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    GIOVANNIVITUCCI

    Linee di storia romanacon note critiche e bibliografiche

    Edizione 2010

    [per il modulo A dellesame di Storia romana]

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    S O M M A R I O

    I. Il Lazio e Roma. Let r egia.1. Le popolazioni dellItalia preromana.2. Gli Etruschi.3. I Latini.4. La Roma primitiva e i suoi ord inamenti.5. Evoluzione dellistituto regio e avvento della repubblica.

    II. La repubblica sotto il pr edominio dei patrizi.1. I primi rapporti politici con Cartagine e il ritorno degli

    Etruschi.2. Le citt latine e Roma.

    3. Lotte contro i Sabini, gli Equi e i Vo lsci.4. Guerre con gli Etruschi.5. Colonie romane e colonie latine. Origini del diritto

    latino.6. Il predominio politico e reli gioso dei patrizi sopra i plebei.7. Ordinamenti del pi antico stato repubblicano.8. Le rivendicazioni della plebe e i suo i primi successi.

    III. Dall'incendio gallico al primato nell'Italia centrale.1. Il disastro e la ricostruzione.2. I Sanniti e il loro primo conflitto con Roma.3. Insurrezione e scioglimento della lega latina.

    4. La seconda guerra sannitica.5. La terza guerra sannitica e lampliars i della federazione

    romanoitalica.IV. Il regime nobiliare patrizio-plebeo. Il controllo dell'Italia

    meridionale.1. Conclusione delle lotte fra plebe e patriziato.2. Introduzione della costituzione serviana.3. La nuova nobilitaspatrizio-plebea.4. Taranto e Roma.5. Pirro in Italia.6. Pirro in Sicilia e il definitivo fal limento della sua impresa.

    7. Importanza dell 'espansione nellItalia meridionale. Svilup-po economico e progresso civile.

    V. Ro ma e Ca rtagine.1. Dall'amicizia al conflitto.2. Gli sviluppi della prima guerra punica.3. Conseguenze della guerra in Roma e in C artagine.4. I Romani oltre lAdriatico e nell 'Italia settentriona le.5. Origini della seconda guerra punica.6. Dal Ticino a Canne.7. Da Canne al Metauro.

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    8. Annibale e Scipione.VI . Mil itarismo e imperial ismo . Da ll 'espans ione in Ori ente

    alla distruzione di Cartagin e.1. Il conflitto con la Macedon ia e il protettorato sulla Grecia.2. Roma e l 'impero siriaco.3. La dissoluzione della monarchia macedone e il predominio

    sulla Grecia.4. L'assoggettamento della Macedonia e della Grecia.5. La penetrazione nell'Italia settentrionale e nella Spagna.6. La terza guerra punica.7. Trionfo del conservatorismo. Catone e Scipione.8. Squilibrio economico e societ in fermento.9. Cultura greca e humanitasromana.

    VII. La cris i del regime nobi lia re . Da i Gracchi alla gu errasociale.

    1. Ripercussioni interne delle grandi con quiste.2. Il tribunato di Tiberio Gracco.3. Dal programma conservatore di T iberio a quello

    rivoluzionario di Gaio Gracco.4. Lazione politica di Gaio Gracco.5. Reazione nobiliare e sopr avvivenza delle istanze graccane.6. Giugurta e lascesa di Gaio Mario.7. I Cimbri e i Teutoni. La glor ia di Mario.8. Inasprimento della lotta politica. Eclissi di Mario.

    9. L'agitazione degli Italici e la guerra sociale.VIII . Le gu erre civ ili : Mario, Su lla , Pompeo.1. Il pronunciamento di Sulla.2. La sedizione di Cinna e la vendetta di Mar io.3. Le imprese di Sulla in Oriente.4. Il ritorno di Sulla.5. Dittatura e riforme antidemocratiche di Sulla.6. Ripresa delle forze democratiche. Sertorio e la resistenza

    in Spagna.7. Mitridate, Spartaco e lascesa di Pompeo.8. Fine di Mitridate e potenza di Pompeo.

    IX. Il declino della repubblica e la monarchia di Cesare.1. Le ambizioni di Crasso e g l'inizi di Cesare.2. La congiura di Catilina e leffimero trion fo di Cicerone.3. Dal ritorno di Pompeo al primo triumvirato.4. Le prime campagne di Cesare n elle Gallie.5. Torbidi in Roma. Rinnovamento de llintesa fra i triumviri.6. Conquista e romanizzazione delle Gallie.7. Fine di Crasso e inizio della lotta fra Cesare e Pompeo.8. Dal Rubicone alla morte di Pompeo.9. Il potere monarchico di Cesare e le idi di marzo.

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    X. Conclusione delle guerre c ivili. Il principato augusteo.1. Dalla morte di Cesare al triumvirato di Lep ido, Ottaviano

    e Antonio.2. Rotta degli anticesariani e rivalit fra i triumviri.3. Il duello conclusivo fra Ottaviano e Anton io.4. Ottaviano Augusto e principe dell 'impero.5. Compromesso tra vecchio e nuovo regime nelle riforme

    augustee.6. Pacificazione e riordinamento dellimpero.7. La conservazione del principato nel problema della

    successione.XI. Consolidamento del regime imperiale. I Giulio-Claudi.

    1. La personalit e il progr amma di Tiberio.

    2. L'opposizione senatoria e il lungo ritiro di Tiberio.3. L'esperimento assolutistico di Caligola (37-41).4. L'avvento di Claudio e i primi sviluppi della b urocrazia.5. Le altre realizzazioni di Claudio, 196.6. Nerone e il consolidarsi dellasso lutismo, 199.7. Dalla prima persecuzione cristiana a lla fine di Nerone.

    XII. Dai Flavii agli Antonini. L'ascesa d ella borghesia italica eprovin cia le.1. La svolta degli anni 68-69.2. Il principato borghese di Vespasiano.3. Tito e Domiziano. L'impero sotto i Flavii.

    4. Nerva. Il principato adottivo.5. Traiano e la ripresa dell 'espansione territoriale.6. Il nuovo corso di Adriano.7. Gli Antonini e la fine dellimpero liberale.

    XIII. La crisi del terzo secolo e il tramonto del principato.1. Evoluzione politica e declino economico.2. Mistica dellassolutismo e trasformazione culturale.3. La dinastia dei Severi.4. Il periodo della anarchia militare.5. La ripresa sotto gli imperator i illirici.

    XIV. Il dominato. Da Diocleziano alla fine dell'impero

    d'Occidente.1. Diocleziano e il nuovo volto dellimpero.2. Fallimento della tetrarchia. Costantino e limpero

    cristiano.3. I discendenti di Costantino.4. I barbari nei confini e la bipartizione dell 'impero.5. L'impero d'Oriente e la fine dell 'impero d'Occidente. I

    regni romanobarbarici.

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    Il Lazio e Roma. Let regia.

    1. Le popolazioni dellItalia preromana. - Uno degliaspetti pi interessanti della storia di Roma antica

    lunificazione politica e civile dellItalia, unificazioneche in vario grado e in varie guise si estese ai paesigravitanti intorno al bacino del Mediterraneo. Sarquindi opportuno gettare anzitutto uno sguardodinsieme sulle varie popolazioni che abitavano laPenisola quando ebbe inizio lascesa di Roma. Ilpanorama che esse presentano, com noto, fu ilrisultato di un lungo processo di sovrapposizione a

    genti preesistenti di nuove genti venute di fuori, inpossesso di costumi e di lingua talora diversissimi(basti pensare che alcuni appartenevano agliIndoeuropei, come i Latini, e altri no, come gliEtruschi); pertanto il problema delletnogenesidellItalia, sia per la scarsezza delle testimonianzeletterarie, sia per la relativa incertezza dei datiforniti dalla moderna indagine archeologica e

    linguistica, offre tuttora largo campo a ipotesi ericostruzioni non poco contrastanti. Oltre larrivodelle genti gi menzionate (quelle indoeuropee inscaglioni successivi: i Latino-Falisci e i Siculi, gliUmbro-Osco-Sabelli, gli Illiri cui appartenevano daun lato i Veneti, dallaltro gli Iapigi, che poi detteroil nome allApulia), si ebbe anche la colonizzazionegreca della Magna Grecia e pi tardi, dal principio

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    del IV sec., limmigrazione di trib celtiche, s che

    alla fine ne risult, come si diceva, un quadroetnografico assai vario, che si pu delineare nelmodo seguente. NellItalia settentrionale adoccidente i Liguri e ad oriente i Veneti, tra cuivennero poi a incunearsi i Gal li riducendoprogressivamente larea occupata dagli Etruschi.NellItalia centrale, oltre agli Etruschi (che nel VII-VI sec. arr ivarono anche in Campania), gl i Umbri(alto Tevere), i Sabini (Terni e Rieti), i Picenti(sullAdriatico), i Latini, gli Equi, i Volsci e gliErnici (nellod. Lazio); i Marsi, i Peligni, i Vestini e iMarrucini (nellod. Abruzzo). NellItaliameridionale: i Campani, i Sanniti, i Lucani, i Bruzi,gli Iapigi, i coloni greci.

    2. Gli Etruschi. - Fra tutte queste genti(prescindendo, naturalmente, dai Latini) particolare

    importanza per la funzione che svolsero nella storiae nella civilt dellItalia antica ebbero gli Etruschi.

    appena il caso di accennare qui al problemadelle loro origini, uno dei pi dibattuti dallamoderna storiografia, nella quale oggi, sullopinioneche essi siano scesi in Italia attraverso le Alpi,prevale quella della provenienza orientale, inaccordo con la tradizione antica raccolta, per

    esempio, da Erodoto (I 94).Dal punto di vista politico gli Etruschi (comenoi li chiamiamo dal latino Etrusci; i Greci lichiamarono Tirreni, Turrhnoiv, mentre essi stessi sidenominavano Rasna) non riusc irono a real izzareuna vera unit nazionale. Il massimo organismopolitico da loro creato fu lunione di dodici citt-stati in una lega che aveva il centro nel santuario

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    della dea Voltumna presso Bolsena; ma, con ogni

    probabilit, si trattava di una federazione dicarattere religioso che non giunse mai a cementarestabilmente le forze dei collegati. Anche pensando atale disunione si spiega come gli Etruschi, dopo averesteso il loro dominio da Mantova, Adria e Spinafino alla Campania (compresa Roma), dopo aversignoreggiato sul mare che porta ancora il loronome, cominciarono a declinare sotto i colpi deiGreci doccidente, dei Latini, dei Galli e infine deiRomani, che simposero ad essi sul principio del IIIsec. a.C. Quanto agli ordinamenti interni delle citttrusche, queste ebbero dapprima un regimemonarchico; pi tardi, con un mutamentocostituzionale che quasi ovunque precorse quelloverif icatosi a Roma, esse si vennero trasformando inrepubbliche nobiliari rette da magistrati annui (v.appresso).

    3. I Latini. - Ad un certo momento dellanticariflessione (pseudo)storica di carattere erudito sifece derivare il nome dei Latini da quello dal loroprogenitore Latinus; pi tardi, questi venneconcepito come un re piuttosto che come unprogenitore, e si pose quindi il problema delladenominazione dei Latini prima dellavvento del re

    Latino, problema che fu risolto con la coniazionedel nome di Aborig ines. Indizio, questo nome, di unaconvinzione di autoctonia (inesatta, peraltro),mentre quello di Latini con ogni probabilit nacqueper indicare gli abitatori della pianura cio delLatium. Questo originario territorio pianeggiante,allargato poi con quello degli Equi, degli Ernici, deiRutuli, dei Volsci, e con quello delle colonie latine

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    che si presero a fondare dal V sec., giunse ad

    estendersi dal Tevere (oltre il quale era lEtruria) aFondi, confinando ad est con i Sabini e i Marsi.Al lantico nome di Latium si aggiunse pi tardi laqualifica di vetus (Latium vetus, o anche antiquum)allorch, dalla seconda met del IV sec. a.C., ladenominazione di Lazio fu ancora estesa a sud diFondi fin oltre il Garigliano, e questo territoriocostitu il Latium novum o adiectum. Gli antichissimiLatini, appunto perch abitatori di una pianacostituente una naturale unit geografica,realizzarono assai presto lo stabilimento di reciprocilegami fra i numerosi piccoli popoli in cui eranoorganizzati; e, per prima cosa, comuni pratichecultuali riunirono intorno a un centro sacrale alcunidi quei populi. Ne sorsero diverse leghe religiose, fracui la pi importante fu quella che nel VII sec.giunse a riunire intorno ad Alba Longa una

    cinquantina di stati (probabilmente la totalit diquelli allora esistenti nel Lazio), partecipanti ognianno alla solennit detta Latiar o Feriae Latinae, chesi celebrava sul monte Albano in onore di IuppiterLatiaris. Al di fuori di queste vanno considerate lepiccole comunit di Antemnae, Caenina, Crustumerium,Politorium, Ficana, Tellene, Collatia, Corniculum,Cameria, Amerio la, Medulli a, situate nelle vicinanze di

    Roma (nella zona compresa tra lAniene e il Tevereche separa Roma dalla Sabina) e alle quali Roma sisovrappose nella prima et regia. Intorno alla metdel VII sec., con la distruzione di Alba Longa adopera di Tullo Ostilio, la direzione della lega diIuppiter Latiaris pass nelle mari dei Romani (e virimase nei secoli, esplicandosi per fin dalliniziopi che altro nellorganizzazione delle Feriae Latinae,

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    cio senza pervenire a tradursi in unazione politica

    di grande rilievo). Del resto, alle mire egemonichedei Romani le citt latine risposero con lo stringerealtri legami di alleanza, e fra questi nuovi organismifederali sal poi a grande importanza una lega aventeil centro sacrale nel santuario di Diana ad Aricia (v.appresso). Una idea della posizione raggiunta daRoma nel Lazio verso la fine del VI sec. possibilericavarla dal testo di Polibio (III 22) relativo alprimo trattato fra Roma e Cartagine (v. appresso).

    4. La Roma primitiva e i suoi ordinamenti. - Lastoriografia antica, salvo qualche divergenza, dat lanascita di Roma (concepita in termini di fondazionecon rituale etrusco, o di insediamento di elementigreci) intorno alla met dellVIII sec.; al primo annodellottava olimpiade (corrispondente al nostro748/7 a.C.) laveva fissata Fabio Pittore, il primo

    annalista (frgm. 3 Jacoby, FGrHistIII C, p. 850), mapoi sulla sua data prevalse quella del terzo annodella sesta olimpiade, equivalente al nostro 754/3a.C., computata da Varrone (ra varroniana). Adeterminare queste date dintorno alla met del sec.VIII gl i ant ichi autori giunsero sommando al lannoin cui dai fasti consolari risultava iniziata larepubblica (anno corrispondente al nostro 509 a.C.)

    il numero di circa 245 anni, quanti ne risultavanoattribuendo ad ognuno dei sette re un periodo diregno della durata media di 35 anni, ossia allincircalo spazio di una generazione. Un procedimento pio meno plausibile, ma fondamentalmente arbitrario,e i suoi risultati non si accordano col dato delloscavo archeologico, che qualche decennio fa hamesso in luce resti di capanne del IX sec. sul

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    curiata. Questi divennero la principale assemblea

    civile del popolo romano, con il potere anche dieleggere il rex.Oltre ai comizi curiati, che si radunavano alle

    pendici del Campidoglio nellangolo settentrionaledel Foro, esistevano i comitia centuriata, ciolassemblea del popolo in armi diviso per centurie.Queste centurie, composte di cento uomini, erano leunit base della fanteria, e in esse si articolava lalegio (= leva) formata complessivamente di 3.000fanti e 300 cavalieri forniti da c iascuna delle 3 trib.

    Tanto i comiz i curiati quanto i centuriati siadunavano per convocazione del rex, e di fronte alui erano privi di ogni iniziativa: un sistema chemanifestamente riproduceva i modi di una ferreadisciplina militare e che poi si perpetu come uncostume caratteristico delle assemblee politicheromane. Gli elementi pi cospicui del populus si

    acconciarono a questo tipo di assemblea senzalibert di parola perch potevano far sentire la lorovoce nel senatus. Ancora lo stesso Romolo, secondola tradizione, avrebbe istituito questorganoconsultivo del rex; esso era formato dagli elementipi rappresentativi del patriziato, che era inposizione di superiorit rispetto alla massa deiplebei, e anche questa distinzione del popolo in

    patrizi e plebei sarebbe stata opera di Romolo. Inrealt, in una societ a base prettamente agricoladove sussisteva la propriet terriera, era naturale cheassai presto si formasse da una parte un certonumero di famiglie pi ricche (che a poco a poco sicostituirono in unaristocrazia fondiaria) e dallaltrala moltitudine dei meno ricchi fino alla indigenza(plebs da confrontare col greco plthos): si

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    diversificarono cos i patrizi e i plebei, questi ultimi

    normalmente in rapporto di dipendenza verso iprimi come clientes verso il patronus. Le cose,naturalmente, cambiarono quando si presentaronocondizioni industriali e commerciali favorevoli anuove e diverse ricchezze, e la vecchia aristocraziafondiaria, per quanto organizzata a difesa dei suoiprivilegi, dovette subire la concorrenza di famiglieplebee che si affacciavano in primo piano nella vitapolitica e sociale.

    5. Evoluzione de lli sti tuto re gio e avvento de llarepubblica. - Come su Romolo, cos sugli altri re diRoma la tradizione ci ha conservato racconti relativia opere di pace (ordinamenti religiosi e giuridici,lavori pubblici, ecc.) e a imprese di guerra contro lecomunit vicine; tutti racconti sui quali legittimoesercitare punto per punto il vaglio della critica, ma

    arbitrario giungere a conclusioni globalmentedistruttive (come quella, p. es., di non credereallesistenza di un periodo monarchico in Roma). Sene far qualche cenno pi avanti; qui convienepiuttosto soffermarsi sulle caratteristichedellistituto regio dei Latini. A tal fine bisogna tenerconto della comune nazionalit italica (come lhachiamata G.DE SAN CTIS , Storia dei Romani, I, p. 170)

    dei Siculi e dei Latini. Perci possibile ilconfronto tra istituto regio dei Latini e istituto regiodei Siculi (v. S. MAZZAR IN O, Dalla monarchia allostato repubblicano, p. 28 sgg.). Infatti nel Lazio antico,e particolarmente a Roma, il rex oltre le funzioni dicomando sopra ricordate ha anche funzioni sacrali:Egli il capo dello stato romano arcaico, elesistenza di unet regia in Roma confermata

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    (oltre che dalla tradizione sui sette re di Roma)

    dallistituto del linterrex, dallesistenza (in etrepubblicana) di un rex sacrorum e di una regia, e damolti altri indizi, tra cui quello del cippo del Foro.Anche presso i Siculi si trova che il re, detto rhess,ha caratteri sacrali. Un frammento di Epicarmomostra che a questo commediografo greco il rhessappare un capo veramente strano: un capo chesovrintende agli oracoli. A noi moderni il rhesssiculo deve apparire un rudimento dellarcaico statosiculo, conservatosi ancora al tempo di Epicarmo,vale a dire agl inizi del 5 secolo. Il re dei Sicul i(rhess) rex e augur... In epoca storica, il rex apparea Roma come sacerdote, rex sacrorum: il sacerdoziodel rex sacrorum pu dare unimmagine di quelcontenuto sacrale originario, che nellistituto dellaregalit romana dovette assumere unimportanzanotevole, accanto al contenuto militare e

    giusdicente.Da questa regalit primitiva si pass ad una

    nuova concezione del potere, e a una nuova prassinel suo esercizio, che sinquadra nellevoluzionecostituzionale delle citt laziali come viene chiaritada un fregio architettonico di Velletri. I rilievi diquesto fregio si riferiscono (S. MAZZARINO, op. cit.,p. 58 sgg.) a una scena di vita pubblica, e non gi a

    figurazione di di. Essi vanno datati alla secondamet del 6 secolo, e piuttosto nei primi che negliultimi decenni (allincirca 550-525 a.C.) e mostranoche in questo periodo esisteva gi una collegialitmagistratuale. In conclusione (p. 76) il rilievo diVelletri ci presenta uno stato con magistraturecollegiali. La collegialit esisteva dunque nello statoda cui proviene la matrice di quel rilievo gi nella

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    comandanti dei Tiziensi, Ramnensi e Luceri,

    subordinati dapprima al re, poi, declinando lautoritregia, a lui non sottoposti [...]; divenuti comandantisupremi dellesercito e poi capi dello Stato, le loroattribuzioni non erano pi compatibili col comandodei reggimenti delle trib.

    Tale ricostruzione del De Sanct is parte da unatteggiamento di diffidenza verso molti dati dellatradizione, diffidenza che, se pur temperata rispettoa precedenti posizioni critiche, appare oggi semprepi da circoscrivere. La tradizione sul periodo regio assai meno priva di valore di quanto non sicredeva un tempo; oggi un atteggiamento del tuttonegativo ed ipercritico sarebbe ingiustificato. Gi inomi dei primi re, ed alcuni elementi tradizionali adessi relativi, non vanno soggetti a dubbi: aprescindere da Romulus, nessuno pi dubita odovrebbe dubitare che di Numa Pompilio, Tullo

    Ostilio, Anco Marcio i nomi sono autentici, essendoimpossibile che essi venissero inventati in epoca incui nessuno avrebbe avuto interesse a inventarli; edanche le imprese ad essi attribuite rispondono, convarie amplif icazioni e confusioni e redupl icaz ioni, averit (p. es. , la distruzione di Alba Longa per operadi Tullo Ostilio). Per il periodo pi recente, latradizione d altres non solo nomi che non vanno

    soggetti a dubbi, quando parla dei due Tarquinii efra essi pone Servio Tullio, ma anche attribuisce aquesti imprese che certo a quel periodo vannoattribuite. Cos il Mazzarino (op. cit. p. 182 sgg.),che sulla base di queste premesse ha collegato latradizione romana con quella etrusca, nota daidipinti della tomba Franois di Vulci. In tali dipintiil personaggio indicato col nome di MACSTRNA

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    lautore principale della rivoluzione democratica

    che pose fine al governo di Cneve Tarchu[nies] rumach(= Cnaeus Tarquinius Romanus), e macstrna ilrendimento etrusco di magister, termine che nellaformula magister populiequivaleva, in Roma, a dictator.

    La fine della dinastia degli Etruschi in Roma fuuno degli ultimi episodi del declino della loropotenza in Campania e nel Lazio, sanzionato dallasconfitta subita presso Aricia nel 524 ad opera deiCumani uniti ai confederati Latini.

    Sulletnografia dellItalia preromana, S. PUGLISI , La civiltappenninica. Origini delle comunit pastorali in Italia, Firenze 1959; M. PAL LOT TIN O, Sulla cronologia dellet del bronzo e dellet del ferro inItalia, in Studi Etruschi XXVIII (1960), p. 11 sgg.: I D., Le originistoriche dei popoli italici, in Relazioni del X Congresso Intern. diScienze Storiche, Roma 1955, II, p. 3 sgg.

    Sulla provenienza degli Etruschi dallOltralpe, G. DESANCT IS , Storia dei Romani, I, Torino, 1907, p. 125 sgg.; L. PARET I ,

    Storia di Roma e del mondo romano , I, Torino 1952, p. 110 sgg.; sullaprovenienza orientale, fra gli altri, A.PIGANIOL, Les Etrusques peupledOrient, in Cah. hist. mond. I (1953), p. 328 sgg. In generale, cfr.M.PALL OT TIN O, Et rus colo gia, 5aed. Milano 1953.

    Su Latini e Aborigeni, G. DE SAN CT IS , op. cit., I, p. 170 sgg.;sullestendersi del Latium, G.VITUCCI in Dizionario epigrafico diantichit romane fondato da E. De Ruggiero, IV, p. 430 sg. Alcuninomi dei po pul i che partecipavano alle celebrazioni annuali in onoredi Iuppiter Latiaris li conosciamo attraverso un elenco che ci statotrasmesso da Plinio (Nat . h is t. III 69). Tale elenco riguardava lecomunit che in seguito avevano cessato di esistere, e fra queste ne

    compaiono due che destano uno speciale interesse. Si tratta deiQuerque tul ani e dei Velienses. Tacito (Ann. IV 65) ricorda cheanticamente il Celio si chiamava Que rque tul an us, mentre i Veliensessono evidentemente gli abitanti del Velia, il colle che sorgeva fra ilPalatino e lEsquilino. Pertanto in quellelenco si conserva tracciadi un tempo in cui esistevano due comunit a s stanti, quella delCelio e quella del Velia, comunit ben distinte d a quella di Roma, laquale probabilmente ancora non si era costituita dal sinecismodeglinsediamenti sparsi sui vari colli (cfr. S. MAZ ZA RI NO , Il pensierostorico classico, I, Bari 1966, p. 193 sg.). A risultati notevolmente

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    nuovi, ma poco convincenti, arrivato G. GJE RS TAD (Legends andfac ts of ear ly Ro man his tory, Lund 1962) attraverso unanalisi dei dati

    della tradizione e il loro raffronto con gli elementi che si ricavanodalla esplorazione archeologica; in conclusione, linizio della storiadi Roma dovrebbe essere post icipato di quasi due secoli.

    Il testo del primo trattato romano-cartaginese viene cosriferito in POLYB . III 22: Fu dunque stipulato il primo trattato fraRomani e Cartaginesi al tempo di Lucio Giunio Bruto e di MarcoOrazio, i primi che furono creati consoli dopo labolizione dellamonarchia, dai quali fu anche consacrato il tempio di GioveCapitolino. Questi fatti sono di ventotto anni anteriori al passaggioin Grecia di Serse. Il quale (trattato) noi abbiamo trascritto qui diseguito dopo averlo interpretato con la massima precisione

    possibile. Tale infatti anche presso i Romani la differenza fra lalingua attuale e quella antica, che a stento anche i pi esperti sonoriusciti a comprenderne alcune espressioni. Il trattato suona pressapoco cos: Alle seguenti condizioni sia amicizia tra i Romani e glialleati dei Romani (da un lato) e i Cartaginesi e gli alleati deiCartaginesi (dallaltro); non navighino i Romani n gli alleati deiRomani oltre il promontorio Bello, se non costretti da unatempesta o da nemici, e se qualcuno vi fosse trasportato per forza,non gli sia lecito n di fare compere n di prendere se non quantosia necessario a riparare la nave e alle sacre cerimonie, ed entrocinque giorni riparta. Quelli che arrivano per ragioni di commercio

    non possano concludere alcun affare se non con lintervento di unbanditore o di uno scriba. Delle cose che in presenza di costorosiano vendute, tanto in Africa quanto in Sardegna, sotto pubblicagaranzia il prezzo sia dovuto al venditore. Se qualcuno dei Romanigiunga in Sicilia, nella zona che dominano i Cartaginesi, abbiacompleta uguaglianza di diritti. I Cartaginesi non rechino danno alpopolo di Ardea, di Anzio, di Laurento, di Circei, di Terracina, nad alcun altro popolo dei Latini quanti (siano) soggetti (ai Romani);se alcuni non sono soggetti, si astengano dalle (loro) citt, e se poi(ne) dovessero prendere (qualcuna), la consegnino intatta aiRomani. Non costruiscano una fortezza nel Lazio. Se entrano nel

    territorio (del Lazio) come nemici, non vi dovranno pernottare(Circa questo trattato, vedi il capitolo seguente).Sulla data calcolata da Fabio Pittore per la nascita di Roma, e

    su altri problemi connessi con glinizi della storiografia romana, G. VITUCCI , in Helikon, 1 966, p. 401 sgg.

    Circa i fasti consolari (espressione che significa elenco diconsoli) si ricordi limportanza che tale elenco ebbe nellanticomondo romano per individuare i singoli anni, e ci sia in generaleper i bisogni della vita pratica, sia poi nelluso storiografico perindicare la cronologia dei fatti. Nella lista i vari anni si

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    stato per tutto lanno nelle mani di un dittatore, che ne sarebbepertanto divenuto leponimo.

    Solitudo magistratuum e anni dittatoriali, inammissibili comerealt storica, si rivelano espedienti intesi ad allungare la lista edescogitati quando ci si accorse che il numero dei collegi di eponimiera inferiore a quello degli ann i.

    Sui pi antichi ordinamenti di Roma, A. FERRABINO, LItaliaromana, Milano 1934, p. 18 sgg.; L. PARET I, op. cit. , I, p. 237 sgg.; P. DE FRANCISCI, La comunit sociale e politica romana primitiva, inRelazioni del X Congresso, cit., II, p. 63 sgg.

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    II

    La repubblica sotto il predominio deipatrizi.

    1. I primi rapporti politici con Cartagine e il ritornodegli Etruschi. - Uno dei primi atti a noi noti delgoverno repubblicano fu la conclusione di untrattato di amicizia e di commercio con i Cartaginesi(limplacabile rivalit tra Roma e Cartagine eraancora di l da venire!). Ce ne d notizia Polibio (III22), il quale, come s visto, afferma che laccordo fustipulato essendo consoli L. Giunio Bruto e MarcoOrazio (primo anno della repubblica [509 a.C.]) eaggiunge che il documento, inciso su tavole dibronzo, era ai suoi tempi conservato presso il

    tempio di Giove sul Campidoglio. Cartagine, fondataalcuni secoli prima da coloni fenici provenienti daTiro, aveva acquistato sempre maggior potenza finoa diventare il centro politico e commerciale di unvasto impero. Nella seconda met del VI secolo iCartaginesi avevano vittoriosamente conteso conMarsiglia, colonia greca fondata dai Focesi, per ilpredominio commerciale nel Mediterraneo

    occidentale, e in questa lotta avevano avutolappoggio degli Etruschi. Da tale momento preserolavvio i rapporti amichevoli fra Cartaginesi eRomani, la cui politica si svolgeva allora sottolinfluenza etrusca, e pare che proprio perconfermare quelle buone relazioni dopo ilmutamento di regime avvenuto in Roma venissestipulato il trattato di cui ci parla Polibio. Ora da

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    considerare che in questo trattato i Romani si

    atteggiano a protettori di varie citt dellinterno edella costa fino alla lontana Terracina, ma poichtale protettorato non corrispondeva affatto alla realesituazione politica, se ne deve ricavare che in quelmomento il governo di Roma nutriva aperte preteseal predominio su quei popoli del Lazio e, perintanto, le faceva valere nei confronti di Cartagine.

    Per a cos rosee speranze i tempi erano pocopropizi: i Latini, in realt, erano tuttaltro che prontia riconoscere la supremazia di Roma e, per di pi, lacitt dov presto affrontare il ritorno offensivo degliEtruschi.

    Secondo la tradizione vulgata, Tarquinio avevaspinto Porsenna, il re di Chiusi, a costringere con laforza i Romani a rimetterlo sul trono, e nera natauna guerra terribile. Se essa non era terminata coldisastro, il merito era stato tutto degli atti di

    eroismo compiuti dal fiero Muzio Scevola, dalfortissimo Orazio Coclite, dallintrepida Clelia, cheriempirono di ammirazione il re etrusco inducendoloa togliere il blocco della citt e a concedereonorevoli condizioni di pace, mentre Tarquinioveniva abbandonato al suo dest ino. In realt le coseandarono assai diversamente; accadde, cio, cheRoma fu vinta dagli Etruschi e costretta ad accettare

    le pi dure imposizioni, fra cui quella di rinunziare atutti gli armamenti. La citt era alla merc deivincitori, e fu in grazia del colpo subto dal lapotenza etrusca nella battaglia di Aricia se limpresadi Porsenna nel Lazio e la nuova sottomissione diRoma si risolse in un fatto passeggero.

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    2. Le citt latine e Roma - I Latini che, sia pure

    indirettamente, avevano impedito che in Romasinstaurasse nuovamente la dominazione degliEtruschi, erano uniti in una lega che stringevaintorno a Tuscolo (a 5 km dallodierna Frascati)alcune importanti citt, site per lo pi sui ColliAlbani, e aveva come centro sacrale il santuario diDiana nel territorio di Aricia. Come s detto, essarappresentava, dopo la distruzione di Alba Longa eil declino dellantica lega di Iuppiter Latiaris, unodegli organismi pi importanti del Lazio, cui Roma,gi negli ultimi tempi della monarchia, aveva cercatodi contrapporre unaltra lega da essa diretta, quellache aveva il centro nel tempio di DianasullAventino.

    Noi non sappiamo in quali precise circostanze,vari anni dopo, avvamp la guerra fra Roma e la legacapeggiata da Tuscolo, ma si pu ragionevolmente

    dubitare che i Romani riportassero nella battaglia delLago Regillo (oggi prosciugato, nelle vicinanze diFrascati) quello strepitoso successo di cui parl pitardi la storia ufficiale, poich sembra che aspingere i contendenti a venire a un accordo fosse laminacciosa avanzata nel Lazio di popoli vicini.Unico punto fermo - ma anche qui non mancanomotivi di varie incertezze - che la guerra si

    concluse a favore dei Romani intorno al 493 con untrattato che vien detto foedus Cassianum da SpurioCassio, il console che lo stipul.

    In forza di questo trattato, il cui testo potevaancora leggersi a Roma alcuni secoli dopo, cio altempo di Cicerone, si stabilivano non solo accordi dipace e di alleanza, ma anche si regolavano gliscambievoli rapporti, in materia di commercio, tra i

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    cittadini di Roma e quelli delle diverse citt latine.

    Un particolare, questultimo, assai importanteperch rappresentava il primo passo di quel lungoprocesso di assimilamento che avrebbe portatoallunificazione dei Latini nel nome di Roma. Iltrattato era stato concluso a parit di condizioni,va le a dire che in que l momento la potenza romanaera riconosciuta uguale a quella di tutti i Latini unitiinsieme, ma un s grande successo non fu ritenutosufficiente dalla storia ufficiale, che pi tardi parladdirittura di una supremazia instaurata allora daRoma sul Lazio. In realt, tale supremazia Romalacquist non al principio, ma alla fine del V sec.a.C., cio dopo aver validamente concorso alladifesa delle citt latine maggiormente esposte allamarea dei popoli confinanti che minacciava disommergerle. Nel corso del V secolo, infatti, a piriprese Roma dovette scendere in campo non

    soltanto contro la ricorrente pressione degliEtruschi sui confini settentrionali, ma anche controi Sabini, gli Equi e i Volsci che premevano sul Laziospostandosi dalle loro sedi montane (a un dipressonellodierno Abruzzo occidentale) in direzione delleterre pi fertili verso il mare. Lalleanza tra Romanie Latini, stretta sotto la spinta dei comuni pericoli,stava per subire la prova del fuoco.

    3. Lotte contro i Sabini, gli Equi, i Volsci. - Anchelo sviluppo di questi lontani avvenimenti sub laconsueta deformazione nel racconto degli storiciromani, ma non al punto che non possiamo farceneunidea sia pure sommaria e, soprattutto, constatareche per fortuna delle citt latine manc una veraintesa fra i loro aggressori. Per quanto riguarda la

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    stessa Roma, il pericolo pi grave fu rappresentato

    ad un certo momento dai Sabini che, dopo una seriedi incursioni verso il sud fino allAniene, riuscirononel 460 a penetrare nella citt e ad occupare laroccaforte del Campidoglio! La riscossa per fuimmediata, grazie anche - come pare - allaiuto deiTuscolani, e dopo non molt i anni, nel 449, unanuova vittoria allontanava per sempre da Roma laloro minaccia.

    Quanto agli Equi, essi, dopo aver sommerso,oppure attirato dalla loro parte, Praeneste(Palestrina)e aver occupato altri centri latini minori (tra cuiLabici,forse lodierna Monte Compatri), giunsero adaccamparsi sul monte Algido (Maschio dellAriano)fra i Colli Albani, a pochi chilometri da Tuscolo. Efu appunto sui Tuscolani che maggiormente grav ilcompito di fermare gli Equi, anche se pi tardi glistorici romani esaltarono il contributo delle armi

    romane, specie con la vittoria riportata nel 458 daldittatore Cincinnato.

    Del resto un notevole apporto alla causacomune fu dato anche dagli Ernici, un popolostanziato a sud degli Equi e pertanto ugualmentesoggetto alla loro pressione. Gli Ernici costituivanoanchessi una lega che si raccoglieva intorno adAnagnia (altri centri pi importanti: Ferentinum, od.

    Ferentino;Ale trium,od. Alatri; Verulae,od. Veroli), efin dal 486 furono accolti a parit di condizioninellalleanza che univa Romani e Latini e che sitrasform allora in alleanza fra Romani, lega latina elega ernica.

    Solo verso la fine del secolo i tre collegatiriuscirono a bloccare la spinta espansionistica degli

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    Equi, costringendoli a ritirarsi dalle posizioni che

    avevano guadagnato nel Lazio.Ancora pi duro fu lo scontro contro i Volsciche, aprendosi un varco fra gli Aurunci e i Latini,allinizio del V secolo dilagarono nellagro Pontinooccupando la regione costiera da Terracina (che essichiamarono Anxur) fin oltre Anz io, e spingendos inellinterno fino a Velletri. Come capisaldi percontenere la loro avanzata, furono fondate (intornoal 492) le colonie di Norba (Norma) e Signia (Segni);quindi si combatt una serie di lotte asprissime nelcui racconto venne intessuta, fra laltro, la storia diGneo Marcio Coriolano, il condottiero ribelle che,costretto in esilio, si sarebbe posto a capo dei Volsciguidandoli di vittoria in vittoria da Circei fino apoche miglia da Roma. La spinta volsca verso ilnord lungo il litorale per poco non culmin nellacaduta di Ardea: la citt fu rafforzata con linvio di

    coloni diventando anchessa colonia latina (439). Lapresa di Anxur nel 406 e il successivo trapianto dicoloni a Velletri nel 404 e a Circei nel 393 segnanole ultime tappe della sottomissione dei Volsci, anchese continu a verificarsi qualche tentativo diribellione.

    4. Guerre con gli Etruschi. - A nord pi diretto

    interesse ebbe per Roma la lotta contro gli Etruschimeridionali, soprattutto quelli di Veio, una popolosae ricca citt che sorgeva a circa una ventina dichilometri sulle rive del Cremera, piccolo affluentedel Tevere. Verso linizio del V secolo, mentreurgeva sul Lazio la minaccia dei Volsci e degli Equi,i Veienti fecero ripetute scorrerie entro il territorioromano e riportarono anche grossi successi, come

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    quello dellanno 477 in cui restarono sul campo

    quasi tutti i membri della nobile gens dei Fabi (sisarebbe salvato solo un giovanetto, destinato adavere tra i suoi discendenti il grandeTemporeggiatore). Fu un grave colpo per i Romani,di cui la storia ufficiale non pot cancellare ilricordo, ma solo abbellirlo con i colori dellaleggenda. Per alcuni decenni dopo, fermati gli Equie i Volsci, la situazione si capovolse e fu Roma aprendere liniziativa delle ostilit. Dapprima, nel426, venne distrutta Fidene (presso Castel Giubileo);poi fu la volta di Veio, espugnata nel 396 dopo unassedio di dieci anni.

    Molti dei particolari che gli storici romaniraccontarono su questa guerra debbono ritenersileggendari, a cominciare dallo stesso assedio la cuidurata sembra richiamare quella dellepico assedio diTroia: in maniera part icolare fu ingigantita la figura

    di Marco Furio Camillo, il capitano che condusse atermine lardua impresa. Tuttavia certo che iRomani avevano riportato sui vicini Etruschi unsuccesso di primordine. Infatti, delle citt cheavevano dato aiuto a Veio, le minori furonoanchesse conquistate, come Capena, Sutrium(Sutri) e

    Nepe t (Nepi), mentre con quella assai importante diFalerii (Civita Castellana), il principale centro del

    popolo dei Falisci, fu concordata una tregua. Diquesta in realt si tratt, pi che di una pace, anchese poi gli storici romani favoleggiarono che i Faliscisi sarebbero addirittura sottomessi a Camilloammirati per il suo rifiuto di impadronirsi della cittcol tradimento. Egli avrebbe infatti respinto laproposta di un maestro di scuola, il quale gli aveva

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    offerto di consegnargli i suoi discepoli, tra cui erano

    i figli dei maggiorenti falisci.Dei paesi cos conquistati, quelli di Veio eCapena, come gi quello di Fidene, entrarono a farparte del territorio propriamente romano, mentreSutri e Nepi, con linvio di un certo numero dicoloni, furono trasformate in colonie latine, al paridi quanto gi era stato fatto per Norba, Signia,Ardea e Circe i.

    5. Colonie romane e colonie latine. Origini del dirittolatino. - Riguardo alle suddette (e, via via, allefuture) colonie latine si deve notare come esse sidistinguessero nettamente dalle colonie romane. Lecolonie romane nacquero con una funzioneessenzialmente militare, e furono impiantate per lopi sulla costa a difesa dagli attacchi provenienti dalmare. Erano costituite da poche centinaia di

    cittadini romani, che tali restavano nella loro nuovasede, anche se praticamente, per la lontananza daRoma, non potevano pi esercitare i loro diritti dicittadinanza.

    Le colonie latine, invece, ebbero importanzaper Roma non solo dal punto di vista militare, per laposizione strategica in cui sorgevano, ma anche - esempre pi - dal punto di vista economico e sociale

    come sfogo allemigrazione dei pi bisognosi. Esseerano costituite con linvio di coloni provenienti siada Roma, sia dalle citt degli alleati Latini ed Ernici,e diventavano altrettante comunit latine compresenella lega latina; pertanto quei Romani che vi eranoinviati come coloni cessavano di essere cives Romaniediventavano cittadini della nuova comunit latina.Ma se, in tal modo, Roma perdeva un certo numero

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    di cittadini nel tempo stesso che s i ingrandiva la lega

    delle citt latine, questi svantaggi erano compensatidalla presenza, nelle nuove comunit latine, dielementi in genere favorevoli a lla politica romana.

    Di grandissima importanza fu poi che, perevitare che rimanesse troncato ogni rapporto fra talicoloni ex-Romani e la loro patria dorigine, si vennesviluppando il cos detto diritto latino in forza delquale furono a quelli concessi alcuni privilegi comela facolt di sposarsi in Roma (ius conubii) e diriacquistare la cittadinanza romana col semplicetrasferimento del domicilio in Roma (ius migrandi).Pi tardi questi privilegi furono estesiindistintamente a tutti i Latini, onde costorogodettero di una posizione privilegiata rispetto aglialtri popoli con cui Roma strinse via via rapporti dialleanza.

    A proposito dei quali si deve ricordare che

    lespansione dello Stato romano ben presto sisvilupp a preferenza attraverso la forma federativa.Quando cio Roma afferm la sua supremazia suipopoli vicini, solo in piccola parte li assoggettimmediatamente al suo diretto controlloincorporandoli nel territorio dello Stato; ai pi,invece, conserv la loro autonomia legandoli per as con un patto di alleanza (fo edus), trasformandoli

    cio in fo ederati con particolari diritti e doveri. Traquesti alleati i Latini ebbero, come dicevamo, unaposizione di privilegio. Laffermarsi di Roma inItalia, pertanto, sar per lungo tempo segnato nontanto dallampliarsi del suo territorio - che fupiuttosto lento - quanto dallallargarsi della cerchiadei suoi foederat i.

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    6. Predominio politico e religioso dei patrizi sopra i

    plebe i. - La riluttanza verso il troppo rapido dilatarsidello Stato era uno degli aspetti della tendenzaeminentemente conservatrice della classe chereggeva il timone della repubblica. Uneccessivaespansione territoriale avrebbe comportato unmoltiplicarsi dei problemi di governo erappresentato, quindi, una grave incognita per ilpredominio del patriziato, predominio che la partepi numerosa del popolo romano, cio la plebe, erasempre meno disposta a subire. Difatti per tutto il Vsecolo si agitarono in Roma contrasti talvolta piaspri delle guerre combattute senza posa contro iVolsc i o gli Equi o gl i Etruschi.

    I plebei, che avevano dovuto condividere glisforzi e i sacrifici imposti dalla politica dei patre s,aspiravano ad acquistare nel governo dellarepubblica un peso maggiore di quello, assai scarso,

    che avevano. E la plebe non era costituita soltantodal popolo minuto, ma ne facevano parte ancheelementi cospicui per capacit dingegno e di lavoro,i quali per, appunto perch estranei alla cerchiadelle grandi famiglie nobiliari, erano esclusi dallacarriera politica: una condizione, questa, tanto piinaccettabile se si pensa che (come mostra la parteiniziale dei fasti consolari) allinizio della repubblica

    uomini della plebe avevano raggiunto, col consolato,il pi alto fastigio nella direzione dello Stato. Da taledirezione, peraltro, essi erano stati a poco a pocoallontanati ad opera dei patrizi, che venneromonopolizzando lesercizio del potere fino acostituirsi in casta chiusa.

    Per se la lotta fra patrizi e plebei conobbeepisodi veramente drammatici, essa non mise mai in

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    pericolo le sorti della repubblica: opportune

    concessioni da parte dei patrizi e consapevolerispetto dei principi tradizionali (mos maiorum) daparte dei plebei consentirono di mantenere unaconcordia capace di assicurare col tempo non solo lemaggiori fortune, ma anche un ordinato progressomorale e civile.

    Nel mondo antico religione e politica si sonosempre e variamente mescolate; soprattutto inRoma, dove tale confusione fu favorita dal caratterestesso della religione romana. Sorta, come presso lealtre genti dItalia, da uningenua venerazione per leimmense forze e i grandiosi fenomeni della natura(Iuppiter in origine il dio de l cielo luminoso; IuppiterFulgur propriamente non che il dio-fulmine)commista a forme primitive di totemismo (si pensial culto di Iuppiter Lapis, una pietra conservata sulCampidoglio) e di animismo (credenza nellazione

    buona o cattiva degli spiriti), la religione romanaconserv la sua arcaica rozzezza anche quando, perinflusso della civilt ellenica, si fuse col paganesimogreco. Alcune divinit si elevarono allora al livellodelle pi evolute concezioni dei Greci (onde Iuppiterfu identificato col maestoso Zeus dellOlimpo, Iunocon Hera, Minerva con Athena, ecc.), altre subironouna completa trasformazione della loro essenza

    (come Venere, in origine custode degli orti, che fupoi assimilata ad Afrodite e divenne la deadellamore con tutti i relativi attributi), ma questoprocesso di fusione non valse ad incrinare la vetustacompagine religiosa dello spirito romano. In essanon un anelito di elevazione spirituale, ma sololansia di propiziare allindividuo, alla famiglia, esoprattutto allo Stato laiuto degli dei, concepiti

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    come dispensatori di bene o di male a chi li onorasse

    nelle forme dovute oppure no. Inoltre, mancandodel fondamento di una vera e propria speculazioneteologica, il politeismo romano fu sempre aperto adaccogliere da ogni parte nuove divinit e nuovi riti,ma ci solo nella fiducia che anche questi potesserocontribuire alla prosperit di tutti e di ciascuno, sche in fondo la religione dei Romani rest ancorataalle sue rozze caratteristiche originarie e soprattuttoalla sua peculiare concezione utilitaria.

    Ma perch lo Stato prosperasse bisognavaassicurare che ogni atto importante della vitapubblica si svolgesse secondo la volont degli dei.Di questo i soli patrizi pretesero di essere capaci, inquanto essi soltanto avevano gli auspici, cioerano in grado di far s che lazione del popolocorrispondesse al volere divino rettamente indagatoe interpretato con lausilio degli uguri (che vennero

    acquistando uninfluenza sempre maggiore suipubblici affari). Per questa via si arriv a nonammettere i matrimoni misti fra patrizi e plebei, ecos il patriziato fin per formare una casta chiusa,esercitando quanto pi possibile in esclusival imperium inerente alla suprema magistratura dellarepubblica, il consolato.

    7. Ordinamenti del pi antico stato repubblicano . - Idue consoli avevano la direzione dello Stato inquanto erano nello stesso tempo la pi alta autoritcivile, i giudici di grado pi elevato e i supremicomandanti delle forze armate (questultimaattribuzione si rifletteva nella denominazione cheessi ebbero prima di chiamarsi consules, quella cio di

    prae tore s, da prae ire= marciare alla testa).

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    Nellesercizio delle funzioni giudiziarie i

    consoli ebbero ben presto lausilio dei quaestores;peril resto essi potevano avvalersi, come una voltaavevano fatto i re, del consiglio dei senatori, ancheessi provenienti dalle famiglie pi ragguardevoli.Non avevano per lobbligo di sottostare ai loropareri (senatusconsulta), anzi il senato non potevanemmeno adunarsi se non dietro convocazione deiconsoli, che ne presiedevano le sedute e nedirigevano i lavori. Tuttavia questa prevalenza deiconsoli sui senatori tendeva a diventare pi formaleche sostanziale, e sta di fatto che per tutta letrepubblicana il senato rimase il principale organo digoverno attraverso il quale si attuavano i disegnipolitici della classe che deteneva il potere. Imaggiori esponenti delle casate nobili erano semprepresenti in senato a difendere i propri interessi contutto il peso della loro autorit, mentre i consoli, che

    del resto provenivano di massima da quella stessanobilt, non duravano in carica che un solo anno,salvo il caso di qualche rielezione. Poteva dirsi,quindi, che i consoli passavano ma il senato restava.Inoltre i consoli, per effetto della loro collegialituguale, se fossero stati in disaccordo potevanointralciarsi a vicenda con il diritto di veto (iusintercessionis): in tal caso i loro contrasti non

    potevano risolversi che seguendo i consigli delsenato, i quali anche per questa via divennero per iconsoli sempre pi vincolanti. Nello stesso tempoquesta collegialit, al pari dellannualit della carica,impediva che qualcuno, attraverso il consolato,potesse costituirsi uno stabile potere personale.

    Del resto, anche sulle assemblee popolari ilsenato faceva sentire il peso della sua volont.

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    Il popolo, cio linsieme dei patrizi e dei plebei,

    appunto perch composto di cittadini e non disudditi, era chiamato a collaborare ad alcuni attifondamentali nella vita dello Stato, per esempiolemanazione delle leggi o la nomina dei magistrati.Le deliberazioni al riguardo il popolo le prendevaalcune radunato nei comizi curiati (assembleacivile del popolo suddiviso in curie), altre neicomizi centuriati (assemblea militare del popolosuddiviso in centurie). Ora, a parte il fatto che inqueste assemblee i patrizi, forti della loroorganizzazione e della loro potenza, avevanofacilmente ragione dei pi numerosi plebei, il senatopoteva far sentire la sua autorit, sia direttamente,negando la prescritta approvazione ad alcunideliberati, sia indirettamente, esercitando la suainfluenza sui consoli che presiedevano le assembleepopolari. I comizi romani, infatti, avevano ancora in

    questepoca e conservarono nei secoli quellafisionomia particolare cui gi si accennato: essi siadunavano solo quando li convocava il magistrato, edi fronte a lui osservavano una disciplina assoluta.Praticamente, non vera luogo a discussioni; chiparlava era il magistrato che esponeva le sueproposte, e il popolo non poteva che esprimere ilsuo voto, favorevole o contrario.

    Il senato, infine, non mancava di far sentire lasua influenza nemmeno quando, per assicurarelunit di comando necessaria nei momenti dimaggior pericolo per lo Stato, sia per la gravit deicontrasti interni sia per la minaccia di nemiciesterni, procedeva alla nomina di un dictator, che orasi era trasformato da magistrato ordinario e annuoin magistrato straordinario. Questi aveva poteri

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    assoluti, ma la sua carica non poteva durare oltre sei

    mesi; inoltre egli veniva nominato da uno deiconsoli, i quali - come s visto - in generale agivanodintesa col senato.

    8. Le rivendicazioni della plebe e i suoi primi successi.- Tali, per sommi capi, erano gli ordinamenti chepermettevano ai patresdi esercitare il predominio daessi acquistato nei primi decenni del V secolo soprai plebei; ma questi, una volta imboccata la via dellerivendicazioni, seppero trarre grande vantaggio dauna recente innovazione amministrativa: listituzionedelle trib territoriali.

    Erano queste qualcosa di totalmente diversodalle antiche trib gentilizie dei Ramnes, Tities eLuceres, le quali allinizio, prima di trasformarsi inorgani governativi, erano state raggruppamentifamiliari consociatisi per assicurare quella difesa

    delle persone e dei beni a cui lo Stato, ancora inembrione, non provvedeva. Le trib territoriali, chesembrano istituite appunto verso il principio del Vsecolo, erano invece circoscrizioni create con loscopo di migliorare landamento delle operazioni dileva e della riscossione del tributo. Ogni cittadinodoveva essere iscritto in uno di questi distretti, epertanto tutto il territorio dello Stato fu inizialmente

    diviso in quattro trib urbane, ove erano iscritti icittadini domiciliati in Roma, e sedici tribrustiche (queste ultime, allargandosi il territorioper effetto delle successive conquiste, raggiunseropoi il numero di trentuno).

    Di tale organizzazione i plebei si valsero pertenere adunanze (concilia plebis tributa) e ivicoordinare i loro attacchi ai privilegi nobiliari;

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    quindi cominciarono collusare larma delle

    secessioni, cio con una sorta di resistenza passiva,rifiutandosi di continuare ad adempiere agli obblighidel cittadino. La prima secessione viene ricordataper il 494, quando la plebe si ritir sul Monte Sacro;essa si lasci indurre a pi miti consigli - si raccontpoi - dal famoso apologo di Menenio Agrippa, ma un fatto che proprio allora ottenne uno dei pigrandi successi, quello di darsi dei capi riconosciuti.Nacquero cos i tribuni della plebe che in origine,prima di diventare anchessi veri e propri magistrati,non furono se non dei capipopolo rivoluzionari, cheil governo patrizio dovette acconciarsi a tollerarenella loro azione spesso violenta. Sotto la loro guidala plebe percorse la lunga strada delle suerivendicazioni, che erano di natura diversa.

    Una delle esigenze che i plebei pi largamentesentivano era quella di strappare al patriziato il

    monopolio dellamministrazione della giustizia.Della legge erano depositari esclusivamente i nobili,che se la tramandavano oralmente ed avevano essisoli la facolt di applicarla: nel 451 e nel 450 la plebeottenne che, invece dei consoli, a capo dello Statofossero nominati alcuni magistrati straordinari, idecemviri consulari imperio legibus scribundis, e questiapprontarono un codice scritto di leggi civili e

    penali. Furono le famose Dodici Tavole che, colsancire luguaglianza di tutti gli uomini liberi difronte alle leggi civili e col porre a fondamento delloStato la legge approvata dal popolo e nellinteressedel popolo, dovevano diventare fons omnis publ ic i

    pr ivatique iurisin un senso ancora pi ampio di quelloche Tito Livio (III 34, 6) dava a questa espressione,

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    e cio il germe da cui si svilupp il diritto ancora

    oggi vigente presso tanti popoli.Pochi anni dopo, nel 445, con una leggeproposta dal tribuno C. Canuleio (lex Canuleia),veniva abolito il divieto di matrimonio fra patriz i eplebei, divieto che, osservato per un certo temposoltanto in forza della consuetudine, era gi statoimposto con una legge delle XII Tavole. I plebei,ormai, potevano battersi per raggiungere di nuovo ilconsolato, e nel 444 addivennero a uncompromesso. Negli anni successivi a capo dellarepubblica si sarebbero potuti eleggere i soliti dueconsoli, provenienti dal patriziato, oppure un certonumero di cittadini che avevano ricoperto o tuttoraricoprivano la carica di tribuni militari (cio diufficiali superiori nella legione) e che perci vennerodenominati tribuni militum consulari potestate: in seno acostoro potevano essere eletti anche dei plebei. Per

    effetto di tale compromesso nel corso di vari anninon si susseguirono pi coppie di consoli, ma collegidi tribuni militum consulari potestate composti da unnumero variabile di membri (tre, quattro, sei, otto);solo nel secolo successivo il consolato fustabilmente restaurato, quando si concord che unodei due posti di console spettava alla plebe.Naturalmente, i patrizi cercarono di resistere come

    potettero e fra laltro, quando furono costretti adaccettare leventualit di tornare a dividere con iplebei la pi alta carica dello Stato, essi lasvuotarono di alcune attribuzioni assegnandole aduna nuova magistratura esclusivamente patrizia, lacensura (a. 443).

    I due censori, che si elessero ogni cinque anni(lustro da lustrum, il sacrificio di purificazione per

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    il popolo con cui i censori concludevano i loro

    lavori), dovevano in primo luogo tenere aggiornatasia la lista dei cittadini, cio di quelli che potevanogodere i diritti di cittadinanza, sia la lista deisenatori, magari cacciandone glindegni. Poich tuttoquesto comportava anche una sorveglianza sullacondotta pubblica e privata di ognuno, i censori benpresto acquistarono uninfluenza grandissima.

    Secondo gli storici antichi, nel corso del lostesso V secolo la plebe avrebbe strappato ancheuna specie di diritto di emanare leggi, cio avrebbeimposto che si riconoscessero come valide ledeliberazioni prese nei suoi concilia, ma questaconquista in realt avvenne pi tardi. Comunque, iplebei avevano gia fatto parecchi passi verso larivendicazione dellantica uguaglianza; grazie ancheallapporto delle loro fresche energie sembravaaprirsi, dopo la presa di Veio, un periodo di

    maggiore sicurezza e prosperit, quando su Roma siabbatt il flagello dellinvasione gallica.

    Con la datazione indicata da Polibio per il pi antico trattatoromano-cartaginese (vedi il capitolo precedente) in contrasto latradizione confluita in Livio, ove di un simile fo edus si parla per la

    prima volta solo sotto lanno 348 (VIII 27, 2: cum Carthaginiensibuslegatis Romae foedus ictum, cum amicitiam ac societatem petentes venissent) ;di qui un dibattuto problema, soprattutto, ma non soltanto,cronologico, su cui cfr. S. MAZZ ARI NO, Introduzione alle guerre

    punic he, Catania 1947.Circa lassoggettamento di Roma ad opera di Porsenna, cfr.

    TAC., Hist. III 72: Id facinus(lincendio del Campidoglio alla fine del69 d.C.) po st co ndi tam ur be m lu ctuo sis s imu m foedi ss imu mque re i pu bl ic ae

    po pul i Ro mani ac cidit . .. se dem Iovis Opt imi Ma xim i aus pic at o a ma io ri buspi gnus imperii condit am, quam non Po rs enn a de dita urb e ne que Galli capt a

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    temerare potuissent, furore principum exscindi. Si veda anche PLI N. , Nat .Hist. XXXIV 139: In foedere quod expulsis regibus populo Romano dedit

    Porsina, nominatim comprehensum invenimus ne ferro nisi in agri cultuuteretur.Sulla battaglia del lago Regillo v. L. PARE TI in Studi

    romani VII (1959) p. 18 sgg. Laccenno alla storia ufficialevuo le r ichiamare l at tenzione su uno de i car at ter i p i sali enti del latradizione storica romana. Si tratta in breve di questo: quando iRomani cominciarono a scrivere la storia pi antica della loro citt,questa si era innalzata al rango di potenza mediterranea. Gli umiliinizi, il travaglio affannoso delle guerre continue, con battagliespesso vinte, ma talora anche perdute, parvero a quegli scrittoricome una macchia per la presente grandezza della patria, ed essi si

    studiarono di cancellarla alterando la verit con vari espedienti. Inseguito vi furono storici che su quegli stessi fatti diedero raccontiinquinati da altri elementi, per esempio dal gusto per leamplificazioni o invenzioni retoriche. In conclusione, quandoancora pi tardi quelle narrazioni furono riprese da storici la cuiopera si conservata fino a noi (come Livio), si era formata e ancorpi si venne consolidando una specie di versione ufficiale spessopoco rispettosa della verit dei fatti e, quindi, pi che mai dasottoporre al vaglio di unattenta critica.

    Sul foedus Cas sianum (le cui clausole sono in parte riferite daDIONYS. HAL IC . , VI 95, 2) cfr. CIC. , Pro Balbo 23, 53: cum Latinis

    omnibus foedus esse ictum Sp. Cassio Postumo Cominio consulibus quisignorat? Quod quidem nuper in columna ahenea meminimus post rostraincisum et perscriptum fuisse. Cfr. anche L IV. II 33, 9: nisi foedus curaLatinis columna aenea insculptum monumento esset ab Sp. Cassio uno, quiacollega afuerat, ictum, Postumum Cominium bellum gessisse cum Volscismemoria cessisset.Sui rapporti insta urati dal fo edu sfra la lega latina e iRomani sono da tener presente due testi. Uno un lemma di Festo(p. 276 LINDSAY) co nten ente un frammen to di Cincio (an ti quariodel I sec., da non confondere con lannalista Cincio Alimento) ovesi parla di Romani che, in veste di pra etore s (lo stesso titolo cheprecedette quello di consules), si rec avano ad as sumer e il co man do

    dellesercito federale: Praetor ad portam nunc salutatur is qui inpr ovi nc iam pr o pr ae tore au t pr o co ns ul e ex it ; cui us re i mo re m ait fuis seCincius in libro de consulum potestate talem Albanos rerum potitos usquead Tullum regem; Alba deinde diruta usque ad P. Decium Murem consulem(cio allanno 340) po pul os Lat ino s ad caput Fere nt in ae , quo d es t submonte Albano, consulere solitos, et imperium communi consilio administrare;itaque quo anno Romanos imperatores ad exercitum mittere oporteret iussunominis Latini, complures nostros in Capitolio a sole o riente auspicis operamdare solitos. Ubi aves addixissent, militem illum, qui a communi Latiomissus esset, illum quem aves addixerant, praetorem salutare solitum, qui

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    eam provinciam optineret praetoris nomine. La lega di citt latine, cheCincio ricordava come avente il suo centro alla fonte Ferentina,

    quella stessa che troviamo menzionata in un frammento (58 PETER)delle Origines di Catone, ove si riporta il testo di una dedica fattaper conto della lega dal comandante militare dei confederati: lucum[***] Dianium in nemore Aricino Egerius Baebius Tusculanus dedicavitdictator Latinus; hi populi communiter: Tusculanus, Aricinus, Lanuvinus,Laurens, Coranus, Tiburtis, Pometinus, Ardeatis Rutulus. Allatto delladedica era un tusculano che, col titolo di dictator Latinus, comandava lesercito della lega latina, della quale vengono nominaticome membri gli stati-citt di Tusculum, Aricia, Lanuvium, Lavinium,Cora, Tibur, Pometia, Ardea.

    Sullampliarsi della dominazione romana nella Penisola,

    sempre dimportanza fondamentale K.J. BELOCH, Der italische Bundunter Roms Hegemonie, Leipzig 1880 (rielaborato nella gi citataRmische Geschichte). Del mede simo autore ancora da tenerpresente, sulle condizioni sociali ed economiche della popolazionedi Roma nei primi secoli della repubblica, Die Bevlkerung der

    grie ch is ch-r mis che n We lt, Leipzig 1886; in particolare, per la societromana nel V sec., v. A. P IGANIOL , La conqute romaine, 2a ed., Paris1930, p. 95 sgg.

    Illuminante sul carattere della religiosit romana laclassificazione fatta da Varrone (a noi nota attraverso A UGUSTIN . ,De civ. deiVI 3) fra dii certi, dii incertie dii praecipui atque selecti. Sulle

    pratiche cultuali nellantica Roma da vedere, in generale, G.WISSOWA , Religion und Kultus der Rmer, 2a ed., Mnchen 1912,sostituito ora, nello Handbuch der Altertumswissenschaftfondato da I. MLLER, dallopera di K. LATTE, RmischeReligionsgeschichte, Mnchen 1960; v. anche P. CAT ALA NO, Contributiallo studio del diritto augu rale, I, Torino 1960.

    Sugli ordinamenti dello Stato romano, dalle origini al bassoimpero, fondamentale TH. MOMMSEN , Das rmische Staatsrecht, voll.I-III, Leipzig 1887 sgg. (sostanziali integrazioni di questopera, perquanto riguarda let imperiale, sono rappresentati da duecontributi di A. ALFLDI: Die Ausgestaltung des monarchischen

    zeremonielles am rmischen Kaiserhofe, in Mitteilungen d. deutsch.Ar ch . Inst . , Rm. Abt., 1934, e Insignien und Tracht der rmischenKaiser, ibid. , 1935). Il Mommsen, peraltro, nellindagare gli sviluppidegli ordinamenti statali di Roma, li consider come originati dauna genuina creazione dei Romani, cio come affatto isolati daanaloghi sviluppi verificatisi presso altri popoli italici, i quali sisarebbero poi limitati, volenti o nolenti, ad adottare e adattare glischemi di governo elaborati dai Romani. Contro questa teoria giformul valide riserve A. ROSENBERG (Der Staat der alten Italiker,Berlin 1913); sullesistenza di una comune cultura italica e di un

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    corrispondente comune travaglio costituzionale che condizionlorigine delle istituzioni romano-italiche, v. S. MAZZ ARI NO, Dalla

    monarchia allo stato repubblicano, sopra citato. Le lacinie superstitidella legislazione decemvirale presso S. RICCOBONO , Fontes iurisRomani anteiustiniani,I, Leges,2aed., Firenze 1 941, p. 21 sgg.

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    III

    Dallincendio gallico al primato nellItaliacentrale.

    1. Il disastro e la ricostruzione. - Col nome di Gallii Romani chiamarono quelle popolazioni di stirpeceltica che, muovendo nel primo millennio dalla

    Germania meridionale, sciamarono nelle terredellEuropa occidentale. NellItalia settentrionaleessi si affacciarono, pare, allinizio del IV secolo edebbero presto ragione delle resistenze opposte daiLiguri e dagli Etruschi, cui strapparonosuccessivamente Melpum (che chiamarono

    Mediolanum, Milano) e Felsina(Bologna).Unorda di questi Galli, con a capo Brenno, si

    spinse attraverso lEtruria interna e nel 390(secondo Livio V 41 sgg.; 386 secondo la migliorecronologia di Polibio I 6, 1-2) travolse sul fiumeAl lia, piccolo affluente del Tevere, lo schieramentodifensivo dei Romani e dei loro alleati. Nessun altroostacolo si frapponeva sulla via verso la vicinaRoma, che fu presa e messa a ferro e fuoco. Solodopo vari mesi i Romani riuscirono a fareallontanare i barbari dalla citt, e non per leroicariscossa di Camillo - come pi tardi si raccont - mapagando una forte somma di riscatto; del resto gliinvasori non erano mossi dal desiderio di conquisteterritoriali, ma solo dalla cupidigia di far bottino.

    Gli storici romani, per attenuare le proporzionidel disastro, raccontarono anche che si ebbeunimmediata ripresa in ogni campo, tanto che un

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    solo anno sarebbe bastato a ricostruire la citt, ma il

    vero che il contraccolpo subi to dalla potenzaromana fu assai duro: Volsci ed Equi ripresero i loroattacchi mentre veniva meno laiuto dei Latini edegli Ernici, che avevano colto il destro per sottrarsiagli obblighi del trattato che li legava a Roma. Uncompenso a questo pericoloso isolamento i Romanilo trovarono in una salda unione con la potente cittetrusca di Cere (oggi Cerveteri) che, situata presso lacosta tirrenica, non era stata toccata dalledevastazioni dei Galli. A Cere erano stati posti insalvo e avevano trovato ospitalit i patrii Penati e leVestali: in cambio di questo benefic io, cheattraverso la continuit dei culti cittadini avevaassicurato la sopravvivenza del la loro patria, iRomani offrirono ai Criti la civitas sine suffragio (=senza diritto di voto), una specie di cittadinanzaonoraria che cementava i vincoli fra i due popoli

    facendoli hospites gli uni degli altri.Forti di questa intesa, i Romani potettero

    intraprendere quel trentennio di lotte che liportarono a restaurare il loro prestigio nel Lazio.Contro i Volsci il conflitto si protrasse con alternevicende sino al la def init iva occupazione del lapianura pontina, che nel 358 entr a far parte delterritorio dello Stato. Ugualmente fortunata fu la

    lotta contro gli Equi collegati con Preneste, lottanella quale Roma fu largamente aiutata daiTuscolani, i pi espost i all a minaccia degl i Equi.Nello stesso anno 358, che aveva visto chiudersi ilduello con i Volsci, riusciva a Roma di riannodare lefila della sua triplice alleanza rinnovando gli antichilegami con gli Ernici e con le citt della lega latina.Dopo essere in tal modo risalita dal baratro in cui

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    laveva precipitata linvasione dei Galli, Roma

    imbocc una nuova politica che port alla fine dellastretta intesa con i Ceriti e, in generale, dellacollaborazione con gli Etruschi.

    Causa di questa rottura fu il prevalere dellareazione conservatrice su quei circolidemocratizzanti di tendenza filo-etrusca che sotto laguida del tribuno Licinio Stolone avevanovigorosamente patrocinato le rivendicazioni dellaplebe e, come vedremo, erano riusciti a restaurareleleggibilit dei plebei al consolato, Questo dragione del carattere di spietata ferocia che assunseil rinnovato cozzo dei Romani con gli Etruschi,soprattutto con i Tarquiniesi ed i Falisci. Cos nel358, dopo uno scontro sfortunato, alcune centinaiadi prigionieri romani furono trascinati a Tarquinia epassati per le armi; quattro anni appresso, quando laguerra prese una piega favorevole ai Romani, questi

    si vendicarono infliggendo il medesimo trattamentoad un numero ancor maggiore di Tarquiniesi presi inbattaglia. Nel 353 si pattu con i Ceriti una treguaper la durata di cento anni e infine nel 351 fuconclusa la pace con i Tarquiniesi e i Falisci.

    Ma queste lotte cos aspre ed impegnative suiconfini settentrionali avevano deteriorato leposizioni romane, ancora in via di consolidamento,

    nel settore meridionale, cio di fronte alle cittlatine. Ce lo mostra, fra laltro, una clausolacontenuta in un nuovo trattato che nel 348 Romaconcluse con Cartagine allo scopo di confermarelantica amicizia e di delimitare le rispettive sferedinfluenza nella navigazione e nel commercio. Se iCartaginesi, riferisce Polibio, avessero preso nelLazio qualche citt non soggetta ai Romani, essi

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    potevano tenere il bottino e i prigionieri salvo a

    consegnare la citt ai Romani. Una clausola, questa,assai diversa da quella sancita nel precedente trattatoun secolo e mezzo avanti, quando si era convenutolobbligo per i Cartaginesi di astenersi dallattaccarele citt del Lazio e, se ne avessero presa qualcuna, diconsegnarla intatta ai Romani. Nel 348, dunque,Roma sembra non solo prevedere attacchi deiCartaginesi contro le citt latine con lei noncollegate, ma anche incoraggiare tali attacchistabilendo i vantaggi che ne potevano derivareallaggressore. Evidentemente era un modo di farpressione sui Latini, le cui relazioni coi Romani sierano nuovamente guastate.

    Allo stesso fine, in fondo, pare fosse statoconcluso qualche anno prima, nel 354, un trattato dialleanza con i Sanniti.

    2. I Sanniti e il loro primo conflitto con Roma. - ISanniti erano una popolazione d stirpe sabellica,stanziata sullAppennino meridionale, che alprincipio del V sec. avevano cominciato a spostarsiverso il sud provocando, fra laltro, la calata deiVolsc i nella pianura pont ina. Favorite dal declinodella potenza etrusca, le trib sannitiche pimeridionali sboccarono nella Campania ove si

    sovrapposero agli Ausoni, dei quali peraltroassorbirono la superiore civilt, formatasi alcontatto con gli Etruschi e con i Greci della MagnaGrecia. Questi invasori, che i Greci chiamaronoObiki e i Latini Opsci oppure Osci, si radicaronosaldamente nelle nuove sedi organizzandosi in treleghe, con al centro rispettivamente Nuceria (od.Nocera), Nola e Capua (od. Santa Maria Capua

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    Vetere) . Questultima, la lega dei Campani, era la pi

    importante per estensione e potenza, tanto cheCapua divenne una delle prime citt dItalia. Ildiverso grado di civilt e i contrastanti interessicausarono una frattura fra gli Osci e le pi arretratetrib sabelliche rimaste sui monti, ossia le trib (danord a sud) dei Caraceni, dei Pentri, degli Irpini, deiCaudini, che i Romani chiamarono col nomecomplessivo di Samnites. Intorno alla met del IVsecolo i Sanniti costituivano una compagine politicaorganizzata su basi federali (meddix si chiamava ilcapo di ogni trib, meddix tuticus il capo di tutta lafederazione), che si estendeva dal versante adriaticoa quello tirrenico, ove premeva sulle fertili terretenute dagli Osci.

    Laccordo del 354 implicava da parte deiRomani laccettazione della politica espansionisticadei rudi e bellicosi montanari dei Sannio verso la

    Campania, e se Roma dovette per il momentoacconciarvisi fu per costituire una minaccia allespalle dei Latini recalcitranti, e anche per impedireche eventualmente i Sanniti si intendessero con glistessi Latini. Ma non si era trattato che diunoccasionale convergenza dinteressi, e difatti,appena i Sanniti tentarono di realizzare le loro miresulla Campania, trovarono la pi energica

    opposizione proprio nei Romani.La loro prima mossa fu in direzione di Teano,uno dei centri del piccolo popolo dei Sidicini.Questi si rivolsero per aiuti alla lega campana e a suavolta Capua, facendos i accogliere in seno allafederazione romano-latina, si assicur lappoggioromano. Scoppiava cosi, nel 343, la prima guerrasannitica, che ebbe come scontri principali una

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    battaglia al Monte Gauro (nei Campi Flegrei) e una

    presso Suessula (non lungi dallodierna Cancello, inprov. di Caserta) Gli storici antichi parlarono anchedi una terza battaglia che si sarebbe combattuta aSaticula (SantAgata dei Goti), ma sembra pococredibile che lesercito romano si spingesse cosaddentro nel Sannio. Comunque, il duello si erarisolto in un trionfo della superiore organizzazionemilitare dei Romani, s che i Sanniti sindussero achiedere pace.

    Contemporaneamente si acuivano i vecchidissidi fra i Romani e i loro alleati, e mentre i primi,in vista di eventuali complicazioni nel Lazio,concedevano ai Sanniti miti condizioni, lasciandoloro mano libera contro i Sidicini di Teano, i Latininon solo deliberavano di continuare da soli la lottacontro i Sanniti, ma scendevano in guerra apertacontro Roma, decisi ad abbatterne la supremazia.

    3. Insurrezione e scioglimento della lega latina -Verif icatos i un totale rovesciamento di posiz ioni,dalla parte dei Latini si schierarono i Campani,scontenti della pace concessa ai Sanniti, e invecequesti ultimi si accordarono con i Romani.

    Per effetto di tale accordo un esercitocomandato dai consoli Tito Manlio Torquato e

    Publio Decio Mure (340) si port in Campaniapassando non per linfido territorio del Lazio, maaddentrandosi nel paese dei Marsi e dei Peligni perpoi scendere attraverso il Sannio a congiungersi conlesercito sannita. Lo scontro si ebbe presso lalocalit di Veseris non lontano dal Vesuvio, e lavittoria fu ass icurata - si raccont poi - daipatriottismo del console Decio Mure, che fece getto

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    della propria vita per assicurare il trionfo delle armi

    romane. La lotta continu ancora per due anni esolo nel 338 i Latini, a cui si erano uniti anche iVolsc i di Anzio, furono def in it ivamente piegati condue battaglie combattute nel cuore del loroterritorio.

    Le condizioni di pace dettate alle citt latinedopo la loro completa disfatta danno la misura dellalungimiranza della classe politica che reggeva le sortidella repubblica romana. I Latini avevano violato ilpatto di alleanza e, come fedifraghi, avrebberopotuto attendersi le pi dure imposizioni; ottennero,invece, un trattamento tale che da quel momento inpoi formarono un blocco unico con Roma.Naturalmente la loro lega, dopo un secolo e mezzodi vita, dovette sciogliersi, s che nel Lazio nonsopravvisse che lantichissima lega religiosa per lacelebrazione delle Feriae Latinae in onore di Giove

    Laziare. Le varie citt ebbero, quindi, una sortediversa a seconda che per ciascuna parve piopportuna. I centri pi importanti della discioltalega e pi vicini a Roma come Lanuvio, Aricia,Nomento, Pedo furono trasformati in comuniromani, vale a dire che i loro abitanti cessarono diessere Lanuvini, Aricini etc., e diventarono Romani,con tutti i relativi diritti e doveri, mentre il loro

    territorio veniva unito a quello dello stato romanorendendolo pi ampio e compatto. Le altre cittlatine, come Tivoli, Preneste, Cora e tutte quelle chea suo tempo erano nate come colonie latine,mantennero la loro fisionomia di comuni Latiniformalmente indipendenti, salvo il divieto di unirsifra loro in nuove leghe e labolizione delvicendevole dir it to di conubium (cio di contrarre

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    matrimoni misti giuridicamente validi) e di

    commercium (cio di stipulare fra loro atti dicompravendita giuridicamente validi). Ciascunadovette sottoscrivere con Roma un singolo trattatodi alleanza, che sanciva i vantaggi e gli obblighi deisuoi cittadini rispetto ai Romani: fra gli obblighi inprimo luogo quello di concorrere con uncontingente militare alle guerre di Roma, tra ivantaggi quel lo di poter acqu istare, volendo, lacittadinanza romana col semplice trasferimento deldomicilio in Roma. Un privilegio di non pocaimportanza, questultimo, che rendeva possibile aipersonaggi pi cospicui delle citt latine di stabilirsiin Roma e di affermarsi, attraverso la partecipazionealla vita pubblica, in seno alla classe di governo.

    Anche per i Campani, che come i VolsciAnziat i erano stat i a fianco dei Latini ribell i, ma chebisognava tutelare dalle mire espansionistiche dei

    Sanniti cui restavano esposti, le condizioni di pacenon furono punitive, bens intese ad assicurare losviluppo di amichevoli rapporti; pertanto, come adAnzio, fu conferita la civitas sine suffragio a Capua, aCuma, a Suessula, nonch a Fundi (Fondi) e Formiae(Formia) che si trovavano in posizione dominantesulla via, ormai dinteresse vitale, che menava dalLazio alla Campania. Assai duro fu invece il

    trattamento inflitto alla volsca Velletri, ovelaristocrazia ribelle fu sbandita e spogliata delle sueterre, che vennero assegnate a cittadini romani.

    Quanto agli Ernici, che a differenza dei Latininon erano venuti meno al rispetto del trattato dialleanza, essi restarono nellantica condizione di

    foederati.

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    4. La seconda guerra sannitica. - Lintervento

    romano in Campania, se aveva creato i lontanipresupposti per unespansione verso quellecontrade, doveva portare, per la stessa ragione, adun nuovo e pi aspro conflitto coi Sanniti. Gliinsuccessi della guerra del 343 non potevano bastarea distogliere le mire di costoro da quelle terrenaturalmente ubertose e fecondate dal lavoro di unapopolazione industriosa e civile. Consapevoli diquesto, i Romani si preoccuparono assai presto diconsolidare la loro posizione, badando soprattuttoad assicurarsi con nuove alleanze il controllo dellevie natural i di comunicazione con la Campania.

    Da parte loro, i Sanniti avevano esteso la loroingerenza in Campania stringendo accordi con lalega osca di Nola e con la citt greca di Napoli, dovead un certo punto introdussero anche un loropresidio. Ma questa intesa con i Sanniti sembra che

    in Napoli fosse sostenuta dal partito popolare einvece osteggiata dagli aristocratici i quali, quandonel 327 i Romani decisero di interveniremilitarmente, intavolarono con loro lunghe trattativeche si conclusero con la stipulazione di un accordo.Era un gran successo per la politica romana averattirato nel sistema delle sue alleanze una delleprincipali citt della Magna Grecia, ma nello stesso

    tempo si dava luogo ad un nuovo, e questa voltaassai pi duro, conflitto col Sannio.Piuttosto oscuri rimangono gli sviluppi di

    questa seconda guerra sannitica, anche perch glistorici romani che pi tardi la narrarono nealterarono il racconto, sforzandosi di ingrandire levittorie e, soprattutto, di mettere in ombraglinsuccessi. Ma certo che le prime battute

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    culminarono in una disfatta per i Romani, che

    avevano cercato audacemente di colpire la potenzanemica nel cuore del suo territorio. Nel 321, mentrele legioni, al comando dei due consoli sinoltravanonello gole verso Benevento, in vicinanza di Caudiumcaddero in unimboscata e furono costrette adarrendersi e passare sotto il giogo (Forche Caudine).Di questo grosso successo i Sanniti non sepperoapprofittare e pertanto liniziativa rest ai Romani, iquali, anzich ritentare la prova dellattacco diretto,intrapresero unabile politica per accerchiare inemici. Si assicurarono infatti lamicizia dei popolistanziati sullAppennino a nord dei Sanniti (i Marsi, iPeligni, i Marrucini, i Frentani) e strinsero alleanzacon alcune citt dellApulia che si sentivanominacciate dalla pressione sannitica.

    A questo punto i Sanniti si mossero perspezzare laccerchiamento e, sboccati nella pianura

    laziale, giunsero anche a minacciare da vicino lastessa Roma, che per riusc a contenere la lorooffensiva e a presidiare con nuove colonie le viedaccesso dal Sannio verso il Lazio e la Campania. Inquesta regione i Romani condussero energicheoperazioni non solo per via di terra (e a questoscopo fu costruita la prima grande arteria stradaledEuropa, la via Appia, con la quale nel corso della

    sua censura cominciata nel 312 Appio Claudio ilCieco congiunse Roma con Capua), ma anche pervia di mare, creando un corpo di fanteria da sbarcoche agli ordini dei duoviri navales, istituiti nel 311,oper sulle spiagge di Pompei.

    Nonostante qualche complicazione in Etruria, emalgrado la defezione degli Ernici che venneropresto domati, la guerra si avviava ad un epilogo

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    favorevole per i Romani, che nel 305 avanzarono

    ben addentro nel territorio dei nemici costringendolia chiedere pace. Questa fu stipulata nel 304, ementre il Sannio restava sostanzialmente intatto (peril momento non era nemmeno da pensare ad unadiretta dominazione), il territorio romano risultavaingrandito dal territorio degli ex alleati Ernici chenel 306 si erano ribellati. Si trattava di Anagnia ,

    Aletr iume Frusino(Frosinone), i cui abitanti venneropuniti con lincorporazione nello Stato romano inqualit di cives sinesuffragio. Infatti a partire da questomomento) la civitas sine suffragionon rappresent piuna forma di cittadinanza onoraria, come era stata a ltempo in cui fu data ai Criti; ormai le citt cui essaera stata estesa cessavano di essere comunitautonome per divenire municipi romani, e municipesdiventavano i loro abitanti perch, trasformati incives sine suffragio non erano pi, per es., Anagnini,

    Frusinati ecc., ma cittadini romani di una categoriainferiore. Linferiorit consisteva nel doveradempiere agli obblighi che incombevano sugli altricittadini romani (municipes da munia capere) senzapoter godere dei diritti politici (simboleggiati dalsuffragiumo voto).

    5. La terza guerra sannitica e lampliarsi della

    federazione romano-ital ica. - Appena sei anni durlintervallo fra la seconda e la terza guerra sannitica.Quella del 304, piuttosto che una pace, era stata unatregua, e i Romani ne approfittarono per colpire edebellare definitivamente gli Equi, che avevanoripreso le armi, e occuparne buona parte delterritorio ove furono fondate le colonie di AlbaFucens (nel 303: Liv. X 1, 1) e di Carsioli (nel 302 o

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    nel 298: Liv. X 3, 2; 13, 1. Vell. Pat. I 14). Nel

    frattempo grosse nuvole tornavano ad addensarsisullorizzonte, e mentre Roma era costretta adimpegnarsi contro i Sabini e gli Umbri, dovettenuovamente affrontare lurto dei Sanniti, coalizzatiquesta volta con gli Etruschi e i Galli Snoni(stanziati nelle odierne Marche). Sulle prime, graziealla posizione geografica centrale che separava inemici del nord da quelli del sud, fu piuttostoagevole ai Romani di controllarne le mosse; maquando un grosso esercito sannita, passandoattraverso il territorio dei Peligni e dei Sabini, riusca congiungersi nellUmbria con le forze degli altricoalizzati, il pericolo divenne mortale. Lo scontrodecisivo, che avvenne nel 295 presso Sentinum (nonlungi da Sassoferrato), giustamente fu definitobattaglia delle nazioni: dal suo esito, infatti,doveva dipendere se la penisola aveva ancora da

    restar divisa fra popolazioni di stirpe e civiltdiverse oppure avviarsi alla completa unit nazionalee statale sotto limpero di Roma. La grande vittoria,che cost gravi perdite e la morte di un console(Publio Decio Mure - si raccont - come gi suopadre nella guerra contro i Latini del 340, avrebbeconsacrato la vita agli dei inferi), scongiur per iRomani il pericolo di rimanere schiacciati dalla

    coalizione avversaria, ma per concludere il conflittooccorsero ancora altri cinque anni di guerra. Altermine dei quali, nel 290, la potenza romanarisultava notevolmente accresciuta. Il Sannio rimaseindipendente, ma vincolato da un foedus e ancor pidi prima controllato da nuove colonie come

    Minturnae e Sinuessa (presso Mondragone), fondatesul versante tirrenico, e Venusia (in Apulia, od.

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    Venosa), che con i suoi 20 mila coloni rappresentava

    per i Sanniti una formidabile minaccia alle spalle.Parecchie citt degli Etruschi, come Volsinii(Bolsena), Arezzo, Perugia e Chiusi dovetteroentrare nellalleanza romana, e cos pure varie cittdegli Umbri, fra cui alcune (Spoleto, Foligno), per laloro posizione geografica dominante, furonodirettamente occupate da i Romani.

    Ugualmente in diretto possesso dei Romanicaddero lampio territorio dei Sabini e il Piceno, epoco dopo venivano strappate ai Galli Senoni le loroterre sullAdriatico, ove pi tardi furono fondate lecolonie di Sena Gallica (Senigallia) e Arminum(Rimini). In tal modo Roma aveva fatto dellaconfederazione romano-italica una delle principalipotenze del Mediterraneo: il territorio dellarepubblica si aggirava sui 20 mila kmq con unapopolazione di circa un milione di cives Romani,

    mentre a un paio di milioni assommavano i foederat idistribuiti su un territorio di 60 mi la kmq.

    Sullinvasione gallica della Penisola v., p. es., A. G RENIER,Les Gaulois,Paris 1923; sulla questione relativa allitinerario seguitodallorda che giunse a occupare Roma, G. VITUCCI , Problemi di storiae archeologia dellUmbria, Perugia 1964, p. 291 sgg. Sullo scontro alfiume Allia (come poi, in genere, su tutte le battaglie combattute daGreci e da Romani) sono da vedere gli Ant ike Sc hlac ht felde r di J. KROMAYER e G. VEITH, voll. 4, Berlin 1903-1931, corredati dallo

    Schlachten Atlas (ai medesimi autori si deve la trattazione sulleantichit militari nello Handbuchdel MLLER, con il titolo: Heerwesenund Kriegfhrung der Griechen und Rmer, Mnchen 1928). Sullerelazioni fra Roma e Cere, M. SORDI , I rapporti romano-ceriti e loriginedella civitas sine suffragio, Roma 1960. Accennando al secondotrattato romano-cartaginese, Polibio (III, 24, 1-6) non ne riferiscela data; tra le varie opinioni dei moderni preferibile quella che locolloca nel 348, al quale anno Livio registra per la prima volta un

    foedusfra Roma e Cartagine: cfr. S. MAZ ZA RI NO, op. cit. sopra, p. 45.

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    Il racconto della I guerra sannitica spec. in L IV. , VII 29 eVI II 2 (qual che cen no an che in CIC. , De divinatione I 24, 51;

    DIONYS. XV, 3, 2; APPIAN. , Samn. 1, e altri). Invece Diodoro netace completamente, dal che alcuni critici hanno voluto ricavare chesi tratterebbe soltanto di una falsificazione dellanna listica (vedi peresempio F. E.ADCOCK, in Cambridge Ancient History, vol. VII,p. 588).

    Sulla devotio del console Publio Decio Mure, sospetta allacritica perch la cosa si ripete per Publio Decio Mure figlio (cos.295) alla battaglia di Sentinum,e per Publio Decio Mure nipote (cos.279) alla battaglia di Ascoli contro Pirro, interessante la formulariportata da L IV. , VIII 9, 6-9: Iane, Iuppiter, Mars pater, Quirine,Bellona, Lares, divi Novensiles, di Indigetes, divi quorum est potestas

    nostrorum hostiumque, diique Manes, vos precor veneror veniam peto feroque,uti populo Romano Quiritium vim victoriamque prosperetis hostesque populiRomani Quiritium terrore, formidine morteque adficiatis. Sicut verbisnuncupavi, ita pro re publica Quiritium, exercitu, legionibus, auxiliis populiRomani Quiritium legiones auxiliaque hostium mecum deis ManibusTellurique devoveo.

    Le condizioni di pace alla fine del bellum Latinum sonoriportate in particolare da Livio (VIII 14: Lanuvinis civitas datasacraque sua reddita cum eo, ut aedes lucusque Sospitae Iunonis communisLanuvinis municipibus cum populo Romano esset. Aricini Nomentanique etPedani eodem iure, quo Lanuvini, in civitatem accepti. Tusculanis servata