androidi: l'era dei replicanti è iniziata! (e-book) -

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Fausto Intilla Androidi Prima edizione: Gennaio 2010 2010 by Fausto Intilla Pubblicazione privata, non commerciale . Disponibile solo ed esclusivamente in formato elettronico (e-book). WWW.OLOSCIENCE.COM

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Una nota importante: Questo libro, è il frutto di una raccolta di testi (riportati fedelmente nella loro forma originale), immagini e informazioni tratte prevalentemente dal Web. Alla fine di ogni paragrafo, sarà mia premura quindi, fornire ai lettori tutti i link relativi alla sitografia specifica da cui sono state tratte le informazioni. Il contenuto: Nel libro viene presentato il percorso evolutivo degli automi artificiali, dall’antichità sino ai tempi moderni. Verrà quindi descritto il loro progressivo sviluppo, dai tempi in cui era possibile parlare solo di funzionalità meccaniche di tali congegni artificiali, sino ai giorni nostri, in cui la meccanica di questi automi (chiamati sempre più comunemente androidi o ginoidi, poichè sempre più spesso vengono costruiti con sembianze umane) si fonde con il mondo della bioingegneria, attraverso elementi costruttivi e costitutivi le cui basi poggiano sui moderni concetti di neuro-robotica e cibernetica. Verranno inoltre esaminati i possibili risvolti di una futura interazione tra esseri umani e automi artificiali, quando questi ultimi saranno ormai così numerosi, da rappresentare una vera e propria società parallela a quella umana.

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Fausto Intilla

Androidi

Prima edizione: Gennaio 2010

2010 by Fausto Intilla Pubblicazione privata, non commerciale.

Disponibile solo ed esclusivamente in formato elettronico (e-book).

WWW.OLOSCIENCE.COM

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Una nota importante: Questo libro, è il frutto di una raccolta di testi (riportati fedelmente nella loro forma originale), immagini e informazioni tratte prevalentemente dal Web. Alla fine di ogni paragrafo, sarà mia premura quindi, fornire ai lettori tutti i link relativi alla sitografia specifica da cui sono state tratte le informazioni.

Il contenuto: Nel libro viene presentato il percorso evolutivo degli automi artificiali, dall’antichità sino ai tempi moderni. Verrà quindi descritto il loro progressivo sviluppo, dai tempi in cui era possibile parlare solo di funzionalità meccaniche di tali congegni artificiali, sino ai giorni nostri, in cui la meccanica di questi automi (chiamati sempre più comunemente androidi o ginoidi, poichè sempre più spesso vengono costruiti con sembianze umane) si fonde con il mondo della bioingegneria, attraverso elementi costruttivi e costitutivi le cui basi poggiano sui moderni concetti di neuro-robotica e cibernetica. Verranno inoltre esaminati i possibili risvolti di una futura interazione tra esseri umani e automi artificiali, quando questi ultimi saranno ormai così numerosi, da rappresentare una vera e propria società parallela a quella umana.

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INDICE

Parte I I primi automi della storia: dalle idee di Leonardo a quelle di Jacques de Vaucanson. 04 Qualche passo nella fantascienza: da Frankenstein di Mary Shelley ai replicanti di Philip K. Dick. 23 Dalla robotica umanoide agli organismi cibernetici.38 Parte II Bioingegneria e sistemi neuro-robotici. 83 Sviluppo e tecnologia dei moderni automi: dagli androidi della Hanson Robotics a quelli del Prof. Hiroshi Ishiguro. 109 Il futuro degli esseri umani: evoluzione e convivenza con i robot. 126

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I primi automi della storia: dalle idee di Leonardo a quelle di Jacques de Vaucanson.

“Per inventare hai bisogno di una buona immaginazione e di una pila di cianfrusaglie”.

Thomas Alva Edison

L’automa cavaliere di Leonardo Da Vinci. Gli automi ebbero una fase di grande sviluppo in seguito alla riscoperta della cultura greca durante il Rinascimento. Oltre ai progressi nella filosofia della scienza e in discipline come astronomia, matematica e geometria, ci furono diversi avanzamenti tecnologici. La riscoperta degli scritti di scienziati come Ctesibio ed Erone di Alessandria, così come quelli di Filone di Bisanzio, fortunatamente conservati a opera degli arabi e dei bizantini, ebbe sicuramente influenza sugli studiosi rinascimentali.

È ormai entrato nell’immaginario comune che tra i tantissimi progetti di Leonardo ci sia anche quello di un “cavaliere meccanico”. La prima vera tecnologia degli automi meccanici si può far risalire al medioevo, quando si cominciano a costruire le prime figure mobili che arricchivano i campanili e gli orologi delle chiese.

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Il primo progetto documentato di un androide è firmato appunto da Leonardo da Vinci e risale al 1495 circa: appunti riscoperti negli anni cinquanta nel codice Atlantico1 e in piccoli taccuini tascabili databili intorno al 1495-1497 mostrano disegni dettagliati per un cavaliere meccanico in armatura, che era apparentemente in grado di alzarsi in piedi, agitare le braccia e muovere testa e mascella, emettendo suoni dalla bocca grazie ad un sofisticato meccanismo di percussioni collocato all'altezza del petto. L'automa cavaliere di Leonardo era probabilmente previsto per animare una delle feste alla corte sforzesca di Milano, tuttavia non è dato sapere se fu realizzato o meno.

Il primo a identificarlo nascosto tra i disegni vinciani è stato Carlo Pedretti, nel 1957. Nel 1974, a firma di Ladislao Reti, il cavaliere meccanico viene citato nuovamente, nell’edizione da lui curata del Codice Madrid. Per arrivare a un tentativo di ricostruzione, bisogna attendere il 1996: Mark Rosheim pubblica infatti un suo studio e poi collabora con l’Istituto e Museo di Storia della Scienza di Firenze, che in una

1 Il codice Atlantico è la più ampia raccolta di disegni e scritti di Leonardo da Vinci, comprendente 1119 fogli raccolti in 12 volumi, ed è attualmente conservato alla Biblioteca Ambrosiana di Milano. Il nome del codice è dovuto alla dimensione delle pagine (64,5 x 43,5 cm), simile a quella delle pagine di un atlante. I fogli sono assemblati senza un ordine preciso ed abbracciano un lungo periodo degli studi leonardeschi, dal 1478 al 1519. Sono presenti diversi argomenti: anatomia, astronomia, botanica, chimica, geografia, matematica, meccanica, disegni di macchine, studi sul volo degli uccelli e progetti d'architettura.

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sua mostra dedicherà così una sezione al robot studiato da Rosheim. Ma sarà solo nel 2002 che Rosheim costruirà un modello fisico completo, per un documentario della BBC. Da allora, in molte mostre e musei di modelli vinciani si può trovare una copia di un soldato con rotelle chiamato “il robot di Leonardo”. Gli studi sull’argomento riferiscono che i manoscritti del progetto del robot di Leonardo si trovano nel Codice Atlantico, soprattutto sul foglio 579r. Ulteriori ricerche individuano anche i fogli 1077r, 1021r e 1021v come possibile fonte dei meccanismi di questo misterioso robot umanoide.

Modello dell'automa cavaliere di Leonardo e (a fianco) i suoi meccanismi interni (esposizione Leonardo da Vinci. Mensch -

Erfinder - Genie, Berlino 2005)

L'automa di Leonardo, che era il frutto delle ricerche dei precedenti studi di anatomia e cinetica registrati nel Codice Huygens, rispettava nelle proporzioni il canone delle proporzioni dell'Uomo vitruviano. È stato

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ipotizzato (secondo voci raccolte da Vasari, Lomazzo e Buonarroti) che Leonardo abbia anche lavorato ad un automa a forma di leone, di cui però non esiste alcuna testimonianza diretta.

Il primo “automa funzionante”

La fine del XVIII secolo e il XIX secolo vede fiorire la moda degli automi meccanici, concepiti soprattutto come sofisticati giocattoli, ma talvolta assai perfezionati. Il primo automa funzionante conosciuto venne creato nel 1738 da Jacques de Vaucanson2, che fabbricò un automa che suonava il flauto, così come

2 Jacques de Vaucanson (Grenoble, 1709 – Parigi, 1782) è stato un inventore e meccanico francese. Inventore del primo telaio automatico. Costruì il suo primo meccanismo automatico nel 1737. Nel 1751 inventò una ruota automatica per la dipanatura che utilizzava la tessitura a spina di pesce. Più tardi creò il primo telaio interamente automatico, di cui fu costruito un modello nel 1745. Tra i suoi congegni mise a punto elementi meccanici che sono tuttora utilizzati per le macchine utensili. Vaucanson è inoltre famoso per aver costruito alcuni automi, tra i quali un piccolo flautista completamente automatizzato dotato di labbra mobili, una lingua meccanica che fungeva da valvola per il flusso dell'aria e dita mobili le cui punte in pelle aprivano e chiudevano i registri del flauto. Ma la sua più grande opera fu un'anatra, un automa di tale versatilità da non essere ancora stato superato. L'anatra poteva bere acqua con il becco, mangiare semi di grano e replicare il processo di digestione in una camera speciale, visibile agli spettatori; ognuna delle sue ali conteneva quattrocento parti in movimento, che potevano simulare alla perfezione tutte le movenze di un'anatra vera. Voltaire fu cosi colpito da questi automi da battezzare Vaucanson "il rivale di Prometeo". Nel 1746 fu ammesso all'Accademia delle Scienze.

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un'anatra meccanica che, secondo le testimonianze, mangiava e defecava.

Alla fine del Settecento ad un inventore ungherese, il barone Wolfgang Von Kempelen, fu attribuita l'ideazione di un automa in grado di giocare a scacchi, Il Turco, poi rivelatosi (nel 1857) un elaborato imbroglio. Tra il 1770 ed il 1773 due inventori, Pierre e Henri-Louis Jaquet-Droz, costruirono tre sorprendenti automi: uno scrivano, un disegnatore ed un musicista (ancora funzionanti, si trovano nel Musèe d'Art et d'Histoire di Neuchâtel in Svizzera).

Le Canard digérateur (l'anatra digeritrice) di Jacques de Vaucanson, salutato nel 1739 come il primo automa capace di

digestione.

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Automi nell’antichità

Gli automi nel mondo ellenistico erano concepiti come giocattoli, idoli religiosi per impressionare i fedeli o strumenti per dimostrare basilari principi scientifici, come quelli costruiti da Ctesibio, Filone di Bisanzio (III secolo a.C.) ed Erone di Alessandria (I secolo). Quando gli scritti di Erone su idraulica, pneumatica e meccanica, conservati a opera degli arabi e dei bizantini, furono tradotti in latino nel Cinquecento e in italiano, i lettori iniziarono a ricostruire le sue macchine, tra cui sifoni, un idrante, un organo idraulico, l'eolipila3 e, appunto, gli automi, sulla cui

3 L'eolipila può essere considerato l'antenato della macchina a vapore. Ideato nel I secolo dal matematico e scienziato greco Erone il vecchio, è costituita da una sfera (probabilmente metallica), che si mantiene in rotazione per effetto del vapore contenuto al suo interno, che fuoriesce con forza da due tubi sottili a forma di “L”. Una sfera cava di rame è collegata con due tubicini ricurvi che si dipartono da due punti estremi della sfera posti sullo stesso asse diametrale. I tubicini terminano con due brevi tratti rettilinei paralleli tra loro, ma situati rispetto all'asse diametrale, da parti opposte. Uno dei tubicini è saldato alla sfera, l'altro può essere svitato per riempire d'acqua la sfera. Ambedue terminano con un forellino. La sfera può ruotare attorno ad un asse diametrale orizzontale per mezzo di due supporti sostenuti da due colonne sagomate di legno, poste su una larga base di legno. Riempita di acqua la sfera, la si riscalda con la fiamma. Quando il liquido raggiunge una temperatura sufficientemente elevata, il getto del vapore dagli orifizi pone in rotazione la sfera intorno all'asse diametrale orizzontale. Il verso del moto è naturalmente opposto a quello dei getti. La eolipila fu ideata da Erone di Alessandria, celebre matematico ed ingegnere del I secolo d.C.

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costruzione Erone aveva scritto uno dei suoi trattati di maggior successo, Automata, in cui egli illustra teatrini automatici dotati di moto autonomo, rettilineo o circolare, per tutta la durata dello spettacolo.

Si conosce l'esistenza di complessi dispositivi meccanici nella Grecia antica, benché l'unico esemplare sopravvissuto sia la Macchina di Anticitera4.

4 La macchina di Anticitera (greco moderno: O µηχανισµός των Αντικυθήρων, O michanismós ton Andikithíron), nota anche come meccanismo di Antikythera, è il più antico calcolatore meccanico conosciuto, databile intorno al 150-100 a.C. Si tratta di un sofisticato planetario, mosso da ruote dentate, che serviva per calcolare il sorgere del sole, le fasi lunari, i movimenti dei cinque pianeti allora conosciuti, gli equinozi, i mesi, i giorni della settimana e - secondo un recente studio pubblicato su Nature - le date dei giochi olimpici. Trae il nome dall'isola greca di Anticitera (Cerigotto) presso cui è stata rinvenuta. È conservata presso il Museo archeologico nazionale di Atene. Il meccanismo fu ritrovato nel 1900 grazie alla segnalazione di un gruppo di pescatori di spugne che, persa la rotta a causa di una tempesta, erano stati costretti a rifugiarsi sull'isoletta rocciosa di Cerigotto. Al largo dell'isola, alla profondità di circa 43 metri, scoprirono il relitto di un'enorme nave affondata, risalente all'87 a.C. e adibita al trasporto di statue in bronzo e marmo. Il 17 maggio 1902 l'archeologo Spyridon Stais, esaminando i reperti recuperati dal relitto, notò che un blocco di pietra presentava un ingranaggio inglobato all'interno. Con un più approfondito esame si scoprì che quella che era sembrata inizialmente una pietra era in realtà un meccanismo fortemente incrostato e corroso, di cui erano sopravvissute tre parti principali e decine di frammenti minori. Si trattava di un'intera serie di ruote dentate, ricoperte di iscrizioni, facenti parte di un elaborato meccanismo ad orologeria. La macchina era delle dimensioni di circa 30 cm per 15 cm, dello spessore di un libro, costruita in bronzo e originariamente montata in una cornice in legno. Era ricoperta da oltre 2.000 caratteri di

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scrittura, dei quali circa il 95% è stato decifrato (il testo completo dell'iscrizione non è ancora stato pubblicato). Il meccanismo è attualmente conservato nella collezione di bronzi del Museo archeologico nazionale di Atene, assieme alla sua ricostruzione. Alcuni archeologi sostennero che il meccanismo era troppo complesso per appartenere al relitto ed alcuni esperti dissero che i resti del meccanismo potevano essere fatti risalire ad un planetario o a un astrolabio. Le polemiche si susseguirono per lungo tempo ma la questione rimase irrisolta. Solo nel 1951 i dubbi sul misterioso meccanismo cominciarono ad essere svelati. Quell'anno infatti il professor Derek de Solla Price cominciò a studiare il congegno, esaminando minuziosamente ogni ruota ed ogni pezzo e riuscendo, dopo circa vent'anni di ricerca, a scoprirne il funzionamento originario. Il meccanismo risultò essere un antichissimo calcolatore per il calendario solare e lunare, le cui ruote dentate potevano riprodurre il rapporto di 254:19 necessario a ricostruire il moto della Luna in rapporto al Sole (la Luna compie 254 rivoluzioni siderali ogni 19 anni solari). L'estrema complessità del congegno era inoltre dovuta al fatto che tale rapporto veniva riprodotto tramite l'utilizzo di una ventina di ruote dentate e di un differenziale, un meccanismo che permetteva di ottenere una rotazione di velocità pari alla somma o alla differenza di due rotazioni date. Il suo scopo era quello di mostrare, oltre ai mesi lunari siderali, anche le lunazioni, ottenute dalla sottrazione del moto solare al moto lunare siderale. Sulla base della sua ricerca, Price concluse che, contrariamente a quanto si era creduto in precedenza, nella Grecia del II secolo a.C. esisteva effettivamente una tradizione di altissima tecnologia. Il meccanismo di Anticitera, nonostante non trovi pari sino alla realizzazione dei primi calendari meccanici successivi al 1050, rimane comunque perfettamente integrato nelle conoscenze del periodo tardo ellenistico: vi sono rappresentati solo i cinque pianeti visibili ad occhio nudo ed il materiale usato è un metallo facilmente lavorabile. Ad Alessandria d'Egitto infatti durante l'ellenismo operarono molti studiosi che si dedicarono anche ad aspetti tecnologici realizzando macchine come quella a vapore di Erone. A Siracusa inoltre già dal 213 a.C. Cicerone cita la presenza di una macchina circolare costruita da Archimede con la quale si rappresentavano i movimenti del Sole, dei pianeti e della

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In origine si pensava provenisse da Rodi, dove sembra esistesse una tradizione di ingegneria meccanica; l'isola era rinomata per i suoi automi. Informazioni ricavate da recenti esami del frammento indicano che potrebbe essere proveniente dalle colonie di Corinto in Sicilia, il che indicherebbe una connessione con Archimede. Vi sono inoltre esempi dal mito: Dedalo utilizzò l'argento vivo per installare una voce nelle sue statue. Efesto creò automi per il suo laboratorio: Talo, un uomo artificiale di bronzo e, secondo Esiodo, la donna Pandora. Nell'antica Cina un curioso resoconto sugli automi si trova nel testo del Libro del Vuoto Perfetto5 (Liè Zĭ) scritto nel III secolo a.C.. In esso vi è una descrizione di un più antico incontro tra re Mu del

Luna, nonché delle sue fasi e delle eclissi. Tuttavia l'unicità del meccanismo di Anticitera risiede nel fatto che è l'unico congegno progettato in quel periodo arrivato sino ai giorni nostri e non rimasto nel limbo delle semplici "curiosità". Il meccanismo di Anticitera è a volte citato tra i casi di OOPArt (Out of place artifacts), i cosiddetti "manufatti fuori dal tempo", dai sostenitori dell'archeologia misteriosa, i quali non vi riconoscono un artefatto scientifico ellenistico.

5 Il Liezi 列列, pinyin Liè Zĭ o Lieh Tzu è un testo taoista che era incluso nel catalogo della libreria imperiale con il nome di Trattato del Vuoto Perfetto 冲冲经?. L'autore del testo è Lie Yukou, spesso chiamato lui stesso Lie Zi. L'opera completa la famosa trilogia taoista insieme ai testi del più famoso Lao Zi, fondatore della religione, e di Zhuang Zi. È generalmente considerato il più pratico dei testi taoisti, se comparato alle scritture filosofiche di Lao Zi e ai poemi narrativi di Zhuang Zi.

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regno di Zhou (1023-957 a.C.) e un ingegnere meccanico chiamato Yan Shi, un 'artefice'.

“Il re rimase stupito alla vista della figura. Camminava rapidamente, muovendo su e giù la testa, e chiunque avrebbe potuto scambiarlo per un essere umano vivo. L'artefice ne toccò il mento e iniziò a cantare perfettamente intonato. Toccò la sua mano e mimò delle posizioni tenendo perfettamente il tempo... Verso la fine della dimostrazione, l'automa ammiccò e fece delle avance ad alcune signore lì presenti, il che fece infuriare il re che avrebbe voluto Yen Shih [Yan Shi] giustiziato sul posto ed egli, per la paura mortale, istantaneamente ridusse in pezzi l'automa al fine di spiegarne il suo funzionamento. E, in effetti, dimostrò che l'automa era fatto con del cuoio, del legno, della colla e della lacca, bianco, nero, rosso e blu. Esaminandolo più da vicino il re vide che erano presenti tutti gli organi interni: un fegato completo, una cistifellea, un cuore, dei polmoni, una milza, dei reni, lo stomaco ed un intestino. Inoltre vide che era fatto anche di muscoli, ossa, braccia con le relative giunture, pelle, denti, capelli, ma tutto artificiale ... Poi il re fece la prova di togliergli il cuore e osservò che la bocca non era più in grado di proferir parola. Gli tolse il fegato e gli occhi non furono più in grado di vedere; gli tolse infine i reni e le gambe non furono più in

grado di muoversi. Il re ne fu deliziato.”

Nell'VIII secolo l'alchimista islamico Giabir ibn Hayyan (Geber) inseriva nel suo trattato Il libro delle pietre delle ricette per costruire serpenti, scorpioni ed esseri umani artificiali che fossero soggetti al controllo del loro creatore. Nell'827 il califfo al-Mamun aveva un albero d'argento e oro nel suo palazzo a Baghdad,

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che aveva le caratteristiche di una macchina automatica: c'erano uccelli di metallo che cantavano automaticamente sui rami oscillanti di quest'albero costruito da inventori e ingegneri islamici del tempo. Il califfo abbaside al-Muktadir possedeva a sua volta un albero dorato nel suo palazzo di Baghdad nel 915, con uccelli che battevano le ali e cantavano. Nel IX secolo i fratelli Banū Mūsā inventarono un flautista automatico che sembra essere stato la prima macchina programmabile, e che descrissero nel loro Libro dei dispositivi ingegnosi.

Tra gli altri esempi notevoli di automi vi è la colomba di Archita, mezionata da Aulo Gellio. Analoghi resoconti cinesi di automi volanti si trovano negli scritti del V secolo del filosofo moista Mozi e del suo contemporaneo Lu Ban, che costruì uccelli artificiali in legno (ma yuan) che potevano effettivamente volare, secondo quanto riportato da Han Fei e in altri testi.

Automi dal XIII al XIX secolo

Ad Al-Jazari è attribuito il primo progetto documentato di automa programmabile nel 1206, usato per una serie di automi umanoidi. Il suo automa era una nave con quattro musicisti che galleggiava su un lago per intrattenere gli ospiti alle feste di corte. Il suo meccanismo aveva una batteria di percussioni programmabile con pistoncini (camme) che battevano su piccole leve che operavano la percussione. Il suonatore di tamburi poteva eseguire differenti ritmi e differenti partiture se i pistoncini erano spostati.

Secondo Charles B. Fowler, gli automi erano una

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"banda musicale di robot" i quali potevano eseguire "più di cinquanta movimenti facciali e del corpo durante ogni selezione musicale."

Al-Jazari inventò anche un automa per il lavaggio delle mani utilizzando per la prima volta il meccanismo di scarico utilizzato oggi per il vaso delle toilette. Si tratta di un automa con sembianze femminili con un bacile riempito d'acqua. Quando l'utilizzatore preme la leva, l'acqua scorre e l'automa riempie nuovamente il bacile. La sua "fontana del pavone" era un altro dispositivo più sofisticato per il lavaggio delle mani fornito di automi umanoidi come servi che offrono sapone e asciugamani. Mark E. Rosheim la descrive così:

“Pulling a plug on the peacock's tail releases water out of the beak; as the dirty water from the basin fills the hollow base a float rises and actuates a linkage which makes a servant figure appear from behind a door under the peacock and offer soap. When more water is used, a second float at a higher level trips and causes the appearance of a second servant figure — with a towel!”

Al-Jazari in tal modo sembra sia stato il primo inventore a mostrare un interesse nel creare macchina di forma umana per scopi pratici come manipolare l'ambiente per il comfort delle persone.

Villard de Honnecourt, nel suo taccuino degli anni 1230, mostra progetti per automi zoomorfi e un angelo che rivolge perpetuamente il volto al sole.

Un'aquila in legno costruita da Regiomontano (1436-1476) volò - come riferito da Hakewill - dalla città di

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Konigsberg per incontrare l'imperatore, salutarlo e tornare indietro. Regiomontano costruì inoltre una mosca di ferro della quale egli stesso ebbe a dire che ad una festa si fosse levata dalle sue mani, avesse volato in cerchio e fosse ritornata a lui. Lo scrittore cinese Xiao Xun scrisse che quando il fondatore della dinastia Ming Hongwu (r. 1368–1398) stava distruggendo il palazzo di Khanbaliq che apparteneva alla precedente dinastia Yuan, vi furono trovati - tra i molti altri dispositivi meccanici - degli automi dell'aspetto di tigri.

Il Rinascimento testimonia un considerevole ritorno d'interesse per gli automi. I trattati di Erone di Alessandria vennero pubblicati e tradotti in latino e italiano. Nel Settecento furono costruiti numerosi automi per meccanismi ad orologeria, principalmente dagli artigiani delle libere città imperiali dell'Europa centrale. Questi dispositivi meravigliosi trovarono ospitalità nei "gabinetti delle curiosità" o Wunderkammer delle corti principesche europee. Per le grotte dei giardini furono costruiti automi idraulici e pneumatici, simili a quelli descritti da Erone.

In Cartesio si può riscontrare una nuova attitudine nei confronti degli automi, quando egli suggerisce che i corpi degli animali sono nient'altro che complesse macchine: le ossa, i muscoli e gli organi potrebbero essere rimpiazzati da pulegge, pistoni e camme.

In tal modo il meccanicismo divenne lo standard al quale erano comparati la Natura e l'organismo. La Francia settecentesca fu la patria di quegli ingegnosi

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giocattoli meccanici che sarebbero divenuti dei prototipi per i motori della rivoluzione industriale. Così nel 1649, quando Luigi XIV era ancora un bambino, un artigiano di nome Camus progettò per lui un cocchio in miniatura, e cavalli completi di fanti e una signora nella vettura; tutte queste figure mostravano un movimento perfetto. Secondo P. Labat, il generale de Gennes construì, nel 1688, oltre a macchine per l'artiglieria e la navigazione, un pavone che camminava e mangiava. il gesuita Athanasius Kircher produsse diversi automi per mettere in scena spettacoli, tra cui una statua che parlava .

Maillardet, un meccanico svizzero, costruì un automa capace di disegnare quattro figure e scrivere tre poemi (oggi conservato al museo scientifico del Franklin Institute di Filadelfia). John Joseph Merlin, di origine belga, creò il meccanismo dell'automa del Cigno d'argento (ora al Bowes Museum). Secondo il filosofo Michel Foucault, Federico II il Grande, re di Prussia dal 1740 al 1786, era "ossessionato" dagli automi. Secondo Manuel de Landa, "mise insieme le sue armate così come un meccanismo ben oliato i cui componenti erano guerrieri simili a robot."

Il Giappone adottò gli automi durante il periodo Edo (1603 - 1867); erano noti come Karakuri ningyō (かかか か人人?). Il famoso prestigiatore Jean Eugène Robert-Houdin (1805 - 1871) era conosciuto per aver creato automi per i suoi spettacoli da palcoscenico. Il periodo tra il 1860 e il 1910 è conosciuto come "l'età d'oro degli automi". In quegli anni prosperavano a Parigi numerose piccole imprese familiari di costruttori

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di automi. Dalle loro officine esportarono in tutto il mondo migliaia di automi meccanici e uccelli meccanici che cantavano. Sono questi automi francesi ad essere collezionati oggi e, sebbene oggi rari e costosi, attraggono collezionisti da ogni parte del mondo. I principali costruttori francesi furono Vichy, Roullet & Decamps, Lambert, Phalibois, Renou e Bontems.

Una replica moderna dell’eolipila.

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Macchina di Anticitera: Frammento principale del meccanismo

Schema del meccanismo di Anticitera

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Macchina di Anticitera: Ricostruzione del meccanismo, Museo archeologico nazionale di Atene.

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Macchina di Anticitera: Vista laterale del modello ricostruttivo,

Museo archeologico nazionale di Atene.

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Sitografia specifica: http://it.wikipedia.org/wiki/Androide http://it.wikipedia.org/wiki/Automa_cavaliere http://it.wikipedia.org/wiki/Automa_meccanico http://it.wikipedia.org/wiki/Codice_Atlantico http://it.wikipedia.org/wiki/Jacques_de_Vaucanson http://it.wikipedia.org/wiki/Eolipila http://it.wikipedia.org/wiki/Macchina_di_Anticitera http://it.wikipedia.org/wiki/Libro_del_Vuoto_Perfetto http://www.leonardo3.net

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Qualche passo nella fantascienza: da Frankenstein di Mary Shelley ai replicanti di

Philip K. Dick

“La disumanità del computer sta nel fatto che, una volta programmato e messo in funzione, si comporta in

maniera perfettamente onesta”. Isaac Asimov

Gli androidi nella letteratura

Una volta che la tecnologia avanzò al punto che la gente intravedeva delle creature meccaniche come qualcosa più che dei giocattoli, la risposta letteraria al concetto di essere artificiale rifletté le paure che gli esseri umani avrebbero potuto essere rimpiazzati dalle loro stesse creazioni intelligenti. Nella letteratura il primo classico riferito alla creazione di un essere umano artificiale è in genere considerato il romanzo Frankenstein (1818) di Mary Wollstonecraft Shelley, che spesso è anche citato come la prima opera di fantascienza. La creatura del dottor Frankenstein era assemblata con parti di cadaveri, utilizzando per infonderle la vita una strumentazione scientifica (non si tratta dunque di un automa meccanico, ma piuttosto di quello che molti anni dopo sarebbe stato definito un cyborg).

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Il racconto di E.T.A. Hoffmann L'uomo della sabbia (1815) narra l'amore tra un uomo e una bambola meccanica; nel romanzo breve La storia filosofica dei secoli futuri (1860) Ippolito Nievo indicò l'invenzione dei robot (da lui chiamati 'omuncoli', 'uomini di seconda mano' o 'esseri ausiliari') come l'invenzione più notevole della storia dell'umanità, e in Steam Man of the Prairies (1865) Edward S.Ellis espresse la fascinazione americana per l'industrializzazione. Giunse un'ondata di storie su automi umanoidi, che culminò nell' Uomo elettrico di Luis Senarens, nel 1885. Il primo ad utilizzare il termine androide in un romanzo fu però il francese Mathias Villiers de l'Isle-Adam (1838-1889) nella sua opera più celebre, Eva futura (L'Ève future, 1886), nel quale il protagonista è addirittura Thomas Edison, il quale inventa una donna artificiale quasi perfetta.

Impossibile non citare il racconto dell'italiano Carlo Collodi del 1883, Le avventure di Pinocchio, in cui un bambino di legno prende vita. La storia, pur utilizzando elementi fiabeschi piuttosto che fantascientifici, contiene i temi fondamentali dei successivi racconti sugli androidi. Un precursore del moderno androide è da molti considerato il Golem, la temibile creatura protagonista di una vecchia leggenda del ghetto ebraico di Praga. In questo caso si tratta di una statua d'argilla che prende vita grazie alla magia cabalistica e non alla tecnologia scientifica. Una versione più moderna del Golem6 lo vede però

6 Il Golem (ebr. גולם) è una figura immaginaria frutto della mitologia ebraica e del folklore medievale. Il termine deriva probabilmente dalla parola ebraica gelem che significa "materia

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costruito come una specie di androide, nella novella di U.D. Horn (Der Rabby von Prag, 1842) e nel libretto di F. Hebbel per il dramma musicale di Arthur Rubinstein Ein Steinwurf (1858): il Golem viene qui rappresentato come un uomo-macchina di legno con un meccanismo ad orologeria dentro la testa. La leggenda del Golem viene infine ripresa e resa famosa dal romanzo Il Golem (Der Golem) del 1915 dello scrittore e occultista praghese Gustav Meyrink.

Nel dramma R.U.R. (Rossum's Universal Robots) (1920) del ceco Karel Čapek appaiono uomini artificiali organici, utilizzati come forza lavoro a basso costo. L'opera è famosa per avere introdotto il termine robot. La procedura di costruzione degli androidi di Rossum comprende macchine per impastare e tini per il trattamento di protoplasma chimico. Quando il dramma di Čapek introdusse il concetto di una catena di montaggio operata da robot che costruivano altri robot, il tema prese delle sfumature politiche e filosofiche, ulteriormente disseminate da film classici come Metropolis (1927), il popolare Guerre Stellari (1977), Blade Runner (1982) e Terminator (1984).

Tra il 1940 e il 1941 Isaac Asimov, con la collaborazione dell'editore John W. Campbell, elabora

grezza", o "embrione". Esso fa la sua prima apparizione nella Bibbia (Antico Testamento, Salmo 139:16) per indicare la "massa ancora priva di forma", che gli Ebrei accomunano ad Adamo prima che gli fosse infusa l'anima. In ebraico moderno golem significa anche robot.

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le tre leggi della robotica7, divenute un punto fermo della narrativa sui robot. Nel 1976 Asimov scrive L'uomo bicentenario, la storia di un robot che vuole diventare umano a tal punto da fare ciò che differenzia

7 Nella fantascienza, le Tre leggi della robotica sono un insieme di leggi scritte da Isaac Asimov, noto scrittore di fantascienza, alle quali obbediscono gran parte dei robot che compaiono nei suoi racconti. Le tre leggi hanno subito qualche variazione passando da traduzione a traduzione, ma anche se il succo rimane sempre lo stesso è meglio esprimere prima le tre leggi nella versione originale:

Inglese

1. A robot may not injure a human being or, through inaction, allow a human being to come to harm.

2. A robot must obey any orders given to it by human beings, except where such orders would conflict with the First Law.

3. A robot must protect its own existence as long as such protection does not conflict with the First or Second Law.

Italiana

1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno.

2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Prima e con la Seconda Legge.

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gli esseri umani dai robot: morire. Pur avendo inserito numerosissimi robot antropomorfi nella sua sterminata produzione di racconti e romanzi, Asimov tuttavia non usa in genere il termine androide, reso popolare solo negli Anni cinquanta quando apparve in alcuni racconti di Jack Williamson.

Uno degli autori di fantascienza che fanno maggior uso degli androidi è stato Philip K. Dick il quale, scarsamente interessato agli aspetti strettamente tecnico-scientifici, li utilizzava soprattutto come sostituti robotici degli uomini e dunque inquietanti simboli, rispecchiamento/rovescio dell'essere umano, definendoli spesso simulacri. Dal romanzo di Dick Cacciatore di androidi è tratto il film Blade Runner, che presenta un vivido ritratto di replicanti che aspirano a quella vita umana loro ineluttabilmente negata. Marvin l'androide paranoico è uno dei personaggi principali della Guida galattica per gli autostoppisti, serie di fantascienza umoristica di Douglas Adams.

Cinema e televisione

Il primo film con un immaginario automa nel ruolo principale fu The Master Mystery del 1920, interpretato da Harry Houdini. Il secondo fu L'uomo meccanico (1921), del comico francese André Deed, in cui per la prima volta viene messo in scena uno scontro tra un robot buono e uno cattivo.

Esempi famosi di androidi nella cinematografia e nelle serie televisive:

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• Il robot femmina del film Metropolis (1927) per la regia di Fritz Lang.

• Il pistolero interpretato da Yul Brynner nel Mondo dei robot (Westworld, 1973), iniziatore della rivolta dei robot contro gli umani del parco dei divertimenti Westworld.

• Il simpatico androide protocollare C-3PO (D-3BO) di Guerre Stellari (1976).

• Roy Batty, condannato ad una breve esistenza e ribelle in Blade Runner (1982) di Ridley Scott, ispirato al romanzo Il cacciatore di androidi di Philip K. Dick.

• L'androide assassino protagonista di Terminator (1984) e dei due seguiti, che però è più propriamente un cyborg.

• Il bambino artificiale in AI - Intelligenza Artificiale (2001) di Steven Spielberg.

• Il tenente comandante Data è un membro dell'equipaggio della nave stellare Enterprise nella serie televisiva Star Trek - The Nex Generation e in alcuni film derivati dalla serie stessa.

• L'androide Bishop in Alien di Ridley Scott, compare in diversi episodi della serie.

Dalle Tre Leggi di Asimov alla Legge Zero

Asimov attribuì le tre leggi a John W. Campbell, a seguito di una conversazione fatta il 23 dicembre 1940. Comunque, Campbell sostiene che Asimov aveva già in testa le leggi, che avevano solamente bisogno di essere formulate esplicitamente.

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Anche se Asimov fissa una data di creazione delle leggi, la loro comparsa nelle sue opere avvenne lungo un periodo di tempo. Asimov scrisse due storie senza menzionare esplicitamente le Tre Leggi ("Robbie" ed "Essere razionale" detto anche "Secondo ragione"); Asimov assunse, comunque, che i robot avrebbero avuto una certa salvaguardia inerente. "Bugiardo!", la terza storia di robot di Asimov, menziona per la prima volta la Prima Legge, ma non le altre. Le Tre Leggi apparvero assieme esplicitamente in "Circolo Vizioso" ("Girotondo"). Quando queste ed altre storie vennero raccolte assieme, nell'antologia Io, Robot, "Essere razionale" venne aggiornata per comprendere le Tre Leggi.

Le Tre Leggi vengono spesso usate nei romanzi di fantascienza scritti da altri autori, ma la tradizione vuole che solo Asimov le avrebbe potute citare esplicitamente. Una trilogia ambientata nell'universo immaginario di Asimov, venne scritta negli anni '90 da Roger MacBride Allen (Il calibano di Asimov, L'inferno di Asimov e L'utopia di Asimov). In questa trilogia, viene introdotto un nuovo insieme di leggi, le quali vennero concepite dall'autore durante una discussione con lo stesso Asimov.

Alcuni appassionati di robotica sono giunti a credere che le Tre Leggi abbiano una valenza simile alle leggi della fisica; ovvero, una situazione che viola queste leggi è “inerentemente” impossibile. Ciò non è corretto, in quanto le Tre Leggi sono deliberatamente

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codificate nel cervello positronico8 dei robot di Asimov. Asimov infatti distingue la classe dei robot che seguono le Tre Leggi, chiamandoli Asenion robots. I robot delle storie di Asimov sono tutti Asenion robots, e sono incapaci di violare consciamente le Tre

8 Il cervello positronico è un dispositivo immaginario ideato per le sue storie di fantascienza dallo scrittore Isaac Asimov come componente fondamentale del cervello di un robot, il cui pensiero consiste in un flusso fulmineo di positroni. Nella sua descrizione il cervello positronico è composto di una lega di platino e iridio, ed è realizzato dalla U.S. Robots and Mechanical Men Corporation, l'unica azienda nel mondo capace di costruirne esemplari funzionanti. Il loro software ha come capisaldi quelle che Asimov chiamò le Tre leggi della robotica. Asimov scelse l'aggettivo positronico perché nel 1928 il fisico Paul Dirac postulò l'esistenza di questa strana particella, e nel 1938 il positrone fu effettivamente osservato sperimentalmente. I primi racconti sui robot positronici risalgono agli anni 1939-1940, perciò Asimov scelse l'aggettivo "positronico" semplicemente perché trovava il nome esotico e adatto ad un racconto di fantascienza, al posto del più consono "cervello elettronico". In effetti i positroni, essendo delle anti-particelle, non potrebbero esistere in un universo come il nostro fatto di elettroni, poiché le due particelle opposte si annichilirebbero in una frazione di secondo distruggendo la materia. Nella visione di Asimov, l'annullamento delle due particelle opposte - che per conseguenza produce energia - avrebbe dovuto portare i lettori ad immaginare una sorta di scintilla assimilabile a quella che nel pensiero umano si verifica nei neuroni. Il concetto dominò le storie di Asimov sui robot, ma fu ripreso da altri soggetti fantascientifici. In particolare, l'androide Data di Star Trek - The Next Generation è dotato di un cervello positronico. I romanzi della serie fantascientifica tedesca Perry Rhodan sono incentrati su computer chiamati Positroniken.

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Leggi, ma non c'è niente che impedisca ai robot di altri racconti, o del mondo reale, di non rispettarle.

Ciò è straordinariamente opposto alla natura dei robot di Asimov. Anche se inizialmente le leggi erano semplicemente delle salvaguardie attentamente ingegnerizzate, nelle storie successive Asimov dichiara chiaramente che occorrerebbe un investimento significativo nella ricerca per creare dei robot intelligenti che siano privi di queste leggi, perché esse sono una parte inalienabile della fondazione matematica che sottende al funzionamento del cervello positronico.

Nel mondo reale, non solo le leggi sono opzionali, ma impossibili da implementare: occorrerebbero significativi progressi nel campo dell'intelligenza artificiale per far si che i robot le possano comprendere facilmente. Alcuni hanno fatto notare che, siccome i militari sono la maggior fonte di finanziamento per la ricerca robotica, è improbabile che tali leggi vengano implementate. Altri hanno ribattuto che i militari vorrebbero che delle forti salvaguardie venissero inserite in ogni robot, se possibile, quindi leggi simili a queste verrebbero applicate.

Le Tre Leggi sono talvolta viste come un ideale futuro da coloro che lavorano nel campo dell'intelligenza

artificiale - una volta che un'intelligenza ha raggiunto un livello in cui può comprendere queste leggi, allora è veramente intelligente.

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Nessuna delle storie scritte da Asimov facevano complimenti alle Tre Leggi della robotica. Al contrario, ne mostravano le falle e i malintesi, derivanti da impulsi errati. Asimov una volta si meravigliò di come riuscì ad estrarre così tante storie dalle poche parole che componevano queste leggi. Per alcune storie, l'unica soluzione fu quella di cambiare le leggi.

Le Tre Leggi vennero estese con una quarta legge, la 'Legge Zero', così chiamata per mantenere il fatto che una legge con numero più basso soprassedesse a una con numero maggiore. Venne enunciata da un personaggio di Asimov, R. Daneel Olivaw (R. sta per Robot), nel romanzo I Robot e l'Impero, anche se venne precedentemente menzionata in Conflitto evitabile da Susan Calvin. In I Robot e l'Impero, Giskard fu il primo robot ad agire in base alla Legge Zero, anche se ciò si rivelò distruttivo per il suo cervello positronico, quando violò la Prima Legge. Daneel, nel corso di molte migliaia di anni, fu in grado di adattarsi e obbedire completamente alla Legge Zero che recita:

0. Un robot non può recare danno all'umanità, né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, l'umanità riceva danno.

Le altre 3 leggi vengono modificate di conseguenza:

1. Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano

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riceva danno. Purché questo non contrasti con la Legge Zero

2. Un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla Legge Zero e alla Prima Legge.

3. Un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la Legge Zero, la Prima Legge e la Seconda Legge.

La legge zero tuttavia risulta essere estremamente complessa rispetto alla programmazione dei cervelli positronici dei robot, poiché postula che sia possibile, in qualche modo e qualche situazione, violare la prima legge della robotica (Nessun robot può recar danno a un essere umano) in funzione di un bene più ampio e duraturo dell'intera umanità. In pratica, un robot potrebbe uccidere un essere umano, in aperta violazione alla prima legge, commettendo un danno effettivo e certo, a fronte di un ipotetico e incerto bene per l'umanità. La contraddizione è al centro del finale del romanzo I robot e l'impero, poiché proprio il robot R. Giskard Reventlov sceglierà di permettere che un intero pianeta, la Terra, sia condannata ad una lentissima agonia nucleare, insieme a tutti i suoi abitanti, per spingere l'intera umanità ad abbandonare il grembo del pianeta madre e colonizzare l'intero universo. Il suo cervello positronico ne sarà danneggiato irrimediabilmente.

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In un racconto di Asimov (Il robot scomparso) diversi robot NS-2 (Nestor robots) vennero creati con solo parte della Prima Legge, con questa formulazione:

1. Un robot non può recare danno a un essere umano.

Questo permetteva ai robot di lavorare a fianco degli esseri umani anche quando questi erano sottoposti a piccole dosi di radiazioni: non pericolose, ma comunque "dannose" secondo la Prima Legge. La formulazione originaria della Prima Legge obbligava quindi i robot ad intervenire, ma essendo questi più vulnerabili degli esseri umani alle radiazioni, invariabilmente si danneggiavano. Nel tipico stile di Asimov, questa modifica portò a vari problemi sulla cui soluzione si basa la trama del racconto.

I "Solariani" infine, crearono dei robot con le normali Tre Leggi, ma con un concetto distorto di "essere umano". Similarmente ad un racconto breve in cui i robot erano in grado di arrecare danno agli alieni, i Solariani dissero ai robot che solo le persone che parlavano solariano erano umani. In questo modo, i loro robot non avevano alcun problema a recar danno a esseri umani non Solariani (ed in effetti, avevano ordini specifici a riguardo).

Nella trilogia di MacBride Allen, gli scienziati di Inferno crearono robot dotati di un nuovo insieme di leggi. Essi non erano più richiesti di servire gli umani, erano programmati per cercare una loro ragion d'essere, e, anche se comunque non potevano nuocere

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agli umani, non avevano bisogno di prevenire i danni, il che permette al capo delle nuove leggi robotiche, Prospero, di progettare l'assassinio perfetto. Il personaggio di Calibano, è l'unico robot ad essere programmato senza alcuna legge.

Il problema dei robot che si considerano umani è stato alluso molte volte. Robot antropomorfi resero il problema più evidente. Esempi si possono trovare nel romanzo I robot dell'alba e nei racconti brevi "La prova" e "L'uomo bicentenario". Dopo un omicidio su Solaria, in Il sole nudo, Elijah Baley sostenne che le leggi erano state deliberatamente travisate, poiché i robot potevano infrangerle tutte senza saperlo. Una parodia delle Tre Leggi venne fatta per Susan Calvin da Gerald Black:

1. Dovrai proteggere i robot con tutta la tua forza e tutto il tuo cuore e tutta la tua anima.

2. Dovrai considerare sacri gli interessi della US Robots and Mechanical Men Inc., a patto che ciò non interferisca con la Prima Legge.

3. Dovrai dare una distratta attenzione agli esseri umani, a patto che ciò non interferisca con la Prima e la Seconda Legge.

Gaia, il pianeta intelligente dei romanzi della Fondazione, adotta una legge simile alla Prima Legge come sua filosofia:

Gaia non può recare danno alla vita, né può permettere che, a causa del suo mancato intervento, la vita riceva danno.

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Le leggi non sono considerate assolute dai robot più avanzati. In molte storie, come "Circolo vizioso", il potenziale e la gravità di tutte le azioni sono pesati e un robot può infrangere le leggi il meno che può, piuttosto che non fare niente. In un'altra storia, venivano evidenziati i problemi della Prima Legge - ad esempio un robot non poteva funzionare da chirurgo, perché avrebbe causato danni a un umano; né poteva ideare strategie per il football americano, in quanto queste potevano causare infortuni ai giocatori.

Roger Clarke scrisse un paio di documenti analizzando le complicazioni dell'implementazione di queste leggi, se i sistemi fossero in qualche modo in grado di impiegarle. Egli sostenne che. "Le leggi della robotica di Asimov sono state uno strumento letterario di successo. Forse ironicamente, o forse perché era artisticamente appropriato, la somma delle storie di Asimov confutano la tesi con cui iniziò: Non è possibile limitare con certezza il comportamento dei robot, inventando ed applicando un insieme di regole."

Un racconto breve parodistico di John Sladek, intitolato "Broot Force" (e apparentemente scritto da "I-Click As-I-Move") riguarda un gruppo di robot in stile Asimov, le cui azioni sono limitate dalle "Tre Leggi di Robish", che sono "coincidentalmente" identiche alle leggi di Asimov. I robot nel racconto di Sladek fanno in modo di trovare delle scappatoie alle Tre Leggi, tipicamente con risultati sanguinari.

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Alle "tre leggi della robotica" e ad altri romanzi di Isaac Asimov si è ispirato il film del 2004 "Io, Robot" (I, Robot), di Alex Proyas, con Will Smith.

Con l'evoluzione dei robot nei racconti, le scappatoie escogitate per scavalcare le Tre Leggi divengono sempre più raffinate. In uno degli ultimi racconti di robot, Che tu te ne prenda cura, il Governo Mondiale intende smantellare la U.S. Robots, per varie motivazioni, alcune delle quali parzialmente legate ai difetti delle Tre Leggi. Keith Harriman, direttore della U.S. Robots, utilizza due robot (George Nono e Decimo) per escogitare uno stratagemma di salvataggio dell'azienda. Questa coppia di robot estremamente sofisticati idea un piano a lunghissimo termine, creando con i loro ragionamenti una particolare modifica delle Tre Leggi.

Nella serie Robot City scritta da giovani esordienti del mondo della fantascienza sotto le direttive di Isaac Asimov vengono postulate le tre leggi dell'umanica. Queste leggi, create da particolari Robot autoprodotti, sono basate su dirette speculazioni delle loro controparti robotiche.

Sitografia specifica: http://it.wikipedia.org/wiki/Androide http://it.wikipedia.org/wiki/Tre_leggi_della_robotica http://it.wikipedia.org/wiki/Cervello_positronico

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Dalla robotica umanoide agli organismi cibernetici.

"Non capivo perchè un replicante collezionasse foto. Forse loro erano come Rachael:

avevano bisogno di ricordi". (Dal film "Blade Runner", di Ridley Scott)

Organismi cibernetici

Il termine cyborg o organismo cibernetico (anche organismo bionico) indica un essere, anche umano, di forma umanoide costituito da un insieme di organi artificiali e organi biologici. Nasce dalla contrazione dell'inglese cybernetic organism, per l'appunto organismo cibernetico. Il termine è nato nell'ambito della medicina e della bionica9, pur avendo avuto

9 La bionica (conosciuta anche come biomimetica, biognosi o ingegneria creativistica bionica) è l'applicazione di metodi e sistemi biologici trovati in natura nello studio e nel design di sistemi ingegneristici e della moderna tecnologia. Nella bionica sono inclusi altresì alcuni sviluppi della neurofisiologia e dell'elettrofisiologia. Alcune applicazioni sono nell'acquisizione di informazione mediante organi di senso artificiale e della circolazione dei segnali nelle reti nervose. La parola "bionico" fu coniata da Jack E. Steele nel 1958, probabilmente originandola dal lemma greco "βίον" (pronunciato "bion"), che significa "unità

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maggior successo nell'immaginario fantascientifico. Il termine cyborg fu reso popolare da Manfred E. Clynes e Nathan S. Kline nel 1960 in riferimento alla loro idea di un essere umano potenziato per sopravvivere in ambienti extraterrestri inospitali. Essi ritenevano che un'intima relazione tra essere umano e macchina fosse la chiave per varcare la nuova frontiera dell'esplorazione spaziale in un prossimo futuro.

Il confine tra essere umano e cyborg è sempre più sfumato, basti pensare ai progressi delle tecnologie applicate alle protesi e agli organi artificiali: una persona dotata di un pace-maker potrebbe infatti già corrispondere alla definizione di cyborg. A seconda della loro origine, è tuttavia possibile distinguere i cyborg in due categorie:

1. Esseri umani potenziati. Può trattarsi di un essere umano che ha subito consistenti modificazioni artificiali ed innesti. Esempio: il protagonista del film RoboCop è un poliziotto che, ucciso in servizio, viene fatto resuscitare trasformato in cyborg.

2. androidi, cioè robot umanoidi, provvisti di apporti biologici, spesso allo scopo di aumentare la loro somiglianza con l'essere umano. È il caso del cyborg assassino

di vita", e il suffisso -ic, che significa "come", "simile a" o "nella maniera di", da cui quindi "come la vita". Diversi dizionari, comunque, spiegano anche che la parola è formata dai termini "biologia" e "elettronica".

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protagonista del film Terminator (1984) e dei suoi seguiti.

La teorica del femminismo Donna Haraway sostiene che la tendenza naturale degli esseri umani è quella di ricostruirsi attraverso la tecnologia allo scopo di distinguersi dalle altre forme biologiche del pianeta: un progetto che parte dalle prime forme di manipolazione del corpo umano e continua oggi con l'utilizzo di protesi tecnologiche e lo sviluppo dell'ingegneria genetica. Il desiderio di migliorare ciò che ha determinato la natura, secondo la Haraway, sarebbe alle origini stesse della cultura umana.

Kevin Warwick, l’uomo cyborg Kevin Warwick, nacque a Coventry, una città di circa trecentomila abitanti situata nel West Midlands del Regno Unito, il nove febbraio del 1954. Lasciò la scuola all’età di sedici anni, per andare a lavorare presso la British Telecom. Riprese in seguito gli studi, ottenendo un primo diploma alla Aston University all’età di ventidue anni, per poi conseguire qualche anno dopo, un dottorato all’Imperial College di Londra. Nel corso degli anni, ebbe la fortuna di lavorare presso le Università più rinomate del Regno Unito (quali Oxford, Newcastle e Warwick), ricevendo infine una cattedra all’Università di Reading, all’età di trentatre anni. Attualmente K.Warwick riveste la carica di professore di cibernetica proprio all’Università di Reading, dove dispone appunto di una cattedra, da circa vent’anni. Le sue ricerche spaziano tra l’intelligenza artificiale (AI), la robotica e l’ingegneria

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biomedica. Egli è anche il direttore del Centro KTP10 dell’Università di Reading. Il Prof. Warwick, ha effettuato una serie di esperimenti “pionieristici” nel campo della cibernetica, basati essenzialmente su un impianto neurochirurgico (1998, Progetto Cyborg 1.0) di uno speciale micro-processore (nei nervi mediani del suo braccio sinistro), allo scopo di collegare il suo sistema nervoso direttamente ad un computer (e valutare così le possibili applicazioni di tale tecnologia nel campo della ricerca sui nuovi sistemi da offrire ai disabili). Egli è stato il primo ricercatore-scienziato ad utilizzare una sorta di super sensore ultrasonico immesso in un corpo umano (2002, Progetto Cyborg 2.0), onde stabilire una comunicazione puramente elettronica tra i sistemi nervosi di due esseri umani (la seconda persona quindi che in tali esperimenti ha giocato un ruolo importante, poiché anche su di essa si è dovuto impiantare un micro-processore – in questo caso “ricevente” – è stata sua moglie Irena). Nel 2002, alla Radcliffe Infirmary di Oxford il Prof.Warwick dà l’avvio al Progetto Cyborg 2.0. Poco più di due ore d’intervento e per circa due settimane, grazie a un centinaio di micro-elettrodi innestati nelle terminazioni nervose del braccio, egli sperimenta sensazioni artificiali, fa viaggiare il suo sistema nervoso in Internet, comunica telegraficamente con la moglie e manovra un robot a migliaia di chilometri di distanza.

10 Tale istituto collega l’Università di Reading con le piccole-medie imprese, ricevendo ogni anno un contributo finanziario per la ricerca scientifica, di circa due milioni di sterline.

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Con queste parole, lo stesso Warwick (durante un’intervista), spiega in parole povere ad un giornalista della rivista italiana “L’Espresso”, i risultati più eclatanti del progetto Cyborg 2.0:”(...)Effettivamente in Cyborg 2.0 abbiamo avuto la possibilità di raccogliere un quantitativo notevole di dati. Molti di quelli relativi al sistema nervoso li stiamo ancora analizzando a causa della loro complessità. I successi dell’esperimento però sono stati molteplici e assolutamente sorprendenti. Le faccio qualche esempio: a proposito del comportamento extrasensoriale, durante Cyborg 2.0, ero capace di muovermi bendato usando gli ultrasuoni, esattamente come fa normalmente un pipistrello di notte11. Ho inoltre guidato una sedia a rotelle direttamente con i segnali nervosi emessi dal mio cervello (e le anticipo che la prossima volta potrebbe trattarsi di una vera automobile!). Mentre fisicamente mi trovavo a New York, il mio sistema nervoso viveva invece in Internet. I miei segnali nervosi venivano inviati in rete e viaggiavano fi no in Gran Bretagna dove riuscivano a muovere una mano robotizzata. Dopodiché tornavano indietro a New York e potevo sentire sulle dita della mia mano

11 Warwick, volendo confutare la tesi secondo cui il cervello umano non può captare gli ultrasuoni, ha indossato, bendato, una cuffia dotata di due antenne; la prima emetteva ultrasuoni che rimbalzavano sugli oggetti vicini, venivano catturati dalla seconda e trasmessi ai suoi elettrodi che li inviavano al suo sistema nervoso sotto forma di impulsi. Ogni volta che Warwick si avvicinava, ad esempio, ad un tavolo, il suo cervello avvertiva una piccola scarica. Di fatto è un po’ come avere un senso in più rispetto a tutti gli altri esseri umani, un sesto senso!

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con quanta forza la mano artificiale si era mossa nell’altro continente. Il mio sistema nervoso, esteso attraverso Internet, aveva percorso di fatto 5.000 chilometri di distanza. Anche mia moglie Irena ha degli elettrodi inseriti nel suo sistema nervoso. Insieme comunicavamo telegraficamente dal sistema nervoso dell’uno a quello dell’altra e viceversa. Rispetto al controllo delle macchine direttamente con il cervello, resta da sperimentare ancora un po’, ma sono convinto che questo tipo di impianti ci porterà ad utilizzarlo nel prossimo futuro(...)”. I confini fra umano e artificiale sono destinati a confondersi sempre di più: applicare a organismi biologici delle componenti robotiche non appare più un traguardo così lontano. I vantaggi delle strutture biologiche, ossia le loro capacità di autoriparazione e la loro flessibilità, andrebbero infatti ad intrecciarsi con i vantaggi delle macchine, adattabili a condizioni estreme e altamente differenziabili nella scelta dei materiali e delle caratteristiche costruttive. Le ricerche di Warwick cercano applicazione nello sviluppo di nuove tecnologie a favore delle persone disabili, ma mirano anche a rendere possibile un radicale cambiamento di ciò che oggi concepiamo come essere umano. In scenari futuribili potremmo essere in grado di collegare in un grande network le nostre intelligenze, non solo fra loro, ma anche con altre intelligenze artificiali. Le nostre capacità di calcolo potrebbero essere moltiplicate e le nostre emozioni essere trasmesse intatte attraverso la rete fino a raggiungere persone lontane centinaia di chilometri.

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Tutte le informazioni presenti nel nostro cervello potrebbero essere trasferibili in supporti informatici, o addirittura in un altro cervello, mettendo radicalmente in crisi il nostro concetto di individuo. La cosa ancora più sorprendente è però provare a immaginare quali incredibili macchine potrebbero nascere da questa pletora di studi, ancora in odore di fantascienza, nel momento in cui si riuscisse a utilizzare molecole di Dna per costruire dei super computers, facendo cioè in modo che i codici della vita incontrino quelli della materia. A quel punto, reputano gli esperti, le macchine avranno raggiunto una tale complessità che sarà per loro possibile replicare i 100 miliardi di neuroni e i triliardi di sinapsi che costituiscono il cervello umano. E da questi complessi labirinti di interconnessioni potrebbero un giorno affiorare i primi veri sistemi d’intelligenza “non umana”. In molti laboratori del mondo gli scienziati hanno già iniziato a sperimentare l’uso di “vere” reti neurali animali per creare computer organici, oltrepassando la linea di confine tra materia animata e materia inanimata. Uno dei pionieri di questo nuovo filone della ricerca è senza dubbio William L. Ditto, un giovane fisico del Georgia Institute of Technology, che è stato capace, in via sperimentale, di combinare i normali circuiti di silicio con neuroni di sanguisuga, cioè con cellule nervose viventi. Ditto e i suoi colleghi sono partiti dall’idea che un elaboratore “biologico”, ossia in grado di sfruttare reti neurali organiche, dovrebbe presumibilmente fornire risposte corrette anche basandosi su informazioni parziali (cosa che

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invece non avviene nei computer attuali, che hanno bisogno di programmazione e immissione di dati per elaborare qualsiasi risposta). I neuroni di sanguisuga hanno dimostrato proprio questa superiore funzionalità: facendo rimbalzare i dati fra loro (un po’ con lo stesso principio con cui opera un computer quantistico), sono in grado di eseguire attività “simili al pensiero umano”. Stanno dunque nascendo entità capaci di fondere la nostra intelligenza organica, basata su cromosomi e neuroni, con quella inorganica subatomica. Questi futuri computers combineranno il livello umano d’intelligenza con la velocità, l’accuratezza e la capacità di condivisione dell’informazione dei computers quantistici. In altre parole, con queste macchine l’uomo sta ponendo le basi per il superamento della sua stessa specie. Nel suo libro “The Age of Spiritual Machines”, Raymond Kurzweil ha dato una splendida sintesi della mente e della macchina. In una serie di argute, ingegnose e profonde meditazioni, ha esplorato il momento di metamorfosi quando le macchine raggiungeranno e sorpasseranno le capacità del cervello umano. “The Age of Spiritual Machines” non è una mera lista di presagi ma un disegno profetico per il futuro. Kurzweil ci guida attraverso l’inesorabile avanzamento che sarà il risultato del superamento delle capacità della memoria e delle abilità computazionali del cervello umano. Secondo Kurzweil, le macchine compieranno tutto questo entro il 2020. Cominceremo ad avere relazioni con personalità automatizzate e le utilizzeremo come insegnanti, compagni ed amanti. Fra 10 anni, l’informazione sarà alimentata

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direttamente dal nostro cervello attraverso dirette vie neurali. La distinzione tra noi e i computer sarà sfocata a tal punto che le macchine pretenderanno di essere coscienti. Inoltre il 21° secolo di Kurzweil, promette di essere un’età in cui l’unione della sensibilità umana e dell’intelligenza artificiale fondamentalmente modificata, migliorerà la nostra vita. Gli studi e gli esperimenti di Warwick puntano a infrangere le barriere imposte dai limiti biologici della natura umana, attraverso upgrade tecnologici che porteranno l’uomo in una nuova fase sulla strada dell’evoluzione della specie. Suo centro di ricerca d’elezione è il MadLab, il laboratorio del Dipartimento di Cibernetica nel quale lavorano i suoi più stretti collaboratori e dove si svolgono gli esperimenti più importanti legati agli impianti sottocutanei e alla bioingegneria di cui il professore è lo stesso protagonista (www.madlab.rdg.ac.uk). All’European Futurist Conference di Lucerna, in Svizzera, Kevin Warwick ha affermato che nel futuro non avremo più passaporto o le chiavi della macchina, ogni persona avrà un impianto simile al suo che collegato al sistema nervoso potrà sostituire numerose attività dell’uomo, oltre a far sì che egli possa essere sempre identificato, ovunque e in qualsiasi momento. Dopo anni di ricerca su se stesso, in questo momento Warwick vuole allargare la sua ricerca, sperimentando lo scambio, il networking, e la comunicazione attraverso impianti collegati al cervello. Alla moglie ad esempio aveva anche regalato una collana che cambia colore e intensità a seconda del suo umore. Kevin

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Warwick è la dimostrazione vivente di come gli impianti di microchips non siano più solo una caratteristica del genere fantascientifico, ma che ormai, che lo vogliamo oppure no, appartengono alla realtà odierna.

Kevin Warwick con la moglie Irina

La mano biomeccatronica: il progetto LifeHand. Con il progetto LifeHand, i ricercatori dell'Università Campus Bio-Medico di Roma e della Scuola Superiore Sant'Anna di Pisa sono riusciti a collegare, con elettrodi neurali inseriti nei nervi mediano e ulnare di un paziente amputato della mano sinistra, una protesi biomeccatronica a cinque dita, indipendenti con il suo cervello. In un mese di sperimentazione,il paziente

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sottoposto a questa operazione, è riuscito a muovere con i soli impulsi cerebrali la mano artificiale, compiendo tutti e tre i movimenti prefissati dal programma di ricerca: opposizione pollice-indice, pugno, movimento del mignolo. Un’analisi dei dati registrati in tempo reale durante la sperimentazione, è servita ad assicurare che i movimenti della protesi sono avvenuti per puri impulsi cerebrali e hanno corrisposto alle reali intenzioni del paziente in più del 95 per cento dei casi. LifeHand si è proposto l’impianto di elettrodi a strato

sottile (thin-film Longitudinally-implanted IntraFascicular Electrodes – tf-LIFE) in un paziente volontario con amputazione di arto superiore. In particolare, il protocollo sperimentale prevedeva la possibilità di utilizzare i tf-LIFE come interfacce neurali per il controllo bi-direzionale (dal cervello alla mano e viceversa) della protesi cibernetica di mano. Gli elettrodi sono stati progettati per consentire al soggetto amputato, da una parte, di ricevere informazioni sensoriali da speciali sensori posti nella mano cibernetica, attraverso una stimolazione elettrica e, dall’altra, di inviare comandi specifici per il controllo dei movimenti della protesi. In questa prima fase del progetto gli elettrodi sono stati rimossi dopo circa un mese di addestramento del paziente. I ricercatori della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa (SSSUP) hanno progettato e realizzato i prototipi di mano biomeccatronica, sviluppando, insieme con i Laboratori di Bioingegneria dell’Università Campus Bio-Medico di Roma, gli algoritmi di comunicazione

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tra protesi e sistema nervoso del paziente. L’Università Campus Bio-Medico di Roma ha rivestito il ruolo di responsabile della sperimentazione clinica dei tf-LIFE sull’uomo, sia per quanto riguarda gli aspetti medici che per il supporto tecnologico.

Nell’ambito di LifeHand è stato realizzato per la prima volta l’impianto su due nervi diversi del braccio (mediano e ulnare) di quattro elettrodi tf-LIFE di nuova generazione, dotati di otto canali di registrazione/stimolazione ciascuno. Le 32 vie di comunicazione differenti tra paziente e protesi biomeccatronica disponibili attraverso gli elettrodi tf-LIFE hanno aumentato fortemente l’efficacia dell’invio e della ricezione di informazioni tra cervello e mano. Gli elettrodi, inoltre, dopo l’intervento chirurgico d’impianto sono stati collegati a una protesi di mano sensorizzata, comandabile dal soggetto per vie neurali, anziché meccaniche e muscolari, e capace al contempo di restituire al soggetto informazioni sensoriali. È prevista in futuro una nuova effettuazione dell’esperimento con altri soggetti volontari, al fine di confermare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce neurali. Saranno nel frattempo ottimizzati la meccanica della protesi, l’elettronica e i software necessari per l’analisi dei segnali neurali registrati. Si procederà inoltre alla miniaturizzazione dei componenti della mano biomimetica.

Le interfacce neurali sono dei dispositivi capaci di far comunicare il nostro sistema nervoso centrale (cervello o midollo spinale) o periferico (nervi periferici) con dispositivi elettronici in grado di attuare compiti o

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azioni complesse, di norma compiute, a livello fisiologico, dal nostro sistema muscolo-osteo-articolare. Nel caso del progetto LifeHand, queste interfacce sono state utilizzate per muovere la protesi di mano cibernetica. In particolare, gli elettrodi tf-LIFE sono stati scelti come mezzo attraverso il quale il cervello e i nervi periferici del paziente hanno potuto inviare e ricevere informazioni alla e dalla protesi di mano, senza utilizzare nessun muscolo né alcun organo di senso. Dopo un primo periodo di addestramento, il paziente è riuscito a controllare fino a tre differenti tipi di prese da parte della mano robotica, con una percentuale di successo da parte dell’interfaccia neurale nel riconoscimento del comando inviato dal cervello superiore all’85%. La possibilità di effettuare i tre tipi di presa, interfacciandosi tramite gli elettrodi tf-LIFE con una mano robotica a cinque dita, può mettere una persona in condizioni di svolgere la quasi totalità delle attività della vita quotidiana e lavorativa. Queste prestazioni sono state possibili anche grazie a un complesso sistema di acquisizione ed elaborazione dei segnali neurali, sviluppato dai Bioingegneri della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa e dell’Università Campus Bio-Medico di Roma. Dopo quasi un mese di allenamento fianco a fianco con il paziente, il sistema si è dimostrato in grado di estrarre da tutti i segnali nervosi che il cervello inviava tramite le interfacce tf-LIFE solo quelli effettivamente

utili a codificare l’intento di compiere una specifica

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presa. Come previsto, gli elettrodi tf-LIFE sono inoltre stati utilizzati nelle prime settimane dell’esperimento per veicolare stimoli ai nervi del moncherino e il paziente ha avvertito e tradotto questi stimoli in sensazioni tattili naturali, provenienti dalla regione di arto persa anni prima. I canali percettivi hanno però inaspettatamente smesso di funzionare dopo due settimane, probabilmente a causa di fenomeni di reazione locale all’interno del nervo in corrispondenza della zona di inserzione dell’elettrodo. Tali fenomeni sono attualmente oggetto di ulteriori studi, per capire come possano essere mitigati e controllati in modo da non influenzare il funzionamento dell’interfaccia. Per la prima volta, inoltre, i ricercatori italiani hanno valutato le modificazioni intervenute a livello della corteccia cerebrale – i cosiddetti fenomeni di neuroplasticità – in conseguenza dell’impianto e dell’utilizzo delle interfacce neurali tf-LIFE da parte del paziente. In particolare, la stimolazione magnetica transcranica (TMS) ha dimostrato una significativa riorganizzazione delle aree motorie relative ai muscoli del moncherino, che si è associata clinicamente a una riduzione significativa del dolore da arto fantasma – una patologia che affligge oltre il 65% degli amputati che continuano ad avvertire dolore dall’arto mancante. Gli esperimenti condotti hanno così fornito dati oggettivi fondamentali per confermare una delle ipotesi finora avanzate, e cioè che la patologia del dolore da arto fantasma sia direttamente causata da una “riorganizzazione corticale aberrante”, ovvero sia

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dovuta all’invasione delle aree motorie del cervello originariamente correlate all’arto amputato da parte di aree contigue. Anche se i tempi non sono maturi per un’ampia diffusione clinica di questo sistema di controllo di protesi di mano, le evidenze fornite dalla sperimentazione nella sua fase applicativa su uomo rappresentano una tappa importante verso il raggiungimento dell’obiettivo finale: mettere direttamente in comunicazione il cervello e le sue diramazioni nervose con macchine artificiali. Nel caso specifico, i risultati ottenuti con il progetto LifeHand aprono interessanti prospettive sull’uso delle interfacce neurali periferiche quale soluzione alternativa ad altre. Una di queste è il trapianto di mano da cadavere, che ha dato risultati finora molto controversi a livello di recupero funzionale e ha costretto il paziente a fortissime terapie antirigetto. Un’altra è rappresentata dalle interfacce direttamente impiantate nella corteccia cerebrale, già attualmente in fase di sperimentazione su uomo. Lo studio italiano sembra rendere decisamente più indicato l’impiego di interfacce periferiche, almeno per il controllo di protesi di arto, in quanto tali dispositivi possono garantire al momento migliori prestazioni con un più basso livello di invasività e una minore complessità dei segnali fisiologici da interpretare. I problemi tecnologici e medici da risolvere sono tuttavia ancora molti. È per esempio in fase di realizzazione una versione integrata, miniaturizzata e impiantabile di tutti i dispositivi elettronici necessari sia per acquisire i segnali neurali in uscita dal cervello

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(efferenti) e tradurli in comandi per la protesi, sia per generare segnali in ingresso al cervello (afferenti) ottenuti a partire dai sensori artificiali a contatto con l’ambiente. I ricercatori di LifeHand sono già al lavoro in vari nuovi progetti nazionali ed europei focalizzati su questo e sui molti altri fronti di ricerca medica e bioingegneristica, con l’obiettivo di non vanificare le aspettative di molti pazienti che non trovano attualmente una risposta adeguata per recuperare la piena autonomia dopo la perdita di un arto. Prima dell’esperimento di LifeHand, gli studi che hanno preso in esame l’impianto di elettrodi intra-neurali sono stati due, uno americano e uno cinese. Tra il 2004 e il 2005 ricercatori americani, guidati dal Prof. Ken Horch (University of Utah), hanno impiantato elettrodi LIFE di generazione precedente nei nervi del braccio prossimali all’amputazione di un gruppo di otto pazienti con amputazione cronica. Hanno dimostrato in due casi la possibilità di aprire e chiudere “con il pensiero” una protesi “a pinza” e di generare, tramite stimolazione elettrica artificiale, percezioni sensoriali di diversa natura, quali tatto, pressione, movimento, localizzate a livello delle dita dell’arto mancante. Gli stessi ricercatori hanno registrato un’attività neurale efferente, evidenziando come i soggetti, modulando volontariamente quest’attività, fossero in grado di direzionare un cursore verso un punto ‘target’, rappresentato sullo schermo di un computer. I due elettrodi usati nello Utah garantivano tuttavia in totale solo 4 canali indipendenti di comunicazione, mentre l’esperimento svolto in Italia ha potuto utilizzare 4

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elettrodi più potenti, arrivando ad avere fino a 32 canali contemporaneamente attivi per scambiare una mole maggiore d’informazioni tra i nervi periferici e la mano robotica. La mano robotica utilizzata in Italia per LifeHand è inoltre dotata di cinque dita, tutte controllabili in modo indipendente. La protesi impiegata dai ricercatori della University of Utah era invece una protesi a due dita.

Per quanto riguarda lo studio cinese, gli autori di quest’ultimo, pubblicato nel 2007 e compiuto presso lo Zhong Shan Hospital della Fudan University (Shanghai, Cina), hanno realizzato un impianto acuto intraoperatorio di sei elettrodi intrafascicolari di diversa fattura in un singolo soggetto, registrando l’attività neurale efferente e dimostrando che il soggetto era in grado di modulare l’attività registrata dagli elettrodi posizionati a livello del nervo radiale, “comandando l’estensione di un dito della protesi di mano collegata tramite gli stessi elettrodi”. Anche in questo caso, le novità di LifeHand sono significative. Il paziente operato presso il Policlinico Universitario Campus Bio-Medico ha condotto una sperimentazione durata quasi un mese, anziché in sede esclusivamente intra-operatoria. È il periodo più lungo mai raggiunto per la sperimentazione di tali tecnologie nel sistema nervoso periferico umano. L’idea di realizzare protesi di arto collegabili all’uomo

mediante speciali interfacce neurali nasce negli anni ’90. La sperimentazione effettuata con il progetto LifeHand costituisce l’atto conclusivo di uno

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specifico percorso iniziato nel 2003, nell’ambito del programma di ricerca NEUROBOTICS. La replica della mano umana è una sfida notevole dal punto di vista ingegneristico. Una mano naturale, infatti, è mossa da oltre 30 muscoli, ha oltre 10mila sensori ed è in grado di eseguire compiti di presa, manipolazione, esplorazione e comunicazione estremamente complessi. Il gruppo di ingegneri degli Arts Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, guidati dal Prof. Paolo Dario e dalla Prof.ssa Maria Chiara Carrozza, hanno raccolto la sfida cercando di sviluppare una mano biomeccatronica in risposta a un bisogno definito: quello di favorire il reintegro sociale e lavorativo dei soggetti che hanno subito l’amputazione dell’arto. Nel caso specifico, il ruolo della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa è stato quello di progettare e costruire, nel tempo, vari prototipi di mano biomeccatronica, di realizzare gli algoritmi di classificazione dei segnali neurali, di definire i segnali di stimolazione, di co-progettare le interfacce neurali: tutte le componenti che permettono l’azione volontaria della mano e la percezione della stessa. La mano biomeccatronica utilizzata per il protocollo sperimentale di LifeHand è stata ribattezzata CyberHand. CyberHand dispone di cinque dita antropomorfe dotate di sensori propriocettivi ed esterocettivi. Ogni dito è mosso da un singolo motore, che permette la flessione e l’estensione delle tre falangi. Un motore aggiuntivo (per un totale di 6 motori nella mano) è utilizzato per il movimento di opposizione del pollice, fondamentale per effettuare

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prese di oggetti. I motori e i sensori sono controllati da schede elettroniche che regolano il funzionamento secondo un’architettura gerarchica, il cui livello superiore è direttamente controllabile dal PC che classifica i segnali neurali.

Per la costruzione del prototipo CyberHand sono stati utilizzati materiali molto diversi, a seconda delle esigenze richieste per il suo funzionamento. Le dita sono state realizzate in alluminio, leggero e resistente. I meccanismi di attuazione sono in acciaio. Per il palmo e le coperture è stata usata la fibra di carbonio. La parte elettronica di CyberHand è costituita da materiali standard, utilizzati di norma per la realizzazione di schede elettroniche. CyberHand pesa circa due chili e ha dimensioni comparabili con quelle della mano di un uomo adulto. Il sistema di attuazione ed elettronico è collocato su una struttura a torre da laboratorio (non ottimizzato per applicazioni protesiche) delle dimensioni di un avambraccio. Le sue caratteristiche peculiari sono: 1. Sottoattuazione: un motore agisce sulla contemporanea flessione di tre giunti. Questo semplifica il controllo e permette una presa avvolgente sull’oggetto; 2. Meccanismo di attuazione irreversibile: grazie a questo, una volta preso l’oggetto, è possibile spegnere il motore senza che il dito si riapra. È un meccanismo fondamentale della protesi, perché permette di risparmiare energia delle batterie; 3. Cinque dita indipendenti e movimento di opposizione del pollice;

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4. Attuazione a guaine: simile al meccanismo dei freni della bicicletta, permette di situare i motori lontano dalla mano, senza particolari difficoltà di trasferimento del moto. CyberHand è capace di compiere prese di forza (bottiglie, oggetti di forma parallelepipeda che stanno nel palmo), prese laterali (chiave, carta di credito), prese di precisione (palline, piccoli oggetti). Il prototipo è anche in grado di fare gesti. Nell’ambito di LifeHand, la connessione fra le interfacce neurali e la mano è stata realizzata attraverso un collegamento transcutaneo (con fili che fuoriuscivano dalla cute del braccio del paziente). Nel prossimo futuro, tuttavia, verrà utilizzato un sistema telemetrico (wireless) tra interno ed esterno del corpo umano. Il gruppo di lavoro degli Arts Lab della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, coordinato dall’Ing. Silvestro Micera, si è occupato dello sviluppo degli algoritmi per l’estrazione dei comandi motori e per la stimolazione delle fibre sensoriali, al fine di realizzare il collegamento bi-direzionale fra le interfacce (impiantate) e la mano (esterna), parti essenziali di una protesi “cibernetica”.

I prossimi passi di LifeHand riguarderanno la ripetizione dell’esperimento in altri soggetti volontari, al fine di valutarne la ripetibilità e di testare l’efficacia dei tf-LIFE come interfacce neurali. Sono inoltre previsti l’evoluzione e il miglioramento dell’elettronica e dei software necessari per l’analisi dei segnali registrati, così come la miniaturizzazione dei sistemi

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impiantabili, della meccanica, della sensoristica e dei sistemi di controllo della protesi biomeccatronica. Essendo LifeHand un progetto non ancora concluso, l’eventuale beneficio per il candidato potrà essere valutato soltanto a medio-lungo termine. In caso di riuscita delle successive fasi sperimentali, comunque, al soggetto sarà garantito di poter usufruire per primo e gratuitamente dell’ultima versione di protesi di mano cibernetica, nel momento in cui sarà disponibile per un utilizzo clinico. Contemporaneamente, un programma di ricerca finalizzato alla realizzazione di protesi bioniche controllate dal paziente a livello neurale è in corso negli Stati Uniti d'America, presso la DARPA, l’Agenzia per Progetti di Ricerca Avanzati del Dipartimento della Difesa americano.

La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla

Scuola Sant'Anna di Pisa.

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La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla

Scuola Sant'Anna di Pisa: senza rivestimento.

La mano bionica a cinque dita indipendenti, realizzata dalla Scuola Sant'Anna di Pisa: con rivestimento in lattice.

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Il braccio bionico del RIC Al Rehabilitation Institute of Chicago (RIC), è stato di recente realizzato un braccio bionico a neuro-controllo, che permette al paziente di muovere il dispositivo come un braccio vero, semplicemente PENSANDO. Il braccio permette ai pazienti movimenti più naturali, un ampio raggio di motilità e il recupero delle funzioni perse. Utilizzando le conoscenze chiave ricavate dal primo impianto di un braccio bionico, eseguito nel Tennessee su Jesse Sullivan, il Dr. Kuiken e il suo team hanno compiuto significativi avanzamenti nell'area della risposta sensoriale, cosicché il paziente può attualmente 'sentire' e capire quindi se sta toccando oggetti caldi oppure freddi. Questo braccio bionico è stato denominato RIC (dal nome dell’Istituto in cui è stato sviluppato). Per fornire il RIC del movimento neuro-controllato, i nervi nella spalla del braccio amputato vengono 'reindirizzati' e connessi con i muscoli sani del torace: questa operazione è chiamata "reinnervazione mirata del muscolo" e permette di dirigere i segnali nervosi direttamente al braccio bionico, come se si trattasse del braccio naturale.Le attuali braccia artificiali hanno solo 3 motori: Il Braccio bionico RIC include un sistema a 6 motori, sviluppato in collaborazione con i laboratori di ricerca di tutto il mondo: utilizza diverse parti della protesi simultaneamente, con l'obiettivo di ricreare i movimenti naturali del braccio.

Claudia Mitchell, 26 anni, ex marine, è la prima donna al mondo ad avere un braccio bionico, nuovo gioiello della tecnologia delle protesi americana, frutto di

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vent'anni di ricerche: lo muove con il pensiero. Claudia perse il braccio sinistro, amputatole all'altezza della spalla, due anni fa, in seguito a una caduta in moto. La Mitchell ha mostrato le funzionalità della protesi durante una conferenza stampa a Washington, "dando il cinque" a Jesse Sullivan, il primo uomo in assoluto ad aver ricevuto un braccio bionico.

Claudia Mitchell

L’occhio bionico

Un occhio bionico è un apparato costituito da una telecamera e da una retina elettronica, progettato per sostituire le funzionalità dell'occhio umano.La telecamera può essere montata sugli occhiali e trasmette senza fili (per mezzo di onde radio) le sue immagini ad un impianto che simula la funzionalità della retina, collocata sul fondo del bulbo oculare.

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Questa tecnologia, sviluppata nei primi anni del XXI secolo riesce a interpretare e produrre immagini composte da un numero variabile tra 16 e 60 pixel in toni di grigio, ma rappresenta un primo passo verso la realizzazione di impianti di prestazioni maggiori (attualmente si punta al migliaio di pixel). Sono stati ottenuti dei risultati interessanti, ad esempio in Inghilterra: i malati di una specifica malattia oculare genetica, la retinite pigmentosa (il nervo ottico12 deve essere integro), hanno recuperato parzialmente la vista con una bassa risoluzione. Uno di essi è riuscito a leggere alcune parole brevi sullo schermo mentre un altro è riuscito a distinguere grandi quadrati bianchi da grandi riquadri neri. L'occhio bionico rappresenta il primo esempio di interfaccia funzionale tra un apparato elettronico e il cervello.

Nel 2006 è cominciata in California la sperimentazione su esseri umani, che mira a realizzare un sistema per

12 Il nervo ottico è il secondo di 12 paia di nervi cranici, ma è considerato come parte del sistema nervoso centrale; infatti, le fibre sono ricoperte dalla mielina prodotta dagli oligodendrociti, e il nervo ottico è avvolto nelle meningi (dura madre, aracnoide, pia madre). Tecnicamente, assieme al nervo olfattivo, non sono nervi ma una continuazione del sistema nervoso centrale. Il nervo ottico - lungo circa cinque centimetri - lascia l'orbita attraverso il canale ottico, raggiungendo il chiasma ottico, in cui si assiste ad una parziale decussazione (incrocio) delle fibre nervose: infatti quelle provenienti dalle emiretine nasali si incrociano e proseguono nel tratto ottico controlaterale. La maggior parte degli assoni del nervo ottico termina nel corpo genicolato laterale, da dove le informazioni visive vengono trasmesse alla corteccia visiva.

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restituire la vista ai disabili visivi. L'azienda californiana Second Sight Medical Products ha presentato alla American Association for the Advancement of Science di San Francisco, un progetto per la realizzazione di retine artificiali. Un primo prototipo, denominato Argus IRetinal Prosthesis System a 16 pixel è stato testato tra il 2002 e il 2004 su sei pazienti, di cui uno solo ha creato problemi al volontario che lo ospitava e ha dovuto essere rimosso.

È in corso di test la versione Argus II (60 pixel). Il dispositivo,primo nel suo genere, consiste in una videocamera montata su un paio di occhiali. Questo è collegato ad una retina artificiale che trasmette, in modalità wireless , le immagini catturate dalla videocamera lungo il nervo ottico al cervello. Quest’ultimo può ricostruire le immagini rappresentandole sotto forma di zone di luce e di ombra.

1: La fotocamera posta sugli occhiali cattura le immagini e invia le informazioni al processore; 2: il processore converte le immagini in segnale elettronico;

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3: il segnale elettronico quindi è trasmesso, in modalità wireless, alla retina artificiale; 4: i dati vengono inviati, attraverso un cavo molto piccolo legato alla retina, al nervo ottico; 5: il nervo ottico trasmette tutti i dati al cervello.

Le operazioni sono state condotte come parte di uno studio clinico internazionale che ha già dimostrato la propria efficacia nel ripristino della visione rudimentale nei pazienti che sono diventati ciechi a causa di condizioni comuni quali la degenerazione maculare legata all’età o la retinite pigmentosa. Circa 1,5 milioni di persone in tutto il mondo sono affette da retinite pigmentosa e, ad una persona su dieci con età superiore ai 55 anni, viene diagnosticata la degenerazione maculare legata all’età. In entrambe le malattie degenerative, le anormalità delle cellule della retina (fotorecettori) portano ad una perdita della vista graduale e progressiva. Un caso straordinario è quello di una paziente americana a cui è stato impiantato il dispositivo. Era completamente cieca da più di dieci anni a causa di una forma ereditaria di retinite pigmentosa. Con l’aiuto della telecamera montata su un paio di occhiali da sole, può ora avere una vaga immagine del mondo fatto di luci ed ombre. Ricercatori americani sperano di sviluppare una macchina fotografica delle dimensioni di un pisello che potrebbe essere impiantata all’interno del bulbo oculare, sostituendo i tessuti naturali con la tecnologia artificiale. Anche se l’intervento non garantisce il recupero della vista, ma solo la possibilità di creare un meccanismo di trasmissione delle informazioni visive al cervello, si

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tratta di un approccio sicuramente rivoluzionario soprattutto per i risultati che permette di conseguire. Le lenti bioniche per la “realtà aumentata” Alcuni ricercatori americani sono riusciti di recente a sviluppare delle lenti a contatto bioniche con circuiti elettronici e LED, in grado di generare immagini virtuali. Come nei film di fantascienza, in perfetto stile Minority Report o Terminator, un domani nemmeno troppo lontano potremo controllare la casella di posta elettronica o guardare le foto delle vacanze senza l’ausilio di computer o telefonino, oppure visualizzare le indicazioni del navigatore Gps senza la necessità di rivolgere lo sguardo al display del dispositivo e senza che altri si accorgano di quel che sta accadendo davanti ai nostri occhi. Il tutto sarà possibile grazie alla cosiddetta augmented reality (letteralmente «realtà aumentata») – ovvero l’insieme delle tecnologie che potenziano il nostro rapporto con la realtà – e al suo utilizzo nella produzione di una nuova generazione di lenti a contatto, come quelle allo studio presso i laboratori della University of Washington.

Il prototipo di lente messo a punto dal professor Babak A. Parviz e dal suo team di studenti incorporano led e microcomponenti come antenne miniaturizzate, biosensori e circuiti semitrasparenti in grado di generare immagini virtuali nel campo visivo di chi le indossa. A completamento della tecnologia, un piccolo apparecchio portatile, separato, per la trasmissione delle informazioni ai circuiti. Come spiega Parviz, al di là del semplice arricchimento visivo, le lenti in questione si prestano a diversi utilizzi nel campo

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medicale. Uno di questi, per esempio, potrebbe essere il monitoraggio della glicemia nei diabetici, possibile grazie a un particolare sensore incorporato nella lente in grado di rilevare la concentrazione della molecola del glucosio. Si tratta ancora di esperimenti, e i prototipi di Parviz sono stati testati con successo e senza effetti collaterali solo sui conigli, e per 20 minuti al massimo.

Fonte: Spectrum.ieee.org

L’orecchio bionico sottocutaneo

Si chiama "Carina", e potrebbe essere il primo orecchio bionico al mondo in grado di ridare l'udito ad almeno alcuni sordi e nel contempo rendere un ricordo del passato la necessità di indossare apparati esterni. Al contrario di molti apparecchi acustici, infatti, Carina viene installato a diretto contatto con gli organi deputati all'ascolto, fissato sul cranio con bulloni di

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titanio e richiede una manutenzione minima in confronto agli impianti tradizionali. Carina, è un apparecchio acustico di nuova generazione, miniaturizzato e hi-tech, formato da diverse parti interconnesse l'una all'altra impiantate nella testa del paziente nel corso di una operazione chirurgica.

Il primo pezzo è il microfono, che viene posizionato dietro l'orecchio esterno. Per compensare la minore sensibilità alle onde sonore dovuta alla sua installazione dietro la pelle - dove essa si riduce di un fattore 10 - la superficie del ricevitore è stata aumentata di dieci volte rispetto a quella di un comune auricolare esterno, arrivando in sostanza alla grandezza di un'unghia.

Subito dopo viene l'unità di elaborazione dei segnali sonori, il vero e proprio cuore del dispositivo che ne occupa la stragrande maggioranza ed è alimentata da una batteria ricaricabile agli ioni di litio. Per caricare l'accumulatore viene usato il terzo componente dell'orecchio bionico, una spirale induttiva che converte le onde radio di un apposito trasmettitore esterno in energia. Per un giorno di funzionamento continuo occorre applicare tale trasmettitore per una o due ore, tempo che può essere impiegato liberamente dal paziente come più preferisce.

Il quarto e ultimo componente è poi un pistone vibrante da installare nell'orecchio medio, fissandolo con quattro bulloni di titanio alle ossa del cranio. Il pistone è il principale responsabile della generazione delle vibrazioni sonore da inviare al processore

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centrale e quindi al cervello, si sostituisce al timpano e stimola molto più efficacemente i tre fragili ossicini preposti alla propagazione del suono nell'orecchio interno come un vero e proprio amplificatore. Un'installazione complessa, che richiede un gran lavoro di chirurgia e che va ripetuta ogni 5-10 anni, intervallo di tempo stimato per la durata totale della batteria dell'aggeggio: ogni volta va sostituito quasi tutto l'apparato, essendo i vari componenti intimamente connessi l'uno all'altro, con l'eccezione del pistone nell'orecchio medio. Ogni successiva installazione dovrebbe quindi essere più semplice: si toglie il vecchio orecchio bionico e si mette quello nuovo, sostengono i ricercatori.

Che sia dunque sopraggiunta la fine per gli ingombranti auricolari che le persone con difetti all'udito sono condannate a portare come segno ben visibile dei loro difetti? Parrebbe di si, almeno per chi se lo può permettere visto che negli USA l'orecchio bionico non è coperto dall'assicurazione medica esattamente come un apparecchio di alto livello, ma costa esattamente il quadruplo - circa 20mila dollari. I risultati dell'impianto sono inoltre ancora al vaglio della Food and Drug Administration, che ne sta studiando la sicurezza e l'efficacia sui pazienti: il test ha superato la fase uno (quella sulla sicurezza) con risultati ambigui, i 20 soggetti impiegati hanno avuto difficoltà maggiori ad ascoltare i suoni deboli con il Carina piuttosto che con un dispositivo tradizionale, ma le impressioni soggettive di tutti sull'impianto sono state migliori dei risultati stessi.

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Veronika Koch, venticinquenne tedesca studente di medicina, è invece la rappresentazione del successo completo dell'impianto: la ragazza parla di "esperienza meravigliosa" in relazione alla sensazione di sentire di nuovo in maniera naturale per mezzo del Carina quando esso è stato attivato la prima volta, di controindicazioni praticamente inesistenti visto che "non devi pensarci affatto" e in sostanza di una qualità della vita nettamente migliorata dopo l'operazione. È insomma ancora presto per poter definire in pieno l'efficacia della nuova soluzione contro la sordità, occorre aspettare la fine dei test della FDA e l'ulteriore raffinamento della tecnologia alla base del Carina.

Il piede bionico

È stata recentemente sviluppata una nuova protesi del piede dal costo contenuto e dalle prestazioni superiori per persone attive, vittime di mine. Dal design innovativo e con forte rendimento (da un punto di vista energetico); con caratteristiche di robustezza e di flessibilità elevate, grazie ad un elastomero termoplastico poliestere che fornisce stabilità, efficacia e comfort.

La protesi è stata sviluppata all'interno del programma di soccorso in favore delle vittime di mine del Canadian Centre for Mine Action Technology, da parte dell'azienda Niagara Prosthetic & Orthotics International Ltd. (Ontario, Canada), con l'assistenza dei partner del settore Hippo Design (Montebello, Québec), Précicad (Québec City, Québec), DuPont

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(USA e Canada) e un team di ingegneri della Queen’s University (Kingston, Ontario).

La protesi è stata specificamente progettata per persone dalla vita attiva e per coloro che camminano su terreni accidentati. Una caratteristica chiave del design è la chiglia, una parte unica, a forma di S, che agisce da molla per accumulare e rilasciare energia durante la marcia. “Il principio della redditività energetica incorporato nel design delle protesi consente all'utilizzatore di camminare in modo più naturale rispetto a protesi dal design convenzionale” - spiega Rob Gabourie, fondatore di Niagara Prosthetic & Orthotics Corporation e inventore della protesi – “I pazienti percepiscono e apprezzano le prestazioni offerte da questa apparecchiatura, che diminuisce lo sforzo muscolare richiesto per camminare”.

La combinazione di un basso livello di fatica sotto flessione e di un'alta resistenza alle sollecitazioni fornita dal materiale con cui è stata realizzata questa protesi , è stata un elemento fondamentale per la realizzazione di questo concetto – e Rob Gabourie è addirittura convinto che il suo design non funzionerebbe con nessun altro materiale. Mentre altre resine, inclusi i poliossimetileni e le poliammidi, non hanno superato i due milioni di carichi ciclici e hanno subito deformazioni o, in alcuni casi, cedimenti strutturali, questa ha nettamente superato questo limite durante i severi collaudi effettuati alla Queen’s University, come richiesto dagli standard ISO 10328.

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“Di particolare interesse è la capacità di questo materiale di accumulare e rilasciare energia” - ha dichiarato Dan Curran-Blaney, referente per lo sviluppo delle applicazioni presso DuPont Canada – “Esso soddisfa le specifiche del design imitando il movimento naturale dell'articolazione della caviglia. Oltre a questo requisito fondamentale, il materiale deve poter sopportare cicli severi di carico, come avviene durante un uso normale. Sua caratteristica esclusiva è la capacità di riacquistare la forma originale anche durante cicli continui sotto carico, qualità che accresce le sue proprietà elastiche”.

Un'ulteriore motivo per la sua eccellente prestazione in una applicazione talmente esigente viene fornita dal comportamento del materiale durante la lavorazione, come ha spiegato Helga Plishka, referente tecnico presso DuPont Canada: “La geometria del design attuale richiede pareti particolarmente spesse. Questo materiale cola facilmente negli stampi e produce parti molto compatte, pertanto la presenza di vuoti, molto diffusi nelle parti stampate con POM o poliammide, viene eliminata”. Per prevederne il funzionamento e la durata, la protesi del piede è stata sottoposta a collaudi in laboratorio, clinici e sul campo, inclusi test di prestazione con mutilati sia in Canada che in San Salvador. La protesi è disponibile in diverse misure, con un rivestimento cosmetico opzionale. Progettata per adulti che conducono una vita attiva e fino a 80 chili di peso, la protesi può essere facilmente personalizzata dal protesista locale a seconda del peso dell'utilizzatore, i livelli di attività e le preferenze personali.

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Il “Niagara Foot” dell’azienda Niagara Prosthetic & Orthotics International Ltd.

Il Polmone artificiale

BioLung è un polmone artificiale che rimpiazza le normali funzioni di un polmone durante gravi infortuni o in attesa di un trapianto, e in futuro magari come 'pacemaker respiratorio'.Gli ingegneri della MC3 hanno disegnato e brevettato tutto il sistema in collaborazione con diversi Istituti Accademici in America: è attualmente in fase di test per essere approvato dalle autorità sanitarie USA. In caso positivo, BioLung sarà commercializzato da un'azienda tedesca, la Novalung.

Il polmone artificiale BioLung

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Un disegno schematico del funzionamento di BioLung, nel corpo umano.

Il cuore artificiale

Il cuore artificiale sta lentamente uscendo dalla fase sperimentale. Nel giro di pochi anni diventerà una valida alternativa al trapianto tradizionale. Per adesso è usato nei casi disperati, con risultati incoraggianti. Il forte sviluppo delle tecnologie applicate al campo medico sta cercando di superare le barriere terapeutiche in vari campi, tra cui quello della cardiologia. Ultimamente, ad esempio, ha portato alla progettazione e realizzazione di sistemi definiti cuori artificiali definitivi per il trattamento di soggetti affetti da gravi cardiopatie. Ad esempio, il sistema LionHeart, Left Ventricular Assist System (sistema di assistenza del ventricolo sinistro, LVAS), è il frutto di sette anni di

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collaborazione tra la facoltà di medicina della Pennsylvania State University all’Hershey Medical Center e l’Arrow International, un produttore ed innovatore mondiale di apparecchi medicali con sede negli Stati Uniti. È un sistema che lavora assieme al cuore naturale del paziente, pompando il sangue e gestendone la circolazione in entrata ed in uscita. Il primo impianto di questo sistema è avvenuto nel 1999 in Germania, su un soggetto di 65 anni, che ha potuto in questo modo riprendere una vita normale. Nel quadro di una sperimentazione clinica europea che ha coinvolto molti centri, un intervento di impianto è stato condotto anche presso il reparto di Cardiochirurgia del Policlinico San Matteo di Pavia dall’equipe del Prof Viganò. Il destinatario del nuovo sistema è l’italiano Rino Fulgoni, che soffriva di una grave cardiopatia, operato a settembre del 2001. La sua unica speranza era rappresentata da questo intervento. Ha lasciato a novembre il reparto di terapia intensiva, e le sue condizioni migliorano costantemente, presentando parametri renali, epatici e metabolici nella norma. La sua vita è cambiata in modo radicale. Visti i risultati incoraggianti, il professor Viganò ha riferito di valutare la possibilità di effettuare altri due interventi di impianto del sistema “Lionheart”. Un’altra società, la Abiomed, ha sviluppato il sistema Abiocor, in grado di sostenere il sistema circolatorio e mimare la funzione del cuore che sostituisce. È stato disegnato con l’intento non solo allungare le vite dei pazienti che altrimenti morirebbero a causa dell’insufficienza cardiaca, ma soprattutto per offrire una buona qualità di vita. È stato studiato per sostituire il cuore seriamente malato e per molti pazienti

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rappresenta l’unica alternativa al trapianto di cuore. È destinato a soggetti con ventricoli destri e sinistri gravemente danneggiati, per i quali i metodi chirurgici attualmente in uso o la terapia farmacologica sono inadeguati.

Un esemplare di Abiocor, prodotto dalla statunitense Abiomed.

L’anca bionica

Helix3D Hip Joint System è la prima anca bionica al mondo: offre un ampio raggio di movimenti, imita benissimo le dinamiche di una camminata normale e grazie ad un complesso sistema meccanico ripartisce perfettamente i pesi prevenendo gli errori di postura e le complicazioni della deambulazione.

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Può sopportare un peso di 100Kg.

L’anca bionica Helix3D Hip Joint System

La Pelle Sintetica

Le nuove ricerche in questo campo mostrano passi da gigante nella ricostruzione della pelle attraverso l'utilizzo di una speciale materia sintetica unita all'applicazione di cellule staminali ossee adulte.In un articolo riportato sulla rivista Artificial Organs, lo scienziato Yan Jin spiega che, applicata ad un paziente, questa speciale materia permette alle cellule staminali di 'diventare' cellule della pelle e di ricostruire ferite gravi e da ustioni in modo definitivo.

Una compagnia Inglese di Cambridge ha creato un "prodotto per l'innesto epidermico": essenzialmente

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una pelle sintetica. Utilizza molti degli elementi che si trovano in effetti nella “vera pelle umana” (fibroblasti di collagene), ed è in sostanza un “innesto da donatore generico”. In un esperimento, sei volontari hanno utilizzato questo prodotto di laboratorio innestandolo su una ferita o su un’ ustione. Ventotto giorni dopo, la “sintopelle” si è integrata perfettamente con quella dei pazienti, coprendo il danno.

“Sintopelle” per innesto epidermico.

Recentemente un team di Ricercatori dell’Università di Tokyo ha creato un nuovo materiale che possiede caratteristiche simili alla gomma, ma con una conduttività elettrica 570 volte maggiore: ancora un'altra conquista della nanotecnologia, dato che si è ottenuto questo materiale mescolando la gomma con nanotubi di Carbonio e un liquido ionico. La scoperta può giovare anche agli umani, che potrebbero usufruire nel prossimo futuro di una classe nuova di tessuti elettronici: questa “nanopelle sintetica” può stirarsi di 1.7 volte la sua lunghezza senza perdere la conduttività. Manca davvero poco alla “pelle dei

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robot”, dunque, una membrana sintetica e dotata di “sensibilità”. Secondo Tsuyoshi Sekitani, membro del team di ricerca, questo nuovo materiale dovrebbe consentire agli androidi di percepire il calore e la consistenza delle superficie toccate.

Il “tessuto elettronico” e il suo ideatore: Tsuyoshi Sekitani

I Muscoli Pneumatici

Un muscolo pneumatico è di fatto una membrana che si espande e si contrae mimando il movimento del muscolo tradizionale. Sono attualmente allo studio forme diverse per funzioni muscolari diverse: il più

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noto muscolo pneumatico è il cosidetto "Muscolo McKibben", utilizzato già in robot di ultima generazione. Presto gli studi troveranno applicazione anche in campo del tutto “umano”.

Il muscolo pneumatico McKibben Il fegato bionico

HepaLife, un'azienda di Boston, ha annunciato i risultati positivi di un test effettuato su PICM-19, un gruppo di cellule brevettate per funzionare all'interno di un “bioreattore” che mima le funzioni di un fegato umano.Se la seconda fase avrà successo ci troveremo di fronte ad un vero e proprio fegato bionico, per ora utilizzabile all'esterno del corpo ma in futuro anche dentro.

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Lo stomaco artificiale

Questo dispositivo non è stato abbastanza ridotto da poter essere impiantato, ma testimonia lo stato di avanzamento nelle ricerche condotte allo scopo di realizzare uno “stomaco bionico” che in futuro possa assolvere a tutte le funzioni di un normale apparato umano. Un gruppo di scienziati inglesi ne ha costruito un prototipo che ha la capacità di circa metà di un normale stomaco ed è in grado di digerire...una zuppa (per ora ha mangiato solo quella).

Un prototipo di “stomaco artificiale”

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I Reni Artificiali

Due ricercatori della UCLA, Martin Roberts e David B.N. Lee, hanno disegnato un 'Rene indossabile' che può rimpiazzare gli organi deficitari dei pazienti: funziona a ciclo continuo e non sarà più necessario affidarsi ad una macchina che lavora solo 4 ore al giorno per 3 volte alla settimana. La dialisi come la conoscono oggi i pazienti con insufficienza grave potrebbe presto essere solo un ricordo. AWAK, questo il nome del dispositivo: uno dei suoi creatori dichiara: "Ciò che davvero c'è di nuovo in AWAK è la libertà per il paziente, che non avrà più bisogno di sottoporsi ad una dialisi periodica. Il lavoro a ciclo continuo di AWAK, poi, permetterà al processo di migliorare in qualità, di far sentire meglio i pazienti e di regalare loro una vita migliore e più lunga".

Il dispositivo ideato da Roberts & Lee, della Università della California (Los Angeles)

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Sitografia specifica: http://it.wikipedia.org/wiki/Cyborg http://www.coscienza.org/cyborg.htm http://www.coscienza.org/_ArticoloDB1.asp?ID=101 http://www.unicampus.it/lifehand/una-sfida-lifehand http://futuroprossimo.blogosfere.it/2009/05/16-vere-tecnologie-per-cyborgs.html http://it.wikipedia.org/wiki/Occhio_bionico http://www.medicitalia.it/02it/notizia.asp?idpost=79883 http://punto-informatico.it/2145448/PI/News/orecchio-bionico-sottopelle.aspx http://italiasalute.leonardo.it/News.asp?ID=8507 http://www.ansa.it/web/notizie/rubriche/scienza/2009/12/01/visualizza_new.html_1623008194.html http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/09_dicembre_01/mano-bionica-dialoga-cervello_6e6b8734-deb5-11de-b977-00144f02aabc.shtml http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/09_ottobre_19/mano-bionica-sente-presa_1d906652-bcb6-11de-9662-00144f02aabc.shtml http://www.corriere.it/scienze_e_tecnologie/09_settembre_02/lenti_contatto_alessandra_carboni_2ae7cfea-97c0-11de-b29b-00144f02aabc.shtml http://archiviostorico.corriere.it/2007/febbraio/03/prima_donna_dal_braccio_bionico_co_9_070203048.shtml http://lescienze.espresso.repubblica.it/multimedia/home/410536/3 http://futuroprossimo.blogosfere.it/2007/05/gli-occhi-bionici.html http://futuroprossimo.blogosfere.it/2008/07/che-meraviglia-e-la-fine-della-dialisi-grazie-ad-awak.html

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Bioingegneria e sistemi neuro-robotici.

Mago: “Ed ora veniamo a te, mio luccicante amico. Tu desideri un cuore, non immagini quanto tu sia

fortunato a non averlo; il cuore non sarà mai una cosa pratica finché non ne inventeranno di infrangibili”.

Uomo di Latta: “Sì, ma io lo vorrei lo stesso”. Mago: “Nel paese dal quale provengo ci sono uomini

che passano la vita facendo opere buone, sono chiamati benefattori. I loro cuori non sono più grandi

del tuo, ma hanno una cosa che tu non hai: un riconoscimento. E dunque in considerazione della tua grande bontà è con gioia che ti offro questo piccolo pegno come simbolo della nostra stima e del nostro

affetto. E ricordati, mio sentimentale amico, un cuore non si giudica solo da quanto ami, ma da quanto tu

riesci a farti amare dagli altri!” (Il meraviglioso Mago di Oz)

Lyman Frank Baum

Quando l’informatica abbraccia la biologia. Una delle ultime frontiere delle neuroscienze è la neuro robotica, disciplina che si propone di far interagire robot e cervelli. Oggigiorno esistono diversi modelli sperimentali di cyber-robot che rappresentano il massimo risultato del connubio tra alta tecnologia e fondamenti di biologia e neuroscienze. Se definiamo l’apprendimento come la capacità di acquisire nuovi “comportamenti” attraverso l’esperienza, possiamo affermare che studiando sistemi bio-artificiali neuro-

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robotici, siamo in grado di investigare i meccanismi di plasticità sinaptica alla base dell’apprendimento. L’intervento della robotica in questo contesto, attraverso un nuovo paradigma sperimentale che permette l’osservazione di un sistema neuronale connesso con un corpo artificiale, può aiutare alla comprensione dei meccanismi che sono alla base dell’apprendimento. Con questo obiettivo sono stati realizzati dei sistemi ibridi, dove un “cervello” è stato interfacciato ad un sistema robotico al fine di studiare le proprietà adattive del sistema nervoso in modo controllato. Fornendo un “corpo”, sebbene robotico, ad una coltura di neuroni, il “significato” dell’attività e della dinamica neuronale emerge in maniera più evidente. In questo caso infatti, l’attività stessa della rete è anche frutto delle stimolazioni indotte dall’interazione con l’ambiente. La rete di neuroni possiede un corpo che, muovendosi nell’ambiente, fornisce “esperienza” permettendo lo studio di comportamenti "intelligenti". Il primo esempio: un cervello di lampreda connesso a

un robot mobile.

Alla fine degli anni ’90 il gruppo di Mussa-Ivaldi presso la Northwestern University di Chicago ha proposto per primo il paradigma sperimentale dove una porzione di cervello di lampreda (una sorta di anguilla dotata di un sistema nervoso molto semplice) è stata collegata ad un corpo artificiale, ovvero un piccolo robot mobile dotato di due ruote ed alcuni sensori di prossimità. Individuati specifici percorsi neuronali mediante micro-pipette di vetro (usate in registrazione) ed elettrodi di metallo (usati in stimolazione) si è

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creato un “anello chiuso” collegando il segnale elettro-fisiologico alle ruote del robot e gli stimoli visivi del robot al sistema di stimolazione del preparato neurale (vedi figura).

Il sistema neuro robotico sviluppato alla Northwestern University dal gruppo del Prof. Mussa- Ivaldi. Lo schema della preparazione

neuronale e della posizione dgli elettrodi (sinistra). Il robot mobile Khepera (destra). L’interfaccia hw/sw (centro) tra robot (destra) e lampreda (sinistra). Adattato da Karniel et al. (2005).

Attraverso opportuni, semplici schemi di codifica e decodifica dell’informazione, il segnale elettro-fisiologico è tradotto in comandi motori per le ruote del robot, il quale si muove in un ambiente ricco di stimoli luminosi. I sensori di prossimità (usati in modo solo passivo, per monitorare dove sia collocata la fonte luminosa) raccolgono informazioni sull’ambiente circostante, che vengono tradotte in forma di impulsi elettrici che ritornano al cervello in vitro al fine di stimolarne l’attività neurale e chiudere il ciclo di informazione. In questo modo il robot, comandato dal cervello in

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vitro, si trova a compiere un task di “tracking” del segnale luminoso (figura 1). L’originalità dell’idea ha aperto un nuovo filone di ricerca a cavallo tra le neuroscienze e la neuro ingegneria favorendo una serie di nuovi approcci teorico-sperimentali. Questa nuova modalità sperimentale di un sistema neurale “incorporato” (i.e., embodied) e “situato in un ambiente” (i.e., situated) permette di investigare il rapporto corpo-cervello ed i meccanismi di base di comunicazione ed apprendimento in condizioni controllate. Neuroni in coltura e "animat".

Il gruppo di Potter al Caltech (CA; USA) ha invece proposto un nuovo paradigma sperimentale di neurorobotica in vitro in cui una rete di neuroni (accoppiata ad una matrice di microelettrodi) è connessa bi-direzionalmente ad un “animat” (i.e., simulated animal). L’attività neuronale è registrata ed utilizzata per muovere un topo virtuale in un ambiente simulato. Il sistema così descritto è un esempio di modello semplificativo a parametri controllabili del cervello dove una rete di neuroni non-strutturata ma “embodied” può interagire con l’ambiente circostante ed è possibile studiare le capacità intrinseche adattive e le dinamiche neuronali, intese come modalità di elaborazione dell’informazione in risposta agli stimoli esterni. A partire dai pattern di attività elettro-fisiologica si elabora una direzione di movimento (sinistra, destra, avanti, indietro) e opportune stimolazioni elettriche trasducono13 l’input 13 Si veda “trasduzione”: nota a piè pagina 14.

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sensoriale, ovvero chiudono il loop con il risultato dell’interazione nell’ambiente virtuale. L’effetto globale dell’attività della rete è in qualche modo espresso dal comportamento (traiettorie) del robot. Il sistema proposto, benché non sia stato in grado di mostrare comportamenti orientati a compiti specifi ci (i.e., evitare gli ostacoli, muoversi in direzione privilegiate seguendo stimoli particolari), realizza una semplice modalità per cui è possibile passare dal correlato neuronale ad aspetti macroscopici di tipo comportamentale (figura 2).

Sistema neuro robotico proposto dal gruppo di S. Potter.

A partire da questo modello sperimentale sia il gruppo di ricerca di Potter (Bakkum et al. 2004) che il gruppo del prof. Sergio Martinoia del DIBE- Dipartimento di Ingegneria Biofisica ed Elettronica dell’Università di Genova (Novellino et al. 2007), hanno proposto nuovi sistemi d’interazione di tipo senso-motorio in anello chiuso che realizzano una comunicazione bi-direzionale tra neuroni e robot in tempo reale. Il

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primo gruppo ha sviluppato il sistema chiamato “hybrot” che si muove in un ambiente definito con compiti di navigazione finalizzati ad evitare un altro piccolo robot mobile, che si muove in maniera casuale (figura 3).

Hybrot (http://www.neuro.gatech.edu/groups/potter/)

Il secondo gruppo ha realizzato un’interfaccia neuro-robotica che realizza in tempo reale un compito reattivo volto ad evitare ostacoli reali (figura 4).

Interfaccia neuro-robotica proposta dal gruppo di Martinoia

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Neuroni in coltura accoppiati a un robot autonomo. In parallelo ad alcuni altri autori che hanno proposto paradigmi sperimentali simili, il gruppo del professor Sergio Martinoia (http://www.bio.dibe.unige.it/) in collaborazione con il gruppo del professor Vittorio Sanguineti del DIST (Dipartimento di Informatica Sistemistica e Telematica) dell’Università di Genova, ha sviluppato un nuovo sistema di misura costituito da una matrice di microelettrodi accoppiata in modo cronico ad una rete di neuroni, interfacciata bi-direzionalmente ad un robot autonomo. Il robot si muove in un’arena circolare di 80 cm di diametro, contenente ostacoli circolari della stessa dimensione del robot. Al robot sono assegnati semplici compiti di navigazione (quali esplorare lo spazio circostante evitando gli ostacoli); in particolare, distribuiti pochi ostacoli all’interno dell’arena, si studiano i meccanismi di controllo reattivo e di capacità di apprendimento rispetto al compito assegnato. Il robot è connesso con la rete di neuroni, accoppiata alla matrice di microelettrodi, che ne costituisce il sistema di controllo. Il sistema sperimentale è stato sviluppato secondo una architettura modulare a multiprocessore il cui elemento principale è costituito da un sistema ad anello chiuso in tempo reale. Parte del software di controllo è stato realizzato in collaborazione con la società ETT srl di Genova: (http://www.ettsolutions.com/).L’attività elettro-fisiologica (acquisita tramite le matrici di microelettrodi) è analizzata in tempo reale per

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estrapolare l’attività neurale (motoria) che andrà a controllare la velocità delle ruote del robot, allo stesso tempo i neuroni ricevono la trasduzione14 in stimoli elettrici del feedback sensoriale che codifica la prossimità del robot agli ostacoli (figura 5).

Sequenza da una sessione sperimentale

14 La trasduzione intracellulare del segnale è la catena di reazioni che trasmette segnali (soprattutto idrofilici) dalla superficie cellulare verso bersagli intracellulari di vario tipo. Una parte non trascurabile di questi bersagli è rappresentata dai fattori di trascrizione o da molecole coinvolte in vie che comprendono questi stessi fattori. È necessario sottolineare questo concetto: l'importanza che assume questo fenomeno della biologia cellulare è legata al suo ruolo preponderante nella risposta di messaggi extracellulari (come ad esempio gli ormoni) e al controllo della trascrizione di determinate proteine che ne consegue. Le proteine che effettuano la trasduzione sono i recettori di membrana: questi, con procedimenti differenti, legano il segnale extracellulare, o ligando, e trasmettono il messaggio alle proteine bersaglio dette mediatori intracellulari o secondi messaggeri.

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Prospettive future.

Una popolazione di neuroni in coltura che cresce su di un substrato planare rappresenta una struttura indifferenziata nella quale le funzioni sono in qualche modo “offuscate” (non facilmente identificabili come in un sistema in-vivo) anche se le proprietà computazionali sono comunque presenti. È evidente, come più volte sottolineato, che non abbiamo nessuna architettura pre-definita ma possiamo sfruttare, anche se solo in 2-D, le capacità della rete di auto-organizzarsi e di ri-modellare le sue connessioni sinaptiche se provvediamo a fornire alla rete le opportune interazioni con l’ambiente, ad esempio attraverso la connessione ad un corpo robotico. La novità introdotta dal nuovo paradigma sperimentale neurorobotico è rappresentata dalla possibilità di coniugare, in un sistema controllabile ed analizzabile, le parti costitutive con cui opera un sistema complesso come un organismo vivente: cervello, corpo e ambiente. Queste tre realtà, che non possono venir facilmente disgiunte, sono, anche se a livello rudimentale, ri-comprese nel sistema sperimentale descritto. Rodney Brooks (Brooks 1991) descrive l'intelligenza come la capacità di interagire con successo con l'ambiente per raggiungere comportamenti finalizzati ("goal directed behavior"). I neuroni hanno,d'altro canto, intrinseci scopi e funzioni (trasmettere segnali, integrare gli ingressi sinaptici, ottimizzare le connessioni,ecc...); queste funzioni intrinseche stanno alla base dei comportamenti intelligenti finalizzati, così come sono stati introdotti. Ovviamente, le basi per lo sviluppo dell'intelligenza

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sono innate ma le interazioni con un ambiente sufficientemente complesso sono altrettanto necessarie perchè l'intelligenza possa manifestarsi e svilupparsi.

Nel modello sperimentale neuro-robotico, gli scopi "intrinseci" e "locali" della rete di neuroni sono soggetti ad una dettagliata analisi morfo-funzionale, mentre l'esecuzione di comportamenti finalizzati (come evitare gli ostacoli) sono osservati attraverso le attività del corpo robotico. La convinzione è che questi sistemi bio-artificiali possano condurre ad una più precisa definizione e ad una migliore comprensione delle basi neurofisiologiche dell'intelligenza. Queste semplici osservazioni, ci inducono a pensare che forse anche alcune parti e studi di base riferiti alle neuroscienze vadano in parte ripensati alla luce delle possibilità offerte dalle tecnologie robotiche. Lo studio del sistema neuronale isolato, sebbene fondamentale per la comprensione dei meccanismi fini a livello neurofisiologico e biochimico, è comunque intrinsecamente limitato ed in parte fuorviante se si vogliono investigare gli aspetti computazionali, di apprendimento e se si vogliono studiare in maniera quantitativa i processi cognitivi. L'interesse nei sistemi neuro-robotici introdotti può quindi avere un impatto rilevante per cogliere i nessi tra i meccanismi intrinseci di base e le funzioni cognitive ad un più alto livello. Questi sistemi ibridi si potrebbero rivelare interessanti non solo per studi di neuroscienza di base ma anche (o soprattutto) per gli aspetti applicativi legati allo sviluppo di sistemi intelligenti artificiali "bio-ispired" o per lo sviluppo di neuroprotesi di nuova generazione.

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Il futuro nei ..”neuro-chip” Partendo dagli studi che hanno recentemente portato alcuni ricercatori tedeschi a realizzare chip composti da circuiti semiconduttori e neuroni di lumaca, i cosiddetti "neuro-chip", un team di scienziati di Infinenon ha sviluppato una nuova tecnologia che permetterà ai chip di interagire direttamente con le cellule nervose del cervello umano e leggerne i segnali elettrici. Gli scienziati sostengono che questa tecnologia potrà essere impiegata per combattere malattie neurologiche come il morbo di Alzheimer, ma il connubio fra circuiti e cellule umane fa già pensare a classici della fantascienza come gli androidi, ovvero robot umanoidi dotati di un cervello biologico. Roland Thewes, senior director della divisione ricerche di Monaco di Infineon, ha spiegato che le prime applicazioni pratiche di questi neuro-chip saranno prevalentemente legate alla medicina e permetteranno agli scienziati di sperimentare nuovi farmaci senza intervenire su uomini o animali: applicando un farmaco ad una porzione di cellule nervose connesse ad un chip si potrà infatti leggere e interpretare la reazione delle cellule. Il neuro-chip sviluppato dai ricercatori di Infineon ha circa le dimensioni di un'unghia e integra 16.000 sensori in grado di monitorare gli impulsi elettrici di un certo numero di cellule nervose immerse in una soluzione elettrolitica nutriente che riveste il semiconduttore e permette alle cellule di mantenersi in vita. Il neuro-chip è in grado di amplificare i segnali

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emessi dalle cellule nervose e trasmetterli verso un computer che si occuperà di trasformarli in grafici. Gordon: il primo robot con cervello biologico

Gordon si muove in maniera autonoma e, come molti suoi simili, riconosce e schiva gli ostacoli. Ma c'è una caratteristica che lo rende unico: è il primo robot al mondo ad avere un cervello biologico. Il suo controllo non avviene attraverso chip di silicio, ma tramite vere cellule nervose di ratto coltivate in laboratorio. L'esperimento, è stato messo a punto nell'università britannica di Reading. L'obiettivo è studiare i meccanismi legati alla memoria: gli studiosi sperano che da questo si possano fare nuove scoperte su malattie come l'Alzheimer, il Parkinson, l'ictus o le conseguenze di lesioni cerebrali.

Gordon: il primo robot con cervello biologico

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Il cervello di Gordon, è composto dalle 50mila alle 100mila cellule nervose prelevate da embrioni di ratto. Coltivate in vitro, sono state riprogrammate per essere adattate al robot e disposte all'interno di una matrice con 60 elettrodi in grado di registrare i segnali elettrici delle cellule. Ogni volta che l'automa si avvicina a un oggetto, partono dei segnali inviati per mezzo degli elettrodi. In risposta, il cervello guida le ruote del robot in modo da fargli schivare l'oggetto. "E' un risultato davvero eccitante perché per la prima volta un cervello biologico controlla i movimenti del robot nel quale è installato", racconta Kevin Warwick, uno degli autori dell'esperimento. "Questa ricerca ci farà fare un passo in avanti nella comprensione del modo in cui il cervello lavora e potrà avere conseguenze importanti in molte aree della scienza e della medicina". L'attenzione degli esperti è concentrata sui meccanismi legati alla memoria; la speranza è di arrivare a studiare le malattie umane che ne provocano il deterioramento. Il prossimo obiettivo dei ricercatori è ottenere un prototipo in grado di apprendere sulla base di segnali di tipo diverso. In modo da potere osservare, con la progressione dell'apprendimento, la maniera in cui la memoria si manifesta nel cervello ogni volta che il robot rivisita territori e situazioni che gli sono familiari.

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Reti neurali biologiche e artificiali

Tradizionalmente il termine rete neurale (o rete neuronale) viene utilizzato come riferimento ad una rete o ad un circuito di neuroni biologici, tuttavia ne è affermato l'uso anche in matematica applicata con riferimento alle reti neurali artificiali, modelli matematici composti di "neuroni" artificiali. L'espressione può acquisire pertanto due significati distinti:

1. Le reti neurali biologiche: sono costituite dai neuroni biologici, cellule viventi tipiche degli animali connesse tra loro o connesse nel sistema nervoso periferico o nel sistema nervoso centrale. Nel campo delle neuroscienze, sono spesso identificati come gruppi di neuroni che svolgono una determinata funzione fisiologica nelle analisi di laboratorio.

2. Le reti neurali artificiali: sono modelli matematici che rappresentano l'interconnessione tra elementi definiti neuroni artificiali, ossia costrutti matematici che in qualche misura imitano le proprietà dei neuroni viventi. Questi modelli matematici possono essere utilizzati sia per ottenere una comprensione delle reti neurali biologiche, ma ancor di più per risolvere problemi ingegneristici di intelligenza artificiale come quelli che si pongono in diversi ambiti tecnologici (in elettronica, informatica, simulazione, e altre discipline).

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Una rete neurale artificiale può essere realizzata sia da programmi software che da hardware dedicato (DSP, Digital Signal Processing). Questa branca può essere utilizzata in congiunzione alla logica fuzzy.

Struttura di una rete neurale artificiale.

Fondamenti biologici.

In molti organismi viventi pluricellulari sono presenti complesse organizzazioni di cellule nervose, con compiti di riconoscimento delle configurazioni assunte dall'ambiente esterno, memorizzazione e reazione agli stimoli provenienti dallo stesso. Il cervello umano rappresenta probabilmente il più mirabile frutto dell'evoluzione per le sue capacità di elaborare informazioni. Al fine di compiere tali operazioni, le reti biologiche si servono di un numero imponente di semplici elementi computazionali (neuroni) fittamente interconnessi in modo da variare la loro configurazione in risposta agli stimoli esterni: in questo senso può

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parlarsi di apprendimento ed i modelli artificiali cercano di catturare questo tratto distintivo della biologia. Generalmente un neurone è costituito di 3 parti principali:

• il soma: corpo cellulare. • l'assone: linea di uscita del neurone unica ma

che si dirama in migliaia di rami. • il dendrite: linea di entrata del neurone che

riceve segnali in ingresso da altri assoni tramite le sinapsi.

Il corpo cellulare esegue una "somma pesata" (integrazione) dei segnali in ingresso. Se il risultato supera un certo valore di soglia allora il neurone si attiva ed è prodotto un "potenziale di azione" che è trasportato all'assone. Se il risultato non supera il valore di soglia, il neurone rimane in uno stato di riposo. In neuroscienze, una rete neurale descrive una popolazione di neuroni fisicamente interconnessi tra loro, od un gruppo di neuroni cui diversi fattori di produzione o di segnalazione definiscono un circuito riconoscibile. La comunicazione tra i neuroni spesso comporta un processo elettrochimico. L'interfaccia attraverso la quale essi interagiscono con i neuroni circostanti è costituita, come precedentemente indicato, da diversi dendriti (ingresso della connessione), che sono collegati tramite sinapsi ad altri neuroni, ed un assone (output della connessione). Se la somma dei segnali in ingresso supera una certa soglia, il neurone invia un potenziale d'azione (AP "Axon potential" in inglese) presso l'assone e trasmette questo segnale

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elettrico lungo l'assone. Invece, un circuito neurale è un ente funzionale di neuroni interconnessi che si influenzano a vicenda (simile a quello di un loop di un controllo in cibernetica).

Esempio schematico di un singolo neurone.

Fondamenti matematico/informatici.

Una rete neurale artificiale (ANN "Artificial Neural Network" in inglese), normalmente è chiamata solo "rete neurale" (NN "Neural Network" in inglese), ed è un modello matematico/informatico di calcolo basato sulle reti neurali biologiche. Tale modello è costituito da un gruppo di interconnessioni di informazioni costituite da neuroni artificiali e processi che utilizzano un approccio di connessionismo di calcolo. Nella maggior parte dei casi una rete neurale artificiale è un sistema adattivo che cambia la sua struttura basata su informazioni esterne o interne che scorrono attraverso la rete durante la fase di apprendimento.

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In termini pratici le reti neurali sono strutture non-lineari di dati statistici organizzate come strumenti di modellazione. Esse possono essere utilizzate per simulare relazioni complesse tra ingressi e uscite che altre funzioni analitiche non riescono a rappresentare. Una rete neurale artificiale riceve segnali esterni su uno strato di nodi (unità di elaborazione) d'ingresso, ciascuno dei quali è collegato con numerosi nodi interni, organizzati in più livelli. Ogni nodo elabora i segnali ricevuti e trasmette il risultato a nodi successivi. Storia.

L'ampia varietà di modelli non può prescindere dal costituente di base, il neurone artificiale proposto da W.S. McCulloch e W. Pitts in un famoso lavoro del 1943: "A logical calculus of the ideas immanent in nervous activity", il quale schematizza un combinatore lineare a soglia, con dati binari multipli in entrata e un singolo dato binario in uscita: un numero opportuno di tali elementi, connessi in modo da formare una rete, è in grado di calcolare semplici funzioni booleane. Le prime ipotesi di apprendimento furono introdotte da D. O. Hebb nel libro del 1949: "The organization of behavior", nel quale vengono proposti collegamenti con i modelli complessi del cervello. Nel 1958, J. Von Neumann nella sua opera "The computer and the brain" esamina le soluzioni proposte dai precedenti autori sottolineando la scarsa precisione che queste strutture possedevano per potere svolgere operazioni complesse. Nello stesso anno, F. Rosenblatt nel libro "Phychological review" introduce il primo schema di rete neurale, detto Perceptron (percettrone),

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antesignano delle attuali reti neurali, per il riconoscimento e la classificazione di forme, allo scopo di fornire un'interpretazione dell'organizzazione generale dei sistemi biologici. Il modello probabilistico di Rosenblatt è quindi mirato all'analisi, in forma matematica, di funzioni quali l'immagazzinamento delle informazioni, e della loro influenza sul riconoscimento dei patterns; esso costituisce un progresso decisivo rispetto al modello binario di McCulloch e Pitts, perché i suoi pesi sinaptici sono variabili e quindi il percettrone è in grado di apprendere. L'opera di Rosenblatt stimola una quantità di studi e ricerche che dura per un decennio, e suscita un vivo interesse e notevoli aspettative nella comunità scientifica, destinate tuttavia ad essere notevolmente ridimensionate allorché nel 1969 Marvin Minsky e Seymour A. Papert, nell'opera "An introduction to computational geometry", mostrano i limiti operativi delle semplici reti a due strati basate sul percettrone, e dimostrano l'impossibilità di risolvere per questa via molte classi di problemi, ossia tutti quelli non caratterizzati da separabilità lineare delle soluzioni: questo tipo di rete neurale non è abbastanza potente, infatti non è in grado di calcolare neanche la funzione or esclusivo (XOR). Di conseguenza, a causa di queste limitazioni, ad un periodo di euforia per i primi risultati della cibernetica (come veniva chiamata negli anni '60), segue un periodo di diffidenza durante il quale tutte le ricerche in questo campo non ricevono più alcun finanziamento dal governo degli Stati Uniti d'America; le ricerche sulle reti tendono, di fatto, a

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ristagnare per oltre un decennio, e l'entusiasmo iniziale risulta fortemente ridimensionato. Il contesto matematico per addestrare le reti MLP (Multi-Layers Perceptron, ossia percettrone multistrato) fu stabilito dal matematico americano Paul Werbos nella sua tesi di dottorato (Ph.D.) del 1974. Non fu dato molto peso al suo lavoro tanto fu forte la confutazione dimostrata da Minsky e Papert anni prima, e solo l'intervento di J. J. Hopfield, nel 1982, che in un suo lavoro studia dei modelli di riconoscimento di pattern molto generali, si oppose in modo diretto alla confutazione di Minsky riaprendo così degli spiragli per la ricerca in questo campo. Uno dei metodi più noti ed efficaci per l'addestramento di tale classe di reti neurali è il cosiddetto algoritmo di retropropagazione dell'errore (error backpropagation), proposto nel 1986 da David E. Rumelhart, G. Hinton e R. J. Williams, il quale modifica sistematicamente i pesi delle connessioni tra i nodi, così che la risposta della rete si avvicini sempre di più a quella desiderata. Tale lavoro fu prodotto riprendendo il modello creato da Werbos. L'algoritmo di backpropagation (BP) è una tecnica d'apprendimento tramite esempi, costituente una generalizzazione dell'algoritmo d'apprendimento per il percettrone sviluppato da Rosenblatt nei primi anni '60. Mediante questa tecnica era possibile, come detto, trattare unicamente applicazioni caratterizzabili come funzioni booleane linearmente separabili. L'algoritmo di apprendimento si basa sul metodo della discesa del gradiente che permette di trovare un minimo locale di una funzione in uno spazio a N dimensioni. I pesi associati ai collegamenti tra gli strati di neuroni si inizializzano a valori piccoli (ovvero

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molto inferiori ai valori reali che poi assumeranno) e casuali e poi si applica la regola di apprendimento presentando alla rete dei pattern di esempio. Queste reti neurali sono capaci di generalizzare in modo appropriato, cioè di dare risposte plausibili per input che non hanno mai visto. L'addestramento di une rete neurale di tipo BP avviene in due diversi stadi: forward-pass e backward-pass. Nella prima fase i vettori in input sono applicati ai nodi in ingresso con una propagazione in avanti dei segnali attraverso ciascun livello della rete (forward-pass). Durante questa fase i valori dei pesi sinaptici sono tutti fissati. Nella seconda fase la risposta della rete viene confrontata con l'uscita desiderata ottenendo il segnale d'errore. L'errore calcolato è propagato nella direzione inversa rispetto a quella delle connessioni sinaptiche. I pesi sinaptici infine sono modificati in modo da minimizzare la differenza tra l'uscita attuale e l'uscita desiderata (backward-pass). Tale algoritmo consente di superare le limitazioni del percettrone e di risolvere il problema della separabilità non lineare (e quindi di calcolare la funzione XOR), segnando il definitivo rilancio delle reti neurali, come testimoniato anche dall'ampia varietà d'applicazioni commerciali: attualmente la BP rappresenta un algoritmo di largo uso in molti campi applicativi. Reti di Hopfield.

Nel 1982, il fisico John J. Hopfield pubblica un articolo fondamentale in cui presenta un modello matematico comunemente noto appunto come rete di Hopfield: tale rete si distingue per "l'emergere spontaneo di nuove capacità computazionali dal

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comportamento collettivo di un gran numero di semplici elementi d'elaborazione". Le proprietà collettive del modello producono una memoria associativa per il riconoscimento di configurazioni corrotte e il recupero di informazioni mancanti. Inoltre, Hopfield ritiene che ogni sistema fisico può essere considerato come un potenziale dispositivo di memoria, qualora esso disponga di un certo numero di stati stabili, i quali fungano da attrattore per il sistema stesso. Sulla base di tale considerazione, egli si spinge a formulare la tesi secondo cui la stabilità e la collocazione di tali attrattori sono proprietà spontanee di sistemi costituiti, come accennato, da considerevoli quantità di neuroni reciprocamente interagenti. Tra le nuove idee messe in luce da Hopfield, quella più degna di menzione riguarda il capovolgimento del rapporto, fino allora esistente, tra calcolo e numeri: mentre era universalmente noto che il calcolo producesse numeri, assai meno banale era l'osservazione di Hopfield che, viceversa, anche i numeri potessero spontaneamente generare calcolo, e che questo potesse emergere quale attributo collettivo di sistemi interattivi siffatti. Le applicazioni delle reti di Hopfield riguardano principalmente la realizzazione di memorie associative, resistenti all'alterazione delle condizioni operative, e la soluzione di problemi d'ottimizzazione combinatoriale. Da un punto di vista strutturale, la rete di Hopfield costituisce una rete neurale ricorrente simmetrica, di cui è garantita la convergenza. Una rete ricorrente è un modello neurale in cui è presente un flusso bidirezionale d'informazioni; in altri termini, mentre nelle reti di tipo feedforward la

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propagazione dei segnali avviene unicamente, in maniera continua, nella direzione che conduce dagli ingressi alle uscite, nelle reti ricorrenti tale propagazione può anche manifestarsi da uno strato neurale successivo ad uno precedente, oppure tra neuroni appartenenti ad uno stesso strato, e persino tra un neurone e sé stesso. Reti di Elman. Un significativo e noto esempio di semplice rete ricorrente è dovuto a Jeffrey L. Elman (1990). Essa costituisce una variazione sul tema del percettrone multistrato, con esattamente tre strati e l'aggiunta di un insieme di neuroni "contestuali" nello strato d'ingresso. Le connessioni retroattive si propagano dallo strato intermedio (e nascosto) a tali unità contestuali, alle quali si assegna peso costante e pari all'unità. In ciascun istante, gli ingressi si propagano nel modo tradizionale e tipico delle reti feedforward, compresa l'applicazione dell'algoritmo d'apprendimento (solitamente la backpropagation). Le connessioni retroattive fisse hanno come effetto quello di mantenere una copia dei precedenti valori dei neuroni intermedi, dal momento che tale flusso avviene sempre prima della fase d'apprendimento. In questo modo la rete di Elman tiene conto del suo stato precedente, cosa che le consente di svolgere compiti di previsione di sequenze temporali che sono difficilmente alla portata dei percettroni multistrato convenzionali. Mappe auto-organizzanti o reti SOM (Self-

Organizing Maps).

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Infine, un'ultima interessante tipologia di rete è costituita dalla cosiddetta mappa auto-organizzante o rete SOM (Self-Organizing Map). Tale innovativa tipologia di rete neurale è stata elaborata da Teuvo Kohonen dell'Università Tecnologica di Helsinki; il suo algoritmo d'apprendimento è senza dubbio una brillante formulazione di apprendimento non supervisionato, e ha dato luogo a un gran numero di applicazioni nell'ambito dei problemi di classificazione. Una mappa o rete SOM è basata essenzialmente su un reticolo o griglia di neuroni artificiali i cui pesi sono continuamente adattati ai vettori presentati in ingresso nel relativo insieme di addestramento. Tali vettori possono essere di dimensione generica, anche se nella maggior parte delle applicazioni essa è piuttosto alta. Per ciò che riguarda le uscite della rete, al contrario, ci si limita di solito ad una dimensione massima pari a tre, il che consente di dare luogo a mappe 2D o 3D. In termini più analitici, l'algoritmo può essere agevolmente descritto, come accennato, nei termini di un insieme di neuroni artificiali, ciascuno con una precisa collocazione sulla mappa rappresentativa degli output, che prendono parte ad un processo noto come winner takes all (Il vincitore piglia tutto), al termine del quale il nodo avente un vettore di pesi più vicino ad un certo input è dichiarato vincitore, mentre i pesi stessi sono aggiornati in modo da avvicinarli al vettore in ingresso. Ciascun nodo ha un certo numero di nodi adiacenti. Quando un nodo vince una competizione, anche i pesi dei nodi adiacenti sono modificati, secondo la regola generale che più un nodo è lontano dal nodo vincitore, meno marcata deve essere la variazione dei suoi pesi.

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Il processo è quindi ripetuto per ogni vettore dell'insieme di training, per un certo numero, usualmente grande, di cicli. Va da sé che ingressi diversi producono vincitori diversi. Operando in tal modo, la mappa riesce alfine ad associare i nodi d'uscita con i gruppi o schemi ricorrenti nell'insieme dei dati in ingresso. Se questi schemi sono riconoscibili, essi possono essere associati ai corrispondenti nodi della rete addestrata. In maniera analoga a quella della maggioranza delle reti neurali artificiali, anche la mappa o rete SOM può operare in due distinte modalità:

• durante la fase di addestramento si costruisce la mappa, pertanto la rete si configura ed organizza tramite un processo competitivo. Alla rete deve essere fornito il numero più grande possibile di vettori in ingresso, tali da rappresentare fedelmente la tipologia di vettore che le sarà eventualmente sottoposta nella seconda fase;

• nel corso della seconda fase ogni nuovo vettore d'ingresso può essere velocemente classificato o categorizzato, collocandolo in automatico sulla mappa ottenuta nella fase precedente. Vi sarà sempre un unico neurone vincente, quello il cui vettore dei pesi giace a minor distanza dal vettore appena sottoposto alla rete; tale neurone può essere determinato semplicemente calcolando la distanza euclidea tra i due vettori in questione.

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Sitografia specifica: http://punto-informatico.it/77263/PI/News/silicio-lumache-sulla-via-dei-neurocomputer.aspx http://it.wikipedia.org/wiki/Rete_neurale http://punto-informatico.it/265845/PI/News/chip-simbiosi-cellule-del-cervello.aspx http://salute24.ilsole24ore.com/biotech/innovazioni/813_Arriva_il_biocomputer_che_parla_con_le_cellule_.php http://archiviostorico.corriere.it/2009/settembre/21/robot_umani_hanno_neuroni_nel_ce_0_090921071.shtml http://www.giugliano.info/public/reprints/lescienze99.pdf http://www.repubblica.it/2007/12/sezioni/scienza_e_tecnologia/robot-legge-pensiero/gordon-cervello-ratto/gordon-cervello-ratto.html

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Sviluppo e tecnologia dei moderni automi: dagli androidi della Hanson Robotics a quelli

del Prof. Hiroshi Ishiguro.

“Niente è più pericoloso di un grande pensiero in un

piccolo cervello”. Hippolyte Taine

I robot umanoidi della Hanson Robotics. Il dottor David Hanson fondatore e presidente della Hanson Robotics lavora da anni a robot “umani” nell’aspetto, nelle movenze e nella capacità di apprendimento. Uno dei primi robot presentati al pubblico dalla Hanson Robotics è stato “Albert Hubo“(2005), un umanoide con il volto di Albert Einstein. Tutti i robot sono realizzati in un materiale speciale chiamato Frubber, in grado di conferire una particolare fluidità alle loro espressioni facciali. La Hanson può ricreare una persona reale (viva o defunta) in forma robotica con un processo chiamato Identity Emulation. Ray Kurzweil è convinto che nel 2030 sarà impossibile distinguere tra esseri umani e macchine dotate di intelligenze artificiali. Secondo il futurologo, teorico della legge del ritorno accelerato, lo sviluppo tecnologico e i progressi degli studi in tutte le discipline porteranno alla nascita di macchine

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coscienti. Kurzweil, da alcuni scienziati a dire il vero un po’ snobbato, vanta però un certo seguito anche in ambito accademico e di ricerca, tanto che Google e la NASA lo hanno chiamato per dirigere la Singularity University, una scuola di alta formazione tecnologica, destinata a formare coloro che si troveranno, fra qualche anno, di fronte a macchine sempre più intelligenti e autocoscienti, in grado di oltrepassare i limiti dell’intelligenza umana. I robot nel corso degli anni hanno acquisito sembianze e caratteristiche sempre più vicine a quelle proprie dell’essere umano. Secondo David Hanson, fondatore e presidente di Hanson Robotics, fra 10 anni i robot saranno dotati di una mente identica a quella umana. Albert Hubo, così si chiama il robot in versione Einstein, si affida a un software sviluppato dal California Institute for Telecommunications and Information Technology. Esso mostra un aspetto che è davvero molto simile all’uomo, grazie a Frubber, un polimero elastico brevettato dalla Hanson Robotics, capace di replicare la pelle umana in ogni dettaglio.

Albert Hubo

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Un altro “prodotto” della Hanson Robotics è Jules; ossia una vera e propria testa-robot che replica, alla perfezione, un volto umano. E ciò che è ancor più incredibile, mimandone tutte le espressioni. Il trucco di Jules, progetto al quale ha collaborato l'esperto di animatronica David Hanson, sta nel suo rivestimento in gomma speciale e in ben 34 motorini pronti a creare le diverse espressioni. Sta poi a una videocamera riprendere un volto umano e impartire i comandi facciali a Jules. In realtà i motorini del robot non hanno niente a che vedere coi muscoli facciali, e il loro funzionamento si rifà a un repertorio di espressioni raccolte grazie all'interpretazione di un attore professionista. Così, una volta che uno speciale software rileva, per esempio, un'espressione di felicità dal volto umano, dall'archivio di Jules viene richiamata la relativa mimica, poi riprodotta dai motorini.

Jules

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I robot umanoidi di Hiroshi Hishiguro. Lo scrittore (nonché biochimico) di origine russa, Isaac Asimov, propose tre “regole d’oro” onde poter programmare e “disciplinare” nel migliore dei modi, quelli che sarebbero stati, a suo avviso, gli amici più fedeli che l’uomo del futuro avrebbe mai avuto: i robots. Queste tre regole vennero, dall’ormai indiscusso “Maestro della fantascienza”, così definite: Prima regola: Un robot non dovrebbe mai in alcun modo assumere dei comportamenti che potrebbero nuocere agli esseri umani, o permettere agli stessi di danneggiarlo. Seconda regola:Un robot dovrebbe obbedire sempre agli esseri umani ( a meno che l’adempimento di tali ordini, vada ad infrangere la prima regola). Terza regola:Un robot dovrebbe sempre proteggere se stesso ( a meno che l’adempimento di tale principio, non vada ad infrangere la prima o la seconda regola). Il Dr. Shuji Hashimoto, direttore del “Centro di robotica umanoide” alla Waseda University di Tokio (JP), sostiene che queste tre regole di Asimov, potrebbero in qualche modo inibire il “potenziale” che gli androidi utilizzerebbero per il loro auto-sviluppo. L’intelligenza dei robot, ritiene Hashimoto, dovrebbe accrescere man mano che esso “invecchia”, ossia col passare del tempo, e quindi imparando attraverso esperienze, prove ed errori (un po’ come accade con i cuccioli di qualsiasi specie animale). Nel settembre del 2006, sulla rivista internazionale New Scientist, il Dr. Hashimoto espresse inoltre queste sue ulteriori

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opinioni: “ Attualmente i robot più evoluti manifestano semplicemente una sorta di gioco del tipo “botta e risposta”, in cui viene simulata una certa sensibilità umana; dando così l’illusione a chi li osserva o interagisce con loro, che anch’essi hanno un cuore …ma essi ovviamente non hanno alcun cuore, sono solo delle macchine”, aggiungendo infine che: “Finche i robot obbediranno alle leggi di Asimov, non avremo mai delle macchine che si possano considerare dei veri e propri “partner” per gli esseri umani. Noi umani non dovremmo continuare a considerarci delle entità al centro di ogni cosa, dovremmo invece iniziare a stabilire un nuovo tipo di rapporto tra noi e le macchine”. Delle opinioni che a mio avviso, appaiono del tutto discutibili. Nei laboratori nipponici dell’ IRC ( Intelligent Robotics and Communication, un dipartimento dell’Istituto internazionale ATR; l’acronimo si traduce in: Advanced Telecommunication Research), il Prof. Hiroshi Ishiguro, ha recentemente (2006-2007) realizzato, uno dei primi prototipi di robot umanoide (androide) , costruito interamente “a sua immagine e somiglianza”. Cercando di spiegare i motivi di questa sua scelta nella progettazione di Geminoid H1-1, il Dr.Hishiguro ha fatto osservare che: “L’aspetto fisico degli androidi è importante; non possiamo ignorare l’effetto che esso produce sulla nostra psiche nel momento in cui avviene la comunicazione uomo-robot”. Hishiguro è praticamente un pioniere in questo ramo della scienza , i cui obiettivi sono quelli di unificare la ricerca sulla robotica tradizionale, con gli sviluppi lenti ma sicuri della psicologia conoscitiva. “Il mio scopo”,

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continua Ishiguro, “è quello di capire gli esseri umani costruendo gli androidi, (…) l’uso pratico degli androidi, lo considero come una sorta di sottoprodotto”. Attualmente, gli androidi realizzati in vari istituti di robotica in Giappone, Corea e pochi altri stati del mondo, non sono autonomi ; debbono quindi essere continuamente alimentati o disporre di batterie in grado di rifornirli con una sufficiente quantità di energia che permetta loro di compiere tutti i movimenti necessari (ovvero una sorta di “gestualità umana”) ed “effetti audio” (vocali), onde poter simulare una vera è propria interazione con gli esseri umani circostanti. Essi non possono ancora compiere delle riparazioni su se stessi, come neppure ragionare sulla loro stessa esistenza o dell’intero Universo; non sono quindi da considerarsi (…per ora) degli esseri coscienti o senzienti. Il Dr. Phillip McKerrow, esperto di robotica alla Scuola di Informatica e Tecnologia della Programmazione dell’Università di Wollongong , in Australia, riassume così le attuali capacità degli androidi: “Sono solo dei giocattoli assai costosi, con una destrezza ancora assai limitata e dotati di ben poca intelligenza”. Il Prof. Ishiguro, oltre all’androide denominato Geminoid H1-1, ne ha contemporaneamente realizzato un altro, con sembianze femminili, che risponde al nome di: Repliee Q2. Questo androide, sviluppato all’Università di Osaka presso il Dipartimento di Robotica, è stato in origine modellato sulla base delle fattezze della figlia del Prof. Ishiguro, quando ella aveva circa quattro anni. I suoi movimenti, orchestrati

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da una serie di 42 “azionatori pneumatici” (di cui 13 posti all’interno della testa), sono assai simili a quelli di un comune essere umano; l’androide, oltre a far fluttuare le proprie palpebre con movimenti rapidi e regolari, sembra addirittura che respiri. Le videocamere omnidirezionali di cui dispone, riconoscono inoltre le varie tipologie dei gesti umani; quali ad esempio un braccio che si solleva oppure dei piccoli cambiamenti di espressione sul volto di una persona ad esso vicina (in parole povere l’androide è in grado di distinguere un sorriso da un espressione di dolore, ad esempio; e di reagire quindi di conseguenza secondo dei criteri appropriati al caso). I delicati sensori fisiologici, incastonati nella pelle flessibile a base di silicone, sono invece in grado di rilevare il tocco ed altre sensazioni indotte. I microfoni, collegati ad un sistema di riconoscimento vocale, gli permettono di sentire e quindi di rispondere ad una domanda o ad un discorso umano. La voce di Repliee Q2 (come del resto quella di Geminoid H1-1), suona in modo assai realistico, nel senso che è decisamente paragonabile a quella umana; dove invece vi è ancora parecchio da lavorare, è sull’articolazione delle frasi e dei discorsi, che per il momento non rispondono ai canoni dei modelli usuali del pensiero e del linguaggio umano. Come Geminoid, Repliee può rispondere soltanto (…per ora) con una dozzina di parole, ed oltretutto non è in grado di rispondere adeguatamente, qualora si trovi in posti rumorosi (un problema riscontrabile con tutti i sistemi di riconoscimento vocale). L’incapacità degli androidi di comunicare in modo intelligente con gli esseri umani, è attualmente il loro handicap più grande. Nonostante siano in grado di discutere (in

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modo comunque assai limitato) su argomenti specifici, essi rimangono completamente spiazzati, di fronte a discorsi più ampi di natura astratta-filosofica. In parole povere, essi sono ancora molto lontani dal superare la leggendaria prova di Turing15. Attualmente, le “membra” di questi androidi, sono quasi interamente in Alluminio; ma in futuro, questo elemento verrà molto probabilmente sostituito con la fibra di Carbonio. I muscoli artificiali, un’altra importante area di ricerca nel campo della tecnologia androide, attualmente tendono a consistere di dozzine (a volte centinaia) di motori elettrici a torsione retroattiva. Alcuni androidi sono dotati di compressori che alimentano i loro “muscoli ad aria” (tubi di gomma che si contraggono quando dell’aria ad alta pressione viene soffiata al loro interno.Quando l’aria invece viene rilasciata, essi si distendono e si allungano). Degli esperimenti sull’utilizzo di nuovi materiali alternativi sono attualmente in corso; tra questi materiali, vi sono anche le fibre in nitinolo, una lega assai forte ma leggera derivata dall’utilizzo di elementi quali Nickel e Titanio, e polimeri elettroelastici in grado di “distendersi” e contrarsi. Assai incoraggiante

15 Questa prova (o test), descritta nel 1950 dal matematico inglese Alan Turing , consisteva nel far conversare un essere umano (giudice), con un altro essere umano e un robot ( ai tempi di Turing definito come un calcolatore), senza che egli (il giudice) conoscesse chi fosse la persona reale e chi invece la macchina programmata per rispondere. Se questa persona, ovvero il giudice, non fosse stato in grado di riconoscere la persona reale dalla macchina, essa (robot, calcolatore, macchina,… che dir si voglia), avrebbe superato il test.

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invece è la ricerca sui muscoli artificiali, che comprendono delle lamine (o “fogli”) di nanotubi al Carbonio; ovvero delle grandi molecole di forma cilindrica costituite da Carbonio puro, con insolite proprietà elettriche e meccaniche.Quando una tensione elettrica viene applicata gradualmente, gli ioni all’interno del Carbonio si muovono tutti verso un solo lato, piegando così le lamine costituite da nanotubi; la velocità e il limite della curvatura delle lamine, dipendono dalla quantità e dalla velocità con cui l’energia di alimentazione viene aumentata-incrementata. Quando non vi è alcun flusso di corrente, le lamine si distendono nuovamente e tornano così alla loro figura-sagoma originale. Alcuni di questi materiali succitati, in un futuro prossimo, potrebbero venir impiegati per realizzarecostruire le dita degli androidi (le fibre in nitinolo, ad esempio, possono piegarsi o allungarsi se vengono riscaldate da una corrente elettrica). I ricercatori del MIT (Massachusetts Institute of Technology) di Cambridge (USA), dal canto loro, stanno sviluppando un tipo di pelle artificiale in grado di percepire un oggetto che scivoli attraverso le dita di un androide, e quindi di segnalare l’informazione ai centri di coordinamento motorio del robot umanoide, affinché possa reagire di conseguenza (eventualmente afferrando l’oggetto con la mano intera, per esempio). I processori e i sistemi operativi che alimentano gli androidi, variano ampiamente. Alcuni processori sono di tipo convenzionale, e adottano una tecnologia da PC (da un gigahertz o poco oltre), mentre altri, ma ben pochi, sono molto più evoluti. La maggior parte funzionano su sistemi operativi in tempo reale, come l’RT-Linux, ad esempio. Alcuni androidi comunicano

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addirittura “senza fili” con un calcolatore centrale, grazie al sistema bluetooth. Moltissimi androidi funzionano grazie ad un’ alimentazione principale (di rete), mentre solo alcuni, sono quasi del tutto autonomi. Al laboratorio di Robotica di Bristol (GB), per esempio, si è riusciti a far funzionare dei dispositivi robotici, utilizzando delle particolari cellule di combustibile (microbiche), in grado di convertire l’energia chimica in elettricità. Anche se questi dispositivi non si possono certamente paragonare a degli androidi, e si muovono molto lentamente, essi comunque riescono ad “estrarre” la propria alimentazione dalla bio-massa (quali la frutta in decomposizione, ad esempio, ed altri alimenti). Gli esperti di robotica prevedono che negli anni a venire, i sistemi più avanzati ( ovvero quelli che includeranno delle reti neurali, algoritmi genetici e logica incoerente), funzioneranno su un assorbimento di energia piuttosto piccolo ma al contempo assai veloce, grazie a dei particolari processori , ognuno dei quali sarà in grado di effettuare delle specifiche operazioni “in parallelo” e di comunicare simultaneamente su delle reti in cui l’informazione “scorrerà” in modo molto più rapido di come avviene attualmente. Uno o più “processori guida” (centralizzati), molto probabilmente sincronizzeranno e coordineranno l’intero “labirinto” relativo alle funzioni di corpo e cervello. Non è da escludersi che un giorno, i cervelli degli androidi possano funzionare grazie ad un’alimentazione che origini e prenda forma, sulla base della computazione quantistica.

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Un’altra promettente area di ricerca, già in corso in alcuni laboratori, coinvolge dei robot equipaggiati con dei particolari software (“rilevatori di umore”), in grado di fornir loro delle prime forme rudimentali di intelligenza “sociale” ed emotiva. Dotare gli androidi di “emozioni personali”, potrebbe essere essenziale, se essi un domani dovessero trasformarsi in macchine senzienti e artificialmente intelligenti (nel qual caso non potrebbero più essere classificabili come macchine). Il neuroscienziato Antonio Damasio sostiene che, negli esseri umani, ragione ed emozione sono inestricabilmente collegate; un concetto questo, che forse potrebbe venir relazionato anche all’intelligenza artificiale. La ricerca si sta inoltre intensificando nel campo dell’auto-apprendimento; ovvero sui sistemi robotici in grado di imparare autonomamente nuove forme di comportamento e di analisi dell’informazione (alcuni credono che questa sia la strada migliore, per poter superare un giorno, il test di Turing). Tutto questo conduce ad una domanda intrigante: Potrebbe un androide, che abbia sviluppato una determinata capacità di auto-apprendimento, e in cui fossero insiti in esso, i “semi” di un’intelligenza emotiva, sorprendere un giorno i relativi costruttori, manifestando delle qualità e dei comportamenti inattesi, quali ad esempio alcuni vizi o virtù umane? Bè, non dimentichiamo che da un punto di vista fisico-matematico, oltre una determinata soglia di complessità, per qualsiasi sistema dinamico che venga considerato, possono comparire delle proprietà inattese, in modo assolutamente brusco e casuale. Sicuramente siamo ancora ben lontani dalla

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realizzazione di intelligenze artificiali paragonabili a quella umana; oltretutto non siamo in grado di prevedere gli sviluppi a lungo termine che tali intelligenze non umane, attualmente agli albori, potranno rivelare in futuro. Solo col tempo quindi, scopriremo se alcuni film di Hollywood degli anni ’80 (come “Terminator”, ad esempio), contenessero già qualcosa di profetico o meno. Il rapporto uomo-androide e rispettivi segnali di

“Riconoscimento Inconscio”.

Nell’interazione tra robot ed esseri umani, sia il movimento che l’aspetto fisico sono da considerarsi degli aspetti fondamentali per i robot. Il Dr. M. Mori, già nel 1970, aveva ipotizzato una sorta di “zona di non-controllo psico-fisico” (da egli stesso denominata: “Valle dell’Imprudenza”), in grado di descrivere il rapporto che sussiste tra l’aspetto fisico di un robot (o di un androide), e il tipo di sensibilità che quest’ultimo può produrre negli esseri umani. Nella progettazione e lo sviluppo di robot umanoidi in grado di interagire con un certo “successo” con gli esseri umani, è necessario quindi conoscere la struttura della “Valle dell’Imprudenza”. Gli esseri umani manifestano dei comportamenti inconsci quando interagiscono con altri esseri umani; si presume quindi che l’uomo possa esternare tali comportamenti, anche in presenza di robot con sembianze umane (androidi), dotati di una certa intelligenza. Ipotizzando questo, è possibile modificare i movimenti e l’aspetto fisico dei robot, onde poter studiare i rispettivi cambiamenti comportamentali inconsci sugli esseri umani. In questo modo, si esplora

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quindi la “Valle dell’Imprudenza” (dall’inglese: “Uncanny Valley”). Studiando un determinato tipo di comportamento inconscio, in cui il maggior peso si è dato allo sguardo, è stato scoperto che i movimenti dell’occhio vengono usati per trasmettere dei segnali “sociali” durante la conversazione. Ciò che si è osservato in particolare, è che gli esseri umani, quando pensano ad una risposta, tendono a distogliere lo sguardo da chi ha posto loro la domanda. Delle ricerche fatte su tre tipi differenti di soggetti con il compito di porre una domanda, ovvero su un essere umano, un androide e un comune robot dall’aspetto metallico-meccanico; hanno messo in luce che il soggetto interrogato rivolge il proprio sguardo sulla parte sinistra del volto di chi gli ha posto la domanda (questioner), per un lungo tempo nel caso di un “questioner” umano o androide. Nel caso invece di un “questioner” dall’aspetto metallico-meccanico, il soggetto interrogato tende a guardare verso il basso. Emerge quindi una differenza significativa in mezzo a questi due comportamenti.Ciò che è stato possibile dedurre da questo semplice esperimento, è che un “questioner” androide, viene inconsciamente trattato come un “questioner” umano. In generale si potrebbe quindi affermare che un robot meccanico,venga trattato in modo assai diverso, rispetto a un robot con sembianze umane, dalla maggior parte degli esseri umani. Tali risultati, si stanno attualmente trasformando in indizi da correlare alla “Valle dell’Imprudenza”, e presto contribuiranno al progresso della comunicazione tra androidi ed esseri umani.

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La Valle dell'Imprudenza

Fig.1.1

Un problema significativo per lo sviluppo degli androidi, è appunto la “Valle dell’Imprudenza” (suggerita all’inizio degli anni ’70 dal Dr. M. Mori). Nel grafico riportato qui in alto (Fig. 1.1), è indicato il rapporto fra la somiglianza di un robot ad un essere umano (Similarity), e la percezione di familiarità del soggetto in questione (Familiarity). Dal grafico si evince che la familiarità del robot aumenta in modo più o meno proporzionale alla somiglianza, fino a che non viene raggiunto un certo punto, in cui le “imperfezioni” inducono il robot a sembrare repulsivo. Questa “goccia improvvisa” è stata chiamata: “Uncanny Valley” (italianizzando il tutto: “Valle dell’Imprudenza”).

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Un robot che si trovi nella “Uncanny Valley”, potrebbe apparire, agli occhi di un essere umano, addirittura come una salma, come un cadavere. Gli scienziati che si occupano di robotica, impegnati nella costruzione di androidi sempre più simili all’uomo (sotto tutti i punti di vista), dovranno quindi tener sempre presente l’eventualità che i loro “prodotti”,possano “cadere” nella “Uncanny Valley” (a causa di determinate imperfezioni nell’aspetto fisico); di conseguenza, essi dovranno adottare una metodologia che sia in grado di oltrepassare questa “Valle”, onde poter ovviare a questo problema.

Geminoid H1-1 (sinistra) e il Dr.Hishiguro (destra)

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Repliee Q2

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Sitografia specifica: http://www.webmasterpoint.org/news/robot-con-faccia-di-einstein-video_p33533.html http://pesanervi.diodati.org/pn/?a=344 http://www.corea.it/robot_errata_corrige.htm http://www.digitalnoise.it/2008/09/05/i-robot-umani-della-hanson-robotics/ http://futuroprossimo.blogosfere.it/2008/09/i-robots-della-hanson-fanno-impressione.html http://news.robot-golem.org/robot-umanoidi/14-albert-hubo-i-robot-imitano-einstein.html http://www.focus.it/Tecnologia/robot/speciale/Ai_confini_dellignoto_gli_umanoidi.aspx

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Il futuro degli esseri umani: evoluzione e convivenza con i robot

"Le scienze,ognuna tesa nella propria direzione,finora non ci hanno nuociuto gran che;ma un giorno,il confluire di frammenti di conoscienza dissociati

schiuderà panorami della realtà talmente terrificanti...che o impazziremo per la rivelazione,o fuggiremo dalla sua luce mortale,cercando rifugio nella pace e nella sicurezza di nuovi secoli bui".

H.P. Lovecraft

La Singolarità Tecnologica

Nella futurologia, una singolarità tecnologica è un punto, previsto nello sviluppo di una civilizzazione, dove il progresso tecnologico accelera oltre la capacità di comprendere e prevedere degli esseri umani moderni. La Singolarità può, più specificamente, riferirsi all'avvento di una intelligenza superiore a quella umana, e ai progressi tecnologici che, a cascata, si presume seguirebbero, salvo un importante aumento artificiale delle facoltà intellettive di ciascun individuo. Che una singolarità possa mai avvenire, è materia di dibattito.

Concetto iniziale. Sebbene si creda comunemente che il concetto di Singolarità sia nato negli ultimi 20 anni del XX secolo, esso nasce realmente negli anni cinquanta del 1900:

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« Una conversazione centrata sul sempre accelerante progresso della tecnologia e del cambiamento nei modi di vita degli esseri umani, che dà l'apparenza dell'avvicinarsi di qualche fondamentale singolarità della storia della razza oltre la quale, gli affanni degli esseri umani, come li conosciamo, non possono continuare. »

(Stanislaw Ulam, Maggio 1958, riferendosi ad una conversazione con John von Neumann).

Questa citazione è stata parecchie volte utilizzata fuori dal suo contesto ed attribuita allo stesso von Neumann, probabilmente a causa della grande fama ed influenza di questi. Nel 1965, lo statistico I. J. Good descrisse un concetto anche più simile al significato contemporaneo di singolarità, nel quale egli includeva l'avvento di una intelligenza superumana:

« Diciamo che una macchina ultraintelligente sia definita come una macchina che può sorpassare di molto tutte le attività intellettuali di qualsiasi uomo per quanto sia abile. Dato che il progetto di queste macchine è una di queste attività intellettuali, una macchina ultraintelligente potrebbe progettare macchine sempre migliori; quindi, ci sarebbe una "esplosione di intelligenza", e l'intelligenza dell'uomo sarebbe lasciata molto indietro. Quindi, la prima macchina ultraintelligente sarà l'ultima invenzione che l'uomo avrà

la necessità di fare. »

La Singolarità vingeana. Il concetto di singolarità tecnologica come è conosciuto oggi viene accreditato al matematico e

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romanziere Dr. Vernor Vinge. Vinge cominciò a parlare della Singolarità negli anni '80, e raccolse i suoi pensieri nel primo articolo sull'argomento nel 1993, con il saggio "Technological Singularity". Da allora questo è divenuto il soggetto di molte storie e scritti futuristici e di fantascienza. Il saggio di Vinge contiene l'affermazione spesso citata che "Entro trenta anni, avremo i mezzi tecnologici per creare una intelligenza superumana. Poco dopo, l'era degli esseri umani finirà." La singolarità di Vinge è comunemente ed erroneamente interpretata come l'affermazione che il progresso tecnologico crescerà all'infinito, come avviene in una singolarità matematica. In realtà, il termine è stato scelto come una metafora prendendolo dalla fisica e non dalla matematica: mentre ci si avvicina alla Singolarità, i modelli di previsione del futuro diventano meno affidabili, esattamente come i modelli della fisica vanno a pezzi mentre ci si avvicina ad una singolarità gravitazionale. La Singolarità è spesso vista come la fine della civilizzazione umana e la nascita di una nuova civiltà. Nel suo saggio, Vinge chiede perché l'era umana dovrebbe finire, e argomenta che gli umani saranno trasformati durante la Singolarità in una forma di intelligenza superiore. Dopo la creazione di un'intelligenza superumana, secondo Vinge, la gente sarà, al suo confronto, una forma di vita inferiore. La legge di Kurzweil del ritorno accelerato. L'analisi storica del progresso tecnologico dimostra che, l'evoluzione della tecnologia, segue un processo esponenziale e non lineare come invece si sarebbe

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portati a pensare. Nel suo saggio, The Law of Accelerating Returns, Ray Kurzweil propone una generalizzazione della Legge di Moore che forma la base delle convinzioni di molta gente a riguardo della Singolarità. La Legge di Moore descrive un andamento esponenziale della crescita della complessità dei circuiti integrati a semiconduttore. Kurzweil estende questo andamento includendo tecnologie molto precedenti ai circuiti integrati ed estendendolo al futuro. Egli crede che la crescita esponenziale della legge di Moore continuerà oltre l'utilizzo dei circuiti integrati, con l'utilizzo di tecnologie che guideranno alla Singolarità.

La legge descritta da Ray Kurzweil ha in molti modi alterato la percezione della Legge di Moore da parte del pubblico. È un credo comune (ma errato) che la legge di Moore faccia previsioni che riguardino tutte le forme di tecnologia, quando in realtà essa riguarda solo i circuiti a semiconduttore. Molti futurologi utilizzano ancora il termine "Legge di Moore" per descrivere idee come quelle presentate da Kurzweil. Realizzare previsioni a lungo termine, almeno in parte corrette, su dove riuscirà ad arrivare la tecnologia, è praticamente impossibile. Ancora troppo spesso si pensa al progresso tecnologico come qualcosa che procede in maniera lineare, secondo quello che è la linea di progresso intuitiva.

Per esprimere il concetto in termini matematici, potremmo pensare di rappresentare tale velocità con una curva esponenziale. Ciò tuttavia non sarebbe ancora esatto; un andamento esponenziale, è infatti

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corretto, ma solo per brevi intervalli di tempo: se prendiamo in considerazione, per esempio, un periodo di 100 anni, una curva esponenziale, non risulterà corretta. Tipicamente i giornalisti stilano le loro previsioni, quando considerano il futuro, estrapolando la velocità d'evoluzione attuale per determinare ciò che ci si può aspettare nei prossimi 10 e magari pure 100 anni. Questo è ciò che Ray Kurzweil chiama intuitive linear view.

Quello che Kurzweil chiama the law of accelerating returns si può schematizzare nei seguenti punti:

• lo sviluppo applica le risposte positive, in quanto metodo migliore derivato da una fase di progresso. Queste risposte positive costituiscono la base per il successivo sviluppo;

• di conseguenza il tasso di progresso di un processo evolutivo aumenta esponenzialmente col tempo. Col tempo l'ordine di grandezza delle informazioni che vengono incluse nel processo di sviluppo aumenta;

• di conseguenza il guadagno in termini di tecnologia si incrementa esponenzialmente;

• in un altro ciclo di risposte positive, di un particolare processo evolutivo, queste vengono utilizzate come trampolino di lancio per un ulteriore progresso. Ciò provoca un secondo livello di sviluppo esponenziale e il processo di sviluppo esponenziale cresce esso stesso in maniera esponenziale;

• lo sviluppo biologico è anch'esso uno di tali sviluppi;

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• lo sviluppo tecnologico fa parte di tale processo evolutivo. Effettivamente, la prima tecnologia che ha generato la specie ha costituito la base per lo sviluppo della tecnologia successiva: lo sviluppo tecnologico è una conseguenza ed una continuazione dello sviluppo biologico;

• un determinato paradigma (=metodo) (come per esempio l'aumento del numero di transistor sui circuiti integrati per rendere più potenti i calcolatori) garantisce crescita esponenziale fino a che non esaurisce il suo potenziale; dopo accade un cambiamento che permette allo sviluppo esponenziale di continuare.

Se applichiamo questi principi all'evoluzione della Terra, notiamo come siano aderenti al processo di sviluppo che è avvenuto. Il primo punto possiamo paragonarlo alla creazione della cellula, ossia l'introduzione del paradigma della biologia. Conseguentemente il DNA ha fornito un metodo “digitale” per registrare i risultati degli esperimenti evolutivi. Dopo l'evoluzione della specie ha unito il pensiero razionale con un'appendice opposta: la tecnologia. Questo ha spostato in maniera decisiva il paradigma dalla biologia alla tecnologia. Ciò che sta per avvenire, sarà il passaggio da intelligenza biologica ad una combinazione ibrida di intelligenza biologica e non biologica. Esaminando i tempi di questi passi, possiamo notare come il processo abbia continuamente accelerato. Per esempio l'evoluzione delle forme di vita, ha richiesto parecchi milioni di anni per il primo passo (es. la cellule primitive), ma, dopo, il processo ha sempre più accelerato. Ora la “tecnologia

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biologica”, è diventata troppo lenta rispetto alla tecnologia creata dall'uomo, che utilizza i suoi stessi risultati per andare avanti in maniera nettamente più veloce di quanto non possa fare la natura.

Curve di crescita asintotiche.

Alcuni presumono che una sempre più rapida crescita tecnologica arriverà con lo sviluppo di una intelligenza superumana, sia potenziando direttamente le menti umane (forse con la cibernetica), o costruendo intelligenze artificiali. Queste intelligenze superumane sarebbero presumibilmente capaci di inventare modi di potenziare se stesse anche più velocemente, producendo un effetto feedback che sorpasserebbe le intelligenze preesistenti.

Semplicemente avere una intelligenza artificiale allo stesso livello di quella umana, presumono altri, potrebbe produrre lo stesso effetto, se la Legge di Kurzweil continua indefinitamente. All'inizio, si suppone, una simile intelligenza dovrebbe essere pari a quella umana. Diciotto mesi dopo sarebbe due volte più veloce. Tre anni dopo, sarebbe quattro volte più veloce, e così via. Ma dato che le Intelligenze Artificiali accelerate stanno, in quel momento, progettando i computer, ogni passo successivo impiegherebbe circa diciotto mesi soggettivi e proporzionalmente meno tempo reale ad ogni passo. Se la Legge di Kurzweil continua ad applicarsi senza modifiche, ogni passo richiederebbe metà del tempo. In tre anni (36 mesi = 18 + 9 + 4,5 + 2,25 + ...) la velocità del computer, teoricamente, raggiungerebbe l'infinito. Questo esempio è illustrativo, e comunque,

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molti futurologi concordano che non si può presumere che la legge di Kurzweil sia valida anche durante la Singolarità, o che essa possa rimanere vera letteralmente per sempre, come sarebbe richiesto per produrre, in questo modo, una intelligenza realmente infinita.

Una possibile conferma all'inattuabilita' di una tale singolarita' tecnologica, riguardante i limiti dello sviluppo di un'intelligenza sostenibile, provenne qualche tempo fa da un noto cosmologo inglese Martin Rees, il quale sostenne che l'attuale dimensione organica del cervello umano, sia in realta' gia' il limite superiore massimo della capacita' animale di sviluppare concetti intelligenti, oltre il quale le informazioni tra le sinapsi (trasportate alla velocita' tuttora insuperabile della luce) impiegherebbero troppo tempo per costituire ragionamenti costruttivi ed evolutivi esaurienti, e sarebbero limitate all'accumulo di concetti intesi come memoria a lungo termine. Per intendersi, un cervello che fosse il doppio di quello di un essere umano, immagazzinerebbe il doppio di dati possibili ma al doppio del tempo e alla meta' della velocita' di apprendimento,(e cosi' via in maniera esponenziale), rendendo, di fatto, negativi i progressi. Se tale teorema venisse applicato anche ai sistemi informatici evoluti quindi, avremo anche qui un limite fisico superiore, oltre il quale la distanza fisica tra i processori e le conseguenti ipotetiche velocita' di elaborazione dati originali, sarebbero soggette a limiti che seppur elevati culminerebbero al più in una super-memoria di massa più che in un super-computer dotato di intelligenza infinita.

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Tipi di singolarità tecnologiche.

I futurologi hanno speculato su un ampio spettro di tecnologie possibili che potrebbero giocare un ruolo nel realizzare la Singolarità. L'ordine di arrivo di queste tecnologie viene spesso discusso, e naturalmente alcune di queste accelereranno lo sviluppo delle altre, alcune sono dipendenti dallo sviluppo di altre, etc. Esistono molte dispute tra le previsioni di molti futurologi, ma le seguenti descrivono alcuni dei temi più ricorrenti tra di esse. Intelligenza artificiale.

Una intelligenza artificiale capace di migliorare sé stessa in modo ricorsivo oltre il livello dell'intelligenza umana, conosciuta come una seed AI (seme), se possibile, causerebbe probabilmente una singolarità tecnologica. Semplicemente una di queste AI, credono in molti, sarebbe necessaria per produrre la Singolarità. La maggioranza dei Singolaritisti credono che la creazione di una seed AI sia il mezzo più probabile con il quale l'umanità raggiungerà la Singolarità. Molto del lavoro del Singularity Institute è fondato su questa premessa. Nanotecnologia.

I pericoli potenziali della nanotecnologia sono ampiamente conosciuti anche al di fuori dei circoli dei futurologi e dei transumanisti, e molti Singolaritisti considerano la nanotecnologia controllata dagli uomini come uno dei maggiori rischi esistenziali che l'umanità si trova di fronte (fate riferimento al concetto di Grey Goo per un esempio di come questo rischio potrebbe diventare reale). Per questa ragione, spesso essi

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credono che la nanotecnologia dovrebbe essere preceduta dalla seed AI, e che la nanotecnologia non dovrebbe essere a disposizione delle società prima della Singolarità. Altri sostengono gli sforzi per creare una nanotecnologia molecolare o zettatecnologia, credendo che la nanotecnologia può essere sicura anche se usata prima della Singolarità o può accelerare l'arrivo di una singolarità benefica. Tecnologie pre-singolarità.

Altre tecnologie, (ad es. una struttura di comunicazione connessa globalmente a banda elevata e senza fili; una rete di computer infetti da virus o worm interconnessi tra loro), sebbene non siano, probabilmente, in grado di produrre una singolarità di per sé stesse, sono considerate come segni di un livello di avanzamento tecnologico che produrrà la Singolarità. Per alcuni, una delle tecnologie più anticipate è la possibilità di potenziamento dell'intelligenza umana:

Interfacce dirette mente-computer potenzialmente potrebbero aumentare la memoria degli individui, la loro capacità elaborativa, l'abilità comunicativa e le conoscenze. Anche una interfaccia tra computer e uomo più tradizionale potrebbe essere vista come un progresso che aumenta l'intelligenza: i sistemi esperti tradizionali, i sistemi di computer che riconoscono e prevedono il comportamento umano, il software di riconoscimento vocale e di riconoscimento della scrittura, etc.

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L'aumento dell'intelligenza attraverso i nuovi medicinali e l'ingegneria genetica potrebbe anche diventare una possibilità per gli umani esistenti, oltre a quello che è permesso dalle moderne sostanze nootropiche. Ai neonati potrebbe essere migliorata l'intelligenza nello stesso modo (vedi ingegneria genetica).

Tecnologie avanzate. Sebbene la seed AI e la nanotecnologia siano considerate le più probabili tecnologie che possano produrre una Singolarità, altri hanno speculato sulla possibilità che altre tecnologie avanzate arrivino prima della Singolarità. Queste tecnologie, sebbene improbabili, sono spesso utilizzate da alcuni futurologi (come Ray Kurzweil) come una "prova" della Singolarità -- anche se la seed AI e la nanotecnologia molecolare non saranno state inventate entro la fine del XXI secolo, altre tecnologie potrebbero causare la Singolarità.

Il Mind uploading, per esempio, è un metodo alternativo proposto per creare una intelligenza artificiale -- invece di programmare una intelligenza, essa sarebbe prodotta partendo dall'intelligenza umana già esistente. Comunque, il livello tecnologico necessario per scannerizzare il cervello umano alla risoluzione necessaria per un mind upload rende improbabile il mind uploading in un mondo pre Singolarità. La capacità elaborative dei computer e la comprensione delle scienze cognitive necessarie è anche fondamentale.

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Altri, come George Dyson in Darwin Among the Machines, hanno speculato che una rete di computer sufficientemente complessa potrebbe produrre una "swarm intelligence". Gli sviluppatori dedicati all'AI potrebbero utilizzare le accresciute capacità elaborative per creare reti neurali artificiali così grandi e potenti che potrebbero diventare genericamente intelligenti. I sostenitori della Intelligenza Artificiale Amichevole vedono questo come un tentativo di risolvere il problema di creare una AI utilizzando la "forza-bruta" (testando, letteralmente, tutte le possibilità fino a che non si ottiene il risultato voluto), e un modo che potrebbe produrre forme di intelligenza artificiale inacettabilmente pericolose.

Tecnologie post singolarità.

Le speculazioni sulla Singolarità spesso riguardano i supercomputer esistenti dopo la Singolarità stessa. Alcuni ricercatori sostengono che anche senza il quantum computing, utilizzando una forma avanzata di nanotecnologia, la materia potrebbe essere manipolata in modo da avere capacità elaborative inimmaginabili. A tale materiale ci si riferisce spesso, tra i futurologi, come computronium. Alcuni pensano che interi pianeti o stelle potrebbero essere convertiti in computronium, creando rispettivamente degli "Jupiter brain" e "Matrioshka Brain". Critiche:

Ci sono due tipi principali di critiche alla previsione della Singolarità: quelle che mettono in dubbio che la Singolarità sia probabile o anche possibile e quelli che

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si domandano se sia desiderabile o non piuttosto da ritenere pericolosa e da avversare per quanto possibile. La possibilità e la probabilità della singolarità. Alcuni non credono che una singolarità tecnologica abbia molte possibilità di realizzarsi. I detrattori si riferiscono ad essa come "l'Estasi dei nerds". La maggior parte delle speculazioni sulla Singolarità presumono la possibilità di una intelligenza artificiale superiore a quella umana. È controverso se creare una simile IA sia possibile. Molti credono che i progressi pratici nell'intelligenza artificiale non abbiano ancora dimostrato questo in modo empirico. Vedi la voce sull'intelligenza artificiale per i dettagli sul dibattito. Alcuni discutono sul fatto che la velocità del progresso tecnologico stia aumentando. La crescita esponenziale del progresso tecnologico potrebbe diventare lineare o flettersi o potrebbe cominciare ad appiattirsi in una curva che permette una crescita limitata. La desiderabilità e la sicurezza della singolarità.

Ci sono state spesso delle speculazioni, nella fantascienza e in altri generi, che una AI avanzata probabilmente avrà degli obiettivi che non coincidono con quelli dell'umanità e che potrebbero minacciarne l'esistenza. È concepibile, se non probabile, che una AI (Artificial Intelligence) superintelligente, semplicemente eliminerà l'intellettualmente inferiore razza umana, e gli umani saranno incapaci di fermarla. Questo è uno dei maggiori problemi che preoccupano sia i sostenitori della Singolarità che i suoi critici, ed era il soggetto di un articolo di Bill Joy apparso su

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Wired Magazine, intitolato Perché il futuro non ha bisogno di noi.

Alcuni critici affermano che le tecnologie avanzate sono semplicemente troppo pericolose per noi per permettere che si causi una Singolarità, e propongono che si lavori per impedirla. Forse il più famoso sostenitore di questo punto di vista è Theodore Kaczynski, l'Unabomber, che scrisse nel suo "manifesto" che l'AI potrebbe dare il potere alle classi elevate della società di "semplicemente decidere di sterminare la massa dell'umanità". In alternativa, se l'AI non venisse creata, Kaczynski sostiene che gli umani "saranno ridotti al livello di animali domestici" dopo che ci sarà stato un sufficiente progresso tecnologico. Parte degli scritti di Kaczynski sono stati inclusi sia nell'articolo di Bill Joy che in un recente libro di Ray Kurzweil. Deve essere notato che Kaczynski non solo si oppone alla Singolarità, ma è un Luddista e molte persone si oppongono alla Singolarità senza opporsi alla tecnologia moderna come fanno i Luddisti.

Naturalmente, gli scenari come quelli descritti da Kaczynski sono considerati come indesiderabili anche dai sostenitori della Singolarità. Molti sostenitori della Singolarità, comunque, non ritengono che questi siano così probabili e sono più ottimisti sul futuro della tecnologia. Altri credono che, senza riguardo ai pericoli che la Singolarità pone, essa è semplicemente inevitabile -- noi dobbiamo progredire tecnologicamente perché non abbiamo un'altra strada da seguire.

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I sostenitori dell'Intelligenza Artificiale Amichevole, e in particolar modo il SIAI, riconoscono che la Singolarità è, potenzialmente, molto pericolosa e lavorano per renderla più sicura creando seed AI che agiranno benevolmente verso gli umani ed elimineranno i rischi esistenziali. Questa idea è così connaturata alle Tre Leggi della Robotica di Asimov, che impediscono alla logica di un robot con intelligenza artificiale di agire in modo malevolo verso gli umani. Comunque, in uno dei racconti di Asimov, a dispetto di queste leggi, i robot finiscono per causare danno ad un singolo essere umano come risultato della formulazione della Legge Zero. La struttura teoretica della Intelligenza Artificiale Amichevole viene attualmente progettata dal Singolaritiano Eliezer Yudkowsky.

Un altro punto di vista, sebbene meno comune, è che l'Intelligenza Artificiale alla fine dominerà o distruggerà la razza umana, e che questo scenario è desiderabile. Dr. Prof. Hugo de Garis è il più conosciuto sostenitore di questa opinione.

L'opinione dei tecno-individualisti è che ogni individuo debba poter aumentare artificialmente ogni facoltà possibile (intellettiva e non), per poter affrontare sia le Singolarità sia le élites del Potere. Secondo loro gli investimenti e le ricerche e sviluppo in tecnologia dovrebbero potenziare gli individui, non le Autorità, e la casta dirigente non è consapevole delle prospettive. Fondamentale, per loro, è la forza della completa libertà di comunicazione tra gli individui

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(inter-individualismo, transumanesimo, Teoria dello Sciame - swarming intelligence).

Organizzazioni.

Il Singularity Institute for Artificial Intelligence (SIAI), un istituto di ricerca ed educazione nonprofit, fu creato per lavorare sul potenziamento cognitivo sicuro (i.e. una singolarità benefica). Essi enfatizzano l'Intelligenza Artificiale Amichevole, in quanto essi credono che una intelligenza artificiale generalista è più verosimile possa incrementare la capacità cognitiva sostanzialmente prima che l'intelligenza umana possa essere incrementata significativamente dalle neurotecnologie o dalla terapia genetica somatica.

L'Institute for the Study of Accelerating Change (ISAC), anche esso una entità dedita all'educazione senza fini di lucro, fu fondato per attrarre un'ampia gamma di scienziati, umanisti e uomini d'affari interessati negli studi sull'accelerazione del cambiamento e sulla singolarità. Tengono una conferenza annuale alla Stanford University dove si tenta di comprendere in modo multidisciplinare l'accelerazione del cambiamento tecnologico.

Roboetica.

La roboetica è l’etica applicata alla robotica. È l’etica degli umani – e non dei robot – che progettano, costruiscono e usano i robot.

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Argomenti fondamentali. Nel corso di pochi decenni, la robotica è diventata una delle principali discipline scientifico-tecnologiche, in così rapida evoluzione che in un vicino futuro noi umani coabiteremo il pianeta, e collaboreremo, con un nuovo tipo di macchine automatiche: i robot. Questo comporterà molti e nuovi e problemi etici, psicologici, sociali ed economici. “La roboetica è un'etica applicata, il suo scopo è sviluppare strumenti e conoscenze scientifiche, culturali e tecnici che siano universalmente condivisi, indipendentemente dalle differenze culturali, sociali e religiose. Questi strumenti potranno promuovere e incoraggiare lo sviluppo della robotica verso il benessere della società e della persona. Inoltre, grazie alla roboetica, si potrà prevenire l’impiego della robotica contro gli esseri umani” (Veruggio, 2002). Per la prima volta nella sua storia, l’umanità ha la possibilità di costruire entità intelligenti e autonome. Da questo punto di vista, è necessario che la comunità scientifica riesamini il concetto di intelligenza, non è più associata solo agli umani o agli animali, ma anche alle macchine. Analogamente, concetti complessi come autonomia, apprendimento, coscienza, libero arbitrio, capacità decisionale, libertà, emozione, e molti altri ancora non hanno lo stesso significato semantico, né pratico, se posti in relazione agli esseri umani, agli animali o alle macchine. In questo contesto, diventa ancor più naturale e necessario che la robotica coinvolga nel suo progredire numerose altre discipline, tra cui la logica, la linguistica, le neuroscienze, la psicologia, la biologia, la fisiologia, la filosofia, la letteratura, l’antropologia, le arti. In tal senso, la robotica

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contribuirà de facto ad avvicinare le cosiddette due culture, quella scientifica e quella umanistica. La costruzione della roboetica dovrà tenere conto di questa specificità: ciò significa che gli studiosi dovranno considerare la robotica nella sua globalità -- a dispetto del suo attuale stadio iniziale di sviluppo, quasi un melting pot culturale – per poter sviluppare una visione corretta del futuro di questa disciplina. Le principali posizioni sulla roboetica.

Già durante il primo Simposio Internazionale sulla roboetica (Sanremo, Italia, 2004), emersero nella comunità dei robotici tre diverse posizioni etiche, rispetto alle loro responsabilità nei confronti della loro attività tecnico-scientifica (D. Cerqui,2004):

• Robotici non interessati all’etica (è la posizione di coloro che considerano le proprie ricerche come attività strettamente tecniche, esenti da responsabilità morali o sociali).

• Robotici interessati a questioni etiche sul breve termine (è la posizione di coloro che esprimono le proprie preoccupazione morali, rispetto alla propria attività professionale, in termini immediati e semplici di buono e cattivo, rifacendosi per la loro definizione ai valori culturali accettati e alle convenzioni sociali).

• Robotici interessati a problemi etici sul lungo termine (è la posizione di coloro che esprimono la propria preoccupazione morale, rispetto alla propria attività professionale, in termini globali e sul lungo termine. Per esempio, essi

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considerano problemi come il digital divide tra Nord e Sud, o tra le diverse generazioni).

Discipline coinvolte nella roboetica.

L’elaborazione della roboetica richiede l’impegno di esperti di diverse discipline che, collaborando in progetti internazionali, in comitati e in commissioni, possano aggiornare le leggi e le norme in base ai problemi risultanti dagli sviluppi scientifici e tecnologici della robotica. È possibile che in corso d’opera nascerà la necessità di creare nuovi curricula studiorum e nuove specializzazioni atte a gestire una situazione così complessa (come è successo, per esempio, nel caso della medicina forense). Le principali discipline coinvolte nella roboetica sono, oltre alla robotica stessa: informatica, intelligenza artificiale, filosofia, teologia, biologia, fisiologia, scienze cognitive, neuroscienze, giurisprudenza, sociologia, psicologia e disegno industriale. Princìpi.

In quanto etica umana, la roboetica deve conformarsi ai princìpi e alle norme fondamentali accolti, sanciti e universalmente accettati nelle principali Carte sui Diritti dell’Uomo, e tra questi:

• Rispetto della dignità e dei diritti umani. • Uguaglianza, giustizia ed equità. • Benefici e svantaggi di ogni attività. • Rispetto per le differenze culturali e il

pluralismo. • Nessuna discriminazione né stigmatizzazione. • Diritto alla protezione dei propri dati personali.

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• Difesa della Privacy. • Riservatezza. • Solidarietà e collaborazione. • Responsabilità sociale. • Condivisione dei benefici. • Responsabilità per la salvaguardia della

biosfera.

Problemi etici generali relativi alla scienza e

tecnologia.

La robotica condivide con altri settori della scienza e della tecnologia molti dei problemi etici derivati dalla seconda e dalla terza rivoluzione industriale, tra cui:

• Dual use della tecnologia. • Impatto della tecnologia sull’ambiente. • Effetti della tecnologia sulla distribuzione

globale delle ricchezze. • Gap socio tecnologico, digital divide. • Accesso alle risorse tecnologiche. • Disumanizzazione degli umani rispetto alle

macchine. • Dipendenza dalla tecnologia. • Antropomorfizzazione delle macchine.

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“L'opportunità di creare esseri intelligenti superiori agli esseri umani viene messa spesso in discussione, in quanto si dice che tali esseri non sarebbero dei servitori ma dei padroni. Noi riteniamo, al contrario, che sarebbe saggio dal punto di vista economico che i membri di specie evolutesi per via naturale costruissero dei robot intellettualmente molto superiori a se stessi. Ricordiamo che ogni ricchezza è in ultima istanza Informazione. Robot dall'intelligenza superiore aumenterebbero la quantità di Informazione a disposizione di una civiltà ben al di là di quanto potrebbero fare i soli sforzi dei creatori. La cooperazione tra robot superintelligenti e membri della specie che li ha creati, porterebbe ad un aumento della ricchezza disponibile per entrambi i gruppi, e la specie creatrice sarebbe più ricca con i robot che senza. Che la cooperazione tra due entità economiche A e B, con A superiore a B sotto tutti i punti di vista, comporti un miglioramento economico per entrambe, è una ben nota conseguenza della teoria del vantaggio relativo in economia. Noi esseri umani non dovremmo avere paura dei nostri discendenti robot più di quanto ne abbiamo di quelli fatti di carne e sangue, che un giorno l'evoluzione renderà diversi dall'Homo sapiens. Decisamente non sarebbe saggio attaccare o tentare di ridurre in schiavitù i robot intelligenti nostri discendenti. Non dimentichiamo che nel racconto originale Frankestein era inizialmente un essere gentile e generoso, diventato malvagio solo per lo spietato trattamento ricevuto dagli uomini". (John D. Barrow & Frank J. Tipler - Il Principio Antropico; pag. 587).

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Sitografia specifica:

http://it.wikipedia.org/wiki/Singolarit%C3%A0_tecnologica http://it.wikipedia.org/wiki/Roboetica