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ideepermestre Green: il futuro di Porto Marghera mercoledì 7 ottobre 2009

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Green:il

futuro di Porto

Marghera

mercoledì 7 ottobre 2009

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Green: il futuro di Porto Marghera

Fondazione Gianni Pellicani Villa Settembrini, Via Carducci, 32 30171 Mestre-Venezia Telefono e Fax 041 977992 [email protected] www.fondazionegiannipellicani.it Documento a cura di Pierpaolo Favaretto e Giuseppe Saccà. Si ringraziano per la collaborazione Laura D’Aprile (ISPRA), Marina Dragotto (AUDIS) e Carlo Pagan.

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Green: il futuro di Porto Marghera

INDICE PREMESSA .................................................................................................................. 4

GREEN ECONOMY........................................................................................................ 6

IMMAGINARE FUTURO.............................................................................................. 13

IL NODO DELLE BONIFICHE...................................................................................... 16

Guadagnare terra....................................................................................................... 18

Guadagnare tempo..................................................................................................... 22

Il bilancio aggiornato .................................................................................................. 29

Il rapporto tra bonifiche e progetti di sviluppo urbano: un problema italiano e europeo ........ 34

MARGREEN ............................................................................................................... 43

Produzione bioetanolo – Grandi Molini ........................................................................... 44

Green Oil Bioraffineria................................................................................................. 45

METAS - Metadistretto Veneto dell'Ambiente per lo Sviluppo Sostenibile............................. 46

Interuniversity National Consortium "Chemistry for the Environment" (INCA) ..................... 47

Polo Integrato di Fusina - Centrale CDR......................................................................... 48

Centrale ad Idrogeno.................................................................................................. 48

Hydrogen Park-Consorzio Marghera per l'idrogeno .......................................................... 49

Greenwood ............................................................................................................... 51

Green port - Autorità portuale...................................................................................... 51

Venice blue flag – Porto passeggeri a zero emissioni ....................................................... 52

eNave - Energia dalle alghe ......................................................................................... 53

Progetto Vallone Moranzani ......................................................................................... 53

Altri progetti a Porto Marghera ..................................................................................... 54

PORTO MARGHERA ................................................................................................... 62

Un quadro sintetico dell’area........................................................................................ 62

Trasformazioni su diversi Piani ..................................................................................... 65

Aziende ed addetti ..................................................................................................... 67

Produzioni e settori .................................................................................................... 72

Chimicamente instabili ................................................................................................ 73

UN PORTO PER L’ADRIATICO.................................................................................... 78

Traffico merci tra industria e commercio........................................................................ 78

Tonnara Adriatica....................................................................................................... 81

Venezia, terminal crocieristico...................................................................................... 83

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI.................................................................................. 85

SITI UTILI ................................................................................................................ 86

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Green: il futuro di Porto Marghera

PREMESSA di Nicola Pellicani. Green Economy è un’espressione solo di recente entrata a far parte del nostro lessico corrente. Un tempo l’economia verde era riconducibile per lo più ad avventure imprenditoriali di nicchia, oggi la Green Economy rappresenta un punto di partenza irrinunciabile per qualsiasi politica di sviluppo. E’ ormai radicata in tutto il mondo la consapevolezza che ad essere in gioco è la sopravvivenza stessa del pianeta. Barack Obama è diventato il massimo interprete di quella rivoluzione verde che punta a cambiare l’alfabeto dell’economia internazionale. Una sorta di Green Deal Globale, com’è stata definita la scommessa del Presidente degli Stati Uniti. Una necessità per non restare travolti dall’inquinamento che minaccia l’umanità. I pericoli arrivano dalle emissioni di Co2, come dai veleni sepolti sottoterra e sottoacqua. Una minaccia che giunge da ogni direzione: da cielo, terra e acqua di fronte alla quale è impensabile non correre ai ripari. L’appello di Obama all’Onu non lascia spazio ad equivoci: “Il tempo stringe, se non vogliamo lasciare alle generazioni future una catastrofe irreversibile”. Cambiare rotta è dunque una necessità, ma anche una grande opportunità. Non solo un sogno, ma un’occasione unica per migliorare le vite di milioni di persone. I Grandi del mondo possono fare molto, ma non ce la faranno mai se non ci sarà un impegno capillare in questa direzione, nazione per nazione, regione, per regione, città per città. Per questo la Fondazione Gianni Pellicani ha voluto dedicare questo secondo ciclo di Idee per Mestre al tema della Green Economy nel governo della città. Una provocazione, che ha però l’obiettivo di valutare concretamente l’orientamento “Green” dell’economia e della politica veneziana. Partiamo con questa ricerca dettagliata su Porto Marghera prevedendo nei prossimi appuntamenti un focus sulla città in chiave ecologica e uno sull’universo delle nuove professioni. In altre parole la domanda cui cerchiamo di rispondere è: quanto pesa la Green Economy in città? Quali sono gli indicatori di riferimento? Quante le risorse mobilitate? Un ragionamento su Porto Marghera e la Green Economy non può prescindere dal tema delle bonifiche, della riconversione delle aree dismesse di una zona affacciata su un waterfront unico al mondo. Approfondire il tema delle bonifiche, significa affrontare il tema dell’impasse politico e quindi della paralisi amministrativa che ha finora impedito di procedere all’immane opera di riconversione. La frammentarietà e la molteplicità dei soggetti coinvolti nelle bonifiche ha recentemente portato a proporre l’istituzione di un “commissario” con poteri straordinari per la pulizia dei suoli di Porto Marghera, sulla scorta delle esperienze positive che hanno consentito la realizzazione del Passante di Mestre e all’escavo dei canali portuali. La soluzione appare però di difficile applicazione, per mancanza di chiarezza politica sugli obiettivi da conseguire e per la complessità della procedura amministrativa. Di certo bisognerà trovare un sistema per accorciare i tempi di autorizzazione dei progetti di bonifica e rivedere i meccanismi per il risarcimento dei danni ambientali. E’ auspicabile quanto meno l’istituzione di una sede unica per il rilascio delle autorizzazioni. La nostra ricerca ha individuato dieci diversi soggetti pubblici interessati all’esame dei progetti di bonifica. Partendo dall’esperienza di un caso concreto, abbiamo ricostruito i tempi, i vari passaggi e i costi necessari ad un imprenditore tipo per ottenere il rilascio delle autorizzazioni. Una vera Odissea che nel migliore dei casi dura dai 18 ai 24 mesi per la realizzazione di un capannone per ospitare un’azienda meccanica a basso impatto ambientale.

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La riqualificazione delle aree inquinate di Porto Marghera quindi non potrà decollare finché non si scioglie il nodo delle procedure con il Ministero dell’Ambiente, ma a monte si avverte la mancanza di scelte politiche chiare. Non si parte comunque da zero, oggi 361 ettari risultano completamente bonificati. Moltissimo resta da fare, anche se sono in corso di realizzazione progetti di riqualificazione molto ingenti a partire dal Vallone Moranzani che interessa un’area di circa 500 ettari e comporta un investimenti di 477 milioni di euro. Il tema centrale sono quindi le bonifiche. Anche il recupero alla città di un’area strategica come quella della prima zona industriale non decollerà finché non sarà sciolto questo nodo. In tutte le grandi città portuali del mondo le vecchie aree dismesse o non più strategiche diventano eccezionali occasioni di rigenerazione urbana. Quali aree se non quelle comprese tra il Vega e i depositi della Raffineria, possono essere destinate a questo scopo, restituendo alla città un pezzo di waterfront che guarda verso la città antica? Ma Green Economy a Porto Marghera non è solo sinonimo di bonifiche. Con MarGreen la ricerca elaborata dalla Fondazione fotografa lo sviluppo di energie alternative e di produzioni ecosostenibili presenti nella zona industriale. Stiamo parlando di progetti per circa mille milioni di euro. Una cifra non trascurabile che comprende una decina d’iniziative, tra cui la centrale ad idrogeno, un progetto unico al mondo, che rappresenta il punto più alto dell’economia verde di Porto Marghera. In cifre la Green Economy è difficile da valutare ma escludendo i costi della bonifica gli investimenti nell’Economia Verde in atto o programmati a Porto Marghera sfiorano il 10% degli investimenti complessivi previsti dal Piano Strategico comunale per tutto il territorio veneziano e mestrino (10.707 milioni di euro). Se aggiungiamo i costi della bonifiche si arriva al 20% . Qualcosa si muove quindi, ma per imprimere una svolta “verde” all’economia di Porto Marghera bisogna fare molto di più. Gran parte dell’area di Porto Marghera deve restare a vocazione industriale, ma per realizzare questo obiettivo bisogna partire dalla pulizia dei suoli inquinati. E stabilire con chiarezza la loro destinazione futura. Finché non sarà risolto questo problema sarà impossibile attrarre nuovi investimenti e far decollare un’area strategica della città metropolitana che ruota attorno a Mestre e Venezia.

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GREEN ECONOMY Ma cos’è la “Green Economy”? Non esiste una definizione soddisfacente di “Economia Verde”; il termine comprende settori come l’efficienza energetica, la produzione e distribuzione di energia rinnovabile, il trasporto sostenibile, la fornitura d’acqua, la depurazione, la gestione dei rifiuti e l’agricoltura sostenibile oltre alle industrie che usano risorse in modo efficiente, grazie a tecnologie “intelligenti”.

Nel deserto del New Mexico, non lontano dal pueblo indiano di Taos, c'è una specie di città nascosta. La chiamano Earthship, «navicella Terra»: un centinaio di case che punteggiano a perdita d'occhio una distesa di arbusti, completamente scollegate dai servizi pubblici eppure energeticamente indipendenti. «Ognuna si produce l'elettricità, raccoglie l'acqua, regola la temperatura e gestisce gli scarichi da sola», racconta fiero Michael Reynolds, l'architetto ambientalista che, da fine anni 70, ha fatto crescere pian piano Earthship nel bel mezzo del nulla. Una sorta di utopico paradigma della sostenibilità, spuntato nel ventre del Paese più energivoro al mondo.

Michael Reynolds, Designer

www.greenhomebuilding.com/earthship.htm Nel 2009, l'America - mille miglia lontana da quel modello – ha voltato idealmente lo sguardo verso Earthship, per incamminarsi, anche solo un po', nella sua direzione. Barack Obama ha detto: «I cambiamenti climatici e la nostra dipendenza dal petrolio d'importazione sono due problemi che, se lasciati ancora senza risposta, continueranno a indebolire la nostra economia e a minacciare la sicurezza nazionale. Tutto questo cambierà. Con la mia presidenza, l'America guiderà la lotta ai cambiamenti climatici, rafforzando la nostra sicurezza e creando in questo modo milioni di nuovi posti di lavoro». Anche la Cina non fa più mistero di temere l'effetto-serra e di scommettere sul ritorno economico delle nuove energie. I

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Paesi del mondo, dopo anni di fallimenti, al vertice di Copenhagen (dicembre 2009) avranno qualche chance in più di raggiungere un accordo sui tagli alle emissioni di CO2. Così Obama nel suo programma di governo: “Dobbiamo raddoppiare la produzione di energie alternative in 3 anni, modernizzare più del 75% degli edifici federali e sostenere l’efficienza energetica di oltre 2 milioni di abitazioni americane. In questo processo metteremo gli americani a fare lavori nuovi, ben pagati e che difficilmente possono essere soppiantati: lavori di costruzione dei pannelli solari, turbine eoliche, automobili ad alimentazione efficiente, tecnologie energetiche che porteranno altro lavoro, più risparmio e –per sovrammercato– un pianeta più pulito e più sicuro.” E ancora: “Ciò significa svecchiare le modalità con cui eroghiamo l’energia elettrica, cominciando a costruire una nuova rete intelligente che faccia risparmiare denaro, protegga le centrali da blackout e attacchi e distribuisca energie pulite e alternative in ogni angolo del paese.” Come dice qualcuno, c'è da "decarbonizzare" l'economia. Per transitare da un mondo dipendente da petrolio, gas e carbone - che all'atto della combustione producono anidride carbonica - a un mondo energeticamente più sostenibile, c'è da fare una vera rivoluzione. C'è da investire pesantemente sulle rinnovabili - sole, vento, maree, calore della Terra - ben sapendo che, col progresso scientifico e le economie di scala, ogni tecnologia sarà sempre più efficiente e meno costosa. «Il fotovoltaico è già abbastanza efficiente da risolvere il problema», ha assicurato Jeremy Leggett, fondatore dell'inglese SolarCentury, al recente vertice climatico di Poznan. «Il silicio si fa dalla sabbia: con un piano coordinato a livello mondiale, potremmo coprire il Pianeta di pannelli solari». C’è una ragione in più oggi, se non bastasse, per operare in tal senso. Si chiama eco bolletta ovvero tassazione dell’anidride carbonica emessa, secondo quanto delineato dalla contrattazione e programmazione dell’accordo di Kyoto. Nell’ambito di tale accordo potrebbe essere presentato all’Italia un conto di 550 milioni di euro per il 2009, che dal 2012 potrebbe salire a 840 milioni1. Secondo i limiti imposti dall’accordo siglato a Bruxelles circa un anno e mezzo fa l’Italia ha la necessità di liberare 230 milioni di tonnellate di anidride carbonica, il limite tuttavia è fissato in 201 milioni. Per poterne liberare in eccesso dovrà acquistare i diritti di emissione da chi rispetta i parametri, ad un prezzo medio di 12-15 euro per tonnellata. A rischio, in Italia ci sarebbe anche il futuro di 86 impianti che non sarebbero più competitivi e a norma rispetto ai parametri definiti. Bisogna persuadersi ad investire nell'infrastruttura verde. Nuove soluzioni per il trasporto di massa. Nuovi edifici sostenibili. E soprattutto una nuova rete elettrica, resa intelligente dai microprocessori, capace di gestire la distribuzione della corrente in modo da compensare le oscillazioni delle rinnovabili (di notte non c'è sole e anche il vento cala). «La soluzione sta in una nuova rete che combini la trasmissione di elettricità da distanze remote, per l'idroelettrico islandese o il futuribile solare del Sahara, con la gestione intelligente delle microproduzioni di energia su scala locale», osserva Antonella Battaglini del Potsdam Institute for Climate Research, inventrice di quest'idea, il Super-smart-grid, che ha già destato le attenzioni di Bruxelles.

1 Sole 24 ore, Economia ed Imprese, 14 agosto 2009

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«Il solare sarà anche economicamente interessante, ma è l'efficienza che offre i ritorni maggiori. Dalle soluzioni che abbiamo adottato per aumentare l'efficienza energetica, abbiamo risparmiato quattro volte più del previsto: 7 milioni di dollari. E abbiamo risparmiato 70 milioni di tonnellate di CO2 all'atmosfera», così assicura Russel Mills della Dow Chemical. Da qui, discende un semplice insegnamento: si può consumare meglio. E riciclare di più. Il riciclo su scala industriale risparmia energia - e quindi anche denaro e CO2 - e dà lavoro a più braccia. Obama assicura che la sua svolta verde produrrà «milioni di posti di lavoro». La sua idea è quella di usare il pacchetto di stimoli all'economia - simile a quello previsto da tutti i Governi occidentali - per cogliere al tempo stesso l'occasione di "decarbonizzare" l'economia americana. A questa schematica roadmap verso l'economia verde o - a voler essere più pomposi - verso una nuova rivoluzione industriale, ci permettiamo di aggiungere un ulteriore passaggio. Perché non cogliere un'altra occasione e ridurre un po' le iniquità del Pianeta? Un trasferimento tecnologico verso i Paesi poveri sarà quasi certamente incluso nel Protocollo di Copenhagen. Ma grandi impianti nel deserto del Sahara, che mietono i fotoni solari e spediscono elettroni verso l'Europa, potrebbero portare ricchezza e occupazione anche a quelle latitudini. Per molti l’economia verde potrà generare un New Deal in grado di contrastare le profonde diseguaglianze riscontrabili a livello mondiale2. In questi dieci anni di dibattito politico sul climate change, la scienza e la tecnologia - sospinte dai capitali privati e dagli incentivi pubblici - hanno già fatto passi da gigante. Per capire il problema, bisogna dare un po' di numeri. Oggi, la concentrazione di CO2 nell'atmosfera è di 385 parti per milione (ppm). Secondo il consenso degli scienziati, non bisogna superare le 450 ppm se vogliamo evitare che la temperatura media cresca di oltre due gradi dall'era pre-industriale (è già salita di 0,7). Ma c'è chi dice che i due gradi sono già inevitabili e che dovremmo puntare a 350 ppm. L'Unione Europea s'è data un obiettivo di medio termine, il 2020, per avere il 20% di rinnovabili, un 20% di efficienza in più e un 20% di emissioni in meno. Ma intanto ci sono Stati membri, come l'Irlanda, che giurano di puntare al 40% di rinnovabili entro 12 anni. Obama proclama un taglio delle emissioni dell'80% entro il 2050. Secondo le stime dell'Agenzia Internazionale per l'Energia, a metà secolo il mondo avrà bisogno di 14,3 milioni di tonnellate di petrolio o equivalenti, contro gli attuali 11,7. La stessa Agenzia chiede ai Governi di investire sulle energie rinnovabili, in nome della sicurezza climatica ed energetica. Danimarca e Germania hanno le imprese leader nell'eolico e nel solare: l'hanno deciso oltre dieci anni fa. Tra le imprese “virtuose” che in questi ultimi mesi sono riuscite a creare nuovi posti di lavoro ci sono soprattutto imprese del settore manifatturiero e nell’economia verde. La Véolia Environnement, impresa francese di riciclaggio, ha l’intenzione di assumere tra 5 mila e 9 mila persone. A questa si aggiunge anche l’irlandese Electricity Supply Board che ha comunicato la creazione di 3 mila e 700 nuovi impieghi grazie all’espansione dei suoi investimenti nel settore delle tecnologie per l’energia pulita.

2 Le monde diplomatique, A quoi pourrait ressembler un véritable “new deal vert”, maggio 2009

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Secondo la relazione “Global Trends in Sustainable Energy Investment 2009″, pubblicata dal programma ambientale delle Nazioni Unite, le società che stanno investendo nel settore delle energie pulite hanno ricevuto investimenti per 155 miliardi di dollari nel 2008. Questo rappresenta un livello quattro volte più alto di quello che avevano ricevuto nel 2004. Nonostante le buone notizie sulla quantità di investimenti globali, la crisi si è fatta sentire anche in questo settore in quanto nella seconda parte del 2008 c’è stata una diminuzione del 17% rispetto alla prima parte dell’anno e del 23% rispetto allo stesso periodo del 2007. Gli investimenti in energie pulite nel 2008 hanno comunque superato quelli del 2007, dimostrando che la crisi non blocca il progresso verde. Secondo quanto diffuso dal WWF, in vista della riunione di Bruxelles del Consiglio europeo (svoltasi il 18-19 giugno 2009), la Green Economy cresce a ritmi sostenuti in Europa. Secondo il nuovo studio “Low Carbon Jobs for Europe”, 3,4 milioni di posti di lavoro creati dallo sviluppo dell’economia verde, in una situazione in cui l’Unione Europea rischia di essere stretta nella morsa di crisi e riscaldamento climatico.

Economia verde: futuro occupazionale?

www.treehugger.com La riorganizzazione del sistema economico e produttivo, in particolare l’emergere prorompente della Green Economy come risposta alle trasformazioni ambientali in atto, sta generando un mutamento sul fronte occupazionale a tutto vantaggio del settore green job. Nell’analisi contenuta nello studio “Green Jobs: Towards decent work in a sustainable, low-carbon world”, appare certo l’aumento di nuovi posti di lavoro verdi sia nei paesi sviluppati che in via di sviluppo. Allo stato attuale, 2 milioni e 300.000 unità trovano impiego nel settore delle rinnovabili che ha grande potenzialità di crescita. E dalla chimica possono giungere soluzioni per la Green Economy? Secondo Federchimica la Green Economy non può prescindere dall’utilizzo dei prodotti chimici. Interventi seri per una reale diminuzione delle emissioni e una gestione efficiente delle risorse

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energetiche devono infatti tener conto dei criteri della Life Cycle Analysis (LCA), che consentano una valutazione complessiva dell’impatto industriale sulle emissioni. Occorre cioè considerare l’intero ciclo di vita dei prodotti, dall’estrazione delle materie prime e dei combustibili, alle emissioni dirette e indirette nella produzione, alla fase di smaltimento (incenerimento, o recupero di calore, o riciclo, o discarica a terra) per valutarne seriamente impatto ambientale.

l’

L’effetto serra

e (ad esempio, per un’automobile è stata considerata una percorrenza totale i 150.000 km).

E’ il criterio utilizzato da ICCA (International Council of Chemical Associations), l’Associazione mondiale dell’Industria chimica, che con la consulenza McKinsey&Company ha realizzato lo studio “Innovare per abbattere le Emissioni di Gas Serra”. La ricerca ha evidenziato come, senza le tecnologie e i prodotti dell’industria chimica, nel 2005 sarebbero state emesse nell’atmosfera 5,2 miliardi di tonnellate (Gt) di gas serra in più, pari all’11% della quantità totale di CO2 emessa. Lo studio riguarda oltre 100 prodotti chimici, divisi in otto categorie di applicazione: trasporto, riscaldamento, edifici, agricoltura, imballaggio, beni di consumo, energia elettrica e illuminazione. Per ciascun prodotto sono stati considerati il ciclo di vita e le emissioni ad esso collegate, valutando le possibili tecnologie alternative e i vantaggi, in termini di riduzione delle emissioni, che l’utilizzo di questi prodotti comporta in altri settori industriali. Le analisi LCA sono state validate da un noto, autorevole e indipendente think-tank come l’ÖkoInstitut, una delle istituzioni indipendenti leader in Europa in ricerca e consulenza ambientale. Le analisi LCA considerate coprono il 70% delle emissioni di CO2 dei prodotti chimici sostituibili. Sono state valutate le caratteristiche dei prodotti nel loro normale ciclo d’uso per evitare sovrastimd Emerge pertanto come l’industria chimica possa contribuire significativamente alla riduzione delle emissioni di gas serra, da una parte perché le tecnologie alternative comporterebbero emissioni maggiori, dall’altra perché tecnologie e prodotti sarebbero utili anche ad altri utilizzatori, amplificando così l’entità delle riduzioni. È stato calcolato che ogni

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tonnellata di CO2 equivalente emesso dall’industria chimica nel 2005 ha permesso di ridurre di 2,6 tonnellate la quantità di gas serra emessi da altre industrie o dagli utilizzatori finali. Quindi, secondo gli studi, una più ampia ed organizzata diffusione di prodotti chimici innovativi

dei prodotti chimici (anziché lternative non chimiche) sono comprese tra 6,9 e 8,5 Gt all’anno. Ciò equivale, per ogni

2,6 tonnellate.

pali canali: izia, 2,4 Gt (conta per il 40% dei risparmi individuati)

aci, 1,6 Gt Illuminazione, 0,7 Gt

vi all’isolamento sono da paragonare con circa 8,6 Gt annue di missioni dagli edifici, considerando che il 14% del totale delle emissioni europee di gas serra

ni di

contro le 3,3 Gt del 2005. questo scenario, le tecnologie dell’industria chimica permetterebbero comunque una

maggiore uso dell’isolamento termico,

a fronte però di una produzione industriale più che raddoppiata. In questo caso, abbattimento globale delle emissioni reso possibile dall’industria chimica è di 16-18,5 Gt di

e emissioni di gas serra nei due scenari è di 4,7 Gt di CO2, una uantità rilevante che conferma l’importante ruolo che l’industria chimica può avere nella de-

dino del sistema elle autorizzazioni che permetta di passare da celle fotovoltaiche tradizionali (i cui maggiori

sarebbe anche un buon modo di favorire una diminuzione della dipendenza energetica. Mentre le emissioni mondiali di gas serra dell’industria chimica ammontano a 3,3 miliardi di tonnellate (Gt) di CO2 equivalente, le emissioni evitate dall’uso atonnellata emessa, ad emissioni evitate per 2,1 – I risparmi derivano da quattro princi- Isolamento termico in edil- Fertilizzanti e fitofarm- - Imballaggio, 0,22 Gt In particolare, i valori relatieproviene dal riscaldamento. Nel 2030, se poco o nulla cambierà, considerando la crescita del volume produttivo, i guadagni di efficienza previsti e l’effetto della delocalizzazione verso paesi meno efficienti, le emissioCO2 legate all’attività produttiva delle industrie chimiche raddoppierebbero: vengono stimate infatti emissioni pari a 6,5 Gt di CO2 (o gas serra equivalenti), Incomplessiva riduzione delle emissioni di 11,3-13,8 Gt di CO2. Nel 2030, se la lotta alle emissioni avrà successo, si prevedono nuove misure di regolamentazione per l’abbattimento delle emissioni, un una migliore efficienza dei sistemi di illuminazione, un maggiore utilizzo delle fonti rinnovabili di energia e sistemi CCS (carbon capture and storage). Le emissioni di CO2 previste sono di circa 5 Gt, cioè il 50% in più rispetto alle emissioni del 2005, l’CO2. La differenza nella riduzione dellqcarbonizzazione dell’economia. In Italia le esperienze e le applicazioni relative alla green economy si vanno moltiplicando. Tra le più recenti il sistema fotovoltaico sperimentato a Ferrara (mille volte più efficace dei pannelli tradizionali). Il sistema cattura tre fasci di luce ed è costruito con nanotecnologie. Attraverso l’energia solare, e con moderati investimenti rispetto ad altri sistemi, sarebbe possibile recuperare energia per il 10% del fabbisogno elettrico nazionale. Tuttavia per il decollo di questa prospettiva servono incentivi pubblici e un riordproduttori sono Germania e Cina) a quelle più efficienti di nuova generazione.

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Sulla vocazione e sulle trasformazioni dell’area di Porto Marghera in questa prospettiva vuole concentrarsi il presente contributo. Nell’ambito veneziano e nella zona industriale di Porto Marghera, si stanno sviluppando da alcuni anni diversi progetti che,

gata determinatezza circa il destino di alcune produzioni industriali, segnano comunque

un’ipoteca sulla trasformazione di un’area strategica e sui progetti in corso.

partendo da un livello sperimentale puntano ad ottenere risultati nella produzione di energia e nel trattamento dei rifiuti, nell’utilizzo di carburanti e di mezzi con minore impatto ambientale. La situazione delle bonifiche, lungi dall’essere ultimate, assieme alla prolunin

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IMMAGINARE FUTURO La zona portuale ed industriale rimane caratterizzata da uno scenario di sviluppo futuro delineato dalle destinazioni d’uso prefigurate fin dalla fine degli anni Novanta. Per circa un decennio le trasformazioni sono state guidate dalla Variante urbanistica per Porto Marghera (VPRG). Lo stato attuale relativo alle svariate proposte progettuali lascia intravedere la possibilità di una ampia zona di ri-collegamento alla città (I zona industriale e la fascia tra via F.lli Bandiera e via Elettricità), la ricerca di cicli produttivi compatibili con l’ambiente circostante, un’attività portuale strategicamente interessata allo sviluppo della crocieristica e dei servizi logistici. In questo contesto si può immaginare, a fronte di progetti ed attività in corso, di collocare azioni e progetti che abbiano come riferimento la cosiddetta Green Economy. L’approccio che si propone intende focalizzare le problematiche connesse ad un più equilibrato sviluppo economico che parta anche, e soprattutto, dalla determinante ambientale: problema delle emissioni inquinanti, delle bonifiche, delle fonti ed energie alternative e alle possibilità offerte dalla “chimica verde”. L’area di Porto Marghera si colloca in un waterfront come pochi al mondo3. La laguna e la città antica entrano quotidianamente in relazione con la zona industriale ed il porto, ancora importanti in senso strategico ed economico. In questa parte della metropoli sono cresciute nel corso del novecento funzioni che hanno accresciuto la loro importanza internazionale.

Il waterfront della Metropoli

Fonte: elaborazione COSES 2009 La zona portuale ed industriale di Porto Marghera e le colmate a sud di essa sono frutto di una intuizione che ancora oggi, a circa cent’anni dalla sua fondazione non cessa di creare dibattito circa la sua attualità e sul suo futuro. Zona industriale e colmate sono divise dalla foce del fiume Brenta, a Fusina. Un’area storicamente strategica dove si continua ad esprimere una pressione progettuale continua e persistente. L’insieme dei progetti di trasformazione in corso di valutazione o di attuazione, che riguardano l’ambito di Porto Marghera sono riassunti nelle parti seguenti. Il quadro evidenzia diverse complessità ma anche una tensione progettuale significativa che testimonia la natura strategica di questa parte di territorio.

3 Vedi Rapporto Fondazione Pellicani, febbraio 2009

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Green: il futuro di Porto Marghera

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Tra i più significativi quelli enumerati sotto ed evidenziati nell’immagine seguente, tratta dal precedente ciclo di incontri organizzato dalla Fondazione Gianni Pellicani (febbraio 2009). PORTO MARGHERA Terminal Fusina Terminal Autostrade del Mare Progetto Integrato Fusina Vallone Moranzani Isola delle Tresse Sviluppo funzione logistica Rilancio funzione portuale commerciale Espansione cantieristica navale PST Vega, insediamenti 1-2-3-4 Area Pili San Giuliano MESTRE Area AEV via Torino Forte Marghera Parco San Giuliano Polo nautico San Giuliano Piano Integrato Campalto Variante Urbanistica Campalto Riqualificazione Passo Campalto Collegamento in gronda tra parco San Giuliano e Campalto TESSERA Linea ferroviaria tracciato AV-AC Collegamento sublagunare con Venezia Master Plan aeroporto Quadrante Tessera Terminal Tessera Progetto Venice Gateway Bosco di Mestre Osservatori naturalistici SILE Museo Archeologico di Altino Parco Regionale fiume Sile Progetto Marina di Portegrandi

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AMBITI E PROGETTI TRA TERRA ED ACQUA, dalle Colmate al Sile

Fonte: elaborazione COSES 2009

ISOLA DELLE TRESSE

PST-VEGA 1-2-3-4

VALLONEMORANZANI

TERMINAL FUSINA

MASTERPLAN AEROPORTO

QUADRANTE TESSERA

RILANCIO PORTO

LOGISTICA

PARCO SAN GIULIANO

FORTE MARGHERA

POLO NAUTICO SAN GIULIANO

TERMINAL TESSERAVENICE GATEWAY

TERMINAL CROCIERE

TERMINAL AUTOSTRADEMARE

DARSENA PAGNAN

MARINA PORTEGRANDI

PARCO DEL SILE

BOSCO DI MESTRE

AREA AEV VIA TORINO

COLLEGAMENTO SUBLAGUNARE

LINEA FERROVIARIA AV-AC

ESPANSIONE CANTIERISTICA

Wat

erfro

nt20

09W

ater

front

200

9

PIANO INTEGRATO CAMPALTOCOLLEGAMENTO

PARCO S.G. - CAMPALTO

MESTRE

MARGHERA

TESSERA

ALTINOPORTEGRANDI

ORIAGO

MALCONTENTA

LOGISTICA

PIF

ProgettiProgetti

PILI

VAR. URB. CAMPALTORIQUAL. PASSO CAMPALTO

OSS. NATURA PUNTA LONGA

MUSEO ARCHEOLOGICO

PARCO LAGUNA NORD

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Green: il futuro di Porto Marghera

IL NODO DELLE BONIFICHE Della storia di Marghera, delle colmate realizzate, degli scarti di produzione ammassati sulla gronda oggi si fa un bilancio. Si tratta di una storia produttiva complessa che ha generato e genera, oltre al lavoro per migliaia di persone, anche esternalità negative. La necessità di sanare tali esternalità ha richiesto interventi legislativi e finanziari ingenti soprattutto a partire dalla fine degli anni Novanta. Bonifiche effettuate, o solo progetti, bloccati dai costi elevati; accordi ed intese si sono susseguiti nell’ultimo decennio a partire da una pianificazione degli interventi piuttosto complessa, che prima di tutto ha dovuto fare i conti con una scarsa conoscenza strutturata del suolo di Marghera e dintorni, della sua storia produttiva. Le procedure di bonifica (i relativi criteri e costi) costituiscono il nodo attuale di tutte le trasformazioni previste nell’area. Ciò non ha impedito una elevata pressione progettuale e nuove iniziative imprenditoriali che, in generale, tendono alla riconversione produttiva, all’utilizzo marginale degli spazi ed alla compravendita di parti dell’area industriale di Marghera. Le aree sottoposte, negli ultimi 15 anni, a diversi progetti di riqualificazione e trasformazione sono riportate nella figura seguente.

Porto Marghera 1994-2006 - Stato delle trasformazioni

Fonte: documenti COSES

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Nello specifico si può così quantificare l’entità delle singole categorie: Aree “critiche” 699,08 ettari Aree consolidate 457,25 ettari Aree in trasformazione 401,72 ettari Aree trasformate 126,80 ettari Aree Standard PRG 110,18 ettari Nella fascia verde visualizzata nella figura precedente, il piano di riqualificazione ambientale, paesaggistica, idraulica e viabilistica dell'area denominata Vallone Moranzani (Malcontenta) prevede la messa in sicurezza dei fanghi scavati dai canali della zona industriale di Marghera.

Ambito territoriale del Master Plan e suddivisione in macroisole

Fonte: Regione Veneto - Progetto Strategico Speciale, 2008 Ai sensi della Legge n. 426/1998, Porto Marghera è considerata tra le "aree industriali e siti ad alto rischio ambientale" di interesse nazionale (S.I.N.). Monitoraggio ambientale, bonifiche e risanamento ambientale, riconversione industriale sono pertanto aspetti che vanno considerati in maniera integrata e sinergica. L’area è dotata di uno strumento di individuazione e di pianificazione degli interventi di risanamento dei suoli e delle falde in un’ottica di sistema, costituito dal Master Plan per la bonifica dei siti inquinati di Porto Marghera4, che

4 approvato nell’aprile 2004 dalla Conferenza di Servizi ex Accordo per la Chimica.

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considera diversi macroambiti con caratteristiche specifiche differenti in relazione alle problematiche di risanamento ambientale: la zona industriale propriamente detta, ossia l’area emersa comprendente in larga parte le aziende firmatarie dell’Accordo per la Chimica; le aree emerse esterne alla zona industriale e le aree lagunari e canali industriali (cfr. figura precedente). La legislazione prevede uno stanziamento di risorse pubbliche, poiché la bonifica dei siti inquinati si pone come questione centrale, sia rispetto alle esigenze di tutela della salute ed ambientale, sia rispetto alle esigenze di valorizzazione del territorio ai fini dello sviluppo. I suoli e la falda sono inevitabilmente segnati dai circa 100 anni di storia produttiva dell'area: un forte vincolo per qualsiasi trasformazione.

Guadagnare terra Il Master Plan stima in circa 1.500 milioni di euro il costo di bonifica delle aree ricomprese all’interno del Sito di Interesse Nazionale di “Venezia – Porto Marghera”. In media, bonificare il terreno costerà 1,3 milioni di euro per ettaro e fino a 5 milioni nelle aree che richiedono interventi più complessi. Gli interventi considerati dal Master Plan riguardano: risanamento ambientale, caratterizzazioni di suolo e sottosuolo, risanamento dei canali industriali tramite opera di dragaggio, bonifica avviata in parallelo alla realizzazione del confinamento e al risanamento dei fondali dei canali industriali, marginamenti per impedire il trasferimento di contaminanti in laguna. Nell’ambito del Master Plan, la bonifica dei canali industriali portuali e la sistemazione delle sponde sono attività a carico del Magistrato delle Acque e dell’Autorità Portuale di Venezia. Gli interventi di marginamento in programma interessano complessivamente circa 70 chilometri di sponde.

Stato di espansione Isola delle Tresse – maggio 2009

Fonte: www.ccpv.it La necessità di escavo dei canali portuali fino a 12 metri di profondità ha ulteriormente mutato lo scenario. Di recente è stato concesso un altro anno di proroga all'attività del Commissario delegato per l'emergenza canali portuali e per il conferimento dei fanghi dragati in appositi siti a seconda del loro stato di contaminazione. Si tratta dello smaltimento di un volume complessivo pari a circa 5.100.000 mc. di tonnellate di fanghi contaminati,

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due terzi dei quali classificati come non pericolosi (smaltiti nella ampliata discarica dell'isola delle Tresse e al Molo dei Sali) (cfr. immagini).

Imbonimenti Can. ind. Nord Molo Sali – maggio 2009

Fonte: www.ccpv.it

Un terzo di questi fanghi, tossici e pericolosi, saranno collocati invece nel Vallone Moranzani a Malcontenta (cfr. pagina seguente). Il 2009 è pertanto un anno cruciale per il completamento del piano di escavo dei canali. Dopo il Malamocco-Marghera, il Piano interessa i canali Ovest e Sud (cfr. figura seguente) e la sistemazione in «sicurezza permanente» di circa 2 milioni di tonnellate di fanghi nel Vallone Moranzani, come prevede l'Accordo di programma firmato da Ministero dell'Ambiente, Magistrato alle Acque, Regione, Provincia e Comune di Venezia, Autorità Portuale di Venezia, Syndial, Veneto Strade, Tema, San Marco Petroli e Consorzio di Bonifica Sinistra Medio Brenta.

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Aree di escavo (canali rossi) e di posa dei fanghi (aree arancio)

nell’ambito di Marghera - 2009 Fonte: www.ccpv.it

Nello specifico, il Progetto Integrato Fusina prevede la predisposizione di aree destinate all'affinamento della qualità delle acque trattate nell'impianto di Fusina. Consente di stoccare definitivamente, al di sotto dell'area umida, circa 3.000.000 di metri cubi di sedimenti provenienti dal dragaggio dei canali portuali. Tale progetto è stato ulteriormente integrato con il progetto di rimodellamento e bonifica del Vallone Moranzani. L’Accordo di programma, denominato “Vallone Moranzani” 5 è stato sottoscritto in data 31.03.2008. Il progetto per il trattamento dei sedimenti di qualità oltre Colonna C/ protocollo 93, dimensionato sul conferimento di 2.500.000 mc, prevede operazioni di pretrattamento (disidratazione dei fanghi non pericolosi ed inertizzazione e detossificazione di quelli pericolosi) e deposito in apposita discarica (Vallone Moranzani) sul sito attualmente occupato da vecchie discariche ed interessato dalle citate linee elettriche ad alta tensione.

5 Accordo di Programma per la riqualificazione ambientale, paesaggistica, idraulica e viabilistica dell’area di Venezia Malcontenta.

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Vallone Moranzani: vista parziale del progetto

Fonte: www.ccpv.it Il Vallone Moranzani è un’area di circa 500 ettari (di cui 200 di nuovi parchi urbani), tra Marghera e Malcontenta, pesantemente degradata per la presenza di discariche tossiche, il pesante traffico di camion, il grave dissesto idrogeologico che mette a rischio di alluvioni un'ampia fetta di territorio ed elettrodotti ad alta tensione di Terna (che saranno interrati). Il costo complessivo all’intervento ammonta a circa 477 milioni di euro, di cui circa 238 milioni per la realizzazione degli impianti di trattamento e di smaltimento dei sedimenti e per gli indispensabili interventi sulle linee elettriche, e ben 239 milioni di euro per la realizzazione di tutti gli altri interventi compensativi. Orizzonte 2016. La proposta “Moranzani” si colloca a valle degli impianti di disidratazione dei fanghi di dragaggio, la cui realizzazione è prevista a cura e spese del Magistrato alle Acque di Venezia nell’area denominata “43 Ettari” (cfr. figura precedente). Nel suo complesso l’area Moranzani ospiterà il parco di Malcontenta (più grande di quello di San Giuliano), con una collina alta fino a 14 metri, con i seguenti obiettivi: • restituzione all’uso pubblico di un’area oggi profondamente degradata sotto l’aspetto ambientale e gravata da servitù di elettrodotto; • realizzazione di una fascia verde che, raccordata con altri interventi sulle aree confinanti a est e a ovest del Vallone Moranzani, separerà la zona industriale di Porto Marghera dal centro abitato di Malcontenta. Oltre a risolvere le problematiche sopra evidenziate, il progetto consente di realizzare tutta una serie di altri interventi di riqualificazione ambientale dell’area di Malcontenta: - interramento degli elettrodotti esistenti, con abbattimento dei fenomeni di elettrosmog; - separazione del traffico pesante di transito dal traffico locale di collegamento fra Malcontenta e Marghera; - realizzazione di un’area di fitodepurazione e allagamento controllato, che contribuirà ad assicurare un corretto assetto idraulico e una completa riqualificazione ambientale dell’area di Marghera – Malcontenta, soggetta a periodici fenomeni di esondazioni. Le aree di allagamento controllato costituiranno, di fatto, un ampliamento del parco che sarà realizzato dalla Provincia di Venezia; - miglioramento della qualità delle acque sollevate all’idrovora Malcontenta e scaricate in Laguna di Venezia attraverso il canale Lusore;

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- realizzazione di un parco lineare da Fusina a Malcontenta, che comprende il sedime della discarica di nuova realizzazione. - realizzazione di un “corridoio ecologico” della lunghezza di circa 4 Km, con funzione di separazione fisica, di tipo naturalistico, della zona industriale di Marghera dal centro abitato di Malcontenta e dagli insediamenti abitativi collocati a sud del Naviglio Brenta; - delocalizzazione del deposito prodotti petroliferi della “San Marco Petroli”.

Guadagnare tempo Appare evidente come la pianificazione e la legislazione che si susseguono dall’inizio degli anni ’90 abbiano impostato un sistema operativo, relativo alle trasformazioni territoriali nell’area di Marghera, che non ha permesso di raggiungere i risultati attesi. Ciò sia in ordine alla quantità di aree che è stato possibile mettere in sicurezza o bonificare fino ad oggi, sia relativamente ai tempi ed ai costi che le complesse procedure di caratterizzazione ed analisi dei suoli, e la stessa valutazione dei progetti di riutilizzo delle aree, hanno richiesto. Le questioni dei tempi e dei costi della bonifica dei terreni appaiono tipicamente centrali per la definizione di un autentico scenario di rigenerazione dell’area di Marghera. Il Master Plan (che ha preso avvio nel 2004) ha fissato il termine di 10 anni per la bonifica delle aree prioritarie e di altri 3-5 anni per il completamento complessivo della bonifica della zona industriale. Nel corso dell’ultimo decennio si sono confrontate metodologie e prassi operative assieme ad approcci legislativi che non hanno contribuito a rendere agevole un’operazione che si presenta tuttora complessa. Prova ne sono i quadri seguenti, nei quali sono rappresentati i soggetti pubblici coinvolti nel procedimento di bonifica in ambito Sito di Interesse Nazionale (SIN) e le procedure che in sequenza debbono essere affrontate da un progetto di trasformazione a Marghera per quanto riguarda la tipologia di intervento pubblico a carattere non sostitutivo. Ovvero, una situazione in cui il pubblico interviene su area di propria pertinenza. A tali procedure che tendono ad assicurare la bonifica dell’area oggetto dell’intervento, debbono essere aggiunte le procedure ordinarie e specifiche della progettazione edilizia ed urbanistica caratteristiche di ogni progetto di trasformazione.

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SOGGETTI PUBBLICI COINVOLTI

NEL PROCEDIMENTO DI BONIFICA IN AMBITO S.I.N.

1. MINISTERO DELL’AMBIENTE - presiede le Conferenze di Servizi, approva i progetti e predispone i decreti; 2. MINISTERO DELLE ATTIVITA’ PRODUTTIVE - partecipa alla predisposizione dei decreti; 3. A.P.A.T. (Agenzia Nazionale per la Protezione dell’Ambiente) - supporta tecnicamente il Ministero dell’Ambiente, partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie; 4. I.S.S. (Istituto Superiore di Sanità) - supporta tecnicamente il Ministero dell’Ambiente, partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie; 5. A.R.P.A.V. (Agenzia Regionale per la Protezione dell’Ambiente) - supporta tecnicamente il Ministero dell’Ambiente, esercita funzioni di controllo, partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie; 6. REGIONE VENETO - presiede la Segreteria Tecnica dell’Accordo di Programma per la Chimica di Porto Marghera, partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie; 7. MAGISTRATO ALLE ACQUE DI VENEZIA - predispone i progetti di marginamento/retromarginamento previsti dal Master Plan; 8. PROVINCIA DI VENEZIA - partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie, esercita funzioni di controllo, certifica l’avvenuta bonifica; 9. U.S.S.L. - contribuisce a definire le modalità di attuazione dei monitoraggi e ne valuta gli esiti in relazione agli aspetti di ordine sanitario; 10. COMUNE DI VENEZIA - partecipa alle Conferenze di Servizi istruttorie, predispone ed attua i piani ed i progetti per le aree attribuite alla sua competenza.

Fonte: Sistema Informativo Ambientale Comune di Venezia, Assessorato Ambiente Il percorso, assai articolato, ha i suoi passaggi essenziali nella progettazione degli interventi, nella caratterizzazione dei suoli (di progetto ed esecutiva), nell’approvazione del progetto e nel suo finanziamento, nell’analisi di rischio sanitario ed ambientale. I singoli passaggi vengono messi al vaglio della Segreteria Tecnica Accordo di programma per la Chimica e della Conferenza dei Servizi. Seguono le procedure di gara per l’esecuzione dei relativi lavori. Alla certificazione della avvenuta bonifica, ed al successivo svincolo delle aree e certificazione urbanistica, viene contestualmente avviata l’attività di monitoraggio post bonifica e relativi controlli ambientali. È evidente come il “guadagnare tempo” si scontri con la complessa serie di adempimenti e di soggetti che molto spesso, pur nella necessità di trovare modalità di lavoro comuni e soluzioni condivise, soffrono della presenza di pesanti procedure e della mancanza di un fattivo coordinamento. LA SOLUZIONE COMMISSARIALE La soluzione “commissariale” utilizzata nella gestione di programmi di realizzazione infrastrutturale nell’area veneziana (Passante ed escavo dei canali portuali) sembra avere generato effetti positivi in ordine al rispetto dei tempi. Tuttavia, va compiuta una riflessione se tale sistema possa essere applicato anche per la gestione di un programma di opere complesso come quello prevedibile per Porto Marghera, finalizzato ad una complessiva riqualificazione e rilancio produttivo dell’area.

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Per quanto concerne la riqualificazione e le prospettive di rilancio di Porto Marghera, il recente Programma Regionale di Sviluppo dispone l’istituzione di una “Autorità speciale” con il compito di presiedere allo svolgimento degli interventi. Quanto enunciato nel Programma Regionale di Sviluppo è stato riaffermato da Enti locali e parti sociali e di categoria nel ‘Protocollo di condivisione delle linee strategiche per la riqualificazione e lo sviluppo di Porto Marghera’ del 30 ottobre 2007, laddove le parti hanno riconosciuto la necessità che venga costituito un apposito organismo per la gestione delle azioni di riconversione di Porto Marghera. Con l’Intesa su Porto Marghera del 14 dicembre 2006, ENI stessa si era peraltro impegnata a partecipare a nuovi strumenti societari destinati a garantire lo sviluppo dell’area. La necessità di guadagnar tempo è quindi una priorità inderogabile. Soffermiamoci su quanto può costare in tempo e denaro ad un imprenditore tipo investire a Porto Marghera. Come abbiamo sottolineato, l’attuale normativa ambientale (D. Lgs. n. 152/06 e s.m.i.) stabilisce tempistiche e modalità di esecuzione delle varie procedure atte all’ottenimento della bonifica di un sito contaminato. In sintesi l’art. 242 prevede la realizzazione della seguente documentazione: - Piano della caratterizzazione; - Analisi del rischio sito specifico; - Progetto di bonifica. Ogni singolo documento deve essere approvato dalla Conferenza dei Servizi che ne giudica il merito e prescrive eventuali integrazioni/modifiche. Inoltre per poter edificare qualsiasi manufatto nell’area della conterminazione lagunare -e quindi in tutta l’area SIN- è necessaria l’autorizzazione della Commissione di Salvaguardia che è competente per la valutazione dei titoli edilizi. UN ESEMPIO CONCRETO: I TEMPI Ecco quali sono i passi e la tempistica che un imprenditore tipo deve affrontare per la realizzazione di un capannone per ospitare un’azienda meccanica a basso impatto ambientale ed anche un’azienda impegnata in attività ad alto valore tecnologico. Mettiamo che il Sig. Mario Rossi acquisti un terreno all’interno dell’area S.I.N. subito dopo la pausa natalizia ossia il 7 gennaio 2009. 12-01-2009 Conferisce l’incarico ad un professionista Architetto od Ingegnere per dare vita ad un generale progetto di riconversione della sua area all’interno della quale intende realizzare un nuovo edificio per svolgere le sue attività. 19-01-2009 Conferisce incarico ad uno specialista, ingegnere Ambientale, che avvia una analisi del terreno al fine di redigere un progetto di caratterizzazione dei suoli secondo quanto previsto dalla vigente normativa. 26-01-2009 Viene avviato e depositato in Comune di Venezia un progetto per la realizzazione di un nuovo edificio. Il Permesso di Costruire inizia il suo iter amministrativo.

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06-04-2009 Il permesso di costruire, dall’ufficio Suap (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune di Venezia (ufficio c/o la Carbonifera), viene inviato per parere di competenza all’Ufficio Ambiente del Comune di Venezia (Campo Manin). 20-04-2009 L’ufficio Ambiente invia al Suap la richiesta di caratterizzazione del suolo secondo la vigente normativa che viene trasmessa alla ditta titolare del Permesso di Costruire. 30-04-2009 Il professionista, appena redatto il “Progetto di Caratterizzazione del Suolo” lo trasmette ai dieci enti competenti in area S.I.N. Si attende la convocazione della Prima Conferenza dei Servizi. 30-07-2009 Prima Conferenza dei Servizi. 24-07-2009 Indagini diagnostiche ai suoli secondo quanto previsto dal Progetto di caratterizzazione approvato in Conferenza dei Servizi. 28-08-2009 - Indagine chimica sui campioni; - Indagine sui campioni “in contraddittorio” con ARPAV; - Relazione tecnica riferita ai risultati trasmessi; 28-08-2009 Invio della relazione e dell’esito dei campionamenti avvenuti agli undici enti presenti in Conferenza dei Servizi. 28-09-2009 Preparazione del Progetto di Bonifica. 07-01-2010 Convocazione della seconda Conferenza dei Servizi. Presa d’atto dei risultati e deliberazione riferita al Progetto di Bonifica. Messa in atto del Progetto di Bonifica. 01-02-2010 L’ufficio Ambiente del Comune di Venezia prende atto dell’avvenuta Bonifica dei suoli ed invia al SUAP il suo parere favorevole alla realizzazione di opere fondazionali che implichino la manomissione dei suoli. 02 -02-2010 Invio del materiale alla Commissione della Salvaguardia per ottenimento del parere favorevole.

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01-04-2010 Il Suap completa l’istruttoria e firma il procedimento conclusivo. 01-05-2010 Il Comune trasmette all’ufficio il provvedimento di “Rilascio il Permesso di Costruire” ed il titolare del permesso, dopo aver pagato gli oneri di urbanizzazione ed i costi di costruzione ritira il titolo edilizio. 02-05-2010 La ditta può formalmente depositare l’inizio dei lavori. 03-05-2010 Cominciano le opere edilizie. Quindi il sig. Mario Rossi potrà iniziare a costruire sul suo terreno dopo 18 mesi dall’acquisto, sempre che nell’iter non nascano intoppi quali il rinvio delle pratiche per errori di forma o sostanza in uno dei molti passaggi previsti, eventualità assai probabile. I tempi quindi lievitano facilmente ad almeno 24 mesi. UN ESEMPIO CONCRETO: I TEMPI Inoltre tutto ciò prevede dei costi si devono affrontare unicamente in area SIN. Ad esempio per la redazione della documentazione richiesta (Piano della Caratterizzazione, Analisi del Rischio, Progetto di Bonifica) a seconda della complessità la spesa sarà di € 70.000 circa (stime prudenziali). Per quanto riguarda l’effettiva bonifica dei terreni (se l’ipotesi progettuale prevede lo smaltimento in discarica): - rifiuto inerte; €/t 40; - rifiuto non pericoloso; €/t 100; - rifiuto pericoloso; €/t 150. Per quanto riguarda la bonifica delle acque nelle aree S.I.N. il Ministero dell’Ambiente chiede la realizzazione del marginamento sul modello di quello in esecuzione dal Magistrato alle Acque o in alternativa il contributo economico per finanziare le opere in esecuzione (costo variabile da 15 a oltre 100 €/mq). Ecco quindi che Porto Marghera pur mantenendo dei fattori oggettivi per attrarre capitali in particolare un’eccellente dotazione infrastrutturale e una localizzazione geografica privilegiata presenta anche delle complessità che spiegano il perché molti imprenditori preferiscano localizzare le loro imprese in altri siti. Oltre alla possibilità che abbiamo paventato per risolvere questa situazione (la soluzione commissariale e/o un’Autorità Speciale) recentemente anche il consiglio comunale di Venezia ha approvato un Ordine del Giorno a prima firma di Carlo Pagan. L’obiettivo è richiedere “una decisa ed immediata azione presso il Ministro dell’Ambiente orientata alla formulazione di un provvedimento di competenza (del Ministro medesimo) che consenta, nel corso dello svolgimento complessivo dell’iter della bonifica, l’immediato utilizzo, anche parziale, delle aree risultate non contaminate per la matrice suolo nell’ambito del processo di caratterizzazione

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dell’area stessa, e consenta altresì all’amministrazione procedente in materia edilizia-urbanistica il legittimo rilascio dei titoli edilizi su base endoprocedimentale”. Se le richieste contenute nell’ODG fossero accolte dal Ministero dell’Ambiente non solo chi acquistasse un terreno in area S.I.N. potrebbe incominciare immediatamente i lavori nelle parti di terreno non inquinate, ma il disbrigo delle pratiche burocratiche sarebbe più veloce per una maggiore autonomia nel rilasciare permessi da parte del Comune di Venezia.

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Fonte: Sistema Informativo Ambientale Comune di Venezia, Assessorato Ambiente

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Il bilancio aggiornato L’intervento sull’inquinamento passato non è sufficiente a garantire il risanamento ambientale di suolo, acque sotterranee, acque e sedimenti lagunari, atmosfera, se non è accompagnato da un insieme di misure che intervengano sulle attuali fonti di inquinamento. Il riferimento è soprattutto alle emissioni in atmosfera, agli scarichi idrici e ad una corretta gestione dei rifiuti industriali prodotti. Le compromissioni ambientali riguardano pertanto, oltre ai suoli, anche acqua ed aria. Il grafico seguente evidenzia, per il solo contributo PM10 – polveri sottili, le fonti di generazione relative in Comune di Venezia. Appare evidente il contributo della componente industriale nel suo complesso e lo stesso contributo dell’attività portuale. Proprio su queste funzioni si deve concentrare lo sforzo di innovazione tecnologica, insito nei criteri della Green Economy, capace di ridurre gli impatti di tali attività al fine di renderle ancor più compatibili con il contesto metropolitano e la sua crescente espansione.

Fonte: Rapporto Annuale Aria Comune di Venezia, Arpav 2007

L’avvio della bonifica a Porto Marghera costituisce pertanto solo uno degli aspetti prioritari nelle strategie di intervento messe a punto. Il Master Plan definisce le tecniche per procedere con gli interventi di messa in sicurezza di emergenza di terreni e falde (compreso il marginamento dei canali industriali) e gli interventi di bonifica. Il 30% della zona industriale appare interessato da progetti di bonifica o messa in sicurezza approvati in via definitiva (e quindi immediatamente eseguibili). Le responsabilità degli interventi di bonifica sono del Comune di Venezia, Provincia di Venezia, Regione Veneto, Magistrato alle Acque, Autorità Portuale, Ministero dell’Ambiente e soggetti privati insediati. Le valutazioni quantitative più recenti indicano per la zona industriale di Porto Marghera6 il seguente quadro di avanzamento: • Superficie interessata da interventi di caratterizzazione/bonifica in itinere: 962 ettari; • Superficie interessata da interventi di messa in sicurezza permanente conclusi (interventi in corso di realizzazione o terminati): 668 ettari;

6 Fonte: Arpav 2006.

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• Superficie interessata da discariche autorizzate: 32 ettari; • Superficie interessata da procedimenti di caratterizzazione/bonifica ancora da attivare: 216 ettari. Rispetto a tale situazione lo stato di aggiornamento delle operazioni di bonifica più recente è rappresentato dalle mappe alle pagine seguenti7. In esse, per l’intero territorio del Sito di Interesse Nazionale di Porto Marghera, è riportata sia la situazione amministrativa dei siti, che lo stato degli interventi - in corso o realizzati - nei siti stessi. Ciò che risulta dalle mappe è il rilevante insieme di piani e progetti, sia di investigazione, caratterizzazione e bonifica, già approvati. Tuttavia risultano ancora limitate le aree con progetto di bonifica o messa in sicurezza realizzati (cfr. figura seguente, colore rosso e viola pieno), riguardanti l’area del parco di San Giuliano, le aree del Vega nel loro insieme (1-2-3), l’isola delle Tresse, parte dell’interporto di Venezia, l’area del Consorzio Darsena nel retroporto dell’isola del porto commerciale e la parte di ingresso alla penisola del Petrolchimico, parte dei 43 ettari. La gran parte di tali realizzazioni riguardano aree dove sono già previsti utilizzi alternativi delle aree o sono già attive aziende che utilizzano le aree stesse per funzionai affini a quella logistica. Fanno eccezione le aree Vega, come noto collegate all’ampliamento dell’area terziaria e direzionale collegata al Parco Scientifico. Più estesa la categoria di aree riguardante i progetti di bonifica approvati, verosimilmente si tratta di circa il 50% degli ettari della zona industriale. Tutta la penisola della chimica, l’ex petrolchimico e l’area operativa del Centro Intermodale Adriatico, le aree delle centrali Enel, l’area del Terminal Rinfuse Marghera sul canale ind. Nord. Si tratta, in generale, di aree che risultano interessate da programmi di deindustrializzazione avviata già da tempo o in corso. Anche in questo caso gli utilizzi alternativi di alcune di queste sono legati all’espansione della funzione logistica legata alla presenza del porto commerciale. La gran parte dell’area industriale risulta significativamente interessata da piani di caratterizzazione e progetti di bonifica. Rispetto allo stato dei procedimenti (cfr. figura seguente) nell’intero Sito di Interesse nazionale di Porto Marghera, a febbraio 2009, sono individuabili:

• 361 ettari con bonifica/messa in sicurezza permanente realizzata; • 695 ettari con procedimento concluso; • 1736 ettari con procedimento in itinere; • 148 ettari con procedimento da attivare.

Più complessa appare una valutazioni dei costi effettivi finora sostenuti nel complesso delle opere, specialmente riguardo agli investimenti riguardanti gli interventi a carico dei privati.

7 Stato dell’aggiornamento alla Conferenza dei Servizi Decisoria del 27 febbraio 2009, fornito da Unità Operativa Piani Ambientali - Comune di Venezia, agosto 2009.

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Sito di Interesse Nazionale Porto Marghera - Situazione amministrativa dei siti Fonte: Comune di Venezia 2009

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Sito di Interesse Nazionale Porto Marghera - Interv nti nei siti

Fonte: Comune di Venezia 2009 Fondazione Gianni Pellicani, ottobre 2009 32

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Sito di Interesse Nazionale Porto Marghera – Stato dei procedimenti Fonte: Comune di Venezia 2009

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Il rapporto tra bonifiche e progetti di sviluppo urbano: un problema italiano e europeo

a cura di

Laura D’Aprile (ISPRA) e Marina Dragotto (AUDIS) Il tema delle bonifiche in relazione alla rigenerazione urbana è sorto anche nel nostro paese a partire dalla metà degli anni ’90, quando la questione della dismissione o della riconversione industriale si è esteso a tutte le città italiane. Tuttavia esso non è stato immediatamente percepito come un “problema” dirimente che potesse ostacolare o addirittura impedire la realizzazione dei progetti di trasformazione urbana e territoriale. Da un lato, infatti, la normativa nazionale era in formazione e le regioni si attenevano, secondo un orientamento di buon senso, ai principi proposti nelle normative dei paesi europei con più grande esperienza in materia di bonifiche (Olanda in testa); dall’altro le città e gli operatori che in esse agivano, erano molto concentrati sulla definizione delle nuove funzioni da collocare nelle aree dismesse, piuttosto che sulle procedure da attuare (anch’esse tutte da inventare). Il clima generale che si respirava in quegli anni nelle città italiane - grazie anche all’innovazione introdotta dall’elezione diretta dei sindaci (energie, progetti e persone molto motivati), ai programmi europei (Urban in primis) e ministeriali (PRU, PRUSST, ecc), destinati a finanziare progetti complessi di rigenerazione urbana - era di grande riscoperta del ruolo e delle potenzialità delle città. E’ in quegli anni, infatti, che Napoli progetta la riconversione di Bagnoli, Torino “le Spine”, Venezia una parte di Porto Marghera e delle aree di archeologia industriale nella città antica, Sesto San Giovanni le aree Falck e Breda. Grandi progetti che prefiguravano assetti urbani profondamente trasformati, nuovi servizi, nuove residenze, nuovi posti di lavoro che accompagnavano il passaggio anche dell’economia italiana dall’industria ai servizi. In questo sforzo generale di trasformare la drammatica crisi industriale in corso in un’opportunità per le città, il problema delle bonifiche è stato sottovalutato e l’introduzione di una normativa nazionale (DM 471/99 poi evoluto nel Dlgs 52/06) forse troppo rigida ha avuto un impatto durissimo sulle procedure di trasformazione già avviate. Alla difficoltà di ricalibrare i progetti in base alle esigenze di una normativa sulle bonifiche cambiata in corsa, si sono aggiunti, come è ovvio, tutti i problemi di interpretazione, di ruolo e di assunzione delle responsabilità che i diversi enti coinvolti hanno dovuto maturare, in una situazione in cui mancava personale competente e esperienza pratica. Oggi, nonostante una continua evoluzione della normativa e la maggiore esperienza sviluppata in campo pubblico e privato, molte aree sono ancora bloccate per due ordini di ragioni (compresenti o alternative): - progetti sbagliati nella previsione di funzioni o usi del suolo (scavi) non adeguati al tipo di

contaminazione presente; - errori nella valutazione preliminare delle difficoltà tecniche, dei costi (diretti e indiretti) e

dei tempi.

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Green: il futuro di Porto Marghera

Per cercare di valutare le responsabilità di questo stato delle cose AUDIS – Associazione Aree Urbane Dismesse – ha svolto una ricerca sostenuta da BagnoliFutura spa8 che ha messo a confronto da un lato la legislazione italiana con quella di nove paesi europei (Austria, Belgio, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Regno Unito, Spagna, Svezia), arricchita dalla presentazione di alcuni casi-studio e dall’altro sei casi-studio italiani di rigenerazione di aree industriali contaminate (Bagnoli a Napoli, la Spina 4 a Torino, la Fiera di Rho-Pero, il Vega a Venezia, l’area Breda a Sesto San Giovanni e l’area Buzzi a Piacenza). La ricerca è in corso di chiusura e anticipiamo qui, per gentile concessione della BagnoliFutura spa, alcune valutazioni.

Planovolumetrico del Pue di Coroglio-Bagnoli, ex Eternit e Italsider

Alcune considerazioni sulla normativa europea e il raffronto con la normativa italiana La direttiva europea per la gestione dei siti contaminati La gestione dei siti contaminati rappresenta ancora oggi uno dei maggiori problemi ambientali per i paesi europei. Recenti dati della European Environmental Agency (EEA) mostrano come la contaminazione del suolo derivante da attività industriali, stoccaggio di rifiuti, attività minerarie, perdite da serbatoi e linee di trasporto degli idrocarburi, rappresenti una delle più importanti minacce. E’ riconosciuto da tutti i paesi membri che la presenza di sostanze potenzialmente pericolose nel suolo, sottosuolo, nei sedimenti e nelle acque sotterranee può portare ad effetti negativi sulla salute dell’uomo e sugli ecosistemi. La rilevanza del problema nelle normative comunitarie si è concretizzata prima nella Strategia Tematica sul Suolo (Soil Thematic Strategy) e poi nella recente proposta di Direttiva Europea

8 Confronto e studio di casi di bonifica in aree inquinate da recuperare in Italia e Europa, Ricerca coordinata da Marina Dragotto (AUDIS). Collaborazioni: per la parte urbanistica: Carmela Gargiulo, Universitò Federico II di Napoli; per la parte di legislazione e casistica europea: Laura D’Aprile, responsabile Settore Siti contaminati, Servizio Interdipartimentale per le Emergenze Ambientali dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale; per la parte di analisi delle bonifiche dei siti italiani: Marcello Carboni, Elisa Condini e Paola Goria, Claudio Sandrone del Gruppo TRS.

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sul Suolo (Soil Framework Directive), attualmente in discussione, nella quale uno dei temi più importanti e controversi è proprio la contaminazione del suolo. Nell’ambito del 6th EU Environmental Action Programme, che descrive le politiche ambientali della Commissione per il periodo 2006-2011, sono state stabilite sette strategie tematiche, incluse quelle inerenti la qualità dell’aria, l’ambiente marino, i pesticidi e il suolo. La Commissione si era già occupata di molti di questi temi: fa eccezione quello del suolo. Infatti, se la normativa comunitaria esistente interviene in molti aspetti inerenti la protezione del suolo, la Strategia Tematica sul Suolo (EC, 2006a) interviene su alcuni ambiti che risultavano totalmente o parzialmente non coperti dalla normativa comunitaria vigente quali: contaminazione del suolo, frane, desertificazione, biodiversità del suolo, perdita di sostanza organica (vedi tabella 1 dove queste voci sono vuote o quasi). Tali ambiti vengono inclusi tra le sette minacce principali identificate dalla Commissione: contaminazione, erosione, perdita di sostanza organica, compattazione, salinizzazione, impermeabilizzazione del suolo e frane. I quattro obiettivi della politica europea sul suolo possono essere così sintetizzati:

1. incrementare la consapevolezza della necessità di proteggere il suolo;

2. intensificare la ricerca sul suolo;

3. integrare la protezione del suolo nella formulazione e nell’implementazione delle politiche nazionali e comunitarie in tema di agricoltura, sviluppo regionale, trasporti e ricerca;

4. mettere in atto una legislazione quadro per la protezione e l’uso sostenibile del suolo.

Allo scopo di rispondere a questi obiettivi, la Commissione Europea ha proposto nel mese di settembre 2006 una Direttiva Quadro sul Suolo (Soil Framework Directive, SFD). La proposta di SFD non detta norme comuni per il suolo, ma stabilisce un quadro per la protezione del suolo con lo scopo di mantenere la capacità di assolvere alle proprie funzioni ecologiche, economiche, sociali e culturali. In particolare richiede che gli Stati Membri adottino misure per la riduzione delle sette minacce principali del suolo identificate dalla Commissione. Si richiede inoltre di includere la protezione del suolo nelle politiche di settore, riempiendo i vuoti esistenti nella normativa comunitaria (tabella seguente).

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Tabella - Normativa europea e principali tematiche legate alla protezione del suolo

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Politica Agricola Comune (PAC): misure ambientali in campo agricolo e di sviluppo rurale

X X X X X

Direttiva Quadro Acque: piani per la gestione dei bacini fluviali, delle acque sotterranee

X X

Legislazione sui nitrati, pesticidi ed inquinamento dell’aria

X X

Direttiva alluvioni X X X

Legislazione sui rifiuti: applicazioni utili, riduzione del conferimento in discarica, rifiuti biodegradabili

X X

Fonte: ISPRA 2009

Dopo il voto negativo del Parlamento nel dicembre 2007, la definizione della Direttiva Quadro sul Suolo sta seguendo un percorso molto controverso che vede sostanzialmente gli stati membri schierati su due diverse posizioni. Da una parte Francia, Regno Unito, Austria, Olanda, Germania e Lussemburgo propendono per un testo poco definito negli obblighi e negli obiettivi perseguiti dalla proposta, che lasci ampi margini di discrezionalità nella definizione delle strategie di gestione dei siti contaminati, invocando una stretta applicazione del principio di sussidiarietà. Dall’altra, gli altri 22 Stati Membri (tra cui l’Italia) auspicano una approvazione in tempi brevi della direttiva, allo scopo di dare consistenza alle politiche nazionali. La Francia, che ha avuto la presidenza del Consiglio dell’Unione Europea nella seconda metà del 2008, ha presentato in tal senso un testo che mirava a sostituire completamente la proposta già elaborata dalla precedente presidenza portoghese e che era stata ampiamente condivisa negli elementi tecnici discussi in riunioni ad hoc, da numerosi altri Stati Membri (in particolare Italia, Spagna, Danimarca, Romania, Portogallo, Grecia, Belgio), che hanno mosso decise critiche alla proposta francese. A fronte di tali critiche, la presidenza francese, pur ribadendo la validità delle strategie proposte nella bozza da lei presentata, ha elaborato un nuovo testo che è stato inviato alle rappresentanze e che è stato discusso dal Gruppo Ambiente, con un nulla di fatto, alla fine della presidenza francese (dicembre 2008).

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Nel 2009 la presidenza della Repubblica Ceca non è riuscita, come invece si sperava, a dirimere la questione e ora la presidenza svedese non l’ha nemmeno messa in agenda. Bisognerà attendere il gennaio del 2010 per capire se la Spagna riporterà il tema nel vivo del dibattito comunitario. Il confronto tra le leggi europee La ricerca ha rilevato che le diverse legislazioni dei paesi europei si distinguono per alcuni aspetti fondamentali: - i criteri utilizzati per la definizione degli interventi e delle priorità (valori tabellari, valori di

screening, analisi di rischio9); - la presenza/assenza di una programmazione nazionale di interventi di bonifica; - le istituzioni coinvolte nei processi di analisi, programmazione e controllo; - la presenza o meno di finanziamenti statali; - le modalità di applicazione dell’analisi di rischio.

I limiti e i vantaggi delle diverse procedure europee confrontate con l’impostazione italiana possono essere così riassunti: - Il Dlgs 152/06, consentendo un più largo ricorso all’analisi di rischio sito-

specifica sicuramente avvicina l’approccio italiano a quello già utilizzato da numerosi paesi europei (derivazione di obiettivi di bonifica attraverso l’analisi di rischio). Occorre tuttavia rilevare come, in Italia, la valutazione del rischio è mirata

9 L’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (ISPRA) fornisce le seguenti definizioni:

Valori tabellari: valori di concentrazione per le sostanze inquinanti nel suolo, sottosuolo e acque sotterranee che

costituiscono limiti oltre i quali sono necessari interventi di bonifica.

Valori di screening: valori di concentrazione per le sostanze inquinanti nel suolo, sottosuolo e acque sotterranee che

costituiscono soglie di attenzione oltre le quali sono necessari ulteriori approfondimenti di indagine o l'elaborazione di

analisi di rischio sito-specifica per la definizione di veri e propri valori di intervento (obiettivi di bonifica). Nella

legislazione italiana vigente i valori di screening sono costituiti dalle CSC (Concentrazioni Soglia di Contaminazione), i

valori di intervento sono invece costituiti dalle CSR (Concentrazioni Soglia di Rischio).

Analisi di Rischio: la Valutazione del Rischio è stata definita in modi diversi da molti autori che hanno affrontato la

materia (Rowe, 1977; NRC, 1983; OTA, 1993; US EPA, 1984; Bowles et al., 1987; Asante-Duah, 1990); in termini

estremamente tecnici il Risk Assessment viene definito come "processo sistematico per la stima di tutti i fattori di

rischio significativi che intervengono in uno scenario di esposizione causato dalla presenza di pericoli". In termini meno

tecnici la Valutazione del Rischio è la stima delle conseguenze sulla salute umana di un evento potenzialmente

dannoso, in termini di probabilità che le stesse conseguenze si verifichino. Il processo di valutazione, per sua natura,

fornisce il grado di importanza dei rischi potenziali esaminati per il caso specifico, da confrontare con una base di

riferimento univoca; tale base di giudizio è il livello di accettabilità/attenzione/necessità di bonifica, fissato in linee

guida stabilite da parte di Enti ed Organismi di programmazione e salvaguardia ambientale, nazionali e/o

internazionali. Lo strumento “Analisi di Rischio” per la valutazione dei siti contaminati, è in uso da alcune decine di anni

ed ha ricevuto un forte impulso negli USA con il Programma Superfund ed in Europa con l'emergere del problema del

risanamento di un numero molto ampio di siti e con l'avvio di programmi di collaborazione internazionale.

La valutazione del rischio, o analisi di rischio, connessa ad un sito inquinato, è al momento una delle procedure più

avanzate per la valutazione del grado di contaminazione di un’area e per la definizione delle priorità e modalità di

intervento nel sito stesso. Il criterio dell’analisi assoluta conduce ad una valutazione del rischio connesso ad un sito, in

termini di verifica delle possibili conseguenze legate alla sua situazione qualitativa e di definizione degli obiettivi di

risanamento vincolati alle condizioni specifiche del singolo sito. Tale valutazione di rischio si effettua, in genere, su siti

che rappresentano un pericolo cronico per l'uomo e/o l’ambiente, stimando un livello di rischio e, conseguentemente,

dei valori limite di concentrazione, determinati in funzione delle caratteristiche della sorgente dell'inquinamento, dei

meccanismi di trasporto e dei bersagli della contaminazione.

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esclusivamente alla salute umana, mentre in altri Paesi (ad esempio Olanda, Spagna, Germania, Svezia) vengono presi in considerazione anche gli effetti eco-tossicologici.

- Rispetto agli approcci risk-based utilizzati negli altri Paesi, quello italiano presenta alcune anomalie. Prima tra tutte l’utilizzo di valori tabellari non derivati, per alcune sostanze, dall’analisi di rischio come valori di screening (Concentrazioni Soglia di Contaminazione, CSC). Tale circostanza porta, in numerosi casi, ad ottenere obiettivi di bonifica sito-specifici (Concentrazioni Soglia di Rischio, CSR) costantemente inferiori alle CSC (è questo, ad esempio, il caso dell’Arsenico per il percorso “ingestione da suolo superficiale”).

- Nella normativa italiana sui siti contaminati è pressoché assente l’aspetto di prevenzione della contaminazione che viene demandato ad altre parti della normativa ambientale. Particolarmente interessante è in questo senso la normativa tedesca sulla protezione del suolo che individua in primo luogo le azioni di prevenzione della contaminazione e le relative soglie e poi definisce un percorso flessibile “step by step” per l’individuazione degli interventi sui casi in cui il fenomeno di contaminazione è avvenuto.

- Laddove la gestione delle attività di bonifica è demandata alle autorità amministrative locali (ad es: Germania con i Länder) possono verificarsi difformità di approccio a parità di condizioni. Il fatto di avere una normativa nazionale garantisce il rispetto di “livelli minimi” di tutela ambientale. In questo senso, nonostante le difficoltà applicative, la normativa italiana presenta il vantaggio di essere applicata su tutto il territorio nazionale.

- Particolare attenzione è rivolta, nella normativa di gran parte dei Paesi Europei, al monitoraggio dei siti che presentano valori di contaminazione non particolarmente rilevanti da necessitare un intervento, ma comunque apprezzabili. L’aspetto del monitoraggio da parte degli Enti di Controllo sui siti potenzialmente contaminati è appena accennato nel Dlgs 152/06.

- Ai fini della corretta individuazione degli obiettivi di bonifica di un suolo, occorrerebbe definire quali funzioni del suolo si intende preservare. Tale aspetto è preso in considerazione nella normativa olandese e svedese.

- Elemento comune della normativa sui siti contaminati di quasi tutti i Paesi Europei è la forte attenzione per l’influenza che la contaminazione del suolo può avere sulle risorse idriche sotterranee: in questo senso il Dlsg 04/08, correttivo del Dlsg 152/06 ha sanato alcune incongruenze tra la normativa sui siti contaminati e quella sulla protezione delle risorse idriche, anche se molto lavoro deve essere ancora fatto in Italia sulla definizione dei Piani di Tutela Regionali previsti dalla Direttiva 2000/60 e sulla definizione dei valori di fondo (background values) per le sostanze di origine geochimica. Tale aspetto è particolarmente rilevante in quanto, nei siti di bonifica, possono verificarsi situazioni in cui i valori di fondo per alcuni metalli (ad es: Fe, Mn) sono più elevati dei valori di CSC o di CSR; in questi casi se il valore di fondo più elevato non viene certificato dagli Enti di Controllo, il soggetto proponente è comunque obbligato ad intervenire.

- Occorre osservare come nei Paesi nei quali la cultura ambientale è più consolidata, anche sotto il profilo sociale, l’approccio di gestione dei siti contaminati è molto più pragmatico e flessibile. I valori di riferimento per il suolo vengono infatti utilizzati congiuntamente ad altre tipologie di valutazioni sito-specifiche quali: analisi costi-benefici ambientali delle opzioni di bonifica a supporto delle decisioni (ad es: Belgio, Inghilterra), analisi di Life Cycle Assessment (LCA) delle tecnologie di bonifica, valutazione degli impatti economici e sociali dei vari tipi di intervento a fronte dell’ipotesi di non intervento. Vengono, ad esempio, applicate restrizioni all’uso del suolo nei casi in cui gli interventi,

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oltre ad essere economicamente poco sostenibili, non porterebbero ad effettivi benefici ambientali. E’ ovvio che questo approccio per poter essere applicato in Italia necessiterebbe prima di tutto di una evoluzione sociale e culturale.

- Nella maggior parte dei Paesi analizzati la selezione degli interventi di bonifica è guidata, oltre che da fattori legati all’applicabilità delle tecnologie, da limiti legati alla tempistica e ai costi degli interventi. E’ comune l’utilizzo di interventi di scavo e smaltimento in discarica in caso di necessità di riutilizzo immediato (a scopo urbanistico/residenziale e/o industriale) delle aree. In questi casi la tempistica degli interventi è fortemente condizionata dagli investimenti previsti e dall’incremento di valore delle aree.

- Dal punto di vista dell’informazione ambientale in tema di siti contaminati, esperienze positive di coinvolgimento della cittadinanza vengono da Belgio, Inghilterra, Finlandia e Spagna. In particolare in Belgio, Inghilterra e Spagna si hanno positive esperienze di coinvolgimento delle popolazioni locali nella progettazione degli interventi di bonifica e di riqualificazione di brownfields, in Finlandia le informazioni sui siti contaminati devono essere rese pubbliche in tutti gli atti di compravendita. Sul tema dell’informazione ambientale in generale, ma, in particolare, sui siti contaminati dobbiamo, purtroppo registrare ancora una volta un ritardo dell’Italia.

In sintesi si deduce che la grande differenza tra l’approccio italiano e quello dei paesi europei considerati, non sta tanto nelle legislazioni specificamente dedicate agli interventi di bonifica ambientale e negli obiettivi di risanamento che queste prevedono (tutti volti a preservare la salute dei cittadini), ma nella gestione e nell’organizzazione dei rapporti tra gli enti. Da un punto di vista procedurale si potrebbe dire che, anche alla luce degli schieramenti che si stanno fronteggiando per la definizione della Direttiva Quadro sul Suolo della UE, la vera differenza corre tra i paesi che, avendo un’organizzazione dello Stato orientata ad un forte decentramento (è certamente il caso dell’Italia) mirano a definire un quadro di riferimento normativo relativamente rigido al quale ricondurre l’azione di tutti gli enti preposti alla programmazione e al controllo e i paesi che, avendo una struttura decisionale e programmatoria molto centralizzata (tra questi certamente Francia e Regno Unito), affidano con maggiore fiducia agli enti preposti una interpretazione elastica delle norme di riferimento. La situazione italiana Dalla ricerca si deduce che la differenza tra le capacità di agire (attuare i progetti di bonifica e riconversione) dell’Italia e quella di altri paesi europei, dunque, non è dovuta tanto alle differenze legislative (che pure ci sono), ma alla gestione delle procedure. Nel nostro Paese, dove il decentramento è particolarmente forte, tutti i soggetti tendono a restare barricati all’interno del proprio ruolo e non si sviluppa, generalmente, una collaborazione attiva che consenta di superare gli ostacoli che, inevitabilmente, si incontrano nella realizzazione di progetti complessi. La numerosità degli enti coinvolti e la capacità di interdizione che ognuno di essi esercita certamente non facilita le cose, lasciando ampio spazio alla discrezionalità che le capacità tecniche e politiche dei soggetti coinvolti sono in grado di esercitare. Pur potendo registrare, nei progetti avviati dopo il 2000, una maggiore consapevolezza e preparazione da parte degli enti pubblici (in termini di procedure) e dei soggetti privati (in termini di programmazione economico-finanziaria) e una maggiore capacità di mettere in relazione la programmazione urbanistica (destinazioni d’uso) e le condizioni reali dei suoli (tempi e costi di bonifica), molti restano i problemi in campo.

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Nuova Fiera di Milano a Rho-Pero – ex Agip Petroli

Le principali aree problematiche rilevate dalla ricerca sono cinque: A. la catena dei rapporti tra gli enti preposti alla guida e al controllo dei progetti di bonifica:

comuni, province, arpa, soprintendenze e ministero non lavorano in modo coordinato tra loro. In questo senso le Conferenze dei Servizi sono da considerare come un’esperienza non soddisfacente nella quale, nella maggior parte dei casi, nessuno prende decisioni vere in quella sede e tutti tendono a spostare la decisione più avanti;

B. più che le complicazioni delle legge, risulta “fatale” l’assenza di un obiettivo politico (recuperare l’uso di quella particolare area) e progettuale (dotarla di definite destinazioni d’uso) condiviso. Nei casi analizzati dalla ricerca, sono risultati vincenti i progetti sui quali si è determinato un forte allineamento degli enti pubblici tra loro e con i privati per trovare la soluzione ai problemi che via via si presentavano (Fiera di Rho-Pero, aree delle Spine a Torino, Greenwinch a Londra, Bilbao, Ghent)

Riconversione delle Spine a Torino ex SNOS, ora centro polifunzionale

C. gli Enti intermedi (province e arpa) non hanno ancora assunto procedure in linea con le

direttive ministeriali e omogenee sul territorio italiano. La mancanza di certezze nelle procedure di collaudo, per esempio, crea notevoli difficoltà che si traducono in pesanti

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ritardi nella realizzazione degli interventi urbanistici e architettonici con gravi rischi per l’equilibrio economico e finanziario del progetto. Si rileva, per altro, una pesante varietà di situazioni da regione a regione e da provincia a provincia a seconda dell’impostazione delle strutture locali e della loro propensione a recepire le indicazioni emanate a livello centrale. A questo proposito si sottolinea che ISPRA ha emesso già nel 2005 un protocollo per definire le procedure di collaudo delle bonifiche, ma molte province l’hanno ignorata, mentre le Regioni non si sono attivate per tramutarle in legge e sono fortemente in ritardo nell’anagrafe dei casi;

D. l’approccio al tema delle bonifiche tenuto dalla maggior parte dei soggetti attuatori (pubblici o privati che siano) crea ostacoli non facili da superare. La necessità di attuare gli interventi ambientali preliminari è vista ancora come una complicazione e un costo che sarebbe meglio evitare. Ciò tende a far sottovalutare il tema con due pesanti conseguenze: - non viene dato il giusto ruolo al tema della bonifica (analisi puntuale) all’interno dei

progetti urbanistici, architettonici e finanziari, con evidenti danni alla tenuta del progetto in corso d’opera;

- non ci si attrezza con strutture tecniche davvero in grado di affrontare tutti gli aspetti analitici e progettuali e le eventuali variazioni in corso d’opera creando con ciò una barriera nei rapporti tra soggetti attuatori (pubblici o privati) con gli enti responsabili della bonifica (Comune, Arpa, Provincia, Regione, Soprintendenza, Ministero) spinti ad accentuare lo spirito di controllo e la diffidenza nei confronti dei soggetti attuatori.

E. i Piani economico-finanziari per la redazione dei quali non si è ancora affermata una prassi che li leghi con la programmazione delle opere fin dalle prime fasi di lavoro. Non sembra esserci ancora una sufficiente e diffusa consapevolezza della relazione che corre tra i tempi burocratici di ogni variazione sul fronte urbanistico e ambientale e la tenuta delle operazioni finanziarie, necessariamente calcolate su tempi rigidi.

Riconversione delle Spine a Torino

ex Fiat Ferriere Piemontesi, ora Environment Park In definitiva sembra di poter dire che la critica ricorrente alla legge italiana vada in parte smontata perché, nel nostro sistema a democrazia diffusa, è difficile pensare a sistemi realmente semplificati in termini di “numero di soggetti coinvolti” e quindi di procedure. Senza bisogno di pensare per l’ennesima volta alla riscrittura della legge nazionale, andrebbe spostata l’attenzione di tutti alla ridefinizione e maggiore strutturazione dei rapporti di collaborazione tra enti pubblici e tra pubblico e privato e condivise le procedure da attuare prima, durante e dopo i progetti di bonifica.

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MARGREEN Il tentativo della presente sezione è di portare al centro del dibattito i diversi progetti a Porto Marghera affini, almeno in parte, alla Green Economy. Tra questi alcuni sono in corso di sviluppo da alcuni anni, altri solo recentemente sono stati proposti e pertanto risultano ad uno stadio iniziale, ma la serie di progetti in campo sottolinea come attualmente a Porto Marghera vi siano tentativi di far entrare principi e pratiche legate alla Green Economy (cfr. figura seguente). I soggetti che sovrintendono ai progetti sono principalmente aziende o enti storicamente presenti nella zona industriale. La stessa Autorità portuale di Venezia ha di recente impostato una politica che tende a sottolineare la necessaria attenzione ad una logica di sostenibilità ambientale. I progetti i cui esiti, nella maggior parte dei casi, sono ancora da definire, possono contribuire a generare un dibattito costruttivo ed un futuro per l’area. I progetti qui presentati in maniera sintetica prevedono investimenti – in parte già impegnati – per circa 880 milioni di euro. Numeri significativi: l’Amministrazione Comunale nel 2005 con lo strumento del Piano Strategico aveva previsto che la città dovesse darsi investimenti per 10.707 milioni di euro comprese alcune grandi opere di infrastrutturazione (bonifiche, passante, ecc.), quindi gli investimenti nell’economia verde che questa ricerca ha fatto emergere pesano per quasi il 10% degli investimenti programmati dal Piano Strategico. Se ai quasi mille milioni qui individuati sommassimo i 1.550 milioni previsti dal Master Plan regionale per i costi delle bonifiche arriviamo a circa il 20%. Inoltre, sono in grado di generare un risparmio nelle emissione di CO2 di 125.000 tonnellate/anno senza intaccare la produzione di energia. I progetti presentati prevedono nel contempo un aumento nella produzione di energia elettrica di un quantitativo di energia pari a quanto oggi serve per il consumo domestico della città antica, secondo stime prudenziali. Va sottolineato come una “riconversione all’economia verde” quindi ad un’economia compatibile con l'ambiente circostante di Marghera è funzionale non solamente alla migliore convivenza nel contesto urbano, ma anche ad una prospettiva di rilancio delle stesse produzioni presenti e a rendere Porto Marghera capace di attirare nuove produzioni e/o servizi. Porto Marghera potrebbe così dispiegare la sua indubbia forza attrattiva, data dalla sua collocazione geografica e dotazione infrastrutturale.

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Progetti “Green” a Porto Marghera

Produzione bioetanolo – Grandi Molini Nella ricerca di soluzioni energetiche alternative per ridurre la dipendenza dal petrolio, la Grandi Molini aveva presentato già nel 2005 un innovativo progetto legato alla produzione di bioetanolo. A Marghera, l’azienda possiede l’impianto molitorio più grande d’Europa; ha tuttavia deciso di investire anche nella produzione di benzina vegetale, ottenuta cioè dai cereali. Il nuovo impianto prevede un investimento di circa 100 milioni di euro e dovrebbe essere realizzato su un’area di circa 2 ettari (ex zona Cereol Italia e Caffaro) di proprietà della Grande Molini con accesso in via dell’Elettricità, vicino agli impianti per la produzione della farina. Sono previsti laboratori, cisterne e impianti di cogenerazione per l’energia elettrica e il vapore necessario in futuro alle produzioni del carburante ecologico. La struttura consentirà di produrre 115 mila tonnellate all’anno di bioetanolo, trattando 350.000 tonnellate di mais o grano10. Nonostante il progetto sia stato proposto nel 2005, lavori per l’impianto di bioetanolo risultano ancora bloccati. L’attuale crisi economica genera un contesto non favorevole per confermare tali investimenti. Il governo non ha ancora emesso i decreti legislativi necessari per tradurre in legge le direttive europee sul biocarburante. L’Unione Europea ha dato mandato alle nazioni di imporre alle aziende petrolifere di cominciare ad inserire gradualmente nei propri carburanti percentuali di bioetanolo sino a raggiungere quota 5,7% nel 2010. I governi europei dovranno inoltre imporre sanzioni alle aziende petrolifere che non rispetteranno gli obblighi sulle quote di carburante ecologico.

10 Da La Nuova Venezia, Bioetanolo, la sfida passa al governo, Venezia, 3 Maggio 2008.

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Modello impianto per la produzione di bioetanolo

Per tali motivi, la Grande Molini, in mancanza dei decreti sul mercato italiano del bioetanolo, non ha iniziato i lavori per il nuovo impianto. Ricordiamo inoltre che, mentre in Italia manca ancora un’apposita normativa, in altri paesi, come ad esempio il Brasile, i biocarburanti sono utilizzati diffusamente fin dal ’75. Questo progetto, viene sottolineato, consentirebbe nella sua applicazione diffusa, l’abbassamento dell’inquinamento atmosferico e il risparmio energetico, nonché la riduzione della dipendenza dall’importazione di petrolio. Esiste tuttavia un vincolo: per i biocarburanti come l’etanolo, sono necessarie agevolazioni fiscali per consentire il decollo del mercato e la competitività iniziale rispetto le benzine. Diffondere il bioetanolo significa quindi ridurre le entrate fiscali provenienti dalle accise sui carburanti tradizionali su cui molti governi fanno affidamento per coprire spese pubbliche di ogni tipo.

Green Oil Bioraffineria “Green Oil” è un progetto che permetterà di produrre a Porto Marghera biocombustibili, additivi e antiossidanti naturali per alimenti, farmaci e integratori alimentari da biomasse che residuano da cicli dell’industria agroalimentare e biotecnologica. Il progetto è stato elaborato da METAS il Metadistretto Veneto dell’Ambiente per lo Sviluppo Sostenibile (cfr. scheda seguente) attraverso la realizzazione di un’A.T.I., un’Associazione Temporanea di 24 imprese venete11 che partecipano attivamente al progetto. “Green Oil” prevede un finanziamento di € 664.000, il 40% proviene da fondi della Regione Veneto a fondo perduto.

Raffineria Eni Porto Marghera

www.eni.it 11 La capofila è il Gruppo Sapio.

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Green: il futuro di Porto Marghera

“Green Oil” si propone come il primo impianto pilota di bioraffineria in Italia. L'operatività è prevista a gennaio 2010 quando inizierà a produrre, a livello preindustriale, biocombustibili o prodotti, finora realizzati solo chimicamente, da biomasse vegetali non più utilizzabili dall’industria agroalimentare e da altre produzioni biotecnologiche. La bioraffineria avrà un impatto ambientale minore rispetto ad una raffineria tradizionale. Attualmente conta su un gruppo di lavoro di sei tecnici specializzati e tre docenti e ricercatori provenienti dalle Università di Padova (Ingegneria chimica), Ca’ Foscari (Scienze Ambientali) e Udine (Scienze Agrarie), un organico che si prevede di ampliare già nel corso dei primi due anni di progetto, ossia nella fase sperimentale. In pratica, dagli scarti delle lavorazioni agricole, come vinacce e sansa di olio d’oliva, dai residui lattiero-caseari fino alle alghe della laguna si potranno ottenere materie prime e seconde di indubbio valore di mercato. Dalle biomasse si realizzeranno prodotti naturali come grassi vegetali che potranno essere utilizzati come biocombustibili in motori a ciclo diesel, opportunamente adattati, o in turbine; additivi biologici quali conservanti e antiossidanti destinati all’industria alimentare o da impiegare nei farmaci e cosmetici; estrazione di lipidi da matrici oleose (sansa di oli) senza l’uso di solventi chimici. Unicamente focalizzandosi sulle possibilità dei biocombustibili, troviamo un mercato che al di là delle fluttuazioni cicliche, è in forte espansione. E in Europa la concorrenza è sempre più agguerrita. Basti pensare all'esempio francese che in poco tempo ha visto un intenso sviluppo nel settore dei biocarburanti a seguito dell''iniziativa governativa "Grenelle de l'environnment" che punta a sviluppare l'"economia verde" in diversi settori compreso quello dell'energia pulita. Anche l'Unione Europea è impegnata ad aumentare l'uso dei biocombustibili: la politica energetica ed ambientale dell'Unione ha assegnato un ruolo significativo ai biocombustibili liquidi, o biocarburanti per il settore dei trasporti, con l'emanazione della Direttiva Europea n° 2003/30/CE dell'8 maggio 2003, che prevede il raggiungimento per ogni stato membro di obiettivi indicativi di sostituzione dei carburanti derivanti dal petrolio con biocarburanti, per una quota pari al 2% nel 2005 e fino al 5,75% nel 2010. L'Italia si è impegnata a raggiungere tali obiettivi con la Legge 11 marzo 2006, n. 81, che obbliga i distributori di carburante - a partire dal 1° luglio 2006 - a immettere sul mercato benzina e gasolio contenenti percentuali crescenti di biocarburanti, fino al 5% nel 2010.

METAS - Metadistretto Veneto dell'Ambiente per lo Sviluppo Sostenibile Il METAS, nato nel gennaio del 2008, raccoglie 24 soggetti12 che direttamente o indirettamente rappresentano 372 imprese da tutto il territorio regionale con 13.000 addetti impiegati, 4 miliardi di fatturato e possessori di 145 brevetti registrati.

12 Gruppo Sapio, Apindustria Venezia, Bluenergycontrol, Centro Studi l'Uomo l'ambiente, Cereal Docks, Consorzio Marghera Nuova, e Ambiente, Ecoprogetto Venezia, Elite Ambiente, Epitech group, Eurecna, Glures, Lacus Engineering, Poweroil, Progeco, S.t.c. Engineering, Seingim Global Service, Sogesca, Soluzioni Integrate, Tecam, Tecnoservice Di Palasgo Ivan e C., Uniconfort, VEGA Parco Scientifico Tecnologico di Venezia, Veniceproject

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Il METAS si fonda su un Patto per lo sviluppo pensato per “essere uno strumento per accompagnare l’evoluzione del sistema distrettuale, orientandolo ai temi e alle sfide poste dalle emergenze ambientali e dalle potenzialità di un sistema produttivo orientato verso principi di sostenibilità”. Il patto prevede le seguenti azioni:

• attivazioni di infrastrutture e di progetti per ricerca e sperimentazione; • implementazione di sistemi proattivi con intenti riparativi rispetto gli aspetti e agli

impatti del modello di sviluppo tradizionale; • realizzazione di strumenti formativi, comunicativi ed educativi orientati ai paradigmi

della sostenibilità integrata.

Il Metas ha interventi programmati per circa 15 milioni e mezzo di euro di cui 6 da fonti di finanziamento regionale, il rimanente dalle imprese aderenti.

Interuniversity National Consortium "Chemistry for the Environment" (INCA) Inca, Consorzio Interuniversitario Chimica per l'Ambiente, nasce nell'ottobre del 1993 da cinque università italiane, tra cui l'università Ca' Foscari di Venezia. L'obiettivo di Inca è generare competenze attraverso la creazione di un network di studiosi della chimica impegnati nel campo della protezione ambientale quindi diffondere principi e aree d’interesse riguardanti la Chimica sostenibile e verde. Oggi Inca ha due sedi di cui una a Porto Marghera nel complesso del Vega e consorzia 31 università per un totale di 80 centri di ricerca. Particolare attenzione è posta nell’interazione con l’industria, incluse le Piccole e Medie Imprese (PMI), per favorire il trasferimento delle conoscenze acquisite dalla ricerca. Gli obiettivi particolari del Consorzio sono: - organizzazione e amministrazione di Laboratori di Ricerca Avanzati, oltre a quelli le cui unità di ricerca operano all’interno di Università e aziende pubbliche e private; - coordinamento e sviluppo di collaborazioni scientifiche tra queste unità di ricerca e gruppi di lavoro delle imprese pubbliche e private nel campo della Chimica sostenibile/verde; - condivisione di strumenti e laboratori necessari a supportare le attività dei dottorati e sviluppo dei programmi collegati; - la promozione, attraverso borse di studio e corsi, dell’educazione e la formazione di esperti nella Chimica verde; - l’esecuzione di consulti scientifici, come organismo indipendente, riguardanti le questioni della Chimica sostenibile/verde, inclusa l’applicazione delle norme dell’UE (eco etichettatura, accertamento dei rischi ambientali, ecc).

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Polo Integrato di Fusina - Centrale CDR Il polo integrato per lo smaltimento dei rifiuti di Fusina da marzo scorso permette alla centrale termoelettrica Andrea Palladio dell'Enel di utilizzare 70.000 tonnellate di combustibile derivato dai rifiuti (CDR) sostituendo il 5% del carbone utilizzato. Il primo caso del genere in Italia e Europa. 70.000 tonnellate di CDR sono sufficienti per rifornire energia elettrica 35.000 famiglie ossia tutta la fornitura annua di Venezia città antica.

Impianto Veritas produzione CDR di Fusina

L'iter che ha portato a tale risultato è iniziato il 19 novembre 1998 con un protocollo d'intesa e un accordo di programma tra Enel, Regione Veneto, Provincia di Venezia, Comune di Venezia e l'azienda Veritas, produttore di CDR. Da parte sua il Ministero dell'Ambiente ha dato il via libera alla realizzazione di una nuova linea di produzione per un investimento di circa 20 milioni di Euro per portare la capacità complessiva dell'impianto a 250.000 tonnellate all'anno di rifiuti dell'area veneziana. I lavori è previsto si concludano entro la fine del 2009. Il CDR fornito da Veritas, il cui stabilimento è attiguo alla centrale, è materiale ricavato dal residuo della raccolta differenziata. L'ottimizzazione nella raccolta dei rifiuti permette un risparmio di oltre 10 milioni di euro per Veritas. Quando l'impianto sarà terminato il Polo integrato di Fusina sarà in grado di contribuire alla riduzione della C02 per circa 125.000 tonnellate/anno fornendo energia da fonti rinnovabili a circa 125.000 abitanti.

Centrale ad Idrogeno Ad agosto 2009 è stato avviato con successo il funzionamento della prima centrale ad idrogeno del mondo, quindi un impianto a “zero emissioni” di taglia industriale. Dopo l'inaugurazione del cantiere, avvenuta nell'aprile 2008, i lavori infrastrutturali e tecnologici sono proceduti secondo i programmi: già nella primavera di quest'anno sono stati effettuati i primi test di funzionamento della turbina utilizzando gas metano, per arrivare all'alimentazione integrale ad idrogeno.

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La centrale a idrogeno di Fusina ha una potenza di 12 MW ai quali se ne aggiungono altri 4 MW generati dall'uso, nell'impianto a carbone esistente, dei gas caldi prodotti dalla turbina alimentata a idrogeno. L'energia complessiva prodotta, pari a circa 60 milioni di chilowattora l'anno, è in grado di soddisfare il fabbisogno di 20.000 famiglie, evitando l'emissione in atmosfera di oltre 17.000 tonnellate di anidride carbonica (CO2). L'idrogeno che alimenta la centrale Enel è prodotto dal cracker di Polimeri Europa (Eni), che lo utilizza per alimentare i propri impianti, in base a un contratto siglato nel 2008.

La Centrale Enel di Fusina

La nuova centrale ha comportato per Enel investimenti per 47 milioni, con un milione di contributo da parte della Regione Veneto. L'impianto si colloca nell'ambito dei progetti di Hydrogen Park (cfr. scheda seguente). Tuttavia, la situazione di incertezza attuale e di stallo produttivo degli impianti chimici a Porto Marghera non permette di utilizzare al meglio tale impianto. Allo stato attuale la centrale viene alimentata a metano per mancanza di forniture da parte della aziende chimiche. Da ricordare che nel 2007 a seguito di un investimento di oltre 800 milioni di euro sono stati effettuati degli interventi che hanno permesso di abbassare le emissioni prodotte in un polo (centrale “Andrea Palladio” e “Giuseppe Volpi”) che impiega 367 persone e produce mediamente 7 miliardi di kWh annui pari al fabbisogno di oltre 2.500.000 famiglie.

Hydrogen Park-Consorzio Marghera per l'idrogeno Per iniziativa di Unindustria Venezia e di un gruppo di aziende del polo chimico di Marghera è nato nel 2003 Hydrogen Park, un consorzio per la sperimentazione delle attività connesse all’utilizzo dell’idrogeno. Il consorzio nasce dalla consapevolezza “che stiamo entrando in un’era in cui la nostra dipendenza dei combustibili fossili inizia ad agire da freno ed ostacolo per l’economia mondiale. L’era del petrolio è al tramonto ed è sempre più evidente la necessità di ricorrere a fonti rinnovabili. Inoltre da anni si parla diffusamente dell’idrogeno come uno dei vettori energetici

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del futuro, capace di abbattere il livello d’inquinamento atmosferico, e allo stesso tempo, di fornire energia per alimentare automobili e industrie. Idrogeno è oggi la parola che più di ogni altra esprime l'idea di futuro sostenibile”13. L’obiettivo è di sviluppare sinergie tra gli aderenti focalizzandosi su tecnologie basate sull’idrogeno per determinare sul medio-lungo periodo condizioni favorevoli per utilizzazioni non limitate al solo sito produttivo di Porto Marghera. Oggi l’Hydrogen Park è composta da nove soggetti14 che hanno avviato progetti capaci di attivare collaborazioni con una ventina di imprese e centri di ricerca.

Inoltre, il 25 marzo 2005 a seguito di un accordo programmatico tra la Regione Veneto e il Ministero dell’Ambiente nell’ambito delle azioni per la riconversione di Porto Marghera, i due soggetti pubblici hanno stanziato 10 milioni di euro, di cui cinque finanziati dal Ministero e i restanti cinque dalla Regione da valere sui fondi dedicato alla Legge Speciale, con l'obiettivo di realizzare progetti di ricerca e sperimentazione sugli utilizzi. Gli obiettivi dell’Hydrogen Park si focalizzano sulle seguenti tematiche applicative:

• stoccaggio; • distribuzione; • utilizzo per applicazioni stazionarie; • utilizzo per il trasporto; • verifica della normativa; • verifica dell’accettabilità pubblica.

In concreto sono in corso o già completati i seguenti progetti:

• sviluppo di cicli “zero emission” a combustione idrogeno. Il progetto vuole creare su un impianto industriale dimostrativo costituito da un ciclo combinato un sistema di combustione per turbine a gas alimentabile ad idrogeno o con miscele idrogeno-metano. I lavori iniziati nel luglio del 2006 è previsto durino 36 mesi per un investimento complessivo di quasi 3 milioni di euro;

• attività sperimentali per l'allestimento di un vaporetto ad idrogeno. L'obiettivo del progetto è installare un impianto a celle a combustibile su un vaporetto di linea così da renderlo ad emissioni zero e ridotta rumorosità. Iniziato nel 2005, per il 2012 è attesa la realizzazione del prototipo e per il 2013 l'entrata in esercizio di una mini flotta composta da 16 imbarcazioni. Un progetto del valore di 12 milioni di euro;

• sistemi innovativi di accumulo dell'idrogeno. La finalità del progetto consiste nello sviluppare tecnologie per l'accumulo di idrogeno con un’elevata capacità di immagazzinamento ed un ridotto consumo. Il progetto iniziato nel novembre del

13 Giancarlo De Lazzari, già presidente di Hydrogen Park 14 Enel produzione, Sapio produzione SRL, Venezia Tecnologie, Vega, Berengo, Ineos Vinylis Italia, Sae impianti, Unindustria Venezia, Arkema.

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2006 per un investimento complessivo di quasi 3 milioni di euro è previsto duri 36 mesi;

• Centro Idrogeno. Recentemente inaugurato è un centro studi e ricerche avanzato sulle tecnologie dell'idrogeno. Il Centro, di proprietà di Veneto Innovazione, costato un milione di euro, ha come obiettivo rendere disponibili competenze e apparecchiature per progetti che mirino a sviluppare tecnologia collegata all'idrogeno così da supportare le varie azioni dello stesso Hydrogen park e non solo;

• sperimentazione all'interno di stabilimenti produttivi di tecnologie di microgenerazione di energia elettrica e calore con celle a combustibile PEM e di mini impianti di rifornimento per mezzi alimentati ad idrogeno. La finalità che accomuna questi progetti è a verifica dei rendimenti energetici utilizzando l'idrogeno come vettore energetico. Iniziato nell'aprile del 2006 con un investimento di 2 milioni e mezzo di euro è in fase di conclusione;

• sviluppo tecnologie innovative di produzione di idrogeno ed elettricità. L'obiettivo è innovare le attuali tecnologie di produzione di idrogeno tramite un'efficiente decarbonizzazione di carbone e biomasse. Iniziato nel marzo del 2006 con un investimento di circa 3 milioni di euro è terminato ed è stato essenziale per la creazione della centrale ad idrogeno;

Greenwood

Greenwood è un marchio da cui deriva una linea ecologica di prodotti con resistenza all’usura maggiore, rispetto ani normali materiali in legno, anche agli organismi marini. Il materiale composto al 70% da legno riciclato e per il 30% da un nuovo polimero, è utilizzato anche a Venezia per la costruzione di bricole, pontili, passarelle per l’acqua alta. Ed è un marchio della Bizeta srl, un’azienda che tra Porto Marghera e Salzano ha 50 dipendenti e nel 2008 ha totalizzato circa 8,5 milioni di fatturato. L’area in cui è insediata a Porto Marghera è in un’area bonificata dal vecchio petrolchimico. Bizeta nacque nel 1968 come officina costruzione per stampi per estrusione.

Green port - Autorità portuale

Nell'ambito del Piano operativo triennale 2008-2011, l'Autorità portuale di Venezia attribuisce un ruolo significativo ad azioni che rendano sostenibile il traffico portuale. Tra le principali azioni:

bilancio ambientale del porto al fine di avere un quadro attendibile dell'impatto delle attività del porto;

realizzazione di una fotogrammetria, ossia uno studio della distribuzione spaziale e temporale del moto ondoso,

studio sui campi elettromagnetici (elettrosmog) e sull'inquinamento acustico; monitoraggio delle emissioni atmosferiche e azioni volte a ridurre lo zolfo nei carburanti

(cfr. progetto Venice blue flag); marginamenti delle banchine di Porto Marghera per impedire la migrazione di

sostanze inquinanti dal terreno verso la laguna e l’ambiente circostante;

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accordo di programma per la gestione dei sedimenti di dragaggio dei canali di grande navigazione e riqualificazione dell'area Malcontenta (cfr. Progetto Vallone Moranzani);

studi di fattibilità per l'applicazione di tecnologie da fonti alternative e rinnovabili e successiva progettazione di impianti fotovoltaici;

valutazione della possibilità di fornire alle navi in porto l'energia elettrica da terra (cold ironing) per ridurre l'utilizzo di generatori ausiliari così da ridurre l'inquinamento dell'aria;

realizzazione di una centrale ad alghe per rendere autosufficiente il Porto di Venezia (cfr. progetto eNave);

realizzazione di un sistema integrato di pianificazione, gestione e controllo delle problematiche connesse all'inquinamento acustico nelle aree urbane in prossimità del Porto (in prosecuzione del progetto Ecoport, studio preliminare già realizzato).

Venice blue flag – Porto passeggeri a zero emissioni Il 27 aprile 2007 è stato sottoscritto tra il Comune di Venezia, la Capitaneria di Porto e l'Autorità Portuale di Venezia da una parte, e le compagnie di navigazione passeggeri e di traghetti passeggeri che fanno scalo nel porto di Venezia dall’altra, un accordo volontario denominato “Venice blue flag” finalizzato alla riduzione dell'inquinamento atmosferico.

L'inquinamento prodotto dal traffico marittimo

Tale accordo ha validità fino a dicembre 2009 ma è verosimile che possa essere esteso anche oltre. L'accordo prevede l'entrata in vigore di alcune norme tecniche per le navi passeggeri, oltre all’attenzione particolare nell'olio combustibile utilizzato. Tali accorgimenti permettono di ridurre l'inquinamento prodotto dal traffico marittimo. Il Venice blue flag è considerato dall'Autorità Portuale come il primo passo concreto per arrivare ad abbattere drasticamente le emissioni prodotte dal traffico portuale, anche commerciale, industriale e petroli.

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eNave - Energia dalle alghe Lo scorso marzo l'Autorità portuale di Venezia ha presentato il progetto per la realizzazione di una centrale ad alghe che potrebbe rendere autosufficiente il Porto di Venezia dal punto di vista energetico compreso la fornitura dell'energia anche per le navi in banchina (l'obiettivo dell’autosufficienza prevede la creazione anche di un parco fotovoltaico). Per la realizzazione del progetto viene costituita la società eNave, partecipata al 51% dall'Autorità Portuale dal 49% da Enalg SrL, società detiene in esclusiva per l'Italia il brevetto internazionale di proprietà di Solena Group Inc. La centrale a partire dal processo di fotosintesi delle microalghe sarà capace di produrre 40 MW di energia elettrica senza produrre inquinamento.

Alghe, cilindri, fotosintesi

La centrale sarà realizzata su un’area di 10 ettari, impiegherà 46 persone e sarà composto da due unità: una per l’allevamento delle microalghe, l’altra per trasformare la biomassa in energia elettrica. Il procedimento prevede che le alghe, selezionate e allevate in laboratorio, vengono trasferite in cilindri di plastica nei quali si immette anidride carbonica e acqua che, insieme all’effetto elettromagnetico dei raggi del sole, provocano la fotosintesi. La biomassa prodotta viene centrifugata ed essiccata per essere trattata da correnti gassose ad elevata temperatura. La miscela di idrogeno e monossido di carbonio così ottenuta costituisce il carburante per alimentare un particolare tipo di turbina prodotta dalla General Electric. Il gas di scarico della turbina (CO2) viene poi immesso un’altra volta nei bioconvertitori per nutrire le microalghe, rendendo la centrale a emissioni zero. Si prevede che ottenute le necessarie autorizzazioni la centrale possa essere realizzata in due anni. L'investimento previsto è di 200 milioni di euro.

Progetto Vallone Moranzani Il Progetto Vallone Moranzani (cfr. figura seguente) utilizza i fanghi dragati in un programma di recupero ambientale ed urbanistico complesso finalizzato a fornire:

• al porto i fondali ritenuti necessari dall'Autorità Portuale di Venezia per il normale funzionamento del porto;

• alla comunità di Marghera e Malcontenta parchi, una viabilità rinnovata e una maggiore sicurezza in un'area recentemente colpita da alluvioni che hanno causato diversi danni.

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L’accordo è stato sottoscritto da 17 enti pubblici e privati tra cui le società Eni, Terna, Enel e San Marco Petroli; coinvolge un’area di 500 ettari situata a Malcontenta, lungo la cinta lagunare nei pressi di Marghera. Prevede la messa in sicurezza permanente di oltre 2 milioni di tonnellate di fanghi inquinanti provenienti dai canali portuali Sud e Ovest. Le discariche di elementi tossici già presenti saranno bonificate. Il costo dell’intera operazione è di 477 milioni di euro: 260 sono già disponibili e derivano da risorse ministeriali, dal Porto, da enti e da privati come Terna e dalle cessioni di aree dell’Eni; il rimanente sarà recuperato dalla tariffa a carico dell’Autorità Portuale per lo stoccaggio dei fanghi. Alla fine del 2008 sono stati rimossi quasi 5 milioni di metri cubi di fanghi per un importo stimato (compresi conferimenti ed oneri per smaltimento) pari a 81,37 milioni di euro.

Progetto complessivo Vallone Moranzani

Fonte: www.ccpv.it

Altri progetti a Porto Marghera Le trasformazioni in corso (od attese), in cui si inseriscono quelle esaminate riferibili alla green economy, compongono il quadro di rilancio dell’area industriale portuale di Marghera permettono di sottolineare l’assetto strategico dell’area. Nella progettazione avviata assume sempre un posto di rilievo la sua riqualificazione ambientale. A partire dal Protocollo di Intesa su Porto Marghera (elaborato dal Gruppo di lavoro tra Regione del Veneto, Provincia di Venezia, Comune di Venezia, Unindustria, Apindustria e le rappresentanze sindacali CGIL, CISL, UIL, 14 dicembre 2006), per giungere al ‘Protocollo di Condivisione delle linee strategiche per la riqualificazione e lo sviluppo di Porto Marghera’ (30

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ottobre 2007), è stata sistematizzata una progettualità legata ad interventi di reindustrializzazione e di recupero di aree dismesse, con il coordinamento della Regione Veneto15. Ciò con l’obiettivo che sia funzionale ad un rilancio dell’area secondo la sua naturale vocazione sia industriale che marittima e logistica. Le aree progetto per il rilancio dell’area portuale industriale proposte erano: alluminio, chimica, cantieristica, nautica e diporto, portualità, piattaforma logistica, applicazioni idrogeno, energie, distretto della conoscenza, riqualificazione ambientale, monitoraggio e gestione delle emergenze, sviluppo immobiliare terziario. Parte degli interventi puntavano ad una maggiore compenetrazione dell’area urbana in quella industriale. In particolare, attraverso i progetti legati al terziario direzionale e ad eventuali ulteriori necessità di insediamento di centri di ricerca o di servizio alle produzioni e funzioni insediate nell’area (completamento delle aree Vega). Proponiamo, sulla base della rilettura delle prospettive indicate dalle richiamate Intese, una rassegna sintetica degli ulteriori progetti, oltre a quelli già citati (cfr. figura seguente).

Progetti e funzioni in prospettiva a Porto Marghera

15 Progetto Strategico Speciale Giunta regionale del Veneto, Programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati - Sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale area industriale di Porto Marghera – Venezia. Documento di Progetto – (Allegato A alla Dgr n. 2358 del 08 agosto 2008).

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Riguardo all’ampliamento delle aree destinate allo sviluppo della cantieristica navale, Fincantieri oggi è uno dei più grandi e diversificati gruppi cantieristici in Europa e nel mondo. La Fincantieri di Marghera occupa circa 3.000 lavoratori, di cui 1.200 dipendenti e 1.800 che operano per ditte in appalto. Lo stabilimento per le sue dimensioni è particolarmente adatto alla costruzione di navi da crociera e cruise-ferry, si estende su una superficie di circa 380.000 mq. Fincantieri per necessità di spazi sta procedendo a ottimizzare la propria area di pertinenza. Si è concretizzata la prospettiva di occupare l’ex area Alutekna. Continua la trattativa per quanto riguarda l’area della Simar, confinante con Fincantieri. Risulta avviata anche l’opzione di utilizzo di parte dell’area ex Immobiliare Veneziana (ex Agrimont Complessi), in via delle Industrie (Vega3). La parte dell’area con affaccio sul canale industriale nord sarà utilizzata da Fincantieri per operare attraverso terze ditte di appalto. Molto probabile un arretramento della banchina stessa in modo da allargare la sezione del canale e permettere l’ormeggio di navi anche di dimensioni più consistenti, consentendo tuttavia al canale di restare transitabile. La difficoltà attuale è quella di recuperare commesse idonee per il medio periodo.

Le alte gru della Fincantieri sullo sfondo

In Darsena Canale Industriale Ovest, su iniziativa di Autorità Portuale di Venezia, sarà avviata la realizzazione di un punto di attracco per imbarcazioni da diporto per 98 posti barca. Al petrolchimico, Syndial possiede una centrale da 80 MW che Ineos vorrebbe trasformare a turbogas e incrementarne la potenza. Le trasformazioni societarie in corso definiranno il futuro di tale progetto. Nella centrale di Marghera Levante (Edison) si produce energia elettrica e vapore. Lo stabilimento occupa una superficie di 98.000 mq, con 77 dipendenti impiegati. L’intervento proposto prevede l’installazione di nuovi bruciatori e di una torre evaporativa per ridurre lo scarico termico nella laguna di Venezia. I nuovi bruciatori permettono la riduzione delle emissioni dei turbogas sostituendo gli attuali bruciatori a iniezione di vapore per l’abbattimento degli ossidi di azoto.

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Un recente progetto dell’Eni prevede il completo rinnovo della Raffineria. La società ha infatti presentato di recente un Master Plan preventivando un investimento di circa 600 milioni di euro; il progetto rientra comunque nel contenuto dell’Accordo per la chimica del dicembre del 2006. L’intervento consentirà anche di rifornire il Nord Est in tempi più rapidi: nella Raffineria di Porto Marghera vengono trattate ogni anno oltre 4 milioni di tonnellate di greggio da cui si ricavano benzina, gasolio, olio combustibile, Gpl, kerosene, zolfo e bitume con il quale viene soddisfatto il 65% del mercato triveneto, con 1.200 punti vendita riforniti. L’Eni punta a completare l’iter autorizzativo entro il 2009; in questo caso i lavori potrebbero essere completati in due anni e la raffineria rinnovata potrebbe essere a regime nel 2012. L’attuale crisi finanziaria potrebbe far slittare gli investimenti. A prescindere dai nuovi investimenti la raffineria potrà operare fino al 2015 infatti la concessione è legata AIA AUTORIZZAZIONE INTEGRATA AMBIENTALE 2010-2014 rilasciata dal Governo centrale che ha già espletato la pratica. Inoltre in base ad un accordo con il Governo siglato e presentato nel 2007 esiste un impegno politico per una permanenza autorizzazione ministeriale fino al 2035. Infine, secondo una recente legge regionale sui depositi costieri, non è più necessaria una autorizzazione per la funzione di stoccaggio.

Progetto Piano Particolareggiato Terminal di Fusina

Fonte: Comune di Venezia Al margine sud dell’area industriale si va concretizzando il Terminal di Fusina per i flussi da/per Venezia, di cui recentemente è stato presentato il Piano Particolareggiato (cfr. figura sopra). L’intervento prevede un parcheggio multipiano per auto (1.600 posti auto) uno scoperto per 400 auto, ed uno a raso per bus turistici (60 posti). L’interscambio avviene nella zona della punta di Fusina, alla foce del Naviglio Brenta. Il Piano Particolareggiato è stato recentemente approvato dalla Giunta comunale dopo che erano passati circa cinque anni da quello precedente, bocciato dal TAR. Il Piano si divide in due sezioni: una riguardante il parcheggio e l’interscambio, un’altra che riguarda la darsena ed il campeggio (circa 52.000 mq). Il costo dell’intervento per il Terminal di Fusina è stimato in circa 40 milioni di euro, con la necessità essenziale di coinvolgere i privati. Gli autobus saranno dirottati verso questo

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terminal una volta realizzato, e non saranno più costretti ad arrivare al Tronchetto. Dovrà essere realizzato pertanto un nuovo collegamento acqueo tra Fusina ed il centro storico. Nell’ambito della prima zona industriale, 200 società e 2.000 addetti sono impiegati nello sviluppo di ricerca, progettazione e servizi. Il Parco Scientifico è già realtà consolidata e al contempo è in fase di crescita. Si pone come cerniera fra tre importanti realtà: Venezia, Marghera, Mestre, e si sta sviluppando con la rivalutazione progressiva del nuovo polo direzionale. VEGA opera nei settori di punta dell’innovazione tecnologica: Nanotecnologie, ICT e Digital Mediale, Ambiente e Sviluppo sostenibile, Beni culturali, Aerospazio, Biotecnologie, Formazione, Servizi avanzati. Le attività di innovazione sono realizzate dal “Sistema VEGA” costituito da società partner o partecipate.

Aree interessate dagli insediamenti VEGA 1-4

Fonte: Comune di Venezia L’Autorità Portuale di Venezia (APV) ha recentemente avviato un processo di elaborazione per un nuovo Piano Regolatore Portuale (PRP), definendo gli indirizzi strategici per lo sviluppo delle aree portuali e il rilancio della portualità veneziana nel Piano Operativo Triennale (2008-2011). Il Piano16 definisce alcuni scenari di riferimento che costituisce i margini di trasformabilità dei luoghi e le prospettive del loro sviluppo: 1. il primo scenario riflette sull’idea di ampliare le superfici da destinare ad attività connesse

al porto in aree immediatamente contermini all’isola portuale; 2. il secondo valuta la possibilità di sviluppare funzioni logistiche nell’ambito di Fusina a

partire dalle opportunità offerte dall’insediamento del terminal dell’Autostrada del Mare;

16 Presentato a marzo 2008. Nel definire gli indirizzi e le linee guida del nuovo Piano Regolatore Portuale del Porto di Venezia- Sezione di Porto Marghera APV ha promosso due approfondimenti tematici: uno studio di carattere prevalentemente urbanistico-insediativo coordinato dal prof. Umberto Trame ed un’analisi sulle questioni economico-trasportistiche curata dal prof. Paolo Feltrin le cui considerazioni e conclusioni costituiscono assunto per la definizione stessa degli indirizzi di Piano.

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3. il terzo scenario prefigura l’individuazione di un’area retro portuale - al di fuori dell’area industriale - al fine di superare buona parte delle condizioni di vincolo insite nel riutilizzo delle aree interne a Porto Marghera.

Sullo sfondo rimane il rapporto con la Zona Industriale di Padova e i progetti sul riutilizzo del sedime idroviario, realizzato e non, per consentire un adeguato e diretto collegamento con le aree portuali di Marghera o con nuovi insediamenti dedicati alla logistica17. I progetti legati alla funzione logistica sono riguardano pertanto:

• riorganizzazione dei terminal portuali; • ottimizzazione nell’utilizzo dei terminal container; • attuazione del progetto Autostrade del Mare – Fusina; • riutilizzo di aree dismesse; • escavo canali portuali a quota di progetto Piano Regolatore Portuale.

Tra questi, il progetto per realizzare una estesa piattaforma logistica, su terreni liberi da impianti industriali di proprietà della Montefibre18. Si tratta di un’area di 35 ettari che si affaccia sul Canale Ovest con una banchina da 1,2 km di lunghezza. Il progetto prevede un investimento complessivo di 250 milioni. A tale area potrebbe aggiungersi quella ancora occupata dalle produzioni (attualmente in crisi), 25 ettari, a cui si aggiungono altri 25 ettari di Syndial su cui è già stato manifestato l’interesse di Autorità portuale. Per un totale di 85 ettari. Per lo sviluppo eventuale del progetto complessivo è opportuno attendere novembre 2009, momento in cui la situazione industriale di Montefibre dovrebbe essere definita. Più a nord, l’intervento di marginamento con rettifica del Molo Sali, in corso di realizzazione, prevede l’imbonimento e bonifica di un'area di circa 95.000 metri quadri sul canale Industriale Nord con materiali di escavo dei canali, offre la prospettiva di ricavare un’ulteriore spazio operativo di banchina, attiguo a terminal già operativi19.

L’area ex Alumix di Fusina

Il 5 giugno 2003 è stato siglato fra Autorità Portuale e Comune di Venezia un Accordo di Programma per l’utilizzo e l’esproprio dell’area ex Alumix di Fusina (36 ettari) al fine di 17 PTRC Regione Veneto e Metadistretto regionale della logistica. 18 Montefibre S.p.A. ha approvato un piano di ristrutturazione e riconversione delle proprie attività industriali. Allo stato attuale il futuro produttivo dell’area è critico con la messa in cassa integrazione dei 290 addetti. Al vaglio una possibile riconversione parziale o totale dell’area a piattaforma logistica, secondo progetti originari di West Docks (2007-2008), fatti propri da Autorità portuale di Venezia.

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destinare la stessa per l’insediamento del traffico delle navi traghetto finalizzato allo sviluppo del traffico di cabotaggio nazionale intracomunitario e in generale dei collegamenti a corto raggio. L’area è stata acquisita da Autorità portuale a dicembre 2008. Ad agosto 2009 è stato pubblicato il bando finalizzato alla trasformazione dell’area20. Le linee guida del progetto di recupero dell’area ex-Alumix a Marghera prevedono la nuova destinazione come polo logistico per le “Autostrade del Mare”. Il progetto prevede il banchinamento dell’area al fine di accogliere due navi commerciali di lunghezza superiore a 200 m e stazza oltre le 50.000 tonnellate. Inoltre, l’area accoglierà un primo nucleo di attività collegate alla logistica e la sua disponibilità consentirebbe di rendere nuovamente disponibili, per altri traffici, aree nell’isola portuale commerciale. Il costo stimato è di circa 22 milioni di Euro e comprende la bonifica dell’area interessata dai lavori di sbancamento ed escavo. Per il settore della crocieristica, la pianificazione di interventi attuale appare “saturare” la capacità di accoglienza di navi. La presenza del terminal crociere in Città Antica implica un grande impatto nelle relazioni tra porto e città. Va ricercato pertanto un equilibrio tra necessità di riorganizzazione (o di ampliamento) di spazi e servizi dedicati alla crocieristica e i vincoli (o i condizionamenti) del contesto urbano e lagunare veneziano. Ma quali saranno la programmazione e la pianificazione degli interventi sul settore crocieristico a Venezia? E’ già all’attenzione degli operatori una soluzione di trasferimento a Marghera di una parte del traffico passeggeri, dedicato alla domanda delle grandi navi (300 m. e oltre). Ciò consentirebbe la destinazione della Marittima per il diportismo e crocieristica d’elite e nuove aree di Marghera per l’accoglienza delle navi di maggiore dimensione.

Un nuovo terminal crociere nelle aree fuori dalla zona industriale (casse di colmata)

Fonte: Vtp, settembre 2009 Quest’ultima ipotesi, da valutare attentamente, è alla base di una recente proposta di Vtp che prende in considerazione la realizzazione di una nuova stazione crociere per navi di grandi dimensioni in terraferma, a Fusina, in Cassa di colmata A. Il terminal usufruirebbe della viabilità che sarà realizzata per il Vallone Moranzani. L'investimento è stimato in circa 100 milioni d'euro di cui 60 per lo scavo, con spazi per ormeggiare navi più lunghe di 300 m. Con 19 Con la legge finanziaria per il 2007 è stata prevista la possibilità di poter smaltire fanghi di dragaggio portuali, purché non pericolosi, anche in apposite casse di colmata in ambiente marino.

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le nuove banchine sarebbe possibile accogliere ulteriori 400 mila passeggeri l'anno con un indotto stimato di ulteriori 200 milioni di Euro. L’area individuata a cavallo tra i Comuni di Venezia e Mira conserverebbe l’originaria denominazione di Bacino Sant’Angelo, dove negli anni sessanta all’interno del progetto per la III zona industriale era prevista una darsena petroli. La Regione Veneto ne ha già prevista l’attuazione all’interno del PTRC (Piano Territoriale Regionale di Coordinamento). Il progetto prevede, oltre all’escavo della zona di sosta e del bacino di manovra, l’ampliamento dell’area di evoluzione. La nuova sponda avrà una lunghezza di almeno 400 metri per una larghezza di 20 e sarà attrezzata per accogliere le navi di ultima generazione. Il progetto prevede inoltre la costruzione di una stazione marittima dotata di tutti i servizi. L’edificio in due piani fuori terra avrà una superficie di circa 5.000 mq per ogni piano. 45.000 mq saranno destinati inoltre al parcheggio. Il progetto si prevede possa essere completato in 14 mesi, escluse le opere di infrastrutturazione ed urbanizzazione.

20 Concessione di lavori pubblici per la progettazione definitiva ed esecutiva, la costruzione e la successiva gestione dell’intervento.

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PORTO MARGHERA

Un quadro sintetico dell’area Questa ultima parte del dossier si pone l’obiettivo di fare una fotografia aggiornata di Porto Marghera. Un’area portuale industriale di circa 2.000 ettari, con circa 14.000 addetti e oltre 700 aziende. Nella quale arrivano circa 5.000 navi all’anno e con alcune di esse oltre 300.000 Teu (Container) all’anno. Nel porto si muovono merci per oltre 30 milioni di tonnellate, i crocieristi superano il milione, e con traghetti e aliscafi punta a superare la quota di 1.800.000 passeggeri per il 200921. A Marghera tra 1965 e 2008 i lavoratori sono calati da 33 mila a 14 mila. La grande impresa (oltre i 500 addetti) scompare e resta memoria (da 15 a 2 unità).

Porto Marghera: contesto territoriale e viabilità di accesso

La parte di waterfront che riguarda Porto Marghera è la più critica, ma anche la più interessante dal punto di vista strategico. Non vanno considerati solo gli aspetti legati alle produzioni chimiche, pur centrali per definire le prospettive di rilancio e di rigenerazione di una larga parte dell’area. Porto Marghera, oggi più di ieri, si delinea come un grande cantiere di trasformazioni urbane sempre più integrato, nella prospettiva, con le parti e le funzioni di Marghera e Mestre. Allo stesso tempo teso a valorizzare la propria dotazione infrastrutturale secondo la definizione di una piattaforma logistica, in corso di definizione, a servizio dell’intera regione. Porto Marghera è transitata attraverso la crescita della funzione petrolchimica dal dopoguerra agli anni ’70 (culmine occupazionale con oltre 30.000 addetti di cui metà nel settore chimico), fino al progressivo declino delle partecipazioni statali nel corso degli anni ’80. La globalizzazione economica e la crescente sensibilità ai temi ambientali, nel corso degli anni ’90, hanno determinato logiche di disimpegno produttivo nell’area, con delocalizzazione di impianti in paesi extraeuropei (cfr. immagini seguenti).

21 Stime Vtp, settembre 2009

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Utilizzo delle aree: Porto Marghera 1974

Fonte: documenti COSES

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Utilizzo delle aree: Porto Marghera 2009

Fonte: documenti COSES Dal confronto tra le due situazioni storiche proposte risulta evidente la contrazione nell’utilizzo di aree per le funzioni industriali, l’espansione della funzione portuale e logistica (che oggi, in prospettiva, potrebbe ulteriormente allargarsi), la presenza di aree dismesse che sono oggetto in ogni caso di progetti di riutilizzo rallentati - nella maggior parte dei casi - dalla complessità delle procedure burocratiche, dai costi e dalle disposizioni in materia di bonifica o da logiche di attesa legate a convenienze immobiliari. La presenza di Porto Marghera, con il suo patrimonio di ettari ed infrastrutture strategiche, si inserisce oggi in un territorio caratterizzato da un forte squilibrio ambientale, abbinato ad un

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evidente degrado paesaggistico, che obbliga ad affrontare con urgenza, serietà e puntualità il tema del rischio industriale. Le sue dimensioni22 sono assolutamente significative: area di industrie e attività commerciali e terziarie ettari 1.447 canali e specchi acquei ettari 343 strade e ferrovia ettari 77 aree demaniali ettari 38 aree di servitù ettari 104 Per un totale di circa 2.000 ettari, ben lungi dall’essere considerabile area “dismessa”. Potrebbe apparire “immobile” nella sua incapacità di trasformarsi radicalmente e complessivamente. Ma Marghera è cambiata e il percorso di trasformazione dell’area continua ancora oggi, misurandosi con le necessità di progettare ed attuare interventi urbanistici in un ambito fortemente compromesso dal punto di vista ambientale e con necessità di bonificare falde e terreni secondo criteri in parte ancora da definire e, comunque, in continua evoluzione. Tra gli interventi di riconversione di maggiore rilievo (a partire dal 1993) il Parco Scientifico Tecnologico, un intervento di riqualificazione in un’area di circa 35 ettari, di cui allo stato attuale risultano attuati 11 ettari. Recentemente approvato il piano per l’ulteriore estensione all’area dismessa dai depositi costieri dell’Agip. La terziarizzazione dell’area è inoltre caratterizzata dagli interventi realizzati nell’area a nord di via F.lli Bandiera-via Elettricità, e all’interno dell’Insula Portuale (Consorzio Multimodale Darsena in attuazione di piano di recupero area ex Agrimont). La sua dinamicità si sviluppa sia dal punto di vista di alcune maggiori trasformazioni fisiche (Vega ed isola portuale) sia per trasformazioni funzionali che meno hanno segnato la percezione visiva dall’esterno (es. ammodernamento impianti). Proprio in ragione della sua “naturale” attesa dismissione e della sua prossimità all’area urbana di Mestre e Marghera ed al waterfront di Venezia, Porto Marghera è oggetto di strategie immobiliari che tuttavia, per la stessa natura delle funzioni oggi insediate, non hanno ancora delineato pienamente i futuri assetti dell’area.

Trasformazioni su diversi Piani I principali strumenti guida della lenta riqualificazione urbanistica e funzionale in atto a Marghera sono i seguenti: La Variante urbanistica per Porto Marghera; negli anni ’90, dal punto di vista urbanistico, Comune e Regione hanno assunto la potestà dell’area, rispetto alle precedenti competenze accentrate a livello statale e del consorzio di sviluppo per l’area. In questa logica, la VPRG per Porto Marghera (delibera G.R.V. n. 350 del 9 febbraio 1999) – si configura come il primo atto di pianificazione locale sull’area. L’Amministrazione Comunale ha deciso di utilizzare una VPRG

22 Fonte: Ente Zona Industriale Porto Marghera

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per consentire il rilancio dell’area industriale di Porto Marghera. L’obiettivo principale è la ristrutturazione e riqualificazione produttiva e ambientale del polo industriale. Gli obiettivi che la Variante intende perseguire sono finalizzati a:

• valorizzare la funzione portuale, commerciale ed industriale; • creare condizioni di compatibilità, e non di conflitto, tra la zona industriale e la città

circostante; • introdurre una prospettiva di riutilizzo del waterfront, una volta dismessa la raffineria; • riorganizzare il sistema relazionale: collegamenti ferroviari, raccordi stradali,

separazione del traffico industriale da quello urbano; • riscrivere le regole insediative, distinguendo e favorendo le vocazioni delle diverse parti

dell’area; • definire interventi di carattere infrastrutturale di rilevanza territoriale; • destinare aree del polo industriale funzionale alla valorizzazione delle potenzialità

specifiche di Porto Marghera;

Il Piano Regolatore Portuale; di fatto il piano vigente risulta a tutt’oggi quello del 1965. Il PRP 2000 è stato redatto ai sensi della l. 84/9423 che, oltre a definire nuovi obiettivi e linee guida per la redazione dei Piani Regolatori Portuali, affida all’Autorità portuale il compito della pianificazione portuale. Il Comitato Portuale ha quindi definitivamente adottato il Piano in questione in data 17/02/2000, recependo le osservazioni degli EE.LL. La Variante al PRP è stata approvata dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici (parere trasmesso il 2/3/2001). L’iter approvativo previsto è stato sospeso con il ritiro dalla procedura di VIA (Ministero per l’Ambiente, richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale del 27/6/2002), per permettere la presentazione dello Studio di Impatto Ambientale rinnovato, anche alla luce delle procedure e dei progetti in corso in coordinamento con il Commissario delegato per l’emergenza legata alla navigabilità dei canali portuali. Il Piano Regolatore Portuale è stato rilanciato recentemente dall’Autorità Portuale. Di fatto il Piano Operativo Triennale (2008-2011) risulta lo strumento di programmazione effettivo con il quale il porto popone e attua la propria politica di valorizzazione della funzione portuale nell’area di pertinenza. Nella sua nuova elaborazione propone, tra le altre, la riqualificazione di aree deindustrializzate. Infatti, nell’obiettivo dell’ulteriore allargamento della base economica del porto, l’Autorità Portuale mira ad estendere gli effetti della propria programmazione e pianificazione alla riqualificazione di vaste aree industriali come quella in corso di progettazione nell’area ex Alumix di Fusina, per lo sviluppo del cabotaggio (“Autostrade del Mare”) e della logistica. Inoltre lo scorso febbraio la Giunta della Regione Veneto ha approvato il Piano Territoriale Regionale di Coordinamento nel quale diversi indirizzi sono dedicati a Porto Marghera. Il PTRC individua tre strumenti chiave per la riorganizzazione dell'area di Porto Marghera, il Master Plan per la bonifica dei siti inquinati di Porto Marghera (cfr. sezione bonifiche), nuovi strumenti di programmazione negoziata ed il Progetto Integrato Fusina. Per quanto riguarda i nuovi strumenti di programmazione negoziata fa riferimento al Decreto legislativo 16.01.2008, n. 4, correttivo del n. 152 del 3.04.2006, che introduce l’art. 252 bis, grazie al quale la Regione Veneto ha indicato al Ministero dello Sviluppo Economico Porto Marghera quale “Sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale” per concorrere al Progetto Strategico Speciale “Programma straordinario nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati” a valere sulle risorse FAS per le aree sottoutilizzate.

23 Legge 28 gennaio 1994, n. 84 “Riordino della legislazione in materia portuale”

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Il Progetto Integrato di Fusina (da non confondersi con il Polo integrato di Fusina) è definito “il punto di snodo di tutte le attività di riqualificazione ambientale dell’area di Porto Marghera”in quanto prevede di riunire in un unico impianto pubblico il controllo finale degli scarichi civili e delle acque di prima pioggia di Mestre, Marghera, Porto Marghera e del Mirese, nonché degli scarichi industriali di Porto Marghera e delle acque di falda captate dai marginamenti dei canali portuali realizzati a Porto Marghera dal Magistrato alle Acque. Inoltre, rispetto alle funzione logistiche la Regione individua nella penisola del Petrolchimico la zona ove localizzare un nuovo “terminal contenitori e delle strutture per la logistica ad esso connessa”; per le lo sviluppo della crocieristica individua “nuove integrative soluzioni di un impianto portuale aggiuntivo, atto a far fronte alla previsione d’incremento della domanda, con accesso dalla bocca di porto di Malamocco e da risolvere entro il “progetto strategico” relativo al sistema portuale. Si dovrà assicurare la accessibilità alla stazione crociere da terra e la possibilità di disporre di un rapido collegamento con Venezia” (cfr. progetto). Infine, lo sviluppo di funzioni logistiche anche in aree limitrofe a Porto Marghera, strettamente connesse alle funzione del Porto, anche attraverso un programma di potenziamento dell'asse Venezia-Padova nell'ottica di renderlo un asse plurimodale.

Aziende ed addetti Le attività industriali tradizionali nell’area di Porto Marghera rappresentano il 15% del totale delle aziende. La maggioranza delle imprese censite sono classificabili quindi nel settore terziario e dei servizi24. Le tabelle ed i grafici seguenti riportano nel dettaglio la grande eterogeneità di imprese che ormai caratterizzano il tessuto imprenditoriale di Porto Marghera. E’ interessante notare come una buona parte di queste aziende ancora oggi sia comunque collegata ai settori tradizionali dell’area industriale; una fetta importante di queste (111 unità operative pari al 18% del totale) sono comunque attività che svolgono lavorazioni conto terzi negli stabilimenti dei settori meccanico, chimico e petrolifero. Il sistema Porto Marghera nel suo complesso rappresenta 14.190 addetti diretti al dicembre 2008, in contrazione rispetto all’anno precedente di circa 500 unità:

• il comparto industriale in senso lato (manifatturiero) rappresenta 6.577 addetti; • i settori non industriali (commercio, logistica, trasporti, servizi ecc.) rappresentano circa

7.613 addetti.

24 L’aggiornamento del censimento delle attività economiche presenti nell’area di Porto Marghera, è curato dall’Ente Zona Industriale di Porto Marghera.

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Aziende presenti a Porto Marghera

Fonte: documenti COSES

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L’area di Porto Marghera mantiene pertanto una rilevanza strategica nel sistema economico locale e veneto, con quasi 750 aziende presenti. Il polo industriale veneziano ha vissuto nell’ultimo decennio una profonda crisi, con la dismissione di importanti impianti produttivi. A ciò si sono accompagnati però anche numerosi processi di ristrutturazione e riconversione produttiva, soprattutto nei comparti della chimica25 e della metallurgia. Nell’area permangono settori tradizionali: chimico, petrolifero, cantieristica, metallurgia, siderurgia e energia elettrica. La grande industria è qualificata dalla presenza di imprese multinazionali (come Pilkington, Alcoa, Eni, Polimeri Europa, ecc.) e risulta significativa in termini produttivi e occupazionali. Inoltre, è tuttora attiva un’integrazione produttiva e logistica con gli stabilimenti petrolchimici di Mantova, Ferrara e Ravenna. Tuttavia, si è intensificata negli ultimi mesi una situazione di crisi che ha interessato anche tali aziende e che ha comportato la ridefinizione dei programmi aziendali e una non trascurabile contrazione occupazionale dagli esiti ancora non definiti. La funzione industriale sta subendo pesanti “effetti annuncio” circa il possibile abbandono di produzioni chimiche e petrolifere, legate a convenienze di mercato e alle politiche di sviluppo e strategia di Eni. Tuttavia, le eventuali politiche di rilancio26 per i comparti energia, cantieristica, vetro, ma anche per quello chimico, tuttora in corso di definizione.

25 Le ristrutturazione avvenute nel settore chimico hanno comportato una diminuzione degli addetti da oltre 14.000 (del 1965) ai 1.532 attuali. 26 Particolare sviluppo dovrebbe assumere l’opzione logistica rispetto ad aree eventualmente dismesse.

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Aziende ed addetti presenti a Porto Marghera (agg. dicembre 2008)

Fonte: Ente Zona Industriale Porto Marghera 2009

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Il “cuore” industriale dell’area è costituito da circa 90 aziende, di cui circa il 50% fanno riferimento al settore meccanico, con circa 2.186 addetti. Molte aziende non fanno parte della grande industria, ma in alcuni casi il grado di integrazione funzionale che le caratterizza comporta l’opportunità di considerarle come un unico corpo (come nel caso dell’impiantistica chimica). Per l’attività cantieristica è previsto un rafforzamento della sua collocazione nell’area di Porto Marghera, a partire dalle necessità di espansione di Fincantieri nelle aree limitrofe all’originario insediamento. Per quanto riguarda la dimensione aziendale, le piccole aziende (fino a 50 addetti) rappresentano sempre una realtà in continuo aumento ed evoluzione. Sono passate dalle 185 unità del 1965 alle 633 del 2007 alle 686 del 2008, con 6.161 occupati (pari a circa il 44% degli addetti a Porto Marghera). Notevole contrazione del numero delle grandi aziende (oltre i 500 addetti), che dal 1965 al 2008 sono scese da 15 a 2 unità, evidente anche la contrazione occupazionale. Le aziende di dimensioni superiore ai 50 addetti e meno di 500 sono una sessantina.

Porto Marghera. Aziende e addetti negli anni 1965 (massima occupazione), 2006-2007-2008*

1965

Unità locali Addetti % Addetti Alimentare 9 419 1,3 Acqua, gas, Energia elettrica 14 1.088 3,3 Ceramica, Vetro, Refrattari, Edili e materiali da costruzione

16 2.595 7,9

Chimico 23 14.233 43,3 Meccanico 57 4.645 14,1 Metallurgico o siderurgico 15 6.487 19,7 Petrolifero 23 1.460 4,4 Altri settori 72 1.963 6,0 TOTALE GENERALE 229 32.890 100,0

2006 2007 2008

U.L. Add. % Add. U.L. Add. % Add. U.L. Add. % Add.

Alimentare 4 128 1,0 9 154 1,0 4 138 0,9 Acqua, gas, Energia elettrica

7 579 4,4 5 674 4,6 9 526 3,7

Ceramica, Vetro, Refrattari, Edili e materiali da costruzione

13 686 5,2 13 537 3,7 12 367 2,6

Chimico 11 1954 14,7 10 1.842 12,5 9 1.532 10,8 Meccanico 45 2143 16,1 42 2.384 16,2 38 2.186 15,41 Metallurgico o siderurgico

10 921 6,9 7 836 5,7 6 678 4,8

Petrolifero 13 559 4,2 12 583 4,0 12 557 3,9 Altri settori 258 6302 47,5 597 7.698 52,3 656 8.206 57,8 TOTALE GENERALE 361 13.272 100,0 695 14.708 100,0 746 14.190 100,0

* dal 2007 le rilevazioni dell’EZIPM sono state condotte con criteri rinnovati. La comparazione con l’anno precedente soffre pertanto di tale specifica. Ciò in particolare riguarda le aziende di piccole dimensioni.

Fonte: Ente Zona Industriale di Porto Marghera

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Produzioni e settori Quasi tutti i settori produttivi presenti a Porto Marghera, a cominciare da chimica e siderurgia stanno attraversando un momento critico. In forte difficoltà, con l'utilizzo della cassa integrazione per buona parte dei dipendenti, non sono colossi metalmeccanici come Alcoa27 (ex Alumix di Fusina), le fonderie Beltrame (ex Sidermarghera), l'Ilva, ma anche la Fincantieri che sembra faticare a reperire nuove commesse per la realizzazione di navi da crociera28. Anche la logistica, a cominciare dalle banchine portuali, appare risentire di un calo delle attività. Ma la crisi più grave, e più evidente, è quella che colpisce il polo chimico veneziano, che si inserisce in una crisi della chimica di base di livello mondiale: più di altri settori risente della crisi del settore automobilistico e dell'edilizia. A Porto Marghera negli ultimi anni sono chiusi diversi impianti e produzioni (il caprolattame e gli acetici dell'ex Enichem, il Tdi di Dow Chemical e la Nuova Sirma). Anche Montefibre già ha messo in cassa integrazione i circa 300 addetti e annunciato la chiusura definitiva della produzione di fibre acriliche. In difficoltà anche le produzioni di florurati della Solvay-Solexis che ha già dimezzato gli organici e ora potrebbe chiudere un'altra linea produttiva. Nonostante gli accordi di programma e la compravendita di impianti da Montedison ad Enichem, fino a multinazionali straniere (Dow Chemical, Solvay, Evc e Ineos) il petrolchimico soffre di una mancata politica industriale nazionale, e della concorrenza di altri paesi dove l'energia ha costi minori. L'unico impianto regolarmente in funzione a Porto Marghera oltre alla raffineria di petrolio dell'Eni è il cracking di Polimeri Europa (Eni).

Primi Anni Novanta. All’inizio delle dismissioni.

Rispetto al settore petrolifero, distinto tra raffineria e stoccaggio di prodotti petroliferi, l’attuale scadenza autorizzativa è il 2015. Tuttavia in base a recente legge regionale sui depositi costieri non è più necessaria una autorizzazione per la funzione di stoccaggio, condotta da ENI, ma anche da altre aziende nell’area.

27 Multinazionale del settore alluminio con sede negli Usa e terzo produttore di alluminio a livello mondiale. Nel gennaio 2009 ha tagliato 13.500 posti di lavoro. 28 Da segnalare anche il fallimento e la chiusura dei Cantieri De Poli di Pellestrina e dei Cantieri Della Pietà di Fusina.

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La concessione attuale per la raffineria è invece legata alla AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale 2010-2014) presentata recentemente e legata alla compatibilità sotto tutti i punti di vista della raffineria esistente. Viene rilasciata dal Ministero Industria. Enel ed Edison la hanno già acquisita. Deve essere riacquisita ogni quattro anni. Se ne riparlerà nel 2015. Altra cosa è la VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) relativa al piano interventi di modernizzazione della raffineria, che ha già avuto l’avvallo regionale ed è in corso di valutazione a livello nazionale. In ordine agli investimenti ed alle prospettive poste da Eni29 circa il polo di raffinazione di Porto Marghera, si è inserita la prospettiva di autorizzazioni all’esercizio degli impianti previste fino al 2035. L’Eni si impegna in progetti logistici tra cui il potenziamento del sistema di esitazione con ferrocisterne per prodotti neri (bitume e fuel oil) al fine di ridurre il traffico di autobotti; il collegamento della Raffineria via oleodotto con l’aeroporto di Tessera; la costruzione di un sito delocalizzato di un deposito per l’esitazione di prodotti al mercato collegato via oleodotto alla Raffineria in localizzazione da concordare con le Istituzioni locali e regionali; il collegamento della Raffineria di Venezia con Trieste. L’Eni si impegna inoltre a verificare la possibilità di realizzare un impianto di Green Diesel alimentato da cariche di origine vegetale. Da agosto 2009, anche la situazione della Pilkington appare critica. I vertici dell’azienda hanno delineato uno scenario in cui il mercato del vetro per l’edilizia che viene prodotto a Marghera sarebbe in crisi, mentre sarebbe in ripresa il comparto dei vetri per l’automobile. Dietro a tali analisi c’è il timore che vi sia l’intenzione di chiudere gli impianti, per inserire le aree nel progressivo processo di riqualificazione urbana e produttiva che interessa la prima zona industriale. Oggi il numero dei dipendenti diretti e indiretti, occupati in quel che resta della chimica, non supera le 2.000 unità. Sono questi i posti di lavoro che andrebbero persi con la chiusura degli impianti chimici del ciclo del cloro di Porto Marghera. I dati aggiornati - forniti dall'Eni e dall'Ente Zona Industriale di Porto Marghera - registravano ad aprile 2009 poco più di 2 mila occupati al Petrolchimico, così suddivisi: Spm 214; Arkema 55; Solvay 74; Syndial (Eni) 314; Vinyls-ex Ineos 270; Polimeri Europa 424; Montefibre 290; Raffineria Eni 386. Dei 2.000, 810 sono dipendenti di Polimeri Europa (cracking dell'etilene) e della raffineria di petrolio, entrambe di proprietà dell'Eni e per le quali appaiono garantiti investimenti e livelli occupazionali. Eni ha dichiarato di farsi carico anche degli eventuali esuberi provocati dalla chiusura del cloro- soda di Syndial che occupa attualmente 314 dipendenti. Togliendo quindi i dipendenti delle società dell'Eni (1.224) dal totale degli occupati del Petrolchimico, restano poco più di 800 posti di lavoro. Aggiungendo l'indotto (manutenzione impianti, confezionamento e spedizione merci) si arriva ad un totale che non supera le 2.000 unità.

Chimicamente instabili Ancora una volta quindi le sorti della zona industriale di Marghera risultano da reinterpretare. Un convegno del 1989 titolava: Porto Marghera. Proposte per un futuro possibile. Le analisi e le considerazioni che il sistema della ricerca aveva prodotto per l’occasione descrivevano perfettamente la parabola delle attività economiche presenti nell’area, perlomeno quelle storicamente insediate.

29 Protocollo d’Intesa siglato presso il Ministero dello Sviluppo Economico, Roma, 14 dicembre 2006

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1989: Porto Marghera.

Proposte per un futuro possibile. A rivoluzionare il quadro giunge il periodo delle privatizzazioni. I primi anni ‘90 trasformano la zona industriale con alcune dismissioni eccellenti tra cui la Sava, sul sedime della quale nascerà l’esperienza della prima riconversione da funzione industriale a funzione logistica portuale. Nello stesso periodo si inizia a prefigurare una funzione di ricerca ed innovazione che possa essere volano per nuove attività ed una trasformazione di qualità dell’area. Il PST Vega prende le mosse attraverso la ristrutturazione dell’ex Circolo ricreativo Agrimont. Nel 1994 le analisi per la VPRG di Porto Marghera (approvata dalla Regione Veneto nel 1999) delineano chiaramente funzioni presenti nell’area, loro consistenza, problematiche ambientali legate alla evidente possibilità di dismissione e ad un conseguente riutilizzo delle aree. La riqualificazione dell’asse di via Elettricità ed il suo raddoppio, a beneficio di una migliore accessibilità all’area portuale ed un minore impatto del traffico pesante sul quartiere urbano, vengono progettate allora; risultano ancora largamente non attuate. Il tema della aree disponibili per nuove aziende accompagna fin dall’inizio degli anni ‘80 il dibattito sull’area. Tale disponibilità non muterà in maniera sostanziale fino ai primi anni ‘90. Gli esempi di localizzazione ex novo di imprese industriali sono estremamente limitati e comunque non integrati con le produzioni “storiche”. La normativa che viene posta in essere dieci anni dopo segna il passaggio verso maggiore complessità per la bonifica delle aree. Allo stesso tempo appaiono evidenti i segnali di una instabilità del settore chimico, sempre maggiore dopo i primi disimpegni dei primi anni ‘90 legati alle privatizzazioni. Dalle relazioni aziendali di Eni, fin da allora, si evince una strategia che non considera centrale la cura e lo sviluppo della petrolchimica. Tuttavia, gli accordi cosiddetti “per la chimica” del 1998 e 2001 - sottoscritti da istituzioni, sindacati ed aziende – avevano generato la speranza artificiale di poter rilanciare e soprattutto ammodernare gli impianti di Porto Marghera in un mercato di riferimento che rimaneva importante. Nel 2002, uno degli incidenti più significativi accaduti ad impianti chimici nel nostro paese metteva a dura prova la credibilità di tali accordi che rimangono ancora oggi in larga parte non attuati. Sono passati altri dieci anni. Nel frattempo sono stati persi per strada pezzi della chimica che rispondevano ai criteri di integrazione (e quindi di economicità) delle produzioni di

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Porto Marghera. La situazione di crisi aziendale della chimica, in extremis gestita attraverso la cessione di Vinyls, appare l’epilogo prevedibile di un percorso che ha frammentato il settore ed i relativi impianti.

Incidente agli impianti chimici. Porto Marghera, 2002.

Nel 2004, i lavori per la Seconda conferenza economica della Provincia di Venezia delineavano già alcuni scenari prevedibili e richiamava la necessità di considerare seriamente gli accordi stipulati. Di fatto la funzione logistica, i trasporti e l’interscambio portuale - fin dal 1994 - hanno occupato spazi ingenti e contribuito ad un ricambio occupazionale nell’area. Da Interporto di Venezia, al Consorzio Darsena, ai progetti futuri di Montefibre, all’utilizzo attuale di aree dell’ex vecchio petrolchimico da parte di Transped (in ulteriore espansione in prospettiva). L’ultima stagione degli Accordi e delle Intese, dal 2005 al 2008, raccoglie gli esiti di una analisi minuta dei progetti, delle possibilità di rilancio delle presenze industriali, delle nuove possibili funzioni insediabili nell’area. Istituzioni, sindacati ed aziende locali ancora una volta propongono al Governo una serie di interventi che, pur sottoscritti, si trovano ad affrontare complesse procedure che ne determinano spesso la non fattibilità sostanziale. Riguardo alla chimica, dalla petrolchimica di base alla farmaceutica, dai fertilizzanti ai cosmetici, i prodotti risultano influenzati in varia misura dalla crisi e dal mercato. Inoltre, le decisioni d’investimento in questo settore, dati i suoi stretti rapporti con la produzione di energia, sono influenzate in modo rilevante da decisioni politiche. Per questo l’analisi dei fattori che influenzeranno l’evoluzione futura dell’industria chimica globale è estremamente complessa. Già nei primi anni novanta il presidente di Enichem commentava la possibilità di ridare competitività alla chimica italiana. Facendo il punto della situazione, affrontava le prospettive della società e il nodo occupazionale. Per essere competitivi occorreva una forte compressione dei costi fissi di sede e di stabilimento. Tuttavia, ”Eni ha fatto sacrifici enormi, sottraendo risorse da altre società del gruppo, pur di salvare la chimica. Stiamo facendo interventi di razionalizzazione che i gruppi esteri hanno già fatto. Bisognerà tagliare alcune realtà che magari sono importanti o vitali per un Comune o un individuo, ma per un'azienda sono piccole cose. Dobbiamo difendere la struttura di base di Enichem, i crackers, i polimeri, gli elastomeri, le fibre e la detergenza, chiudendo le situazioni che gravano sul conto economico. Enichem, dovrà concentrarsi nei polimeri e degli elastomeri, realizzando ulteriori recuperi di efficienza e

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alleanze strategiche con altri produttori. Questo vuol dire principalmente la vendita della chimica fine, oggi in perdita”.30 La chimica europea è fortemente concentrata dal punto di vista territoriale. Il primo produttore è la Germania con il 25,7% del totale, il secondo la Francia con il 13,1%, il terzo la Gran Bretagna con il 12,2% e il quarto l’Italia con l’11,2%. Olanda e Belgio hanno insieme il 13,4%. Il principale problema della chimica europea sembra essere quello dello stato degli impianti. Secondo la Commissione UE, sarebbe necessaria un’azione di ristrutturazione degli impianti europei, che potrebbe però risultare ardua dato l’assetto delle imprese che ha preso forma nell’ultimo periodo. Delle venti prime imprese del mondo (che corrispondono a quasi il 25% del fatturato globale) dieci sono europee, quattro americane, tre giapponesi, due cinesi, una cilena ed una saudita. Nessuna è italiana, anche se alcune sono presenti in Italia con loro filiali. La chimica di base è definita da Federchimica, “il comparto che soffre di più delle inefficienze del sistema paese”. Gli insediamenti presenti a Porto Marghera consistono sia in depositi che in attività produttive. Le attività produttive comprendono una raffineria, vari stabilimenti petrolchimici, una produzione di fibre: Eni Raffineria, Polimeri Europa (ENI), Syndial (ENI), Montefibre, Solvay Solexis, Ineos Vinyls, Arkema srl, 3V CPM-Chimica Porto Marghera spa, Crion (SAPIO). Tale situazione appare in continua evoluzione. Gli insediamenti produttivi coprono una superficie totale di circa 600 ettari.

Primi Anni Novanta. Il petrolchimico in attività.

Anche se più volte ribadito che è un settore strategico per il nostro paese e come tale va difeso, la realtà attuale testimonia a Porto Marghera situazioni di forte criticità. L’attuale fase è così descritta da una rivista specializzata31: “A Marghera sono in cassa integrazione i dipendenti di Montefibre per la chiusura della produzione di fibre acriliche, quelli della Syndial per la fermata degli impianti di cloro-soda e dicloroetano (forse definitiva), quelli di Solvay per la chiusura della produzione di fluoroidrocarburi, sono senza lavoro ormai da due anni i dipendenti della fuggitiva Dow”, da aprile “si è fermato il cracking di Polimeri Europa” ed infine la Vinyls Italia è in fallimento. Molte delle chiusure citate sono compensate, dal punto di vista dell’impresa responsabile, da nuovi investimenti realizzati di norma in altri paesi (la Ineos in Norvegia, la Dow in Spagna).

30 Intervista a Marcello Colitti, Corriere della Sera, 2 novembre 1993 31 “Perché scompare la petrolchimica in Italia?”, La chimica e l’industria, maggio 2009.

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Una riflessione sulla petrolchimica e sulla chimica di base italiane, porta a valutare che le aziende “si salveranno forse solo se si ripenserà ad una nuova trasformazione e ricollocazione di tutti i siti produttivi, visti, comunque, in una visione unitaria”32. L’alternativa è una prolungata instabilità dagli esiti finali incerti. Le tre fondamentali chiavi per sbloccare la situazione risiedono probabilmente a livello nazionale: riavviare una seria politica industriale; prendere atto delle dinamiche di globalizzazione; ridefinire le norme per la bonifica dei terreni ; affiancare le aziende private con risorse adeguate per permettere interventi di rilancio non limitati alla messa in sicurezza. Marghera non è solo chimica. Oggi l’insieme delle produzioni industriali nell’area appare in precario equilibrio, in ragione anche della crisi internazionale (sopravvenuta dopo svariate crisi locali). Alluminio, vetro, cantieristica: sullo sfondo di ogni situazione aziendale stanno i temi delle forniture energetiche, delle materie prime e delle bonifiche. La logistica viene rappresentata solo da piazzali con container impilati fino al sesto piano: non è solo questo, ma non sarà la logistica a salvare Porto Marghera. La funzione portuale è destinata ad incrementare la propria presenza nell’area e ad integrarla con le funzioni industriali ancora presenti e con quelle che vorranno localizzare a Marghera la loro base logistica. La presenza “terziaria” nell’area è anch’essa destinata ad accrescere il numero di imprese, caratterizzate da un numero di addetti meno rilevante della industria di base. Forse è venuto il momento di prendere atto, in ritardo, che ciò che ancora vediamo è una scenografia destinata a scomparire. La nuova scena deve ancora essere disegnata e soprattutto manca la volontà di una regia autorevole che tenga insieme le componenti chiamate a decidere. È chiaro che a Porto Marghera, come in altre aree del Veneto, ci deve essere spazio per nuove iniziative industriali. La prima verifica deve partire dalla eliminazione di qualsiasi alibi legato alle procedure ed ai costi di bonifica. Le aziende, non solo Eni, debbono dichiarare in maniera trasparente la volontà di sviluppare un piano industriale, ovvero di definire i criteri ed i limiti della propria permanenza. Solo in tal modo sarà possibile rimodulare con criteri di autentica programmazione l’utilizzo delle aree a Marghera. Senza immaginare che la destinazione “industriale” sia esclusiva, ma ammettendo che un nuovo sviluppo dell’area possa essere aperto a benefiche “contaminazioni” di altri settori, ancora rare, che consentano una ulteriore riconversione occupazionale e un nuovo sviluppo economico alla città ed al Veneto. Tra le ultime novità, nuovi dubbi sulla sicurezza degli impianti cvm-pvc sono stati rilevati dopo l’incidente del 31 luglio 2009. Un incidente notturno alla Vinyls, con fuoriuscita di Cvm. L'incidente è avvenuto nell'impianto in stand-by da mesi. Gli impianti, purtroppo, sono vecchi e la manutenzione non viene più eseguita con la frequenza di un tempo. Si tratta di immaginare un futuro che sia sempre più compatibile dal punto di vista ambientale.

32 Idem nota 28.

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UN PORTO PER L’ADRIATICO Le due funzioni storiche, porto ed industria, appaiono entrambe in evoluzione. La portualità commerciale, in fase di crescita pur nella lieve crisi contingente, rientra nella riorganizzazione della funzione logistica del Veneto ed appare legata all’interesse di operatori logistici internazionali per le aree disponibili e “prossime” al porto commerciale. L’industria manifatturiera, sempre più legata a scelte autonome di imprese globalizzate che hanno propri piani industriali, è ben espressa dalla complessità del futuro della chimica. La peculiarità del porto industriale (in cui lo sbarco è la prima fase di lavorazione delle merci) ha rappresentato e, per certi aspetti, continua ancora oggi a rappresentare la carta vincente dell’area. In sintesi: • il Porto di Venezia negli ultimi 15 anni ha incrementato i propri traffici; • il settore commerciale è quello che ha registrato il maggiore incremento; • il traffico industriale di merci secche segna delle riduzioni in parte determinate dalla concorrenza dei paesi in via di sviluppo ed in parte determinate dalla non convenienza, per alcune industrie, di mantenere in proprio l’attività di sbarco merci, preferendo, piuttosto, terziarizzare il ciclo; • il traffico petrolifero è ancora oggi importante per il sistema portuale veneziano. Il Porto di Venezia assume un ruolo fondamentale nei traffici internazionali (di persone e merci), grazie alla sua posizione strategica, al vertice dell’Adriatico, nel cuore dell’Europa, tra oriente ed occidente. Lo scalo lagunare, è caratterizzato da traffici differenziati: rinfuse secche, prodotti liquidi e petroliferi, traffico passeggeri ferry e crocieristico. Inoltre, Venezia è al primo posto, fra i porti del sistema alto adriatico, per la movimentazione di containers.

Traffico merci tra industria e commercio Dal punto di vista dei traffici, le tendenze generali che hanno modificato natura e articolazione territoriale delle attività portuali si sono tradotte nell’aumento dell’incidenza del traffico commerciale, a fronte di un traffico petroli nel complesso stabile e di un traffico industriale profondamente ridimensionato. Il numero di navi che utilizza il Porto di Venezia è negli anni recenti aumentato e mostra una composizione diversa rispetto al passato, coerentemente con l’andamento dei rispettivi settori (commerciale, industriale, petrolifero). In generale, si registra una diminuzione del numero di navi per il comparto industriale e petrolifero, e un aumento del comparto commerciale. Dal novembre 2008 si sono comunque evidenziati gli effetti della crisi economica. Tale fattore a Porto Marghera ha determinato un calo dei traffici di merci industriali che richiede un attento monitoraggio della situazione dati gli investimenti previsti.

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I traffici totali del porto di Venezia nei primi sei mesi del 2009 hanno fatto segnare una flessione rispetto allo stesso periodo del 2008, con una diminuzione del 14,2%, pari a circa 2.200.000 tonnellate33. Il settore commerciale ha registrato una contrazione, rispetto al primo semestre del 2008, pari al 21,1% ed è il settore che ha risentito maggiormente della diminuzione dei traffici. Per quanto riguarda il settore industriale, si è riscontrata una diminuzione del 17,7%. Il traffico petrolifero è calato leggermente, facendo registrare una leggera riduzione del 3,0%. Tutte le diverse macrocategorie merceologiche hanno evidenziato dei cali. La categoria che più ha visto diminuire i propri scambi è stata quella delle merci varie in colli (-23,8%). Questo calo sembra determinato soprattutto dai minori traffici merci varie (-43,1% pari a circa 700 mila tonnellate in meno) e di ro-ro (-33,8% pari a circa 460 mila tonnellate in meno). Questi ultimi sono calati anche in numero, infatti, rispetto al primo quadrimestre del 2008 i ro-ro movimentati sono circa 18.500 in meno.

Porto di Venezia 2008 - Suddivisione del traffico

Petroli36%

Industriale14%

Commerciale50%

Fonte: Autorità Portuale di Venezia

Porto di Venezia. Traffico portuale (in migliaia tonnellate). Contenitori (Teu) Anni 2000-2008

2000 2001 2002 2003 Petroli 10.581 10.658 11.274 11.440 Industriale 6.532 5.973 5.799 5.971 Commerciale 11.063 12.178 12.475 12.716 Complessivo 28.176 28.809 29.548 30.127 Contenitori 218.023 246.196 262.337 283.667 2004 2005 2006 2007 2008 Petroli 10.746 10.542 11.362 11.142 10.860 Industriale 5.994 5.835 5.033 4.452 4.347 Commerciale 13.016 12.722 14.542 14.620 15.040 Complessivo 29.756 29.099 30.937 30.215 30.248 Contenitori 290.898 289.860 316.641 329.512 379.072 Fonte: Autorità Portuale di Venezia E’ utile ricordare che l’anno 2008 è stato un anno record per i traffici ro-ro; il primo semestre del 2008 aveva infatti fatto segnare un aumento di circa il 42% rispetto al medesimo periodo dell’anno precedente. Gli scambi di rinfuse solide sono calati del 15,2% pari a circa

33 Statistiche Autorità portuale di Venezia, www.port.venice.it

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675.000 tonnellate. In particolare, le rinfuse cerealicole si sono ridotte di circa la metà, passando da circa 210.000 tonnellate dei primi sei mesi del 2008 a circa 120.000 di quest’anno. I minerali sono diminuiti del 41,7% pari a circa 160.000 tonnellate. La “altre rinfuse solide”, tra le quali le più rilevanti sono il cemento ed il clinker, si sono ridotte del 22,7% pari a circa 300.000 tonnellate, a causa della contrazione del settore delle costruzioni. In merito alle rinfuse liquide il calo registrato ammonta al 6,2% pari a circa 385.000 tonnellate. Questa flessione è imputabile in massima misura al calo dei traffici di prodotti chimici, registrati nella categoria “altre rinfuse liquide” (-27,0% pari a circa 225.000 tonnellate), a causa delle difficoltà attraversate, in questo periodo, dal settore chimico.

Merci sulle banchine di Marghera

Nel 2008 l’andamento del settore container è stato sostanzialmente stabile rispetto al 2007, con un ulteriore crescita dei movimenti (circa 379.000 TEU, +15%). Inoltre, aumenti particolarmente significativi sia nel numero di passeggeri (+14,4%),che nel numero di navi arrivate al settore commerciale (+3,8%). Il primo semestre 2009 ha evidenziato degli aumenti in termini di TEU (+1,2%) pari a circa 2.150 TEU. Mentre il numero di pezzi si è assestato sostanzialmente sul livello del primo semestre 2008 facendo segnare un -0,9% pari a circa 1.100 unità in meno. Sono i contenitori vuoti che hanno contribuito maggiormente alla crescita dei TEU totali, con un incremento del 20,9% pari a circa 8.900 TEU. In termini di peso l’aumento è stato dello 0,7% pari a circa 15 mila tonnellate. I contenitori pieni sono calati sia in TEU (-4,8%) sia in numero di pezzi (-5,8%), ma in media risultano essere più pesanti. Il bilancio intermedio ad agosto 2009 conferma una situazione negativa per tutte le merceologie movimentate. Nel periodo di riferimento, la situazione dei traffici marittimi nei porti europei è stata caratterizzata da una diminuzione sensibile dei traffici in termini di tonnellate. Tra questi, Venezia è stato uno dei porti che ha fatto segnare un minor calo pari a -14,2% seconda solo a Rotterdam (-13,4%). Per la movimentazione dei contenitori e per i passeggeri Venezia mantiene una variazione positiva nonostante la crisi contingente. Secondo Ente Zona Industriale, oltre il 55% del totale traffico del porto è rappresentato da merci che vengono trasformate a Marghera. La programmazione della funzione portuale individua nella logistica (con trasformazione e assemblaggio) una possibile evoluzione del ruolo dell’area. La logistica dei combustibili, la trasformazione delle materie prime, la

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raffinazione e le costruzioni meccaniche manterrebbero per il futuro immediato una certa rilevanza. L’attuale amministrazione portuale intende rilanciare la portualità commerciale portando il pescaggio a 12 m. entro il 2010. Ciò facendo seguito all’emergenza già dichiarata nel 2005 dal Governo nazionale, che riconosce per Venezia l'urgenza di scavare i canali portuali e industriali, per riportare i fondali a livelli accessibili anche alle grandi navi.

Tonnara Adriatica

Venezia, per la sua collocazione geografica e l’ottima dotazione infrastrutturale (aeroporto, porto, rete ferroviaria, stradale e idrovia) rappresenta un nodo di eccellenza della rete logistica nazionale ed internazionale. L’Alto Adriatico è infatti individuato come la naturale connessione del versante adriatico del Corridoio V in grado di recepire i traffici provenienti dall’Europa Centrale ed Orientale attraverso il potenziamento dell’asse nord – sud dei Balcani che collega il centro Europa con Grecia e Turchia. I Presidenti delle Autorità portuali di Venezia, Capodistria, Trieste e Ravenna si sono incontrati il 17 aprile 2009 a Venezia in occasione di un seminario europeo (Articulating the North Adriatic Multi-port Gateway). Nell’occasione hanno sottoscritto l'accordo dei porti del Nord Adriatico che dovrebbe garantire la cooperazione tra le quattro realtà al fine di formare un unico grande gateway per le navi che transitano nell'Adriatico (vedi immagine sopra). Quattro banchine di un unico sistema portuale per migliorare l'efficienza e il potenziale commerciale del Nord Adriatico e per sviluppare assieme le infrastrutture di accesso ai mercati della nuova Europa. In totale, nel 2008, i quattro hanno movimentato 120.473.447 tonnellate di merci, quasi 1.300.000 TEU e oltre 1.500.000 passeggeri (quest’ultimo dato con il contributo quasi totale del Porto di Venezia). Buono il posizionamento di Venezia anche nel general cargo (tuttavia quasi equamente tripartito tra i porti italiani).

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Suggestiva ed efficace l’immagine che il Presidente dell’Autorità portuale di Venezia, Paolo Costa, propone: l’Adriatico come una tonnara. Insomma, non importa da chi vanno le navi (tonni), facciamo entrare le navi nella “tonnara” (Adriatico) e poi dividiamo il traffico secondo le capacità dei diversi porti (pescatori).

“Scatole Cinesi” in arrivo al porto

Grazie all'armonizzazione di politiche e attività comuni, i quattro scali potranno presentarsi insieme così, al mercato internazionale - oltre Gibilterra, Suez, ma guardando l'entroterra oltre i confini interregionali, Brennero, Tarvisio e Divaccia - come un unico grande scalo per la movimentazione delle merci e dei passeggeri. Per lo stesso Presidente dell’Autorità portuale di Trieste, Claudio Boniciolli, “Venezia è il fulcro di un possibile sistema nord adriatico, che può essere aperto anche a Rijeka”. La proposta è in linea con la politica dell'Unione Europea che prevede, per il prossimo futuro, di promuovere la creazione di sistemi portuali interregionali dando nuovo impulso allo sviluppo dell'attività marittima. Per questo motivo l'accordo resta aperto anche ad altri porti dell'Adriatico come ad esempio il porto di Rijeka (Fiume), non appena la Croazia avrà portato a termine il processo di annessione all'Unione Europea o a porti più piccoli - ma non meno importanti - quali Monfalcone (Gorizia), Chioggia (Venezia), Porto Nogaro (Udine). La configurazione di questo “sistema portuale” non è nuova. Nel 2006 il COSES, nell’ambito della collaborazione con Venezia Logistics, richiamava i piani della logistica a livello nazionale che prevedevano la conformazione di una piattaforma logistica a nord est che chiamava in causa i porti italiani dell’ambito nord adriatico, ed altre strutture di supporto e/o porti minori. Le stessi regioni interessate (Veneto, Friuli VG, Emilia Romagna) avevano posto in essere accordi tesi alla collaborazione tra i porti nord adriatici. Allo stesso modo, a fine aprile 2009 si è firmato un accordo che sancisce il coordinamento dei porti interessato da traffico fluviale e fluviomarittimo, Venezia sempre al centro. Gli effetti di tali accordi non sono stati finora particolarmente evidenti. Tuttavia, il nuovo e recente accordo ha il merito di rilanciare con un orizzonte europeo le politiche legate al rilancio della portualità adriatica. Rimane sullo sfondo la crisi più generale, che influisce sul volume delle merci scambiate, particolarmente intensa nei grandi hub mondiali che hanno accusato tra 2008 e 2009 una significativa contrazione dei traffici containerizzati provenienti dall’oriente (-20% nei primi 4 mesi; il 46% dei container dalla Cina all’Europa passa per Amburgo).

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Porto di Venezia baricentro ed al centro ancora Porto Marghera. I progetti di sviluppo promossi da alcuni attori del sistema locale a Porto Marghera delineano diverse soluzioni localizzative per l’insediamento di attività legate alla logistica e possibili politiche e azioni da attivare per configurare l’intera area come una complessa piattaforma logistica (cfr. progetti a Marghera).

Venezia, terminal crocieristico Dal 2001 ad oggi il numero di navi in transito nel porto di Venezia è rimasto pressoché costante. Tuttavia, nell’arco dell’ultimo decennio, i passeggeri sono più che raddoppiati. Venezia si conferma come uno dei porti leader nel Mediterraneo quanto a numero di passeggeri in transito, collocandosi al terzo posto in Europa e al tredicesimo su scala mondiale.

Porto di Venezia. Totale traffico passeggeri. Anni 2000-2008

0

200.000

400.000

600.000

800.000

1.000.000

1.200.000

1.400.000

1.600.000

1.800.000

2.000.000

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008

Fonte: Autorità Portuale di Venezia

Il settore dei passeggeri nel primo semestre 2009 ha evidenziato un aumento dei traffici rispetto ai primi sei mesi dello scorso anno del 7,8%, grazie esclusivamente al maggior traffico di passeggeri crocieristi (+16,2% pari a circa 70.000 passeggeri in più).

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Da segnalare che l’aumento dei crocieristi si è avuto nonostante siano diminuite le toccate delle navi da crociera (-1,0%). I passeggeri delle navi veloci e dei traghetti sono calati rispettivamente del 24,2% pari a circa 7.000 unità, e del 11,1%, pari a circa 15.000 unità. Anche i traghetti e le navi veloci hanno diminuito il numero di toccate.

Parco Crociere.

Marittima vista dal waterfront di S. Giuliano La crocieristica - settore di maggior crescita nel business del turismo - rappresenta un’importante componente di domanda del porto di Venezia, in decisa espansione negli ultimi anni (soprattutto nell’ultimo quinquennio) e con ulteriori prospettive di crescita (crisi permettendo). La Stazione Marittima di Venezia ha accolto nel 2008 più di 1.700.000 passeggeri (+14,4% rispetto al 2006). Con tale risultato lo scalo veneziano si pone tra le prime posizioni a livello europeo. Nel 2008 le navi arrivate sono state 1.415 (+4,7%).

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Green: il futuro di Porto Marghera

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

• Variante al Piano Regolatore Generale per Porto Marghera, Venezia - Comune di Venezia, 1999

• Master Plan per la bonifica dei siti inquinati di Porto Marghera, Regione del Veneto – Comune di Venezia, 2004

• Doc. 514.1, Porto Marghera – Trasformazione e prospettive, a cura di P. Favaretto, COSES 2004

• Documento Strategico Regionale – Programmazione fondi strutturali 2007-2013, Regione del Veneto, 2005

• Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, “Patto per la logistica. Un accordo di settore per la competitività del Sistema Paese”, Roma, 2005

• Ministero delle Infrastrutture e dei trasporti, “Piano per la logistica. Un programma di settore per la competitività del Sistema Paese”, Roma, 2006

• Il Piano Strategico Venezia, Comune di Venezia, 2006 • Protocollo di Intesa su Porto Marghera, Gruppo di lavoro tra Regione del Veneto,

Provincia di Venezia, Comune di Venezia, Unindustria, Apindustria, CGIL, CISL, UIL - 14 dicembre 2006

• Doc. 728.3, Intesa per Porto Marghera – Documento del gruppo di lavoro “Progetti di sviluppo per Porto Marghera”, COSES 2006

• Protocollo di Condivisione delle linee strategiche per la riqualificazione e lo sviluppo di Porto Marghera, 30 ottobre 2007

• Rapporto Annuale Aria Comune di Venezia, Arpav – Comune Venezia, 2007 • Indagine sui sedimenti e sulle acque dei canali di Porto Marghera e delle aree lagunari

antistanti: raccolta degli elaborati finali e delle conclusioni. Magistrato alle Acque 2008. • Zona Industriale di Porto Marghera: attività produttive e funzione portuale. Analisi

conoscitiva e prime indicazioni. Relazione per Ufficio di Piano. Magistrato alle Acque, 2008

• ENI, Cronache dall’interno di un’azienda, di Marcello Colitti, Egea 2008 • Progetto Strategico Speciale Giunta regionale del Veneto, Programma straordinario

nazionale per il recupero economico produttivo di siti industriali inquinati - Sito di preminente interesse pubblico per la riconversione industriale area industriale di Porto Marghera – Venezia. Documento di Progetto – (Allegato A alla Dgr n. 2358 del 08 agosto 2008)

• PTCP – Piano Territoriale Provinciale Provincia di Venezia, adozione dicembre 2008 • Relazione del Presidente all’Assemblea degli associati- Ente Zona Industriale di Porto

Marghera, giugno 2009 • Piano Operativo Triennale 2008-2011, Autorità Portuale di Venezia, 2008 • Statistiche portuali, Autorità Portuale di Venezia, 2000-2009 • Doc. 1046.0, Osservatorio Porto Marghera, a cura di P. Favaretto, M. Canino, COSES

2008 – 2009 • Piano di Assetto del Territorio Comune di Venezia, 2009 • Piano Territoriale Regionale di Coordinamento, 2009 • Le polarità del waterfront: da Porto Marghera a Tessera, Fondazione Pellicani 2009

Fondazione Gianni Pellicani, ottobre 2009 85

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Siti utili www.fondazionegiannipellicani.it www.coses.it/ www.hydrogenpark.com/www.incaweb.org/www.distrettometas.it/www.regione.veneto.it/Ambiente+e+Territorio/Territorio/Venezia+e+Porto+Marghera/www.ccpv.it/www.vegapark.ve.it/vega/acms/vega/ www.entezona.it/www.nuovevie.vegapark.it/itinerari/opencms/itinerari/ www.arpa.veneto.it/home2/htm/home.aspwww.margheradigitale.it/www.port.venice.it/pdv/Lingua.do?metodo=cambia_linguawww.osservatoriochimico.it/www.bizeta.it/ www.alcoa.com www.fincantieri.itwww.polimerica.itwww.hydrogenpark.comwww.westdock.itwww.grandimolini.itwww.ineos.comwww.eni.itwww.hydrogenpark.com/ www.syndial.it/www.federchimica.itwww.polimerieuropa.comwww.grupposapio.itwww.arkema.comwww.incaweb.orgwww.pilkington.comwww.greenhomebuilding.com/www.ecoage.com

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