tesi sul simbolo d'impresa

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Ricerca sulla comunicazione aziendale partendo dal marchio.

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ACCADEMIADI BELLE ARTIDI VENEZIAanno accademico 2010 \ 2011

tesi di diploma di laurea di I° livelloin arti visive e discipline dello spettacoloindirizzo: Nuove Tecnologie per la Progettazione Graficaprof. Mario Pasquotto

IL SIMBOLO D’IMPRESA

laureando: Nicolò Simioni

relatore: Prof. Mario Pasquottocorso: Metodologia progettuale della comunicazione visiva

Progetto grafico e impaginazione:Nicolò Simioni

testi composti in:Helvetica

Page 6: Tesi sul simbolo d'impresa

introduzione

1-2origini del marchio

27-36cos’è un marchio?

3-4immagine coordinata

37-42classificazione

5-12costruire un marchio

43-44fattori di qualità

13-24briefing

45-46simbolo, logotipo e pay-off

25-26brainstorming, sviluppo e selezione

47-50

Page 7: Tesi sul simbolo d'impresa

case study

51-52studio colori

61-62progetto marchio

53-54prove dimensione e I.C.

63-64mission

55-56progetto rivista

65-68rough, positivo e negativo

57-58target e distribuzione

69-70costruzione e studio font

59-60dall’esoeditoria ad oggi

71-74

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INTR

OD

UZI

ON

E

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L’immagine nel mondo della comunicazione è tutto. Non a caso la cosa più importante per una azienda è quella di sapersi presentare. Un ente, un prodotto o un’azienda ha sempre bisogno di mostrarsi all’esterno, essere riconoscibile al cliente ed ai potenziali clienti. Ciò che rende identificabile una marca o un prodotto è il marchio e la corporate identity, l’immagine aziendale. Il marchio è il primo contatto, la prima “impressione” che il cliente ha sull’azienda, l‘iniziale fase di fidelizzazione di un consumatore. E’ in questo contesto che il buon progettista grafico sa risolvere i problemi dati dal richiedente del marchio, con elementi grafici, segni, stilizzazioni e quant’altro.

Lo scopo del marchio è racchiudere l’essenza della marca\prodotto. Ciò che ho cercato di fare in questa lavoro, è analizzare il percorso che porta alla creazione di un marchio ed alla sua applicazione nell’immagine coordinata. Dalla fase di ricerca e studio, fino al layout finale passando per tutte quelle che sono le prove di applicazione del marchio. Per fare una più esaustiva analisi del concetto di marchio ed immagine coordinata, ho ripercorso i periodi storici più significativi, facendo un rapido riepilogo dalla nascita del segno grafico, dalle sue primitive origini fino all’era moderna. Infine presenterò una analisi pratica di un brand image progettato su richiesta, analizzando le fasi di esecuzione. Dal bozzetto all’esecutivo finale del marchio, la costruzione geometrica, le variazioni cromatiche e l’immagine coordinata aziendale.

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Il marchio è il segno distintivo che rende unica una marca, il cui obbiettivo è contraddistinguere, rendere riconoscibile ed indicare qualità e caratteristiche uniche. L’essenza dell’azienda riassunta in elemento grafico. In una economia caratterizzata dalla competizione crescente infatti, essere “anonimi” è chiaramente uno svantaggio. Il cliente infatti non si affida più al prodotto o al servizio anonimo, ma preferisce il prodotto definito “di marca”, sinonimo dunque di qualità, il cui marchio ne garantisce il valore. Figurativi, astratti, tridimensionali e monogrammi, ovunque ci giriamo potremo notare un marchio di qualsiasi tipo di prodotto. Viviamo immersi nella comunicazione e nella pubblicità dove, se il prodotto diventa una fede, il marchio ne è il profeta. Scegliere con cura quale sezione della memoria raggiungere e scegliere conseguentemente l’adeguato effetto grafico più efficace, è il vero lavoro del grafico moderno. Non è possibile fare una rassegna dei marchi in circolazione, o fare una stima quantitativa, ma possiamo solamente cercare di distinguerli per natura grafica.

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“Il giorno comincia dopo aver visto il proprio marchio di fiducia, (…) sino a quello che si vede per ultimo sulla sveglia prima di spegnere la luce.”

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FIG

UR

ATIV

I

Iniziamo la nostra classificazione dei simboli partendo da marchipuramente figurativi, cioè disegni trasformati in marchio commerciale dalla stilizzazione compiuta dal progettista per ottenere l’effettodesiderato. Il grado di riconoscibilità dell’elemento di partenza è adiscrezione del grafico e varia a seconda di cosa egli voglia comunicare.

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AS

TRATTI

Vediamo di seguito esempi di marchi astratti, dove in essi l’immagine dell’oggetto rappresentato, solitamente un oggetto associabile al prodotto o all’azienda, è ancora presente e distinguibile (occhio, antenna tv, presa elettrica). Alcuni di questi segni hannio l’aspetto di diagrammi, rappresentazioni schematizzate di binari ferroviari o di bobine di carta.

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MO

NO

GR

AMM

I

Qui invece abbiamo una selezione di marchi la cui caratteristica premi-nente è la riconoscibilità di lettere dell’alfabeto, detti anche monogrammi.Spesso le stesse iniziali della società o del prodotto reclamizzato sono uno spunto per trovare l’effetto grafico desiderato. Vengono spesso utilizzati per associazioni ed organizzazioni, proprio perché è difficile trovare immagini di riferimento e le iniziali diventano un elemento di distinguibilità immediata.

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MO

NO

GR

AM

MI

Il disegno dei monogrammi può essere caratterizzato da diverse varietà di stili o espressioni di grafica. Le lettere possono essere presentate in forma negativa o positiva, essere piene o solo delineate. Altro tipico metodo per crere un segno è usare un tratto continuo, come nella scrittura a mano. Nelle due ultime file è infatti più difficile riconoscere le lettere a causa della maggior accentuazione della stilizzazione.

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Di seguito vediamo una serie di segni dai tratti pieni. Nelle prime due fasce caratterizzati dall’effetto bidimensionale, mentre nell’ultima abbiamo simboli che tendono ad esprimere tridimensionalità. In quest’ultima tipologia di segno, vengono usati effetti grafici quali la falsa prospettiva e l’illusione inusuale del volume, con lo scopo di catturare l’attenzione di chi guarda.

VOLU

ME

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In quest’ultima selezione sono presentati alcuni marchi detti circolari, definiti cosi perchè tendono a simulare un movimento rotatorio o a spirale. La freccia infatti negli ultimi cinquant’anni ha assunto a livello globale ed in maniera inequivocabile, il significato di movimento. Nei marchi moderni è infatti molto ricorrente.

CIR

CO

LARI

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Concorso ricorrenza anniversario Albert Durer, studio di un marchiocon elementi fissi: “AD71”

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Platone tenta di dare una corretta definizione della parola conoscenza, identificando nel termine logos ben tre significati:è l’espressione tramite suoni linguistici del pensiero; è l’enumerazone delle caratteristiche di una cosa; è l’individuazione della differenza di una cosa, vale a dire di quel particolare segno che la differenzia da tutte le altre cose e la definisce nella sua realtà specifica.

In questi significati è racchiusa l’essenza stessa della funzione espletata del marchio.

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Chi intende presentarsi con un simbolo visivo vuol stabilire un contatto sensoriale-visivo con una o più persone, trasformando il proprio nome o la propria attività, e le caratteristiche del suo prodotto, in un segno significativo. Il marchio intensificherà il contatto, e nel corso del tempo diventerà simbolo della persona, della sua Attività, del suo prodotto, senza bisogno di ulteriori spiegazioni. Il segno deve assumere un valore costante nel tempo; l’importanza che ha il marchio, di carattere pubblicitario o culturale, nell’ambito delle comunicazioni visive, lo giustifica come une delle progettazioni grafiche più difficili, quale prodotto di lunghe ricerche e prove, fino ad arrivare alla migliore soluzione.Il marchio deve essere di valore costante: deve durare nel tempo; le sue forme e il suo contenuto devono essere progettati a lunga scadenza.La progettazione di un marchio è il compito più interessante.

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Fasi di sviluppo e definitivo di un marchio di Alfred Hohenegger

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Fig. 1 Marchio disegnato da Neigh Tutt GrunwaldFig. 2 Simbolo indiano della continuità, caratterizzato dalla curva continua

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L’enorme forza espressiva di questi marchi, simboli, e la loro efficacia pubblicitaria sta nell’immediatezza della percezione ottica da parte dell’osservatore. Può bastare una frazione di secondo per la perfetta percezione di un marchio, per azionare nell’osservatore una catena di associazioni, di pensieri riguardanti la posizione, la serietà, l’importanza, la capacità, la qualità della ditta o del suo prodotto. In più casi, il marchio per un singolo prodotto ha raggiunto un significato cosi importante che ha relegato il vero e proprio marchio di fabbrica o della ditta in un secondo piano. Il marchio ben studiato, coscienziosamente progettato ed eseguito in modo da essere applicato ed utilizzato con, e su tutti i mezzi di comunicazione, moderni, diminuisce lo sforzo dell’azienda per conquistare la fiducia del cliente. Complicate spiegazioni, lunghi testi pubblicitari, immagini, illustrazioni risultano inutili. Il solo marchio rappresenta, simbolicamente, tutta la pubblicità di un’azienda.

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In nessun caso il marchio deve assomigliare o ricordarne un altro e deve escludere ogni pericolo di essere identificato o confuso con un altro.

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Nel limite del possibile, la forma e la composizione del marchio debbono essere l’espressione di una idea, della caratteristica o del tipo della persona, istituzione, di una professione.

Essendo marchio di riconoscimento, deve essere chiaro, semplice, facilmente ricordabile, affinchè si possa comprendere, identificare immediatamente. Questo si raggiunge con la rappresentazione per mezzo di una forma geometrica, che racchiude il significato. Spesso è poi la stessa forma geometrica che fornisce lo spunto per il simbolo.

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Marchio Admiral CorporationMorton Gordsholl

Marchio per la lanaFrancesco Saroglia

Cooperativa di sartiKarol Sliwka

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Prove dimensione per il marchio NMdesign di Nathan Murrell

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L’utilizzazione del marchio deve essere possibile in tutte le forme e su tutti i mezzi, siano essi bi – o tridimensionali, stampa su carta, su altri materiali come il legno, il metallo quale supporto non sempre piatto. Si deve prestare per una eventuale insegna luminosa o per lavorazione metalliche o plastiche.

Prove dimensione per il marchio Milk Company di Gerhard Marx

Il marchio deve essere simbolico: il suo significato deve essere identificabile o almeno risvegliare l’intuizione per il contenuto nell’osservatore.

Ogni marchio dovrebbe essere riducibile, nella sua forma, al massimo (carta intestata), mentre nell’ingrandimento si riscontrano sempre meno problemi.

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Trasformato da positivo in negativo, il marchio non deve avere diminuita la sua espressività. Bisogna prevedere il possibile cambiamento totale della forma, rovesciando un positivo in negativo e viceversa.

Marchio versione in postitivo e negativo di Bob Noorda

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Il marchio deve essere progettato in bianco e nero.Solo in un secondo tempo si studia una rappresentazione a colori.

Prove in negativo e positivo e prove colori per Tea Story di Michal Becker

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La preparazione di varianti del marchio (riduzioni e ingrandimenti fotografici, positivi e negativi, presentato su diversi fondi, retinati ecc.) fornisce un quadro più completo delle possibilità di applicazione dello stesso, rendendo da subito più facile l’inserimento del marchio nei diversi contesti. Il simbolo può, ma non deve per forza essere completato con il nome dell’azienda o con il nome proprio (logotipo). Questo può essere completato o con una scritta caratteristica che si inserisce formalmente nel simbolo, o si aggiunge organicamente allo stesso (pay-off). La scritta non necessariamente deve apparire sempre nella stessa proporzione rispetto al simbolo: può essere ingrandita e ridotta secondo le esigenze del momento.

Simbolo con freccia ed elaborazione fotografica di R. Bolaffi

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24Marchio parola (logo) per azienda meccanica

Marchio parola (logo) per compagnia aerea

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È la parte simbolica di un marchio, l’emblema non leggibile e non pronun-ciabile che rimanda all’impresa. Viene anche detto pittogramma. Esso riproduce graficamente l’oggetto rappresentato. Nasce dalla sintesi di uno o più concetti per rappresentare la realtà, un’ idea o una sensazione. I pittogrammi possono essere divisi in: Ideogrammi, riproducenti cioè una immagine reale o astratta, ma anche un concetto o un’idea. Iconografici, quando si riscontra un rapporto di somiglianza con il referente nella re-altà, cioè foto o disegni esistenti.

È la parte del marchio che viene letta, derivante dal greco logos che sig-nifica infatti parola, discorso ragione e da type che vuol dire impronta, segno, firma o marchio. Mentre il marchio ha una funzione visivamente identificativa, il logotipo ha la funzione segnaletica, è perciò che deve sempre essere riconoscibile su ogni materiale o misura ridotta. Il logotipo è quindi la denominazione dell’azienda, e resta sempre uguale, per carat-tere e colore. Spesso un marchio viene risolto riassumendo le caratter-istiche del segno o figura e del logotipo in un unico simbolo. E’ questa la soluzione preferita da molti perchè riduce gli elementi dell’immagine all’essenziale. Possiamo classificare il logotipo in: monogrammi, quan-do è presente un unico segno. Tipogrammi, quando i caratteri sono già esistenti. Logotipi, quando i caratteri sono nuovi, ideati ad hoc.

LOGOTIPO

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Il pay-ogg è il ponte psicologico tra azienda e pubblico.E’ una combinazione di parole che nel tempo diventa un messaggio pubblicitario a tutti gli effetti, capace anche, nei casi meglio riusciti, ad entrare nel linguaggio di tutti i giorni e rimanere impress nella memoria. Letteralmente significa liquidazione, saldo finale o chiusura (esempio: Crodino, l’analcolico biondo fa impazzire il mondo). Viene infatti usato per chiudere il messaggio lanciato dal marchio stesso. Solitamente posto sotto o a fianco del marchio è un elemento verbale che accompagna il simbolo, capace di riassumere in una frase il plus dell’azienda o del prodotto, cioè quel qualcosa in più rispetto alla concorrenza.

L’ENE RGIA CHE TI AS COLTA.

SIMBOLO

PAY-OFF

LOGOTIPO

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Sassi dipinti a Mas d’Azil, media Età della pietra

Marchi a fuoco per bestiame, Nord America, sec. XVIII - XIX

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Datare l’origine del marchio è cosa difficile. Fin dalle sue origini l’uomo ha cercato di comunicare attraverso i segni. Risalgono infatti all’età della pietra i primi segni ritrovati (Mas d’Azil – francia – 12.000 a.C.), anticipando la scrittura i primitivi incidevano nelle caverne o su oggetti, simboli di firma per identificare persone o tribù. Dunque una storia antichissima, una volontà di comunicazione attraverso i segni che accompagna l’uomo attraverso la sua evoluzione e i contesti storici.Dai primi marchi sul bestiame risalenti alla civiltà egiziana, ai segni dell’astrologia e dell’alchimia delle civiltà del medioevo fino ai primi monogrammi dell’antica grecia, la ricerca del segno grafico testimonia il desiderio di comunicare visivamente e, nel caso dei monogrammi, costruire parole in forma compatta e sintetica già ai primordi della scrittura. E cosi fecero anche le religioni, che adottarono dei precisi segni che le rendessero identificabili e riconoscibili in tutto il mondo.

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Segno distintivo ma anche garante di qualità e prestigio, cosi come i marchi contemporanei, anche i primi marchi di casato nel medioevo servivano a rappresentare e distinguere le grandi famiglie nobili le une dalle altre, dando origine ad una disciplina come l’araldica (settore del sapere che ha lo scopo di individuare, descrivere e catalogare gli elementi grafici utilizzati, nel loro insieme, per identificare in modo certo una persona, una famiglia, un gruppo di persone o una istituzione).

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I marchi di natura commerciale nacquero proprio in questa ottica, quando i mercanti marchiavano la propria merce perchè non venisse scambiata per errore. E per lo stesso motivo gli artigiani crearono segni identificatori per i loro prodotti, dal medioevo fino ad oggi, e furono i primi ad usare il marchio come lo intendiamo noi nell’epoca attuale (cioè come “pubblicità”). E proprio gli artigiani sentirono per primi il bisogno di imprimere il proprio marchio sui prodotti finiti a conferma della loro originalità.

Ma è con la scoperta della stampa tipografica a colori e lo sviluppo dell’industria pubblicitaria del ‘900 che abbiamo l’evoluzione completa del concetto di marchio, in cui cioè i segni iniziarono a veicolare messaggi ed idee. E la comunicazione visiva cominciò a divenire parte integrante della nostra civiltà.

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Fig. 1 Marchi di casato cinesi Fig. 2 Marchi araldici europeiFig. 3 Segni di commercianti del XIV sec.Fig. 4 Marchio commerciale figurativo del XVIII sec. Fig. 5 Marchio artigianale

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Fig. 1 Albert Durer, firma marchioFig. 2 Nicolas Jenson e Giovanni da Colonia, marchio per stamperia, Venezia 1481

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Dunque la riconoscibilità attraverso espedienti grafici inizia a veicolare valori quali la resistenza del prodotto, il valore estetico, il valore della costruzione e sopratutto la fama del costruttore, nè è un esempio il monogramma di Albert Durer o quello adottato da Nicolas Jenson e Giovanni da Colonia per la loro stamperia a Venezia nel 1481. Fu con il medioevo, come abbiamo anticipato prima, che la parola divenne figura, e si passò gradualmente da una tipologia di marchio legato al lessico, alfabetico e lineare, ad una grafia simbolica ed iconica. Un esempio è la croce, elemento geometrico usato ed abusato in quanto sintesi tra il cerchio ed il quadrato, protagonista della grafia Cristiana ed alchemica. E’ però verso la fine dell’800, con l’affermarsi dell’Art Nouveau, che spicca con forza il legame tra segno e dimensione culturale e sociale, che fa riferimento allo stile essenziale delle stampe giapponesi ed ai rapporti tra linea e superficie, tra positive e negative, processi che tendono alla semplificazione del segno grafico. In questo lasso di tempo ci si rese conto che un marchio funziona, cioè comunica, quando l’emittente usa il linguaggio del destinatario, legato dunque all’iconografia e al gusto del tempo. Un esempio di questo rapport tra pieni e vuoti lo troviamo nel disegno qui a fianco di Will Bradley del 1894, raffigurante una ballerina.

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È con la secessione Viennese, che trova in Koloman Moser e J. Hoffmann i suoi massimi esponenti, che si passa dall’ornamento alla geometrizzazione dei grafismi (ma anche delle architetture, e del design) rendendo il modulo quadrato l’elemento cardine della loro progettazione; anticipando il razionalismo ed i principi della Gestald come in alcuni monogrammi di Moser del 1903. Ne è un esempio il marchio Wekstatte.

Diventa sempre più chiaro che il mar-chio non deve solamente aderire ai canoni del gusto estetico-culturale del tempo, ma deve essere unico, differenziarsi da cio che lo circonda. In questo periodo è un importante evento che porta a compimento tale secessione ovvero la progettazione per AEG di Behrens. Con Peter Beh-rens nasce il concetto di immagine coordinata.

Fu infatti il primo a pensare, proget-tare ed articolare tutto il “visibile” di una azienda. Riuscì a pubblicizzare e coordinare visivamente tutti i prodotti dell’azienda, imprimendo uno sitle unico ed inconfondibile che va dal logo agli edifici, dagli oggetti ai carat-teri tipografici, lettering e visual delle champagne pubblicitarie, facendo si che ogni cosa diventasse segno dis-tintivo dell’azienda.

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Koloman Moser,marchio Wekstatte - 1903

Fig. 1 Peter Behrens, marchio - 1908Fig. 2 Peter Behrens, marchio ufficiale - 1912

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Oskar Schlemmer,marchio Bauhaus

Ying\Yang,disegno per l’Istituto Gestalt di Houston

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Nei primi del 900, con la nascita delle avanguardie e le scoperte dulla percezione visiva, si andava progressivamente verso l’essenzialità e l’abbandono dell’ornamento. Nacque la scuola del Bauhaus, il cui fine era la progettazione di una comunicazione chiara, che evidenziasse il massimo del messaggio attraverso la riduzione degli elementi, il rigore geometrico. Anche in questo caso, lo stile di questa scuola investì non solo la grafica ma tutto il visibile.

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36“Percepire e pensare sono attività coincidenti e soggettive.”

J. W. Goethe

Aicher e Gugelot, logo Braun, scuola di ULM

Dopo la chiusura del Bahaus, toccò alla scuola di ULM conciliare la forma-prodotto, il cui punto cardine era la coordinazione del disegno del prodotto con l’immagine aziendale. Ovviamente grande importanza veniva sempre data allo studio del marchio. Con l’avanzare delle nuove scoperte in psicologia della forma e percezione visiva, arrivammo alla già citata Gestald, il cui nome significa forma, struttura, figura, e si fonda sul principio che il cervello non riceve passivamente gli stimoli dall’esterno, ma li riorganizza al suo interno in modelli soggettivi, dando molta importanza a come le cose appaiono. Questa corrente riscrisse e stravolse la grammatica visiva. Da qui in poi gli studi sulla distinguibilità e sulla percezione visiva si applicarono sempre di più al mercato, fino ad arrivare ad oggi, al Packaging design, con lo scopo di differenziare i beni dall’involucro contenente e indirizzare così la scelta del consumatore.

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Quando si parla di un’azienda la si considera come un’entità con una propria identità che la contraddistingue e la differenzia dalle concorrenti. L’identità di un’azienda - l’immagine coordinata -come quella di un individuo va costruita nel tempo, giorno per giorno, in modo da essere riconoscibile dagli utenti. L’immagine coordinata di un’azienda deve rispettare la sua mission, gli obbiettivi, il target, lo stile, i metodi manageriali e la comunicazione a 360°, interna, esterna, di prodotto, visiva. Tutti gli elementi devono essere coordinati fra loro in modo armonico, come per costruire una melodia senza stonature. Con immagine coordinata si intende generalmente in ambito comunicativo l’immagine grafica, l’identità visiva dell’azienda, il logo e altri elementi da analizzare. Tutti i vari elementi visivi devono essere correlati fra loro e seguire lo stesso filo narrativo senza deviazioni.

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Esempio di immagine coordinata per Vignenote applicata ad oggetti,Ranieri Design - Brescia

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L’azienda necessita di una sua identità, è “il suo essere, nonostante il continuo divenire del mercato” che la differenzia dai concorrenti. Corporate identity e corporate image, sono i termini con i quali solitamente ci si riferisce a tutto ciò che un azienda è: dalla fabbrica ai dipendenti, la storia, i progetti presenti e quelli futuri, le strategie adottate, il concept, le politiche di distribuzione e di vendita, tutto ciò che concorre alla percezione del marchio, che va rafforzata e costruita giorno dopo giorno. Tendenzialmente le grandi aziende possiedono tre livelli d’immagine:immagine di gruppo (corporate image), immagine di marca (brand image), immagine di prodotto (product design), che in questo caso riguarda i singoli prodotti. Un esempio di questa divisione è la casa automobilistica Volkswagen, per la quale si parla di corporate image, ma se prendiamo in considerazione la gamma “Golf”, si tratta di brand image, data la connotazione che questo modello porta con se. Le prime aziende a necessitare di un coordinamento di immagine furono le grandi imprese dei servizi, come le compagnie aeree, che dovevano rendere la propria comunicazione riconoscibilie anche dalla sola font utilizzata.

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40Esempio di applicazione del marchio Olivettinei punti vendita di Venezia e Ivrea

Sopratutto le multinazionali hanno bisogno di un sistema che codifichi tutte le comunicazioni ed i prodotti, cosi da non rischiare stravolgimenti di immagine. La IBM fu la prima - con Paul Rand che nel 1956 ne curò logo e comunicazione - seguita da Fiat, Olivetti, Xerox e molte altre. Il cosidetto “manuale” (le principali linee guida da tener presente in tutta la comunicazione) è la parte dell’immagine coordinata che vincola attentamente le modalità d’impiego di tutto il programma d’immagine di una azienda.

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Fig. 1 Peter Behrens, progetto Turbinefabrik - 1909 Fig. 2 Peter Behrens, manifestoper il settore lampade - 1908 Fig. 3 Peter Behrens, design teiera - 1907 Fig. 4 Peter Behrens, design ventilatore - 1908 Fig. 5 Peter Behrens, variante del marchio 1908Fig. 6 Otto Eckmann, marchio - 1900

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Solitamente si inizia con la presentazione del marchio in determinate misure e in determinati colori, scelti per rappresentare l’azienda e per non sfigurare con la diminuzione o l’aumento delle dimensioni. Seguono l’impaginazione degli stampati e della modulistica, le disposizioni per gli stampati aziendali, la segnaletica interna ed esterna (quando serve), le vetrine, packaging di prodotti e tutto il resto del visibile. Tutto è attentamente vincolato cosi da non lasciare interpretazioni nell’utilizzo, una sorta di istruzioni per l’uso insomma. La prima multinazionale ad usare questo tipo di manuale fu appunto l’IBM come già detto, ma il primo caso in assoluto di immagine coordinata fu quella realizzata da Peter Behrens (architetto) nel 1907 ed il 1910 in Germania. La società per cui realizzò tale manuale fu l’AEG, operante nel settore elettrico, per cui disegnò e progetto tutto; partendo dal redesign del logotipo, creò nuovi cataloghi, manifesti promozionale e stampati, ma anche prodotti quali lampade da strada e bollitori elettrici, padiglioni espositivi ed infine l’architettura delle fabbriche, come il famoso edificio denominato “Turbinefabrik” del 1909. Il caso di Behrens è sicuramente unico nella storia dell’architettura, del design e della comunicazione visiva. Ciò che è fondamentale nel coordinamento e nella realizzazione dell’immagine aziendale, è avere ben presente il concept, cioè il sunto della filosofia aziendale, i valori che danno il via alla progettazione del corporate e che devono essere rispecchiati quanto più fedelmente possibile al fine di ottenere credibilità e raggiungere i risultati preposti.

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È sempre difficile iniziare un nuovo lavoro, ma non per questo bisogna lasciarsi tentare dall’agire d’istinto e fermarsi davanti alla prima soluzione che viene in mente. A volte l’intuizione e la casualità possono essere di grande aiuto nel fornire delle idee innovative e originali, ma tutto va inserito, comunque, in un contesto logico ben pensato e definito. All’origine dell’atto creativo c’è la trasformazione delle informazioni che sono contenute dentro e fuori noi stessi. Dentro, perchè ognuno di noi ha un bagaglio personale, costituito dalle proprie conoscenze ed esperienze. Fuori, perchè raccogliamo continuamente informazioni all’esterno di noi, sui mass media, attraverso i briefing con i clienti e, soprattutto attraverso un’attenta osservazione di ciò che ci circonda. Più ampie sono le nostre conoscenze e informazioni sull’argomento oggetto del nostro lavoro maggiori sono le probabilità di produrre idee creative in funzione del progetto che dobbiamo sviluppare. Per aumentare le possibilità di successo è bene affrontare i nodi cruciali seguendo uno schema ben preciso: definizione del problema in tutte le sue componenti, raccolta delle informazioni utili ad aumentare la conoscenza del problema, definizione della strategia più adatta a risolvere il problema, ideazione della soluzione, controllo ed analisi dei risultati.

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Fig. 1 Peter Kramer, marchio per Plumbing Contractors, azienda idraulica, USAFig. 2 Yorikazu Hirata, marchio per Station Hotel, GiapponeFig. 3 R. Ruotsinsalo, marchio per Black Cat – serie di romanzi gialli, FinlandiaFig. 4 Benno Wissing, marchio per Leidschenhge, macchine industriali, Olanda

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Bob Noorda, Roberto Sambonet, Pino Tovaglia e Bruno Munari, studio del marchio Regione Lombardia, 1974. Simbolo grafico nato dalla stilizzazione del graffito rupestre della cosidetta “rosa camuna” della Val Camonica.

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Briefing significa letteralmente “istruzioni per una missione militare”. In pubblicità si tratta dell’incontro tra l’account executive, responsabile dell’agenzia, ed il cliente. Il briefing è un importante momento di scambio di informazioni da cui poi scaturisce il brief. Il brief non è altro che quel documento che viene analizzato dalla coppia creativa art director e copy writer e su cui sono elencati tutti i punti fondamentali per progettare la comunicazione. Il briefing è una riunione durante la quale il cliente trasferisce all’agenzia una quantità di informazioni sul progetto da svolgere, il suo pubblico, i suoi concorrenti, le strategie, il budget. Si comincia sempre dall’oggetto della nostra comunicazione. Si prosegue interrogandosi sull’identità del prodotto: quando è nato, quali sono i suoi vantaggi, quali gli svantaggi, qual è la sua immagine presso il pubblico, quanto costa, chi lo usa, quale tono di comunicazione bisogna usare, quali sono le parole chiave, etc.). Il brief riassume, in maniera schematica, tutte le informazioni necessarie ad avviare un lavoro. La creatività da sola non basta a decretare la validità di un nuovo progetto grafico che, oltre che bello deve soprattutto essere coerente e funzionale con l’obiettivo che ci si è imposti.

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Il processo creativo per essere valido deve essere coerente con gli obiettivi comunicativi dell’azienda committente, produrre un beneficio oggettivo e non essere fine a se stesso. Ricordiamoci dei princìpi della Gestalt: in ogni immagine l’occhio cerca di individuare la geometria della composizione. Inoltre, è spinto a ricondurre tutto a forme primarie, a configurazioni mentali semplici e riconoscibili, a strutture sintetiche. Il grafico è chiamato a creare idee e risolvere i problemi nel modo migliore, elaborando delle soluzioni efficaci ed originali. Ci sono dei metodi e degli strumenti elaborati da esperti, che aiutano il momento dell’ideazione, che fanno scattare la molla nel momento opportuno, portando infine alla soluzione più valida. Tra i metodi utilizzati per produrre nuove idee, un posto di primo piano spetta al brainstorming, termine che in inglese significa “cervello in tempesta”. Il brainstorming è una tecnica di produzione di idee da bisogna effettuare in gruppo. Una persona che funge da conduttore e mediatore dell’incontro spiega ai presenti il tema della ricerca. Ognuno dei partecipanti viene invitato ad esprimere tutte le idee possibili sull’argomento. Non importa se queste possono sembrare assurde o irrealizzabili. L’importante è produrre il massimo di idee possibili, senza curarsi della loro qualità. Il brainstorming, in quanto lavoro di gruppo, favorisce il passaggio continuo dall’idea globale al particolare senza sacrificare l’apporto individuale, ma anzi arricchendolo, completandolo attraverso un confronto aperto.

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SVILUPPO e SELEZIONE

Fig. 1 Max Schmid,marchio per Hersberger,design d’interni, USAFig. 2 Norman Ives,emblema per una banca, USA

Una volta sintetizzata l’idea, occorre visualizzarla su di un foglio (mettere nero su bianco). Il disegno è sicuramente il mezzo più idoneo per compiere questa operazione. Lo schizzo (rough) è tracciato con pochi segni essenziali, velocemente e a mano libera, allo scopo di rendere visibile il percorso dell’idea. Il bozzetto è il momento di maggior espressività del segno grafico, e non è raro che diventi un’immagine finita. Si concentra poi l’attenzione sugli schizzi che risultano più idonei delimitando l’area di lavoro alle idee più coerenti. Una volta identificato il bozzetto appropriato, si procede a ricrearlo al computer mediante software appropriati (illustrator, freehand,...), si inseriscono i caratteri ed il colore, si posizionano le forme e gli tutti quegli elementi grafici che devono essere inclusi.Più numerosi saranno i bozzetti, più facile sarà scegliere le idee giuste e sviluppare le soluzioni adeguate ad un progetto fattibile (layout).

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Complicare è facile, semplificare è difficile.Per complicare basta aggiungere, tutto quello che si vuole: colori, forme, azioni, decorazioni, personaggi, ambienti pieni di cose. Tutti sono capaci di complicare. Pochi sono capaci di semplificare. Per semplificare bisogna togliere, e per togliere bisogna sapere che cosa togliere, come fa lo scultore quando a colpi di scalpello toglie dal masso di pietra tutto quel materiale che c’è in più. Teoricamente ogni masso di pietra può avere al suo interno una scultura bellissima, come si fa a sapere dove ci si deve fermare nel togliere, senza rovinare la scultura?

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Togliere invece che aggiungere vuol dire riconoscere l’essenza delle cose e comunicarle nella loro essenzialità. Questo processo porta fuori dal tempo e dalle mode.La semplificazione è il segno dell’intelligenza. Un antico detto cinese dice: “quello che non si può dire in poche parole non si può dire neanche in molte”.

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VentiDarte è una rivista in progettazione che punta a divenire veicolo di informazioni sull’arte contemporanea locale e vetrina per giovani artisti e non. Nasce dall’idea di Ezio, giovane curatore di eventi legati all’arte che fonda ART20, una piccola associazione culturale che organizza eventi. Da mostre d’arte a corsi di fotografia, scultura, pittura... insomma cultura a 360°. L’associazione viene appoggiata dalla Locanda DeGusto di Maser (TV), una raffinata enoteca che all’occorrenza diventa contenitore di eventi. ART20 realizza personali di giovani artisti della provincia di Treviso che sin dall’inizio riscuotono un discreto successo. Particolare buon esito ottiene “Notte Gottarda”, serata ambientata in una chiesetta dove pittura, poesia e swing sono i protagonisti, accompagnati da un aperitivo. Dopo questa esperienza, il successo di ART20 si consolida e prende forma l’idea di creare un supporto d’informazione delle proprie attività. Ezio apre un blog dove vengono aggiornate tutte le notizie riguardanti mostre, concerti, performance... Ed è in questo periodo che ha inizio il primo corso di fotografia, un percorso di tre mesi che si concluderà con una mostra degli scatti prodotti dagli aspiranti fotografi durante il ciclo formativo. Sarà infine l’ultimo successo di ART20 a concretizzare l’idea di Ezio ed indirizzarlo nella produzione una rivista. Un peculiare precena dove assieme a del buon vino viene proposta una esposizione di illustrazione la cui stessa storia illustrata viene interpretata in una performance da una compagnia teatrale. La serata registra il tutto esaurito ed attira le critiche positive di tutti. Ciò che Ezio e la sua associazione culturale vogliono fare ora è creare uno spazio nuovo per l’arte locale. Parte cosi il progetto rivista. Viene richiesta la progettazione del marchio e immagine coordinata per il periodico, che sarà gratuito, pensato per i giovani, con contenuti riguardanti l’arte in tutte le sue sfacettature.

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PROGETTO MARCHIO

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Dopo il brief con il committente, una breve analisi sulla mission e sul target di riferimento, ci troviamo di fronte alla progettazione di una immagine coordinata che deve apparire moderna, semplice e che rimandi immediatamente all’arte. A richiesta specifica del richiedente il nome della rivista deve avere un collegamento all’associazione di riferimento (art20). Deve essere originale e comunicare novità. Il marchio non dovrà essere complesso o troppo articolato, ma bensì qualcosa il più stilizzato possibile, pulito, essenziale, ed avere qualche relazione con l’arte moderna. Il nome VentiDarte al momento in cui viene pensato non risulta essere già stato usato, salvo per una mostra in Friuli Venezia Giulia che comunque oltre ad essere già conclusa, la parola “venti d’arte” è usata solamente come sottotitolo. Solo dopo qualche mese scopro essere stato da poco aperto un sito web di una compagnia di professionisti di Lucca, operanti nel restauro e nella progettazione grafica denominata proprio Venti d’Arte. Certo la parola cambia ma il significato rimane lo stesso. Ma la distanza geografica, il diverso settore operativo ed il fatto di aver già scelto il nome da tempo e ormai già sviluppato parte della progettazione mi convincono a mantenere il nome invariato. Considerando il vasto settore delle riviste d’arte inizio una ricerca sui marchi già esistenti, così da cercare di sviluppare una immagine unica. Sfogliando riviste e navigando sul web ho notato come molte riviste di settore presentino giochi di lettering nel marchio, se non logotipi con pittogrammi di riferimento nel nome. Solo alcuni dei marchi esaminati propongono dei monogrammi.

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Ho iniziato quindi i rough buttando sul foglio tutte le idee che venivano, concentrandomi principalmente sui monogrammi, che mi sembrava essere il segno meno comune nelle riviste analizzate. Dati questi presupposti ho scelto di rappresentare le iniziali della rivista usando forme geometriche. L’idea di utilizzare queste due precise forme (triangolo e semicerchio) per il monogramma è ispirata ad un quadro del 1919 di Kurt Schwitters. Il risultato è un monogramma stilizzato, con le lettere iniziali che si incanstrano tra loro. La forma viene inclusa in un cubo, che succesivamente coloro con una tinta piatta e, persa la tridimensionalità diventa un trapezio. Questa risulta spingere otticamente verso sinistra, ma bilanciata con il logotipo sulla destra trova un suo equilibrio. Il font utilizzato è pieno, e costruito su rigide forme geometriche, leggibile solo in titoli o scritte a media grandezza.

Marchio VentiDarte, esecutivo versione a colori

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Marchio VentiDarte, collegamento iconografico e sviluppo

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La nostra mission è parlare d’arte, con particolare interesse ai giovani artisti dando loro la possibilità di esprimersi in uno spazio nuovo, parlare di loro stessi e dei loro lavori. Intrecciare le arti applicate al fine di offrire nuovi spunti al pubblico.Creare un nuovo canale di informazione culturale libera che guardi l’arte a 360°.

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Simbolo VentiDarte, rough iniziali

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Simbolo VentiDarte, esecutivo versione positivo e negativo

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59Marchio VentiDarte, costruzione geometrica

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60Studio font e prove dimensione

VENTI DARTEVENTI DARTE

VENTI DARTEVENTI DARTE

ARTEVENTI DVENTI DARTE

ARTEVENTI DVENTI DARTE

VENTI DARTEVENTI DARTE

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6VENTI DARTEVENTI DARTE

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Studio di tre possibili colori per il marchio, sviluppo da immagini di quadri dadaisti

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Marchio Ventidarte, prove colori e definitivo

Colore Pantone 4975 CC 15% M 100% Y 90% K 80%

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Marchio Ventidarte, prove dimensione

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Immagine coordinata, carta intestata, busta e biglietto da visita

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rivista d’arte contemporanea

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VentiDarte non vuole essere una rivista di critica d’arte ma bensì di divulgazione.Lo scopo è quello di “mostrare” e promuovere l’arte e i giovani artisti. I testi vengono volutamente ridotti lasciando spazio solo per informazioni e pensieri sull’artista, che introducono le opere correlate. Nel più dei casi si tratta di un breve riassunto della vita dell’artista o qualche elemento della poetica. Ciò che più interessava, era proprio l’impatto visivo. Questo in qualche modo la vuole rendere più simile ad un catalogo che ad un periodico vero e proprio, perché le informazioni sono più visuali che non scritte. L’impostazione grafica si rifà al comune catalogo d’arte, con uno stile minimalista dove lo studio delle gabbie, del carattere e del suo corpo e la disposizione delle immagini sono funzionali al solo scopo di valorizzare l’opera: il nome dell’artista proposto in grande dimensione (83pt) come titolo introduttivo, occupa la parte centrale della pagina e viene affiancato da una prima opera a tutta pagina che introduce il capitolo. Nella pagina di seguito abbiamo il testo al centro e nella successiva una proposta di opere. A seguire solo immagini di lavori dell’artista. Poco testo, affiancato da molte immagini permettono di concentrare l’attenzione sui lavori. Non appaiono gli elementi tipici dei periodici quali per esempio occhielli, titoli o distici, così da giocare sull’impatto visivo reso dal testo e gli spazi bianchi. Infatti bilanciare il nero del testo con il bianco della pagina, tenendo conto dei rapporti con le immagini nella pagina vicina, risulta un buon metodo per ottenere ordine e luminosità. Le gabbie seguono sempre uno schema quadrato dove la dispozione del testo allineato a bandiera, cambia per ogni artista. Sono simmetriche e modulari, ricercano chiarezza e leggibilità, ed evitano elementi decorativi che distraggono dall’opera. La posizione del titolo, ovvero il nome dell’artista in questione, gioca ad incastro con il testo. Mentre a volte entra nella gabbia altre volte è centrato o affiancato al blocco testo. Le immagini hanno nel maggiore dei casi un rapporto di pagina di 2\3, i colori vengono ridotti a 2 – 3, e lo stile è unico ed unitario ricorrente in tutto il progetto.

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Esempio di impaginazione di una pagina introduttiva

NOME DELL’ARTISTA

DIDASCALIA

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Esempio di impaginazione di una pagina con testo

TESTO

TITOLO

TESTO

TESTO

DIDASCALIA

DIDASCALIA

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VentiDarte sarà distribuita gratuitamente nei luoghi di cultura quali mostre, associazioni, gallerie etc., oltre che sul web. Il target prevede giovani (studenti) dai 15 ai 35, che trovano la rivista in mostre, associazioni, biblioteche oppure semplicemente navigando. Utilizzano la rivista come semplice lettura o come ricerca. È prevista poi la categoria degli “addetti ai lavori”, cioè persone a contatto con l’arte per lavoro o passione. La più vasta categoria è quella dei visitatori di mostre ed eventi, in cui l’età è pressochè variabile ma che indicativamente possiamo raggruppare tra i 20 e i 65. Dunque un target non di soli colti critici o professori, ma di ragazzi e adulti con una scolarizzazione media o medio alta. Si rende quindi necessario un linguaggio semplice, con i tecnicismi richiesti dall’ambito in questione, ma comunque non troppo elaborati.

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VentiDarte non pensa solo alla carta, ma anche alla sua forma digitale divenendo così anche web-zine. Webzine, che non significa solamente rivista digitale pubblicata sul web, cioè trasposizione su internet del comune formato di rivista acquistabile in ogni edicola e fruibile da tutti liberamente, ma vuol dire anche interazione. Questa permette infatti il confronto con il lettore e l’intervento dello stesso nella crescita della pubblicazione. Ciò vuol dire che, per esempio, da una notizia pubblicata sulla

webzine può nascere un dibattito all’interno della comunità. Successivamente uno o più utenti possono inviare altre notizie correlate che potrebbero essere poi pubblicate all’interno delle proprie pagine. Nel caso specifico di tratta di collaborare con gli artisti che possono inviare i propri lavori che dopo una selezione possono essere pubblicati nel numero seguente. Il fenomeno delle riviste digitali, è la nuova frontiera della lettura su schermo che il settore dell’arte non poteva tralasciare.

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Fig.1Soma, issue #22 - 2011

Fig.2BeDifferent, issue #4 - 2009

Fig.3Eteldos Magazine, issue #2 - 2007

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Esempi di webzine d’arte contemporanea

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Guardando al passato si evince come la rivista sia da sempre stata un canale all’avanguardia per lo sviluppo e l’informazione dell’arte contemporanea. Spesso stampata con mezzi poveri, ma comunque uno spazio di sperimentazioni grafiche innovative e sempre attuali, una fonte di ispirazione da cui attingere ancor oggi. Inizialmente le riviste si presentano come fogli malamente stampati in un bianco e nero sbiadito o ciclostilati (principio dello stencil) su carta povera, con un raro uso del colore, di imbarazzante inconsistenza fisica, molte volte di dubbia o quasi inesistente distribuzione. Quasi tutte hanno avuto vita effimera che in molti casi non superava il primo numero. Eppure queste caratteristiche, che ne potrebbero decretare l’assoluta marginalità,

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dall’ESOEDITORIA ad OGGIne determinano al contrario l’importanza, isolandole come fondamentali basi documentali per la ricostruzione delle vicissitudini dei movimenti d’avanguardia che si sono sviluppati tra la fine degli anni 50 e l’avvento degli ’80 in Italia e in Europa. Vennero all’inizio inglobate nella categoria dell’ Esoeditoria (termine nato nel 1971), che significa esterno, fuori. Sta ad identificare un fenomeno legato alla controcultura, in pratica esperienze editoriali autogestite, autofinanziate, libere ed autonome. In questo loro modo d’essere hanno sempre svolto un ruolo fondamentale negli sviluppi del sistema dell’arte contemporanea, sia come strumenti d’informazione critica dell’attività delle gallerie, sia come battaglieri strumenti di riflessione teorica e di promozione artistica.

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Fig.1 De Stijl - Theo van Doesburg, Delft - 1922 Fig.2 Azimuth - Enrico Castellani e Piero Manzoni, Milano- 1960 Fig.3 Modulo (poesia) - Masnata e Trentalance, Genova - 1966Fig.4 391 - Picabia, Barcelona - 1916 Fig.5 Merz - Kurt Schwitters, Hannover - 1923

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Avevano dunque una funzione necessaria e strategica all’interno del sistema artistico, in particolare contro la critica tradizionalista dei grandi giornali e periodici a larga diffusione. Queste rispondono essenzialmente all’esigenza di modificazione del mondo che ha caratterizzato gran parte del ‘900. Divengono laboratori attivi, sperimentazioni in forma di rivista.

E’ in esse e grazie ad esse che l’arte sviluppa nuove possibilità di espressione, nuovi linguaggi e nuove soluzioni estetiche. Nel corso degli anni numerose riviste succedettero a questi esperimenti di esoeditoria, affermandosi come canale di informazione dell’arte necessario. Cambiando forma ed impaginazione, le riviste raggiunsero, soprattutto dagli ’80 in poi, il vasto pubblico.

Ancor oggi, sebbene con una forma più semplice e neutra che la avvicina alla pubblicazione di informazione e cultura più comune e popolare, la rivista d’arte si adatta ad un più ampio pubblico e viene letta ed apprezzata non solo nei circoli d’artisti.

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Fig.1 Pianeta Fresco - Ettore Sottsass, Fernanda Pivano e Allen Ginsberga, Torino - 1967 Fig.2 Mècano - Theo van Doesburg, Kurt Schwitters, Jean Arp e Tristan Tzara, Weimar - 1922 Fig.3 Der Dada - Raoul Hausmann, John heartfield e George Groszl, Berlino - 1919

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Adrian FrutigerSegni e simboli - 1998

A. HoheneggerGraphic Design: estetica & funzione - 1974

Giorgio FioravantiIl dizionario del grafico - 1993

Bruno MunariArte come mestiere - 1966

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BIBLIOGRAFIA

Andrea RauchGraphic Design - 2006

Giorgio Maffei e Patrizio PeterliniRiviste d’arte d’avanguardia, gli anni 60-70 in italia - 2005

Sergio Salaroli e Pia SoliModa: corporate identity - 1990

Carlo BranzagliaComunicare con le immagini - 2003

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