possumus, quantum scimus :posso tanto quanto so . I1 saperé è capacità, è poten-za. L'uomo vuol sapere come accade o viene fattoqualcosa, per poterlo rifare con le sue mani, se èpossibile - l'istinto del sapere è originariamenteistinto di imitazione; e in caso contrario per poterloalmeno riprodurre nel pensiero . Ora però la potenza,il possesso - e possedere, aver in sé, quel che nonpuò essere posseduto materialmente significa appuntosapere - sono oggetto dell'istinto di felicità .

Non c'è nulla di più insensato che attribuireall'uomo un particolare « bisogno metafisico » indi-pendente dai suo istinto di felicità e farne addirit-tura il fondamento e l'essenza della religione : difatti proprio la prima philosophia, la filosofia del-l'umanità che precede tutte le altre filosofie, la reli-gione, mostra nel modo più persuasivo che questobisogno metafisico si appaga solo al servizio del-l'istinto di felicità ; che la dottrina delle prime cose,cioè del creatore del mondo, e la dottrina delle ulti-me cose, la beatitudine e l'immortalità dell'uomo,esprimono e rappresentano un solo e medesimo pen-siero, un solo e medesimo volere . Anche la distin-

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zione fondamentale, la distinzione tra causa ed effetto,tra oggetto ed io, non s fonda soltanto sull'intel-letto, come affermano unilateralmente uomini d'intel-letto, ma insieme essenzialmente sulla mia volontà, equindi sul mio istinto di felicità : poiché, se non c'èistinto di felicità, non c'è nemmeno volontà, o al piùuna volontà schopenhaueriana, cioè a dire un volereche vuole il nulla.

L'intelletto è l'essere o il potere che immette lecose dentro di me, il volere invece è il potere chetraspone di nuovo fuori di me queste cose collocatenella mente. Se non avessi volontà, non avrei nem-meno coscienza di un mondo esterno distinto da me .Solo per mezzo del volere, sulla base dell'istinto difelicità, l'intelletto fa distinzione tra la cosa : rappre-sentata e quella reale, tra l'oggetto dell'adspectus,della vista, e l'oggetto dell'usus, della fruizione, tra lospettacolo dei miei nervi ottici e la vita reale, tra ilpassero sul tetto o nella testa e il passero nellamano o nello stomaco, tra il sentimento dell'oppres-sione e la causa che mi opprime. In breve, io distin-guo con l'intelletto tra causa ed effetto, oggetto esensazione, grazie al fatto che con il volere facciodistinzione tra bene e male, fortuna e sfortuna, cieloe inferno, avere e non avere, una distinzione nettacome tra vita e morte . « Essere o non essere, questoè il problema ». Ma questo problema, come tantialtri, non lo risolve l'intelletto separato e abbando-nato dalla volontà, ma solo l'intelletto in collega-mento con la volontà .

Ma torniamo al punto di partenza . La volontàè una parola che ha senso soltanto se viene collegatacon un altro sostantivo o piuttosto - visto che simanifesta e si afferma solo in azioni - con unverbo. A dire il vero il linguaggio fa anche del verbo« volere » una parola a sé ; ma per questo concettoil linguaggio possiede, oltre al solenne e filosofico « iovoglio », anche un volere nella seconda o terza per-sona, a me opposte sensibilmente, oltre al presente

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t t .

e all'infinito anche un imperfetto e un condizionaidella volontà: in breve, í1 volere è sottoposto a tuttle condizioni e í modi della finitezza e della temporalítà. Con l' io voglio è perciò inseparabilmente connesso il pronome interrogativo « che cosa? » . Unnvolere separato dalla materia del volere è un'assur-dità. Ma che cosa voglio infine? Nient'altro che lafine di una contrarietà, di un male - dove non c'male non c'è volontà - di una sofferenza voleresignifica voler non soffrire - nient'altro che il noessere del mio non essere - poiché solo il benes-sere è essere, vero essere . Io voglio anche la miamorte; ma solo se è l'ultimo ed unico mezzo di ren-dermi libero dalle, miserie della vita umana. Il mio vo-lere non è altro che i1 mio essere in quanto si opponee reagisce a quel che mi opprime e addolora, a quelche vuole rendermi infelice, gettarmi a terra, annien-tarmi. Volere è benevolenza, innanzitutto e necessa-riamente verso se stessi, « poiché chi è nemico di sestesso, non può nemmeno essere amico degli altri » .I1 benessere è talmente presente nel significato delvolere che anche linguisticamente « volontà e voleresono affini a scelta (Wahl) e benessere (Wohl) ; mista bene (wole oder wohle), scelgo (wähle), voglio(will) » . « La volontà è la brama o il desiderio diun bene, sia esso reale o apparente », appetitio benialicuius . « Tutti gli esseri », dicevano i filosofi eteologi scolastici, « amano o bramano se stessi e lapropria perfezione », se suamque perfectionem appe-tunt. « La volontà non può non volere il bene; nonè pero necessario che voglia un bene particolare » .« La prima legge dell'Onnipotente », dice il poetainglese Young nei suoi Pensieri notturni, « suona :Uomo, ama te stesso! In ciò soltanto esseri libera-mente agenti non sono • liberi ». E nel famigerato« Sistema della natura » si afferma giustamente: « Ap-partiene all'essenza dell'uomo aspirare al benessereo volere la propria conservazione. I1 dolore gli indicaquel che deve evitare, il piacere quel che deve desi-

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derare ; dunque è proprio della sua essenza amarequel che produce prima o poi sensazioni gradevoli,odiare quel che produce sensazioni sgradevoli ; il suovolere viene necessariamente determinato o attrattodagli oggetti che giudica utili, necessariamente respin-to da quelli che giudica dannosi . Solo mediante l'espe-rienza l'uomo però acquista la conoscenza di ciò chedeve amare o temere ; la conoscenza che talvolta unbene può divenire un male a ragione delle sue con-seguenze e viceversa un male passeggero può procu-rargli un bene duraturo. Noi sappiamo bene ad esem-pio che l'amputazione di un membro deve provocaredolore, e perciò temiamo necessariamente quest'ope-razione ; ma poiché l'esperienza ci ha insegnato che ildolore prodotto dall'operazione può conservarci invita, ci sottoponiamo a questo momentaneo dolorenella prospettiva di un bene superiore » 13 . Si, l'uomoaspira necessariamente al bien-être, al benessere ; que-st'aspirazione appartiene alla sua essenza . I filosofi• i teologi distinsero invece la libertà come libertàdalla costrizione, libertas a coactione, dalla libertàdalla miseria, libertas a miseria . Ma la libertà che èlibera dalla costrizione - dalla costrizione reale,fisica o psichica, come ad esempio la costrizione diuna collera che mi toglie volere e intelletto -- ènel contempo volontà di essere liberi dalla miseria•

dal male, qualsivoglia sia l'oggetto che essa si pro-pone. Io voglio significa : voglio essere felice . Re-primere l'istinto di felicità dell'uomo significa repri-mere il suo volere. La mancanza di volontà è una resasenza resistenza alle miserie della vita umana, sianoqueste miseri pidocchi e pulci orientali o eminenze•

eccellenze occidentali . « Libero (liberum) e volon-tario (voluntarium, freiwillig) sono una cosa sola »,dicevano una volta i filosofi delle scuole ; « il volereè essenzialmente libero volere », dicono quelli di oggi,

13 M. MIRABAUD (d'Holbach), Système de la nature, Lon-dra 1770, parte I, cap . XI, pp . 188-9 .

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ma libero solo nel senso dell'istinto di felicità, neisenso in cui l'affamato vuol essere libero dalla fame,il misero dalla miseria, lo schiavo almeno loschiavo in cui la schiavitù non è ancora divenutauna seconda natura - dal male della schiavitù . Se ítedeschi hanno raggiunto oggi solo una libertà idea-listica, ciò si deve anche - anche, perché ovvia-mente questo non è l'unico motivo - al fatto chehanno concepito la libertà solo in contrasto conl'istinto di felicità, sebbene si siano sforzati, ma nellasede sbagliata e trop - tard, di comporre questo con-trasto-. Solo la libertà fondata sull'istinto di felicità

e invero non di alcuni ma di tutti - è una po-tenza politica popolare e perciò irresistibile .

4 .

I1 principio della dottrina dei costumi

Ora però come si accorda la buona volontàverso se stessi con 1a buona volontà verso gli altri,1'« egoistico » istinto di felicità con la morale cheesige « disinteresse »? Come il diritto pone in ac-cordo l'istinto di felicità dell'io con l'istinto di feli-cità del tu, dell'altro, nell'ambito di limitazioni este-ríorí, penose, costrittive, altrettanto fa la moralenell'ambito di limitazioni interiori, intimamente ac-cettate, volontarie . I1 mio diritto è il mio istinto difelicità riconosciuto legalmente il mio dovere èl'istinto di felicità dell'altro in quanto mi determinaal suo riconoscimento . Io voglio, dice il mio proprioistinto di felicità ; Tu devi, dice l'istinto di felicitàdell'altro, sia che ciò avvenga nella persona o innome e per conto di lui . Riporre fin dall'inizio ilvolere e il dovere in un unico e medesimo io, siapure in sé differenziato, astraendo da un tu a me

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contrapposto, esistente al di fuori della mia volontàe del mio intelletto, significa mettersi alla tortura,farsi violenza. La morale non può essere dedotta espiegata a partire dal puro io o dalla pura ragionesenza í sensi, ma solo a partire dal nesso dell'io edel tu, il' quale al contrario dell'io che si pensa èdato solo attraverso í sensi, dall'unione dell'u auto-nomia » kantiana e dell'u eteronomia », dell'autolegi-slazione e della legislazione ad opera di uno diversoda sé. Ma questa « altro », questa causa che deter-mina l'io al dovere, è appunto l'istinto di felicità .del tu . La felicità - non ristretta beninteso a unasola e medesima persona 'ma ripartita tra diverse

persone, capace di abbracciare l'ío e il tu, dunquenon unilaterale ma bilaterale o onnilaterale - è ilprincipio della morale. I doveri « verso se stessi »hanno per fondamento ed oggetto il proprio amordi sé, i doveri verso gli altri invece l'amor di sénella persona degli altri . I1 dovere è un'abnegazionedi sé, che però mi è imposto solo dall'amor di sédegli altri. La morale esige disinteresse; ma essa nonsi avvede - perché non pensa ad occhi aperti, nonpensa al tu sensibile o addirittura, com'è il casodella morale kantiana, neppure all'uomo, bensì soload esseri razionali non esistenti, puramente possi-bili - che dietro questo disinteresse richiesto a mesi nasconde solo l'interesse ben fondato degli altri ..Quel che sta in contrasto col mio egoismo e non si

può quindi spiegare in funzione di esso, sta in per-fetta armonia con l'egoismo dell'altro . È. vero, adesempio, che il divieto di mentire contraddice l'in-clinazione e l'amor di sé del mentitore ; ma quantoesso sia fondato nell'interesse di chi subisce l'inganno,quanto corrisponda al suo amor proprio ovvero al-l'amor ch'egli ha per la sua vita, per i suoi in gene-rale, lo dimostrano, e in modo raccapricciante, glistessi strumenti di tortura, che gli uomini hannoescogitatõ e usato per estorcere al mentitore la con-fessione della verità . La morale non può perciò

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λ

astrarre dal principio della felicità ; anche se rigettala propria felicità, deve comunque riconoscere l'al-trui, altrimenti viene a mancare il fondamentol'oggetto dei doveri verso gli altri, vien meno la stessaprassi della morale : poiché dove non c'è distinzionetra felicità e sventura, tra benessere e dolore (Wohlund Wehe), non c'è neppure distinzione tra bene emale (Gut und Bőse) . Buona è l'affermazione, cattivala negazione dell'istinto di felicità .

La morale dedotta dal puro io, pensato magariin rapporto agli altri, e non dalla comunità realedell'io e del tu, fa delle differenze tra Gut e Wohl, ,Bőse e Uebel, differenze essenziali, di genere, di' <modo che il Wohl e il Wehe vengono assegnati all'aldi qua della sensibilità, il Gute e il Böse al nebulosoal di, là del non sensibile e del soprasensibile . Sonodue giudizi ben diversi, dice Kant, se in un'azioneconsideriamo il Gute e il Böse di essa, oppure ilpost Wohl e il nostro Wehe 14 . Ciò è giusto se con-sidriamo la cosa solo in rapporto a noi stessi, manoi lo è se la consideriamo in rapporto agli altri .P ché la stessa cosa, che rispetto all'altro, quelloehe subisce, è un Wohl o un Wehe, rispetto a me,che egmpio l'azione, è un Gutes o un Bőses. Chicagiona dolore, chi fa del male (Uebel) con, la volontà,í1 proposito, di fare del male, è un malvagio (Bősewicht) ; chi invece fa del bene (wohlthut) non casual-mente ma con intenzione, è un uomo di buona vo-lontà. (von gutem Willen) . Perciò è giusto quel chedice Kant : « Gut o Bőse significano sempre unarelazione alla volontà e ad azioni », ma sbagliato quelche aggiunge: « non allo stato sensibile della per-sona » 15 . Non alla persona dell'agente, è vero, ma aquella di chi subisce l'azione . Gut e Böse sono con-cetti essenzialmente relativi - relativi nel senso che,almeno originariamente, non esprimono la relazione

14 Kr . d. prakt. Vern ., A 105 .15 Ibidem .

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di un essere a se stesso ma ad altri : al punto che unessere pensato per sé solo, supposto che un essere dital fatta sia mai anche solo pensabile, non è né buononé cattivo, perché gli manca ogni motivo e occa-sione, ogni oggetto per essere buono o cattivo . Nelladeterminazione di ciò che è buono o cattivo non s1può dunque astrarre dalla persona del paziente edal suo stato sensibile . Non c'è altro contrassegnodella malvagità che il fare del male (Uebelthun),altro contrassegno della bontà che il beneficare(Wohlthun). Chi distrugge cose inanimate solo perdimostrare la sua libertà di volere è un ragazzaccio ;chi però si concede questa libertà contro esseri sen-zienti, senza sentire nelle loro espressioni di dolorei rimorsi di coscienza del proprio istinto di felicità,è un malvagio. I1 grado del male (Uebel) prodottodetermina perciò anche il grado di malvagità, comeviceversa il grado del bene (Wohl) definisce il gradodi bontà nel benefattore, il grado di, obbligazione nelbeneficato .

Dicevano gli antichi che dobbiamo onorare i geni-tori come dei . Perché come gli esseri supremi? Per-ché dobbiamo loro la vita, il bene supremo. I geni-tori obbligano i figli all'obbedienza, alla riconoscenza,al rispetto ; ma basano la richiesta di quest'atteggia-mento morale solo sulla percezione dei benefici adessi arrecati. « Amate quelli che vi odiano », dice lamorale cristiana ; ma la dogmatica cristiana affermaal contrario : « Amiamolo perché 'ci ha amati perprimo ». L'amore è buona volontà, ma questa buonavolontà vuole solo il bene della persona amata ; èl'istinto di felicità dell'uomo, che però si appaga solonel e per mezzo del soddisfacimento dell'altrui istintodi felicità : L'amore esige il contraccambio, vale a direamore per amore; ma non baci per schiaffi, carezzein cambio di pedate, moine in cambio di offese recateall'istinto di felicità . La forma più intima e perfettadi amore è l'amore sessuale ; ma in esso non si puòrendere felice se stesso, senza rendere felice nei con-

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tempo, magari involontariamente, anche l'altro, anquanto più rendiamo felice l'altro tanto più rendiamofelici noi stessi . In che cosa consiste allora l'eticitàdell'amore? Forse nel fatto che astraggo dall'istintodi felicità, che do a intendere a me stesso di accop-piarmi solo per dovere, per rispetto verso il comandodivino e morale « Moltiplicatevi »? No, bensì nelfatto che mentre rendo felice me stesso, nel contemporendo felice l'altro io, che voglio appagare il mioistinto di felicità solo in concordanza con il suo . Senel rapporto sessuale l'appagamento del proprio amordi sé è connesso con l'appagamento dell'altrui nelmodo più immediatamente percepibil e, nei rapportiumani in generale si realizza un'analoga connessione,ma in modo più mediato e indiretto, per la naturastessa della cosa, anche senza coscienza 'e intenzione,almeno da parte dell'uomo miope ed egoista . E benvero che « il pentolaio invidia il pentolaio », il com-merciante il commerciante, e basa nel pensiero, comespesso nella realtà, la sua fortuna solo sulla disgraziadel suo concorrente . Ma pure questo è solo un fattoaccidentale - astraendo da altri motivi, non esistesoltanto un'emulazione cattiva, come già afferma l'an-tico Esiodo, ma anche un'emulazione buona, bene-fica - e accessorio : poiché nell'essenziale, nel rap-porto del produttore al consumatore, del venditoreal compratore, la propria prosperità è connessa neces-sariamente a quella altrui, in quanto che se gli altrinon sono nulla e non hanno nulla, non sono nullae non ho nulla neppure ìo . Quale altro può esseredunque il compito della morale se non quello diassumere questo legame tra felicità propria e altrui,fondato nella natura delle cose, nell'unione stessa diluce ed aria, di acqua e terra, e farne, consapevol-mente e di proposito, la legge del pensare e dell'agireumano? Invece una morale che spezza quel legame,che prende come punto di partenza i casi in cuidovere e istinto di felicità vengono a conflitto, e daessi arguisce la loro separazione, che cos'altro può

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essere se non arbitrario regolamento umano e casi-stica? Infatti, per quanto spesso possano verificarsi,questi casi costituiscono solo l'eccezione e non laregola. Quei che costituisce la regola o piuttosto lalegge della vita, è anche la legge della morale oalmeno deve esserlo, se la morale non deve essereuna faccenda puramente ideale . Se si dice come Kant :« l'esatto contrapposto del principio della moralitàsi ha quando il principio della propria felicità vieneassunto come causa determinante » 16 , la moralità èdavvero l'esatto contrapposto del principio della vita ;poiché io non posso vivere se non prendo come causadeterminante della mia volontà il mio bene, quel chemi è utile o di vantaggio. Come posso vivere peresempio, se per disinteresse do in regalo o anche solovendo senza « profitto » come contadino i miei pro-dotti, come commerciante le mie merci, come arti-giano i miei lavori? « SI, questo non mi è consen-tito, perché ho anche doveri verso me stesso » . Mache cos'altro sono questi doveri se non i diritti dellapropria felicità nascosti dietro il nome umile e ipocritadel dovere? Perché non vuoi dunque riconoscerliapertamente e confessare che quel che è oggetto deldovere nella vita è anche oggetto dell'istinto di feli-cità? Ë il dovere che di giorno in giorno, di annoin anno, dalla gioventù alla vecchiaia, chiama ilcontadino sulle sue terre e i suoi campi, l'artigianonella sua officina, il commerciante . al suo banco, l'im-piegato nel suo ufficio . Ma non è forse questo dovereal contempo il suo vantaggio, un comando del suoistinto di felicità?

Inoltre il conflitto tra dovere e felicità non è unconflitto tra princìpi diversi, bensì tra lo stesso prin-cipio in diverse persone, tra la propria e altrui feli-cità. Kant al contrario nella Metafisica dei costumidice : « Il principio della felicità propria è riprove-vole . . . perché pone, a fondamento della moralità,

"5 Ivi, A 61 .

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degli impulsi che piuttosto lo minano e ne annullanotutta la sublimità, in quanto che questi, facendo unaclasse sola delle cause che muovono a virtù con quelleche muovono al vizio, insegnano soltanto a calco-lare meglio, ma tolgono del tutto ogni specifica diffe-renza dell'uno dall'altra » 17. E nella Critica dellaragion pratica chiarisce questa differenza, o piuttostoopposizione, col seguente esempio : « chi ha perdutoal gioco, può bensì adirarsi di se stesso e della suaimprudenza ; ma se è conscio di aver barato al gioco(benché così abbia guadagnato ) deve disprezzar sestesso, appena si mette a confronto con la leggemorale. Questa dunque deve essere ben altro che ilprincipio della propria felicità. Poiché, per doverdire a se stesso: io sono un indegno, quantunqueabbia riempito la mia borsa, si deve pur avere un'al-tra regola di giudizio che non per approvare se stessoe dire : io sono un uomo prudente perché ho aumen-tato il mio tesoro » 18 . E per la verità la legge moraleè ben altro che la propria felicità, se questa consistesolo in inganno, furto e assassinio . Ma, per rimanereall'esempio kantiano, se due giocano tra loro perdenaro, senza ingannarsi, non è forse anche la vincita,cioè la propria felicità, il movente della loro azione?O forse l'impegno reciproco di non ingannarsi, diattenersi strettamente alle regole del gioco, sta incontrasto con la ricerca, da parte di entrambi, dellapropria felicità? Ché non può forse essere ingannatoanche il baro, se ylen meno il divieto dell'inganno?Perché mai come truffatore dico a me stesso : io sonoun indegno? Solo perché, se fossi il truffato anzichéil truffatore, muoverei all'altro il rimprovero di infa-mia - dunque in definitiva perché è volere del mioproprio istinto di felicità non essere imbrogliato nétruffato . È chiaro che originariamente e da principionon è il truffatore che dice a se stesso : ti sei un

17 Grundlegung der Metaphysik der Sitten, BA 90-1 .18 Kr . d. prakt. Vern ., A 65 .

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indegno, ma è il truffato al truffatore. La voce dellacoscienza è un'eco del grido di vendetta dell'offeso .Si è creduto di scoprire nella coscienza 'un essere aldi sopra e al di fuori dell'uomo ; ma per questodeus ex machina si è dimenticato che anche in que-sto caso homo homini deus, l'uomo è dio per l'uomo,salvo il fatto che questo dio umano qui non è salva-tore ma vindice . L'io fuori di me, il tu sensibile, èl'origine della coscienza soprasensibile dentro di me .La mia coscienza non è altro che il mio io che sipone al posto del tu offeso, non è- altro che il rappre-sentante della felicità dell'altro sulla base e per ordinedel proprio istinto di felicità . Infatti posso formarmiuna coscienza dei dolori procurati agli altri solo per-ché so per diretta esperienza che cos'è il dolore, soloper lo stesso motivo per cui io fuggo i dolori ; possoprovare pentimento per í danni arrecati ad altri, soloper le stesse ragioni per cui non voglio che mi sidanneggi ; e solo per le stesse ragioni per cui mi

adiro di aver perduto al gioco, posso rimproverarmid'infamia, se ho vinto con l'inganno, e con l'ingannoho fatto adirare l'altro per la sua perdita . Il voleremorale è quel volere che non vuole arrecare alcunmale, perché non vuol soffrire alcun male . Anzi, soloil volere, che non vuol soffrire alcun male, quindisoltanto l'istinto di felicità, è la legge e la coscienzamorale, che trattiene o deve trattenere l'uomo dalfare il male .

Ma non l'istinto di felicità, come lo rappresentaKant a sé e ai suoi lettori, poiché costui, per amoredella sua prima donna, il dovere, non ci dà di quel-l'istinto un'immagine fedele, ma solo una caricatura ;ce lo rappresenta solo nella persona di uno stoma-chevole aristocratico, non nella persona di un sem-plice uomo del popolo . Egli attribuisce pertanto ilbene al dovere, e all'istinto di felicità invece soltantoil piacevole - una cosa o oggetto a suo pareredistinta dal bene per genere o specie . Chiariamolomediante un esempio. L'autoconservazione secondo

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la morale, anche secondo quella kantiana è un dovere ;di Lonseguenza lo è anche il mangiare, come mezzonecessario di autoconservazione. Ora, secondo Kantla morale ha per oggetto solo í cibi che corrispon-dono al dovere deli'autoconservazione, e viceversa icibi che bastano all'autoconservazíone sono buoni ;l'istinto di felicità invece è un ghiottone, va solo incerca di cibi gradevoli, che stuzzichino il palato, dileccornie, e-Kant ha perciò ragione : ognuno ha « lasun propria felicità », vale a dire sue proprie leccor-nie e cibi preferiti . Ma questa voglia di leccornie èdavvero l'istinto di felicità conforme alla natura eal dovere, democratico, popolare? Non concordanopiuttosto tutti gli uomini in questo, che voglionoinnanzitutto placare la fame? E non è piacevole an-che il semplice placare la fame? Forse che solo ilpasticcio di tartufi o la torta di mandorle del kan-tiano istinto di felicità, e non anche il pane seccodel dovere, è una leccornia, se si è affamati? E 11pane non è un oggetto dell'istinto di felicità al paridella torta? Non ci sono innumerevoli uomini, che

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sono felici, se solo hanno i1 loro pane quotidiano,e invero pane nel senso letterale della parola? None dunque l'istinto di felicità, al pari del dovere, unostoico, sia pure senza volerlo? E in codesti uomini,che formano la maggioranza del genere umano, ilpane, l'oggetto del loro istinto di felicità, non è in-sieme inseparabilmente l'oggetto del loro dovere,della loro attività civile e morale? Sono forse immo-rai per questo motivo? In tal caso la morale è unafaccenda esclusiva di persone benestanti e ben siste-mate, che, in quanto al loro benessere si è già prov-veduto in partenza, appagate nel loro istinto di feli-cità, hanno agio sufficiente per staccare la moraledall'istinto di felicità e farne un oggetto a sé del loropensiero .

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Torniamo ora alla volontà : in accordo, ma anchein contrasto col francese « Sistema della natura » ;poiché il volere, com'è diverso a seconda . dell'età edel sesso, così lo è pure a seconda della nazionalità,e il volere francese non è pertanto in tutto e pertutto identico a quello tedesco . « Se io », si dice inquell'opera subito dopo il passo sopra citato, « tor-mentato da una sete bruciante scorgo una fonte, è inmio potere volere o non volere la soddisfazione diun bisogno così vitale? Si confesserà senza dubbioche mi è impossibile non volerlo soddisfare, ma sidirà che, 'se nell'attimo in cui voglio bere l'acqua,apprendo che è avvelenata, malgrado la mia sete miasterrò da essa, e da ciò si trarrà la conclusione chesono libero . Falsamente però ; poiché come la setemi determinava necessariamente a bere, prima chesapessi che l'acqua era avvelenata, altrettanto necel-sanamente ora il fatto di saperlo mi determina a nonbere. L'anelito o il desiderio (le désir) di conservarmitoglie efficacia al primo impulso, che la sete dava almio volere; la seconda motivazione diviene più fortedella prima, il timore della morte prende necessaria-mente il sopravvento sulla penosa sensazione dellasete. La sete invero può essere tosi bruciante daindurre un uomo poco assennato a correre il rischiodi bere quell'acqua senza riguardo al pericolo; in talcaso è appunto il primo impulso o motivazione cheriprende il sopravvento. Ma sia che noi beviamol'acqua, sia che non la beviamo, entrambe le azionisono necessarie alla stessa maniera, entrambe sonoeffetti della motivazione che esercita sulla volontà ilpotere o la violenza più forte » 19. Entrambe le azioni

19 Système de la nature, cit., p . 190 .

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sono, è vero, necessarie, ma, come in realtà nonesiste una necessità astratta, cioè uniforme, indifferen-ziata, senza contenuto, così anche qui la necessità neidue casi non è la medesima . La necessità che mi deter-mina a bere acqua avvelenata sta in contraddizione,la necessità invece che mi determina a non berla stain accordo col mio essere e il mio volere . Io amo lavita e l'amo necessariamente, e perciò anche neces-saríamente temo, detesto, odio il veleno, quel che èdannoso o comunque ostile alla vita . I1 Sistema dellanatura ha ragione. Ma questa necessità è una neces-sità intimamente accettata, interiore, volontaria, gioio-sa, identica col mio io e sotto questo profilo o inquesto senso libera, mentre la necessità della bramaincontrollabile è odiosa, ostile, disumana, infelice .Libero è l'uccello nell'aria, il pesce nell'acqua, liberoè ogni essere là dove si trova ed agisce in armoniacon la sua essenza - e così anche l'uomo . Ma chiper sete beve l'acqua avvelenata, non agisce secondoil suo intendimento, in armonia con se stesso, poichévuole soltanto placare laa sete ma non avvelenarsi,agisce dunque contro la propria volontà, contro ilproprio essere, che ama se stesso e vuol vivere, tra-sportato, dominato dal suo ardente desiderio comeda una forza ostile distinta da lui .

Motivazioni diverse agiscono per la verità in indi-vidui diversi con pari necessità, ma non per questoesse sono in se stesse dello stesso valore e impor-tanza, della stessa forza necessitante . Una motivazioneè di primo, un'altra è di secondo rango ; una è origi-naria, un'altra derivata, anzi dipendente a sua voltada una motivazione anteriore. La volontà di bere èín prima istanza solo la volontà di spegnere la sete,ma in ultima analisi è la volontà di vivere . Io nonvivo per bere, ma bevo per vivere . La volontà dibere non è l'espressione esauriente del mio essere ;non sono un otre d'acqua né una botte di vino o dibirra . I1 mio sangue contiene sì acqua per tre quartidel suo peso, ma oltre a ciò molti altri elementi, i

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quali soltanto lo rendono sangue, cioè quel certoelemento che è a base del mio essere . L'acqua èsoltanto un bisogno, soltanto una -parte di me . Chiperciò mette sullo stesso piano la necessità di bereper sete acqua avvelenata e la necessità di non berlaper istinto di conservazione, elimina la differenza traacqua e sangue, tra la parte e il tutto, tra la maggio-ranza e la' minoranza della vita umana. Solo la legge-rezza o piuttosto la follia può sacrificare, nella vitacome nel pensiéro, una vita umana a una goccia o aun sorso d'acqua . I1 senno, l'intelletto però appar-tiene necessariamente alla volontà ; poiché solo graziead esso io so quel che debbo volere o non volere,fare od omettere . L'intelletto pratico non è altro chela mia volontà bene intesa . Io voglio spegnere la miasete, ma non voglio farmi del bene per arrecarmi poiun male o addirittura il più grande dei mali, lamorte; preferisco soffrire la sete che la morte. Chibeve quindi acqua avvelenata, vuole per malinteso oper dissennatezza quel che non vuole quando è insenno; con la disperazione che s'impadronisce di luiimmediatamente dopo l'azione egli confessa appuntodi essere un suicida contro la propria volontà .

Tuttavia quest'azione comprova anche, sebbene inmodo assurdo e contraddittorio, che « io voglio » nonsignifica altro che : io voglio sbarazzarmi di una pena,di un peso, di un male, voglio essere libero, felice,fosse pure solo per un momento. La sete mi costringea bere acqua avvelenata; ma questa costrizione è nelcontempo solo la volontà di rendermi felice, liberodalla pena della sete . Io soffro la sete senza volerlo,ma la placo volendolo ; la sete è necessità, mentrebere è libertà; soffrire la sete è l'inferno, placarla èil regno dei cieli . L'inferno della natura non haperciò - notiamo di passaggio - nulla in comunecoll'inferno senza senso, veramente diabolico, dellateologia ; perché l'inferno naturale non tormenta l'uo-mo per tormentarlo, non è, come quello teologico,gioia maligna e autocompiaciuta dei beati in cielo„

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per l'eternità : no, esso è di tormento a se stesso,nemico a sé, mentr'è nemico all'uomo ; vuole avertermine; vuole il suo opposto,' il regno dei cieli ; chéla sete in sé è la volontà di bere, non di aver sete .L'istinto della libertà, in quanto coincide con l'istinto di felicità, è l'essenza della natura, l'essenza del-l'uomo, il quale del resto non è altro che la naturaumana nella sua distinzione dalla rimanente naturaorganica e inorganica . La natura non mi ha impostosolo la necessità della sete, mi ha anche concessocon gli strumenti í mezzi per placarla, la libertà daliasete, e con ciò la libertà di pensare a ben altre cose'che alla sete ; poiché chi non ha acqua nel corpo, hasolo l'acqua nella testa - l'assetato sogna di bere -è malato per così dire di idrocefalia . In generalesoddisfare un istinto significa liberarsi da esso, seb-bene solo momentaneamente .

6 .

Necessità e responsabilità

Io voglio ». Chi lo negherà? Chi non conce-derà anzi che in questa proposizione il volere alpari dell'io, è un volere assoluto; assolutamenteindeterminato, che si determina soltanto da sé, valea dire dal nulla? Ma non bisogna dimenticare chequesto volere è solo pensato, che il volere reale èsempre solo il volere di un essere determinato. Por-tate una 'quantità qualsiasi di persone in una libreriae fate scegliere a ciascuno un libro di suo gusto.Ognuno dirà : io voglio; ma uno: voglio questo ro-manzo, un altro: voglio questo racconto di viaggio,il terzo : voglio quest'opera filosofica ; ognuno peròattraverso la diversità del suo volere dimostrerà solola diversità del suo essere, che egli ha invero di sua

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volontà ma non grazie' alla sua volontà . Se 1'« io vo-glio » fosse in tutti uguale, indeterminato, libero, ilrisultato del volere ó dello scegliere sarebbe necessanamente nullo; poiché con la differenza del voleresarebbe tolta anche la differenza dell'oggetto. Madove vien meno la differenza dell'oggetto, viene amancare anche il fondamento stesso del volere . Senon c'è alcuna differenza tra liquidità e secchezza, nonc'è neppure differenza tra aver sete e bere, né di con-seguenza motivo per voler bere . In breve, voleresignifica volere qualcosa, volere qualcosa d'altra partepresuppone che si sia qualcosa . Così io voglio questaopera filosofica, perché io stesso, sia pure solo perinclinazione e attitudine, sono filosofo, questo roman-zo, perché io stesso sono poeta . La determinatezzadel mio essere peraltro non è così angusta e limitatach'io sia determinato esclusivamente alla lettura diquesto libro per il quale ora mi sono risolto . No,questa determinatezza ha una certa ampiezza, ún'esten-síone entro la quale ero libero di scegliere questo oquel libro. Solo la specie a cui appartiene il libroprescelto è una cosa sola con la specie a cui appar-tiene colui che compie la scelta, cori la sua determi-nazione essenziale . I1 motivo, la necessità, che mi farisolvere per questo romanzo, non è la medesima chemi determina o mi muove verso i romanzi e le poesiein generale. Furono motivi del tutto particolari, ines-senziali ; casuali, che m'indussero a scegliere proprioquesto libro, mentre la ragione che mi determinaesclusivamente o almeno principalmente, a questogenere di letture, è tutt'uno con la ragione per cuisono in generale quest'uomo determinato .

La teologia distinse - distinse, dico, perché lateologia degna di menzione non ha più presente, ap-partiene al passato - la volontà di Dio « in volontànaturale o necessaria e volontà libera ». « Con la pri-ma Dio vuole quel che non può non volere, conl'altra vuole quel che potrebbe anche non volere odi cui potrebbe volere il contrario. Sotto il primo

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p ,

rapporto egli vuole se stesso, sotto i1 secondo le cosecreate » . Ma come l'essere divino non è altro chel'essere umano pensato nella massima universalità eastrattezza, e perciò senza nome, occulto, così anchela volontà divina non è altro che l'occulta, innomi-nata, ma proprio perciò vera volontà dell'uomo : l'uo-mo infatti esprime la sua vera volontà solo in segreto,sotto la protezione e l'ala dell'autorità divina . Appli-cato al caso presente questo significa che, nella libreriadel mondo, io mi decido con volontà necessaria onaturale per una descrizione di viaggio, se, come sicomprende da sé, la mia determinazione caratteristica,specifica ed essenziale, è l'impulso a conoscere popolie paesi, per un'opera filosofica, se è l'impulso a pen-sare, per una poetica, se è l'impulso a poetare ovverol'arte poetica. Io devo pensare, devo poetare, devoviaggiare, sia pure soltanto nella mente. Con la stessaprofondità e necessità con cui voglio e amo il mioessere e la mia essenza, voglio, come appassionato diviaggi il viaggiare e quindi un racconto di viaggi, comeappassionato di poesia il poetare e quindi un'operapoetica . Invece è con libera volontà che scelgo ovoglio questa certa opera, in quanto potrei ben sce-glierne un'altra in luogo di questa . Io voglio soloun'opera poetica, a qualsiasi prezzo, anche il più caro,dichiara l'amico della poesia ; mi è indifferente l'indi-viduo: se Omero, Milton, Goethe o Schiller, indif-ferente se si tratti di epos, dramma, tragedia o com-media; ho una sola pretesa in questo sconfinato biso-gna di libri, in questa noiosa solitudine in cui mitrovo : çleve essere assolutamente un libro di poesia,poiché non posso e non voglio leggerne nessun altro .La libertà del volere, o piuttosto quel che induce eanzi autorizza gli uomini a supporne l'esistenza, quelche produce la rappresentazione della libertà o sta abase di essa, si fonda solo, come già è stato dettosopra, sulla differenza tra 'la specie e i suoi modi oindividui, cioè a dire tra la motivazione o il volereincondizionato (invero, siccome tutto nel mondo è

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relativo, solo comparativamente incondizionato), inso-stituibile, esaustivo del mio essere, non distinguibileda me, necessario, con cui io voglio la specie di unoggetto; e la motivazione o il volere sostituibile daaltre motivazioni e appunto perciò separabile da me,non necessario o solo condizionatamente necessario,in sé indifferente, inessenziale, con cui io scelgo pro-prio quest'oggetto . Togliere questa differenza, fingereper ogni cosa una sola e medesima necessità, signi-fica togliere la differenza tra giacca e camicia, tracamicia e pelle, tra testa e codino, tra osso frontalee coccige .

Questa differenza viene però ugualmente eliminatase si estende la libertà del volere a tutte le azionidell'uomo senza distinzione. « Un'azione libera», sidice, « è di tal fatta che, nonostante sia accaduta,avrebbe potuto anche essere omessa, mentre il con-trario sarebbe potuto accadere . Ma ciò di cui puòaccadere anche il contrario si dice accidentale . L'acci-dentalità appartiene dunque ad un'azione libera » .Ora però, se posso ugualmente fare o tralasciare unacerta cosa, vuol dire che ad essa posso rinunciaresenza danno o perdita, senza dolore e lotta, che ècon me in un rapporto così poco stretto e superfi-ciale, come la giacca col mio corpo . Dico la giacca,non la camicia ; infatti sebbene ci siano moltissimiuomini, ai quali la giacca sta più a cuore della cami-cia, perché costituisce la loro unica dignità e distin-zione, pure vale il contrario per la maggior parte diessi, specialmente per il sesso femminile, che con lacamicia depone insieme anche il pudore e perciò nonsi toglie la camicia, s'intende di fronte agli altri, conla stessa libertà con cui l'indossa . I1 sentimento dellalibertà, di cui si è fatto e si fa ancora tanto chiasso,si estende perciò solo alla giacca, non alla camicia,e tanto meno alla pelle dell'uomo, anzi alla giaccastessa solo nel caso fortunato ch'egli abbia più giac-che ; infatti il povero diavolo che ne possiede unasola è attaccato ad essa coi legami della triste neces-

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sita. L'unicità rende arduo quel che è facile, saldo illegame più tenue, prezioso quel che non ha valore,necessario l'accidentale. Una giacca debbo averla eindossarla, perché senza giacca non posso vivere néagire nel mondo civile ; ma se la giacca che porto ègrigia, verde o nera, è accidentale - poiché avreipotuto anche non indossare la giacca verde che homesso oggi, senza procurarmi con ciò il minimo di-spiacere - è questione di libertà, perché non sonolegato a questa giacca . Ma le cose vanno ben altri-menti, se la mia unica giacca è al banco dei pegni eio sono costretto a restare a casa e con ciò a lasciarmisfuggire un'occasione favorevole, un'occasione permigliorare la mia posizione che forse non si ripre-senterà più . Come mi sento dipendente e infelice al-lora! L'uomo si sente libero ed è effettivamente li-bero nel senso usuale della parola solo in situazionie azioni insignificanti, indifferenti, ma non quando èin gioco il

it

il

besuoneresse, suone o il suo male oaddirittura il suo essere o non essere, quand'anchesi tratti di un essere o un non essere determinato .

In condizione di indeterminatezza, allorché l'uo-mo, che ha di fronte a sé un'azione critica, decisivaper gli esiti felici o infelici che può avere, si chiedeancora : che cosa debbo fare?, egli si rappresentacome possibile tutto quel che è possibile, anche ilcontrario di quanto effettivamente fa ; ha la libertàd'ingannare sé e gli altri circa se stesso di far cadere

, nel pensiero i limiti delle sue capacità, e, nel pen-siero, di decidersi a suo piacimento per una cosa oper l'altra, senza tener conto della misura delle sueforze. Ma tuttavia egli agisce ben diversamente dacome pensa di agire in condizioni di indecisione ; in-fatti in ultima analisi, quando si viene al punto, eglisi decide involontariamente solo secondo ciò che èdefinito e deciso da tempo, a seconda cioè che eglisia un eroe o un debole, un uomo liberale o servile,nobile o volgare, destinato a qualcosa o a niente . I1dubbio dell'indecisione è libero, ma la decisione ne-

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cessaria, quello trascendente, questa invece imma-nente alla mia determinazione essenziale o caratte-riale. I1 dubbio se io debba fare una cosa o il suocontrario è il mio essere smarrito, momentaneamentevenutomi a mancare, fuorviato, falso, la risoluzionead agire invece il mio vero essere ritrovato, reinte-grato, per mia fortuna o disgrazia . Nessuna azioneumana avviene invero con incondizionata, assolutanecessità, perché tra l'inizio e la fine, tra il puro pen-siero e l'effettivo proposito, anzi persino tra la deci-sione e l'azione possono intervenire fuori e dentro dime una quantità di cose ; ma a prescindere dai casiche possono capitare, date queste certe condizioni,impressioni e circostanze, con questo carattere, que-sto temperamento, questo corpo, in breve con que-st'essere cosi determinato, io non potevo decidermied agire se non come mi sono deciso e ho agito .

A dire il vero io non sono così determinato, cosìunilateralmente, esclusivamente, immutabilmente de-terminato a questa o quell'azione come « la pietrapriva di sostegno è destinata a cadere o il fuoco abruciare » il solito paragone, già usato da Ales-sandro d'Afrodísia nel suo interessante scritto suldestino 20 per illustrare e confutare l'eliminazionedella libertà del volere umano ; infatti l'uomo oltrea qúesta inclinazione o qualità che lo determina auna certa azione ha altre inclinazioni o qualità chelo rendono capace di astenersene, oltre a questosenso che lo lega a un oggetto ha anche altri sensiche lo possono liberare dal dispotismo di quest'im-pressione unilaterale . Una donna, che mi attrae irre-sistibilmente con la bellezza della sua figura e deitratti del volto, può altrettanto irresistibilmente re-spingermi da sé per tutta la vita con un alito maleodo-

20 Cfr . I . Bxuxs, Supplementuro aristotelicuro II 2, Ale-xandra Aphrodisiensis praeter Commentarla Scripta minora,Quaestiones, De fato, De mixtione, Berlin, Reimer 1&92,p. 179 .

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rante, o viceversa rísultarmí repellente come oggettoodegli occhi e attrarmi invece come oggetto dell'uditocol semplice tono della sua voce . Chi porta alla com-posizione e risoluzione di questa controversia pro econtro l'oggetto? I1 senso in me più sviluppato, pre-dominante, che definisce il mio essere. Se prevale ilpiacere della vista, l'orecchio perde, sia pure solomomentaneamente, la sua sensibilità e l'olfatto la suafinezza . Ciò che vale per i sensi esterni, vale ancheper i sensi e le capacità interne . In quest'uomo pre-domina ad esempio il senso o la tendenza al godi-mento, in quello l'istinto dell'attività . Ma un istintoperviene alla supremazia, decisiva per l'azione, solomediante la repressione dei rimanenti istinti e pro-prietà. Ogni uomo vuole godere e deve godere, sevuole vivere, perché già il respiro è godimento - go-dimento l'aria divina . Ma l'istinto del godimento hai1 suo limite, i1 suo antagonista nell'istinto dell'atti-vità, che, memore del peracti labores jucundi - belloè far festa a lavoro compiuto, gli impone una mi-sura e uno scopo, gli concede solo tanta libertàquanta è compatibile con la vitalità e la libertà del-l'impulso all'attività . Se l'istinto del godimento sisottrae a questo legame col suo opposto, e pretendeper sé la supremazia o anzi il dominio esclusivo, se-gna l'uomo col marchio sfigurante e servile della con-cupiscenza, e la determinazione attraverso il piaceresi risolve nella negazione della libertà, cioè appuntodella libertà dal dominio esclusivo dispotico, del-l'istinto del godimento, ovvero della capacità di es-sere determinati da altri istinti . Se in me non è piùpresente alcun altro istinto e in generale nulla salvoistinto del godimento, è comprensibile ch'io non

abbia né volontà né forza di resistergli . La libertàdel volere è potenza, possesso, capitale . A1 male diun istinto monarchico posso ovviare soltanto se sonoin grado di contrapporgli un altro bene, se oltre allesomme che mi costa il suo appagamento, serbo ancoraun tesoro in sicura custodia .

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Ma se un uomo è così impotente e sprovvedutoche un istinto, una qualità, reprime tutti gli altri,questi sono sì repressi ma non annientati e perdosempre pronti, non appena se ne presenti l'occasione,a sollevarsi contro il loro oppressore, a protestare,se non proprio coi fatti almeno a parole, contro ilsuo violento dominio . Questa protesta, questa rimo-stranza colma di rimprovero, di un istinto repressocontro la sua repressione, è la coscienza. Tu sei unindegno, grida a sé il gaudente, non appena la co-scienza dell'impulso all'attività si risveglia in lui .Data la straordinaria mobilità e determinabilità del-l'uomo può anche darsi il caso, e spesso accade real-mente, che sia sufficiente un urto esterno, un avveni-mento impressionante, magari soltanto un cambia-mento di luogo, per trasformare questi rimproveri dicoscienza in atti rivoluzionari, per liberare e metterein attività questi impulsi e qualità finora realmente osolo apparentemente repressi, con grande sorpresa econfusione di chi preferisce sprezzantemente nonvedere .

L'uomo cambia, indubbiamente entro limiti insu-perãbili, che però vanno ben distinti dai limiti arbi-trari, che á lui pongono l'invidia, la mania di criticare,l'infingardaggine e la limitatezza degli altri . Gli uo-mini, infatti, nei loro giudizi sugli altri assumono ilcondizionato come incondizionato, l'accidentale comenecessario, il transitorio come permanente, non con-sentono perciò assolutamente agli altri di oltrepas-sare i limiti, çhe essi una volta per tutte si son messiin testa, li fanno rimanere fermi sulle stesse posizioni,al medesimo punto da cui hanno tratto il loro sprez-zante giudizio. Tanto limitato, tanto poco libero èl'uomo nei suoi giudizi e non solo in quelli dati oral-mente, senza riflessione, ma persino in quelli stam-pati ; eppure è da tali giudizi ch'egli viene deter-minato alle sue azioni verso gli altri! « L'uomo è li-bero », va bene, ma solo quando non è in balia oschiavo dei suoi pregiudizi .

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L'uomo muta, si forma, si sviluppa, anzi svilup-pa spesso qualità, che non solo gli altri, ma egli stessonon avrebbe mai sospettato in sé, che si trovano instridente contrasto, benché forse solo in apparenza,con tutte le qualità finora dimostrate, che tornanoa disdoro di tutte le profezie dei suoi genitori, mae-stri e compagni, e smentiscono radicalmente tutti igiudizi: sprezzanti dati su un uomo in modo definitivoda parte di un determinismo ottuso e pedante . Laconcezione e rappresentazione limitata, o anzi falsa,di una cosa non elimina però ancora la realtà dellacosa in se stessa. Chi pone all'uomo limiti troppostretti, sbaglia ; ma sbaglia pure chi spinge questilimiti troppo oltre o addirittura all'infinito, cioè nellasfera del fantastico . La capacità di , cambiamento edi sviluppo dell'uomo non si estende oltre la sualibertà e viceversa . Al pari delle mie azioni libere,í miei mutamenti cadono solo all'interno, al di quadei limiti insormontabili, che costituiscono questomio essere determinato. Quel che ha rapporto con lamia determinazione generica o specifica, col mio es-sere caratteristico, non posso indifferentemente farloo non farlo : debbo farlo. Dov'è il mio essere, là èil mio cielo, ma dove comincia il cielo, cessa la li-bertà del poter fare o non fare . Anche nel cielo dellateologia i beati perdono la libertà di essere e di fareil contrario di quello che fanno e che sono .

« Tutto quel che avviene, dalla più grande allapiù piccola cosa, avviene necessariamente . Quicquidfit, necessario fit » . « Che cosa significa necessario?Necessario è ciò che consegue da una data ragionsufficiente . Solo in quanto comprendiamo qualcosacome conseguenza di una data ragione, lo ricono-sciamo come necessario e viceversa, non appena rico-nosciamo qualcosa come conseguenza di una ragionsufficiente, ci rendiamo conto che è necessario ; tuttele ragioni infatti sono cogenti. Questa spiegazione

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della cosa è così adeguata ed esauriente, che esserenecessario e conseguire da una data ragion sufficientesono concetti . reciproci » 21, dice giustamente Schopen-hauer . Tuttavia in mezzo, tra la ragione determi-nante e la sua conseguenza, mi trovo io, quest'es-sere, quest'individuo determinato . Io sono il mezzoin cui, la causa attraverso cui una certa causa si con-nette a una certa conseguenza. Quel che per me valecome ragione sufficiente ad indurmi a un'azione, nonlo è per un altro . Anzi, persino in rapporto a mestesso quel che vale come ragion sufficiente per que-sta mia qualità, questo mio impulso o tendenza, èuna ragione del tutto insufficiente, se non addiritturaimpotente, in rapporto a un'altra mia qualità o aun altro impulso, e quel che ieri bastava a suscitarein me afflizione, ira, collera o una qualsiasi altraviolenta passione, oggi non è in grado di turbarminella mía quiete. « Tutto quel che avviene, avvienenecessariamente »; ma solo adesso, in questo mo-mento, in queste condizioni interne ed esterne . Ieriho scritto una lettera estremamente offensiva a unconoscente. Nella situazione di ieri e con l'umoreche avevo mi era impossibile scrivere diversamente .Ma quel che ieri era necessario, oggi non lo è giàpiù. Non sola non spedisco la lettera, ma ne scrivoun'altra, perché oggi l'azione, che mi aveva trascinatoa quelle espressioni offensive, mi appare in una luceben diversa . Favorita dalle mie condizioni e dal mioumore, una delle mie insane inclinazioni ha trovatoieri uno sfogo, ma oggi essa ha ceduto di nuovo ilprimato a un altro dei miei impulsi, migliore e anchepiù potente. Se fossi morto ieri, mi sarei portatonella tomba una grave ingiustizia e l'avrei fatta pesaresu di me nel ricordo dei miei amici ; ma fortunata-mente oggi mi sono ridestato alla vita e insieme alla

21 Über die vielfache Wurzel des Satzes vom zureichen-dem Grunde, 1813, Werke, ed . W. von Tohneysen, vol. III,p. 182 .

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coscienza di quanto poco fondate e necessarie fossero` l'eccitazione e l'asprezza di ieri .

Ma ammesso anche che un'azione fosse neces-sarja, soggettivamente e oggettivamente, date cioèqueste certe condizioni interne ed esterne, pure essa,una volta eseguita, dopo che la passione è stata sod-disfatta, e le motivazioni che spingevano a compierlasono forse addirittura scomparse dalla coscienza oalmeno non vengono più sentite nella loro forza ori-ginaria, appare come accidentale . Spesso l'autore stes-so non riesce più a spiegarsela a partire da sé, tantoche esclama stupito : com'è stato possibile ch'io ab-bia commesso un'azione del genere? Come ho potutomacchiare il, mio onore, che pure mi è così caro?come ho potuto sacrificare la mia nobiltà ad unaprostituta, j1 mio bene ad una cosa da niente?

Soltanto quando l'azione esce fuori dal dominiodell'agente, quando non si può più far si che nonsia accaduta, essa si presenta agli occhi dell'autore intutta la sua definitività, diviene un oggetto di orrore,edi vergogna, di pentimento, del desiderio di nonaverla compiuta . Come quando j nostri pensieri sonoormai del tutto fuori del nostro potere, quando sonostampati ed appaiono quindi fissati irrevocabilmente :soltanto allora la nostra coscienza di scrittori si ri-desta, e ci accorgiamo con nostra grande confusionedei difetti e degli errori commessi . Se gli uominiavessero prima dell'azione la consapevolezza, la co-scienza, che essi hanno dopo l'azione - una provaquesta che dove non c'è tempo, ossia distinzione trail prima e il poi, non c'è neppure coscienza - nonavverrebbero azioni insensate e criminose, forse anzinon si compirebbero azioni di sorta, così come èincerto che si produrrebbero libri, se lo scrittore giu-dicasse dell'opera che si trova ancora nel vivo dellacomposizione o è appena stesa per iscritto, allo stessomodo in cui giudica più tardi dell'opera stampata,da lui completamente estraniata . L'opera che sto scri-vendo riempie tutto j1 mio spirito, fa appello a tutto

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il mio sapere e potere presente; con quest'opera,penso durante la sua stesura, nel corso degli sforzich'essa mi costai si decide i1 tuo destino, è l'ultimacosa e la più alta che ti è dato fare ; in essa hai datofondo alle tue risorse, in essa hai raggiunto « l'asso-luta identità del soggettivo e dell'oggettivo, dell'idealee del reale », cioè in altre parole la perfetta ugua-glianza della capacità o possibilità e della realtà . Manon appena l'opera dalla testa è passata sulla carta,e dalla carta alla pubblicità della stampa, a quellafelice unità subentra di nuovo j1 vecchio dissidio trasoggetto e oggetto, tra pensare ed essere, potere efare, al paradiso della creazione la pena infernaledella critica . Ed è ben naturale ; adesso non sonopiù innamorato e perduto nella mia opera, non piùlegato ad essa, non più suo schiavo ; con la libertàda essa non ho riacquistato solo la libertà teoretica,la libertà del giudizio, ma anche - seppure forsesolo nella mia rappresentazione o immaginazione -la libertà del fare, la disponibilità per altre opere .E sebbene l'opera, quando e mentre la scrivevo, fossela necessaria, la suprema, la sola espressione del mio

spirito e del mio essere di cui fossi capace, pure, orache è fuori e dietro di me spazialmente e temporal-mente, essa mi appare come qualcosa che scrivereidiversamente e che di conseguenza anche prima avreipotuto e dovuto scrivere ben diversamente, perchéidentifico il mio io attuale, ammaestrato e scaltritodall'esperienza, col mio io precedente, scambio ilmio essere e sapere a posteriori con un dato a priori .

Quel che accade per gli scritti, accade anche perle azioni. Anche se un'azione è stata in un primotempo necessaria, in un tempo successivo mi appareaccidentale e lo è anche effettivamente in rapportoal mio restante potere, che si dispiega in altre azionifuture, e al mio essere, che non si esaurisce in que-st'azione e nell'impulso che è alla base di essa . Que-sto vale specialmente per azioni che l'uomo si rimpro-vera, di cui si pente, che quindi vorrebbe non aver

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fatto. Ma chi desidera non aver fatto un'azione, perciò stesso crede che avrebbe potuto non farla. Neldesiderio, infatti, le condizioni che la rendevano ne-cessaria, sono accantonate ; il desiderio non sa nulladi necessità. « La libertà è una questione di fede » .ma la fede è questione di desiderio, and non è altroche un desiderio oggettivato, realizzato nel pensiero .Chi non desidera niente, almeno niente di ciò chesupera í limiti di quel che è naturalmente possibile,reale e necessario, non crede neppure niente, almenoniente nel - senso dei desideri sconfinati, soprannatu-rali, esaltati . L'uomo però desidera essere libero' eincondizionato, dunque crede di esserlo, perché oalmeno mentre lo desidera ; desiderare qualcosa in-fatti non significa altro che eliminare, sia pure solomomentaneamente, la necessità del contrario di que-sto qualcosa, come quando - ad esempio io desiderobere nel momento in cui non c'è acqua disponibileed è giocoforza soffrire la sete .

« La legge presuppone la libertà ; se non ci fossela legge, non ci sarebbe neppure libertà ma se c'èuna legge, in essa abbiamo la garanzia della nostralibertà » . Ma la legge in realtà non è altro che undesiderio riconosciuto, garantito, consacrato dalla po-tenza suprema, un desiderio, il cui adempimento, sesi tratta di una legge giuridica, è ottenuto a forza,e i1 non adempimento punito, da parte di una potenzadivina o mondana. Così la legge : ` non rubare', o` non uccidere ' non è altro che il desiderio, espressoin forma prescrittivi, che la vita sia inviolabile e laproprietà sacra - il desiderio che non vi sia opossa esservi furto e assassinio di sorta . La legge silimita a trasformare questo poter essere in dovere,il dover essere o non essere è essere o non esseredesiderato. Ma quel che deve essere, per ciò stessopuò essere; quel che desidero, me lo rappresentoimmediatamente al tempo stesso come possibile . Iodesidero, dice l'uomo in quanto privato cittadino ;io voglio, dice invece come legislatore investito di

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potere, che non si rubí :: perciò credo che si possanon rubare . Volo, ergo cogito . Con la legge io vogliorendere impossibile il furto, cioè a dire credo nellapossibilità del suo contrario, credo che il furto siaaccidentale, che il ladro sia libero e possa tantorubare che non rubare . Appunto perciò la legge, inquesta sua arrogante fede nell'onnipotenza dei suoidesideri, non esige altro dal ladro che la consapevo-lezza del divieto di rubare, per condannarlo subitoal capestro, come nei bei tempi ' andati, che quiassumiamo a modello, in cui la fede era viva, e cosìrealizzare à tout prix, anche a prezzo di una vitaumana, il desiderato non essere del furto . Io nonposso togliermi d'attorno il ladro importuno, senzaeliminare contemporaneamente l'uomo, dunque vadoper le spicce : per annientare il ladro, anniento anchetutto ciò che ha relazione con lui, anniento l'uomointero, in carne e ossa .

La legge non si cura del rapporto del ladro conl'uomo, né l'uomo del rapporto di un'azione con lesue condizioni. Quel che porta detrimento al mioistinto di felicità, quel che contraddice il mio amoredella proprietà, il mio amor proprio in generale, nondeve essere e non può essere. E questa legge fonda-mentale dell'amor proprio umano non vale soltantonei confronti dell'uomo, ma anche della natura, nonsolo rispetto a ladri e assassini, ma rispetto a tuttele cose e gli esseri che causano all'uomo sofferenze,danni, mali in generale, e invero qui senza scrupolifilosofici e formalità giuridiche, semplicemente inconseguenza dell'imperativo filosofico dell'istinto difelicità . Se schiaccio una pulce perché mi ha punto,nego con ciò la necessità della sua esistenza ; la strap-po al rapporto organico che la lega a sé e al restodel mondo ; di essa fisso solo la puntura, come ilgiurista o il moralista nell'uomo che ruba fissa soloil furto, questa puntura nel cuore dell'amore di sée della proprietà . In conclusione, la pulce punge, manon deve pungere, almeno non me . La puntura della

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pulce è un delitto di lesa maestà contro l'umanodesiderio di felicità . Ma la pulce non può pungeresenza essere, dunque deve non essere, cioè morire * .Se la mia condanna a morte riguarda solo questapulce, ciò si spiega solo col fatto che non possoannientarle tutte insieme in una volta, sopprimendol'intera razza, quantunque lo farei ben volentieri, perliberarmi di questi insetti molesti una volta persempre, allo stesso modo che lo Stato con questodelinquente vuole giustiziare - ma purtroppo nonpuò - tutti i futuri delinquenti .

Ogni male, sia pure soltanto una puntura di pulce,reca ingiuria all'uomo, l'irrita, l'indispettisce, lo faandare in collera, lo induce perciò, almeno nelmomento dell'irritazione, a postulare una causa corri-spondente all'effetto, dunque un essere cattivo, unavolontà cattiva come causa del male subito. Se lacausa è necessaria, necessario è anche l'effetto, ilmale ; ma contro questa necessità si leva l'istinto difelicità offeso, il desiderio di libertà dal male. Porreil libero volere al vertice o all'inizio del mondo haperciò un senso e un significato corretto solamentese la fine della canzone, cioè del canto di lode alcreatore, è la libertà dell'uomo da tutti i mali, se ilmale fisico, la morte innanzitutto, è entrato nelmondo solo per l'invidia del diavolo, e il male morale,il peccato, non per un motivo necessario (poichéAdamo poteva non peccare), bensì solo per unabirbonata temeraria ** ; se di conseguenza la causa ulti-

* Certi indiani mangiano i pidocchi. Interrogato perchéne mangiasse, un indiano rispose di farlo « perché essi lomordevano e giovava al suo senso di vendetta morderli asua volta » . P . KANE, Viaggi tra gli indiani del Nordamerica,1862, p . 86 . [Tutte le note contraddistinte da asterisco sonodi Feuerbach.]

** « Con la loro temerarietà », si dice espressamente nelnoto Theatrum Díabolorum del 1569, « í diavoli » - gli isti-gatori del peccato originale dell'uomo - « si sono distoltidal sommo e unico bene » ecc . E questa temerarietà diabolicaè il principio della teologia ortodossa :

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ma del male dà all'uomo la libertà, o meglio inquesto caso il diritto, di ripagare male per male,magari solo con imprecazioni, di procurare soddisfa-zione alla sua indignazione e al suo dolore per ilmale del mondo con sprezzanti accenti e maledizioniall'indirizzo del malfattore : « O veteratorem nequis-simum! O diavolo infame! » esclama il cristiano, « ilcattivo, maledetto Ahriman » impreca dal canto suoil parso .

Esistono uomini, per í quali non c'è piacere più \grande che soddisfare la propria mania di criticare, -fe che perciò, per non rinunciare alla materia diquesto piacere, ascrivono a colpa degli altri anche r 'mali e dolori del tutto incolpevoli . Anzi ogni uomo,quando è adirato indignato o anche semplicementemal disposto, è incline a fare della creatura che gliriesce spiacevole il creatore di se stesso, la causa disé. E quanto più l'uomo è attaccato a se stesso, quan-to meno è libero, tanto più nella coscienza imputaal libero volere quel che è necessario, involontario,inevitabile. La gente del popolo arriva ad applicarela sua teoria dell'imputazione persino ai difetti ester-ni, fisici, rimprovera al gobbo la sua gibbosità . Delresto l'uomo come fa carico agli altri

spesso anchea se stesso, per malinconia o altri motivi psicolo-gici - di mali e difetti incolpevoli; cosi ascrive purea merito proprio, spesso anche a merito altrui, benie pregi - statura fisica, forza, bellezza, salute, fecon-dità - di cui né lui né gli altri sono responsabili,mena vanto di essi come fossero sue proprie azioni :a chiara prova che l'anima immortale si distingue sìdal suo corpo mortale nella morte, ma non nellavita, e che il suo sentimento di sé e della libertà siestende anche a cose che non hanno assolutamenteniente a che fare con la libertà .

Kant e dopo di lui Schopenhauer, per conciliareil carattere determinato e necessario dell'azione uma-na, da loro riconosciuto, con « il fatto della consa-pevolezza che abbiamo di sentirci responsabili, impu-

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tabili per quello che facciamo », che avremmo dunqueanche potuto omettere quel che abbiamo fatto, ricor-rono alla distinzione tra « carattere empirico e intel-legibile dell'uomo », cioè tra fenomeno ed essenza ~ .Di conseguenza il volere o l'uomo legato alle leggidell'esperienza, alle forme del fenomeno, a spazio,tempo e causalità, è determinato necessariamente inun certo modo ; ma l'uomo o il volere in sé, soprasen-sibile, extratemporale, è libero, è autore anzi diquello stesso carattere empirico, che nell'ambito feno-menico è determinato in un certo modo e non puòagire diversamente da come agisce. Ma questa volon-tà libera è solo una vuota tautologia della cosa insé, con essa non si afferma altro se non che la volontàpensata libera da tutte le determinazioni e condizionidell'essere umano reale, e quindi da tutte le nega-zioni o limitazioni della libertà, è libera . Se l'espe-rienza, come afferma Kant, non fornisce alcuna provadell'esistenza della libertà, ed anzi non è assoluta-mente in grado di darne, perché nell'esperienza tuttoè collegato- secondo rapporti necessari, allora la libertàè solo un mio pensiero, e invero un pensiero, chenon si trova in rapporto coi miei restanti pensieri,e perciò, operando quella distinzione, non affermoaltro che questo : secondo l'esperienza devo negareall'uomo la libertà, ma per potermi spiegare la respon-sabilità, l'imputabilità, lo penso libero .

Schopenháuer riporta la responsabilità senz'altrodall'agire all'essere, poiché « operaci sequitur essel'agire dipende dall'essere, l'uomo agisce in un modoo nell'altro a seconda del carattere che ha . La respon-sabilità perciò si rapporta solo apparentemente al-l'agire, in realtà all'essere, dunque, ne arguisco, ilmio essere e la mia essenza è solo un merito o unacolpa del mio libero volere, dunque ho già pensato

22 Per questa distinzione in Kant cfr. Kr. d . prakt . Veri .,A 169-80; per Schopenhauer cfr . Ueber die Grundlage derMoral (1840), Werke, cit ., vol . III, pp . 704 sgg., e Ueberdie Freiheit des Willens (1839), ivi, p . 621 .

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e voluto prima che esistessi, prima della mia appari-zinne e incarnazione empirica. Questa soprannatura-listica, anzi fantastica teoria dell'imputazione si trovaperò nel più stridente contrasto col fatto che vuolespiegare. L'uomo si sente responsabile per ciò, dicui anche gli altri, almeno finché sono in senno,gl'imputano esclus;vamente la responsabilità: perquello che fa, ma non per quello che è . Chi haucciso è invero un assassino , ma questo essere lin-guistico non esaurisce il mio essere reale, poiché èsoltanto espressione di quella mia azione . I1 mioessere è il mio rapporto a me stesso, il mio agire il

mio rapporto agli altri ; ma appunto agli altri importasoltanto, nella sfera della responsabilità cade soltanto,quel che io sono per loro, vale a dire quel che faccio,non quel che sono per me . Ora però essere è essere-per-sé; l'essere è silenzioso, senza pretese, raccoltoin . sé, in sé soddisfatto; l'agire invece è affabile eloquace, fa chiasso per la gioia o il fastidio degli altri .È vero ;che. uno può riuscire molesto agli altri coisuo semplice essere , e anzi, per il solo fatto che vivepiù a lungo di quanto essi pensavano e desiderano,rendersi colpevole di un delitto capitale dinanzi al,foro del loro egoismo, giudice in causa própria ; masolo perch éé questo essere si trova in . contrasto colloro amor proprio, un contrasto nel quale l'uomoperaltro si pone solo con le sue azioni . Per non par-lare del mio essere, io non sono e non mi sentoresponsabile neppure per quel fare che è insepara-bile dal mio essere, che rimane entro i suoi con-fini, bensì solo per quelle azioni mediante le qualiintervengo nella sfera degli altri, faccio loro del male,in breve reco ingiuria al loro istinto di felicità .Soltanto l'istinto di felicità è il nesso tra la neces-sità e la libertà, ovvero la non necessità, delle azioniumane. Solo per mettersi quanto più possibile alriparo dal pericolo di violazioni della loro vita e dellaloro proprietà, gli uomini hanno stabilito pene nonsolo per azioni dettate da una volontà o un propo-

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тA .,

sito malvagio, dáll'animus noćendi o dolus, ma ancheper le azioni della culpa, cioè per le azioni compiuteper pura « inavvertenza o irriflessione », che riesconodannose agli altri senza che lo si voglia, al di là del-'l'intenzione ; di conseguenza, dato che la pena presup-pone una legge, a ognuno viene imposto « l'obbligodí evitare tutto ciò per cui si può diventare causa'di crimini anche senza intenzione, il dovere dell'at-tenzione, dell'accuratezza, della diligentia » : a cia-scuno cioè viene « prescritto di fare del propriopotere conoscitivo un uso adeguato, in mancanza delquale può prodursi, contro le intenzioni del soggetto ;una determinazione della volontà contraria alla legge »,e a1 trasgressore di questo precetto viene imputata« la mancanza di riflessione » 23 . Ma non giungiamocosì ai limiti della differenza tra volontario e rovo-lontano, responsabile e irresponsabile? Che impor-tanza riveste questa differenza per l'istinto di felicità?Spesso l'uomo assume egualmente, nell'animo e nellacoscienza, come azioni dolose o colpose, persino azioniche non possono essere imputate né al dolus né allaculpa, per il solo fatto che hanno gettato lui o altriin rovina. Dopo che è avvenuta un'azione funesta opunibile, nasce sempre il desiderio che essa possanon essere avvenuta, e quindi il pensiero o la fedenella possibilità del suo contrario . Quanto spessonon ci rimproveriamo per azioni del passato, chenoi avremmo ben potuto non compiere solo che finda allora ci fosse' stato consentito di vedere le cosecome le vediamo ora! « Ah, se ci avessimo pen-sato! » Ma allora purtroppo non potevo pensarci .

Quel che Kant ha chiamato carattere o volereintellegibile, distinguendolo dall'empirico, nella filo-sofia posteriore, in particolare hegeliana, ha presonome di volere ó uomo universale in opposizione

23 Feuerbach si richiama qui al Lehrbuch des peinlichenRechts e alle Betrachtungen über dolos und culpa di suopadre Anselm.

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all'individuale . A questa distinzione ricorse anchel'autore dei presente scritto, per conciliare la neces-sita con 1' imputabilità, quand'egli si trovava ancorasulle posizioni di quella filosofia, almeno ;per quantoconcerne il modo d'intendere il rapporto dell'univer-sale con l'individuo . Così in una nota del Leibniz 24 ,apparso nel 1837, si legge: « La singola azione inquanto tate non e necessaria, ma nel suo contenuto,nel suo significato, nella sua essenza essa è necessariada parte mia, come individuo che ha un essere deter-minato . Ora però io non sono soltanto un uomodeterminato, ma anche l'uomo in generale in unaforma determinata, individuale . .. In rapporto a mecome uomo in generale, cioè nella misura in cui lequalità, universali dell'uomo sono presenti in me almeno come coscienza e disposizione, la mia azionenon e necessaria - uomini diversi, nei quali le quatità, che in me esistono solo come disposizioni, sisono realmente sviluppate, nel medesimo caso avreb-bero agito diversamente e meglio di me in rapporto a me invece, in quanto uomo che ha unadeterminata forma e limiti ben precisi, in rapporto alnilo essere determinato essa e necessaria » .

D'altronde questa distinzione supera di gran Jun-ga l'ambito della filosofia hegeliana ; essa trae la suaorigine fin dall'antichissimo conflitto di nominalismoe realismo e si spinge fino agli estremi confini dellaragione e del linguaggio umano ; non e solo una distin-zione logica o metafisica, ma anche psicologica; ed eanche alla base della teoria dell'imputazione dell'un

gente comune, ci. g non istruita I motivodi cro non e altro che l'uguaglianza dell'essenza ömo o della

oe

della natura degli uomini malgrado le loro diversitàindividuali. Quel che faccio o non faccio, cosa pensa- ma beninteso solo sulla base dell'istinto di felicità,solo se si tratta del bene e del sangue dell'uomo

24 Cfr . Sämtliche Werke, ed . Bolin-Jodl, 1903-11, 2a ed.Stuttgart 1959-64, vol. IV, p . 272, nota 4 .

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l'uomo comune, l'uomo in generale, anche l'altro,pari di me, può • farlo o non farlo . Io, Tizio, nonrùbo, ma Caio lo fa; ora però egli è un uomo comeme, dunque può e deve, al pari di me, non rubare .Il furto non è una azione necessaria della naturaumana, altrimenti dovrei rubare anch'io, dunque ilfurto ha il suo fondamento solo nel volere, e invero,per determinare quest'ultimo ancora più da vicino,nel volere contingente di questo individuo . Quandodi una cosa ignoro la ragione, do la responsabilitàdi essa al volere; quel che è un difetto della miaragione, lo ascrivo a colpa della volontà dell'altro,e spesso anche della mia propria . Poiché nella miatesta non trovo alcun rapporto tra l'uomo e il ladro,lo trovo fuori di me nella corda, da cui il ladropende sulla forca ; poiché l'uomo in sé none uncriminale, ne concludo che il criminale non è affattouomo, e -così ' sono pienamente autorizzato a negareanche l'esistenza a questo gaglioffo, a questo bruto,a cui ho già negato l'umanità. « L'agire è una conse-guenza dell'essere » : in questo caso ciò vuol dire cheal rubare segue l'imp ccagione ; infatti posso eliminareil rubare solo se elimino l'essere del ladro .

7 .

L'individuo come organismo 25

Fortunatamente però c'è anche un altro legametra l'uomo e il criminale oltre la corda del boia .Questo legame è - inorridite anime celesti! ilsensualismo o materialismo . Ma, ahimé,' non il mate-rialismo criminale, i1 solo che finora la vostra filosofiaasservita allo Stato e alla Chiesa abbia riconosciuto,

zs Der Individualismus oder Organísmus.

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anzi dimostrato vero e razionale ., non il materialismobarbarico, che annienta l'uomo' nell'al di qua, perricompensare poi la sua anima immortale in un fan-tastico al di là con un celeste regno di gioia ; bensìil materialismo che, non per dovere beninteso (gri-date pure all'immoralità), e nemmeno a partire dal-l'Idea della Logica hegeliana (per quanto illogico ciòpossa sembrarvi), no, solo per puro sensuale piaceredell'amore e della vita pone in essere l'uomo, l'uomoreale, sensibile, individuale : sensualismo e indivi-dualismo infatti sono una sola cosa . La ragione ofilosofia separata dai sensi, che nega la verità deisensi, non solo da sé non sa- nulla dell'individualità,ma anzi la odia a morte come sua naturale avversa-ria, come la filosofia di Kant, Fichte e Hegel dimostraa sufficienza. Solo attraverso í sensi so che fuori dime esistono anche altri esseri, altri uomini ; ch'io sonoun essere individuale distinto da loro, come essi dame. Ma questa mia individualità non si estende soloalle qualità e caratteristiche, attraverso cui, in modoevidente, mi differenzio dagli altri, bensì anche allequalità che io, distinguendole dalle prime, penso co-me comuni e comprendo nel cõncetto generale diuomo. Io non sono individuo fin qui e non oltre, dimodo che le mie qualità individuali avrebbero il lorolimite in quelle comuni, senza toccarle né contami-narle; no, individualità è indivisibilità, unità, inte-rezza, infinità ; io sono dappertutto, assolutamente,dai piedi fino alla punta dei capelli, dal primo all'ul-timo atomo, essere individuale . « Io non sono l'uomoin generale in una determinata forma », sono uomosolo come quest'uomo assolutamente determinato ;essere uomo ed essere questo certo individuo sonoaspetti in me totalmente indistinguibili . Io sento, vo-glio, penso al pari di te ; ma non penso con la tuaragione o con una ragione comune, bensì con la mia,che si trova in questa testa qui . Io voglio, ma dinuovo non col tuo volere o con un volere generale,bensì col mio proprio, che si attua per mezzo di que-

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stí muscoli qui; e al pari di te provo dolore per'1 ingiustizia subita o commessa, ma non con la 'co-scienza dell'uomo in generale, bensì con una coscien-za, che è sempre mia propria, al modo stesso che ilsangue delle mie vene è sangue mio proprio, indivi-duale. Anche ammesso ch'io senta, pensi, voglia lastessa cosa dell'altro, è la stessa solo per il pensiero .mentre in realtà non è possibile che sia esattamentelá stessa, così come non è possibile ch'io occupi lo stes-so spazio, tragga la stesso respiro dell'altro . Nel pen-siero non posso distinguere questo spazio da quello,né l'aria che respiro dall'aria dell'altro ; ma propriolà, dove la distinzione scompare per il pensiero, co-mincia quella distinzione che è origine della vita, ori-gine dell'individualità . L'individuo è intraducibile,inimitabile - salvo che in apparenza p per certe par-ticolarità - incomprensibile, indefinibile ; è solamen-te oggetto di conoscenza sensibile, immediata, intui-tiva . Anche se tutte le informazioni che i sensi ci'danno circa le cose fuori di noi, il sole la luna lestelle, fosse apparenza e inganno, pure questo è certo :la verità della vita, la verità dell'individualità, 'sifonda solo sulla verità dei sensi . La vita della vitaè l'amore ; ma l'amore, se pure non è « la fonte diogni certezza, di ogni verità e di ogni realtà », comeafferma Fichte nell'Introduzione alla vita beata 2b delsuo amore fantastico, perché privo di fondamento edi oggetto, è certamente la fonte della certezza, ve-rità e realtà dell'individuo . I1 pensiero distingue laspecie dall'individuo ; la vita invece, l'amore, fa diquesti termini distinti nel pensiero un'unità indistin-guibile, dell'individuo l'« essere assoluto », che ap-punto perciò può essere soltanto vivo o morto, essereo non essere . « Essere o non essere, questo è il pro-blema » . Ma questo problema lo risolve soltanto laragione fondata sulla verità dei sensi, sulla verità del-l'amore .

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Tra tutti i sensi, che attestano la verità dell'indi-

vidualità, e di preferenza +al senso del gusto che nonè stato contestato il diritto della individ ualità, comedimostra a sufficienza l'affermazione universalmenteaccettata che dei gusti non si può disputare. Delresto l'individualità non si comprova affatto esclusi-vamente, come siamo abituati a immaginarci, nelladiversità delle sensazioni e dei giudizi circa lo stessooggetto, ma anche allorché nelle mie sensazioni e neimiei giudizi concordo con gli altri, allo stesso modoche io non mi sento e non mi affermo come individuoesclusivamente nei pugni dell'ostilità, bensì anchenella stretta di mano dell'amicizia . Ma qui ed ora si

tratta soltanto della differenza come è espressa in

p

quella affermazione. Nondimeno il gusto ha e riven-dica a sé una validità generale, non diversamentedagli altri sensi . A questo proposito Mencio 27 , il piùgrande filosofo cinese dopo Confucio, dice : « Y-ya,un funzionario di Thsi ai tempi del principe Wen-kong, famoso genio culinario, seppe scoprire quel chepiace in generale al palato . Se, mentre egli applicavaai cibi il suo organo di gusto, quest'organo fossestato diverso per natura da quello degli altri uomini,come è diverso da quello dei cani e dei cavalli, chenon sono della nostra stessa specie, come avrebberootuto adora tutti gli uomini del regno convenire

con Y-ya in questioni di gusto? Ognuno ha dunquenecessariamente gli stessi gusti di Y-ya, per quantoconcerne i piaceri del palato, per il fatto che il sensodel gusto è simile in tutti gli uomini » . Ognunocrede perciò che quanto egli trova gustoso e ben ac-cetto debba riuscire necessariamente gustoso e benaccetto anche agli altri, e quando l'esperienza con-traddice questo suo presupposto, non se ne spiegaassolutamente la ragione . Anzi l'uomo che non vedeal di là di se stesso, che dalle sue esigenze arguisce

27 Meng-tse (372-288 a . C .), filosofo cinese discepolo diConfucio .

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quelle degli altri acriticamente e senza fare distin-zioni, applica il ćompelle intrare (« costringili ad en-trare » ) della Chiesa « fuori di cui non c'è salvezza »anche all'esofago, costringe a mangiare e invero nonsolo con fastidiose preghiere, ma anche con punizionipenose: come fanno spesso i genitài coi loro figli,gli educatori coi loro allievi, in quanto imputano acattiva volontà o a capriccio la ripugnanza, per loroincomprensibile, verso un cibo che torse è il loropreferito. Eppure ci sono individui che si gonfianoper aver ingerito alcune ciliege . o ribes ; individui acui il dolce fa venire il vomito, come riferisce Zim-mermann nel suo scritto 'sull'esperienza nell'arte me-dica 28 ; individui che, come il medico Pietro di Aba-no, hanno una tale avversione per il latte, che il solofatto di vederne bert procura loro mal di stomaco ;come racconta Bayle nel suo Dizionario 29 ; individuiche non possono mangiare e sopportare neppure ilpane consacrato, come riferisce ancora Bayle nelle sueNovità dal regno delle scienze a proposito di due in-dividui, un uomo e una donna 3°. Quali diversità,quali particolarità non si riscontrano d'altra parteanche nel campo degli altri sensi! Chi riterrebbe maipossibile che esistano uomini ai quali « il semplicetocco di un panno di seta o addirittura di 'una pescariesce insopportabile », uomini che dai suoni' più dolcivengono ridotti in uno stato insostenibile di agita-zione, uomini che non possono vedere un grillo senzacadere in deliquio, uomini infine sui quali il grade-vole odore «' della rosa, del garofano e di altri co-muni fiori profumati agisce come un veleno narco-tico »?

2$ _JOHANN GEORG ZIMMERMANN (1728-1795), Von der Er-fahrung in der Arzneikunst (3 voll ., Zürich 1763-64).

29 Dictionnaire historique et critique, Rotterdam 1695-97 .30 Si tratta di curiosità scientifiche pubblicate ne11ç Nou-velles de la république des . lettres, nel febbraio 1687. Cfr .Oeuvres diverses, I, Hildesheim 1964, p. 755 .

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opposizione a cani e cavalli, e in genere agli esseridiversi dall'uomo, le differenze tra gli individui uma-ni scompaiono, al modo stesso che per noi scorn-paiono le differenze tra individui animali apparte-nenti alla stessa specie o genere, soprattutto ai gradipiù bassi del regno animale; sebbene ad una con-siderazione più attenta anche gli individui animalidelle classi più basse, gli insetti ad esempio, si rive-lino spesso assai diversi . Soltanto in rapporto a sestessi gli individui umani sono infinitamente, essen-zialmente diversi l'uno dall'altro - essenzialmente,perché con l'eliminazione . della loro diversità vienesoppressa l'essenza stessa della loro individualità .Senonché l'uomo ascrive a proprio merito le qualitàper cui si distingue vantaggiosamente dagli altri, lesue virtù, e fa carico agli altri delle qualità contrarie,negative, ch'essi hanno .

Quel che un essere è, vuole anche esserlo . Quelch'io sono per natura, sebbene non per questo findalla nascita - gli eroi in fasce esistono solo nellamitologia lo sono pure di mia volontà, dal pro-fondo del cuore, con tutte le mie forze . I1 mio esserenon è conseguenza del míò volere, ma viceversa ilmio volere conseguenza del mio essere : poiché ioesisto prima di volere, e può darsi essere senzavolere, ma non volere senza essere . Ma quando sitratta del mio essere, non lo distinguo da me, eappunto perciò non l'avverto come qualcosa che micostringe o mi fa violenza (come accadrebbe se fossedistinto da me), lo considero una questione di vo-lontà, cosi come stimo che il suo contrario sia que-stione di non-volontà . Anzi, dato che il volere nonè altro che l'essere dell'uomo in quanto è consape-vole e attivo verso l'esterno, e l'uomo 4'altra partenon sa nulla dell'essere retrostante la sua coscienza,tranne quello che con la volontà ne appare alla co-scienza, l'uomo finisce col porre il volere innanzi a1suo essere, fa di quello fapriori di questo, del suoessere individuale una legge per gli altri, e impone

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loro il suo essere come un dover essere . « Io sonosanto, perciò dovete essere santi anche voi » . Il do-vere presuppone l'essere ; il dovere è solamente unessere identificato con la specie - sia pure con unadeterminata specie, quella dei giudei, dei romani,dei greci, dei germani -, elevato a entità univer-sale, partecipato agli altri, possibile per loro, realeper me. Poniamo ch'io sia il buon, provvido capo-famiglia del diritto romano: bene, dovete e poteteesserlo anche voi, e se non lo siete, venite giusta-mente puniti per aver « trascurato quel che personesemplici, prudenti, di buone maniere hanno cura diosservare », come si esprime un commentario all'or-dinamento penale criminale dell'imperatore Carlo V .Se sono allegro, dice il marito alla moglie secondola legislazione indù, anche tu devi essere allegra, sesono triste, devi essere triste anche tu ; anzi, persino,se io sono morto, anche tu devi essere morta : ma men-tre io lo sono per necessità, tu devi esserlo mediante latua volontà. Io sono un buon luterano, perciò doveteesserlo anche voi, perché « io voglio che í miei sud-diti in materia di religione la pensino come me »,disse il principe elettore Augusto di Sassonia all'im-peratore Massimiliano II. Io sono valoroso e corag-gioso, dunque devi esserlo anche tu ; e se non lo sei,è solo colpa tua : sei un codardo unicamente perchénon vuoi essere valoroso e coraggioso. Per questavia l'uomo arriva a prescrivere agli altri virtù indi-scutibilmente fisiche e a rimproverarli se ne sonoprivi. Ad Atene, per esempio, secondo le leggi diSolone la viltà era un delitto pubblico . « Esistonoanche », dice Eschine nel suo discorso contro Ctesi-fonte, « imputazioni per viltà, per quanto ci si po-trebbe meravigliare che ci siano imputazioni anche acausa della natura (qa&oç, cioè di una qualità na-turale). Ma perché ce ne sono? Affinché ognuno, te-mendo più le punizioni della legge che i nemici,combatta per la patria quanto più valorosamente

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possibile » 31 . Gli antichi Germani affogavano senz'al-tro i vili e í deboli nelle paludi, e gli antichi Spar-tani procedevano ancora più radicalmente' : gettavanoí bambini deboli e malaticci, inutili per lo Stato, inuna fossa del monte Taigeto ; - una vera mostruo-sità agli occhi, degli Stati e dei giuristi cristiani, chesi prodigano con ogni zelo per i diritti dei bambininel seno materno, scrivono dotti trattati de jure em-bryonum, ma solo per affamare senza scrupoli gliuomini adulti o appenderli ad una forca per il furtodi pochi fiorini .

Ora però se l'uomo rimprovera agli altri, ascriveloro a colpa la mancanza di qualità che hanno mani-festamente, per ammissione generale, un fondamentofisico, se anzi rimprovera questa medesima mancan- .za anche a se stesso, interiorizzando, quando si sentedisistimato e abbandonato, il giudizio di condannache gli altri danno di lui : quanto più questo varràdi qualità che dipendono evidentemente solo dal vo-lere dell'uomo! In particolare l'uomo ascrive a sécome merito l'attività, la laboriosità, la diligenza, eagli altri come colpa la mancanza di queste qualità,che dipenderebbe da mancanza di volontà. Eppurediligenza laboriosità attività per un uomo dotato diqueste qualità sono una necessità naturale come illavoro lo è per le api. Anche qui però vale la distin-zione già fatta tra í vari tipi di necessità . L'uomo in-fatti non è un essere così semplice e unilaterale comela brava ape operaia ; egli unisce in sé anche lefunzioni dei fuchi e della regina, ha cioè inclinazionie impulsi contrari alla sua laboriosità, che possonoimpadronirsi di lui fino a fargli dimenticare, in mo-menti di debolezza, il suo lavoro . Ma per quante pos-sano essere le seduzioni al piacere e al dolce far nientea cui l'uomo, nella molteplicità dei suoi aspetti edisposizioni, è esposto, l'individuo laborioso non po-

3 1 Contro Ctesifonte, S 175 .

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trà mai diventare un fannullone ; deve lavorare e seconosce a fondo sé e' la natura, sarà anche cosìgiusto e onesto da attribuire questa sua virtù nonal proprio, volere, bensì alla propria natura, alla pro-pria conformazione individuale. Dice Chladni nelle« Notizie » apposte alla storia delle sue scoperte acu-stiche : « Le restrizioni in cui fui tenuto nella casapaterna non erano affatto necessarie, perché io nonebbi mai nei primi anni come in quelli successivi al-cuna propensione per il disordine e l'inattività, cosadi cui peraltro non mi faccio un merito, ma che con-sidero conseguenza della mia costituzione » .

Ma sebbene un Chladní non ascriva la propriaattività a suo merito, gli altri tuttavia, che fruisconodei frutti di essa, lo ricompenseranno con lodi e rin-graziamenti, e viceversa copriranno di disprezzo unfannullone, che cerchi di giustificare la propria dap-pocaggine con ła sua costituzione ; infatti come laparte buona della nostra costituzione richiede per lapropria conservazione, per formarsi e perfezionarsi,l'intervento attivo dell'uomo, massima diligenza, eser-cizio continuo, così il male presente in essa puòessere eliminato o almeno mitigato mediante l'atti-vità umana. È una necessità naturale, una necessitàalmeno della nostra costituzione terrena - i corpicelesti, è noto, costituiscono un'eccezione - che noiper il nostro mantenimento prendiamo cibi e bevan- ..de; ma da questo non deriva ía conseguenza - con-seguenza da cui pure si trae abitualmente argomentocontro le necessità delle azioni umane - che noidobbiamo aspettarci la manna dal cielo . E necessarioche alla ferita di un'arteria radiale faccia seguito unaviolenta emorragia ; ma il dissanguamento è una con-seguenza necessaria solo se si tralascia l'applicazionedi mezzi emostatici . È necessario che a seguito diuna pressione unilaterale sulle ossa ancora tenere diun corpo infantile queste subiscano una curvatura ;ma una malformazione permanente è una conseguen-za necessaria soltanto se l'uomo non nota ed elimina

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al momento giusto le cause di questa curvatura . • Cosìè pure necessario che dal più piccolo male morale,che abbia radici nella nostra costituzione, derivi coltempo un male grande e immodificabile; ma è neces-sario soltanto se la testa, nostra o altrui, non pre-viene in tempo questa conseguenza con rimedi ade-guati. Noi, da uomini adulti, maturi, facciamo sì quo-tidianamente la triste esperienza di quanto í nostripensieri, le nostre decisioni, i nostri sentimenti di-pendano dalle condizioni del nostro organismo, macontemporaneamente anche la consolante esperienzache spesso basta un po' di moto all'aperto o hn pic-colo mutamento nel nostro modo di vivere per libe-rarci da stati d'animo disperati, da pusillanimith, ira,risentimento, malevolenza verso noi stessi, , e il no-stro prossimo; l'esperienza dunque che mediante inostri corpi noi non siamo soltanto schiavi, ma an-che padroni della natura .

« Lo spirito », afferma persino Descartes, « di-pende a tal punto dalle condizioni degli organi cor-porei che, se mai può essere trovato un mezzo direndere gli uomini più saggi e ingegnosi di quantosiano stati finora, questo a mio parere può essere tro-vato solo nella medicina ; gli uomini infatti diverreb-bero liberi da innumerevoli mali, sia fisici che spi-rituali, se avessero sufficiente conoscenza delle causedi questi mali e dei mezzi che la natura ci procuracontro di essi » 32 . Pienamente vero! La libertà dalmale - e solo questa è davvero libertà - non èuna qualità immediata del volere ; no, essa è condi-zionata e mediata dalla conoscenza e dall'uso dei ri-medi naturali materiali o sensibili .

La sensibilità è invero « la fonte del male, deipeccati, dei delitti » ma essa non ci dà soltanto gliorgani per peccare, ci dà anche í rimedi contro ilpeccato. I1 filosofo scolastico Raimondo Lullo si era

32 Discours de la méthode -, parte VI, Oeuvres, ed . Adam-Tannery, vol. VI, p. 62.

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una volta pazzamente innamorato di una donna. L'ado-rata denudò il seno sfigurato dal cancro, e R . Lulloda dongiovanni che era si fece monaco. La sensibilitàè la fonte del piacere, ma è anche la fonte dei do-lori, delle sofferenze, delle malattie, dei migliori ri-medi contro un piacere senza freni . Sensibile è ilvino inebriante, ma sensibile è pure l'acqua che fapassar la sbornia; sensibile è l'esuberanza e la disso-lutezza di un Alcibiade, ma sensibile è anche la po-vertà, spoglia di ogni cosa, di un Focione; sensibileè il pasticcio di fegato d'oca di cui morì il materia-lista Lamettrie, ma sensibili sono anche gli gnocchid'orzo della sobria dieta spartana ; sensibile è lo sti-molo al vizio, ma sensibile è pure la nausea per leconseguenze del vizio ; in breve: sensibile è il vizioeffeminato, evirante, servile, inattivo della voluttà,ma sensibile è pure la ginnastica corroborante, libe-rante, stancante, temprante, faticosa della virtù . « Lanatura si domina obbedendole », vale a dire la sen-sibilità si domina solo con mezzi sensibili, il corpocon mezzi fisici . Il vizio si fonda sul corpo, ma sulcorpo si fondano anche la virtù e la saggezza . GiàSocrate dice in Senofonte : « In tutte le funzioni incui ci serviamo del corpo è della massima importanzache il corpo si trovi nelle migliori condizioni . Perfinolà dove sembra che abbiamo meno bisogno del cor-po, perfino nel pensare, falliamo il nostro scopo, comeognuno sa, se il corpo non è sano ; poiché smemo-rataggine, scoraggiamento e finanche furore assalgonospesso lo spirito a causa della cattiva disposizione delcorpo » 33 . I1 materialismo è l'unico solido fondamentodella morale .

L'uomo ha incontestabilmente il potere di vin-cere i dolori, benché non tutti e solo fino a un certogrado, e così pure voglie, inclinazioni e avversioni,che, non represse, finiscono col portare al vizio o aldelitto. Se si intende negare all'uomo questo potere

33 SENOFONTE, Memorabili, III, 12 .

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o libertà, bisogna negargli allora anche il potere diliberarsi in generale da qualsiasi male, anche il piùpiccolo, che si annidi in lui, si tratti pure del pedicu-lus humanus o di un callo, anzi la capacità stessa disollevarsi dalla fiacchezza della quiete alla sanità delmovimento ; bisogna negare in generale che esista unaforza sanante della natura e che in virtù di essa ilcorpo possa riprendersi da qualsivoglia malattia, an-che di poco conto : poiché in effetti a cérte condi-zioni anche il male più insignificante può avere esitimortali . Eppure non sono nemmeno rari 1 rasi in cuiun corpo già condannato a morte dal pessimismo deimedici passa contro ogni previsione, grazie, ai proprimezzi e alle proprie forze, all'ottimismo della salute .L'uomo peraltro può vincere un'inclinazione solo sequesta si trova ancora nello stadio in cui può esserevinta, se egli cioè prende coscienza di essa in tempoe adotta i rimedi appropriati, non solo spirituali,agenti attraverso la rappresentazione, ma anche ma-teriali, fisici ; infatti l'esperienza insegna che í miglioriinsegnamenti che diamo agli altri, í migliori propo-siti che noi sessi concepiamo, non provocano muta-menti morali, almeno effettivi e duraturi, se nonsono accompagnati e sostenuti al tempo stesso damutamenti materiali. Molti vizi e delitti si produconotra persone povere e incolte, perché esse non possie-dono e spesso neppure conoscono i mezzi attraversocui soltanto quei mali si possono prevenire con suc-cesso. Chi è provvisto di mezzi, ad esempio, puòsepararsi da una cattiva moglie anche senza l'inter-vento del clero e dell'autorità civile, e col sempliceisolamento spaziale rompere il nesso causale tra odiomortale e azione mortale, mentre il povero diavolo,che divide con una cattiva moglie la stessa camera,lo stesso tavolo, forse lo stesso letto, può sciogliereil nodo gordiano del legame coniugale solo con l'attoviolento dell'úccisione .

Un uomo che è legato sempre al medesimo luogoriceve sempre le medesime impressioni e appunto a

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t l ,

causa di questa monotonia mortale rimane anche invariabilmente e incorreggibilmente lo stesso. Può an-che darsi che, scosso da un predicozzo contro il « de-mone della sbornia », egli concepisca í migliori pro-positi tuttavia alla vista della vecchia osteria ri-cadrà irresistibilmente nel vecchio vizio, mentre unaltro, che cambia località, insieme al legame col vec-chio luogo di residenza rompe anche il legame conle vecchie abitudini, sempre che queste non sianogià diventate una seconda natura . In breve, il volerenon può niente senza l'ausilio di mezzi materiali,fisici, la morale niente senza la ginnastica e la die-tetica. Quanti falli morali non 'derivano che da erroridi dieta! « I1 nobile veneziano Ludovico Cornelio »,si legge nel Tipo della medicina morale (1685) diPlaccius, « attesta per propria esperienza quale noncomune forza gli abbia procurato la semplice mode-razione nel mangiare e nel bere al fine di domare erimuovere tutti i moti d'animo spiacevoli e biasi-mevoli » . Com'è giusto quindi ciò che scrive Garvenella sua opera su Cicerone M: « la conoscenza mo-rale di sé è in stretta connessione con quella die-tetici »! Quante malattie non solo fisiche; ma anchespirituali, morali, non derivano dalla mancanza diquesta autoconoscenza corporea!, Quanti fraintendi-menti e maltrattamenti del nostro prossimo da mal-trattamenti e fraintendimenti di ciò che più di ognialtra cosa ci è prossimo, il nostro corpo! Quantesofferenze e tormenti dell'animo da disturbi addomi-nali! « 71 nostro corpo giudica », si dice in maniera

* La virtù terapeutica morale del cambiamento di luogoè stata del resto già riconosciuta e decantata da s . Isidoro,vescovo spagnolo del VII secolo . Nei suoi Pensieri sul som-mo bene (1 . 2, c . 10, 7) egli afferma : « II cambiamento dilocalità ha talvolta per i convertiti l'efficacia di - un rimediodell'anima, poiché in genere col • cambiamento di iuogé .mutaanche la disposizione dello spirito » ecc .34 CHRISTIAN GARVE (1742-1798), Cicero. Von den Pflich-ten, 1793 .

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singolare nell'autobiografia di un oscuro predicatoreevangelico del XVIII secolo, « la mia milza e' 1apaura che deriva dalla sua occlusione mi fa incon-trate mali dove non ce ne sono e me li fa sembrarepiù grandi di quanto siano . . . la milza malata è il piùrigido moralista della terra. . . poiché i disturbi- dellamilza si accompagnano comunemente ad una coscien-za scrupolosa (conscientia scrupolosa) » . Quante azio-ni, che noi attribuiamo alla cattiva volontà, al dolus,e che effettivamente hanno questo come causa pros-sima, derivano originariamente solo da una culpa, dicui ci siamo resi colpevoli « per mancanza di rifles-sione » circa il nesso del fisico col morale, o spesso,anche per un'ignoranza invincibile, almeno dal puntodi vista deli'individuo e dell'umanità, delle leggi osemplicemente delle„ particolarità del nostro organismo .

È giusto quindi rendere onore ai medici del periodo della Riforma, i quali,' in armonia con le teside L'essenza della fede secondoLutero 35, e soprat-tutto con quella del significato antropologico dellaRiforma sviluppata nella conclusione de L'essenza delcristianesimo 3b, attribuirono allo 'studio dell'anato-mia, sia pure inteso soltanto nella forma tramandatada Galeno, un significato non solamente medico maanche morale, raccomand dolo così vivamente a1-l'umanità e in particolare alla gioventù studiosa . Ilmedico Jacob Milich, amico di Melantone e docentedi anatomia, afferma ad esempio: « Gli scritti ana-tomici di Galeno dovrebbero essere nelle mani nonsolo degli studiosi di medicina, ma anche di tutti glistudiosi di filosofia ; poiché la scienza delle parti delcorpi e delle loro funzioni è in effetti una parte emi-nente della filosófià, e c'insegna anche la morale eregola i nostri costumi, in quanto ci rende attenti a

3s Feuerbach allude al proprio scritto Das Wesč# desGlaubens im Sinne Luthers (1844), Werke, cit, voi. VII,pp . 311-89 .

3 Øerke, cit ., -vol. VI, p . 334 .

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quel che richiede, la natura di ogni parte » . « Lo stu-dio dell'anatomia », dice parimenti Sebastiano Theo-dor von Windsheim in un discorso tenuto all'Univer-sità di Wittenberg, « non è utile solamente per con-servare la salute e cacciare le malattie, bensì ancheper regolare í nostri costumi . Io prego ed esorto per-ciò voi, nobili giovani, a studiare tutti indistinta-mente í principi dell'anatomia ; è un errore infatti sesi crede che questa scienza riguardi soltanto i me-dici. I1 medico deve avere certo una conoscenza 'del-l'anatomia più completa degli altri uomini ; ma non-dimeno è necessario che . tutti gli uomini conoscanoalmeno in certa misura la struttura del loro corpo .Pensate ad esempio com'è necessario per la moraleconoscere la differenza tra le conoscenze e i moti delvolere o del cuore, e insieme gli organi della loco-mozione. Ma di ciò non si può sapere nulla se nonsi conoscono le membra del corpo umano » . « Leconoscenze », dice sempre lo stesso medico in un al-tro discorso, « risplendono nel cervello, le fiammedei desideri bruciano nel cuore ; i nervi - • sono invecepredisposti per mettere in moto le membra esterne .Così nel cervello di David risplende la conoscenzadella legge : non commettere adulterio ma il cuoreardente, che è collocato in una diversa posizione, nonobbedisce, ma si oppone come un tiranno, di modoche là rimane la vera conoscenza, mentre qui bru-ciano desideri ad essa contrastanti . Tuttavia nel cer-vello il senato conserva il potere di comandare ainervi di non obbedire al tiranno e di trattenere quin-di le mani dal toccare la donna altrui . Da ciò vedetebene quanto siano irragionevoli coloro che trattanodella libertà del volere senza distinguere le forze ei poteri dell'anima. Queste differenze d'altra partenon possono essere riconosciute se dall'anatomia nons'impara a conoscere la diversità delle membra e dellerispettive funzioni . . . L'anatomia ha poi anche il me-rito di insegnarci quanto sono fragili gli organi delcorpo umano nei quali si trova la fonte della vita e

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si svolgono le attività più importanti, la nutrizione,le sensazioni, la locomozione, la memoria e il pen-siero. Com'è molle il cervello! eppure è la sede dellamaggior parte delle attività, e delle più meravigliose .Consideriamo dunque la fragilità delle membra; pervigilare con cura sulla loro conservazione e peř acqui-sire la virtù dell'autocontrollo e della moderazione nelmangiare, nel bere, nel lavorare e nei movimenti diogni genere. Non disprezziamo la sentenza di Paoloche ci prescrive di onorare il corpo ». « Ma se noitributiamo onore a una cosa », dice il già citato JacobMilich in un discorso sull'Ars medica, « con ciò di-mostriamo ch'essa contiene un bene divino, comeafferma già Aristotele : quel ch'è degno di onore,tLLOV, è qualcosa di divino » .

8 .

L'origine religiosa del materialismo tedesco

Non c'è niente di più falso che far derivare ilmaterialismo tedesco dal Système de la nature o ad-dirittura dal pasticcio di tartufi di Lamettrie . I1 ma-terialismo tedesco ha un'origine religiosa ; cominciacon la Riforma : è un frutto dell'amore di Dio perl'uomo, di cui i riformatori scorsero l'immagine, omeglio l'essenza, non in un amore indeterminato,fantastico, ma nell'amore più intimo dell'uomo,l'amore dei genitori per i propri figli . I1 predicatoree dottore di teologia Paulus Eberus 37 , soprannomi-nato « repertorium Philippi, perché Melantone esa-minava insieme a lui tutto quel che intraprendeva »,

37 Paul Eber (1511-1569), teologo luterano, studiò a Wit-tenberg come alunno di Lutero e di Melantone ; cercò di fareopera di mediazione nelle polemiche sull'Eucarestia .

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dice per esempio in un discorso sull'amore dei geni-tori : « Sta ben certo che non per . nulla Dio si fachiamare col più dolce dei nomi, il nome di padre ;che colui che ha inculcato nel cuore dei genitori gliatoQ?áç, il tenero amore peí figli, abbraccia anche tecon lo cito~y~ più serio e più puro ; ch'egli viene toc-cato seriamente dai tuoi mali, anzi ben più forte-mente che la donna canapa dalle sofferenze di suafiglia ; ch'egli ti accoglie e ti tratta con la stessa te-nerezza con cui nel Nuovo Testamento il padreaccoglie il figlio perduto. A quel racconto noi dob-biamo pensare ogni qual volta invochiamo Dio colnome ,di padre, o tutte le volte che vediamo i nostripadri, le nostre madri giocare amorevolmente coi lorofigli, nutrirli, tormentarsi per le loro sofferenze omalattie, per convincerci ch'egli ci ama ancor piùintimamente e che è ancor più fortemente toccatodalle nostre sofferenze » .

Ma anche ,il cattolicesimo non ha forse detto lastessa cosa, non ha consacrato e divinizzato que-st'amore nel mistero della Trinità e della madre diDio? Divinizzato lo ha di certo, ma non umanizzato,altrimenti avrebbe condannato da tempo, o meglionon avrebbe affatto introdotto il celibato in quantoistituto empio, contrario all'essenza e alla volontà diDio. Solo nel protestantesimo quel che nel cattoli-cesimo era esclusivamente un'immagine o sacramentoteologico divenne- essenza antropologica, cioè reale,vivente. « Dio è l'amore » ;. ma egli ama soltanto seama con lo stesso cuore, con la stessa intimità e sin-cerità con cui l'uomo ama l'uomo, il padre o la ma-dre il proprio figlio . Ma se Dio è padre e figlio - ilrappresentante dell'uomo in e davanti a Dio, l'uomodivino - allora diventa padre anche tu, ma non conuna cuoca o una ruffiana, alle spalle della tua voca-zione ecclesiastica, ma con una donna tua pari, checonvenga al tuo essere pubblico, al tuo sacro prin-cipio ed ufficio. Solo se sei padre anche tu, solo persentimento ed esperienza tua propria, puoi sapere

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che cosa sia l'amore paterno celeste . Questa conclu-sione, questa umanizzazione e realizzazione dell'amoredivino, è , l'opera propria della Riforma .

L'amore che non voglia essere una sempliceespressione ecclesiastica o spiritualistica, che non siaidentico al puro atto di pensiero Cactus purus) degliscolastici medievali e moderni, e appunto perciòamore esclusivamente pensato, l'amore effettivo, vero,umano è essenzialmente patologico, cioè amore chesi lascia prendere dalle sofferenze materiali, reali del-l'umanità . L'amore teologico o ecclesiastico tormenta,anzi brucia lo stesso corpo vivente, per salvare l'ani-ma dalle fiamme dell'inferno ; l'amore reale invece siprende cura del corpo dell'amato nel modo più affet-tuoso e per amore dell'amato del proprio corpo .L'amore :reale, fecondo, che genera ed educa uomini,non monaci o preti, non sa nulla del conflitto tracorpo e anima, nulla di una psicologia separata oaddirittura indipendente dall'anatomia e dalla fisio-logia. E quest'amore, questo Dio, al quale non staa cuore soltanto la salvezza della nostra anima, maanche il nostro bene e la nostra vita fisica, che non èpresente nell'ostia sacerdotale ma nel nostro corponaturale, che non si è incarnato soltanto una volta,ma si unisce ancora adesso con la nostra carne e ilnostro sangue, prende realmente dimora nel nostrocervello e nel nostro cuore, e nel cervello accende laluce della conoscenza, nel cuore il fervore degli affetti,almeno degli affetti buoni, simili a lui questo Dioè il padre del materialismo .

I1 materialismo tedesco non è dunque un ba-stardo, frutto degli amorazzi della scienza tedesca conlo spirito straniero ; è un tedesco genuino, che videla luce del giorno già all'epoca della Riforma ; anziè addirittura un rampollo immediato, carnale di Lu-tero . Paul Luther, figlio del riformatore MartinLutero, esprime sensibilmente e conferma nel modopiù persuasivo questo rapporto genealogico del ma-terialismo col protestantesimo . Questo figlio di

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Lutero non diventò cioè un teologo, come ci si sa-rebbe dovuti aspettare e come al suo tempo effetti-vamente ci si era aspettati, ma un fisico, un medico ;non uno spiritualista dunque, ma un materialista,poiché il medico in quanto tale, come afferma il fa-moso medico del XVII secolo Caspar Hofmann ,non sa nulla dell'anima.' E invero egli non lo diventòsoltanto perché, come racconta nel commento a unaforisma di Ippocrate, già da fanciullo aveva amoreper la scienza naturale, ma anche perché suo padrestesso, che condivideva con lui quest'amore, lo indi-rizzò e incoraggiò a quello studio . Nel medesimo com-mento al sesto aforisma della seconda parte il proto-fisico Paul Luther parla « delle operazioni o azionidell'anima razionale collegate al cervello come dioperazioni esclusivamente del cervello » : si esprimecosì, s'intende, solo in quanto medico, senza pre-giudizio della dottrina ecclesiastica della inseità . odella sostanzialità dell'anima razionale . È più che na-turale .d'altronde che il materialismo dei medici lu-terani fosse ancora pienamente legato e a1 serviziodella fede ecclesiastica, che il suo ultimo scopo fossereligioso la conoscenza di Dio e la comprensionedella dottrina della Chiesa . Ma è altrettanto naturaleche, non appena la scienza della natura, la scienza ingenere, divenne autonoma e si perfezionò, anche que-sto mezzo materialismo, dipendente, infantile, unitoal suo opposto, diventasse materialismo completo,autonomo, virile ; che l'anima pensante del Dr . Mar-tin Lutero, trasformatosi in un fisico, man mano chesi profondava nella natura, nel mondo materiale, ese ne innamorava - che cosa è mai infatti unostudio senza inclinazione, senza amore? - a misurache si identificava quindi con il corpo, entrasse inconflitto con la chiesa e la sua fede ; ch'essa pertantonon parlasse o si atteggiasse più soltanto come se lesue operazioni fossero operazioni del cervello, ma

38 professore ad Altdorf, vissuto tra il 1572 e il 1648 .

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intendesse sul serio questo modo di dire, comeun'amara verità.

9 .

Dà prova di avere un orizzonte ben limitato chiintende il conflitto tra spiritualismo e materialismo solocome un 'conflitto della facoltà filosofica . E dire cheanche per coloro che s'interessano esclusivamente difilosofia la storia della filosofia moderna, col contra-sto tra lo scritto di Sőmmering Sull'organo dell'ani-

ma s9 e la risposta data ad esso da Kant 40, offre unesempio assai eloquente dell'impossibilità di restrin-gere quel conflitto entro i muri della filosofia insenso stretto, ammonendoli a ricredersi e a ricono-scere che si tratta di un conflitto tra diverse facoltàdell'uomo - tra la facoltà medica e quella filosofica ;che il materialismo, che certi filosofi scolastici dícorte vedute considerano un mostro dell'età modernae immaginano di aver già « colpito a morte », esistegià da tempo sulla terra, da quando vi sono pazientie medici, e continuerà ad esistere finché ve ne sa-ranno ; che perciò chiunque prende in considerazionee a cuore le sofferenze dell'umanità diventa necessa-riamente materialista, almeno finché soggiorna sullaterra; solo nel cielo della religione infatti cessa ilmaterialismo delle sofferenze e dei malanni, se nonquello delle gioie e dei godimenti .

Finché un organo è sano, la sua funzione si eser-cita così facilmente e piacevolmente che l'uomo non

39 Samuel Thomas Sőmmering (1755-1930), anatomista,autore di uno scritto lieber das Organ der Seele, 1796.

Ø Cfr . Kant's Schriften, Akad. Ausg., vol . XIII, pp . 398-414 .

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avverte neppure l'organo ad essa corrispondente, edi conseguenza non sa che essa dipende da condizioniorganiche. Egli non avverte contrasti né resistenze,'perciò nel godimento di quest'attività non impeditala scambia per un'attività pura Cactus purus), incon-

dizionata, svincolata da tutto. I1 filosofo in quantotale ha per suo presupposto, per suo punto di vista,l'organo di pensiero in questa condizione sana, nor-male - il pensiero felice, il pensiero che, . senza

essere distratto da disturbi organici, pensa esclusiva-mente al suo oggetto, oppure anche a sé ma solo inquanto si trova in questa condizione di libertà daldolore. Se l'uomo viene interrotto in quest'attivitàdal suo corpo, ciò non accade diregola ad opera del-

l'organo del pensiero,' bensì di altri organi corporei,che gli richiamano alla mente, senza che lui lo voglia,il nesso del suo pensiero col corpo, e riducono perciòil corpo ai suoi occhi ad un peso morto avverso alpensiero, contrario allo spirito . I1 filosofo in quantotale si isola e almeno nell'atto di pensare deveisolarsi da tutte le occupazioni e le distrazioniimmediatamente materiali, sensibili ; ha a che faresoltanto col pensiero astratto dai sensi ; per questofa del pensiero un essere astratto , separato dal corpo,dalla materia - vovs ~œ taròç, e di quel che il pen-siero è per lui, cioè di un'attività priva d'organo, unessere a •sé .

Le attività spirituali, immateriali per í filosofi egli psicologi, e da costoro pensate e considerate perse stesse, per il medico diventano invece oggetto dellapatologia . Per lui le condizioni spirituali, per nonparlare delle vere e proprie malattie dello spirito -le condizioni dell'animo, del giudizio, della coscien-za, della memoria vanno annoverate, al pari dellecondizioni puramente fisiche, tra i sintomi delle ma-lattie, come nota già Ippocrate nel trentunesimo afo-risma del secondo libro ¢ 1 ; per lui non esiste uno

41 Aforismi II, 31 ; in Hippocrates IV, The Loeb ClassicalLibrary, London 1953 .

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spirito separato e indipendente dal corpo ; per luipiuttosto lo spirito è un essere esposto a dolori emalattie non diversamente dal corpo - η~ ~v bin voo~st,lo spirito è malato, afferma Ippocrate nel sesto afo-risma del medesimo libro. Per lui il soggetto, ilsostrato del sentire e del pensare, non è un'unità,un essere semplice, ma un essere molteplice, compo-

sto . Se l'uomo, dice Ippocrate in Galeno, costituisseun'unità, non proverebbe mai dolore ; in questo casoinfatti da dove prenderebbe mià origine il dolore?« Ora però, dato che abbiamo dei dolori », dice Ga-leno, continuando a citare la sentenza di Ippocrate -contro gli atomisti materialisti, ma l'affermazionepotrebbe valere altrettanto bene contro gli atomistipsicologi o spiritualisti, « è evidente che la nostrasostanza non è semplice né uniforme » 42 . In breve :per il pensatore astrátto, che si cura soltanto di quelche pensa e di come lo pensa, se correttamente o noda un punto di vista logico, ma non di ciò con cuipensa, il pensiero è un atto ` senza cervello ' ; per ilmedico invece un'attività del cervello . Aristotele, cheperaltro fece, importanti osservazioni e scoperte per-fino nei campo dell'anatomia, e Galeno, che ha do-minato così largamente e lungamente gli spiriti pro-prio sul terreno della medicina, come quello sul ter-reno della filosofia, sono i classici rappresentanti diquesta distinzione o opposizione, del resto nienteaffatto inconciliabile, tra filosofia e medicina . SecondoAristotele il cervello è il viscere del corpo più freddoe povero di sangue e perciò non ha altra funzioneche quella di temperare il calore del cuore, 'che è lasede e l'origine della vita, della sensazione e delmovimento: di conseguenza l'uomo, che ha il cuorepiù caldo e ricco di sangue, possiede anche il cervellopiù grande in rapporto alle dimensioni del suo corpo .I1 famoso medico e filosofo arabo Avicenna ricorse

az Cfr . GALENO, De elementis ex Hippocrate, I, cap . II,ed . Kűhn, vol . I, pp . 434-5 .

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a una distinzione, affermando che secondo Aristotelela forza sensibile si radica sì nel cuore, ma si mani'festa nel cervello ; il famoso medico spagnolo Valle-sjus 4s

nel suo scritto sulle controversie mediche efilosofiche confuta invece la tesi di Avićenna : Aristo-tele non attribuì affatto al cervello una funzione diquel genere, poco mancò anzi che gli desse solo ilsignificato di un escremento, come dimostrerebbe ilsettimo capitolo del secondo libro del De partibusanimalium . Secondo Galeno invece il cervello è l'ori-gine di ogni sensazione e movimento volontario, ilpunto di raccolta di tutti í sensi, di tutte le rappre-sentazioni e i concetti, la sede della ragione, l'organodel pensiero ; le lesioni o in generale i disturbi cere-brali sono perciò causa di malattie spirituali, di penedell'anima .

È molto interessante ciò che dice nelle sue Isti-tuziońi mediche Ø il già citato Gáspar Hofmann, as-sai famoso ai suoi tempi, circa il rapporto della me-dicina con la filosofia. « Galeno dice sempre: lagiusta proporzione ovvero la conveniente mescolanzae conformazione del corpo è l'anima, s'intende quellamedica. Egli pone a Platone la domanda : se l'animarazionale è immortale, perché viene separata dalcorpo 'proprio quando viene meno la giusta mesco-lana e conformazione del cervello? Io rispondo perPlatone: perché l'anima è una forma immersa nellamateria, che, finché dura la vita, usa il corpo comesuo strumento. Perciò il medico chiama l'anima iato_

XQflaTtXãÇ (impropriamente) una giusta mescolanza .Non come se l'anima lo fosse effettivamente, ma per-ché, se viene mantenuto quel giusto rapporto, vienemantenuta anche l'anima; dato che questa, in quantoimmutabile, sfugge al concetto medico di natura. È

43 Francisco Vallés (15241592), medico e filosofo spa-gnolo .44 Institutiones medicae, Lugduni 1645 .

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quel che spesse volte ha affermato il famoso Scherb 45 :nelle cose mescolate la forma non è altro che la gju-sta mescolanza . Ora però, dato che il medico non vaoltre il mescolato e risolve l'anima nel mantenimentodella mescolanza, è forse un delitto se definisce l'ani-ma una giusta mescolanza, e la definisce così comemedico, non come filosofo? » . « Io ho insegnato »,afferma Hofmann in un altro passo, « che l'animadella medicina è ben diversa da quella aristotelica,anzi, se amiamo la verità ; al medico in quanto me-dico l'anima è sconosciuta » ; e altrove: « il medicoin quanto tale non sa nulla dell'anima ». « Ma nonè lecito, mi si può obiettare, parlare in un modocome medico, in un altro come filosofo, e affermaredi conseguenza che altro è la verità filosofica, altroquella medica . Rispondo che è lecito e • che lo saràsempre, poiché questo richiede il metodó e il carat-tere proprio della scienza . E posso confermarlo conun passo del celebre Sennert , in cui egli insegnache il medico considera le forze dell'anima in unmodo, il filosofo in un altro ; questi infatti vuoleconoscere, quello agire. I1 medico non consideraquindi tanto le forze dell'anima che subiscono meno-mazioni, quanto piuttosto gli organi mediante cuiesercitano le loro funzioni. Ma le esercitano, aggiun-go io, principalmente tramite la loro giusta mesco-lanza e conformazione » . Vecchio Gaspar! un'imper-

donabile colpa, è vero, grava sul tuo nome e sullatua coscienza: per ostinato attaccamento all'antico,per boriosa fede nell'autorità hai contraddetto lastessa testimonianza dei tuoi sensi, quando ad Alt-dorf il geniale Harvey ti ha dimostrato con tuttaevidenza la sua scoperta della circolazione del san-gue; ma nella questione in esame haj espresso unaverità, forse non nuova, ma valida, con alcune limi-

45 Philipp Scherb (1555-1605), professore ad Altdorf .46 Daniel Senners (1572-1637), professore a Wittenberg .

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tazioni, ancor oggi ; qui hai dimostrato di non appar-tenere a quelle rozze teste insulse, che non sono ca-paci di distinguere i diversi punti di vista - diversinon solo secondo il tempo, ma in sé e per sé, inrapporto alla natura della cosa - da cui uno stesso_uomo tratta e parla di una sola e medesima cosa, enon comprendono perciò che come fisico o medico- poiché « entrambi considerano i loro oggetti unitialla materia . . . l'anima in quanto è calata nella materia,senza la quale nessuna attività può aver luogo » -si possa essere materialista, come filosofo, come pen-satore in generale o in assoluto, idealista, seppurenon nel modo inteso da Caspar Hofmann. È una con-traddizione non compatibile con la verità negare, comefilosofo, dell'anima in sé quel che affermo di essacome medico ; ma è del tutto compatibile con la ve-rità ch'io neghi dell'anima soggettiva, filosofica, quelche faccio valere dell'anima oggettiva, medica .

L'anima filosofica chiede: ché cos'è Dio? che cos'èla giustizia? che cos'è lo spirito, il pensiero? Ma que-st'ultima domanda si riferisce appunto a quel pen-siero, che si occupa di quei problemi, che determinala propria essenza solo secondo l'essenza del propriooggetto, che prende sé ad oggetto soltanto comemezzo e atto di conoscenza, e perciò appare a se stessocome atto inorganico . « La fisiologia », affermai nel1838 nella recensione di uno scritto materialistico 47 ,« per se stessa non sa niente dello spirito, anzi lospirito è niente per essa, perché da parte sua lo spiritoè la negazione della fisiologia. I1 pensiero è determinatoe determinabile solo attraverso se stesso . ., perciò soloil pensatore in quanto pensatore riconosce í1 pen-siero ». Io sottoscrivo ancor oggi queste parole : lospirito è il nulla della fisiologia ; ma con l'aggiunta :per sé o per me, pensatore, che nell'atto dell'atti-vità spirituale non so nulla né voglio saper nulla di

. 47 Cfr . Werke, cit ., vol . II, pp. 143 sgg . : F. Dorguth,Kritik des Idealismus .

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fisiologia; infatti quando penso la fisiologia del pen-siero perviene alla mia coscienza solo come patolo-gia, come sensazione di una turba dello spirito o diun impedimento mentale : « L'anima è assai più là,dov'è il suo amore, che non dove vive » . Si può direanche che essa sia piuttosto in ciò che pensa che inciò con cui pensa; pensare significa essere assorto neipropri pensieri, essere assente, essere fuori del corpo- ma beninteso solo nel pensiero - al modo stessoche nell'atto di vedere a distanza mi trasferisco - masolo otticamente s'intende - fuori del mio corpoche si trova qui, nell'oggetto della mia delizia . Comel'occhio non potrebbe vedere, se nell'atto del vederefossero visibili e avvertibili quelle parti corporee chesolo per mezzo dell'anatomia e della fisiologia diven-gono oggetto della coscienza, così il cervello non po-trebbe pensare, se nell'atto di pensiero i fondamentie le condizioni organiche di esso fossero oggetto dellacoscienza se l'uomo non potesse anzi divenire co-sciente dell'effetto senza la causa, della forza senzala materia, della funzione senza l'organo, del pensierodunque senza il cervello. Io penso, dunque sono,dice l'anima filosofica ; io mi penso però senza corpo,dunque sono senza corpo . Ma, come s'è detto, solonel pensiero, non nella realtà infatti 1'« io sono senzacorpo » non significa altro che : io non penso al cor-po ; io sono talmente assorto 'che non so nulla ného bisogno di saper nulla del mio corpo . Infatti comel'occhio non esiste per guardare dentro di sé, bensìfuori di sé, così il cervello non esiste per pensare asé, ma ad altro, a quel che è oggettivo . L'organo siperde, si oblia, si nega nel fervore della sua attività,l'attività nel proprio oggetto . L'anima filosofica hadunque ragione quando dice : cogito ergo sum, scili-cet philosophus, penso dunque sono, s'intende filo-sofo ovvero res cagitans, essere pensante ; ma ha tortose dal pensiero conclude immediatamente all'essere,all'essere reale ; se della logica fa la fisica dell'animao meglio la mette al posto di essa; se, per il fatto

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che il filosofo comincia ćó1 pensiero, non presupponeper sé nient'altro che il pensiero, e del pensiero insé e per sé fa un'attività senza presupposti, ponen-

dosi così nel più netto contrasto con la facoltà me-dica, in particolare patologica, dell'uomo .

« I1 matematico, che vaga nelle regioni dell'infi-nito e in un mondo di astrazioni fantastica di quelloreale, basta la fame a scuoterlo dal suo sopore intel-lettuale ; il fisico, che analizza la meccanica del si-stema solare e accompagna i pianeti erranti per l'in-commensurabile, lo riporta violentemente sulla ma-dre terra una puntura d'ago ; il filosofo, che espone lanatura della divinità e sogna d'aver infranto i limitidella mortalità, lo riconduce a se stesso un freddovento del nord, insinuandosi nella sua capanna inrovina, e gl'insegna ch'egli è l'infelice medierà dibestia e angelo » . Così si esprime il poeta e pensa-tore Séhiller come « candidato » di medicina .

La medicina, la patologia innanzitutto, è il ter-reno proprio e la fonte del materialismo . E questafonte non può purtroppo essere ostruita medianteragionamenti, filosofici ; infatti finché gli uomini soffri-raono, sia puree soltanto la fame e la sete, senza chealle sofferenze si possa d'altra parte porre rimediocon sentenze idealistiche, con parole miracolose, conimperativi categorici, essi saranno, magari senza sa-perlo e contro la loro volontà, materialisti . La medi-cina non è però la fonte e il luogo del materialismostravagante e trascendente, che si libra al di sopradell'uomo, bensì del materialismo immanente, che ri-

mane nel e presso l'uomo . Ma proprio questo è il

punto d'Archimede nel conflitto tra materialismo espiritualismo : poiché in ultima istanza qui non sitratta della divisibilità o indivisibilità della materia,ma della divisibilità o indivisibilità dell'uomo ; non

dell'essere o del non essere di Dio, ma dell'essere odel non essere dell'uomo ; non dell'eternità o tempo-ralità della materia, ma dell'eternità o temporalitàdell'uomo ; non della materia sparsa ed estesa fuori

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dell'uomo ín cielo o sulla terra, ma della materiaraccolta nella scatola cranica umana . Per farla breve,quel che interessa in questo conflitto, a non volerloaffrontare scervellatamente, è soltanto il cervello del-l'uomo. Esso solo è l'origine e insieme la meta e iltermine di quel conflitto . Una volta che veniamo inchiaro della materia del pensiero ; ch'è la più strana edifficile da spiegare, comprendiamo tosto anche lealtre materie ; la materia in generale. « L'antichità »,dice assai bene l'inglese Thomas Willis, un medicodel XVII secolo, nella prefazione alla sua Anatomia

del cervello , « ha avuto un giusto presentimentoaffermando che Minerva è balzata fuori dal cervello,aperto da Vulcano con ferri ostetrici . Infatti la veritào vedrà la luce per questa via, attraverso morte eferite, quasi mediante un taglio cesareo, o rimarràeternamente sepolta » . L'anatomia nondimeno ci dicesoltanto la verità morta e appunto perciò non l'intera,piena verità . La scienza per il proprio completamentonon può rinunziare mai e poi mai al punto di vistadella vita, né sostituirlo in alcun modo . Vita, sensa-zione, pensiero sono qualcosa di assolutamente ori-ginale e geniale, di inimitabile, d'insostituibile, d'ina-lienabile - sono in verità l'Assoluto, conoscibilesolo mediante se stesso, dei filosofi e teologi specu-lativi, non mistificato però né travestito .

1o .

L'essenza dello spiritualismo

La dottrina opposta al materialismo, lo spiritua-lismo, almeno lo spiritualismo storico, degno di con-siderazione, per così dire classico, non mescolato

48 THOMAS WILLIS (1621-1675), Cerebri anatome, cuiaccessit nervorum descriptio et usas, London 1664 .

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5 цHь'

per quanto è possibile - con elementi estranei,come lo spiritualismo senza nerbo dei nostri tempi,e la dottrina secondo cui l'attività spirituale dell'uomo,il pensare e il volere, per molti lo stesso sentire ;avrebbe il suo fondamento in un'essenza essenzial-mente diversa e indipendente dal corpo, quindi, datoche il corpo è esteso, visibile, in breve sensibile emateriale, in un'essenza non sensibile, non materiale,denominata perciò spirito (spiritus) o anche anima .

Che lo spirito o l'anima chiamata anche anima'razionale per distinguerla da quella animale - nonsia semplicemente un'essenza diversa dal corpo, maanche indipendente, vale a dire capace di esistere. edi agire senza il corpo, è una conseguenza necessaria'della sua incorporeità e immaterialità e quindi unaaffermazione esplicita, caratteristica dello spirituali-smo, che ne definisce l'essenza. Così Platone afferma'nel Fedone : « Le anime esistevano già prima ch'essefossero in forma umana, indipendentemente dal cor-po ed avevano intelletto o discernimento » 49 . «Quan-do l'anima si vale del corpo per considerare alcunché,adoperando la vista o un qualsiasi altro senso (poi-ché considerare qualcosa per mezzo del corpo significa_appunto farlo per mezzo dei sensi), essa viene trassinata dal corpo verso ciò che è mutevole ; quando in-vece essa considera alcunché da se stessa, allora si .volge verso ciò che è puro, eterno e immutabile » 50 .Ma l'anima per se stessa in Platone non è altro chel'anima non can il corpo o senza il corpo : nel nonocapitolo ad esempio egli identifica espressamente l'es-sere dell'anima separato o liberato dal corpo col suoessere-per-sé . Descartes nella sesta meditazione dice :« E certo ch'io sono realmente distinto dal mio corpoe posso esistere senza di esso » 51 ; nella quarta rispo-sta ai suoi avversari: « non bisogna credere che la

49 76 c.5 Ó 79 c-d .st Oeuvres, cit., voi . VII, p . 78 .

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facoltà di pensare sia talmente legata all'og'ano cor-poreo da non poter esistere senza di esso » s2 . Nelquinto canto dell'Antilúcretius n si legge: « Lo spi-rito è collegato al corpo, ma può vivere senza' ilcorpo ». B . Bekker nel suo Mondo Incantato sa :

« l'anima può sussistere anche senza il corpo, perchéagisce o è attiva senza di esso ». A. Heerebord, unprofessore di filosofia olandese nel suo corso d'etica:« l'anima razionale non dipende dal corpo, né perla sua origine, né per l'esistenza, né per l'azione » ;nel suo corso di fisica « l'anima razionale può esi-stere fuori del corpo e può agire indipendentementedal corpo, altrimenti dipenderebbe dalla materia,mentr'essa è immateriale sia in rapporto alla sua ori-gine che in rapporto al suo essere e agire » . Baronius,un filosofo inglese 55 , nella sua Filosofia, ancella dellateologia : « l'anima umana esiste e agisce dopo' lamorte dell'uomo al di fuori della materia, dunque nondipende dalla materia . La forma o anima dell'animalenon può assolutamente esistere senza la sua materia,cioè il suo corpo, come non può' avere sensazioni oappetiti senza di esso . L'anima umana invece nonsolo esiste dopo la morte fuori della materia, maopera anche fuori di essa nelle attività 'del conosceree del volere » . Gassendi nelle sue note al decimo librodi Diogene Laerzio: « lo spirito o l'intelletto, la ra-dice del volere, è immateriale o incorporeo e senzaorgano, non mescolato con la materia, bensì liberoda essa. E ciò è tanto noto alla semplice ragione na-turale che„ per tacere di altri filosofi, lo ha affermato

sz Ivi, p . 228 .53 Poema in esametri latini di ispirazione cartesiana, pub-

blicato anonimo a Parigi nel 1745 . Ne è autore il cardinaleMelchior de Polignac (1661-1742) .

54 BALTHASAR BEKKER, teologo riformato (1634-1698), Debetooverde Weereld, Amsterdam 1691-93 .

ss Bonaventura Baron, francescano, nato a Clonmel (Ir-landa) nel 1610, morto a Roma nel 1696, autore di vari trat-tati teologici di indirizzo scotista .

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Anassagora e confermato Aristotele » . A dire il veroAristotele - la cui dottrina è d'altronde su questo .punto estremamente oscura, comunque la pensino ícommentatori - non si riferisce all'anima in generale(della quale dà piuttosto una definizione materiali-stica, assumendo nei concetto di essa il corpo e fa-cendo del corpo il suo presupposto), ma all'anima inquanto pensa e conosce, al alla ragione o all'in-telletto, quando afferma che essa, conoscendo tutto,è necessariamente non mescolata, vale a dire incor-porea, che non ha un organo come ne ha invece lasensazione, che non c'è sensazione invero senza corpo,ma l'intelletto è separato, s'intende dal corpo. Lastessa cosa affermarono í filosofi e teologi scolasticisulle orme del loro maestro, • benché spesso lo frain-tendessero. Dice ad esempio Tommaso d'Aquino nellaprima parte della sua Summa: « l'anima è separata(s'intende dal corpo) per quanto concerne la facoltàdi pensare o di conoscere, che non è la facoltà di unqualsiasi organo corporeo, al modo che la facoltà vi-siva è l'attività dell'occhio ; pensare infatti è un'atti-vità che non può essere esercitata attraverso organicorporei . . . L'anima umana a causa della sua perfe-zione non è una forma calata totalmente nella ma-teria corporea o avvolta interamente da essa, e nullaimpedisce pertanto ch'essa disponga di una facoltàche non è atto corporeo » ~ . Ancora : « il principiopensante o conoscente, denominato spirito o intel-letto, svolge un'attività per se stesso, a cui il corponon prende parte. Ora niente può essere attivo dae per se stesso, che non sussista da se stesso » ~ . Einfine : « il pensiero è un'attività totalmente imma-teriale » .

Ma a che scopo citare singoli passi? Era dottrinaformalmente e universalmente professata dalla Chie-sa e di conseguenza anche dalla filosofia che fungeva

56 Summa theologiae I, q. 76, art. 1, ad 1m, ad 4m .57 Ivi, I, q . 75, resp .

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da ancella della teologia che le anime separate dalcorpo in seguito alla morte continuino a esistere, avolere, benché private del corpo, a pensare, perfinoa sentire, a provare gioie e dolori, e solo nell'ultimogiorno, la pasqua di resurrezione, siano ricongiunteai loro corpi . Solo circa il luogo e la condizione delleanime separate immediatamente dopo la morte c'eradisputa, specialmente tra la Chiesa cattolica e quellaprotestante.

Alcuni spiritualisti affermarono tuttavia che leanime o spiriti avrebbero un corpo anche dopo lamorte, almeno « un corpo più sottile, che viene trattoda quello più grossolano sepolto sotto terra comeun'acquavite dalla feccia del vino », come si esprimeí1 famoso filosofo e teologo del XVIII secolo Cananella sua Prova • convincente dell'immortalità. AnziLeibniz arrivò ad affermare che tutti gli spiriti creati,dunque anche gli angeli beati, non esistono, e nonesistono • mai, senza corpo. Ma se con il corpo asenza corpo è del tutto indifferente. L'anima, comeappare chiaro dai passi citati, com'è implicato neces-sariamente dal concetto di un essere immateriale, an-che nel corpo è fuori del corpo, in connessione colcorpo è senza connessione con esso . Tutti i tentatividegli spiritualisti di spiegare o di rendere almeno inqualche modo comprensibile il rapporto tra corpo eanima sono naufragati e dovevano naufragare, perchéil vero senso e la vera intenzione dello spiritualismonon è l'unione dell'anima con il corpo, almeno conil corpo materiale, reale, non fantastico, bensì laseparazione di essa dal corpo . Lo spiritualismo è ladottrina psicologica definita e preordinata per unavita diversa, futura, non per la vita presente . L'animaviene pensata già nel corpo senza corporeità, per po-ter esistere senza corpo dopo la morte . I1 desideriodi una vita indipendente dalla morte del corpo è la

58 Israel Gottlieb Ganz (1690-1753), rappresentante dellafilosofia leibniziano-wolfiana di orientamento eclettico .

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matrice di un'essenza distinta dal corpo . Immortá-lítà e incorporeità sono una cosa sola . « Tutto quelche è spirituale e libero dall'unione • contaminante conla materia è immortale » . La prova storica di que-sto, che cioè la separazione logica dell'anima dalcorpo, dalla materia in generale , ha per scopo sol-tanto la separazione fisica, reale , di essa dal corponella morte , l'immortalità in altre parole , è Platone,che è stato il primo a dimostrare l'immaterialità del-l'anima , ma insieme il primo a dimostrare l'immorta-lità dell 'anima lo è in generale la prova dell'immor-talità a partire dal Pedone platonico fino al Pedonedi Mendelssohn Ś9 , in quanto si è sempre basata sul-l'incorporeità o immaterialità dell'anima . Solo Kantha per primo spezzato questo legame, riducendo l'im-mortalità a una semplice esigenza e inferenza morale,e ha potuto farlo perché, in linea col suo idealismo,o meglio col suo scetticismo , ha interpretato quel cheallo spiritualismo appariva come l'essenza reale, og-

ettiva, dell 'anima in sé come un 'essenza semplice-mente soggettiva, pensante, o più esattamente comeil puro pensiero privo di oggetto dell'essenza del-l'anima, in sé sconosciuta ; ma ha in pari tempo affer-mato con l'insufficienza dello spirituaLismo anchequella del materialismo , per il fatto che il mondo ma-teriale è oggetto dei sensi esterni, l'anima invece solodel senso interno . Una liquidazione del materialismoquesta, che si trova del resto già , a dire il vero, inMalebranche , quando nel terzo libro della sua operaprincipale afferma : « Poiché sono certo che ognunoconosce la sua anima solo mediante il pensiero ol'intimo sentimento di quanto accade nel suo spirito,sono anche certo che , se uno vuole giudicare circala natura della sua anima, può consultare soltantoquesto sentimento interno, che lo rappresenta di con-tinuo di fronte a sé così com'è, e non può immagi-

s9 MOSES MENDELSSOHN (1729-1786) , Phädon oder überdie Unsterblichkeit der Seele, 1767 .

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narsí contro la propria coscienza di essere un fuocoinvisibile , un'aria sottile o un'armonia » б0 .

11 .

Unità della dottrina dell'anima e di Dio

A partire dall'anima, almeno dall'anima dello spi-ritualismo - ma di questa soltanto si fa questione,non dell 'anima scettica di Kant può essere spie-gata e dedotta , come si è visto, solo la vita dopo lamorte, non la vita prima della morte, la vita, il pen-

siero, il sentimento reali, presenti : così in generale,se si parte da essa, si può metter capo solo alla teología , no all'antropologiaantropologia, trar fuori e produrrensolamente dei, ma non uomini . La psicologia dà allateologia i suoi principi, dice Wolff, colui che perprimo ha introdotto la distinzione tra psicologia em-pirica e razionale. Ma la psicologia in genere, anche

quella cosiddetta razionale, in effetti non è altro cheteologia empirica , mentre soltanto la teologia empi-rica è psicologia razionale ; infatti il legame dell'animacon il corpo, che viene spiegato nella psicologia ra-zionale e assunto come un fatto in quella empirica,è in contrasto con la ragione, perché in contrasto conl'essenza o concetto di anima . La teologia soltanto èla vera, non contraddittoria psicologia : la divinitàinfatti non è altro che l'anima liberata dalla contrad-

dizione del suo legame con il corpo, con la materia,l'anima nient'altro che una divinità dipendente, la-tente, mescolata e contaminata da elementi estranei .

L'anima è, come la divinità , essenza incorporea,perciò anche, come quella, senza luogo né spazio,

60 De la recherche de la vérité , III, I, I, 4 III , Oeuvres,ed. Gouhier, voL I, p. 389 .

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