anno v numero speciale – ottobre 2015

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Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli Specchi ANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015 9 - 13 NOVEMBRE 2015 TRENTO Cambiamenti climatici e migrazioni IL RIFIUTO DELLA TERRA ilgiocodeglispecchi.org

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Ecco il numero che esce in concomitanza con la settimana organizzata da Il Gioco degli Specchi, dal 9 al 14 novembre 2015 (http://ilgiocodeglispecchi.org/il-rifiuto-della-terra-cambiamenti-climatici-e-migrazioni.html)

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Page 1: ANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015

Trimestrale dell’associazione Il Gioco degli SpecchiANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015

9 - 13 NOVEMBRE 2015 TRENTO

Cambiamenti climatici e migrazioni

IL RIFIUTO DELLA TERRA

ilgiocodeglispecchi.org

Page 2: ANNO V NUMERO SPECIALE – OTTOBRE 2015

32 Editoriale Editoriale

di Andrea Petrella

Il Gioco degli Specchi ha da sempre interrogato la realtà cercando di rileva-re i motivi che, ieri come oggi, hanno determinato e determinano le migra-zioni. Ogni anno abbiamo aperto spazi di riflessione, ci siamo posti domande e abbiamo cercato di trovare risposte con l’aiuto di tanti amici invitati a Trento, italiani e stranieri: scrittori, accademici, attori, registi, traduttori, editori, media-tori. Paura, Patria, Colonialismo, Muri, Pluralismo, Incontro: tanti temi sono stati affrontati per fornirci prospettive e interpretazioni diverse alle dinamiche migratorie che quotidianamente osser-viamo. Tra queste parole-chiave ve n’è una, l’ambiente, finora da noi poco con-siderata seppure ricorrente in molte delle storie raccolte e ascoltate. Quando un anno fa abbiamo pertanto scelto di dedicare le nostre energie, il nostro tempo e le nostre capacità or-ganizzative al tema delle migrazioni ambientali non immaginavamo di tro-varci di fronte a una tale complessità e interdisciplinarietà. È stato abbastanza naturale, per noi che da anni crediamo nel lavoro di rete, chiamare a raccolta altre associazioni e ragionare assieme su questo intreccio di concetti, avveni-menti e numeri. Il risultato è un lavoro ancora in fieri, un insieme di storie e im-magini capaci solo in parte di restituirci le dimensioni del fenomeno. Molte delle difficoltà incontrate nello spiegare le migrazioni ambientali ri-guardano la quantificazione dei prota-gonisti (loro malgrado) di questa parti-colare tipologia di migranti. Ci troviamo

di fronte a fonti molto diversificate e nu-meri non certi, variabili a seconda della definizione adottata. Personalmente mi affido alle stime dell’International Orga-nization for Migration (IOM), secondo cui già nel 1990 si contavano 25 milio-ni di rifugiati ambientali: donne, uomini e bambini in mobilità per motivi che an-davano dalla desertificazione ai disastri naturali, dalla siccità all’inquinamento. Oggi i migranti (o rifugiati) ambientali dovrebbero essere più di 50 milioni, a cui aggiungere i quasi 190 milioni di persone che, a causa di conflitti e di situazioni politiche e socio-economi-che, vivono al di fuori dei confini della propria terra di nascita. Sempre l’IOM calcola che nel 2050 le persone co-strette a migrare per ragioni ambientali potrebbero raggiungere l’astronomica cifra di 200/250 milioni. Quello tra condizioni ambientali-clima-tiche e spostamenti di popolazioni non è, va precisato, un nesso sviluppatosi e manifestatosi solo negli ultimi decen-ni. La storia dell’umanità è costellata di esodi, migrazioni, spostamenti di fami-glie, interi villaggi o interi popoli dettati dall’impossibilità di trarre risorse dal proprio ambiente. Carestie, siccità e inondazioni hanno caratterizzato la vita di molte civiltà, costringendo milioni di individui ad ampliare il proprio raggio d’azione, a migrare temporaneamente o permanentemente in altri contesti, anche quando i confini ancora non esi-stevano. Oggi ciò che vi è di nuovo – e che un po’ ci disorienta – all’interno di questo nesso è l’intrecciarsi simulta-

neo di più fattori che determinano il de-grado ambientale. Uno di questi fattori è sicuramente la repentinità con cui il degrado si sta manifestando, sospinto da cambiamenti climatici mai così in-tensi come negli ultimi decenni. Altro elemento di enorme importanza per comprendere l’attuale gravità del feno-meno è l’impoverimento del territorio provocato dalla sottrazione incontrolla-ta di risorse naturali (e dalla loro con-seguente diseguale redistribuzione). L’intervento diretto dell’uomo attraver-so la realizzazione di grandi opere in-frastrutturali, lo sfruttamento intensivo del suolo a scopi agricoli e zootecnici, la pesca intensiva, l’approvvigionamento energetico e altro ancora si è sensibil-mente intensificato nell’era della cosid-detta globalizzazione. Globalizzati sono i capitali, globalizzati sono gli affari, ma globalizzate sono anche le ricadute di queste dinamiche: i rifugiati ambienta-li che oggi chiedono accoglienza sono le donne e gli uomini a cui ieri è stata sottratta la terra, razionata l’acqua o prosciugato il fiume. Chi entra (o cerca di entrare) oggi in Francia, Germania, Italia o Stati Uniti è stato espulso (rifiu-tato) ieri dal delta del Niger, dalle cam-pagne messicane o cinesi, dai villaggi sub sahariani.Stiamo cercando di comprendere que-sti accadimenti e lo facciamo metten-do assieme storie e immagini, colle-gando fatti e numeri, collaborando con altre associazioni e dando voce a chi ha vissuto sulla propria pelle il Rifiuto della Terra.

IL GIOCO DEGLI SPECCHIperiodico dell’Associazione “Il Gioco degli Specchi”

Reg. trib. Trento num. 2/2010 del 18/02/2010direttore responsabile Fulvio Gardumidirettore editoriale Mirza Latiful Haque

redazionevia S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461.916251 - cell. 340.2412552info@ilgiocodeglispecchi.orgwww.ilgiocodeglispecchi.org

progetto grafico Mugrafik

stampa Litografia Amorth, loc. Crosare 12, 38121 Gardolo (Trento)

con il sostegno diComune di TrentoAssessorato alla Cultura e Turismo

IL RIFIUTO DELLA TERRADA DOVE COMINCIAMO?

Ci tieni alla Terra? #ilrifiutodellaterra è un'emergenza

Diamo un volto alla Natura, agli uomini e alle donne in difficoltà

Il Gioco degli Specchi ha attivato una campagna online, sulla piattaforma Leevia, per promuovere la partecipazione di tutti alla riflessione sul tema dei cambiamenti climatici e loro rap-porto con le migrazioni.

La campagna si basa sulle immagini e partecipare è semplice:1. clicca su http://ilrifiutodellaterra.leevia.com/ 2. posta una foto / disegno / vignetta che mostri gli effet-

ti del riscaldamento globale e/o le conseguenze sulla vita degli uomini

3. rilancia in rete ai tuoi amici

Una foto per collegarsi in un comune obiettivo: la cura dell'ambiente e insieme di tutti gli uomini, specie i più indi-fesi, i poveri, le donne, i migranti.

Radio Trentino in Blu media sponsor seguiteci ogni venerdì in diretta

dalle 10.35 alle 11.00, fino al 25 dicembre

LA NOSTRA TERRAFrancesco e la cura della casa comune

una serie di trasmissioni, in collaborazione con Il Gioco degli Specchi, su riscaldamento globale,

povertà e migrazioni a partire dalla “Laudato si’” e dall'appello urgente

lanciato dal Papa con questa enciclica

EDITORIALE Il rifiuto della Terra: da dove cominciamo?

PRIMO PIANOEcoprofughi

ATAS ONLUSTerre espropriate in Africa, popoli costretti a emigrareMIGRANTIIl cambiamento climatico è un moltiplicatore di minacce

345

6|7

8|910|1112|13

YAKU Progetti di sostegno per acqua e giustizia

PROGRAMMA

AMNESTY INTERNATIONALTerra violata e persone in fuga

1415

16|1718|19

RACCONTODal dire al fare

VITE DISEGNATESono figli nostri

IMMI/EMIQuando alluvioni e malattie spinsero i nostri nonni a cercare l'America

CINEMACittadini del nulla

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54Primo pianoPrimo piano

Provate a immaginare 250 milioni di esseri umani – l’equi-valente di metà della popolazione dell’Unione Europea – in marcia. Immaginateli in cammino, perché in cerca di soprav-vivenza. Pensateli mentre lasciano le città europee, le cam-pagne, i monti, perché non c’è più nulla da coltivare, nulla su cui far crescere grano, mais, riso, frutta. Senza terre per i pascoli, senza acqua per bere, senza speranze.Se li state immaginando, bene: fra pochi anni potrete vederli. Lo dice l’Onu. Entro il 2050, cioè fra 35 anni, gli esseri umani costretti ad abbandonare la loro terra per tentare di vivere saranno un quarto di miliardo, una folla infinita. La loro fuga – lo dicono sempre le statistiche – sarà determinata solo in parte dalle guerre, come ora. La maggioranza dovrà andarse-ne per colpa della desertificazione, dell’inquinamento, per la costruzione di dighe, bacini artificiali o per l’accaparramento delle terre fertili da parte di governi e multinazionali.Ecoprofughi, si chiamano così già oggi, mentre si muovono senza alcun riconoscimento internazionale, senza alcuna norma che ne riconosca il diritto d’asilo e accoglienza. Fac-ciamo un esempio: la Siria. In quasi cinque anni di guerra, i profughi – rifugiati o sfollati – si calcola siano circa 7milioni. La guerra, appunto, nell’idea comune, è la ragione della loro fuga. È vero solo in parte. Già nel 2010, un anno prima della guerra, circa 800 mila siriani furono costretti a lasciare le loro case per mancanza d’acqua. La costruzione di una serie di dighe per produrre energia elettrica, li aveva privati della possibilità di averla. Ed erano inevitabilmente fuggiti.I civili in fuga aumentano, ogni anno, per decine di ragioni.

46° PARALLELO

ECOPROFUGHI Milioni di esseri umani nel mondo lasciano le loro case per cause ambientali

di Raffaele Crocco

Nel giugno del 2015 erano circa 59 milioni e 400 mila, quasi quanto la popolazione dell’Italia. Un individuo ogni 122, nel mondo, oggi è profugo. Vuol dire che, statisticamente, tutti ne conosciamo almeno uno. La maggior parte di loro viene da appena cinque Paesi, tutti colpiti da conflitti: l’Afghanistan, la Somalia, l’Iraq, la Siria ed il Sudan. Negli ultimi anni ci sono stati flussi importanti anche da Mali e Repubblica Democra-tica del Congo. I numeri sono allarmanti. Evidenziano che in-giustizie, consumo delle risorse, guerre, creano sempre più disperazione. Di fatto ogni 4 secondi una persona nel mondo diventa rifugiato o sfollato. Quasi la metà sono minori.Tutto questo accade qui, ora, davanti ai nostri occhi. Raccon-tarlo, affrontarlo, sapere cosa sta accadendo, significa avere gli strumenti per capire le ragioni di chi arriva qui, sulle nostre coste, nelle nostre città, cercando di vivere. In 40 Paesi afri-cani su 53, la speranza di vita è inferiore ai 40 anni. In Italia è superiore agli 84.Le ragioni dell’adesione dell’"Atlante delle Guerre e dei Con-flitti del Mondo" al progetto “Il rifiuto della terra” è nei nu-meri che avete letto, nel profilo tracciato qui sopra. Da sei anni lavoriamo con i ragazzi, le associazioni, gli enti, per dare una possibile chiave di lettura a quanto accade nel Mondo. L’Atlante è uno strumento di informazione e l’informazione è uno strumento di maggiore libertà. Raccontare cosa sono gli ecoprofughi, quali sono le ragioni che li spingono a mol-lare una terra, una casa, una vita per cercare altro, significa raccontare il nostro tempo, starci dentro fino in fondo. Una occasione che non volevamo sprecare.

di Patrizia Bugna

“D’un tratto non potevamo più coltivare i campi del villaggio. Erano stati venduti. Non sapevamo a chi”. La privatizzazio-ne delle terre che per generazioni sono state coltivate dagli abitanti è una delle situazioni che i richiedenti asilo accolti in Trentino ci raccontano e che spinge le persone a partire, magari a cercare lavoro in Paesi vicini, poi a loro volta travolti dalle guerre. Alcuni arrivano dalla regione del Sahel, soggetta al fenomeno della desertificazione. “Per tre anni non è pio-vuto e i campi che coltivavo non davano nessun raccolto” ci dicono. Altri provengono dall’area del Delta del Niger, terra di petrolio. Sono oltre 800 i richiedenti asilo e rifugiati accolti in Trentino a settembre 2015. Alcuni di loro abitano negli appartamenti messi a disposizione da ATAS onlus all’interno dello SPRAR – Sistema Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati e del sistema dell’Accoglienza Straordinaria, con il coordinamento di Cin-formi e in collaborazione con un’ampia rete di enti, associa-zioni, volontari, tra cui Centro Astalli onlus, cooperativa Punto d’Approdo e APPM onlus. Gli operatori e operatrici di Atas seguono una parte delle persone accolte per quanto riguarda la gestione quotidiana dell’alloggio, della convivenza con gli altri ospiti e gli accom-pagnamenti ai servizi del territorio. Illustrano le regole del progetto di accoglienza, spiegano cosa significa vivere negli appartamenti con altre persone, quali prodotti utilizzare per le pulizie, dove acquistare gli alimenti, si accertano della fre-quenza dei corsi di italiano, li accompagnano se necessario

Che cosa fa Atas per i sempre più numerosi rifugiati

Terre espropriate in Africa, popoli costretti a emigrare

in caso di problemi di salute, li presentano ai vicini, li orienta-no verso altri servizi o iniziative del territorio. Un altro aspetto importante che segue Atas sono le relazioni dei richiedenti asilo e rifugiati con la comunità nel comune di Trento, pro-muovendo la partecipazione alle attività delle associazioni lo-cali, la conoscenza e le relazioni positive con i vicini di casa, il lavoro volontario per la comunità, e, in generale, la parte-cipazione e il contributo alla vita sociale, culturale e sportiva della città. Pensiamo che la conoscenza personale, le relazioni e il rac-conto delle storie di vita possano aiutare a farsi un’idea, senza preconcetti, dello stato delle cose a livello locale e globale, delle interrelazioni tra questi livelli, e ad agire di con-seguenza. Tra i richiedenti asilo e rifugiati seguiti da Atas ci sono persone che hanno visto il proprio Paese devastato da conflitti per il controllo delle risorse naturali, il proprio am-biente trasformato, la propria terra resa inaccessibile perché “venduta” a terzi. Queste persone e le loro storie entreranno nelle scuole e in eventi pubblici nel corso del progetto Il Rifiuto della Terra. Proporremo inoltre il documentario Ero 197, il racconto di un ragazzo che vive in uno degli alloggi di Atas, partito da solo dal Burkina Faso a 15 anni. Vogliamo così dare un contribu-to alla conoscenza e al dibattito pubblico sulle migrazioni e l’accoglienza, facendo emergere dalle persone che fanno già parte della nostra comunità il racconto di fenomeni apparen-temente lontani. Per capire.

Ero 197, regia di Donato Chiampi, pro-dotto da Donato Chiampi in collaborazio-ne con Atas onlus - durata 25’30” Tidjane è un ragazzo come tanti, solo che si affaccia al mondo esterno diver-samente dai suoi coetanei quindicenni: è nato in Burkina Faso.Parte di nascosto per la Libia ed entra così nell’interminabile conta dei migran-ti sub-sahariani. Il viaggio del protago-nista è metaforicamente rappresentato da una scalata dove avanzare significa superare difficoltà.

Lavora per vivere e proseguire attraverso punti sperduti nei deserti Ténéré e Saha-ra, località che ogni migrante conosce e non scorda più. Tali città e oasi brulicano di persone che affrontano piste segna-te da “chi non ce l’ha fatta” (racconto di Tidjane).Arrestato, fugge dal carcere libico di Al Gatrun, correndo per 11 ore nella notte. Tripoli, dopo un anno la guerra con bom-bardamenti e nuovo arresto.Su un barcone, con altre 600 persone, rag-giunge l’isola della speranza: Lampedusa.La nuova vita in Italia. Tidjane incontra

altri profughi africani che studiano l’ita-liano; stranieri di varie nazionalità nella scuola secondaria per adulti; italiani che, al di là di ogni considerazione, si mettono in gioco, pur tra mille domande… A fine ri-prese una sorpresa che ha lasciato senza fiato Tidjane e tutti coloro che hanno col-laborato alla realizzazione del docu-film. “Ero 197” è una storia vera che senza enfasi e spettacolarità ci introduce in un mondo che è il nostro, andando oltre l’a-nonimato dei naufragi e degli sbarchi quo-tidiani che vediamo in ogni telegiornale.

5ATAS Onlus

WWW.ATAS.TN.IT

WWW.ATLANTEGUERRE.IT

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Radio Trentino in Blu media sponsor seguiteci ogni venerdì in diretta dalle 10.35 alle 11.00, fino al 25 dicembre

LA NOSTRA TERRAFrancesco e la cura della casa comune

6Migranti

IL CAMBIAMENTO CLIMATICO È UN

MOLTIPLICATORE DI MINACCE

di Manuel Beozzo

Sono diversi i motivi che inducono una persona a fuggire dal proprio Paese e iniziare un viaggio senza conoscerne la de-stinazione, i tempi e gli esiti. Tutti hanno certamente un’ori-gine drammatica e non volontaria. Negli ultimi mesi la stam-pa nazionale ha ritrovato nel tema migrazione una grande fonte di ispirazione, scrivendo quotidianamente di rifugiati e migrazioni. Come altri grandi temi, probabilmente anche questo così com’è apparso, scomparirà dalle prime pagine dei giornali quasi magicamente. Vale quindi la pena sfruttare l’attualità del tema per approfondimenti legati in maniera più o meno diretta al tema centrale. Una delle “categorie” dei rifugiati è quella dei rifugiati am-bientali o profughi ambientali. Si tratta di “quelle persone che sono state costrette a lasciare il loro habitat tradizionale, temporaneamente o permanentemente, a causa di un’inter-ruzione ambientale (naturale e/o causata dall’uomo) che ha messo in pericolo la loro esistenza e/o gravemente influito sulla qualità della loro vita. Con "interruzione ambientale" si intende ogni cambiamento fisco, chimico e/o cambiamento

biologico nell’ecosistema (o nelle risorse base) che lo ren-dono, temporaneamente o in modo permanente, inadatto a sostenere la vita umana”. Lo scrive, a metà degli anni Ottan-ta, un ricercatore egiziano, Essam El-Hinnawi, utilizzando il termine “rifugiato ambientale” in un rapporto internazionale delle Nazioni Unite (Programma per l’ambiente) a seguito de-gli spostamenti di popolazioni causati dai disastri ambientali di Bophal (India) e Chernobyl (Unione Sovietica). “Rifugiato ambientale” si era letto per la prima volta nella seconda metà degli anni Settanta in una relazione per il World Watch Institute di un ricercatore statunitense, Lester Brown.L’importanza di approfondire il tema delle migrazioni a se-guito di disastri ambientali (siano essi di breve durata come terremoti, tsunami, cicloni ecc., oppure di lungo periodo come siccità, desertificazione o ancora causati direttamente da errore umano come nei casi poco sopra elencati o volon-tà umana come per i conflitti) si incentra sui grandi numeri

che descrivono il fenomeno: milioni di uomini. Tra il 2008 e il 2013 circa 27 milioni di persone ogni anno hanno lasciato

il proprio Paese a seguito di cambiamenti ambientali o disa-stri ambientali. Nonostante ciò e benchè le previsioni parli-no di aumenti esponenziali nei prossimi dieci anni, questa tipologia di rifugiati non è contemplata nella Convenzione di Ginevra (1951) né nel suo Protocollo Supplementare (1967). Gli organismi internazionali stanno cercando di creare del-le tutele anche per i rifugiati ambientali, ma ad oggi nessun governo ha l’obbligo di accoglimento all’interno del proprio territorio di persone fuggite dal proprio Paese a seguito di un disastro naturale. Un aspetto questo molto delicato, ripreso anche da Legam-biente nel rapporto Profughi Ambientali (2013), dal quale si può evincere la complessità del caso: “anche se i governi estendono le leggi esistenti in materia di asilo per includervi le persone sfollate da cambiamenti climatici, non portereb-bero a fornire una giusta protezione. Inoltre, comportereb be sprecare risorse giudiziarie necessarie per le persone che attualmente ricevono tutela a norma dei rifugiati e del dirit-to di asilo. La protezione delle persone sfollate dai cambia-

menti climatici, ben ché necessaria, non dovrebbe rientrare nell’ambito delle leggi di rifugiati. Nuove leggi nazionali e internazionali dovrebbero concedere a queste persone mag-gior protezione”.Un altro aspetto centrale legato a questa tematica, riguar-da la sua analisi in relazione ad altri temi. Esistono interes-santissime analisi sul tema ambiente, migrazioni, sviluppo e conflitti. Ciò che troppo di rado viene preso in considerazione è un’osservazione che consideri le interazioni tra questi feno-meni. Questo alla luce del fatto che chi si occupa di ambiente definisce il cambiamento climatico un “moltiplicatore di mi-nacce”. Recentemente un pioneristico articolo apparso sulla stampa inglese argomentò che alla base del conflitto in Siria ci siano state anche ragioni di carattere ambientale. L’autore dimostrava come scelte politiche poco sostenibili nel settore agricolo e la conseguente siccità mal gestita dal Governo ab-biano portato ad una massiccia e rapida migrazione interna dalle zone rurali a quelle di città, causando scontento tra la popolazione (disoccupazione, corruzione e iniquità sociale).

Rifugiati ambientali, una nuova emergenza senza alcun riconoscimento internazionale

MIGRANTI

7Migranti

Foto: Mahmud Amin

Per approfondire il tema si vedano i dossier di Legambiente e altra bibliografia selezionata dal Gioco degli Specchi

WWW.LEGAMBIENTE.IT | WWW.ILGIOCODEGLISPECCHI.ORG

PER APPROFONDIRE

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di Francesca Caprini

WWW.YAKU.EU

Progetti di sostegno per acqua e giustizia

COLOMBIA: il paese con più sfollati interniDa 5 a 7 milioni, causa sfruttamento minerario e narcotraffico

La Colombia ha firmato, dopo quasi sessant’anni di guerra, lo storico accordo fra Governo e gruppi guerriglieri che do-vrebbe pacificare il paese e ridare dignità alle migliaia di vit-time e desaparecidos che ancora non conoscono giustizia. Un accordo salutato con entusiasmo, che mostra anche de-gli aspetti preoccupanti, in particolare per ciò che concerne l’impostazione delle politiche economiche stabilite dal go-verno del presidente Santos. La Colombia, sotto l’egida del-la cosiddetta “locomotora minera” rimane stretta dentro la morsa di un modello energetico neoliberista che favorisce la continua concessione di ampie porzioni delle proprie ter-re e risorse ai grandi gruppi finanziari, causando numerosi sfollamenti forzati e mantenendo le sacche di povertà che contraddistinguono la società colombiana.Gli sfollati interni in Colombia sono fra i cinque ed i sette mi-lioni: contadini, afrodiscendenti ed indigeni allontanati con la violenza dai propri territori d’origine, costretti ad abban-donare ogni forma di autosussistenza, ma anche i propri usi e costumi, le proprie radici, la propria identità. Questo fa della Colombia il paese al mondo con più sfollati interni, insieme al Sudan.Dietro il desplazamento forzato e massivo ci sono la violen-za paramilitare e l’impunità di Stato, che per oltre mezzo secolo hanno operato in combutta con i grandi latifondi ed il

narcotraffico, ed oggi con i cartelli economici più aggressivi. Il 40% del territorio colombiano è richiesto in concessione da multinazionali minerarie, in particolare di oro; l’abbas-samento del prezzo del petrolio ha incrementato le trivel-lazioni petrolifere, che hanno visto la resistenza dei popoli indigeni di etnia Nasa affrontare a mani nude elicotteri e corpi militari; mentre le coltivazioni intensive di pino, euca-lipto, palma da olio, soia e canna da zucchero - oltre che di caffè e banane - si estendono per immense aree che nelle regioni del Cauca, Norte del Valle, Eje Cafetero, Antioquia, Alto Magdalena ed Orinoquia, colpiscono in maniera irrever-sibile le fonti idriche e la biodiversità. La Colombia, terra ricchissima di acqua e di risorse, ha una popolazione che per poco meno della metà non ha accesso all’acqua potabile e si situa al di sotto dei livelli di povertà. Eppure i “desplazados”, anche grazie all’appoggio delle or-ganizzazioni internazionali per i diritti umani, hanno avviato negli ultimi anni fruttuosi processi di riappropriazione e rior-ganizzazione dei loro territori. Yaku vi partecipa attraverso vari percorsi di sostegno, fra cui il progetto Agua, Justicia y Paz, volto al recupero delle risorse idriche, degli acquedotti comunitari e dei sistemi di raccolta delle acque, attraver-so un percorso di autonomia ed autodeterminazione delle

comunità, insieme alle scuole locali, riunite nella rete delle Scuole dell’Acqua. L’intervento di Yaku all’interno del percorso condiviso “Il Ri-fiuto della Terra”, promosso dal Gioco degli Specchi, si situa in questo asse di elaborazione e confronto: da una parte la diffusione delle informazioni che esplicitino con chiarezza le connessioni intrinseche fra modello economico e acca-parramenti di terre, acqua e risorse; dall’altra, la promo-zione delle soluzioni che le stesse comunità locali stanno mettendo in campo: la terra, maltrattata ed offesa, ridotta a merce, ed i suoi abitanti, si danno una nuova opportu-nità, lavorando per la difesa dei propri territori attraverso sperimentazione di alternative che privilegino la gestione locale e partecipata dei beni comuni. Un punto di vista che vuole mettere in particolare evidenza il ruolo della donna nella difesa dell’acqua, in Colombia ma anche in Bolivia, altro Paese che verrà preso in esame e dove Yaku collabora: con seminari informativi su migrazione e progetti di coope-razione internazionale all’interno del percorso formativo “la Scuola dell’Acqua e dei Beni Comuni” e la visione del plu-ripremiato documentario “La mujer y el Agua”, l’apporto di Yaku cercherà di contribuire alla denuncia globale contro il sistema biocida che l’economia finanziarizzata attua contro la Madre Terra e le popolazioni in lotta per la sua difesa.

8Yaku

9Yaku

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IL GIOCO DEGLI SPECCHI,

via S.Pio X 48, 38122 TRENTO tel 0461 916251, cell 340 [email protected]

ilgiocodeglispecchi.org

seguici

#ilrifiutodellaterra

TUTTI GLI INCONTRI SONO AD INGRESSO LIBERO E GRATUITO

Il Gioco degli Specchi è ente accreditato presso il Servizio sviluppo e innovazione del sistema formativo scolastico. Gli insegnanti coinvolti nei vari incontri possono richiedere il riconoscimento di crediti formativi.

PROGRAMMADal 9 al 14 NOVEMBRE Sala Manzoni, BIBLIOTECA COMUNALE CENTRALE, via Roma 55, Trento

ESPOSIZIONE DI LIBRI SUL TEMA

LUNEDÌ 9 NOVEMBREORE 21.00Sala conferenze, MUSE Museo delle Scienze, Corso del Lavoro e della Scienza 3, Trento

CAMBIAMENTI CLIMATICI E MIGRAZIONIValerio Calzolaio, politico, giornalista e autore di Ecoprofughi. Migrazioni forzate di ieri, oggi, domani Luca Lombroso, meteorologo, personaggio televisivo, conferenziere e divulgatore ambientale

MARTEDÌ 10 NOVEMBREVALERIO CALZOLAIO E LUCA LOMBROSO INCONTRANO STUDENTI DELLE SUPERIORI

GIOVEDÌ 12 NOVEMBREORE 21CINEMA ASTRA, corso Buonarroti 16, Trento

VOCI DI TRANSIZIONE/VOICES OF TRANSITION

di Nils AguilarFrancia/Germania, 2012, versione originale in inglese con sottotitoli in italianodurata 62’Vincitore di prestigiosi premi in Oregon e in Colorado come Miglior opera prima e come Miglior film sull’ambiente, Voices of transition mette in discussione l’agricoltura industriale e presenta esempi in Francia, Regno Unito e Cuba di modi nuovi (o ritrovati) di coltivare in modo sano per l’ambiente, sia in campagna sia in città. Con Roberto Barbiero dall'Osservatorio Trentino sul Clima e Paolo Magnabosco del movimento culturale Transizione Italia.

VENERDÌ 13 NOVEMBREORE 16.00SCUOLA DI STUDI INTERNAZIONALI dell’Università di Trento, via Tommaso Gar 14

ECOMIGRAZIONI E DIRITTI DELLA NATURAcon il giurista Ugo Mattei, Andrea Petrella e gli studenti della Scuola Studi Internazionali di Trento, all’interno della  “Scuola dell’Acqua e dei beni comuni”, un ciclo di incontri e seminari formativi

a cura dell’associazione Yaku

ORE 21.00Sala conferenze della FONDAZIONE CASSA DI RISPARMIO DI TRENTO E ROVERETOvia Garibaldi 33, Trento

TERRA VIOLATA E PERSONE IN FUGA: IL DELTA DEL NIGER NON È COSÌ LONTANOIntroduce Cristiano Vernesi di Amnesty International – gruppo di Trento: Il Delta del Niger. Tra responsabilità sociale delle imprese petrolifere (anche italiane) e disastro ambientale; specifica Luca Manes di Re:Common: Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso di potere tra Europa e Delta del Niger con presentazione della graphic novel su questo tema; e in conclusione: Abbandonare il proprio paese. Testimonianza di un cittadino nigeriano che vive in Trentino

a cura di Amnesty International Trento e con la collaborazione di Atas Onlus

VENERDÌ 20 NOVEMBREORE 20.00Teatro San Marco, Via San Bernardino, 8, Trento

PROIEZIONE DI LA MUJER Y EL AGUA, CON LA PARTECIPAZIONE DELLA REGISTA NOCEM COLLADO All’interno della rassegna “Tutti nello stesso piatto” di Mandacarù.

A cura dell’associazione Yaku

Il riscaldamento globale è sotto gli occhi di tutti: i ghiacciai si ritirano, i mari invadono la terra, luoghi un tempo vivibili diventano de-serti inospitali.Si discute sulle cause del fenomeno, ma è certamente accelerato e aggravato dalle atti-vità dell’uomo. Le persone cercano una possibilità di vita per sè o almeno per i loro figli, sfollano in mega-lopoli invivibili o migrano verso un qualunque altrove inseguendo una speranza.Sono ormai milioni e saranno sempre di più.Come far fronte ad una situazione così grave?Certo non basta tamponare le emergenze, bi-sogna intervenire sulle cause e dunque sulle attività umane.

La terra non può reggere la pressione di una umanità che la distrugge col mito della cre-scita, specie ora che molti più stati si muovo-no in questa direzione.È necessario cambiare obiettivi e stile di vita.Questo tipo di sviluppo vorace che si alimenta con la distruzione, punta al profitto di pochi e crea scarti anche umani, lo abbiamo inventa-to noi: possiamo anche far prevalere un be-nessere rispettoso della terra, dei poveri, delle generazioni future.Puntiamo con decisione alla VITA: del PIANETA, di TUTTI e OVUNQUE.È urgente.

11Programma

10Programma

IL PROGETTO CONTINUA ANCHE NEL 2016

IL RIFIUTO DELLA TERRA. AMBIENTE DEVASTATO E MIGRAZIONI

Con la collaborazione di

Con il sostegno di

Con il contributo di

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1312

Terra violata e persone in fuga: il Delta del Niger non è così lontanoLa ricchezza di petrolio impoverisce la popolazione

di Cecilia Nubola e Alberto LavelliTRENTO

Questo fumetto, ideato da Re:Common e disegnato dalla giovane Claudia Giuliani, racconta una vicenda realmen-te accaduta: una operazione di riciclaggio internazionale che ha coinvolto, per milioni di dollari, politici della Nige-ria, affaristi, multinazionali del petrolio, organismi di coo-perazione e istituzioni internazionali. È la storia di Dotun Oloko, l’uomo che aveva scoperto il colossale affare e lo aveva denunciato, in un primo tempo inutilmente, la sua drammatica fuga e la sua vita sotto scorta fino alla con-danna, almeno, dell’ex governatore dello stato del Delta. Il racconto a fumetti è integrato da documenti (i memo-randum e le lettere ufficiali di denuncia di Dotun Oloko) e resoconti puntuali (il dossier dell’associazione Re:Common “Il delta dei veleni. Gli impatti delle attività dell’ENI e delle altre multinazionali del petrolio in Nigeria”). Ne risulta coin-volta la Shell ma anche l’AGIP, da sempre struttura portante del gruppo ENI, che significa energia italiana, in Italia e nel mondo, ed è controllata al 30% dal governo italiano.La Nigeria è il principale esportatore africano di petrolio, ma questa sua enorme ricchezza non ha portato sviluppo. Se il 70% della popolazione nigeriana è sotto la soglia di povertà, quella del delta del Niger, seduta sulla ricchezza principale del paese, è la più poveraRe:Common, associazione per il controllo pubblico e par-tecipato delle risorse naturali, in questo fumetto - inchie-sta chiede di accertare l’entità degli impatti ambientali e le responsabilità delle compagnie petrolifere, di procedere ad una bonifica ambientale, di compensare le popolazioni locali e di metter fine alla pratica del gas flaring. In pratica chiede all’opinione pubblica ed ai governi europei, quello italiano compreso, di uscire da una mentalità eurocentrica, di imporre alle multinazionali la salvaguardia dell’ambiente e il rispetto delle popolazioni locali e dei loro diritti fonda-mentali. Il diritto ad un livello di vita decente, all’acqua, al cibo, alla salute, al lavoro.

Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso

di potere tra Europa e Delta del Niger

Round Robin editRice, Roma, 2015

Re:common

"...tutti noi siamo di fronte alla Storia. Io sono un uomo di pace, di idee. Provo sgomento per la vergo-gnosa povertà del mio popolo che vive su una terra molto generosa di risorse; provo rabbia per la deva-stazione di questa terra; provo fretta di ottenere che il mio popolo riconquisti il suo diritto alla vita e a una vita decente. Così ho dedicato tutte le mie risor-se materiali e intellettuali a una causa nella quale credo totalmente, sulla quale non posso essere zitti-to. Non ho dubbi sul fatto che, alla fine, la mia causa vincerà e non importa quanti processi, quante tri-bolazioni io e coloro che credono con me in questa causa potremo incontrare nel corso del nostro cam-mino. Né la prigione né la morte potranno impedire la nostra vittoria finale..."

A 20 anni dalla sua uccisione da parte del governo nigeriano, queste parole di Ken Saro-Wiwa, poeta e attivista per i diritti umani nigeriano, sono ancora drammaticamente attuali. Nella regione del Delta del Niger si continua a inquinare l’ambiente e a violare i diritti umani nel nome del petrolio.

Ma perché occuparsi della natura violata nel Delta del Niger, della sua popolazione costretta a vivere in situazioni degradanti oppure ad andarsene? Perché

parlare di un posto così lontano quando i disastri am-bientali non mancano certo anche a casa nostra? Una prima risposta può essere la seguente: perché il mondo è sempre più piccolo, sempre più globale. Fenomeni apparentemente lontani ci riguardano da vicino e possono essere influenzati e influenzare il nostro modo di vivere. La nostra dipendenza ener-getica dal petrolio, ad esempio, fa sì che il Delta del Niger, come tante altre zone nel mondo, sia inquina-to e distrutto.

Il contrasto tra l’impoverimento delle popolazioni del Delta e la ricchezza prodotta dal suo petrolio nei paesi occidentali è uno degli esempi più significativi della “maledizione delle risorse naturali”. Le compagnie petrolifere, tra cui l’italiana Eni, che operano nel Delta del Niger hanno portato ben pochi benefici alla regione, trascinando molte persone an-cora più a fondo nella povertà e contribuendo a sca-tenare conflitti. Le diffuse violazioni dei diritti umani, collegate all’estrazione del petrolio, hanno contami-nato il terreno e le acque, compromettendo i tradizio-nali mezzi di sostentamento (agricoltura e pesca). Il gas flaring (gas che esce dalla terra e che viene fatto bruciare) ha danneggiato la salute delle persone pro-vocando problemi respiratori e malattie della pelle.

In assenza di una legislazione specifica, nazionale e internazionale, le imprese petrolifere e estrattive hanno adottato comportamenti tesi al massimo pro-

fitto e poco rispettosi dell’ambiente e dei diritti uma-ni delle comunità. Un altro effetto prodotto dall’azione delle multina-zionali riguarda la corruzione dei governi locali che sottrae risorse economiche alle popolazioni e ne im-pedisce la crescita economica e sociale. Una significativa storia di corruzione è raccontata da Re:Common nella graphic novel Soldi sporchi. Corruzione, riciclaggio e abuso di potere tra Europa e Delta del Niger.

L’insieme di questi processi innesca una spirale di povertà e degrado sociale, conflitti e violenza, man-canza di rispetto dei diritti umani, che hanno come conseguenza la necessità per le popolazioni di ab-bandonare la propria terra per finire negli slum delle grandi città o per emigrare in Europa. Nell’ambito del progetto Il rifiuto della terra coordina-to dal Gioco degli Specchi, il gruppo di Amnesty Inter-national di Trento, in collaborazione con ATAS Onlus di Trento, vi invita ad una serata di approfondimento di questi temi, venerdì 13 novembre 2015, ore 21,00 nella sala della Fondazione Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto, a Trento: Terra violata e persone in fuga: il Delta del Niger non è così lontano.Saranno presenti Cristiano Vernesi del gruppo di Trento di Amnesty International, Luca Manes dell’as-sociazione Re:Common e un cittadino nigeriano che vive in Trentino.

Amnesty International Trento

13Amnesty International Trento

WWW.AMNESTYTRENTO.IT

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15Cinema

Siamo nelle montagne del Canton Ticino, una terra avara.

È una mattina di fine estate dell’anno 1838. Un uomo scen-de lungo la Val Verzasca. Cammina in fretta e non dà neppu-re un’occhiata alle balze rocciose che delimitano il sentiero o alle trote che saltano nelle acque del fiume. Tiene lo sguardo fisso davanti a sé, impaziente perché Sonogno non appare ancora.Ma ecco, finalmente, le prime case. Ora non ha più fretta, sa di essere vicino al paese e si mette a sedere, lontano dal-la strada. Il suo sguardo vaga lungo le pendici scoscese dei monti. Scruta quella natura così poco generosa con i suoi abitanti. - Qui non c’è di che vivere, - pensa. - I figli, li devono dare via.

Su questo conta il trafficante di bambini, getta la sua esca ai genitori e se non ci riesce subito torna l’anno seguente. Qualche disgrazia li porterà a più miti consigli, basta poco per mettere in difficoltà chi è vicino al precipizio, e allora deve cedere.Riesce così sempre a portare a termine i suoi affari, a par-tire con un gruppo di ragazzi che potrà rivendere a Milano, un centro ricco, con tante necessità. Giovani, piccoli e magri, adatti a salire nei camini e pulirli.Li imbarca su un ‘batél’ come quello dei Promessi Sposi, ma si scatena la tempesta e il lago vuole i suoi morti.

Quando Giorgio risale in superficie, vede tendersi mani, brac-cia. Grida disperate vengono coperte daI fragore delle acque. Poi nuove ondate si rovesciano suI misero rottame. ll ragazzo torna di nuovo a galla, ma la barca è scomparsa. Con uno sforzo estremo riesce finalmente a raggiungere un’asse cui aggrapparsi e vi sale sopra.Ora può guardarsi intorno. Ecco scorge l’amico: - Alfredo!Questo si avvinghia disperatamente allo stesso pezzo di legno.

Sul menu c’è scritto “carne di bovino nordamericano nutrito per almeno 100 giorni a grano”. Erica lo sa, l’ha letto, ma vederlo spiat-tellato così, con vanto spudorato, le dà un pugno allo stomaco, la mette sotto-sopra, la fa precipitare in una dimen-sione di irrealtà.Cento giorni di grano: quante persone possono nutrire?Una persona che mangia carne si ap-propria di risorse che, suddivise, ba-sterebbero per cinque o dieci persone, la accusa Caparròs, ci va giù duro lui: Mangiare carne è uno sfoggio bestiale di potere.E Andrea Segrè con tutti i suoi calco-li a ricordarle quanta acqua ci vuole per arrivare a 300 grammi di bovino, quattro volte di più che per quella di pollo. E quanta CO2 emettono gli alle-vamenti e l’aereo che l’ha portato dal Nord America?! in una terra poi che è solo boschi e pascoli. Quel ‘nordame-ricano’ le fa proprio rabbia. Non verrà mica dal Montana? non è più quello di John Wayne, ci scapitozzano le mon-tagne per mettere a nudo le vene di carbone.È in compagnia, non ha intenzione di fare la guastafeste e in ogni modo si siede a tavola più volte al giorno (dicia-mo la verità con gusto e perfino procla-mando “che fame!” oppure bamboleg-giando “ho una famina oggi!”). Anche

se sa bene che nell’Altro mondo la fame è un’altra cosa.Una volta aveva digiunato per tre gior-ni (per empatia? per provare ad avvi-cinarsi a un’umanità così lontana dal-le splendide vetrine di corso Roma? forse solo un’idea balzana delle sue) e quello che non aveva speso l’aveva mandato non sa più per quale carestia indiana. Ha ancora il ricordo di un cer-to levitare, di una sensazione di verti-gine, non si è sentita granchè buona a mandare soldi, non era certo una so-luzione al problema. Si è forse imme-desimata un attimo, ma senza riuscire a immaginare come possa essere una vita fatta di giorni che si susseguono ad altri giorni senza sapere se domani si potrà mangiare. L’incertezza, l’ango-scia dell’incertezza, quella senza rete di salvataggio, come la puoi immagi-nare? il pianto di bambini a cui non puoi dar da mangiare.Beh, è tornata diligente al suo menù, non le piace farsi aspettare, ha scelto un tortino di zucchine che prometteva bene e affronta una delusione di frit-tatina mignon con qualche rondellina verde. Elegante, questo sì.Erica fa scivolare lo sguardo sui boschi ricchi e sani che intravvede dalle ve-trate. Giornata troppo placida e solare per pensare alle emissioni di carbonio, ai gas serra e all’orologio dell’apoca-lisse. Lo sa che ci stiamo mangiando tutto, il bovinonordamericanonutrito-

agrano e un pianeta intero. Anche due o tre se si mettono anche altri a sgranocchiare con lo stesso appetito. Informata è informata, che lei l’inglese lo sa, Climate Change, Warmer World, Desertification, Ocean Acidification, Sea Level, Water Grabbing, Land Grab-bing, Fracking, Flaring, altro che su-stainable development.Se ne preoccupa, ma senza preoc-cuparsi. Non sa nemmeno lei. È una specie di anestesia. Non ha figli e tutto sembra così lontano. C’è tanto lavoro tutti i giorni, corri qua corri là. In mac-china s’intende, altrimenti non ce la farebbe a far tutto. Un pensiero com-mosso a Ken Saro Wiwa e via. Sì, ogni tanto ci pensa a quel che possono fare i petroliferi.È diverso quando ti muoiono intorno. Lì i morti e gli ammalati li contavano ogni giorno, non facevi in tempo ad af-fezionarti a uno che...Lì sì che la carne la volevi del Monta-na! Le pecore. Se socchiude gli occhi, le vede come se fossero lì su quei prati pettinati: bestie da far spavento, come quelle di Salto di Quirra, che si trasci-nano spelacchiate in attesa che ven-gano a prenderle i monatti.Erica è nata a Grottaglie, a due passi dalla Sagrada Familia dell’ILVA, ma è scappata appena ha potuto, lontana, l’università, il dottorato, il master. Ah, Parigi, non se ne sarebbe mai andata via. Parigi, la Tour Eiffel, la civiltà.

di Maria Rosa Mura

14Racconto

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Lisa Tetzner . Hannes Binder I Fratelli NeriA metà dell’Ottocento i ragazzi del Canton Ticino vengono ancora venduti e portati

a Milano a fare gli spazzacamini. Tenuti come schiavi, sopravvivono in pochi a

quel pericoloso lavoro. Giorgio, invece, un quattordicenne della Val Verzasca,

trova amicizia e solidarietà nella società segreta dei Fratelli Neri.

Cent’anni più tardi, il destino di Giorgio e la sua fuga avventurosa, sono raccontati

in un romanzo per ragazzi in due volumi che esce nel 1941 sotto il nome di Lisa

Tetzner. Anni dopo, Hannes Binder racconta il romanzo per immagini.

www.zoolibri.com

NARRATIVA ILLUSTRATA

9 788888 254630

ISBN 978-88-88254-63-0

euro 18.00

dal dire al fare

di Maria Rosa Mura

Poi i due ragazzi capiscono meglio come devono tenersi at-taccati. Sono troppo sfiniti per parlare.Un colpo di vento disperde la nebbia - Là, - dice Giorgio respirando a fatica. - La riva... no, da que-sta parte è più vicina.Tieniti forte che io spingo.

Non è il Mediterraneo dei nostri giorni, ma il lago di Lugano di due secoli fa. Sono addestrati come spazzacamini, ma po-trebbero essere i giovani soffiatori di vetro della Toscana o i piccoli suonatori d’organetto nelle strade di Londra e di New York. Oppure due dei minori stranieri arrivati in Italia ‘non ac-compagnati’: 9.699 secondo i dati del Ministero del lavoro e delle politiche sociali al 30 settembre 2015, 5.588 dei quali dichiarati ‘irreperibili’ cioè si sono allontanati dalle strutture o dalle famiglie di accoglienza e non se ne hanno più notizie.Quanta disperazione, passata, futura, in genitori che man-dano i figli da soli nel mondo nella speranza che possano vivere.

Lisa Tetzner, Hannes Binder, I fratelli neri, ZOOlibri, Reggio Emilia, 2011

Il libro è stato scritto da Lisa Tetzner insieme a suo marito Kurt Held, nome “tagliato” per motivi razziali, in quanto perseguitato dal nazismo. Inizialmente pubbli-cato in Germania nel 1941, è qui illustrato da Hannes Binder, che vive e lavora come illustratore e pittore a Zurigo. Attingendo al materiale iconografico dell’epoca, disegna con potenti incisioni, i luoghi dell’azione senza limitarsi ad illustrare questo classico, ma raccontando il romanzo per immagini.

SONO FIGLI NOSTRI

15Vite disegnate

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1716Immi/EmiImmi/Emi

I recenti intensi flussi migratori, legati spesso a numerose concause, quali guerre, cambiamenti climatici, desertifica-zione e sfruttamento indiscriminato delle risorse del terri-torio dall’effetto globale deflagrante, mi hanno indotta a chiedermi se anche alla base della secolare emigrazione trentina, oltre alla generica motivazione della “intollerabile miseria della popolazione”, non ci fossero cause più specifi-che, sostanzialmente le stesse che ai giorni nostri spingono i migranti verso nuove terre in grado di offrire una possibili-tà di vita e non solo di sopravvivenza.In particolare ho cercato nella nutrita ed esauriente biblio-grafia sull’argomento dei possibili riscontri anche nella cau-sa che apparentemente sembrava la più improbabile, ovve-ro i cambiamenti climatici, e proprio lì ho avuto le sorprese più interessanti.Già nel 1600 si verificò in Trentino un evento molto impor-tante e foriero di conseguenze determinanti anche nei se-coli successivi: la “piccola glaciazione”. Un forte calo della temperatura provocò l’abbassamento del limite inferiore dei ghiacciai e delle nevi perenni con la perdita di pascoli e terreni in zone alpine precedentemente abitate. Questo comportò una sorta di emigrazione interna con una mag-gior concentrazione ed esubero di popolazione nelle zone sottostanti, dove già gli abitanti vivevano grazie ad un’agri-coltura ai limiti della sussistenza. Un’ulteriore, inevitabile conseguenza fu a questo punto l’incremento della già diffu-sa emigrazione periodica e stagionale dalle vallate trentine secondo una ormai consolidata tradizione che privilegiava precisi percorsi e occupazioni. Dalla val di Ledro segantini e facchini si muovevano in direzione di Venezia; dalle val-li di Fiemme e Fassa i carpentieri raggiungevano Bolzano; dalla val Rendena artigiani con diverse abilità professionali si recavano a Mantova; per i giornalieri agricoli della val di Gresta la meta era il veronese e i taglialegna del Primiero cercavano lavoro nel bellunese.

Non dobbiamo dimenticare che la particolare conformazio-ne geomorfologica del Trentino lasciava ben poco spazio allo sfruttamento agricolo dei terreni con il 65% della su-perficie collocata sopra i 1000 metri e solo il 13% nelle aree più agevoli e fertili sotto i 500 metri. Secoli di sfruttamento intensivo del territorio non erano certo rimasti senza conse-guenze, come si evince da questo stralcio di articolo appar-so su “Il Trentino” del 31 marzo 1873: “Le nostre condizioni forestali sono così disperate, che ci vuole una potente ed energica invenzione dello stato e della provincia per met-terci qualche riparo. La orribile devastazione dei boschi non solo ha sconcertato il nostro clima, ma ha talmente corrosi e scompaginati i fianchi delle nostre montagne, che la sab-bia dei torrenti e l’inondazione dei fiumi trovano alimento continuo nelle frane e negli inghiaiamenti, le nostre campa-gne e i nostri villaggi sono minacciati da continui pericoli, i nostri comuni e i nostri possidenti estenuati da incessanti contribuzioni per ripari e lavori d’acque.”Nella seconda metà dell’800 la fine della “piccola glaciazio-ne” comportò un’eccezionale piovosità e un aumento del-la temperatura media con scioglimento dei ghiacci e delle nevi perenni. Le conseguenze, sensibilmente acuite dallo sfruttamento indiscriminato e intensivo del territorio, furo-no smottamenti dei pendii, straripamento di fiumi e torrenti con perdita dei raccolti, e devastazione dei campi, soprat-tutto, ma non solo, in Valsugana. Nel 1882, nel 1885 e nel 1889 ci furono ben tre rovinose inondazioni.A rendere ancora più disperata la situazione economica del Trentino di quegli anni si aggiunsero contingenze di tipo poli-tico, la moria del baco da seta che ne dimezzò la produzione e alcune malattie della vite.La riunificazione dell’Italia dopo le guerre risorgimentali ave-va infatti tagliato a suon di dazi e gabelle le consuete op-portunità di sbocchi commerciali e lavorativi verso il sud del Trentino, estremo lembo meridionale dell’impero asburgico.

La pebrina, malattia ereditaria del baco da seta, si diffuse dalla Provenza verso l’Italia settentrionale e il Tirolo italiano a partire dal 1855 e nel 1859 aveva infettato tutti gli alleva-menti di bachi da seta della regione. Diede il colpo di grazia ad un settore già in crisi per mancanza di investimenti e aggiornamenti tecnologici, non più in grado di vincere una concorrenza produttiva e commerciale sempre più agguer-rita. L’Austria rimase infatti ai margini della Rivoluzione industriale che stava trasformando la produzione di merci in Europa e negli Stati Uniti, preferendo ar-roccarsi su posizioni reazionarie ed arre-trate sia in economia che in politica. A risentirne furono soprattutto gli abitanti della valle dell’Adige e della Vallagarina e in particolare le donne, in precedenza occupate in filande e filatoi e in grado fino a quel momento di integrare sensi-bilmente il reddito familiare.È un’ipotesi fondata supporre che la dif-fusione catastrofica delle malattie della vite, peronospora e oidio, sia stata for-temente condizionata dai mutamenti climatici, ovvero la fine della “piccola glaciazione” a cui abbiamo preceden-temente accennato. La peronospora, causata da un fungo, viene infatti favo-rita dal rialzo della temperatura e dalle precipitazioni abbondanti e fu particolar-mente devastante nelle zone di fondoval-le, mentre l’oidio, sempre causato da un fungo e più diffuso nelle zone collinari esposte ed asciutte, viene comunque favorito dalle alte temperature. Pare significativo a questo proposito che negli ultimi anni, caratterizzati da temperature più alte anche nel periodo pri-

maverile e maggiore piovosità, ci sia stata, secondo i dati della Fondazione Mach, una recrudescenza di queste ma-lattie della vite con una maggiore resistenza ai trattamenti e maggiore precocità stagionale nel loro manifestarsi.La pesante crisi economica della seconda metà dell’800 ebbe come conseguenza un incremento mai visto in precedenza dell’emigrazione dal Trentino. Partirono a

migliaia, non solo singoli individui ma intere famiglie e interi villaggi. Partiro-no in modo illegale, aggirando i divieti dell’impero asburgico che a lungo si oppose a questa emorragia di sudditi, e partirono in modo legale, godendo degli incentivi e degli accordi tra l’im-pero e i paesi di destinazione, pur non trovando quasi mai le condizioni eco-nomiche promesse che avevano acce-so le loro speranze e dato la forza di partire.Fu così per gli abitanti della Valsugana, che su carri trainati da buoi affrontaro-no il lungo viaggio verso la Bosnia Er-zegovina, un’altra provincia ai confini dell’impero recentemente conquistata, e che con questa emigrazione incenti-vata dal governo avrebbero dovuto da fedeli e devoti sudditi dell’imperatore fungere da “cuscinetto” rispetto ai mu-sulmani nell’opera di colonizzazione.Fu così anche per i trentini che rag-giunsero il Brasile con la promessa di

fertili e pianeggianti terreni da coltivare, dotati di acco-glienti baracche per ospitarli, e si trovarono a dissodare una foresta ostile e popolata di animali pericolosi e mai nemmeno immaginati. Ma questa è un’altra storia.

di Maria Serena Tait

Cambiamenti climatici ed emigrazione trentina a fine ‘800

Quando alluvioni e malattie delle piante spinsero i nostri nonni a cercare l’AmericaFoto: Stivor, archivio Trentini nel mondo Onlus

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18Immi/Emi

Intervista ai registi Razi Mohebi e Soheila Javaheri

a cura di Alex Scarpa, Chiara Romeo e Teresa Palmieri

Come nasce l’idea di questo film?

Razi: La sceneggiatura viene dall’espe-rienza di vita in Italia.. Da quando sia-mo venuti qui, ovvero dal 2007 sino al 2012, abbiamo vissuto momenti e si-tuazioni… l’idea del film nasce da que-sto modo di vivere, dalla nostra vita.

Soheila: La scelta del titolo risale ad una lettera aperta “Rifugiati politici in Italia. Cittadini del nulla”, da noi scrit-ta nel 2013. Era un momento molto particolare, vivevamo sotto moltissima tensione, soprattutto per la casa: do-vevamo uscire e non sapevamo come. Tutti chiedevano come requisiti l’avere un contratto di lavoro a tempo indeter-minato, una busta paga, eccetera. Cose

CINEMA

per noi infattibili. Ci siamo trovati in un momento in cui era impossibile per noi fare qualsiasi cosa.Ho pensato che l’unica via fosse proprio scrivere una lettera aperta.

Razi: Poi a Torino, mentre giravamo “Af-ghanistan 2014”, abbiamo messo on-line la lettera, indirizzandola a tutte le istituzioni italiane. Abbiamo atteso una risposta ma non abbiamo ricevuto nulla, esattamente come il titolo della lettera. Online è stata tradotta in diverse lingue. In realtà solo dopo tre anni abbiamo scritto la sceneggiatura per il film…Per superare i momenti difficili noi scri-viamo. Scriviamo per scoprire qualcosa, per aprire una nuova finestra tramite la quale vedere e percepire il mondo in modo differente. Così si crea la speran-za per andare avanti. Questa lettera ha creato uno spazio di silenzio, ha fornito la capacità per poter pensare. Ognuno da solo, dov’era, pensava con se stesso. Uno spazio nel quale noi abbiamo trova-to noi stessi, abbiamo pensato con noi stessi. Ci ha dato la possibilità di parlare insieme, di dialogare. In questo titolo cosa c’è? Il nulla. E per comprendere il nulla bisogna capire tre cose: lingua, tempo e luogo. Nel nulla non c’è né tempo né luogo. Tutto ciò che c’è dentro è niente. Questa parola, que-sto titolo, mi ha stimolato a pensare: io sono niente. Per non essere niente, per essere qualco-sa cosa ci vuole? Il niente è per me un inizio, una possibilità.Perché ero diventato niente se una volta ero qualcuno? Cosa mi è successo? Ho perso il mio nome. Non ho più un nome che gli altri possano capire per-ché ancora non sono nato nella lingua. Dove non c’è lingua le persone, le cose non hanno nome, non possiedono iden-tità. Non sono capibili. Se non c’è lingua non c’è nemmeno tempo, non c’è de-finizione. Mi chiedevo, io chi sono? Un profugo? Un immigrato? Un richiedente asilo politico? Oppure un rifugiato? Nes-suna di queste parole mi rappresenta-

va. Ad un certo punto non ero niente. In una società basata sulle leggi tutto ciò che vi rimane fuori è considerato nien-te. Non essendo nato giuridicamente non ho nessun dovere, nessun diritto. Di decreti legge emergenziali che dovreb-bero rappresentare un pezzo di me ve ne sono a migliaia. Ma tra loro non v’è alcuna connessione organica e laddove non esiste una legislazione coerente e strutturata non si esiste, non si è attori sociali, non si esercitano diritti e doveri.Così anche il tempo viene a mancare. Andavo a chiedere lavoro, sette anni fa. Un lavoro qualsiasi. Se non riesco ad ac-cedere all’interno della società mante-nendo un livello medio-alto allora devo partire dal basso. Partire in ogni caso è meglio che restare fermi.Mi hanno detto che mi avrebbero chia-mato, ma sono ancora in attesa. E per quale motivo?Perché siamo collocati fuori dal tempo. Il domani per chi è inquadrato all’interno di una legge organica equivale a 24 ore. È tutto chiaro. Tutti ne comprendono il significato perché c’è una lingua. Noi non siamo posti nel linguaggio, non ne abbiamo uno comune. Il domani per noi potrebbe valere dieci anni o forse una vita intera, perché il tempo per quanto ci riguarda non ha significato. E siamo sprovvisti anche di luogo. Il luogo, dove le persone si incontrano, per parlare, per condividere, noi non ce l’abbiamo. Non esistiamo nella lingua: non avendo nome l’identità ci è tolta, sottratta. Siamo niente. Questo niente è cittadini del nulla. Questo niente rappresenta un punto di partenza per narrarsi, per raccontarsi: come vuoi essere puoi essere. Non come altri vogliono che tu sia. Io non sono un prodotto. Non sono un pomodoro a cui si può assegnare un’ etichetta. Quando scado non scade anche il mio valore. Quando giunge al termine il mio permes-so di soggiorno i miei diritti non possono venir meno. Il mio valore, i miei diritti non scadono. Io sono uomo e i diritti degli esseri umani non scadono assieme alla

scadenza del contratto di casa, o di lavo-ro, o del permesso di soggiorno. Per questo devo raccontarmi. Devo rap-presentarmi con qualunque mezzo e possibilità. Potevo scrivere ed ho scrit-to. Potevo realizzare un film e questo ho fatto.

Per le riprese avete scelto uno staff particolare, tutte persone alle prime esperienze. Come mai avete optato per questa strada?

Razi: Noi avevamo un titolo “cittadini del nulla”. Dovevamo trovare delle persone senza senso, incomprese dalle istituzio-ni. Per le istituzioni, per i datori di lavoro, è necessario un curriculum. Chi non ce l’ha non è niente.Ho cercato e trovato persone intelligenti per fare questo lavoro. Ognuno ha lavo-rato, ha vissuto quel momento per dare il significato che volevano alla loro vita. Noi stranieri siamo emarginati, i giovani sono emarginati, le donne sono emar-ginate. Allora mi sono indirizzato verso questo tipo di persone.

Soheila: Scegliere l’equipe equivale a scegliere gli attori del film. Tutte le per-sone che lavorano sono importantissi-me, tutte. È stato un lavoro in cui tutti hanno messo tutto quello che avevano: la passione, l’energia fisica, i materiali. Un’energia inaudita..Credo che questo stare insieme, con l’équipe, l’energia trasmessa da loro giovani sia stato un dono. Capivo sguar-do per sguardo, attimo per attimo … Ricordo tutte le vostre facce in vari mo-menti, come ci avete accompagnati e come siate stati il viaggio stesso, la stra-da stessa. Purtroppo in Italia non sono solo i rifugiati gli emarginati. Lo sono anche i giovani.C’è però una discontinuità devastante nel-la nostra situazione: non possiamo dare agli altri questa continuità. Si crea passio-ne, energia, si dà il massimo. E poi?

Cinema

18 19Cinema

Cittadinidel nulla

un film di Razi Mohebi e Soheila Javaheri

Regia: Razi MohebiAnno di produzione: 2015Durata: 52'Tipologia: documentarioGenere: socialePaese: ItaliaProduzione: Razi Film House; in collaborazione con Filmwork-TrentoFormato di proiezione: DCP, colore

*IL PREMIO MUTTI-AMM

Il Premio Gianandrea Mutti- AMM, Archivio delle memorie migranti è un Concorso nazionale dedicato ai registi migranti residenti in Italia e ai film sull’immigrazione in Italia.

“Cittadini del nulla” è un film di Razi Mohebi e Soheila Javaheri, re-gisti afghani che vivono a Trento. Il soggetto è risultato vincitore del Premio Gianandrea Mutti- AMM, Archivio delle memorie migranti.Presentato in anteprima il 28 febbraio 2015 alla Cineteca di Bologna all’interno di “Visioni Ita-liane”, e poi al Festival di Vene-zia, "Cittadini del Nulla" racconta la storia di una rifugiata politica afghana appena giunta in Italia (Monira) e degli incontri e delle situazioni con le quali si troverà a confrontarsi.

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Numero speciale in occasione della settimana "Il rifiuto della Terra"Il periodico del Gioco degli Specchi è online www.ilgiocodeglispecchi.org, Seguici su

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Slums of Mumbai, uno dei tanti in cui si ammassano gli sfollati interni.Foto Marco Palladino - www.marcopalladino.net / www.fotobiettivo.it