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ISSN: 2038-7296 POLIS Working Papers [Online] Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLIS Institute of Public Policy and Public Choice – POLIS POLIS Working Papers n. 201 March 2013 OPAL Osservatorio per le autonomie locali N. 1/2013 Giovanni Boggero et al. (DRASD) UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo AvogadroALESSANDRIA Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria

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ISSN: 2038-7296POLIS Working Papers

[Online]

Istituto di Politiche Pubbliche e Scelte Collettive – POLISInstitute of Public Policy and Public Choice – POLIS

POLIS Working Papers n. 201

March 2013

OPALOsservatorio per le autonomie locali

N. 1/2013

Giovanni Boggero et al. (DRASD)

UNIVERSITA’ DEL PIEMONTE ORIENTALE “Amedeo Avogadro” ALESSANDRIA

Periodico mensile on-line "POLIS Working Papers" - Iscrizione n.591 del 12/05/2006 - Tribunale di Alessandria

OPAL OSSERVATORIO PER LE AUTONOMIE LOCALI

n. 1 marzo 2013

INDICE

Editoriale di Jörg Luther, Il progetto dell’Osservatorio per le Autonomie Locali ............................ 1

CITTADINI ED ENTI

Elena Ponzo, Segnalazione del manuale di M. Carrà, W. Gasparri, C. Marzuoli, Diritto per il governo del territorio, Bologna, 2012 .......................................................................... 3

Daniel Bosioc, Lo “spoils system” proporzionale negli organi delle casse di risparmio non viola l’autonomia locale. Annotazione alla sentenza n. 121/2012 del Tribunale costituzionale spagnolo ................................................................................................. 4

Giovanni Boggero, Dalle Comunità montane alle Unioni montane di comuni. Resoconto del Convegno di Torino del 24 gennaio 2013 ..................................................................... 5

Luca Beccaria, Recensione del saggio di G. Bulsei, La società diffusa. Organizzazione e politiche locali, Milano, Carocci editore, 2012 ............................................................................. 7

ELEZIONI ED ORGANI

Maria José Zampano, Scioglimento di Consiglio comunale in caso di contrasto tra Prefetto e Ministro dell’Interno su infiltrazioni di stampo mafioso. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 126/2013 ................................................................................ 10

Maria José Zampano, Scioglimento di Consiglio comunale a seguito di dimissioni dei consiglieri di maggioranza prima della verifica della condizione degli eletti. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6534/2012 .................................. 11

Giovanni Boggero, Un limite d’età (pensionabile) per l’elezione a Sindaco non viola la Costituzione bavarese. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht della Baviera 5-VII-12 ................................................................................................... 12

Giovanni Boggero, È invalida l’elezione del Consiglio comunale a seguito di una dichiarazione ufficiale non veritiera di un Sindaco o un Assessore in campagna elettorale. Annotazione alla sentenza del Bundesverwaltungsgericht 8 B 27/12 .......................... 13

Daniel Bosioc, Il diritto del consigliere comunale senza gruppo di partecipare a commissioni consiliari. Annotazione alla sentenza n. 246/2012 del Tribunale costituzionale spagnolo ......................................................................................................................... 14

FUNZIONI E SERVIZI

Annalisa Fanini, Si annulla l’aggiudicazione che viola i principi di concentrazione e continuità delle sedute di gara. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6714/2012 . 16

Paolo Marta, Il contratto di appalto eseguito, ma nullo perché viziato da accordo corruttivo della gara, dà diritto all’amministrazione alla restituzione dell’utile d’impresa. Annotazione alla sentenza n. 450 del Consiglio di Stato, Sez. regionale Lombardia 19.11.2012 ....................................................................................................................... 18

Giovanni Boggero, Scuola materna comunale come impresa commerciale soggetta all’imposta sulle persone giuridiche. Annotazione alla sentenza del Bundesfinanzhof del 12.07.2012 I R 106/10 ................................................................................................... 19

Elena Ponzo, Segnalazione del manuale di M. Bigoni, Programmazione e controllo dei gruppi pubblici locali. Dagli strumenti esistenti alle soluzioni innovative per la governance, Milano, 2012 ............................................................................................. 20

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 II

Maria José Zampano, Il silenzio serbato dalla stazione appaltante sull’informativa ex art. 243bis d.lgs. n. 163/2006. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6712/2012 ...................................................................................................................... 21

Michele Andrini, La nuova Tassa Rifiuti e Servizi (TARES). Sintesi .............................................. 22

URBANISTICA

Monica Bartimmo, Piano Regolatore Generale: Il rapporto tra piano adottato e piano approvato ai fini dell’interesse a ricorrere, Annotazione alla sentenza del TAR-Piemonte n. 13/2013 ...................................................................................................... 26

PATRIMONIO E CONTRATTI

Maria Bottiglieri, Il contratto di disponibilità non comporta necessariamente un indebitamento per l’ente locale. Annotazione a Corte dei Conti sez. reg. contr. Lombardia - Parere n. 439/2012/PAR del 3.10.2012 e sez. reg. contr. Puglia, Parere n. N. 66/PAR/2012 del 31.05.2012 ................................................................................................................ 28

Annalisa Fanini, È possibile una pronuncia di annullamento a soli fini risarcitori. Annotazione alla sentenza del Consiglio di Stato n. 6229/2012 ........................................................ 30

Paolo Marta, Il risarcimento del danno da disservizio e criteri di liquidazione. Annotazione alla sentenza n. 210 della Corte dei Conti – Sez. reg. Emilia Romagna del 6.09.2012 ....... 31

FINANZE E CONTABILITÀ

Andrea Patanè e Maria Bottiglieri, Il rafforzamento dei controlli sugli Enti locali dopo le modifiche al TUEL del D.l. 174/20120 e il ruolo della Corte dei Conti. Sintesi .......... 33

Nicola Dessì, Lo Stato può imporre a Regioni ed Enti locali di versare alla Tesoreria dello Stato le somme delle entrate proprie, ai fini della riduzione dell’indebitamento. Annotazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 311/2012 .............................. 37

Nicola Dessì, La manovra finanziaria regionale può anticipare gli obblighi di riduzione dello stock di debito degli enti locali. Annotazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 3/2013 ............................................................................................... 39

Maria Bottiglieri, Equilibrio dei bilanci delle Regioni e degli enti territoriali nel parere della Corte dei conti sulla legge di attuazione del principio di pareggio del bilancio Annotazione alla delibera per l’audizione parlamentare della Corte dei Conti n. 30/AUD/12 in materia di Disposizioni per l’attuazione del principio di pareggio di bilancio ai sensi dell’art. 81, sesto comma, della Costituzione .................................... 41

Maria Bottiglieri, Linee Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la valutazione della sua congruenza. Annotazione alla delibera della Corte dei Conti - Sezione delle autonomie n.16/SEZAUT/2012/INPR ....................................... 44

Maria Bottiglieri, Prime linee interpretative per l’attuazione dei controlli introdotti dal d.l. 10 ottobre 2012, n. 174. Annotazione alla delibera Corte dei Conti - Sezione delle Autonomie. n.15/SEZAUT/2012/INPR, 25.10.2012 di ............................................... 46

Giovanni Boggero, Il riparto degli oneri del secondo patto di solidarietà (Solidarpakt II) viola la Costituzione della Renania del Nord-Vestfalia. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht della Renania del Nord-Vestfalia dell’8.05.2012 ............... 49

Giovanni Boggero, Una quota di conferimento imposta a Comuni circostanti le Città (Stadt-Umland-Umlage) è giustificata solo se sono evidenti i vantaggi ottenuti dai cittadini della periferia nell’utilizzo delle infrastrutture cittadine. Annotazione alla

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 III

sentenza del Landesverfassungsgericht del Meclemburgo-Pomerania occidentale del 23.02.2012 ............................................................................................................... 50

Giovanni Boggero, Ai Comuni di un Circondario soppresso può essere richiesto di pagare una quota di conferimento al nuovo Circondario ai fini del consolidamento di bilancio. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht del Meclemburgo-Pomerania occidentale del 20.12.2012 ......................................................................... 52

Giovanni Boggero, Ai Comuni può essere richiesto di pagare una quota di conferimento ai Circondari ai fini della perequazione finanziaria orizzontale. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht del Meclemburgo-Pomerania occidentale del 26.01.2012 ................................................................................................................ 53

Giovanni Boggero, L’obbligo per i Circondari di finanziare il trasporto scolastico attraverso l’imposizione di una tassa ai genitori evita un aggravio della loro situazione di bilancio. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht dello Schleswig-Holstein del 03.09.2012 ................................................................................................ 54

Giovanni Boggero, Il legislatore del Land, nello stanziare le risorse ai fini di perequazione finanziaria, deve tenere conto dell’aumento della spesa per prestazioni sociali degli enti locali. Annotazione alla sentenza del Landesverfassungsgericht della Renania-Palatinato del 14.02.2012 ............................................................................... 55

Elena Ponzo, Segnalazione del manuale G. Festa (a cura di), AA. VV., Contabilità degli enti locali e contrattualistica pubblica, Milano, Giuffrè, 2012 ........................................... 56

Elena Ponzo, Segnalazione dell’articolo D. Mazzotta, Armonizzazione dei bilanci, sperimentazione, crisi finanziarie degli anti locali: principali criticità e alcune proposte di soluzione, in Azienditalia, n. 10, 2012 ....................................................... 57

REGIONI, STATO, EUROPA

Nicola Dessì, Lo Stato può legittimamente imporre alle Regioni e agli Enti locali l’abrogazione delle norme restrittive della concorrenza. Annotazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 8/2013 ............................................................................................... 59

Nicola Dessì, Una Regione può assegnare agli Enti locali i beni del demanio marittimo già trasferiti dallo Stato. Annotazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 22/2013 .......................................................................................................................... 61

Nicola Dessì, Lo Stato può imporre agli enti locali di liberalizzare gli orari degli esercizi commerciali. Annotazione alla sentenza della Corte Costituzionale n. 299/2012 ...... 62

Nicola Dessì, Considerazioni sul rapporto tra la possibile regionalizzazione delle supreme magistrature e l’unità giuridica dello Stato. Resoconto del Convegno di Bergamo dell’8 febbraio 2013 ....................................................................................................... 64

Jörg Luther, La Carta Sociale Europea e la tutela dei diritti sociali. Resoconto del Convegno di Milano del 18 gennaio 2013 ........................................................................................... 67

Giovanni Boggero, Daniel Bosioc e Nicola Dessì, Recensione di Crisi delle autonomie e autonomie nella crisi in Europa, volume n. 3/2013 di Istituzioni del Federalismo ... 69

Elena Ponzo, Segnalazione dell’articolo V. Antonelli, Le autonomie locali: una questione europea, Amministrazione in Cammino, 15.11.2012 .................................................... 73

SOTTO LA LENTE

Convegno: Crisi della sovranità e forme del potere Nelle società contemporanee - Torino, 7-8 febbraio 2013 - Fondazione Luigi Firpo ........................................................................ 75

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 1

EDITORIALE

IL PROGETTO DELL’OSSERVATORIO PER LE AUTONOMIE LOCALI

di Jörg Luther

L’“Osservatorio per le Autonomie locali” OPAL è il progetto di un periodico scientifico innovativo e sperimentale. L’esperimento didattico sarà gestito dai dottorandi e dottori di ricerca del DRASD (Dottorato di ricerca in Autonomie locali, Servizi pubblici e diritti di cittadinanza”) che partecipano alla progettazione e allo sviluppo di nuove forme di sapere scientifico giuridico, integrate da contributi provenienti dalle altre scienze che si occupano delle comunità locali, da quelle politiche, economiche e sociali fino all’urbanistica. La sede è offerta da un nuovo dipartimento di Giurisprudenza, Scienze politiche, economiche e sociali (DIGSPES), che intende saldare lo studio dei diritti con quello della politiche in un’università come quella del Piemonte Orientale che partecipa allo sviluppo locale di Alessandria, Vercelli e Novara, promuove relazioni di vicinato tra Piemonte, Liguria e Lombardia e concorre a scambi culturali in molteplici reti culturali italiane, europee ed internazionali. Il primo partner d’eccellenza è l’Università Cattolica di Milano.

L’osservatorio è uno strumento di studio critico che va oltre l’annuario e la “Settimana delle Autonomie” del DRASD. Si prefigge di far apprendere le innovazioni di un ramo tradizionale del diritto pubblico che è finora oggetto più di insegnamento che di ricerca. Si tratta di colmare una lacuna di specializzazione nel paesaggio delle riviste scientifiche italiane che si evidenzia soprattutto nel confronto con gli altri paesi più grandi dell’Unione Europea ove non si delega lo studio delle autonomie locali alle stesse istituzioni di categoria. L’Italia è una patria storica delle autonomie locali europee e il suo sistema delle autonomie necessita di strumenti culturali che facilitino il dialogo anche con l’Unione europea e con il Consiglio d’Europa.

Lo stato attuale delle autonomie locali nella crisi economica e finanziaria è determinato da riforme costituzionali ed amministrative solo in parte compiute, per la parte forse maggiore ancora in itinere o anche solo desiderate. Il quadro normativo ed amministrativo è caratterizzato da maggiori opportunità di diversificazione e concorrenza, ma anche da imperiose esigenze di semplificazione ed efficienza, parsimonia e crescita. La rivista focalizza pertanto innanzitutto l’innovazione normativa, cercando di dare particolare attenzione anche alle fonti regionali e locali che necessiterebbero di un controllo più capillare e tempestivo per non fare gravare sulle autonomie ignoranze ed incertezze paralizzanti.

Il diritto vivente delle autonomie locali esige inoltre un repertorio della giurisprudenza costituzionale, amministrativa e ordinaria che integri quella contabile e quella tributaria, di sempre maggiore importanza per gli enti locali.

La cultura del diritto degli enti locali dipende infine anche dalla qualità della dottrina. In questa ottica, l’osservatorio svolgerà un lavoro costante di bibliografia, segnalerà libri e articoli di rivista e cercherà di rendere con il formato del “resoconto” più accessibili al pubblico almeno una parte dei numerosi convegni e seminari dedicati alle tematiche delle autonomie locali.

Le fonti oggetto di studio sono presentate in una serie di rubriche che riflettono i nodi tematici principali delle autonomie locali: “cittadini ed enti” sono i soggetti delle autonomie, “elezioni e organi” la forma di governo e l’organizzazione, “funzioni e servizi” l’assetto delle competenze e le forme di gestione, “urbanistica” e “patrimonio e contratti” la funzione pubblicistica e gli strumenti privatistici più rilevanti, “personale amministrativo” e “finanze e contabilità” le risorse principali, “Regioni, Stato, Europa” le relazioni esterne.

I primi contributi sono innanzitutto miniature ed esercizi di sintesi che cercano di ridurre la complessità della materia. L’Osservatorio è pensato come una struttura flessibile e aperta a contributi esterni che saranno valutati in procedure che coinvolgono anche il Collegio Docenti. I principi ispiratori sono autonomia di studio, responsabilità organizzativa del sottoscritto, “open access” dei prodotti. Un ringraziamento particolare meritano Cesare Tibaldeschi, maestro dell’informatica, e Giovanni Boggero, primo curatore di questo campione.

Alessandria, 12 marzo 2013 Jörg Luther

 

CITTADINI ED ENTI

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 3

SEGNALAZIONE DEL MANUALE DI M. CARRÀ, W. GASPARRI, C. MARZUOLI,

DIRITTO PER IL GOVERNO DEL TERRITORIO, BOLOGNA, 2012

di Elena Ponzo

La parte I del manuale contiene un’introduzione nel diritto pubblico. Solo la parte II si addentra, invece, nello specifico settore del governo del territorio, inteso come «la sintesi delle discipline e degli strumenti giuridici che hanno a oggetto la regolazione, la gestione e il controllo delle possibili utilizzazioni del territorio e l’allocazione dei relativi poteri legislativi e amministrativi», approfondendo nei singoli capitoli i temi principali della materia e mettendo in luce i nessi intercorrenti fra gli stessi.

Il “governo del territorio”, locuzione che la riforma del Titolo V ha sostituito a quella di “urbanistica”, è materia che l’art. 117 co. 3 della Costituzione include negli ambiti di competenza legislativa concorrente tra Stato e Regioni. Il mutamento lessicale sembra accogliere una delle aspirazioni storiche del regionalismo (cfr. gli Atti del convegno La regione e il governo del territorio, Milano: Giuffré, 1972), andando ben oltre l’ormai diffusa convinzione secondo la quale tutte le scelte urbanistiche hanno una inevitabile ricaduta sul territorio.

Il manuale promuove un approccio rinnovato rispetto al diritto dell’urbanistica al fine di considerare i sempre maggiori tratti interdisciplinari che permeano questa materia: il territorio, come spazio fisico in cui si svolge la vita umana, assume la veste di «collettore delle funzioni», e delle singole attività pubbliche e private, destinate a soddisfare la totalità dei bisogni dell’uomo (abitativi, produttivi, sanitari, ricreativi, culturali ecc.). I profili di rilevanza giuridica del territorio, pertanto, sono molti, e non hanno una collocazione unitaria nelle tradizionali ripartizioni del diritto: alcune norme, per esempio, considerano il territorio come bene giuridico che può costituire oggetto di diritti o di negozi giuridici e atti amministrativi; altre norme, invece, regolano gli strumenti giuridici per l’individuazione delle possibili utilizzazioni del suolo o a prevenire o reprimere gli usi non consentiti.

Accanto ad un quadro generale delle più importanti discipline legislative e della loro evoluzione, vengono poi descritti i tratti essenziali del sistema della pianificazione, volta a ponderare e comporre un’estrema varietà di interessi, il tutto alla luce di un parametro generale che nell’ordinamento italiano, conformemente a quanto richiesto dal diritto internazionale ed europeo, limita le scelte sia politico- discrezionali, sia tecniche e scientifiche: la sostenibilità dello sviluppo territoriale. A presidio di questo parametro, le norme attribuiscono preminenza a interessi ritenuti differenziati da quelli tradizionalmente perseguiti dall’urbanistica, come la difesa del suolo, la tutela dell’ambiente, la protezione del paesaggio.

Vengono affrontati il ruolo dello Stato e la contestuale centralità della dimensione regionale e locale, il principio di sussidiarietà e la concorrenza sul territorio di funzioni regionali e statali, con una interessante analisi delle regole, formali e sostanziali, che disciplinano i rapporti tra i diversi livelli della pianificazione territoriale. Segue una analisi dei piani attuativi, con particolare riferimento alle difficoltà di utilizzazione e attuazione degli stessi, e dell’attività edilizia, in riferimento alla quale vengono analizzati i profili generali, i titoli abitativi, gli abusi edilizi e le relative sanzioni.

La riflessione che emerge all’esito della trattazione si incentra sulla capacità del complesso sistema di governo del territorio di incidere, più o meno direttamente, sul contenuto e sulla effettiva concretizzazione di interessi della popolazione, anche di rilievo costituzionale. Viene auspicato l’abbandono di un retaggio storico consistente nel tentativo, da parte dell’urbanistica, di conciliare la tutela del diritto di proprietà privata con le esigenze di governo del territorio e nel costante riscontro del fallimento di tale aspirazione. L’ottimale sintesi di interessi propugnata dal libro trova il proprio punto di coesione nella funzione “superiore” di assicurare adeguati livelli di vita all’intera popolazione, in condizioni di uguaglianza, attraverso la riduzione dei rischi ambientali, l’eliminazione di fenomeni di ghettizzazione, la promozione dell’integrazione e della comunicazione sociale, le quali non possono prescindere dalla collaborazione interistituzionale e da adeguate forme di collaborazione dei cittadini.

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 4

LO “SPOILS SYSTEM” PROPORZIONALE NEGLI ORGANI

DELLE CASSE DI RISPARMIO NON VIOLA L’AUTONOMIA LOCALE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA N. 121/2012 DEL TRIBUNALE COSTITUZIONALE

SPAGNOLO.

di Daniel Bosioc

Parole-chiave: conflitto a tutela dell’autonomia locale, rappresentante di comune in cassa di risparmio, criterio di proporzione.

Riferimenti normativi: artt. 137, 140, 141, della Costituzione spagnola; art. 3, co. 1, e quarta disposizione finale, co. 1, lett. a), della legge statale 31/1985 in materia di organi delle casse di risparmio; artt. 22, co. 2, 24, co. 2, e prima disposizione aggiuntiva, della legge 2/2000 del Principado de Asturias in materia di casse di risparmio.

Massima: Il criterio di proporzione individuato dal legislatore autonomico per l’elezione dei rappresentanti di comuni negli organi di governo delle casse di risparmio non lede il principio dell’autonomia locale garantito dalla Costituzione, in quanto assicura il principio di rappresentatività degli organi stessi.

Link al documento

Dopo aver dichiarato nel 2001 l’ammissibilità del conflitto a tutela dell’autonomia locale (conflicto en defensa de la autonomía local) sollevato da venti comuni in relazione agli artt. 22, co. 2, 24, co. 2, ed alla prima disposizione aggiuntiva della legge 2/2000 del Principato delle Asturie in materia di casse di risparmio (cajas de ahorro), il Tribunale Costituzionale ha dichiarato ora infondata la questione: le disposizioni impugnate non contrastano con la legge statale fondamentale (básica) 31/1985 in materia di organi di governo delle casse di risparmio e, dunque, non vi è violazione del principio dell’autonomia locale che include il diritto della comunità locale di “partecipare al governo e all’amministrazione di quanto li riguarda”, di cui agli artt. 137, 140 e 141, Cost. spagnola (Fundamento Juridico, p.to 5).

La prima disposizione oggetto del giudizio (art. 22, co. 2) fissa la procedura di elezione dei membri dell’Assemblea generale della cassa di risparmio (consejeros generales), stabilendo che i rappresentanti di comuni sono eletti dai rispettivi consigli, in proporzione al numero di voti ottenuti dai candidati proposti da ciascun gruppo consiliare. Il Tribunale costituzionale sottolinea come la comunità autonoma del Principato delle Asturie, secondo quanto previsto dall’art. 10, co. 1, n. 36 del proprio statuto, sia competente a legiferare in materia di casse di risparmio ed istituti di credito cooperativo pubblico e territoriale, «in accordo con le disposizioni che […] detta lo Stato» (FJ, p.to 7). Secondo il collegio, il criterio di proporzione (principio de proporcionalidad) prescritto dal legislatore asturiano per l’elezione dei rappresentanti di comuni nell’Assemblea della cassa non contrasta con le disposizioni della legge statale 31/1985, la quale prevede solo che questi siano eletti direttamente dai comuni (art. 3, co. 1) e rinvia alle Comunità autonome la disciplina del procedimento di elezione dei membri degli organi della caja (quarta disposizione finale, co. 1, lett. a). In questo senso, il procedimento di elezione dei membri ed il criterio di proporzione prescritti dall’art. 22, co. 2 non sono illegittimi dal momento che garantiscono il carattere rappresentativo degli organi di nomina (FJ, p.to 7; v. nella giurisprudenza costituzionale precedente le sentt. nn. 18/1984, 48/1988, 49/1988, 239/1992, 73/2000).

Il Tribunale costituzionale, con argomentazioni analoghe, ritiene non lesivo dell’autonomia locale l’art. 24, co. 2, che, per l’elezione dei rappresentanti di comuni fondatori della cassa, rinvia al procedimento previsto dall’art. 22, co. 2 (FJ, p.to 8).

Infine, il giudice costituzionale respinge la censura sollevata dall’ayuntamiento di Gijón (co-fondatore della Cassa di risparmio delle Asturie) nei confronti della prima disposizione aggiuntiva della legge, che limita la rappresentanza di tale ente negli organi della cassa ad una soglia non superiore al 20% del numero dei membri. La disposizione non snatura il modello organizzativo delle casse di risparmio configurato dal legislatore statale del 1985 e, pur fissando un tetto alla percentuale di rappresentanza del comune di Gijón, assicura comunque una partecipazione significativa e ragionevole di quest’ultimo negli organi della cassa (FJ, p.to 9).

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 5

DALLE COMUNITÀ MONTANE ALLE UNIONI MONTANE DI COMUNI.

RESOCONTO DEL CONVEGNO DI TORINO DEL 24 GENNAIO 2013

di Giovanni Boggero

Concepito come occasione di confronto con gli amministratori degli enti locali montani del Piemonte dopo il varo della legge regionale del 28 settembre 2012 n.11, il seminario tecnico organizzato dall’UNCEM sulla nuova geografia del territorio montano ha offerto non soltanto spunti interessanti per gli amministratori locali, ma anche per i giuristi. Il seminario ha combinato alle relazioni tecniche di natura giuridica e di prassi amministrativa l’interlocuzione pratica con gli amministratori locali.

Alle loro domande ha risposto l’Assessore regionale agli enti locali, Elena Maccanti, la quale ha difeso l’impianto della summenzionata legge, ricordando peraltro le modifiche a suo giudizio migliorative apportate in corso di esame in Consiglio regionale. Ad esempio, in origine dovevano essere direttamente i Consigli comunali e non l’Assemblea dei Sindaci a deliberare in ordine alla proposta di Unione di comuni montani. La legge avrebbe inoltre “salvato” provvisoriamente le Comunità montane, dal momento che viene data la possibilità, non contemplata dalla normativa nazionale, che le Comunità, prima di trasformarsi in Unioni, per un periodo transitorio a partire dal 31 marzo 2013, divengano uno strumento per l’adempimento della gestione di funzioni associate (art. 15 co. 2 lett. b)). Quanto alle prospettive finanziarie, l’Assessore Maccanti ha assicurato che saranno resi disponibili tre fondi regionali per finanziare le nuove Unioni: un fondo di incentivazione per i Comuni che intendano assumere personale delle ex-Comunità montane (le spese non rientrano nel Patto di Stabilità interno e le assunzioni non valgono ai fini della disciplina in materia di limiti di organico), un fondo regionale per la Montagna (i criteri di distribuzione erano al momento del Convegno allo studio di un Tavolo di lavoro presso l’Assessorato alla Montagna) e infine un fondo per il personale i cui compiti ineriscano all’espletamento delle funzioni esercitate dall’Unione.

Sergio Foà, dell’Università degli Studi di Torino, nella sua relazione introduttiva dedicata al procedimento che sta traghettando le vecchie Comunità montane alle Unioni di comuni montani, ha sollevato il problema derivante dalla eventuale mancanza di una delibera iniziale dell’Assemblea dei Sindaci di ciascuna Comunità montana, individuata come primo tassello procedimentale in vista della delibera della Regione che dispone la nascita della nuova Unione. A questo proposito, lo stesso Foà ricorda che la Regione ha già offerto sul suo sito una risposta di massima all’interrogativo: ovvero che i Comuni appartenenti alla Comunità non hanno alcun obbligo di deliberare. Solo nel caso in cui l’Assemblea dei Sindaci adotti una deliberazione, è posto in capo a ciascun Consiglio comunale l’obbligo di recepire o rigettare la stessa. Altro quesito riguarda invece la possibilità di ripensamento da parte dei Comuni. Ciò può accadere in particolar modo se la deliberazione in sede di Assemblea dei Sindaci è stata approvata a maggioranza. È possibile cioè che qualche Consiglio comunale, dopo aver dato il proprio assenso, intenda ritirarlo. Ciò sarebbe possibile, purché siano rispettati i termini fissati dalla legge regionale per la presentazione della proposta di nuova Unione. Infine, un ultimo aspetto concerne l’obbligo di legge alla nuova Unione di esercitare le funzioni fondamentali di tutti i suoi Comuni. Secondo Foà, questa previsione sarebbe rigida ed inciderebbe in maniera sensibile sulla autonomia statutaria e regolamentare delle Unioni, a suo avviso tutelata dalla Costituzione al pari di quella di altri enti locali. Sul punto l’assessore Maccanti non avrebbe offerto nuove interpretazioni, limitandosi invece a riproporre la risposta messa a disposizione sul sito della Regione: le funzioni fondamentali non devono essere esercitate necessariamente attraverso l’Unione, ma possono essere esercitare anche tramite convenzione, a seconda degli ambiti territoriali individuati. La stessa Regione è comunque dell’opinione che se un’Unione di Comuni svolge una funzione fondamentale x o y la svolgerà per tutti i Comuni (a meno che alcuni di essi non siano per legge obbligati alla gestione associata) e non solo per alcuni, venendo altrimenti meno l’utilità dell’Unione stessa. Questo significa che l’Unione non deve esercitare tutte le funzioni fondamentali per tutti i Comuni.

Nel suo intervento, Giovanni Francini, presidente della Comunità montana Valli dell’Ossola, ha portato ad esempio il caso delle nuove Unioni di comuni montani dell’Ossola. Dei 38 Comuni dell’area solo 18 hanno deciso di unirsi in un ambito territoriale che potrà contare circa 50.000 abitanti, mentre altri 7 Comuni hanno optato per un’altra Unione, così anche altri 5, mentre altri 8 Comuni non hanno deciso nulla. Francini

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ha sottoposto all’assessore Maccanti i seguenti quesiti: dal momento che non si ha continuità territoriale tra l’ultimo Comune della prima Unione e il resto dell’Unione, potrebbe la Regione obbligare questo Comune ad aderire ad un’altra Unione? Visto che l’ambito territoriale dei 50.000 abitanti è considerato generalmente ottimale tanto in termini di competitività territoriale quanto in termini di erogazione dei finanziamenti europei, quale sarebbe il destino dei Comuni che non abbiano sottoscritto alcuna Unione montana? L’assessore Maccanti si è limitata a richiamare l’art. 8 co. 5 della l. 11/2012 il quale stabilisce che, una volta pervenute le proposte di unione da parte dei consigli comunali, «la Giunta regionale, sentita la commissione consiliare competente, può richiedere modifiche alle proposte aggregative presentate». Dopodiché, come recita il successivo co. 6, «se i Comuni interessati non presentano alla Giunta regionale, entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta, la modifica della proposta aggregativa, la Giunta regionale […] provvede all'inserimento dei Comuni di cui al comma 5, nell'ambito della proposta aggregativa maggiormente rispondente ai requisiti». In altre parole, ad avviso dell’Assessore, per la Regione sarebbe ben possibile obbligare un Comune ad aderire ad un’Unione diversa.

Nel suo intervento Ezio Guerci, consulente ANCI che ha seguito diversi processi di fusione tra Comuni ha cercato di fare luce sugli aspetti organizzativi che riguardano le nuove Unioni. Guerci ha lamentato che la forma organizzativa che ha caratterizzato sin qui le Unioni (e in parte anche le convenzioni) aveva natura centralistica e finiva per esautorare i Comuni nella loro capacità decisionale, penalizzando anche dipendenti e cittadini. Lo schema da privilegiare sarebbe quello che lascia il più possibile potere decisionale in capo agli organi di governo del Comune: ad esempio, nella prassi si unificherebbe l’ufficio tributi, ma la decisione in materia di aliquote rimarrebbe ai singoli Comuni. La stessa cosa dovrebbe avvenire per le Unioni montane, le quali non saranno in grado di gestire tutte le funzioni. Meglio avrebbe tuttavia fatto la legge a lasciare uno spiraglio (o clausola di flessibilità) in materia di gestione associata delle funzioni fondamentali.

Per Marco Orlando il banco di prova per testare la solidità delle nuove Unioni è dato dall’esercizio della cd. funzione n. 1 (organizzazione dell’amministrazione, gestione finanziaria, contabile e controllo), che assorbe circa il 70% delle risorse. Con la creazione entro il 31 marzo 2013 delle “centrali uniche di committenza” cioè degli uffici unificati deputati all’espletamento di tale funzione, si potrà verificare la sostenibilità dell’esercizio associato. In particolare, andrà valutato il ruolo del responsabile unico di procedimento (RUP) e la distribuzione delle responsabilità tra le procedure di acquisizione e l’esecuzione dei contratti oltre alla disponibilità di procedure di contabilità unificata e sistemi di archiviazione digitale dei contratti. Anche l’esercizio della funzione cd. n. 6 (raccolta e gestione dei rifiuti) offrirà spazio per valutare la stabilità delle nuove Unioni. Queste ultime potrebbero agire come interlocutrici dei Consorzi nella definizione dei piani finanziari ed eventualmente acquisire le partecipazione dei Comuni nelle società di gestione. Un conflitto normativo irrisolto è poi quello riguardante la normativa TARES (per le modifiche apportate di recente si veda la sintesi di M. Andrini in questo numero). Essa indica che il gettito dell’imposta possa fluire solo ai singoli Comuni, mentre la normativa previgente indicava che esso andasse alle forme organizzative intercomunali. Infine, Orlando ha messo in luce il problema del travaso di risorse finanziarie dai Comuni alle Unioni. Il ragioniere-capo di ogni Comune si troverà verosimilmente ad avere a che fare con mille rivoli di partite di trasferimenti. A questo proposito, Orlando suggerisce di destinare a monte, per via di regolamento comunale, una parte del gettito IMU dei Comuni all’Unione e, una volta assestata la distribuzione dei compiti rispetto ai Comuni, valutare l’esito.

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RECENSIONE DEL SAGGIO DI G. BULSEI, LA SOCIETÀ DIFFUSA.

ORGANIZZAZIONE E POLITICHE LOCALI, MILANO, CAROCCI EDITORE, 2012

di Luca Beccaria,

Il volume si presenta come un testo di supporto e informazione sulle politiche pubbliche locali in Italia. La monografia è articolata in tre parti. La prima parte corrisponde al primo capitolo, nel quale vengono esposti gli elementi essenziali dei sistemi locali come formazioni sociali e territori amministrati. Tra le ripercussioni della società industriale e della globalizzazione sulle società locali si mette in particolar modo in luce l’esito non uniformante, ma tale da produrre fenomeni socio-economici localmente situati, lontani da un qualsivoglia flusso armonizzatore. Nel corso del capitolo, l'A. riprende il sociologo Angelo Pichierri per esplicitare l'accezione di sistema locale, definito su tre livelli: sociografico, identitario e regolativo. Ciò è necessario per comprendere cosa l'A. intenda quali attori locali coinvolti in una determinata società. Conseguentemente, l'A. enuncia il rapporto tra organizzazioni (enti pubblici) e un dato territorio, che può essere – stando alla definizione di un altro sociologo, Giorgio Osti – di tipo: esclusivo, preferenziale o elettivo. Nel corso del capitolo si sofferma inoltre sulla dicotomia dell'ente Comune che, in Italia, assume ad un tempo il ruolo di istituzione di governo delle comunità locali più vicine ai cittadini e di azienda pubblica multifunzione. Su entrambi i fronti la disciplina legislativa susseguitasi nel tempo ha mostrato parecchie lacune. Ad esempio, il rafforzamento dell'esecutivo locale (con l'elezione diretta dei Sindaci e dei Presidenti delle Province), cui era sotteso l’obiettivo di arrivare a governi di legislatura per gli enti locali – ovvero la regola per cui la durata di un esecutivo dovrebbe coincidere con quella della legislatura o “consiliatura” – non avrebbe sostanzialmente risolto le relazioni tra assetto formale dei poteri locali e la possibilità e capacità di affrontare i problemi delle realtà amministrate, indicando che forse quella riforma non fu una soluzione al problema che stava emergendo, la personalizzazione della politica, ma non fece altro se non accelerare l'involuzione in atto nel sistema dei partiti, compiutasi con Tangentopoli.

La seconda parte contiene l'esposizione dei risultati di tre ricerche: una sul contributo delle organizzazioni non profit alla qualità dello sviluppo territoriale (cap. 2), un'altra sull'esperienza delle giurie di cittadini quale strumento a metà tra l'esperienza di democrazia partecipativa e attività consultiva dei policy maker (cap.3) e infine un'ultima, che indaga sugli accadimenti successivi al terremoto che colpì L'Aquila e l’Abruzzo nel 2009 (cap. 4).

Il capitolo 2 discute ampiamente del ruolo delle imprese sociali, soffermandosi sul loro ruolo potenziale di erogatore di welfare, da parte di formazioni giuridiche private sui generis come quelle nell'ambito del non profit, che sollevano molte perplessità se si considerano i canoni dell'economia classica, secondo cui risulta difficile spiegare come imprese che eroghino beni o servizi a prezzi più alti della concorrenza, riescano a stare sul mercato. A tal proposito vale la pena ricordare che il legislatore, con la legge 8 novembre 1991, n. 381 (art. 5, comma 1) dispose che gli enti pubblici potessero stipulare convenzioni con le cd. cooperative sociali di tipo B, finalizzate alla fornitura di determinati beni e servizi – diversi da quelli socio-sanitari ed educativi – in deroga alle procedure di cui al d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163 (Codice dei contratti), purché detti affidamenti fossero di importo inferiore alla soglia di rilevanza comunitaria. Tale disposizione rientra nel solco di quanto prescritto dalla Costituzione all'art. 45, circa il ruolo sociale della cooperazione. L'A. richiama, nello specifico, la Legge delega sull'impresa sociale con le disposizioni introdotte tra cui la possibilità di acquisire la qualifica di impresa sociale a tutte le forme giuridiche previste dal libro V del Codice Civile. A tal proposito, L'A. si sofferma sulla rete relazionale su cui generalmente queste realtà si appoggiano – tra imprese sociali e gli enti locali – oltre alle già richiamate possibilità di indizione di gare d'appalto che vedano un trattamento speciale per queste categorie. Viene in particolare richiamato all'attenzione del lettore, il Piano di zona, previsto dalla legge n. 328/2000, tra gli “strumenti per favorire il riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali”. L'A. snocciola poi alcuni dati e considerazioni riguardanti la maggiore resistenza ai periodi di crisi delle imprese cooperative, frutto di un intricato mix di condizioni favorevoli, predisposte dalla legislazione (fiscalità, riserva indivisibile) e capacità di organizzazione di reti mutualistiche tra imprese cooperative, si pensi alle grandi centrali (Legacoop, Confocoperative, ecc) e la creazione di un sistema parallelo, ad esempio, di accesso al credito (fondi mutualistici).

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Il capitolo 3 entra nel merito delle esperienze di democrazia partecipativa, riportando le tesi dell'autore che forse di più ha studiato il tema: Luigi Bobbio. A tal proposito, si richiama l'evoluzione degli strumenti di partecipazione, dall'istituzione dei consigli di quartiere, alla realizzazione di rappresentanze per corpi ad esempio in scuole e università, riproducendo i meccanismi della democrazia rappresentativa di stampo liberale. A questa, fece seguito, nel corso degli anni '90 del Novecento, una crisi, sfociata poi nell'abolizione delle circoscrizioni per realtà territoriali medio grandi (al di sotto dei 250mila abitanti), per effetto di una legge finanziaria (quella del 2010), per cui, guardando anche l'ambito normativo, si può desumere che il tutto sia stato operato per ragioni “di risparmio”, ad indicare che la partecipazione corre il rischio di essere considerata come un costo, il che è molto discutibile. Va segnalato che molti Comuni, al di sotto della soglia dei 250mila abitanti, hanno ricreato consigli di quartieri (o comunque denominati), ad indicare una volontà politica locale volta al loro mantenimento, quale strumento di decentramento infra-cittadino. L'A. passa poi al caso specifico, verificatosi nella città di Vercelli (il case-study), della giuria di cittadini, quale esperienza mutuata dal contesto anglosassone – l'A. si riferisce, nello specifico, alla giuria popolare del processo penale statunitense – caratterizzata da una fase di selezione dell'organo, di cui è prevista l'estrazione casuale da un campione rappresentativo della società, un’audizione di più parti (per permettere un confronto tra idee contrapposte) ed un verdetto, o valutazione complessiva, emesso da tale consesso. Tale esperienza ha avuto tra i propri pregi il fatto di aver incrementato la percezione del problema oggetto di giudizio/valutazione (nell'esperienza studiata, l’inquinamento dell'aria), da parte dei cittadini della giuria, mentre figurano tra i difetti la scarsa responsività – la capacità del rappresentante (in questo caso gli amministratori locali) di rispondere con prontezza, nel corso del rispettivo mandato, alle domande dei rappresentati (in questo caso i componenti della giuria) – da parte dei policy maker locali. Va segnalato che, per quanto l'esperienza attinga da un ambito giuridico definito (il processo penale statunitense), essa ad inserirsi nel solco delle esperienze partecipative ispirate dal programma noto come Agenda 21 – il documento di intenti ed obiettivi programmatici, approvato nel corso della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo, che si è tenuta a Rio de Janeiro dal 3 al 14 giugno 1992.

Quanto all’esperienza del dopo-terremoto dell'Aquila (capitolo 4), spunti interessanti li solleva la gestione dell'emergenza in modo top-down, ovvero verticisticamente orientato, che avrebbe in qualche modo esautorato gli enti locali colpiti dal sisma e coinvolti fin da subito nella gestione delle criticità. A tal proposito, il progetto di creazione di newtown scoordinata dal contesto del tessuto cittadino avrebbe portato ad un impatto negativo sulle relazioni sociali ed economiche, ossia allo spostamento di molte imprese in altre città, sulla costa. La gestione dell'emergenza, senza il coinvolgimento degli enti locali, considerati un ostacolo per l’azione della Protezione civile, ha comportato anche un incremento delle ordinanze straordinarie tale da essere definita dall'A. come una condizione di emergenza dilatata. Nel testo manca un'informazione importante relativa ad un evento occorso nei mesi immediatamente successivi all'ultimazione del medesimo: nel luglio del 2012 il Governo provvedeva, con il D.L. 15 maggio 2012, n. 59, convertito con modificazioni dalla L. 12 luglio 2012, n. 100, a porre un termine alla durata dello stato di emergenza.

In conclusione, la società diffusa viene qui descritta come un modello di amministrazione condivisa, basata su svariate arene partecipative e forme di inclusione degli attori sociali. Tale modello trova ragione d'essere nella necessità, per gli enti locali, di non poter attuare interventi esclusivamente burocratici; di qui l'importanza del coinvolgimento dei cittadini e delle imprese sociali, quali erogatore di welfare e di servizi. Ad avviso dell’A. le istituzioni dovrebbero tener maggiormente in considerazione le condizioni sociali, economiche e culturali delle collettività che vogliono governare. A tal proposito si può obiettare che il prodotto materiale dell'agire di un'amministrazione locale (delibere, atti) non è da intendersi già come avulso dalla realtà, nato meramente su istanza dell'una o dell'altra segreteria di partito, ma come frutto meditato dell’agire collettivo e poi declinato nella forma dell’atto normativo o amministrativo del Consiglio, della Giunta o del Sindaco.

 

ELEZIONI ED ORGANI

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SCIOGLIMENTO DI CONSIGLIO COMUNALE IN CASO DI CONTRASTO

TRA PREFETTO E MINISTRO DELL’INTERNO

SU INFILTRAZIONI DI STAMPO MAFIOSO.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 126/2013

di Maria José Zampano

Parole chiave: scioglimento- consiglio comunale- infiltrazioni di stampo mafioso- contrasto Prefetto e Ministero dell’Interno- misura amministrativa di prevenzione- imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa

Massima 1: È essenziale ai fini dell'adozione della misura di scioglimento dell'organo rappresentativo della comunità locale, a seguito della novella della l. 15 luglio 2009 n. 94, l'esistenza di elementi concreti, univoci e rilevanti, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi e da compromettere l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali.

Riferimenti normativi: Art. 143 del d.lgs. n. 267/2000 come sostituito dall'art. 2 comma 30, della legge n. 94 del 2009.

Massima 2: In sede di proposta ministeriale per lo scioglimento del consiglio comunale contrastante con l'esito dell'attività istruttoria del Prefetto è necessario un diffuso corredo motivazionale, al quale pervenirsi anche a mezzo di un eventuale supplemento di istruttoria.

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Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso presentato dai componenti del consiglio comunale di Bordighera per l'annullamento del provvedimento di scioglimento dell'organo consiliare per infiltrazioni di stampo mafioso (art. 143 T.U.E.L.).

Su proposta del Ministero dell’Interno era stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale, nonostante il prefetto avesse precedentemente espresso parere negativo in ordine alla sussistenza delle condizioni previste dall'art. 143 T.U.E.L.

I componenti del consiglio comunale impugnano il provvedimento di scioglimento per violazione di legge ed eccesso di potere, valorizzando, in particolare, le modifiche introdotte all’art. 143 dalla novella del 2009, che richiede la concretezza, univocità e rilevanza degli elementi espressivi di collegamenti diretti o indiretti tra gli amministratori locali e la criminalità organizzata.

Il T.A.R. Lazio Roma, sez. III, respinge il ricorso. Avverso tale pronunzia reiettiva, i componenti del consiglio comunale ricorrenti in primo grado propongono appello, reiterando i motivi disattesi dal T.A.R.

Il Consiglio di Stato, accogliendo il ricorso, ritiene che lo scioglimento dell'organo rappresentativo della comunità locale, essendo la massima misura di rigore nei confronti dell'ente locale, debba essere subordinata alla sussistenza di elementi che determinino un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi amministrativi tale da compromettere l'imparzialità dell'azione amministrativa (massima1). Inoltre, nonostante le valutazioni rassegnate dal Prefetto a conclusione dell'attività istruttoria in ordine alla misura dissolutoria non abbiano effetto vincolante, è necessario che la proposta del Ministro di contrario avviso debba essere sostenuta da un congruo corredo motivazionale che dia puntualmente atto, anche a mezzo di un supplemento di istruttoria, delle ragioni che rendono prevalente lo scioglimento del consiglio comunale (massima 2); la verifica istruttoria demandata al Prefetto, organo di vertice preposto in ambito locale alla salvaguardia dei primari interessi inerenti alla sicurezza ed all'ordine pubblico, riveste un ruolo centrale nell'economia del procedimento regolamentato dall'art. 143 del d.lgs. n. 267 del 2000.

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SCIOGLIMENTO DI CONSIGLIO COMUNALE

A SEGUITO DI DIMISSIONI DEI CONSIGLIERI DI MAGGIORANZA

PRIMA DELLA VERIFICA DELLA CONDIZIONE DEGLI ELETTI.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 6534/2012

di Maria José Zampano,

Parole chiave: scioglimento consiglio comunale - ineleggibilità - dimissioni consiglieri di maggioranza.

Riferimenti normativi: art. 38, co. 4, D.P.R. n. 267/2000- art. 38, co. 8, D.P.R. n. 267/2000- art. 41 D.P.R. n. 267/2000- art. 141 D.P.R. n. 267/2000

Massima 1: Il consigliere proclamato è nella pienezza dei suoi poteri, incluso quello di concorrere a determinare lo scioglimento del consiglio con lo strumento delle dimissioni, sino a che non venga dichiarata la esistenza di una causa di ineleggibilità.

Massima 2: Il consiglio neoeletto è tenuto a procedere, come primo atto, alla verifica delle ineleggibilità, ma se tale adempimento viene omesso le eventuali deliberazioni non sono, per ciò stesso, inefficaci.

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Il Consiglio di Stato, in riforma della sentenza appellata, rigetta il ricorso contro lo scioglimento prefettizio del consiglio comunale di Isernia in seguito alle dimissioni presentate dai consiglieri di maggioranza dopo essere stati proclamati eletti e prima della verifica della condizione degli eletti (art. 41 T.U.E.L.) . Il T.A.R. Molise aveva sostenuto l’inefficacia delle dimissioni per mancanza di “convalida” degli eletti. Il Consiglio di Stato invece ne ribadisce il carattere di “verifica” priva di effetti costitutivi del mandato (arg. art. 38 co. 4). Il Consigliere è sin da subito nella pienezza dei suoi poteri sub condicione risolutiva dell’accertamento dell’ineleggibilità. Una dichiarazione di ineleggibilità può avere effetto retroattivo, ma ciò non rende ipso facto invalidi gli atti compiuti nel frattempo, dovendosi applicare il principio del “funzionario di fatto”. La sentenza ricorda inoltre che anche dopo la verifica resta sempre esperibile l’azione popolare di ineleggibilità davanti al giudice ordinario (art. 70, t.u. n. 267/2000).

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UN LIMITE D’ETÀ (PENSIONABILE) PER L’ELEZIONE A SINDACO

NON VIOLA LA COSTITUZIONE BAVARESE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT

DELLA BAVIERA 5-VII-12

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Sindaco, Presidente di Circondario, Land, Baviera, limiti d’età, elettorato passivo

Riferimenti normativi: Art. 39 co. 2 per. 2 della legge che disciplina le modalità dei Sindaci, dei Consigli Comunali, dei Consigli di Circondario e dei Presidenti di Circondario (GLKrWG); Art. 116 in collegamento con l’art. 94 co. 2 per. 1; Art. 118 co. 1 per. 1, Art. 12 co. 1 in collegamento con l’art. 14, Art. 101 e Art. 3 co. 1 della Costituzione del Land Baviera.

Massime: La versione attualmente vigente dell’art. 39 co. 2 per. 2 della legge che disciplina le modalità dei Sindaci, dei Consigli Comunali, dei Consigli di Circondario e dei Presidenti di Circondario (GLKrWG), in base al quale non può essere eletto alle cariche di impiego temporaneo di Sindaco o di Presidente di Circondario (Landrat), chi nel giorno dell’inizio del mandato abbia compiuto il 65esimo anno d’età, è compatibile con la Costituzione bavarese. Il limite d’età serve a livello comunale a salvaguardare il principio di un’amministrazione efficace e caratterizzata dalla continuità.

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Il Tribunale Costituzionale del Land della Baviera ha giudicato infondata una actio popularis contro l’art. 39 co. 2 per. 2 della legge che disciplina le modalità di elezione dei Sindaci, dei Consigli Comunali, dei Consigli di Circondario dei Presidenti di Circondario (GLKrWG). Secondo il ricorrente, un deputato del Landtag, il limite di età fissato per l’elettorato passivo dei sindaci con impiego temporaneo, ovvero per i Comuni con più di 10.000 abitanti (65 anni compiuti il giorno dell’inizio della legislatura per gli eletti fino al 2020 e 67 anni a partire dal 2020) violerebbe sia disposizioni di legge federale, sia diverse disposizioni della Costituzione bavarese. In particolare, lo scopo non sarebbe legittimo, giacché non sarebbe collegato ad alcun fine particolare di politica sociale (come richiesto dalla legge federale); in secondo luogo, limiterebbe l’accesso alle cariche pubbliche riconosciuto dalla Costituzione bavarese, limiterebbe la libertà di professione e lederebbe infine anche il principio di uguaglianza (manca infatti un limite simile per Sindaci e Presidenti di Circondario a titolo onorifico e per tutti i membri del Governo del Land). La Corte considera infondato il ricorso, dal momento che, per l’esercizio delle funzioni comunali e circondariali, il Sindaco o il Presidente di Circondario devono poter essere nel pieno delle loro capacità psicofisiche, senza ostacolo alcuno, così come prevede la legge. A tal fine, quindi, visto che con l’età aumentano le possibilità di perdere tali capacità, il limite di legge sembra perseguire uno scopo legittimo, dal momento che garantisce la continuità e l’efficacia dell’azione amministrativa. Per quanto attiene la violazione del principio di uguaglianza, la carica di Sindaco o Presidente di Circondario a titolo onorifico è strutturalmente diversa da quella del primo cittadino con impiego temporaneo e richiede anche un impegno diverso. In tal senso quindi, è giustificata la mancata fissazione di un limite all’elettorato passivo.

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È INVALIDA L’ELEZIONE DEL CONSIGLIO COMUNALE A SEGUITO DI UNA

DICHIARAZIONE UFFICIALE NON VERITIERA DI UN SINDACO O UN ASSESSORE

IN CAMPAGNA ELETTORALE. ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL

BUNDESVERWALTUNGSGERICHT 8 B 27/12

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Invalidità di un’elezione, Vizio elettorale, Corpo elettorale, Sindaco, Assessore

Riferimenti normativi: Art. 28 della Legge Fondamentale tedesca (Grundgesetz); par. 132 co. 2 n. 1 e 3 VwGO

Massime: Resta aperta la questione se una dichiarazione ufficiale di un Sindaco o di un Assessore comunale che fosse espressa in un nesso temporale e funzionale con elezioni comunali e che, sulla base dei dati accessibili al sindaco o all’assessore fosse oggettivamente non veritiera, sia qualificabile come vizio elettorale se fosse stata idonea ad influenzare la decisione dell’elettore o soltanto se fosse stata anche finalizzata ad un’ingerenza manipolativa.

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Il Tribunale amministrativo federale (Bundesverwaltungsgericht) ha rigettato l’appello proposto dai due ricorrenti, due consiglieri comunali, contro la sentenza dell’Oberverwaltungsgericht (OWG) che aveva confermato la decisione del Consiglio con la quale era stata disposta la ripetizione delle elezioni per irregolarità. All’origine dell’invalidità del voto stava il fatto che il Sindaco e i suoi Assessori (poi riconfermati dagli elettori) avessero rappresentato in maniera diversa dalla realtà la situazione di bilancio del Comune, privando l’elettorato delle informazioni adeguate per esprimere il proprio voto e quindi provocando un cd. vizio elettorale (Wahlfehler). L’appello di due Consiglieri comunali della maggioranza è stato dichiarato inammissibile, innanzitutto perché il ricorso di organi politici comunali o parte di essi va esperito contro un altro organo e non contro il Comune e poi anche perché la questione non soddisfa il crisma della rilevanza (grundsätzliche Bedeutung): in particolare, non è rilevante la domanda sollevata dai ricorrenti se il vizio si materializzi quando il Sindaco o l’Assessore esprimano contenuti non corretti o quando essi ne prendano coscienza. Qualsiasi sia la risposta alla domanda non cambierebbe comunque la risposta circa la sussistenza del vizio, visto che già la semplice e obiettiva disinformazione costituisce un’inammissibile ingerenza manipolativa.

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IL DIRITTO DEL CONSIGLIERE COMUNALE SENZA GRUPPO

DI PARTECIPARE A COMMISSIONI CONSILIARI.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA N. 246/2012 DEL TRIBUNALE

COSTITUZIONALE SPAGNOLO

di Daniel Bosioc

Parole-chiave: consiglieri comunali, commissioni consiliari, gruppi consiliari, accesso a funzioni ed incarichi pubblici.

Riferimenti normativi: art. 23, co. 2, Costituzione spagnola; art. 33, co. 3, legge 2/2003 della Comunidad de Madrid in materia di amministrazione locale.

Massima: Il consigliere comunale non appartenente ad alcun gruppo consiliare non può essere escluso dalla partecipazione alle commissioni consiliari di studio, indagine e ricerca, dal momento che essa rientra nel nucleo essenziale della funzione rappresentativa del singolo consigliere.

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Il Tribunale Costituzionale, accogliendo una questione sollevata nel 2010 dal Tribunal Superior de Justicia di Madrid, ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 33, co. 3, della legge 2/2003 della Comunità autonoma di Madrid in materia di amministrazione locale, per violazione del diritto di accesso in condizioni di uguaglianza a funzioni ed incarichi pubblici di cui all’art. 23, co. 2, Cost. spagnola.

Secondo quanto previsto dalla disposizione oggetto del giudizio, le commissioni informativas – organi interni, permanenti o temporanei, dei consigli dei comuni con funzioni di studio, indagine e ricerca su questioni generali o di settore – sono formate esclusivamente da consiglieri nominati dai (e all’interno dei) gruppi consiliari, in modo da rispecchiare la proporzione degli stessi.

Il legislatore autonomico ha così violato il principio di uguaglianza nell’accesso a funzioni ed incarichi pubblici garantito dalla Costituzione, avendo escluso la partecipazione a tali commissioni dei cd. no adscritos, ossia dei consiglieri che dichiarano di non voler far parte del gruppo consiliare espressione del partito o del movimento nelle cui file sono stati eletti ovvero che, nel corso del mandato, abbandonano il gruppo. In questi casi, i consiglieri non possono passare ad un altro gruppo ovvero costituirne uno e tale divieto, sebbene sia volto a sradicare il fenomeno del trasformismo politico (Fundamento Juridico, p.to 5), non può tuttavia limitare l’esercizio delle funzioni essenziali degli stessi: in particolare, la partecipazione alla discussione ed alla votazione delle delibere in seno all’assemblea ed il diritto di accesso alle informazioni necessarie per poter esercitare le proprie funzioni (FJ, p.to 7; v. nella giurisprudenza costituzionale precedente le sentt. nn. 169/2009, 20/2011, 9/2012). In tal senso, il giudice costituzionale considera la partecipazione alle attività delle commissioni di studio, indagine e ricerca, nonché alle decisioni adottate in seno ad esse, una forma di accesso del consigliere alle informazioni necessarie per poter esercitare le proprie funzioni; quindi, ogni consigliere ha il diritto di concorrere alla nomina e di essere nominabile membro delle commissioni, a prescindere dall’appartenenza ad un gruppo (FJ, p.to 9).

Il Tribunale Costituzionale, nel dichiarare l’illegittimità dell’art. 33, co. 3, della legge (FJ, p.to 10), sollecita il legislatore autonomico – l’Asamblea di Madrid – ad approvare una nuova disciplina per la nomina dei membri delle commissioni, garantendo il diritto dei consiglieri no adscritos di farne parte, pur mantenendo fermo il criterio proporzionale nella composizione di tali organi (FJ, p.to 11).

 

FUNZIONI E SERVIZI

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SI ANNULLA L’AGGIUDICAZIONE CHE VIOLA I PRINCIPI DI CONCENTRAZIONE E

CONTINUITÀ DELLE SEDUTE DI GARA. ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL

CONSIGLIO DI STATO N. 6714/2012

di Annalisa Fanini

Parole chiave: Illegittimità del provvedimento; Risarcimento del danno; Concessione edilizia; Piano regolatore

Riferimenti normativi: Artt. 30, co. 5, e 34, co. 3, c.p.a.; Art. 31 l. n. 1150/1942; Art. 4 l. n. 847/1964; Art. 2 l. n. 1187/1968; Art. 4 l. n. 10/1977

Massima 1: “Quando nelle more del giudizio sopravvenga una nuova disciplina generale dell'assetto del territorio relativa anche ad una determinata area specifica oggetto della controversia, il ricorrente non ha più interesse alla caducazione del negativo provvedimento adottato sulla base della previgente normativa, perché il suo eventuale annullamento non potrebbe sortire alcun effetto utile, neppure conformativo, sull'esercizio del potere pianificatorio dell'Amministrazione comunale, oramai già posto in essere e quindi da censurare semmai con un'apposita impugnativa, nei termini di legge (Cons. Stato, Sez. IV, 27 dicembre 2001 n. 6429). Pertanto l'omessa impugnazione della nuova disciplina - produttiva di un'autonoma e tuttora lesiva regolamentazione dell'uso del territorio con destinazione della zona che interessa a verde pubblico- preclude, di norma, ogni diretto vantaggio legato al venire meno del provvedimento impugnato, non potendo più essere rilasciata la richiesta concessione per la realizzazione di un fabbricato in detta zona”.

Massima 2: “L'art. 34, comma 3, c.p.a. stabilisce un principio generale nel sistema della giustizia amministrativa, che è deputato sia ad inibire l'annullamento di atti che abbiano ormai esaurito i loro effetti, sia a tutelare, in presenza dei necessari presupposti, l'interesse all'accertamento giudiziale dell'illegittimità dell'atto impugnato, nell'ipotesi che sussista l'interesse a conseguire il risarcimento del danno derivante dall'atto medesimo. La norma recante il principio ora descritto, in quanto eminentemente processuale, è di immediata applicazione, e va pertanto estesa anche ai procedimenti giudiziali proposti - come per il caso di specie - prima della sua entrata in vigore (Cons. Stato, Sez. V, 6 dicembre 2010, n. 8550). Detto art. 34, comma 3, del c.p.a ha quindi introdotto, in presenza dei presupposti ivi previsti, una conversione dell'azione di annullamento in azione di accertamento, in quanto l'accertamento dell'illegittimità dell'atto impugnato è contenuto nel "petitum" di annullamento come un antecedente necessario (Consiglio di Stato, sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2916)”.

Massima 3: “Con la statuizione dichiarativa dell'illegittimità degli atti impugnati ai soli ed eventuali fini risarcitori, il Giudice non può esprimersi sul "fumus boni iuris" della susseguente azione risarcitoria, ma deve limitarsi ad affermare la sussistenza in via meramente astratta dei presupposti per la proposizione dell'azione stessa, lasciando (ferma, ovviamente, restando l'affermazione dell'illegittimità degli atti impugnati) ogni ulteriore valutazione in concreto al Giudice competente, ai sensi dell'art. 30, comma 3, del c.p.a., a pronunciarsi al riguardo”.

Massima 4: “Con riferimento alla fattispecie del cd. lotto intercluso o di altri analoghi casi nei quali la zona risulti totalmente urbanizzata è pacifico che lo strumento urbanistico esecutivo non può considerarsi più necessario e non può, pertanto, essere invocato ad esclusivo fondamento del diniego di rilascio del titolo. La concessione edilizia può infatti essere rilasciata in assenza del piano attuativo richiesto dalle norme di piano regolatore quando in sede istruttoria l'Amministrazione abbia accertato che il lotto del richiedente è l'unico a non essere stato ancora edificato (essendovi già stata cioè una pressoché completa edificazione dell'area, come nell'ipotesi del lotto residuale ed intercluso) e si trova in una zona che, oltre che integralmente interessata da costruzioni, è anche dotata delle opere di urbanizzazione. Si può, pertanto, prescindere dalla lottizzazione convenzionata prescritta dalle norme di piano nei casi eccezionali in cui nel comprensorio interessato sussista una situazione di fatto corrispondente a quella che deriverebbe dall'attuazione della lottizzazione stessa, ovvero in presenza di opere di urbanizzazione primaria e secondaria pari agli standard urbanistici minimi prescritti (Consiglio di Stato, sez. V, 5 ottobre 2011, n. 5450)”.

Con questa pronuncia, in riforma di quella di primo grado, il Consiglio di Stato ammette la domanda di annullamento di un provvedimento al solo fine di ottenere il risarcimento del danno conseguente, quando cioè la caducazione dell’atto - nei fatti - non possa più sortire altro effetto utile. In sintesi la ricostruzione della vicenda processuale: un’amministrazione comunale non rilascia una concessione edilizia (ora permesso di costruire), il privato agisce in giudizio per l’annullamento del provvedimento di reiezione e il giudice di primo grado rigetta l’istanza. La domanda è riproposta in appello, accompagnata dalla richiesta di risarcimento del danno, trovando applicazione gli artt. 30, co. 5, e 104, co. 1, c.p.a.. L’amministrazione

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resistente eccepisce l’improcedibilità dell’appello per sopravvenuta carenza di interesse, in quanto l’area in questione è stata oggetto nel frattempo di interventi pianificatori che l’hanno destinata a verde pubblico. La parte appellante afferma la persistenza dell’interesse all'accoglimento del gravame ai fini della proponibilità dell'azione di risarcimento del danno per illegittimo diniego di edificazione, ex art. 30, co. 3, c.p.a.. L’appellante non ha impugnato la disciplina regolante il nuovo assetto del territorio, direttamente lesiva; di conseguenza non ha più interesse alla caducazione del negativo provvedimento adottato sulla base della previgente normativa [massima 1]. Tuttavia, l’appellante conserva interesse all'accertamento giudiziale dell'illegittimità dell'atto originariamente impugnato quando sussiste interesse a conseguire il risarcimento del danno derivante dall'atto medesimo. L’art. 34, co. 3, c.p.a. ha natura processuale e pertanto ha immediata applicazione, determinando una conversione dell'azione di annullamento in azione di accertamento [massima 2]. La descritta conversione è prodromica a un giudizio di danno non radicato innanzi al giudice di appello, ma da proporre innanzi al giudice competente [massima 3]. Ai sensi dell’art. 30, co. 6, c.p.a. si tratterà del giudice amministrativo nel caso di lesione di interessi legittimi (nonché di diritti soggettivi nel solo caso di giurisdizione esclusiva), trovando poi applicazione l’art. 105 c.p.a. per i casi di rimessione della causa al primo giudice. Il Consiglio di Stato ha quindi accertato che l’atto di reiezione originariamente impugnato era illegittimo perché affetto da difetto di istruttoria e di motivazione. In particolare, la zona oggetto di giudizio ricadeva nella casistica denominata «fondo intercluso», ossia una zona non edificata all’interno di un contesto urbanizzato. A queste condizioni l’amministrazione non avrebbe potuto negare la concessione edilizia sulla sola base della mancanza di atti di pianificazione secondaria [massima 4].

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IL CONTRATTO DI APPALTO ESEGUITO, MA NULLO PERCHÉ VIZIATO

DA ACCORDO CORRUTTIVO DELLA GARA, DÀ DIRITTO ALL’AMMINISTRAZIONE

ALLA RESTITUZIONE DELL’UTILE D’IMPRESA.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA N. 450 DEL CONSIGLIO DI STATO,

SEZ. REGIONALE LOMBARDIA 19.11.2012

di Paolo Marta

Riferimenti normativi: Art. 2041 c.c.- art. 1226 c.c.- art. 345 L. n.2248/1865, all. F (oggi art.134 D.lgs. n.163/2006), art. 84, D.lgs. n. 163/2006

Parole Chiave: Nullità del contratto d’appalto già eseguito- arricchimento senza causa- risarcimento del danno- esclusione da incarichi di commissario di gara.

Massima: In caso di nullità di un contratto pubblico d’appalto, stipulato a seguito di procedura di gara viziata da un accordo corruttivo, qualora il contratto sia già stato eseguito, l’amministrazione aggiudicatrice ha diritto al risarcimento del danno, da quantificarsi nel presunto utile di impresa.

Un contratto di appalto per refezione scolastica stipulato fra un Comune e un'impresa era da considerarsi nullo in quanto la procedura di affidamento risultava viziata da un accordo corruttivo fra l'impresa e il presidente della commissione di gara. Considerato, tuttavia, che il contratto era già stato eseguito, la Corte ha condannato l'impresa aggiudicataria a restituire al Comune il presunto utile d'impresa, fatti salvi i costi sostenuti dall'appaltatore nell'esecuzione del contratto, nei limiti dell'arricchimento del committente ex art.2041 c.c.. I giudici, inoltre, hanno condannato il convenuto all’esclusione da successivi incarichi da commissario di gara, ai sensi dell’art.84, comma 6, D.lgs n.163/2006.

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SCUOLA MATERNA COMUNALE COME IMPRESA COMMERCIALE SOGGETTA

ALL’IMPOSTA SULLE PERSONE GIURIDICHE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL BUNDESFINANZHOF

DEL 12.07.2012 I R 106/10

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Impresa commerciale, Scuola materna, Servizi pubblici locali, Imposta sulle persone giuridiche

Riferimenti normativi: Par. 24 del Sozialgesetzbuch (SGB) parte VIII; Par. 4 co. 1 della legge che disciplina l’imposizione fiscale sulle persone giuridiche (KStG).

Massime: Qualora un Comune gestisca una scuola materna, al fine di realizzare il diritto soggettivo all’accoglienza in strutture di sostegno all’infanzia, contemplato nella legislazione sociale federale, per bambini a partire dal compimento del terzo anno di età, allora si tratta normalmente di un’impresa di natura commerciale, soggetta al all’imposta sulle persone giuridiche.

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Il Tribunale finanziario federale ha stabilito che la gestione di scuole materne rappresenta un’impresa di natura commerciale (Betrieb gewerblicher Art - BgA), ai sensi della quale il Comune gestore è soggetto al pagamento dell’imposta sulle persone giuridiche (Körperschaftssteuer). Le attività della scuola materna non sono infatti sottratte alla concorrenza con quelle svolte dalle scuole materne gestite da enti religiosi, senza fini di lucro o privati. Il solo fatto che sia un Comune a gestire il servizio, assumendosi l’onere di realizzare il diritto soggettivo all’accoglienza in strutture di sostegno all’infanzia come contemplato dalla legislazione sociale per i bambini a partire dal terzo anno d’età non significa che il Comune stia esercitando un potere sovrano. Tale obbligo di legge in ordine ai servizi pubblici di interesse generale, SIG (Daseinsvorsorge) non dice nulla su chi e in quale modo essi debbano essere offerti. La natura di impresa commerciale non viene meno nemmeno con riferimento alla necessità che sussista l’intenzione di maturare delle entrate (Einnahmeerzielungsabsicht). Nel caso della scuola materna servono infatti a tal fine le tasse pagate dai genitori per l’iscrizione.

Note: Diversamente, con sentenza 18.12.2003, il BFH aveva stabilito che una scuola materna fosse un’impresa di natura commerciale (Betrieb gewerblicher Art - BgA), fintantoché l’accoglienza ai fini del sostegno all’infanzia si fosse fondata su un contratto di diritto privato e non vi fossero indizi di una regolamentazione di diritto pubblico (definizione delle quote di pagamento da parte di un atto di diritto amministrativo, impugnabilità di un simile atto, obbligo di accettazione e di frequenza)

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SEGNALAZIONE DEL MANUALE DI M. BIGONI, PROGRAMMAZIONE E

CONTROLLO DEI GRUPPI PUBBLICI LOCALI. DAGLI STRUMENTI ESISTENTI

ALLE SOLUZIONI INNOVATIVE PER LA GOVERNANCE, MILANO, 2012

di Elena Ponzo

Monografia

M. Bigoni, Programmazione e controllo dei gruppi pubblici locali. Dagli strumenti esistenti alle soluzioni innovative per la governance, Collana di Studi economico-aziendali «E. Giannesi», Milano, Giuffrè, 2012.

Il testo, di stampo ad un tempo pratico e teorico, esamina il settore dei servizi pubblici locali, mettendo in evidenza i cambiamenti in grado di mutarne la fisionomia negli ultimi decenni. Fenomeni quali la devoluzione, nonché l’integrazione europea, ma anche la crescente domanda di autodeterminazione delle comunità locali, hanno comportato la nascita di nuovi soggetti di natura multiforme (pubblica, privata, mista), legati da vincoli più o meno stretti alle amministrazioni territoriali, chiamati a erogare le prestazioni agli utenti finali. Tenendo presente questo variegato panorama, viene considerata anzitutto la complessa e tortuosa normativa che fin dal secolo scorso ha interessato il settore dei servizi pubblici. Le numerose riforme hanno modificato profondamente il ruolo dell’ente locale, che è «sempre meno erogatore di servizi pubblici e sempre più direttore di una multiforme orchestra composta da numerose aziende di gestione». Da tempo ormai la dottrina ha individuato la conseguenza della sopracitate evoluzione normativa nella creazione di veri e propri “gruppi pubblici locali”, all’interno dei quali l’ente locale assume il ruolo di holding. Questo sistema risulta tuttavia minacciato dalla diversa motivazione che genera i gruppi pubblici rispetto ai tradizionali gruppi aziendali privati: questi ultimi sorgono, in genere, in base a motivazioni di carattere economico quali lo sfruttamento delle economie di scala, il risparmio per l’utilizzo di canali commerciali comuni, un miglior posizionamento sul mercato; i gruppi pubblici locali, invece, sono istituiti normalmente al fine di rispettare specifiche normative o per far fronte a criticità di bilancio. La conseguenza è la assenza di un disegno strategico alla base dell’aggregato; il rischio è quello di una eccessiva indipendenza delle diverse aziende di gestione rispetto al centro.

Il testo, attraverso l’utilizzo dei saperi dell’economia aziendale e i criteri adottati dal Decreto Brunetta promuove l’accentuazione del ruolo di holding per le amministrazioni territoriali, al fine di favorire una maggiore tutela della cittadinanza che viene ritenuta non sufficientemente garantita da soggetti che, per vocazione, hanno come obiettivo principale il profitto. In tale prospettiva, attraverso un’indagine empirica che ha visto coinvolti i comuni capoluogo di Emilia Romagna e Toscana, l’Autore promuove un modello di ente locale che dovrebbe operare un’adeguata governance sul proprio gruppo pubblico, basandosi su di una logica di programmazione e di controllo. Questa prevede la definizione di programmi e progetti di respiro triennale ad opera dei competenti organi politici: in tal modo viene delineato il quadro all’interno del quale deve formarsi la performance della consociata. Le linee guida così definite saranno poi oggetto di specificazione ad opera di una struttura di raccordo (un’interfaccia unica tra l’amministrazione e l’universo delle consociate), in obiettivi operativi, da assegnarsi alle singole consociate. A tale azione di programmazione dovranno infine seguire adeguati controlli per verificare se le aziende consociate hanno conseguito gli obiettivi loro assegnati. Seguendo una simile prospettiva, secondo l’Autore, l’amministrazione pubblica dovrebbe dar vita a indirizzi rivolti alle proprie consociate volti a incanalare la loro azione verso fini sociali e non unicamente economici. Non mancano, infine, una attenta analisi dei possibili punti critici del modello sopra delineato individuati, in particolare, nella disomogeneità delle aree territoriali, che rende difficile l’applicazione del modello. Viene quindi auspicata l’adozione di strumenti il più possibile omogenei, al fine di dotare la Pubblica Amministrazione di strumenti che rendano omogenee le fonti informative e che consentano l’individuazione e la diffusione delle pratiche virtuose.

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IL SILENZIO SERBATO DALLA STAZIONE APPALTANTE

SULL’INFORMATIVA EX ART. 243BIS D.LGS. N. 163/2006.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 6712/2012

di Maria José Zampano

Parole chiave: atto amministrativo- silenzio rigetto- informativa alla stazione appaltante

Riferimenti normativi: art. 243bis, c. 4, d.lgs. n. 163/2006- art. 73, comma 3, c.p.a.

Massima: “Il silenzio serbato dalla stazione appaltante sull’informativa dell'intento di proporre ricorso giurisdizionale ex art. 243bis d.lgs. n. 163/2006 non corrisponde alla figura del silenzio-rigetto”.

Link al documento

Il Consiglio di Stato accoglie l'appello annullando la sentenza con rinvio al T.A.R. per violazione dell'art. 73, comma 3, c.p.a. e dell'inerente violazione del diritto di difesa. In tale occasione evidenzia la non corrispondenza tra l'informativa di cui all'art. 243 bis d.lgs. n. 163/2006 e la figura del silenzio-rigetto, ritenendo quanto meno dubbio l'esistenza in capo al privato dell' onere di impugnare il silenzio-diniego nel caso in cui abbia impugnato ritualmente l'atto di aggiudicazione.

A seguito della mancata aggiudicazione di una procedura di gara per l’affidamento di un servizio, la non aggiudicataria aveva inviato alla stazione appaltante l’“informativa” di cui all’art. 243bis d.lgs. n. 163/2006 segnalando alcuni vizi dell’aggiudicazione; successivamente, aveva proposto ricorso giurisdizionale.

Il T.A.R. Veneto- Venezia, Sez. I, aveva dichiarato improcedibile il ricorso per sopravvenuta carenza di interesse rilevando autonomamente una diversa preclusione processuale ossia la mancata impugnativa, né in termini né fuori termine, del silenzio-diniego formatosi ai sensi dell'art. 243bis, comma 4, d.lgs. n. 163/2006. La non aggiudicataria propone appello avverso tale decisione sulla base dell’asserita violazione dell’art. 73, comma 3, c.p.a., il quale dispone che il giudice non può porre a base della sua decisione preclusioni processuali rilevabili d’ufficio.

Il Consiglio di Stato, ricordando che il silenzio-rigetto non equivale ad un provvedimento esplicito, ma è un semplice presupposto di fatto che consente all’interessato di rivolgersi al giudice amministrativo senza attendere oltre, ritiene che la fattispecie in esame non corrisponda propriamente a questa figura. L'art. 243bis lascia intendere che il legislatore non ha voluto dar vita ad un procedimento contenzioso o paracontenzioso a tutela di una posizione giuridica soggettiva, ma solo offrire all’ente pubblico l’opportunità di un riesame in via di autotutela; non a caso l’atto introduttivo non viene denominato “ricorso” ovvero “reclamo” o “opposizione”, ma semplicemente “informativa dell'intento di proporre ricorso giurisdizionale” e il silenzio non viene denominato “rigetto” o “rifiuto” ma semplicemente “diniego di (procedere in) autotutela”.

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LA NUOVA TASSA RIFIUTI E SERVIZI (TARES)

di Michele Andrini

Riferimenti normativi: art. 14 Decreto-Legge del 06 dicembre 2011, n. 201 (“Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici”) convertito con modificazioni, dalla Legge 22 dicembre 2011 n. 214 (http://def.finanze.it/DocTribFrontend/RS1_HomePage.jsp)

La diposizione, in vigore a decorrere dal 1° gennaio 2013, consta di ben 47 commi ed introduce in tutti i comuni del territorio nazionale la TAssa Rifiuti E Servizi (TARES) a copertura totale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani, dei rifiuti assimilati avviati allo smaltimento e dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. La riforma riorganizza l’intero settore relativo alla gestione dei rifiuti, caratterizzato finora dalla coesistenza di diverse entrate collegate al servizio di gestione tributi (TARSU, TIA1, TIA2), prevedendo la contestuale soppressione di tutti i vigenti prelievi relativi alla gestione dei rifiuti urbani, sia di natura patrimoniale sia di natura tributaria, compresa l’addizionale per l’integrazione dei bilanci degli enti comunali di assistenza.

La scelta del legislatore è stata in favore dell’entrata tributaria. Pertanto sino a quando il prelievo non avrà una qualificata corrispondenza con la misura del servizio fruito, lo stesso apparterrà alla categoria dei tributi e non potrà essere assoggettato a IVA.

Per quanto riguarda gli obbligati al pagamento, sono in sostanza confermate le regole della TARSU. Il presupposto, così come indicato al 3° comma è costituito dalla occupazione o detenzione di locali o aree scoperte suscettibili di produrre rifiuti urbani.

In caso di utilizzi temporanei non superiori a sei mesi nel corso di un anno solare, il soggetto passivo è sempre il possessore di immobili, cioè il proprietario o il titolare di diritti reali di godimento (con vincolo di solidarietà tra i componenti del nucleo familiare o tra coloro che usano in comune i locali o le aree), non invece l’utilizzatore privo di titolo (5° comma).

Coerentemente con la qualificazione tributaria dell’entrata in oggetto, al sesto comma si chiarisce che ai fini della tassazione non occorre l’effettiva formazione di rifiuti ma la mera attitudine dei locali o delle aree a produrli.

Al quarto comma dell’art. 14, vengono esplicitamente escluse da tassazione le aree scoperte pertinenziali o accessorie a locali ad uso domestico e le aree comuni condominiali non detenute o occupate in via esclusiva.

Per quanto riguarda i rifiuti speciali, non sarà più sufficiente attestare lo svolgimento di attività che per loro natura producono prevalentemente rifiuti speciali ma sarà necessario dimostrare la corretta gestione di tale tipologia di rifiuti (10° comma).

Per quanto riguarda la base imponibile, il tributo è corrisposto in base ad una tariffa commisurata all’anno solare di possesso degli immobili e alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, secondo criteri giù definiti con d.p.r. 158/1999. Fino alla completa revisione del catasto, la superficie delle unità immobiliari assoggettabile al tributo è quella calpestabile dei locali e delle aree suscettibili di produrre rifiuti urbani o assimilati. Successivamente, la superficie tassabile per i locali a destinazione ordinaria sarà ope legis, e diversamente dalla normativa precedente, pari all’80% della superficie catastale.

In via provvisoria, ai fini dell’applicazione del tributi, si considereranno le superfici dichiarate o accertate ai fini della TARSU, della TIA1 o della TIA2. Il comune, ai fini dell’attività di accertamento, potrà considerare come superficie assoggettabile al tributo delle unità immobiliari a destinazione ordinaria quella pari all’80% della superficie catastale. Per le altre unità immobiliari (gruppi catastali D e E e le aree scoperte) la superficie assoggettabile al tributo rimarrà quella calpestabile (9°comma).

I Comuni dovranno determinare con apposito regolamento la tariffa che, come indicato al comma 11, dovrà comprendere una quota fissa determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio di gestione dei rifiuti (riferite in particolare agli investimenti per le opere ed ai relativi ammortamenti) e una

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quota variabile rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito e all’entità dei costi di gestione, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio.

La tariffa dovrà essere determinata sulla base del relativo piano finanziario con specifica deliberazione del Consiglio comunale, da adottare entro la data di approvazione del bilancio di previsione relativo alla stessa annualità.

Secondo quanto previsto al comma 15, i regolamenti comunali potranno prevedere riduzioni fino a un massimo del 30% della misura ordinaria del prelievo nei casi di 1) abitazioni con unico abitante; 2) abitazioni tenute a disposizione per uso stagionale od altro uso limitato e discontinuo; 3) locali, diversi dalle abitazioni, ed aree scoperte adibiti ad uso stagionale o ad uso non continuativo, ma ricorrente;

4) abitazioni occupate da soggetti che risiedano o abbiano la dimora, per più di sei mesi all’anno, all’estero; 5) fabbricati rurali ad uso abitativo.

Inoltre i comuni, secondo quanto disciplinato al comma 17, nella modulazione della tariffa, dovranno assicurare delle riduzioni per la raccolta differenziata riferibile alle utenze domestiche, per l’avvio al recupero dei rifiuti da parte degli operatori economici e per le zone in cui non è attivo il servizio di raccolta (in quest’ultimo caso il tributo è dovuto nella misura massima del 40% della tariffa teoricamente prevista).

Al comma 19 è previsto che il Consiglio comunale possa deliberare ulteriori riduzioni ed esenzioni ma queste dovranno essere iscritte in bilancio come autorizzazioni di spesa e la relativa copertura dovrà avvenire con risorse diverse dai proventi del tributo.

Un’importante novità è inserita nel comma 29 nel quale è prevista la possibilità, per i Comuni nei quali sono operativi sistemi di misurazione puntuale dei rifiuti conferiti (cioè con corrispondenza esatta fra ammontare del prelievo e servizio prestato), di abbandonare l’entrata tributaria in favore di una tariffa effettivamente corrispettiva del servizio . Tale tariffa sarà assoggettata ad IVA e sarà applicata e riscossa dal gestore del servizio pubblico.

Per quanto riguarda la riscossione del tributo, il legislatore ha precisato che il pagamento del tributo e della maggiorazione debba avvenire esclusivamente in favore del Comune. L’unica eccezione riguarda i Comuni che hanno realizzato sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico e sono pertanto transitati alla tariffa corrispettiva. In questi casi, le fasi relative all’applicazione e alla riscossione della tariffa sono assegnate al soggetto affidatario del servizio di gestione dei rifiuti urbani.

Il comma 35, seconda parte, dispone che i Comuni possono affidare, ma esclusivamente fino al 31 dicembre 2013, la gestione del tributo o della tariffa di cui al comma 29, ai soggetti che, alla data del 31 dicembre 2012, svolgono, anche disgiuntamente, il servizio di gestione dei rifiuti e di accertamento e riscossione della TARSU, della TIA 1 o della TIA 2, ma anche in questo caso il versamento del tributo e della maggiorazione dovrà avvenire sempre ed esclusivamente al Comune, il quale potrà decidere il numero e la scadenza delle relative rate di pagamento.

L’art. 14 D.L. n.201/11, al comma 13, istituisce infine l’imposta sui servizi comunali a copertura dei costi relativi ai servizi indivisibili dei comuni. Tale imposta è una maggiorazione del tributo sui rifiuti pari a 0.30 euro per metro quadrato che i Comuni possono elevare fino a 0.40 euro anche in ragione della tipologia dell’immobile e della zona ove è ubicato.

Tale costruzione pare peraltro poco coerente con le garanzie dell’art. 53 della Costituzione relative al principio della capacità contributiva e dell’equità verticale.

Secondo il principio di capacità contributiva infatti, l’onere della copertura del costo della spesa pubblica è posto a carico dell’intera collettività tramite tributi applicati su basi imponibili considerate una misura del benessere, pertanto si taglia qualsiasi legame tra la distribuzione dell’onere dei tributi e quella dei benefici della spesa pubblica: il carico tributario viene ripartito in ragione della capacità di ciascuno di contribuire al finanziamento della spesa, cioè nella sostanza, in base al benessere.

Diversamente, a seguito della definizione dell’imposta sui servizi comunali indivisibili data dal Legislatore, sembrerebbe che lo stesso abbia violato il criterio di equità verticale sottostante al principio di capacità contributiva, che richiede che si riservi un trattamento tributario differenziato a individui in condizioni economiche diverse; tale differenziazione non si ritrova affatto nell’attuale struttura dell’imposta, infatti,

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esemplificando, fra un appartamento da 100mq in pieno centro storico cittadino (costituente sicuramente un indice di benessere elevato e al quale corrisponderà una rendita catastale elevata) e un appartamento da 100mq in periferia (che non gode sicuramente dello stesso indice di benessere del precedente), non vi sarà alcun differente trattamento, ponendosi pertanto in contrasto con il suddetto principio costituzionale. Trattandosi di un’imposta (e non di una tassa), dovrebbe essere infatti collegata a degli indici di capacità contributiva, come accade sempre in ambito comunale per l’Imu, la quale è “agganciata” alla rendita catastale dell’immobile, e non alla mera superficie dello stesso. Il principio di equità verticale non dovrebbe essere applicato soltanto, e per di più discrezionalmente, alla parte relativa alla maggiorazione comunale, ma dovrebbe, invece, essere parte integrante della struttura dell’imposta stessa. Poiché il versamento della prima rata dell’imposta è stato fatto slittare a luglio (comma 35), con possibilità di ulteriore proroga da parte dei comuni, si spera che il Legislatore provveda a eliminare questa incoerenza che rischia di appesantire indiscriminatamente il relativo peso fiscale.

 

URBANISTICA

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PIANO REGOLATORE GENERALE: IL RAPPORTO TRA PIANO ADOTTATO E PIANO

APPROVATO AI FINI DELL’INTERESSE A RICORRERE, ANNOTAZIONE ALLA

SENTENZA DEL TAR-PIEMONTE N. 13/2013

di Monica Bartimmo

Parole chiave: Urbanistica, Piano Regolatore, Mancata impugnazione dell'atto di approvazione

Riferimenti normativi: L. 17 agosto 1942 n. 1150 Legge urbanistica; Legge regionale. 5 dicembre 1977 n. 56 Tutela ed uso del suolo

Massima: Il piano regolatore è atto complesso, composto da due atti distinti, l'atto di adozione e l'atto di approvazione, la mancata impugnazione del secondo non comporta necessariamente il venir meno dell'interesse al ricorso presentato contro il primo, a meno che l'approvazione comporti modifiche delle prescrizioni e previsioni impugnate

Link al documento

La questione affrontata in questa sentenza dal T.A.R. Piemonte riguarda gli effetti che produce la mancata impugnazione dell'atto di approvazione del P.R.G. sul ricorso con il quale è stato impugnato l'atto di adozione nel caso in cui le previsioni oggetto di censura da parte del ricorrente siano state modificate in sede di approvazione del piano.

Circa i rapporti fra piano regolatore adottato ed il successivo atto di approvazione si registra un indirizzo giurisprudenziale costante secondo cui il piano regolatore è formato da due atti distinti: l'atto di adozione, con i suoi effetti di salvaguardia autonomi ed immediati, e l'atto di approvazione, che costituisce un atto sostanzialmente e formalmente nuovo rispetto al piano adottato. I due atti, secondo il giudice amministrativo, possono essere impugnati autonomamente e distintamente producendo diversi effetti lesivi riconducibili, per il primo, alla entrata in vigore delle misure di salvaguardia e, per il secondo alla definitiva conformazione dell'assetto del territorio. Sebbene i due atti siano autonomamente impugnabili la giurisprudenza afferma che il privato che abbia impugnato il piano adottato non ha l'onere di promuovere un nuovo ricorso una volta che l'iter di formazione del P.R.G. si sia concluso con la sua approvazione. Ciò in quanto l'eventuale annullamento della delibera di adozione dello strumento urbanistico, comportando il venir meno di uno degli elementi necessari di un atto complesso, il cui procedimento si conclude solo con l'approvazione regionale, esplica effetti automaticamente caducanti e non meramente vizianti sul successivo provvedimento regionale.

Tuttavia, tale regola risulta non applicabile allorché il piano adottato sia stato modificato d'ufficio in sede di approvazione poiché in tal caso la previsione impugnata viene completamente assorbita e superata da quella approvata che divenendo una fonte autonoma di lesione deve essere separatamente impugnata con conseguente improcedibilità il ricorso proposto contro il piano adottato.

Note: Cfr. Cons. St., IV, 6 maggio 2003, n. 2386, 13 gennaio 2010, n. 50 e 11 settembre 2012, n. 4828.

 

PATRIMONIO E CONTRATTI

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 28

IL CONTRATTO DI DISPONIBILITÀ NON COMPORTA NECESSARIAMENTE

UN INDEBITAMENTO PER L’ENTE LOCALE.

ANNOTAZIONE A CORTE DEI CONTI SEZ. REG. CONTR. LOMBARDIA

PARERE N. 439/2012/PAR DEL 3.10.2012 E SEZ. REG. CONTR. PUGLIA,

PARERE N. N. 66/PAR/2012 DEL 31.05.2012

di Maria Bottiglieri

Fonte: Corte conti, sez. reg. contr. Puglia, Parere n. 66//PAR/2012 del 31.05.2012; Corte dei Conti, sez. reg. controllo Lombardia - Parere n. 439/2012/PAR del 3.10.2012; Corte conti, sez. reg. contr. Emilia-Romagna, Parere n. 432/2012/PAR del 26.10.2012

Parole Chiave: Contratti - Regioni Ed Enti locali - Pareri - Gestione contabile finanziaria – Indebitamento

Riferimenti normativi: Art. 3 comma 15 bis e art. 160 ter del Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE (d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163) così come introdotti dall’art. 44, comma 1, lettera d) D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27.

Massime: Gli enti locali non devono considerare gli effetti finanziari del contratto di disponibilità ai fini del calcolo del limite massimo di indebitamento, solamente se il rischio contrattuale è trasferito in concreto dall’ente pubblico al soggetto privato.

Link al Io documento – Link al IIo documento – Link al IIIo documento

L'art. 3 comma 15 bis e l’art. 160 ter del Codice degli appalti. aggiunti dall’art. 44, comma 1, a lettera d) D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modificazioni dalla legge 24 marzo 2012, n. 27, istituiscono un nuovo strumento di partenariato pubblico-privato: il contratto di disponibilità, ovvero "il contratto mediante il quale sono affidate, a rischio e a spesa dell'affidatario, la costruzione e la messa a disposizione a favore dell'amministrazione aggiudicatrice di un'opera di proprietà privata destinata all'esercizio di un pubblico servizio, a fronte di un corrispettivo. Si intende per messa a disposizione l'onere assunto a proprio rischio dall'affidatario di assicurare all'amministrazione aggiudicatrice la costante fruibilità dell'opera, nel rispetto dei parametri di funzionalità previsti dal contratto, garantendo allo scopo la perfetta manutenzione e la risoluzione di tutti gli eventuali vizi, anche sopravvenuti".

Tale nuovo istituto è di particolare utilità per gli enti locali perché rappresenta una nuova modalità a favore delle pubbliche amministrazioni di utilizzo delle risorse private per la realizzazione di opere di pubblica utilità (la cui realizzazione è sempre più compromessa dalla progressiva e continua diminuzione delle risorse). Per andare incontro a queste esigenze, il legislatore aveva già creato il c.d. leasing in costruendo (art. 160-bis). Su questo contratto la giurisprudenza contabile aveva però esortato le amministrazioni a vagliare caso per caso la convenienza e la sostenibilità del medesimo per il bilancio dell'ente, atteso che, per le sue caratteristiche, il leasing immobiliare in costruendo può configurare un'operazione di indebitamento (cfr. per tutte sez. contr. reg. Lombardia 21 dicembre 2009, n. 1139; sez. riun. contr. 16 settembre 2011, n. 49).

I primi pareri espressi dalla Corte dei Conti in materia di contratto di disponibilità, invece, evidenziano che la stipula del medesimo non incide sulla capacità dell’ente locale di indebitarsi ai sensi dell’art. 204 TUEL qualora, analizzando la fattispecie concreta, si verifichino le seguenti condizioni: a) che il soggetto privato assuma il rischio di costruzione; b) che il soggetto privato assuma almeno uno dei due rischi: di disponibilità o di domanda. "Solo nell’ipotesi in cui, applicando rigorosamente il criterio del riparto dei rischi tra soggetto pubblico e privato, il contratto di disponibilità non costituisca in concreto una forma di indebitamento è possibile escludere l’iscrizione in bilancio del canone di disponibilità quale spesa di investimento" (così Corte dei Conti, sez. Controllo Lombardia Parere n. 439/2012/PAR del 3.10.2012). In ogni caso, vanno valutati attentamente i rischi di elusione del patto di stabilità interno.

Note: Sul contratto di disponibilità si segnalano i commenti di:

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- Stefano Fantini, Il partenariato pubblico-privato, con particolare riguardo al project financing ed al contratto di disponibilità in www.giustiziamministrativa.it, luglio 2012

- Giancarlo Astegiano, Il contratto di disponibilità incide sulla disciplina dell’indebitamento degli enti locali?, in Azienditalia, n. 12/2012, pp. 862-864

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È POSSIBILE UNA PRONUNCIA DI ANNULLAMENTO A SOLI FINI RISARCITORI.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL CONSIGLIO DI STATO N. 6229/2012

di Annalisa Fanini

Parole chiave: Contratti della Pubblica amministrazione - Gara - Offerte tecniche - Modalità di apertura - Obbligo di continuità e concentrazione

Riferimenti normativi: Art. 12 d.l. n. 52/2012, modificato dalla l. di conv. n. 94/2012; artt. 120 e 283 d.p.r. n. 207/2010

Massima 1: “Il Collegio è dell'avviso che alle disposizioni dell'art. 12 del d.l. 52/2012 non possa riconoscersi una portata meramente ricognitiva ma che ad esse debba attribuirsi la funzione di salvaguardare gli effetti delle procedure già concluse alla data del 9.5.2012 o, se ancora pendenti, nelle quali si sia comunque già proceduto all'apertura dei plichi”.

Massima 2: “Al fine di assicurare imparzialità, pubblicità e trasparenza dell'azione amministrativa, le sedute di una commissione di gara devono ispirarsi al principio di concentrazione e di continuità, nel senso che le operazioni di esame delle offerte tecniche devono essere racchiuse possibilmente in una sola seduta, senza soluzione di continuità, proprio al fine di prevenire influenze esterne ed assicurare l'indipendenza del giudizio. Se è vero che tale principio può conoscere delle eccezioni, ad esempio per la complessità delle operazioni di gara o per il numero delle offerte presentate, resta tuttavia fermo che l'intervallo tra una seduta e l'altra deve essere minimo e che debbono essere fornite adeguate garanzie di conservazione dei plichi” (v. Cons. St., V, n. 8155/2010).

Massima 3: “Il principio di pubblicità, per quanto generale e cogente lo si intenda (come conferma la sentenza dell'Adunanza Plenaria n. 31/2012), deve essere bilanciato con principi di rango almeno equivalente tra i quali il diritto europeo annovera quello dell'affidamento incolpevole”.

Link al documento

Il Consiglio di Stato, in conferma con diversa motivazione della decisione di primo grado, ha chiarito la portata dell’intervento normativo dell'art. 12 del d.l. 52/2012 [massima 1], ribadendo in via generale la necessità di prevedere la concentrazione e la continuità delle sedute delle commissioni di gara [massima 2], nonché la necessità di bilanciare il principio di pubblicità delle sedute con quello di affidamento incolpevole, entrambi di provenienza comunitaria [massima 3].

A seguito della pronuncia dell’Adunanza Plenaria n. 13/2011, nella quale è stato sancito l’obbligo che la commissione giudicatrice proceda in seduta pubblica all'apertura delle buste che contengono le offerta tecniche, al fine di consentire a tutti i concorrenti di avere contezza della regolarità e completezza della documentazione prodotta, il legislatore ha avvertito l'esigenza di intervenire per disciplinare gli effetti del mutamento sui procedimenti di gara ancora in corso. L’art. 12 del d.l. 52/2012 ha novellato gli artt. 120 e 283 del d.p.r. 207/2010 che, prima di allora, non contenevano una previsione espressa in tal senso. Nel riconoscere che i plichi contenenti le offerte tecniche debbono essere aperti in seduta pubblica, il legislatore, nel testo modificato dalla legge di conversione 94/2012, ha specificato che tale regola vale “anche per le gare in corso ove i plichi contenenti le offerte tecniche non siano stati ancora aperti alla data del 9 maggio 2012".

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IL RISARCIMENTO DEL DANNO DA DISSERVIZIO E CRITERI DI LIQUIDAZIONE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA N. 210 DELLA CORTE DEI CONTI

SEZ. REG. EMILIA ROMAGNA DEL 6.09.2012

di Paolo Marta

Parole chiave: Responsabilità amministrativa- danno da disservizio- risarcimento-abuso di funzione e poteri d’ufficio- sequestro conservativo

Massima: Il danno da disservizio può sussistere anche in caso di illecito arricchimento di un funzionario pubblico, attuato mediante l’utilizzo di artifici contabili in danno dell’ente di appartenenza. Le spese sostenute dall’amministrazione per l’indagine interna e la riorganizzazione dell’ufficio devono essere risarcite secondo criteri equitativi ai sensi dell’art.1226 c.c.

Il responsabile del servizio finanziario di un Comune, il quale si è indebitamente appropriato, tramite artifici contabili, di denaro pubblico per fini personali, è stato condannato, oltre che al risarcimento del danno patrimoniale subito dall'ente di appartenenza, anche a quello del danno patrimoniale da disservizio. La quantificazione di tale danno è avvenuta con criteri equitativi. Il risarcimento per danno da disservizio è volto a porre rimedio alle conseguenze del comportamento illecito del dipendente che si sono manifestate nell'aver determinato effetti distorsivi della legalità e della legittimità dell'azione amministrativa. Il danno consiste in un dispendio di risorse che, sottratte ad altre destinazioni, sono state impiegate per gli accertamenti del Comune sui fatti di causa nonché sulla susseguente attività di riorganizzazione dei servizi comunali coinvolti dalla condotta delittuosa del convenuto.

 

FINANZE E CONTABILITÀ

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DECRETO-LEGGE 10 OTTOBRE 2012, N. 174 “DISPOSIZIONI URGENTI

IN MATERIA DI FINANZA E FUNZIONAMENTO DEGLI ENTI TERRITORIALI,

NONCHÉ ULTERIORI DISPOSIZIONI IN FAVORE DELLE ZONE TERREMOTATE

NEL MAGGIO 2012”, CONVERTITO CON MODIFICAZIONI

DALLA LEGGE 7 DICEMBRE 2012, N. 213

di Andrea Patanè e Maria Bottiglieri

Link al Documento

Con il decreto-legge, entrato in vigore il 10 dicembre 2012 dopo essere stato convertito con modifiche, il governo Monti ha perseguito l’obiettivo di ridurre i costi della politica regionale e di consolidare i conti pubblici garantendo il pareggio di bilancio. Il provvedimento interviene al fine di garantire una migliore gestione degli Enti locali, soprattutto di quelli in maggiore difficoltà finanziaria. Il decreto che contiene importanti novità in materia di controlli interni per gli Enti locali è stato oggetto di modifiche ulteriori ad opera della legge di stabilità del 24 dicembre 2012, n. 228.1 Il decreto-legge e la legge di conversione hanno nel complesso apportato molteplici modifiche al TUEL.

1. Le principali modifiche al TUEL

Viene introdotto l’articolo 41 bis che, al fine di garantire una maggiore trasparenza dei titolari di cariche pubbliche elettive, sancisce l’obbligo di pubblicare annualmente, nonché all’inizio e alla fine del mandato, sul sito internet dell’ente lo stato patrimoniale personale ( Enti con popolazione superiore ai 10.000 abitanti).

L'articolo 3 lett. b) del d.l. riscrive l'art. 49 del TUEL, e prevede delle novità importanti, introducendo l’obbligo di elaborare un parere di regolarità tecnica da parte dei responsabili di servizi da sottoporre al consiglio e alla giunta prima che questi assumano una decisione avente oggetto la materia per cui è stato chiesto il parere. L’articolo così novellato afferma che tale parere si renderà necessario qualora comporti riflessi diretti o indiretti sulla situazione economico-finanziaria o sul patrimonio dell’ente, novità che incrementa il numero di casi in cui va richiesto il parere rispetto alla normativa precedente.

Vengono introdotte delle modifiche in tema di controllo, in particolare sono stati aggiunti cinque nuovi articoli al TUEL: dal 147 bis al 147-quinquies, l’intervento legislativo implementa così il sistema dei controlli interni, prevedendo, oltre ai controlli di regolarita amministrativa contabile di gestione e di controllo strategico, anche il controllo sugli equilibri finanziari dell’ente e il controllo degli organismi gestionali esterni all’ente, in particolare il controllo sulle societa partecipate non quotate. Si è modificato l’articolo 153 del TUEL mutando la disciplina del responsabile finanziario dell’ente locale, prevedendo come questi sia preposto alla verifica di veridicità delle previsioni di entrata e di compatibilità delle previsioni di spesa, avanzate dai vari servizi, da iscriversi nel bilancio annuale o pluriennale con l’obbligo, quindi, di apporre un visto di copertura. L’articolo 166 viene invece modificato in relazione al fondo di riserva previsto per gli Enti locali e dispone che almeno la metà del fondo abbia come destinazione la copertura di eventuali spese da realizzarsi in condizione di eccezionalità e che per questo motivo non sono dunque state inserite nel bilancio preventivo. Il provvedimento interviene altresì sull’articolo 191 del testo unico, al fine di modificare la disciplina relativa alle regole previste per la realizzazione di lavori pubblici e delle conseguenti somme impegnate; in particolare l’intervento è finalizzato a prevedere la condizione in cui si debba realizzare un’opera pubblica in conseguenza di un evento eccezionale e imprevedibile. È stato modificato l’articolo 234 del TUEL in merito alla revisione contabile delle unioni di comuni prevedendo la forma associata di tutte le

                                                            1 Cfr. il dossier "Disposizioni urgenti in materia di finanza e funzionamento degli enti territoriali, nonché ulteriori disposizioni in favore delle zone terremotate nel maggio 2012 D.L. 174/2012- A.C.5520-A/R- Schede di lettura" http://www.camera.it/465?area=19&tema= 658

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funzioni fondamentali dei comuni che ne fanno parte; la revisione economico finanziaria è svolta da un collegio di revisori composto da tre membri, che svolge le medesime funzioni anche per i comuni che fanno parte dell’unione. Ulteriore modifica si ha in seno all’articolo 242 del TUEL per cui si è intervenuti sulla disciplina volta a semplificare la procedura posta in essere per l’individuazione dei motivi che hanno creato la condizione strutturale di deficit dell’ente. Con la modifica dell’articolo 243 del TUEL si sono introdotte delle modifiche prevedendo limitazioni e controlli per gli enti che si trovino in una condizione strutturalmente deficitaria. S’introducono inoltre gli articoli 243-bis, 243-ter e 243-quater i quali contengono le norme in merito alla nuova procedura di riequilibrio finanziario pluriennale degli Enti locali. Con la modifica dell’art.248 del testo unico, si prevedono le sanzioni per gli amministratori che hanno contribuito a cagionare il dissesto dell’Ente locale e viene eliminato il limite temporale imposto alla magistratura contabile di cinque anni precedenti il dissesto. La legge introduce, altresì, delle novità in tema di fondo di rotazione al fine di garantire la stabilità finanziaria degli Enti locali , nello specifico, si prevede che il fondo è istituito nello stato di previsione del Ministero dell’interno con una dotazione di 30 milioni di euro per l’anno 2012, 90 milioni di euro per l’anno 2013, 190 milioni di euro per l’anno 2014 e 200 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2015 al 2020; Il fondo di rotazione, così come previsto, ha lo scopo di garantire per gli enti locali la stabilità finanziaria secondo le previsione del Ministero dell’interno. L’articolo 5 prevede delle modifiche sulle procedure di riequilibrio finanziario pluriennale degli Enti locali ed in particolare per quelli che hanno degli squilibri di bilancio di tipo strutturale. Si prevede che nel caso in cui si realizzino delle condizioni di squilibrio strutturale, le quali rendano necessarie degli interventi, si possa garantire una stabilità finanziaria degli Enti locali attraverso l’utilizzo del piano di riequilibrio. L’articolo 5 prevede, difatti, che in presenza di eccezionali motivi di urgenza può essere concessa con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze, un’anticipazione sul Fondo di rotazione di cui all’articolo 4, da riassorbire in sede di predisposizione e attuazione del piano di riequilibrio finanziario. L’articolo 8 sancisce le disposizioni in tema di patto di stabilità interno, in particolare, si afferma che in sede di controllo di legittimità e regolarità sui bilanci preventivi e consuntivi delle autonomie territoriali e degli enti che compongono il servizio sanitario nazionale ai sensi dell'articolo 1, commi 166 e seguenti, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, le sezioni regionali di controllo della Corte dei conti accertano la salvaguardia degli equilibri di bilancio, il rispetto del patto di stabilità interno, la sostenibilità dell'indebitamento e l'assenza d’irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche con riguardo ai futuri assetti economici dei conti, la sana gestione finanziaria degli enti. All’’articolo 9 vengono, invece, annoverate le disposizioni in materia di verifica degli equilibri di bilancio degli Enti locali attraverso l’introduzione di novità in materia di fiscalità locale; s’introduce la previsione per cui il gettito dell’imposta provinciale di trascrizione sia destinato alla Provincia dov’è posta la residenza dell’intestatario del veicolo. Infine, all’articolo 10, si sancisce che la scuola superiore per la formazione e la specializzazione dei dirigenti della pubblica amministrazione locale è soppressa.

2. I nuovi controlli della Corte dei conti sugli Enti locali.

La nuova strutturazione dei controlli della Corte dei conti predisposti dal D.L. 174/2012 così come convertito con modifiche dalla L. 213/2012 è finalizzato a "rafforzare il coordinamento della finanza pubblica, in particolare tra i livelli di governo statale e regionale, e di garantire il rispetto dei vincoli finanziari derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea" (art. 1, co. 1): va letta in tal senso l’introduzione di nuove e più pregnanti forme di partecipazione della Corte dei conti che, in presenza di specifici presupposti di legge, si estrinsecano anche in misure interdittive dei processi di spesa.

Con riguardo ai controlli sugli enti locali, le novità sono numerose e articolate, ci si limita a menzionarne tre di particolare rilievo, ovvero i controlli esterni realizzati tramite le c.d. relazioni semestrali, la procedura relativa al piano di riequilibrio finanziario pluriennale e i controlli sulla c.d. spending review.

L'art. 3 lett e) modifica l'art. 148 del TUEL sui controlli esterni che precedentemente si limitava a disporre un generico rinvio alla legge sulle Disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti: (L. 14 gennaio 1994, n. 20 e successive modificazioni ed integrazioni) . Ora invece il nuovo art. 148 del TUEL amplia in maniera consistente la funzione di controllo della Corte, la quale ha ad oggetto, anche in corso di esercizio, la regolarità della gestione finanziaria, gli atti di programmazione, nonché la verifica del funzionamento dei controlli interni di ciascun ente. Recita infatti il comma 1: "Le sezioni regionali della

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Corte dei conti verificano, con cadenza semestrale2, la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e dell'equilibrio di bilancio di ciascun ente locale.". Il comma 2 prevede che i controlli esterni vengono esercitati, oltre che dalle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, anche, autonomamente, dal Ministero dell’economia e finanze – RGS, il quale può procedere ad effettuare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo contabile in presenza di specifici indicatori di squilibrio finanziario, quali il: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; c) anomale modalità di gestione dei servizi per conto di terzi; d) aumento non giustificato di spesa degli organi politici istituzionali. Il comma 5 affida alla Corte anche un potere sanzionatorio nei confronti degli amministratori dell’ente locale: fermo restando quanto previsto dalla L. 20/1994 in materia di responsabilità erariale, la Corte può irrogare "agli amministratori responsabili la condanna ad una sanzione pecuniaria da un minimo di cinque fino ad un massimo di venti volte la retribuzione mensile lorda dovuta al momento di commissione della violazione".

Il DL 78/2012 introduce inoltre l’articolo 148 bis rubricato "rafforzamento del controllo della Corte dei conti sulla gestione finanziaria degli enti locali" nel quale si prevede che le Sezioni regionali di controllo della Corte, al fine di verificare il "rispetto degli obiettivi annuali posti dal patto di stabilità interno, dell'osservanza del vincolo previsto in materia di indebitamento dall'articolo 119, sesto comma, della Costituzione, della sostenibilità dell'indebitamento, dell'assenza di irregolarità, suscettibili di pregiudicare, anche in prospettiva, gli equilibri economico-finanziari degli enti", esaminino i bilanci preventivi e i rendiconti consuntivi degli enti locali ai fini della verifica di specifici elementi suscettibili di pregiudicare gli equilibri economico finanziari degli enti. L’accertamento ha anche ad oggetto la verifica che i rendiconti consuntivi tengano conto delle partecipazioni dell’ente locale in società controllate alle quali è affidata la gestione di servizi pubblici per le collettività locali o attività strumentali all’ente. Sono previste specifiche conseguenze nell’ipotesi in cui la Corte riscontri irregolarità e l’ente locale non provveda a rimuoverle: "… l'accertamento, da parte delle competenti sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, di squilibri economico-finanziari, della mancata copertura di spese, della violazione di norme finalizzate a garantire la regolarità della gestione finanziaria, o del mancato rispetto degli obiettivi posti con il patto di stabilità interno comporta per gli enti interessati l'obbligo di adottare, entro sessanta giorni dalla comunicazione del deposito della pronuncia di accertamento, i provvedimenti idonei a rimuovere le irregolarità e a ripristinare gli equilibri di bilancio. Tali provvedimenti sono trasmessi alle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti che li verificano nel termine di trenta giorni dal ricevimento. Qualora l'ente non provveda alla trasmissione dei suddetti provvedimenti o la verifica delle sezioni regionali di controllo dia esito negativo, è preclusa l'attuazione dei programmi di spesa per i quali è stata accertata la mancata copertura o l'insussistenza della relativa sostenibilità finanziaria.

L'art 3 lett r) introduce nel Testo unico enti locali i nuovi articoli 243 bis, 243 ter, 243 quater e 243 quinquies. Il nuovo articolo 243 bis del TUEL "Procedura di riequilibrio finanziario pluriennale", reca la disciplina generale della nuova procedura di riequilibrio finanziario, volta ad evitare la dichiarazione di dissesto di quei comuni con popolazione non inferiore a 20.000 abitanti e delle province per i quali, anche in considerazione delle pronunce delle competenti sezioni regionali della Corte dei conti sui bilanci degli enti, sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocare il dissesto finanziario. La predetta procedura prevede che il consiglio dell'ente locale deliberi un piano di riequilibrio finanziario pluriennale della durata massima di 10 anni nel quale si deve tenere conto di tutte le misure necessarie a superare le condizioni di squilibrio rilevate. Si tratta di una terza fattispecie che si aggiunge alle situazioni, elencate dagli artt. 242 del TUEL e 244 del TUEL, di Enti in condizioni strutturalmente "deficitarie" ed Enti in situazioni di dissesto finanziario. L'art. 243 ter "Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali" istituisce e disciplina l'accesso degli enti locali al "Fondo di rotazione per assicurare la stabilità finanziaria degli enti locali", il quale è finalizzato al risanamento finanziario degli enti locali che hanno deliberato la procedura di riequilibrio finanziario di cui all'articolo 243 bis. L'art. 243 quater del TUEL definisce le procedure di esame del "piano di riequilibrio finanziario pluriennale" e quelle che garantiscono il controllo

                                                            2 Circa gli adempimenti del controllo esterno sugli EE.LL., realizzato attraverso le relazioni semestrali, cfr. la Deliberazione riguardante le prime linee interpretative per l’attuazione dei controlli introdotti dal d.l. n. 174/2012, emanata con Del. n.15/SEZAUT/2012/INPR del 25/10/2012, pp. 5-7, in http://www.corteconti.it/export/sites/portalecdc/_documenti/controllo/sez_autonomie/2012/delibera_15_2012_aut_inpr.pdf

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sulla relativa attuazione: la sezione regionale della Corte dei conti svolge un ruolo essenziale atteso che, a seguito dell'istruttoria condotta dalla sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli enti locali (ex art. 155 del TUEL) condotta sulla base delle Linee guida deliberate dalla Sezione delle autonomie della Corte dei conti3 e delle indicazioni fornite dalla competente Sezione regionale di controllo della Corte dei Conti, è chiamata a deliberare sull'approvazione o sul diniego del piano, valutandone la congruenza ai fini del riequilibrio. In caso di approvazione del piano, la Corte vigila sull'esecuzione dello stesso. Nell'art. 243 quinquies del TUEL sono infine disciplinate le "Misure per garantire la stabilità finanziaria degli enti locali sciolti per fenomeni di infiltrazione e di condizionamento di tipo mafioso".

L'art. 6 della L. 174/2012 affida alle sezioni regionali della Corte dei conti il compito di svolgere i controlli per la verifica dell’attuazione delle misure dirette alla razionalizzazione della spesa pubblica degli enti territoriali (c.d. spending review) sulla base di metodologie appropriate definite dalla Sezione autonomie della stessa Corte di conti. "È questa una modalità di controllo che, incentrandosi essenzialmente sulla valutazione dei profili dell’efficacia, dell’efficienza e dell’economicità, apre un “focus” sull’intera organizzazione della spesa dell’ente e consente un più approfondito apprezzamento circa la sostenibilità del bilancio."4

                                                            3 Le prime Linee Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la valutazione della sua congruenza (art. 243-quater, TUEL commi 1-3) sono state già emanate con delibera n. 16/SEZAUT/2012/INPR in https://servizi.corteconti.it/bdcaccessibile/ricercaInternet/doDettaglio.do?id=7418-21/12/2012-SEZAUT

4 Corte dei Conti, Inaugurazione dell'anno giudiziario 2013. Relazione svolta sull'attività del 2012, 5/2/2013, p. 93, in www.corteconti.it

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LO STATO PUÒ IMPORRE A REGIONI ED ENTI LOCALI DI VERSARE

ALLA TESORERIA DELLO STATO LE SOMME DELLE ENTRATE PROPRIE,

AI FINI DELLA RIDUZIONE DELL’INDEBITAMENTO.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 311/2012

di Nicola Dessì

Parole chiave: Tesoreria dello Stato – tesoreria mista – tesoreria unica – entrate proprie degli Enti locali

Riferimenti normativi: artt. 117, 118 e 119 Cost ; art. 35, commi 8, 9, 10 e 13 decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27; art. 2, legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione)

Massima: Lo Stato può imporre alle Regioni e agli Enti locali di versare le somme derivanti da entrate proprie su un conto fruttifero, aperto presso la Tesoreria dello Stato.

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La sentenza decide su alcune questioni di legittimità, riunite in un unico giudizio, promosse da quattro Regioni (Piemonte, Veneto, Toscana, Sicilia). Sono state impugnate alcune disposizioni del c.d. decreto “Cresci Italia”, convertito in legge con modifiche irrilevanti per i ricorsi. Il d.lgs. n. 279/1997 aveva istituito, con riguardo alle risorse di Regioni ed Enti locali, il regime della c.d. “tesoreria mista”. Secondo tale sistema, ogni somma che si trovasse nelle disponibilità di Regioni ed Enti locali e che fosse riconducibile allo Stato veniva conservata in un conto infruttifero presso la Tesoreria erariale; tutte le altre disponibilità potevano essere trattenute dagli Enti presso i propri servizi di tesoreria.

Secondo le disposizioni impugnate, fino al 31 dicembre 2014 il regime della “tesoreria mista” è sospeso, ed è reintrodotta la c.d. “tesoreria unica” introdotta dalla l. n. 720/1984: Regioni ed Enti locali devono versare le somme derivanti da entrate proprie su un conto fruttifero presso la Tesoreria dello Stato. La Corte ha ritenuto inammissibili alcune delle questioni sollevate (per insufficienza delle motivazioni) e, sulle altre, ha deciso con una sentenza di rigetto.

La Corte offre innanzitutto una ricostruzione del quadro normativo.

La disciplina impugnata mira a far sì che le somme conservate nelle tesorerie locali (generalmente, nelle banche), affluiscano nelle casse dello Stato, che così, disponendo di maggiore liquidità, può limitare il ricorso all’indebitamento mediante emissione di titoli. La disciplina censurata “rientra tra le scelte di politica economica nazionale adottate per far fronte alla contingente emergenza finanziaria, si colloca nell’ambito dei principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica”, costituendo principio fondamentale in materia di coordinamento della finanza pubblica. Secondo l’art. 117 comma 3 Cost., tali principi sono regolati dalla legge statale, e non di competenza regionale.

La disciplina impugnata inoltre non impedisce agli Enti locali di disporre delle proprie risorse, e dunque di provvedere alle proprie funzioni. non viola la loro autonomia finanziaria ex art. 119 cost. L’impossibilità per gli enti di negoziare un tasso di interesse bancario superiore a quello garantito dai sottoconti fruttiferi presso le Tesorerie provinciali e l’eventuale minore redditività delle somme depositate nella Tesoreria erariale rispetto a quella che si avrebbe presso gli istituti di credito non incide in misura costituzionalmente rilevante sulla autonomia finanziaria delle Regioni e degli enti locali.

Non è violato neppure l’art. 118 Cost., che riconosce la potestà amministrativa degli Enti locali. La legge non comporta la soppressione dei servizi di tesoreria degli enti locali, perché i loro tesorieri continuano a svolgere il complesso di operazioni collegate alla gestione finanziaria dei rispettivi enti. “L’unica differenza è che, fino al 31 dicembre 2014, i tesorieri degli enti debbono coordinarsi con le sezioni di Tesoreria provinciale per quanto riguarda

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tutte le operazioni di cassa, mentre nel regime cosiddetto misto ciò si verificava solo con riferimento all’uso di somme derivanti dalle entrate non proprie dell’ente, depositate sui conti non fruttiferi della Tesoreria erariale.”

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LA MANOVRA FINANZIARIA REGIONALE PUÒ ANTICIPARE GLI OBBLIGHI DI

RIDUZIONE DELLO STOCK DI DEBITO DEGLI ENTI LOCALI.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 3/2013

di Nicola Dessì

Parole chiave: Monitoraggio sul patto di stabilità interno – Principio di leale collaborazione – Criteri e obiettivi per la riduzione del debito degli Enti Locali

Riferimenti normativi: Artt. 117 comma 3, e 119 Cost.; Art. 18, commi 3, 7, 8 e 24, l.r. 18/2011 del Friuli-Venezia Giulia (“Disposizioni per la formazione del bilancio pluriennale ed annuale della Regione. Legge finanziaria 2012); art. 8 l. di stabilità 2011 (sulla determinazione dei criteri per la riduzione del debito di Regioni ed enti locali); art. 204, comma 1, t.u. enti locali (sui mutui contraibili dagli enti locali).

Massima 1: La Regione non può permettere la stabilizzazione di personale non dirigente delle Province, senza indicare una soglia massima di posti riservati.

Massima 2: La Regione viola il principio di leale collaborazione se subordina l’adempimento di obblighi stabiliti in un protocollo d’intesa ad un’assicurazione “da parte dello Stato della piena ed effettiva attuazione dell’articolo 119 della Costituzione secondo i principi enunciati nella legge 5 maggio 2009, n.42 (Delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e del coinvolgimento nel medesimo impegno di tutte le Regioni e Province autonome, Comuni e Province”.

Massima 3: Non sussistendo un obbligo di riduzione dello stock di debito imposto dal legislatore statale nei confronti dell’intero sistema delle autonomie in riferimento all’anno 2012, risulterebbe ingiustificato e irragionevole impedire alla Regione Friuli-Venezia Giulia di introdurre misure per la riduzione del debito delle autonomie locali insistenti sul suo territorio, salvo l’obbligo di uniformarsi successivamente ai criteri stabiliti da un futuro decreto ministeriale.

Massima 4: La Regione non può consentire ai comuni di contrarre mutui con un interesse superiore al limite previsto dall’art. 204 co. 1 T.U.E.L., che detta principio di coordinamento della finanza ai sensi dell’art. 117 co. 3 Cost.

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La sentenza decide su alcune questioni di legittimità costituzionale, promosse dal Presidente del Consiglio dei Ministri, che ha impugnato alcune disposizioni della l.r. 18/2011 del Friuli-Venezia Giulia. Le seguenti norme impugnate, e dichiarate incostituzionali, interessavano le autonomie locali:

1. L’art. 13, comma 52, della legge impugnata prevedeva che il personale non dirigenziale in servizio presso le Province, alla data di entrata in vigore della legge, con un rapporto di lavoro a tempo determinato, che abbia già maturato, alla medesima data, almeno diciotto mesi di esperienza lavorativa nel settore delle politiche del lavoro, purché assunto mediante procedure selettive di natura concorsuale, poteva essere stabilizzato. L’omessa indicazione di una soglia massima di posti riservati determina un contrasto con la legislazione statale e, di riflesso, con l’art. 117, terzo comma, Cost. L’art. 17, comma 10, del decreto-legge n. 78 del 2009, prevede infatti che, nel triennio 2010-2012, le amministrazioni pubbliche locali «possono bandire concorsi per le assunzioni a tempo indeterminato con una riserva di posti, non superiore al 40 per cento dei posti messi a concorso, per il personale non dirigenziale in possesso dei requisiti di cui all’articolo 1, commi 519 e 558, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 e all’articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244».

2. L’art. 16 comma 1 subordina illegittimamente l’effettiva ottemperanza della Regione Friuli-Venezia Giulia agli obblighi di solidarietà, contratti in base al Protocollo d’Intesa firmato a Roma il 29 ottobre 2010 e recepito dall’articolo 1, comma 152, della legge n. 220 del 2010, chiedendo un’assicurazione «da parte dello Stato della piena ed effettiva attuazione dell’articolo 119 della Costituzione secondo i principi enunciati nella legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione) e del coinvolgimento nel medesimo impegno di tutte le Regioni e Province autonome,

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Comuni e Province». Tale previsione unilaterale di una condizione ulteriore costituisce violazione del principio di leale collaborazione.

3. L’art. 18 co. 3, 7 e 8, impone agli enti locali della Regione di ridurre, a partire dal 2012, lo stock di debito: “a) per le Province e i Comuni con popolazione superiore a 10.000 abitanti, lo stock di debito deve essere ridotto del 2 per cento nel 2012 e dell’1 per cento a decorrere dal 2013 rispetto allo stock di debito al 31 dicembre dell’anno precedente; b) per i Comuni con popolazione compresa tra 5001 e 10.000 abitanti, lo stock di debito deve essere ridotto dell’1 per cento nel 2012 e dello 0,5 per cento a decorrere dal 2013 rispetto allo stock di debito al 31 dicembre dell’anno precedente; c) per i Comuni con popolazione inferiore o uguale a 5.000 abitanti che hanno deliberato di aderire ai vincoli previsti dal patto di stabilità l’obiettivo di riduzione è solo consigliato.” Tale meccanismo non contrasta con l’art. 8 co. 3 della legge statale 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge di stabilità 2012) che demanda a un decreto di natura non regolamentare del Ministero dell’Economia e delle Finanze di stabilire «distintamente per regioni, province e comuni, la differenza percentuale, rispetto al debito medio pro capite, oltre la quale i singoli enti territoriali hanno l’obbligo di procedere alla riduzione del debito». la riduzione del debito prevista dal legislatore statale – i cui criteri sono, peraltro, ancora da precisarsi, attraverso l’emanazione del relativo decreto non regolamentare – non si applica che a partire dal 2013, laddove il legislatore regionale ha già introdotto norme di contenimento e riduzione del debito a partire dal 2012, anche a fronte della responsabilità che la Regione ha assunto nei confronti dello Stato quanto alla tenuta finanziaria di tutti gli enti locali rientranti nella propria sfera territoriale, con la creazione di un sistema regionale integrato, ex art. 1, comma 155, della legge n. 220 del 2010. Infatti “non sussistendo un diverso obbligo imposto dal legislatore statale nei confronti dell’intero sistema delle autonomie in riferimento all’anno 2012 e in attesa del previsto decreto ministeriale, risulterebbe ingiustificato e irragionevole impedire alla Regione Friuli-Venezia Giulia di introdurre misure per la riduzione del debito delle autonomie locali insistenti sul suo territorio: misure che anzi anticipano gli effetti della legislazione statale nel perseguire il medesimo obiettivo. Resta inteso che, una volta che il criterio statale diventi operativo, il legislatore regionale dovrà adeguarvisi (…).

4. L’art. 18, co. 11, della legge impugnata viola gli artt. 117, co. 3, e 119, co. 2, Cost., nella parte in cui prevede che i dati necessari per la costruzione del saldo di competenza mista ai fini del monitoraggio del patto di stabilità interno siano presentabili alla regione in una pluralità di scadenze “tra le quali risulta difficile persino individuare quella che è fatta oggetto di specifico rinvio da parte della disposizione impugnata”, anche posteriori a quella unica del 31 marzo stabilito invece dalla legge statale per la trasmissione dei dati dalla Regione allo Stato.

5. L’art. 18 comma 24 della legge impugnata prevede che gli enti locali insistenti nella Regione possano assumere nuovi mutui a partire dal 2012 nel limite massimo del 12 per cento, laddove l’art. 204, comma 1, T.U.E.L. fissa il limite del 12 per cento per l’anno 2011, mentre per l’anno 2012 il limite si abbassa all’8 per cento, riducendosi ulteriormente al 6 per cento per l’anno 2013, fino a stabilizzarsi nella misura del 4 per cento a partire dall’anno 2014. La norma statale “si configura quale principio di coordinamento della finanza pubblica, ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., che le Regioni, anche a statuto speciale, sono tenute a rispettare.

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EQUILIBRIO DEI BILANCI DELLE REGIONI E DEGLI ENTI TERRITORIALI NEL

PARERE DELLA CORTE DEI CONTI SULLA LEGGE DI ATTUAZIONE DEL

PRINCIPIO DI PAREGGIO DEL BILANCIO ANNOTAZIONE ALLA DELIBERA PER

L’AUDIZIONE PARLAMENTARE DELLA CORTE DEI CONTI N. 30/AUD/12 IN

MATERIA DI DISPOSIZIONI PER L’ATTUAZIONE DEL PRINCIPIO DI PAREGGIO DI

BILANCIO AI SENSI DELL’ART. 81, SESTO COMMA, DELLA COSTITUZIONE

di Maria Bottiglieri

Parole Chiave: Corte dei Conti - Audizioni al Parlamento - Finanza pubblica – Bilancio – Legge di stabilità

Riferimenti normativi: Art. 81 co. 6 Cost., artt. 9 - 12 (Capo IV - Equilibrio dei bilanci delle regioni e degli enti locali e concorso dei medesimi enti alla sostenibilità del debito pubblico) della Legge 24 dicembre 2012, n. 243. Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione.

Massima 1: La disciplina relativa agli enti locali contenuta nella legge di attuazione del principio del pareggio di bilancio dovrebbe applicarsi anche alle unioni di comuni e altre forme organizzative analoghe.

Massima 2: Occorre un coordinamento tra le misure correttive previste dall'art. 10 L. n. 243/2012 e la disciplina dei “piani di riequilibrio” previsti per gli Enti locali "strutturalmente deficitari” (art. 243 bis T.U. E.L.).

Massima 3: Servirebbe una definizione delle spese da considerare come investimenti.

Massima 4: Occorre perfezionare il “meccanismo di accesso all’indebitamento mediante intesa a livello regionale”, badando ai tempi di effettiva esecuzione degli investimenti, disciplinando il caso di mancato raggiungimento dell’intesa e prevedendo un meccanismo di restituzione delle “quote” di indebitamento di cui si è beneficiato.

Massima 5: Mancano modalità e criteri di funzionamento del "Fondo straordinario" per il concorso dello Stato al finanziamento di LEP e FF (art. 11) e per il concorso delle Regioni e degli Enti locali alla sostenibilità del debito pubblico (art. 12).

Massima 6: È auspicabile consentire alla Corte dei conti un ricorso in via principale contro leggi di bilancio e di spesa in contrasto con l’art. 81 Cost.

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La deliberazione in esame, in apposito paragrafo rubricato “Enti territoriali”, approva elementi per l’audizione alla Camera dei deputati sul disegno di legge AC 5603 relativo alla c.d. legge rafforzata di attuazione della legge costituzionale n. 1/2012, approvato con L. 24 dicembre 2012, n. 243 "Disposizioni per l'attuazione del principio del pareggio di bilancio ai sensi dell'articolo 81, sesto comma, della Costituzione", entrata in vigore il 30 gennaio 2013:

1. Destinatari. Nell’individuazione dei soggetti destinatari di tali disposizioni (art. 9 co. 1 attuale L. 243/2012), sarebbe stato opportuno, secondo la Corte, tenere conto anche delle unioni di comuni ed in generale delle altre forme organizzative (intercomunali) prevedendo un riferimento più ampio agli Enti territoriali anche diversi da quelli di cui all’art. 114 Cost.

2. Misure correttive in caso di squilibrio nei saldi. In riferimento all’obbligo di adottare misure correttive in caso di squilibrio nei saldi (art. 9 co. 2 L. 243/2012), che ne prevedano il recupero nel triennio successivo, la Corte osserva che “nel caso dello squilibrio corrente, un “recupero” effettivo dello scostamento porterebbe ad obiettivi particolarmente impegnativi per gli enti. La previsione normativa non è sostenuta tuttavia da un sistema sanzionatorio”. Inoltre andrebbe previsto un coordinamento di tali misure con la disciplina dei “piani di riequilibrio” previsti per gli Enti locali "strutturalmente deficitari" per i quali sussistano squilibri strutturali di bilancio in grado di provocarne il dissesto, disciplinati all’art. 243 bis - 243 quater T.U. E.L., come introdotti dall'art. 3 lett. r) del d.l. 174/2012 conv. con modifiche con l. 213/2012. “Il riferimento in quest’ultimo provvedimento a “equilibri strutturali” del bilancio e all’integrale ripiano del disavanzo accertato, senza riferimento a recuperi riferiti al saldo corrente, da raggiungere in un periodo massimo di 5 anni (10 anni sulla base di un emendamento al

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momento in corso di esame), non trova diretta consonanza nel testo in discussione”. Nell’ art. 9 co. 2 della L. 243/2012 è mantenuto il termine triennale ma è operato un rinvio legislativo relativo alla definizione del sistema sanzionatorio: l’art. 9 co. 4, infatti, rinvia a una legge statale il compito di stabilire le sanzioni da applicare a Regioni ed Enti locali nel caso di mancato conseguimento dell'equilibrio gestionale sino al ripristino delle condizioni di equilibrio.

3. Destinazione dei saldi positivi all'estinzione del debito. In riferimento all'art. 9 co. 3 testo definitivo : («Eventuali saldi positivi sono destinati all’estinzione del debito maturato dall’ente. Nel rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento dell’Unione europea e dell’equilibrio dei bilanci, i saldi positivi di cui al primo periodo possono essere destinati anche al finanziamento di spese di investimento con le modalità previste dall’articolo 10».) la Corte osserva : “Si tratta di una scelta opportuna, resa necessaria dal fatto che l’utilizzo dell’avanzo di amministrazione non costituisce una forma di copertura utilizzabile ai fini del rispetto dei saldi fissati in sede europea”.

4. Indebitamento e spese di investimento. L'art. 10 co. 1 e co. 2 stabiliscono che “il ricorso all’indebitamento (…) è consentito esclusivamente per finanziare spese di investimento con le modalità e nei limiti previsti dal presente articolo e dalla legge dello Stato. (….) Le operazioni di indebitamento sono effettuate solo contestualmente all’adozione di piani di ammortamento di durata non superiore alla vita utile dell’investimento, nei quali sono evidenziate l’incidenza delle obbligazioni assunte sui singoli esercizi finanziari futuri nonché le modalità di copertura degli oneri corrispondenti.” La Corte consiglia al riguardo “di rivedere in tale ambito la definizione delle spese da considerare come investimenti. Condividendo l’idea di mantenere una maggiore flessibilità nella determinazione dei limiti del ricorso al debito, valuta positivamente la previsione di piani di ammortamento perché “sembra voler limitare definitivamente la possibilità di ricorso a rinegoziazioni di debiti già in essere allungandone la scadenza”.

5. Meccanismo di accesso all'indebitamento (art. 10 co. 3). La Corte considera il “meccanismo di accesso all’indebitamento mediante intesa a livello regionale particolarmente complesso, soprattutto guardando ai tempi di effettiva esecuzione degli investimenti. Per rendere il meccanismo più efficace dovrebbe essere valutata la considerazione di un piano dei pagamenti delle spese per investimenti che tenga conto della necessità di garantire il rispetto dei tempi di esecuzione della spesa. Di qui la difficoltà di prevedere intese di validità limitata ad un solo anno di riferimento. La garanzia che ciascun ente possa ricorrere all’indebitamento nel limite delle spese per rimborsi di prestiti risultanti dal bilancio di previsione, seppur comprensibile, sembra cristallizzare in maniera rilevante le possibilità di ricorso all’indebitamento. Risultano avvantaggiate le realtà territoriali di maggiori dimensioni, mentre più difficile è l’accesso per quelle a minore capacità fiscale. La riduzione delle posizioni debitorie per i singoli enti è in tal modo legata alla sola sostenibilità finanziaria del debito. La scelta di non attribuire alla Regione la funzione di organo decisore, ma di prevedere che sia raggiunta un'intesa, in assenza della quale ciascun ente potrà indebitarsi nei limiti del rimborso dei propri prestiti, rende ancora di maggior rilievo tale previsione normativa. Non è prevista, peraltro, una disciplina nel caso di mancato raggiungimento dell’intesa. Determinante per il funzionamento del sistema sarà, poi, la previsione di un meccanismo di restituzione delle “quote” di indebitamento di cui si è beneficiato. Come ha dimostrato la seppur breve esperienza dei Patti regionali, meccanismi sanzionatori e incentivi specifici a livello regionale rivestono un ruolo di rilievo per la gestione di un sistema di accesso all’indebitamento con caratteristiche simili a quello prefigurato all’articolo 10. Va poi osservato come il meccanismo sanzionatorio, di cui si prevede l’attivazione solo in caso di squilibrio complessivo degli enti regionali, possa agevolare comportamenti opportunistici. Su entrambi gli aspetti sarà necessario intervenire con il decreto previsto al comma 5, destinato a disciplinare criteri e modalità di attuazione”.

6. Fondo straordinario per il concorso dello Stato al finanziamento dei LEP (livelli essenziali delle prestazioni) e FF (funzioni fondamentali). Con riguardo al Fondo straordinario per il concorso dello Stato al finanziamento dei livelli essenziali e delle funzioni fondamentali nelle fasi avverse del ciclo o al verificarsi di eventi eccezionali, disciplinato dall'art. 11 L. n. 243/2012, la Corte osserva come manchino “indicazioni circa le modalità e i criteri di funzionamento del Fondo. Pur essendo definito il legame delle risorse ad esso destinate alla quota di entrate proprie degli enti, il riparto è affidato ad un decreto

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del Presidente del Consiglio sentita la Conferenza permanente, mentre l’intervento delle Camere è limitato ai profili di carattere finanziario”.

7. Concorso delle Regioni e degli Enti locali alla sostenibilità del debito pubblico. In riferimento alla previsione normativa che regola il concorso delle Regioni e degli Enti locali alla sostenibilità del debito pubblico (art. 12 L. 243/2012), in particolare il possibile contributo degli enti medesimi al Fondo per l’ammortamento dei titoli di Stato, la Corte osserva: “Anche in questo caso il solo riferimento è quello alle maggiori entrate locali derivanti dal ciclo, che tuttavia possono essere ricondotte a fenomeni diversi: legate all’esercizio dello sforzo fiscale, all’attivazione delle aliquote oltre i limiti per la copertura di deficit sanitari o essere frutto di regimi agevolativi differenziati a livello territoriale. La previsione di un provvedimento che definisca criteri di funzionamento del contributo al fondo può rappresentare un elemento di chiarezza che agevola la gestione dell’intervento e quella delle amministrazioni territoriali”.

8. Mancata via di accesso diretto alla Corte costituzionale. La Corte dei Conti esprime infine alcuni dubbi sulla effettiva tenuta del sistema, che avrebbe avuto maggiori garanzie se la legge avesse affrontato la questione del controllo di conformità costituzionale delle leggi in relazione al nuovo art. 81 Cost. nonché alla disciplina della legge rinforzata, recependo in particolare la proposta già avanzata in dottrina e da una proposta Barbera/Andreatta avanzata nel 1984 all'interno della Commissione Bozzi, consistente nel "riconoscere in Costituzione alla Corte dei Conti il potere di sollevare in via diretta, davanti alla Consulta, le questioni di legittimità costituzionale della legge di bilancio e delle leggi di spesa in relazione al rispetto del principio del pareggio o comunque del principio di copertura dei nuovi o maggiori oneri introdotti dalla nuova legislazione." La Corte ricorda che il Governo era stato impegnato ad assumere apposite iniziative atte a disciplinare le modalità e le condizioni per consentire alla Corte dei Conti di promuovere il giudizio di legittimità costituzionale per violazione dell’obbligo di copertura finanziaria di cui all’art. 81, co. 3 Cost., come novellato. "Le sollecitazioni nascevano dalla consapevolezza della difficoltà, per la natura stessa della legge di bilancio e dell’operare del vincolo in termini strutturali (al netto del ciclo) di sottoporre la stessa a giudizio di legittimità costituzionale incidentale e, dunque, dell’opportunità di prevedere una via d’accesso diretto alla Consulta da parte di un giudice specializzato nella materia contabile, al fine di consentirne il necessario vaglio di conformità costituzionale. La legge organica in esame non affronta tale questione. La norma risulta pertanto priva, quanto meno con riferimento agli snodi più problematici, di momenti di controllo e verifica a posteriori del rispetto del vincolo, pur essendo apprezzabile l’introduzione dei giudizi di parificazione sui rendiconti delle regioni a statuto ordinario".

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LINEE GUIDA PER L’ESAME DEL PIANO DI RIEQUILIBRIO FINANZIARIO

PLURIENNALE E PER LA VALUTAZIONE DELLA SUA CONGRUENZA.

ANNOTAZIONE ALLA DELIBERA DELLA CORTE DEI CONTI

SEZIONE DELLE AUTONOMIE N.16/SEZAUT/2012/INPR DEL 13.12.2012

di Maria Bottiglieri

Parole Chiave: Equilibri di bilancio - Regioni ed Enti locali - Linee guida e note istruttorie

Riferimenti normativi: Art. 243 quater, del d.lgs. 267/2000, introdotti dall' art. 3, co. 1, lettera r, del d.l. del 10 ottobre 2012, n. 174, convertito con l. del 7 dicembre 2012, n. 213

Massime: Le "Linee Guida per l’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale e per la valutazione della sua congruenza (art. 243-quater, TUEL commi 1-3)" indicano quali sono gli elementi da acquisire per una sua ponderata valutazione: descrizione delle caratteristiche dell’ente; adeguamento dell'ente alle regole di coordinamento della finanza pubblica; verifica della situazione di tutti gli organismi e delle società partecipate; quantificazione veritiera e attendibile dell’esposizione debitoria; verifica del rispetto delle regole della gestione finanziaria imposte agli Enti locali.

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L'art. 243 bis del d.lgs. 267/2000 – introdotto, unitamente agli artt. 243 ter e 243 quater, dal d.l. del 10 ottobre 2012, n. 174, art. 3, co. 1, lettera r), convertito con l. del 7 dicembre 2012, n. 213 - prevede un’apposita procedura di riequilibrio finanziario pluriennale per gli enti nei quali sussistano squilibri strutturali del bilancio in grado di provocarne il dissesto finanziario. Si tratta di una terza fattispecie che si aggiunge alle situazioni, elencate dagli artt. 242 e 244 del TUEL, di enti in condizioni strutturalmente "deficitarie" ed enti in situazioni di dissesto finanziario. Ai sensi del nuovo art. 243 quater, la Corte dei Conti, Sezione delle autonomie ha approvato le Linee Guida necessarie a definire i criteri dell’esame del piano di riequilibrio finanziario pluriennale, di competenza dell’apposita sottocommissione della Commissione per la finanza e gli organici degli EE.LL. e sottoposto ad approvazione e vigilanza della Sezione regionale di controllo competente.

Le Linee Guida mirano a fornire criteri per verificare l’esatta determinazione dei fattori di squilibrio presenti nella gestione dell’ente, nonché l’attendibilità e sostenibilità delle misure rivolte al superamento della situazione critica.

Inoltre, indicano elementi da acquisire per una ponderata valutazione del piano, quali:

- una dettagliata descrizione delle caratteristiche dell’ente, quali la collocazione geografica (ad esempio: isola, ente montano) la popolazione residente (il trend demografico recente) la percentuale di popolazione immigrata, i flussi temporanei di residenti (vocazione turistica).

- l’adeguamento al complesso delle regole di coordinamento della finanza pubblica contenute nelle vigenti norme in tema di finanza locale, quali il rispetto del patto di stabilità interno, le misure per la riduzione della spesa di personale e quelle in tema di società partecipate, limiti all’indebitamento, dismissioni patrimoniali, ecc…

- l'indicazione delle misure atte a consentirne il rispetto del programma di risanamento. , in particolare la verifica della situazione di tutti gli organismi e delle società partecipate e dei relativi costi ed oneri, con la necessità di richiedere l’adozione, ove non si sia provveduto, delle misure legislative di liquidazione e di privatizzazione degli organismi partecipati secondo i criteri espressamente previsti.

- una quantificazione veritiera e attendibile dell’esposizione debitoria, in stretta ottemperanza a quanto previsto dalle norme che stabiliscono il contenuto obbligatorio del piano (ad es. l’art. 6 co. 4 del d.l. 6 luglio 2012, n. 95, convertito nella legge 7 agosto 2012, n. 135, che prevede l’allineamento con i dati contabili degli organismi partecipati).

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- la verifica del rispetto del complesso delle regole della gestione finanziaria imposte agli Enti locali; infatti, le situazioni di squilibrio si generano laddove ci si è discostati da criteri di sana gestione desumibili dalle norme e dai principi contabili e in molti casi laddove si siano generati fattori critici che non trovavano rappresentazione in bilancio.

Le Linee Guida non precludono l’effettuazione da parte della competente sezione regionale di controllo di ulteriori e maggiormente calibrate richieste istruttorie, estese anche alla fase di verifica.

Cfr. il commento di A. Paladini, Bilanci in regola per accedere al fondo anti-default, Italia Oggi 3.1.2013.

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PRIME LINEE INTERPRETATIVE PER L’ATTUAZIONE DEI CONTROLLI

INTRODOTTI DAL D.L. 10 OTTOBRE 2012, N. 174.

ANNOTAZIONE ALLA DELIBERA CORTE DEI CONTI

SEZIONE DELLE AUTONOMIE. N.15/SEZAUT/2012/INPR, 25.10.2012 DI

di Maria Bottiglieri

Parole chiave: Corte dei Conti - Regioni ed Enti locali - Linee guida e note istruttorie

Riferimenti normativi: Art. 100 co. 2 Cost., Art. 3 co.1 lett e) D.L. 10 ottobre 2012, n. 174 L. 7 dicembre 2012, 213

Massima 1: Le relazioni semestrali degli Enti locali sono una misura funzionale a verificare la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni ai fini anche del pareggio di bilancio, e consentono valutazioni in corso d’esercizio.

Massima 2:Gli adempimenti relativi predisposti per le Regioni si estendono agli Enti locali.

Massima 3:Le future Linee dovranno decidere se fare inoltrare le relazioni per il tramite del Collegio dei revisori.

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Lo scopo del documento approvato in esame è di fornire alcune prime interpretazioni sul quadro dei controlli della Corte dei Conti sulle autonomie territoriali, come tracciato dal d.l. 10 ottobre 2012, n. 174, al quale sono state peraltro apportate modificazioni dopo l’emanazione del parere (legge di conversione del 7 dicembre 2012, n. 213). Le Linee interpretative hanno evidenziato alcuni nodi problematici, risolti poi dal legislatore in sede di conversione, sui quali la Corte ha espresso una prima interpretazione finalizzata al miglior espletamento delle sue funzioni di controllo sulle autonomie locali anche nell'“interregno” tra decreto-legge e legge di conversione. Le Linee interpretative, dopo due capitoli introduttivi sul quadro costituzionale dei nuovi poteri di controllo sulle autonomie territoriali e sugli adempimenti della Sezione delle autonomie per l'attuazione del d.l. n. 174/2012, dedicano tre capitoli alle novità in materia di controlli sulle Regioni, nei quali si affrontano:

- le criticità del controllo preventivo di legittimità sugli atti delle Regioni indicati dall'art. 1, comma 2, d.l. n. 174/2012: in tal senso, onde evitare una generalizzazione del medesimo, con conseguente sottoposizione al controllo della Corte di una pletora eccessiva di atti, la Corte ha circoscritto la tipologia di atti sottoponibili a controllo preventivo (ad esempio, tra gli atti normativi a rilevanza esterna da sottoporre a controllo, la Corte ha limitato il medesimo soltanto a quelli di natura regolamentare emanati dal Governo regionale, aventi una ricaduta finanziaria per il bilancio della Regione, con esclusione dei provvedimenti aventi forza di legge). Va comunque evidenziato che la legge di conversione ha soppresso tale tipologia di controllo;

- la verifica di attendibilità delle proposte di bilancio di previsione delle Regioni (art. 1, comma 6, d.l. n. 174/2012);

- le verifiche infrannuali sulle gestioni regionali (art. 1, comma 7, d.l. n. 174/2012).

L'ultimo capitolo analizza, infine, le verifiche infrannuali sulle gestioni degli enti locali ( art. 3, comma 1, lett. e), d.l. n. 174/2012 convertito con modifiche dalla L. n.213/2012), delle quali si segnalano i seguenti elementi:

1) Le relazioni semestrali sulle gestioni degli EE.LL.

La Sezione interpreta la novella dell’art. 148 del TUEL, che ha introdotto la relazione semestrale del Sindaco (per i comuni oltre una determinata soglia dimensionale) o del Presidente della Provincia, come una misura funzionale a verificare “la legittimità e la regolarità delle gestioni, nonché il funzionamento dei controlli interni ai fini del rispetto delle regole contabili e del pareggio di bilancio”. Il controllo delle relazioni integra la verifica periodica del PEG, dei regolamenti e degli atti di programmazione e pianificazione.

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"Il tratto distintivo della nuova disciplina dei controlli, rispetto a quella vigente, si coglie con particolare evidenza nel livello di maggior dettaglio relativo alla organizzazione ed alle finalità dei controlli interni e nel coinvolgimento diretto delle figure organizzative di maggior livello di responsabilità presenti negli enti, quali il segretario, il direttore generale ed i responsabili dei servizi. Questa ristrutturazione dei controlli interni comporta una più immediata vicinanza tra attività gestionale e monitoraggio della stessa alla luce di specifici parametri di valutazione. Tali specificità si colgono sia negli aspetti di procedimentalizzazione dei controlli di regolarità amministrativa e contabile calibrati sui singoli atti, attraverso i pareri dei responsabili dei servizi nella fase preventiva, sia nelle valutazioni improntate ai principi di revisione aziendale sugli atti di gestione di maggiore impatto (come individuati dall’art. 3, comma 2) nella fase successiva. La serrata frequenza infrannuale consente valutazioni in corso d’esercizio. In questo senso il referto che il Sindaco o il Presidente della Provincia sono tenuti a trasmettere ogni semestre alla Sezione regionale di controllo, consentirà di leggere il concreto sviluppo della gestione attraverso la conoscenza degli atti e delle attività gestionali di maggior rilievo, mediante i quali l’ente attua i piani ed i programmi.

Le (future) Linee guida (della Corte dei conti), sulle quali i vertici politici degli enti struttureranno le loro relazioni semestrali, potranno, quindi, considerare anche la regolare osservanza delle norme che disciplinano il settore degli appalti, le spese di funzionamento, la gestione del patrimonio immobiliare e gli altri ambiti di gestione di maggior rilievo finanziario."

2) Gli adempimenti per l'attuazione dei controlli.

La Sezione osserva che "in considerazione della perfetta simmetricità delle disposizioni in materia di controllo sulla regolarità della gestione e gli equilibri finanziari delle Regioni con quelle degli Enti locali (rispettivamente disciplinati agli artt. 1 co. 7 e art. 3, comma 1, lett. e del d.l. 174/2012) e risultando analoghe le finalità di fondo del controllo introdotto dal nuovo art. 148 del TUEL, possono estendersi ai controlli degli Enti locali gli adempimenti predisposti per le Regioni” ovvero:

• “valutazione dell’adeguatezza funzionale del sistema dei controlli interni;

• verifica dell’osservanza dei principali vincoli normativi di carattere organizzativo e contabile;

• monitoraggio degli effetti finanziari prodotti dalle misure previste dalle manovre di finanza pubblica e dai principali provvedimenti adottati in corso d'anno;

• rilevazione degli eventuali scostamenti dagli obiettivi di finanza pubblica;

• consolidamento dei risultati delle gestioni delle amministrazioni regionali con quelle degli enti e degli organismi partecipati;

• valutazione della coerenza dei risultati gestionali rispetto alla evoluzione delle grandezze di finanza pubblica programmate”.

Lasciando aperta la questione se le relazioni debbano essere inoltrate per il tramite del collegio dei Revisori, la Corte dei conti delinea le parti obbligatorie delle relazioni stesse: “esame del sistema dei controlli e del sistema contabile”, con ricognizione “di eventuali criticità iniziali nel sistema organizzativo – contabile”; evoluzione del quadro di riferimento e aggiornamento dei principali indicatori di funzionalità gestionale; parametri della regolarità amministrativa e contabile, con individuazione di “eventuali lacune gestionali idonee, almeno potenzialmente, ad alterare i profili di una sana e corretta gestione finanziaria”; funzionamento dei controlli interni in relazione alla concreta attività “in una dimensione dinamico-operativa”; analisi degli equilibri di bilancio, in particolare della corretta copertura delle spese e salvaguardia degli equilibri finanziari ed economici, “in un’ottica di progressivo riscontro della tenuta degli obiettivi di finanza pubblica e di tempestiva rilevazione degli scostamenti che richiedano l’adozione di adeguate misure correttive”.

Dal punto di vista del diritto intertemporale, queste prime linee interpretative hanno consentito di attuare il d.l. 174/2012 sin dalla sua entrata in vigore. Si segnala in particolare la necessità di circoscrivere il controllo preventivo di legittimità introdotto all'art. 1 (e poi soppresso in sede di conversione) ai soli atti che avessero una ricaduta finanziaria per il bilancio della Regione, onde evitare che le medesime continuassero ad inviare alle sezioni regionali della Corte dei Conti ogni tipo di atto che, in senso ampio, avesse potuto essere

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ricondotto ad adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea o ad atti di programmazione e pianificazione regionali.

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IL RIPARTO DEGLI ONERI DEL SECONDO PATTO DI SOLIDARIETÀ

(SOLIDARPAKT II) VIOLA LA COSTITUZIONE

DELLA RENANIA DEL NORD-VESTFALIA.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT

DELLA RENANIA DEL NORD-VESTFALIA DELL’8.05.2012

di Giovanni Boggero

Parole chiave: Germania, Länder, patto di solidarietà, perequazione finanziaria, IVA

Riferimenti normativi: Par. 1 co. 1 n. 1 e 2 co. 1 per. 1 della legge sul calcolo degli oneri derivanti dalla riunificazione nella Renania del Nord-Vestfalia (ELAG - NRW); Art. 78, 79 co. 2 della Costituzione del Land Renania del Nord-Vestfalia.

Massime: Parte integrante della nuova disciplina del fondo di perequazione federale del 1995 fu l’aumento della compartecipazione dei Länder al gettito IVA dal 37 al 44%. Questa innovazione legata alla riunificazione riduce gli oneri relativi dei Länder e deve andare anche a beneficio dei Comuni in proporzione alla loro quote percentuali.

La legge sul calcolo degli oneri derivanti dalla riunificazione della Renania del Nord-Vestfalia (ELAG) non soddisfa tali requisiti nella misura in cui, si limita a quantificare gli oneri aggiuntivi annuali del Land nel fondo di perequazione finanziaria federale in senso stretto.

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Su ricorso di novantuno Comuni del Nordreno-Westfalia, il Tribunale Costituzionale del Land Nordreno-Westfalia ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dei criteri contabili individuati dalla novella legislativa dell’anno 2010 (Einheitslastenabrechnungsgesetz), la quale, nel rispetto del limite massimo fissato dalla legge federale, regolava la distribuzione tra Land e Comuni del carico finanziario derivante dal secondo piano per la ricostruzione nazionale, successivo alla riunificazione tedesca (cd. Solidarpakt II).

Secondo i giudici, i criteri di calcolo di cui alla novella legislativa avrebbero sovradimensionato il contributo dei Comuni rispetto a quelli del Land, in questo modo minando il loro diritto all’autonomia finanziaria garantito nella Costituzione del Land (art. 78 Cost. NRW).

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UNA QUOTA DI CONFERIMENTO IMPOSTA A COMUNI CIRCOSTANTI LE CITTÀ È

GIUSTIFICATA SOLO SE SONO EVIDENTI I VANTAGGI OTTENUTI DAI CITTADINI

DELLA PERIFERIA NELL’UTILIZZO DELLE INFRASTRUTTURE CITTADINE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT DEL

MECLEMBURGO-POMERANIA OCCIDENTALE DEL 23.02.2012

di Giovanni Boggero

Parole chiave: Circondari, Città e periferia, Quota di conferimento, Autonomia finanziaria

Riferimenti normativi: Par. 24 della legge che innova la legge sulla perequazione finanziaria (Gesetz zur Neugestaltung des Finanzausgleichsgesetzes und zur Änderung weiterer Gesetze del 10.11.2009) modificata dalla legge per la creazione di strutture circondariali e delle città libere da circondario del Meclemburgo-Pomerania occidentale in grado di resistere nel futuro (Gesetz zur Schaffung zukunftsfähiger Strukturen der Landkreise und kreisfreien Städte des Landes Mecklenburg-Vorpommern del 12.07.2010); artt. 72 e 73 della Costituzione del Land Meclemburgo-Pomerania occidentale.

Massime: Una quota di conferimento, con la quale si prelevano i vantaggi particolari di alcuni Comuni della periferia di una Città e il cui gettito fluisca alla Città stessa, è in linea generale compatibile con gli artt. 72 co. 1 per. 1 e 73 co. 2 della Costituzione del Land (ossia al diritto degli enti locali ad una adeguata dotazione finanziaria per lo svolgimento dei loro compiti e all’obbligo per il Land di mettere a disposizione risorse per gli enti locali più svantaggiati nell’ambito del meccanismo di perequazione finanziaria orizzontale, NdA). Una tale quota di conferimento, quale strumento di perequazione finanziaria orizzontale, può essere legata ad obiettivi di politica di assetto del territorio. Ad essa non osta nemmeno il fatto che, nell’ambito del fondo di perequazione finanziaria comunale, i centri urbani del Land ricevano a titolo autonomo trasferimenti per l’espletamento di compiti sovracomunali.

Nell’introdurre una tale quota di conferimento, il legislatore è obbligato al rispetto del principio di parità di trattamento in ambito intercomunale e pertanto al canone della giustizia del sistema (Systemgerechtigkeit). Questo principio richiede che i criteri individuati dal legislatore per la perequazione finanziaria non siano in contrasto e non si deroghi ad essi senza una ragione evidente. Inoltre, l’applicazione dei criteri di misurazione della quota di conferimento non può condurre a risultati che non evidenzino una corrispondenza tra la cerchia dei Comuni considerati e gli obiettivi perseguiti con l’imposizione della quota.

La quota di conferimento introdotta dal §24 FAG M-V (legge sulla perequazione finanziaria del Meclemburgo-Pomerania occidentale) non soddisfa i requisiti costituzionali individuati, dal momento che, per la misurazione, essa si collega ad un parametro che non è significativo per l’utilizzo delle infrastrutture della Città da parte degli abitanti dei Comuni circostanti, un numero rilevante dei Comuni inclusi non può registrare un particolare aumento di prosperità a partire da un crescente insediamento di fasce di popolazione con redditi più elevati e l’applicazione della disposizione conduce al risultato che la quota pro capite calcolata per alcuni Comuni risulta fino a quattro volte più elevata che in altri Comuni, sia risultato non spiegabile con maggiori vantaggi corrispondenti.

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Il ricorso di alcuni Comuni era diretto contro il § 24 della legge che disciplina il piano di perequazione finanziaria (Finanzausgleichsgesetz) interno al Land Meclemburgo-Pomerania occidentale, il quale, dal 2010, ha introdotto l’imposizione di una quota di conferimento a carico di una categoria precisa di Comuni, ossia quelli che rientrano nello spazio “Città-Periferia” di una delle Città individuate dalla legge. La quota è versata a favore di queste Città, accertati alcuni requisiti in ordine alla crescita della popolazione e al tasso di lavoratori pendolari esistenti nei Comuni periferici. Secondo i Comuni che hanno proposto ricorso si tratterebbe di una quota di contribuzione senza alcuna base giuridica nella Costituzione del Land. In particolare, essa sarebbe uno strumento inammissibile nell’ambito del piano di perequazione finanziaria (Finanzausgleich), i cui principi sono fissati in Costituzione. La Corte ha censurato la disposizione legislativa in questione, dal momento che l’indice di capacità fiscale dei Comuni e l’entità delle sovvenzioni da questi ricevute non sono un criterio adeguato per una valutazione circa l’utilizzo delle infrastrutture della Città da parte degli abitanti della periferia e dal momento che, senza alcuna ragione, alcuni Comuni sono obbligati a

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pagare una quota che, pro capite, è fino a quattro volte superiore rispetto a quella pagata da altri (violazione del diritto di pari trattamento intercomunale).

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AI COMUNI DI UN CIRCONDARIO SOPPRESSO PUÒ ESSERE RICHIESTO

DI PAGARE UNA QUOTA DI CONFERIMENTO AL NUOVO CIRCONDARIO

AI FINI DEL CONSOLIDAMENTO DI BILANCIO.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT DEL

MECLEMBURGO-POMERANIA OCCIDENTALE DEL 20.12.2012

di Giovanni Boggero

Parole chiave: Circondari, Quota di conferimento, Autonomia Finanziaria

Riferimenti normativi: Par. 25 co. 2-5 della legge sul riordino dei circondari del Meclemburgo-Pomerania occidentale (Landkreisneuordnungsgesetz – LNOG M-V); artt. 72-75 della Costituzione del Land

Massime: In quanto parte dell’amministrazione statale complessiva, i Comuni sono necessariamente integrati anche nella costituzione federale fiscale nella forma di un sistema di finanziamento dello Stato ordinamento (art. 104 a) – 115 GG). Pertanto, il semplice fatto che una disposizione legislativa, in maniera diretta o indiretta, produca conseguenze finanziarie anche per i Comuni non conferisce di per sé a questi un diritto di difesa azionabile in giudizio. Piuttosto occorre dimostrare in modo sufficientemente chiaro e nel rispetto del dovere di circostanziamento quale aspetto dell’autonomia locale sia stato minato in modo tale da richiedere un esame più approfondito se sono stati superati i limiti prefissati nel sistema delle dotazioni finanziarie dello stato ordinamento.

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Il Tribunale Costituzionale del Meclemburgo-Pomerania occidentale ha giudicato inammissibile e non sufficientemente motivato il ricorso costituzionale del Comune di Parchim, che riteneva violati i propri diritti di autonomia dall’art. 25 § 2 della legge sul riordino dei circondari (Landkreisneuordnungsgesetz - LNOG). In base a tale legge, i nuovi circondari possono riscuotere una particolare quota di conferimento (Altfehlbetragsumlage) anche da quei Comuni che appartenevano ai circondari soppressi, ai quali non era riuscito di raggiungere il pareggio di bilancio. La ratio della norma sta appunto nel consentire ai nuovi circondari di poter ridurre i debiti accumulati a seguito dell’accorpamento. Secondo il Comune ricorrente, la disposizione violerebbe il suo diritto all’autonomia finanziaria (art. 72 co. 1 Costituzione del Land Meclemburgo-Pomerania occidentale), dal momento che il versamento di una simile quota di conferimento sarebbe stato potenzialmente in grado di aggravarne la situazione di bilancio. Secondo i giudici, dalla rappresentazione dei fatti non è invece possibile ravvisare alcuna violazione diretta e attuale dell’autonomia finanziaria del Comune. A tal fine occorre infatti che la disposizione legislativa abbia un effetto negativo sul bilancio dell’ente locale non semplicemente astratto, ma concreto. Al più, sarà quindi contro l’atto che impone il pagamento all’ente che dovrebbe dirigersi il ricorso costituzionale del Comune; ma, ricorda in un suo obiter dictum il Tribunale, anche astrattamente, la disposizione legislativa sembra perseguire uno scopo legittimo, ossia quello di dividere il peso del risanamento di bilancio dei nuovi circondari anche tra i Comuni del vecchio circondario.

Note: Risulta di particolare interesse (p. 8, parte II della sentenza) la considerazione fatta nel suo ricorso dal Comune di Parchim, secondo il quale i Landkreise dovrebbero avere innanzitutto un autonomo potere impositivo e, solo in seconda battuta, poter esigere una quota di conferimento dai Comuni (Kreisumlage). Si tratta di una questione aspramente dibattuta anche in sede di Congresso dei Poteri Locali e Regionali del Consiglio d’Europa nel marzo 2012, quando era in votazione la raccomandazione riguardante la situazione della democrazia locale in Germania. La versione originaria della raccomandazione includeva precisamente l’invito alla Repubblica federale, o meglio ai suoi Länder, a dotare i Landkreise di una leva fiscale autonoma.

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AI COMUNI PUÒ ESSERE RICHIESTO DI PAGARE UNA QUOTA DI CONFERIMENTO

AI CIRCONDARI AI FINI DELLA PEREQUAZIONE FINANZIARIA ORIZZONTALE.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT DEL

MECLEMBURGO-POMERANIA OCCIDENTALE DEL 26.01.2012

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Circondari, Quota di conferimento, Perequazione finanziaria, Autonomia finanziaria

Riferimenti normativi: Par. 8 della legge che disciplina la perequazione finanziaria del Land Meclemburgo-Pomerania occidentale (Finanzausgleichsgesetz MV); Artt. 72-73 della Costituzione del Land del Meclemburgo-Pomerania occidentale.

Massime: La imposizione di una quota di conferimento a carico di alcuni Comuni dotati di capacità finanziaria particolarmente elevata nel quadro della perequazione finanziaria comunale è compatibile con la garanzia dell’autonomia locale.

Le norme che regolano la Finanzausgleichsumlage al § 8 FAG M-V non violano la Costituzione del Land. In particolare, è ammissibile anche per l’imposizione della Finanzausgleichsumlage – e così anche in generale nella perequazione finanziaria comunale – che non si riferisca a gettito effettivo dei Comuni, bensì a parametri di capacità finanziaria individuati sulla base delle aliquote medie. Allo stesso modo rientra nella discrezionalità del legislatore ed è ragionevole per l’introduzione e la commisurazione dell’obbligo di quota di conferimento, fare riferimento ai dati di un solo anno fiscale, dal momento che alla base dell’intera perequazione finanziaria vige un principio di annualità.

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Il Tribunale Costituzionale ha dichiarato infondato il ricorso sollevato dal Comune di Gallin, il quale denunciava la violazione del suo diritto all’autonomia finanziaria e del diritto di pari trattamento tra enti locali (garantiti dagli artt. 72 e 73 della Costituzione del Land del Meclemburgo Pomerania occidentale) a causa dell’introduzione da parte del Land di una Finanzausgleichsumlage, ossia di una quota di conferimento che i Comuni con le finanze più solide debbono pagare ai Circondari a fini perequativi, ossia in favore dei Comuni finanziariamente meno solidi (Interkommunale Solidarität). In particolare il Comune lamentava l’arbitrarietà del criterio di commisurazione della Finanzausgleichsumlage, basato sull’indice di capacità fiscale nel solo anno fiscale precedente alla data di determinazione del contributo. Secondo i giudici, al contrario, il criterio non sarebbe affatto arbitrario e contrario ai principi del Finanzausgleich di cui alla Costituzione del Land, dal momento che essa ammette non solo una perequazione verticale, ma anche orizzontale tra Comuni, non necessariamente appartenenti allo stesso Circondario. Non è infine ravvisabile alcuna violazione del divieto di livellamento delle finanze tra Comuni (Nivellierungsverbot) in grado di eliminare gli incentivi a condurre una corretta politica di bilancio, dal momento che la quota di conferimento comporta solo un riequilibrio della capacità fiscale dei Comuni, ma non una sua completa inversione (Finanzkraftrangfolge).

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L’OBBLIGO PER I CIRCONDARI DI FINANZIARE IL TRASPORTO SCOLASTICO

ATTRAVERSO L’IMPOSIZIONE DI UNA TASSA AI GENITORI EVITA UN AGGRAVIO

DELLA LORO SITUAZIONE DI BILANCIO. ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DEL

LANDESVERFASSUNGSGERICHT DELLO SCHLESWIG-HOLSTEIN DEL 03.09.2012

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Circondari, Land, Pareggio di Bilancio, Trasporto scolastico, Autonomia regolamentare

Riferimenti normativi: Par. 114 co. 2 per. 3 della legge sulla scuola (SchulG); art. 46 co. 1 e co. 2 e artt. 53 e59 della Costituzione del Land Schleswig-Holstein.

Massime: La previsione legislativa di cui al par. 114 co. 2 per. 3 della legge sulla scuola del 2011, in base alla quale le norme regolamentari in materia di trasporto scolastico dei circondari devono inderogabilmente prevedere una compartecipazione dei genitori e degli studenti maggiorenni ai costi del trasporto scolastico, è compatibile con l’autonomia statutaria e finanziaria inclusa nella garanzia dell’autonomia locale di cui all’art. 46 co. 1 e co. 2 della Costituzione del Land. Tale previsione costituisce un provvedimento legislativo adeguato e necessario per il consolidamento del bilancio del Land e contemporaneamente consente di evitare un aggravio ulteriore dei bilanci dei circondari; persegue inoltre lo scopo di assicurare la base del finanziamento del trasporto scolastico nonostante il venir meno della partecipazione del Land e senza indebolire la dotazione finanziaria dei circondari.

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Il Tribunale Costituzionale dello Schleswig Holstein ha giudicato ammissibile, ma infondato il ricorso del Circondario (Landkreis) di Dithmarschen, il quale riteneva violato il proprio diritto all’autonomia locale dalla sul riforma del finanziamento del trasporto pubblico scolastico, dal momento che il par. 114 co. 2 per. 3 della legge sulla scuola imponeva ai Landkreise di statuto prevedere tramite regolamento l’obbligo di partecipazione dei genitori al pagamento delle spese di trasporto scolastico. Secondo il ricorrente, questa disposizione legislativa avrebbe limitato l’autonomia normativa e finanziaria dei Kreise, i quali non sarebbero stati più liberi di scegliere se riscuotere o meno questo contributo, ma avrebbero potuto determinarne soltanto la misura. Secondo i giudici, l’autonomia dei Kreise rimane preservata in ragione del fatto che essi potranno comunque modulare il contributo, tenendo conto delle varie esigenze sociali presenti nella comunità locale. In secondo luogo, si tratta di una disposizione legislativa che ha uno scopo legittimo, è idonea, necessaria e proporzionata. Lo scopo è legittimo perché contribuisce all’obiettivo del consolidamento di bilancio del Land, di cui agli artt. 53 e 59 LV oltre a consentire, dinanzi alla decisione del Land di annullare i trasferimenti ad hoc ai Circondari, che il servizio di trasporto scolastico possa essere comunque erogato, senza causare buchi di bilancio ai Landkreise. Il contributo è idoneo perché garantisce un’entrata certa ai Landkreise; è necessario, perché senza la partecipazione dei genitori, sarebbe difficile raggiungere lo stesso obiettivo di consolidamento; è proporzionale, perché è lasciata ai Landkreise la libertà definire la misura del contributo e le differenziazioni concernenti il reddito dei nuclei familiari considerati.

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IL LEGISLATORE DEL LAND, NELLO STANZIARE LE RISORSE AI FINI DI

PEREQUAZIONE FINANZIARIA, DEVE TENERE CONTO DELL’AUMENTO DELLA

SPESA PER PRESTAZIONI SOCIALI DEGLI ENTI LOCALI. ANNOTAZIONE ALLA

SENTENZA DEL LANDESVERFASSUNGSGERICHT DELLA RENANIA-PALATINATO

DEL 14.02.2012

di Giovanni Boggero

Parole Chiave: Circondari, Fondo di perequazione, autonomia finanziaria, spesa pubblica

Riferimenti normativi: Par. 5-13 della legge che disciplina il meccanismo di perequazione finanziaria del Land Renania-Palatinato; Artt. 49 co. 1, co. 3 e co 6 della Costituzione del Land della Renania-Palatinato

Massime: Il legislatore del Land non ha tenuto in adeguata considerazione, nella misurazione e nella distribuzione delle risorse finanziarie nell’ambito del fondo di perequazione dell’aumento delle prestazioni sociali erogate da numerosi Comuni nell’anno 2007. Le norme oggetto del vaglio di questa Corte confliggono quindi sia con il principio della simmetria nella distribuzione, sia con il principio del pari trattamento intercomunale di cui all’art. 49 co. 6 LV

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Il Tribunale Costituzionale della Renania-Palatinato ha giudicato i par. 5-13 della legge che disciplina il meccanismo di perequazione finanziaria interno al Land (Finanzausgleichsgesetz) non conformi alla previsione costituzionale secondo la quale il Land è obbligato a destinare agli enti locali per mezzo del meccanismo di perequazione finanziaria le risorse finanziarie necessarie allo svolgimento delle funzioni conferite (art. 49 co. 6 LV), pena la violazione del diritto all’autonomia locale degli enti locali (art. 49 co. 1 e co. 3 LV). Secondo il ricorrente, il Circondario (Landkreis) di Neuwied, la legge in questione non assicurava infatti una adeguata dotazione finanziaria per l’anno 2007 ovvero la legge non teneva conto dell’aumento strutturale delle prestazioni sociali nel Circondario. In particolare, secondo il ricorrente, nell’individuazione delle risorse finanziarie a fini perequativi, va tenuto conto anche dell’aumento delle spese degli enti locali. Mentre le uscite dei Circondari sono aumentate dal 1990 al 2007 del 325%, il Land ha aumentato i propri trasferimenti in maniera non proporzionale, soltanto del 27%. Secondo la Corte, poiché la dotazione finanziaria degli enti locali sia adeguata bisogna bilanciarne gli interessi con quelli del Land. Dal momento che si tratta di interessi di pari livello, la distribuzione dovrà avvenire secondo il principio di simmetria. La simmetria si ottiene tenendo conto della situazione finanziaria del Land e degli enti locali (saldi, indebitamento). Il Land deve obbligatoriamente offrire il suo contributo, quando gli enti locali soffrono di un particolare aggravio, sul quale possono incidere solo limitatamente e che è per lo più arrecato dal conferimento di funzioni da parte del Land o della Federazione. Nel caso di specie, il Land non ha tenuto in adeguato conto (in particolare per i Circondari) dell’aumento delle uscite provocate dalle prestazioni sociali, per la cui erogazione, anche se si tratta di misure decise a livello federale, tocca comunque al Land fornire le adeguate risorse finanziarie agli enti locali, pena uno svuotamento del diritto all’autonomia locale.

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SEGNALAZIONE DEL MANUALE G. FESTA (A CURA DI), AA. VV., CONTABILITÀ

DEGLI ENTI LOCALI E CONTRATTUALISTICA PUBBLICA, MILANO, GIUFFRÈ, 2012

di Elena Ponzo

Monografia: G. Festa (a cura di), AA. VV., Contabilità degli enti locali e contrattualistica pubblica, Milano, Giuffrè, 2012, 463 pagg.

La trattazione affronta varie tematiche, ricostruendo in primis l’evoluzione dell’autonomia degli enti locali dall’Unità di Italia alla Legge di Stabilità del 2012 e del mutamento di ruolo degli enti locali nel processo di riallocazione delle funzioni amministrative, in particolare dopo la riforma del Titolo V. I vari saggi affrontano, tra gli altri, temi quali il patto di stabilità e il federalismo fiscale, per poi analizzare nel dettaglio le problematiche del deficit e del dissesto finanziario. L’opera contiene inoltre un saggio dedicato al tema del Servizio Sanitario e dei relativi bilanci, nonché una sezione di diritto comparato dei bilanci pubblici tra i principali Paesi comunitari. Una parte dell’Opera contiene una serie di contributi dedicata ai temi dei controlli, del ciclo delle performance, del sistema di accountability e di responsabilità amministrativo-contabile. Completa infine il lavoro una sezione i cui contributi riguardano l’attività contrattuale della Pubblica Amministrazione e i Servizi Pubblici, con un particolare riferimento all’introduzione delle A.D.R. per la deflazione del contenzioso.

Il testo si propone di far luce sulle relazioni finanziarie e contabili tra enti locali e Stato, nonché sul necessario coinvolgimento del sistema delle autonomie locali nelle manovre volte a ottenere il riequilibrio dei conti pubblici e la riduzione del debito pubblico. Gli autori pongono la loro attenzione sugli enti locali e, in particolare, sugli esiti della Riforma del Titolo V e sul completamento dell’iter di provvedimenti previsti dalla legge sul “federalismo fiscale”.

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SEGNALAZIONE DELL’ARTICOLO D. MAZZOTTA, ARMONIZZAZIONE DEI

BILANCI, SPERIMENTAZIONE, CRISI FINANZIARIE DEGLI ANTI LOCALI:

PRINCIPALI CRITICITÀ E ALCUNE PROPOSTE DI SOLUZIONE, IN AZIENDITALIA,

N. 10, 2012

di Elena Ponzo

Articolo: D. Mazzotta, Armonizzazione dei bilanci, sperimentazione, crisi finanziarie degli anti locali: principali criticità e alcune proposte di soluzione, in Azienditalia, n. 10, 2012.

Nel volume si descrive il processo di armonizzazione contabile previsto dal D.lgs n. 118/2011 e si analizza lo stato della sperimentazione biennale, a partire dal 2012, prevista per circa settanta enti tra Regioni, Province e Comuni. Un processo, questo, volto a rendere i bilanci pubblici omogenei e confrontabili. Il principio sperimentale di contabilità finanziaria modifica le condizioni per l’accertamento delle entrate e l’impegno delle spese. L’iter necessita di un efficace processo comunicativo tra amministrazione che stanzia, impegna ed eroga il finanziamento e amministrazione che ne usufruisce.

Le nuove regole, che dal 2014 saranno applicabili a tutti gli enti, possono rappresentare una buona occasione per l’emersione di situazioni finanziarie patologiche latenti, finora non accertate o sottodimensionate. In questo senso l’armonizzazione e la sperimentazione sono da porre in relazione con le prospettive di riforma dell’istituto del dissesto finanziario. Secondo l’Autore, tali nuove regole, infatti, possono costituire l’occasione per diffondere un messaggio di impegno e per concretizzare azioni rivolta a una maggiore trasparenza dei bilanci. Accanto a questo aspetto, però, viene auspicata l’aggiunta di interventi di riforma delle procedure che mirino a rendere più celeri ed efficaci i piani di risanamento. Tale esigenza emergerebbe dall’esperienza secondo cui un ente in crisi finanziaria, nell’attuale congiuntura economica, difficilmente risulta in grado, autonomamente, di reperire le risorse necessarie a fronteggiare i debiti. A fronte di uno Stato centrale che potrebbe contribuire alla fornitura della liquidità necessaria in tal senso, infatti, l’amministrazione beneficiaria dovrebbe essere costretta a intraprendere un percorso di stabilizzazione finanziaria. Considerate le difficoltà attuali di intervento dei livelli di governo superiori, una valida alternativa viene infine individuata nell’innalzamento temporaneo, per gli enti locali, dell’anticipazione di tesoreria che potrebbe essere utilizzata dagli enti in difficoltà in cambio di un sacrificio in termini di abbattimento della quota capitale e degli eventuali interessi maturati.

 

REGIONI, STATO, EUROPA

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LO STATO PUÒ LEGITTIMAMENTE IMPORRE ALLE REGIONI E AGLI ENTI LOCALI

L’ABROGAZIONE DELLE NORME RESTRITTIVE DELLA CONCORRENZA.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 8/2013

di Nicola Dessì

Parole chiave: Liberalizzazione del commercio – tutela della concorrenza – patto di stabilità

Riferimenti normativi: Artt. 117, co.1 a 6, 118 co. 1, e 119 co. 2 Cost.. Artt. 1 comma 4, e 35 comma 7, decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27.

Massima 1: Lo Stato può imporre a Regioni ed Enti locali l’adozione di misure a favore della concorrenza nel settore del commercio.

Massima 2: Lo Stato può valutare le politiche di Regioni ed Enti locali in tema di sviluppo economico, ai fini del patto di stabilità.

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La sentenza decide su alcune questioni di legittimità, riunite in un unico giudizio, promosse dalle Regioni Veneto e Toscana, riunendole in un unico giudizio e dichiarandole in parte inammissibili, in parte infondate. Sono state impugnate due disposizioni del c.d. decreto “Salva Italia” (decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 (Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività), convertito, con modificazioni, nella legge 24 marzo 2012, n. 27. La prima impone a Comuni, Province, Città metropolitane e Regioni di adeguarsi ai principi e alle regole dello stesso decreto in materia di liberalizzazione, delle attività economiche, aggiungendo che “il predetto adeguamento costituisce elemento di valutazione della virtuosità degli stessi enti ai sensi dell’articolo 20, comma 3, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111.” Spetterà alla Presidenza del Consiglio dei Ministri segnalare “gli enti che hanno provveduto all’applicazione delle procedure previste dal presente articolo”. La seconda disposizione impugnata abroga la previsione che “l’atto di indirizzo per il conseguimento degli obiettivi di politica fiscale di cui all’articolo 59 del decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, è adottato dal Ministro dell’economia e delle finanze, d’intesa con le regioni e sentita la Conferenza permanente per il coordinamento della finanza pubblica”.

In base alle disposizioni impugnate, Regioni ed Enti locali devono abrogare ogni restrizione all’avvio di un’attività economica, che non sia giustificata da ragioni d’interesse pubblico; tale abrogazione costituisce elemento di valutazione della “virtuosità” degli enti, ai fini del patto di stabilità interno. Lo Stato, ex art. 117 comma 2 Cost. ha potestà esclusiva in materia di “tutela della concorrenza”, ma non può esercitarla efficacemente, se le Regioni, che legiferano in materia di commercio, e gli Enti locali, che esercitano le corrispondenti funzioni amministrative, non agiscono nel quadro delle leggi statali. Di conseguenza, lo Stato può imporre a Regioni ed Enti locali l’adozione di misure a favore della concorrenza nel settore del commercio e non è violato né l’art. 117 comma 4 Cost., né l’art. 118 Cost., che sanciscono – rispettivamente - la potestà legislativa residuale delle Regioni e la potestà amministrativa degli Enti locali. Al contrario, il legislatore statale assume come presupposto la loro potestà: questa sarebbe stata lesa se lo Stato avesse disciplinato la materia direttamente, senza fare ricorso a norme regionali e locali.

I provvedimenti in materia di sviluppo economico possono influire sullo stato della finanza pubblica: se è agevolata la crescita economica, ne derivano conseguenze positive per il gettito fiscale. Non è quindi irragionevole che lo Stato attribuisca vantaggi, nel quadro del patto di stabilità interno, agli enti che contribuiscono alla crescita del gettito. “In questa prospettiva, è ragionevole che la norma impugnata consenta di valutare l’adeguamento di ciascun ente territoriale ai principi della razionalizzazione della regolazione, anche al fine di stabilire le modalità con cui questo debba partecipare al risanamento della finanza pubblica.”

Una norma avente per oggetto la liberalizzazione del commercio (dunque, lo sviluppo economico) può così rientrare nell’attività di coordinamento della finanza pubblica: quindi, può a buon diritto incidere sul patto di

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stabilità e di conseguenza sull’autonomia finanziaria delle autonomie locali (che ex art. 119 Cost. avviene nel quadro delle leggi di coordinamento della finanza pubblica).

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UNA REGIONE PUÒ ASSEGNARE AGLI ENTI LOCALI I BENI DEL DEMANIO

MARITTIMO GIÀ TRASFERITI DALLO STATO.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 22/2013

di Nicola Dessì

Parole chiave: Demanio marittimo – demanio regionale e degli Enti locali

Riferimenti normativi: artt. 117, comma 2, lettera l) Cost.; artt. 7 comma 3, 11, 14 l.r. 2/2012 Regione Liguria (Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio); art. 5 comma 3 d.lgs. 85/2010 (disciplina statale in materia di demanio).

Massima: La legge regionale può legittimamente assegnare in consegna i beni del proprio demanio marittimo a Comuni e Province.

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La sentenza decide su alcune questioni di legittimità, riunite in un unico giudizio, promosse dalla Presidenza del Consiglio, che ha impugnato alcune disposizioni della l.r. 2/2012 della Liguria (Disciplina regionale in materia di demanio e patrimonio) per aver violato le competenze esclusive dello stato in materia di ordinamento civile. La Corte ha giudicato in parte estinte per rinuncia, in parte cessata la materia del contendere, in parte ritenuto inammissibili le questioni riguardanti la legge intera e numerose singole disposizioni per insufficienza delle motivazioni. Sulle altre, ha deciso con una sentenza di rigetto interpretativa, evidenziando come il legislatore ligure ha disciplinato solo l’assegnazione in consegna agli enti locali dei beni del demanio marittimo regionale acquisito, elencato i beni che lo compongono e disciplinato le misure di autotutela relativi agli stessi. Non sono invase le competenze legislative dello Stato, perché la legge impugnata esclude espressamente che le funzioni statali esercitate sui beni di cui al d. lgs. n. 85 del 2010 possano essere esercitate dalla Regione prima dell’emanazione dei previsti decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri.

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LO STATO PUÒ IMPORRE AGLI ENTI LOCALI

DI LIBERALIZZARE GLI ORARI DEGLI ESERCIZI COMMERCIALI.

ANNOTAZIONE ALLA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE N. 299/2012

di Nicola Dessì

Parole chiave: Orari degli esercizi commerciali – liberalizzazione – tutela della concorrenza

Riferimenti normativi: artt. 117 commi da 1 a 4, e 6, 118 Cost, art. 31, commi 1 e 2, decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214; direttiva 2006/123/CE

Massima 1: In virtù di un’interpretazione “dinamica” della “tutela della concorrenza”, lo Stato può liberalizzare gli orari degli esercizi commerciali.

Massima 2: L’obbligo di adeguare gli ordinamenti locali alla liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali non comporta una lesione della potestà amministrativa dei Comuni.

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La sentenza decide su alcune questioni di legittimità, riunite in un unico giudizio, promosse da otto Regioni (Piemonte, Veneto, Sicilia, Lazio, Lombardia, Sardegna, Toscana, Friuli-Venezia Giulia). Sono state impugnate alcune norme del c.d. decreto “Salva-Italia”. La prima delle norme impugnate, abrogando alcuni frammenti di legge, estende la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali a tutti i Comuni. In precedenza, ciò era previsto solo nelle città d’arte. La seconda qualifica come “principio generale dell’ordinamento nazionale la libertà di apertura di nuovi esercizi commerciali sul territorio senza contingenti, limiti territoriali o altri vincoli di qualsiasi altra natura, esclusi quelli connessi alla tutela della salute, dei lavoratori, dell’ambiente e dei beni culturali. Le Regioni e gli enti locali adeguano i propri ordinamenti alle prescrizioni del presente comma entro 90 giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto.”

La Corte ha ritenuto inammissibili alcune delle questioni sollevate in riferimenti ad alcuni profili costituzionali e, sulle altre, ha deciso con una sentenza di rigetto.

La norma impugnata rientra nell’esercizio di una potestà che l’art. 117 co. 2 let. e) Cost. riserva al legislatore statale. La “tutela della concorrenza” va interpretata in una accezione dinamica “ricomprendente le misure dirette a promuovere l’apertura di mercati o ad instaurare assetti concorrenziali, mediante la riduzione o l’eliminazione dei vincoli al libero esplicarsi della capacità imprenditoriale e alle modalità di esercizio delle attività economiche. “L’eliminazione dei limiti agli orari e ai giorni di apertura al pubblico degli esercizi commerciali favorisce, a beneficio dei consumatori, la creazione di un mercato più dinamico e più aperto all’ingresso di nuovi operatori e amplia la possibilità di scelta del consumatore. Si tratta, dunque, di misure coerenti con l’obiettivo di promuovere la concorrenza, risultando proporzionate allo scopo di garantire l’assetto concorrenziale nel mercato di riferimento relativo alla distribuzione commerciale.” Non è quindi violato l’art. 117 comma 4 Cost., che attribuisce alle Regioni potestà legislativa nelle materie non riservate allo Stato, inclusa quella del commercio.

Non è violato neppure l’art. 118 Cost., perché non esistono più delle funzioni amministrative da attribuire agli enti locali o da avocare.

La norma non viola neppure, come eccepito, il diritto comunitario, in quanto consente, contrariamente a quanto ritenuto, eccezioni per motivi imperativi di interesse generale. “Sarà, ad esempio, quindi possibile, già sulla base della vigente legislazione, per l’autorità amministrativa, nell’esercizio dei propri poteri, ordinare il divieto di vendita di bevande alcoliche in determinati orari (..) oppure disporre la chiusura degli esercizi commerciali per motivi di ordine pubblico (…) così come dovranno essere rispettate le norme che vietano emissioni troppo rumorose a presidio della quiete pubblica (…). Anche con riferimento alla tutela dei lavoratori, la norma impugnata non consente alcuna deroga rispetto alla legislazione statale, oltre che alla contrattazione collettiva, in materia di lavoro notturno, festivo, di turni di riposo e di ogni altro aspetto che serve ad assicurare protezione e tutela ai lavoratori del settore della distribuzione commerciale”.

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Cfr. la nota critica di V. Onida, "Quando la Corte smentisce se stessa, Rivista AIC 1/2013"

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CONSIDERAZIONI SUL RAPPORTO TRA LA POSSIBILE REGIONALIZZAZIONE

DELLE SUPREME MAGISTRATURE E L’UNITÀ GIURIDICA DELLO STATO.

RESOCONTO DEL CONVEGNO DI BERGAMO DELL’8 FEBBRAIO 2013

di Nicola Dessì

L’8 febbraio 2013, l’Università di Bergamo ha ospitato un convegno, intitolato “Le Corti regionali”, per dibattere intorno al tema della “regionalizzazione” delle supreme magistrature della Repubblica, con riguardo alla giurisdizione sia civile (Corte di Cassazione), sia amministrativa (Consiglio di Stato). Hanno organizzato il convegno Mariacarla Giorgetti (ordinario di diritto processuale civile) e Massimo Andreis (ordinario di diritto amministrativo), nonché Gabriella Crepaldi e Francesca Locatelli, tutti dell’Università di Bergamo.

Nella sessione mattutina, la discussione ha riguardato il tema delle Corti regionali nell’ambito del processo civile. Ha introdotto e presieduto i lavori Mariacarla Giorgetti.

Gian Franco Ricci, dell’Università di Bologna, ha svolto una ricostruzionesulla storia delle Cassazioni regionali in Italia. All’inizio dell’unità d'Italia esistevano già quattro sezioni di Corte di Cassazione (Torino, Firenze, Napoli, Palermo), cui si è poi aggiunta nel 1875 la sezione di Roma. L'unificazione delle Corti avvenne nel 1923 ad opera del governo di Mussolini. In Assemblea Costituente, Calamandrei propose la costituzionalizzazione dell'unicità della Corte di Cassazione, ma la proposta non fu accolta. L’art. 104, co. 3, Cost. presuppone tuttavia l’esistenza di un primo presidente e di un procuratore generale presso “la” Corte di Cassazione, che sono membri ope constitutionis del Consiglio superiore della magistratura.

Girolamo Monteleone, dell’Università di Palermo, si è soffermato sul ruolo dellaCorte di Cassazione in Sicilia. L'art. 23, comma 1, dello Statuto siciliano del 1946 prevede l'esistenza di una sezione regionale della Corte di Cassazione, che però non è mai stata istituita. L'esistenza di un'unica Corte di Cassazione, basata sull'art. 65 dell'ordinamento giudiziario (varato dal regime fascista), oltre a non essere frutto di un vincolo costituzionale, non sarebbe nemmeno necessaria ai fini della tutela giurisdizionale, dovendosi altrimenti ritenere che gli altri giudici di merito sparsi per il paese non tutelino i cittadini. Non lo sarebbe neanche ai fini dell'unità dell'indirizzo giurisprudenziale, essendo anche l'attuale Corte di Cassazione composta da 13 diverse sezioni, ognuna con propri indirizz). Non ci sarebbe quindi ragione per impedire l’attuazione dell'art. 23 dello Statuto siciliano.

È poi intervenuta Mariacarla Giorgetti, affrontando il rapporto fra Cassazioni regionali e giurisprudenza delle Corti di merito. Prendendo atto del fatto che in Italia non vige il principio anglosassone del precedente vincolante, un sistema "regionalizzato" può avvicinare le Corti di Cassazione alle Corti di merito presenti sul territorio regionale, producendo quindi una giurisprudenza più autorevole nei loro confronti, e nei confronti degli avvocati operanti sul territorio. Pertanto, l'unità giurisprudenziale sarebbe ancora meglio garantita da un sistema di Corti regionali. Inoltre, un simile sistema permetterebbe un più rapido smaltimento dei procedimenti aperti presso la Cassazione.

La sessione pomeridiana ha avuto come tema la “regionalizzazione” della giustizia amministrativa. Hanno introdotto e presieduto i lavori Massimo Andreis e Guido Greco, ordinario di diritto amministrativo all’Università Statale di Milano.

Paolo Lotti, Consigliere di Stato, ha innanzitutto presentato alcune considerazioni sull’inquadramento del potere giudiziario nell’ordinamento regionale. L'esercizio di un potere giurisdizionale in una democrazia sarebbe l'esercizio di un potere "diffuso", un potere non gerarchizzato. Alla natura "diffusa" del potere potrebbe corrispondere anche una sua dimensione "diffusa" sul territorio. La giustizia amministrativa avrebbe il delicato ruolo del controllo di legalità: sarebbe inopportuno che tale controllo, al massimo grado di giurisdizione, si svolgesse solo a Roma. Infatti, un Consiglio di Stato "regionalizzato" sarebbe più lontano dal potere politico e dunque più indipendente.

Secondo Carlo Emanuele Gallo dell’Università di Torino, un sistema amministrativo di tipo regionalistico come quello italiano sarebbe coerente con un sistema di Corti regionali. Da questo punto di vista, non

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sarebbe inopportuno che i giudici di un Consiglio di Stato "regionalizzato" venissero in parte nominati dalle amministrazioni regionali, come i giudici dell'attuale Consiglio di Stato sono in parte nominati su deliberazione del Consiglio dei Ministri.

La relazione di Franco Mastragostino dell’Università di Bologna,riguarda l’esperienza concreta dei Tribunali amministrativi. I TAR di Trentino-Alto Adige e Sicilia hanno come particolarità la presenza di membri "laici" nominati dal potere politico. Tale particolarità tuttavia non sarebbe necessariamente connessa con i profili di autonomia dei due territori. Andrebbe perciò contestato l'assunto per cui a un forte livello di autonomia dovesse corrispondere un maggior numero di membri "laici". I TAR di Friuli-Venezia Giulia e Valle d'Aosta svolgono in effetti un importante ruolo nella tutela delle peculiarità locali, pur comprendendo solo membri "togati".

Francesco Mariuzzo, Presidente del TAR Lombardia – Milano, ha svolto una comparazione con i sistemi giudiziari di Francia e Germania. Nel sistema federale tedesco le supreme magistrature non hanno “sezioni locali”. Sono semplicemente dislocate in città diverse dalla capitale. Il Bundesgerichtshof ha sede non a Berlino, ma a Karlsruhe; il Bundesverwaltungsgericht ha sede a Lipsia, etc. Sono dislocate in sedi geografiche più lontane dal potere politico. Il confronto con il sistema francese, invece, deve tenere conto della natura dei componenti del Conseil d'État, che non sono magistrati, ma funzionari, appartenenti all'Amministrazione (e quindi al potere politico).

La sintesi era affidata a Vittorio Domenichelli dell’Università di Padova che giudicava teoricamente valida, ma di difficile attuazione pratica, le proposte in oggetto: le resistenze sarebbero troppo forti.

Si propone, in sostanza, di introdurre "sezioni regionali" della Corte di Cassazione e del Consiglio di Stato, al posto delle attuali sezioni accentrate a Roma. Si propone inoltre che alcuni giudici delle sezioni regionali dei Consigli di Stato siano nominati dalle amministrazioni regionali.

Ora, non è detto che, avvicinando le supreme magistrature alle Regioni, si crei una maggiore connessione fra potere giudiziario e autonomie locali. In tali casi, si porrebbe tuttavia più di un problema di legittimità costituzionale.

È ovviamente irrinunciabile mantenere, in ambiti territoriali ragionevoli, un presidio del potere giudiziario che garantisca l’accesso dei cittadini alla giustizia. Altrettanto ovviamente, però, quest’esigenza va contemperata col principio dell’indipendenza e imparzialità del giudice, ex artt. 101, 104 e 111 Cost.. Tale necessità comporta il massimo sforzo per allontanarlo dal luogo degli interessi contrapposti che è chiamato a giudicare: cfr. F. Sorrentino (a curadi), La giustizia amministrativa fra nuovo modello regionale e modello federale, Palermo, 2000.

Inoltre, è necessario riflettere sull’art. 5 Cost. e sull’unità della Repubblica, nonché sulle esigenze garantite dal principio di uguaglianza (art. 3 Cost.). Se davvero la “regionalizzazione” delle supreme magistrature portasse ad una maggiore “identità di vedute” fra giudici di legittimità e giudici locali di merito, si rischierebbe di dare vita a tanti indirizzi giurisprudenziali quante sono le Regioni, con riflessi concreti negativi sull’unità nazionale dell’indirizzo giurisprudenziale. Ancora più negativa sarebbe l’insorgenza di differenti indirizzi giurisprudenziali a livello locale, nella giustizia amministrativa: ne deriverebbero anche differenti indirizzi amministrativi, con pregiudizio dell’art. 97 Cost. e del buon andamento della pubblica amministrazione.

Certo, neanche l’attuale Corte di Cassazione garantisce l’unità giurisprudenziale, perché già ora ogni sua sezione può rappresentare un indirizzo diverso. Se, però, ogni sezione rappresentasse un territorio, l’unità sarebbe ancor meno garantita. Allo stato attuale, la diversità di ciascuna sezione dipende solo da una divergente interpretazione del diritto, omogeneizzabile tramite le sezioni unite. In un sistema di Corti di Cassazione regionali, la diversità deriverebbe anchedalla diversa sensibilità territoriale che caratterizzerebbe l’operato di ciascuna Corte regionale, e l’intervento delle sezioni unite diventerebbe più frequente, allungando le vie della giustizia.

Si badi che anche nella Germania federale le supreme magistrature rappresentano simbolicamente l’intera Nazione. La “regionalizzazione” delle Corti, dunque, non è un connotato necessario del “federalismo”. Proprio lo Stato federale richiede la presenza di un organo giurisdizionale che garantisca il più possibile l’unità nazionale giurisprudenziale, considerando in questo una garanzia dell’unità nazionale tout court.

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Suscita poi dubbi ulteriori l’istituzione delle sezioni regionali del Consiglio di Stato. È quanto meno discutibile che il potere politico regionale nomini dei giudici. Anche se questo avviene nei TAR di Trentino-Alto Adige e Sicilia e, in base alla legge La Loggia, Regioni e CAL possono nominare anche due membri delle sezioni locali della Corte dei Conti.

La presenza di magistrati nominati dal potere politico pare contrastare con l’indipendenza della magistratura. Si tratta di una questione annosa e ampiamente dibattuta, e sfiorata dalla giurisprudenza di Strasburgo sin dalla sentenza “Procola c. Lussemburgo” (27.09.1995), che però si complica se solo si immagina che ai membri “laici” nominati dal potere politico nazionale potrebbero aggiungersi quelli nominati dai poteri locali: è evidente che in tal caso i rischi di assoggettamento al potere politico aumenterebbero.

Altra questione è se una simile riforma esige una revisione della Costituzione o se basta la legge di cui all’art. 108 co. 2 Cost. che assicura l’indipendenza delle giurisdizioni speciali.

Esiste un dibattito a proposito del nesso fra forma di Stato (“federale” o “unitario”) e allocazione del potere giudiziario: A.M. Poggi, ad es., ritiene (in La riforma dell’ordinamento giudiziario: questione strumentale o problema reale?, in Federalismi.it, 2008) che tale nesso non esista (almeno: non necessariamente), e si oppone alla tesi dell’inevitabilità di una relazione fra l’esercizio della sovranità e quello del potere giudiziario. Tuttavia, se si riserva allo Stato la potestà legislativa (art. 117, co. 2, lettera l) in materia di giustizia amministrativa, allora resta agevole affermare che tutti i giudici amministrativi dovranno essere incardinati nello Stato: compresi i “laici”. Neanche l’avvenuta riforma del Titolo V pare argomento sufficiente per porre sullo stesso piano lo Stato e gli altri enti in materia di giustizia (come ritiene, ad es., F.G. Pizzetti, in Titolo V e articolazione in senso regionalista delle giurisdizioni speciali, 2005, in The Cardozo Electronic Law Bulletin). Infatti, le Regioni hanno aumentato i loro poteri, ma il potere giudiziario continua a essere esercitato su scala statale e, di conseguenza, i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza ex art. 118 Cost. possono riferirsi alle funzioni amministrative, ma non anche a quelle giurisdizionali.

In conclusione, disarticolare le supreme magistrature a livello territoriale comporta un rischio per l’unità giudiziaria, e dunque giuridica, della Repubblica. Inoltre, ampliare il ruolo della politica nella nomina dei giudici amministrativi implica maggiori pericoli per l’indipendenza della magistratura.

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LA CARTA SOCIALE EUROPEA E LA TUTELA DEI DIRITTI SOCIALI.

RESOCONTO DEL CONVEGNO DI MILANO DEL 18 GENNAIO 2013

di Jörg Luther

Non dovrebbe superare l’esame di avvocato e nemmeno laurearsi chi non conosce il Consiglio d’Europa e la Convenzione europea dei diritti dell’uomo (CEDU), ma la Carta sociale europea finora non fa necessariamente parte delle fonti studiate da chi si accinge a diventare giurista in Europa (cfr. ora E. Straziuso, La Carta sociale del Consiglio d’Europa e l’organo di controllo: il Comitato europeo dei diritti sociali (2012), www.gruppodipisa.it/wp-content/uploads/2012/06/trapanistraziuso.pdf; Giovanni Guiglia, Il diritto all’abitazione nella Carta sociale europea: a proposito di una recente

condanna dell’Italia da parte del Comitato europeo dei diritti sociali, (19.7. 2011), www.associazionedeicostituzionalisti.it, ID., Le prospettive della Carta sociale europea, in corso di pubblicazione in Jus. Rivista di scienze giuridiche).

Mentre a Torino, città in cui fu firmata nel 1961, le celebrazioni dei 150° dell’Unità nazionale l’hanno condannata a essere ricordata solo da una piccola conferenza accademica e un discorso del sindaco in consiglio comunale, a Milano si è svolto il 18 gennaio 2011 un primo convegno della sezione italiana del nuovo Réseau Académique sur la Charte Sociale Européenne, organizzato da Marilisa D’Amico.

La relazione introduttiva di Régis Brillat, Segretario esecutivo del Comitato Europeo dei Diritti sociali, ha presentato i diritti della Carta, in particolare quelli a casa, salute, istruzione, lavoro, protezione sociale, non discriminazione. Ha illustrato poi il sistema di tutela dei diritti, in particolare le competenze e il ruolo del Comitato dei 15 esperti del Consiglio d’Europa, anche in relazione agli organismi di monitoraggio in ambito ONU. Dal punto di vista delle fonti del diritto, la Carta è invocata dalle fonti primarie del diritto UE, ma il Comitato ritiene che la situazione dei diritti sociali nell’Unione europea non consente di presumere la conformità di tale ordinamento alla stessa Carta. In particolare, alcune fonti UE sono state considerate incompatibili con il diritto al ricongiungimento famigliare e al diritto a condizioni adeguate di lavoro.

A tal riguardo merita particolare attenzione la recente decisione del Comitato del 23. 5. 2012 che ha constatato violazioni dei diritti sociali per effetto della legislazione greca collegata alla manovra finanziaria, legislazione sulla quale peraltro vigila l’UE (General Federation of Employees of the National Electric Power Corporation (GENOP-DEI) and Confederation of Greek Civil Servants’ Trade Unions (ADEDY) v. Greece, Complaint No. 66/2011, www.coe.int/T/DGHL/Monitoring/SocialCharter/Complaints/CC66Merits_en.pdf)

Giuseppe Palmisano, membro italiano del Comitato, ha messo in luce i limiti dell’”ambito di applicazione personale della Carta Sociale europea” che include essenzialmente solo stranieri di altri stati firmatari della Carta regolarmente residenti, escludendo quelli di stati terzi, stagionali o irregolari. Tale limite, spiegabile con la genealogia della prima versione della Carta adottata nel contesto delle prime esperienze di circolazione dei lavoratori in Europa da Stati interessati anche da fenomeni di emigrazione, comporterebbe discriminazioni in base alla nazionalità, riconosciute in sostanza anche dallo stesso Comitato. Per porre rimedio a tale problema, converrebbe un nuovo emendamento, ma gli Stati firmatari sono invitati ad estendere unilateralmente le garanzie della Carta a tutti i lavoratori stranieri. In linea di principio si potrebbe anche ipotizzare un eventuale contrasto con lo ius cogens. La decisione del 12. 7. 2011 sull’ammissibilità di Defence for Children International (DCI) v. Belgium, Collective Complaint No. 69/2011, spingendosi fino ai limiti dei poteri interpretativi del Comitato, ha riconosciuto almeno in hard cases riguardanti diritti come la dignità, la vita e la salute l’ammissibilità di un reclamo collettivo per minori stranieri irregolari.

Una simile distinzione rischia tuttavia di minare nuovamente l’indivisibilità dei diritti fondamentali, privilegiando ad es. il diritto alla salute rispetto al diritto al lavoro.

Giovanni Guiglia, Coordinatore della sezione italiana del Réseau Académique sur la Charte Sociale Européenne, ha poi relazionato su “La rilevanza della Carta Sociale Europea nell’ordinamento italiano: la prospettiva giurisprudenziale”. Ricostruendo la giurisprudenza di merito in ordine al valore direttamente precettivo della Carta e la sentenza costituzionale sull’ammissibilità del referendum sull’art. 18 dello Statuto

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dei lavoratori, egli ha dimostrato in che misura la Carta risulta utilizzabile come norma interposta per giudizi di costituzionalità ai sensi dell’art 117 co. 1 Cost., riconoscendo addirittura alla giurisprudenza del Comitato un valore di “diritto vivente” in ambito internazionale.

Barbara Randazzo, Università degli Studi di Milano, ha analizzato “La Carta Sociale Europea nella giurisprudenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo”, osservando una tendenza verso il rafforzamento della giustiziabilità quanto meno indiretta dei diritti sociali. In un “sistema integrato” della tutela dei diritti fondamentali, non riconducibile alla metafora infelice del “multilivello”, i diritti della CEDU sarebbero interpretabili alla luce della Carta.

Riccardo Priore del Dipartimento della Carta Sociale Europea e del Codice Europeo di Sicurezza Sociale nel Consiglio d’Europa ha infine analizzato “Il sistema di controllo della Carta Sociale Europea: la procedura dei reclami collettivi”, introdotto dal protocollo aggiuntivo, in vigore sin dal 1 luglio 1998 e firmato finora da 15 Stati (eccetto la Germania). Nel 2012 sono state ben 15 le decisioni su reclami collettivi in questo sistema complementare al sistema CEDU che rafforzerebbe il ruolo dei partners sociali europei. L’Italia sarebbe stata interessata finora solo da 5 reclami (4/99, 19/03, 27/04, 58/09, 87/12), l’ultimo dei quali, tuttora pendente, lamenta la violazione del diritto alla salute nell’accesso alle procedure di interruzione della gravidanza (art. 9 l. 194/1978) ed è stato dichiarato ammissibile e trattato ora in via prioritaria. Il reclamo può essere presentato da sindacati e da circa 70 ONG per difendere anche diritti altrui e non presuppone l’esaurimento delle vie legali, ma non può mai trattare casi individuali. Le decisioni del Comitato sono solo “dichiarative” e “soft law”, ma possono avere un seguito nella forma di una risoluzione e, in caso di inottemperanza, di una raccomandazione, decisa a maggioranza dei 2/3. Lo Stato deve dare informazioni sul seguito nei rapporti annuali.

Nelle sue conclusioni, Bruno Nascimbene, Milano, ha sottolineato la natura paragiurisdizionale degli strumenti di tutela che avrebbero finora un valore pratico solo limitato per l’avvocato, perché la giurisprudenza del Comitato non produrrebbe vincoli di giudicato. Specialmente nei momenti di crisi economica e sociale, la Carta meriterebbe tuttavia nuovi studi anche in merito al suo valore per l’interpretazione delle disposizioni della dichiarazione universale dei diritti dell’uomo come diritto consuetudinario.

In attesa della pubblicazione si segnala l’avvenuto deposito del XII Rapporto sull’Italia in data 5. 2. 2013, le cui 141 pagine meriterebbero un esame più approfondito anche in Italia.

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CRISI DELLE AUTONOMIE E AUTONOMIE NELLA CRISI IN EUROPA,

RECENSIONE AL VOLUME N. 3/2013 DI ISTITUZIONI DEL FEDERALISMO

di Giovanni Boggero, Daniel Bosioc e Nicola Dessì

Il penultimo numero di Istituzioni del Federalismo (n. 3/2012) è dedicato all’evoluzione dei sistemi delle autonomie locali in Europa ed offre una serie di contributi alquanto eterogenei, legati però insieme da un filo rosso, il fatto cioè che gli enti locali e regionali del nostro Continente si trovano sotto una spinta molto forte (l’ennesima) all’aggregazione o alla gestione associata delle proprie funzioni sia in un’ottica nazionale, sia in un’ottica transfrontaliera. La crisi economica e finanziaria sembra inoltre aver accelerato questo fenomeno.

1. L’esperienza greca, fotografata nel paper di Georgios Dmitropoulos, Christina Akrivopolou e Stylianos-Ioannis Koutznatis ha il merito di analizzare alcune disposizioni poco note dei Memoranda of Understanding – sottoscritti dal Governo greco con il FMI, la BCE e la Commissione europea – in grado di incidere sull’autonomia organizzativa e finanziaria degli enti locali. In particolare, il II Memorandum promette di voler affidare all’agenzia della Commissione europea (Task Force for Greece) il compito di implementare e completare la riforma degli enti locali, varata dal governo Papandreou nel gennaio 2010 (cd. programma Kallikratis). La legge Kallikratis interviene tredici anni dopo l’ultima riforma degli enti locali e regionali (cd. riforma Kapodistrias). La riforma Kapodistrias del 1997 aveva già tentato di favorire il decentramento in un sistema connotato da una forte presenza dello Stato centrale (si pensi al controllo delle prefetture prima e delle regioni poi), disincastrando e in parte anche eliminando o fondendo i vari livelli di governo locale (comunità e municipalità) che, in maniera del tutto affine all’Italia, erano caratterizzati da fenomeni di duplicazione o accavallamento delle funzioni amministrative (prefetture e municipalità da un lato; regioni e prefetture dall’altro) e infine di assenza di adeguato finanziamento, peraltro tutto comunque sbilanciato sulla finanza derivata. La riforma Kallikratis del 2010 accorpa massicciamente comunità e municipalità, riducendone il numero, dà vita ad un processo di fusione delle partecipate locali per creare economie di scala (la privatizzazione è stata esclusa nei Memoranda), trasforma le prefetture da enti decentrati dell’amministrazione statale in enti territoriali (regioni), allunga la durata del mandato politico degli eletti, estende il voto ai diciottenni e agli immigrati regolari. In ottemperanza all’articolo 101 CG, la riforma mantiene un livello di governo decentrato, individuando per accorpamento sette nuovi enti, diversi dalle regioni, con i componenti dei cui organi designati direttamente dal Consiglio dei Ministri, incaricati di un controllo sugli atti degli enti locali di primo e secondo livello. Il paper cerca quindi di vagliare i profili di costituzionalità del nuovo sistema sulla base della pregressa giurisprudenza del Consiglio di Stato, generalmente ritenuto omologo della nostra Corte Costituzionale. In generale emerge come il judicial self-restraint nei confronti dei poteri esecutivo e legislativo sia bilanciato dalla tendenza delle corti a privilegiare lo Stato centrale a discapito delle autonomie. Questo anche in ragione dell’assenza di uno strumento di ricorso diretto al Consiglio di Stato da parte degli enti locali e regionali. Nel tempo la giurisprudenza ha quindi, da un lato, avallato il consolidamento degli enti locali coartato dallo Stato centrale senza neppure coinvolgere i cittadini o gli amministratori locali (la tutela è nei confronti del primo e secondo livello di governo e non di un particolare ente), ma dall’altra ha interpretato restrittivamente l’espressione “affari locali” di cui all’art. 102 CG, negando la possibilità di dotare gli enti locali di alcune funzioni per le quali è sempre necessaria una supervisione statale, tra cui ad esempio l’istruzione, la tutela dell’ambiente e dei beni culturali. Secondo gli autori, la legge Kallikratis dovrebbe comunque superare il vaglio di costituzionalità, dal momento che la riforma non mette in discussione il primo o il secondo livello di governo, ma, come avvenuto in passato, procede all’accorpamento degli enti locali ope legis. Meno chiaro è il profilo riguardante le competenze delle nuove regioni, sul quale il paper colpevolmente tace.

2. Nel suo paper Neil McGarvey cerca di fare luce sulla mancata diffusione di schemi di cooperazione intercomunale nell’ordinamento britannico, un esercizio utile anche per il lettore italiano, alle prese con il problema parallelo della non facile sistematizzazione delle varie forme di gestione associata delle funzioni. Infatti, al di là delle differenze evidenti rispetto al sistema italiano, sembrano esservi somiglianze in ordine allo schema di incentivi. Secondo McGarvey, non vi sarebbero incentivi adeguati per superare i costi (politici) troppo alti che impediscono agli enti locali di cooperare. Degno di menzione è poi l’ostacolo creato a schemi giuspubblicistici di cooperazione dalle norme europee sulla concorrenza e sugli aiuti di Stato. Nel Regno

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Unito esistono quindi figure tipiche del diritto privato emerse negli anni ’80, mentre sono ancora pochi i casi in cui gli accordi di cooperazione sfociano nella creazione di un nuovo organo terzo, dotato di personalità giuridica (es. Joint Committees in Scozia). Tuttavia, secondo l’autore il modello continentale della cooperazione intercomunale inizia a prendere piede anche nel Regno Unito, sia grazie al mutato quadro legislativo di fine anni ’90-inizio anni 2000 (riforme anni 90 primi 2000 gli enti locali hanno ottenuto maggiore autonomia organizzativa) sia per motivi di carattere extragiuridico (maggiore fiducia reciproca tra amministrazioni locali, in particolare in Scozia dove di recente tutti i governi locali sono diventati governi di coalizione). Più di tutto avrebbe contato però la spinta del Governo centrale. Il fenomeno della cooperazione intercomunale sarebbe in altri termini il prodotto di una spinta nazionale e regionale (top-down anziché bottom-up), dovuta alla necessità di contenere i costi in tempi di crisi. Non diversamente dal caso greco, insomma, i tagli del governo centrale impongono scelte di consolidamento, che possono sostanziarsi o in accorpamenti tra enti locali, come avvenuto in Grecia, o in una spinta alla gestione associata delle funzioni, come sta avvenendo in Gran Bretagna e nelle regioni italiane. Il paper di McGarvey, a metà tra il politologico e l’aziendalistico, manca tuttavia di argomentazioni giuridiche stringenti a partire dagli innumerevoli testi normativi citati ed in grado di illustrare quali modifiche agli Acts in vigore andrebbero apportate per facilitare la conclusione di accordi giuspubblicistici di cooperazione intercomunale.

3. Il caso francese, descritto da Alain Boyer, è invece caratterizzato dall’idea che le unioni comunali, avocando a sé molte competenze dei comuni che ne fanno parte, rischiano di violare il principio di libera amministrazione sancito all’art. 72 della Costituzione, secondo cui ogni ente locale deve avere un’amministrazione dotata di competenze effettive. Secondo l’autore, la cooperazione intercomunale (della quale sono individuate le diverse formule) agevola quindi la “libera amministrazione”, nel senso che permettono ai comuni di superare le difficoltà poste dalla limitatezza delle dimensioni, senza minare le loro prerogative costituzionali. Lo stesso art. 72 Cost. vieta d’altra parte ad un ente territoriale di “esercitare una tutela” su un altro ente; dunque, in un’unione comunale, occorre far sì che il comune principale non si imponga sugli altri. D’altro canto, però, un comune può anche essere costretto (ad esempio dal prefetto) a partecipare ai vari enti di cooperazione: mentre sono previste condizioni gravose per uscire dall’ente. Sulla distinzione fra enti locali ed enti di cooperazione, si nota che i primi (o almeno: i dipartimenti e le regioni) si differenziano per la possibilità di svolgere funzioni non riconosciute espressamente dalla legge, ma connesse all’ “interesse pubblico locale”: attualmente, comunque, gli enti di cooperazione sono enti dotati di attribuzioni specifiche, i cui membri sono eletti a suffragio diretto; di conseguenza, sono sempre minori le differenze coi piccoli comuni, dei quali l’autore ipotizza una progressiva scomparsa, a favore di enti più grandi. Come in Germania, esistono poi figure di cooperazione tese a realizzare politiche integrate in vari settori. In particolare Boyer ricorda gli enti a fiscalità propria: comunità di comuni e comunità di agglomerazione (in base agli artt. L5214-16 e ss. codice degli enti locali o CGCT, sono sempre competenti in fatto di gestione del territorio e sviluppo economico, e possono inoltre scegliere – rispettivamente – una o tre materie da un elenco di sei materie predisposto dalla legge; nel caso delle comunità di agglomerazione, la legge definisce con maggiore precisione le competenze da trasferire dal comune alla comunità); comunità urbane e metropoli (“enti ibridi”: oltre alle funzioni comunali, possono anche attrarre a sé – rispettivamente – funzioni riservate ai dipartimenti e alle regioni; sostanzialmente, comunità urbane e metropoli esercitano pieni poteri in tutte le materie strategiche per lo sviluppo della città).

4. Il contributo di Jens Woelk sulla cooperazione intercomunale in Germania ha tenore più che altro ricognitivo. Dopo aver tratteggiato la fisionomia del sistema tedesco delle autonomie locali, con particolare attenzione alle specificità regionali, l’autore ripercorre le tappe principali delle riforme territoriali che dagli anni ’70 fino ai giorni nostri si sono poste come obiettivo l’accorpamento degli enti locali al fine di accrescerne efficacia ed efficienza. Passa poi in rassegna le molteplici forme di aggregazione che consentono la cooperazione amministrativa tra enti locali nei diversi Länder, con particolare riguardo all’ordinamento bavarese, utilizzato come modello forse perché tra i più ricchi quanto ad offerta di figure aggregative giuspubblicistiche (comunità di lavoro, accordi di scopo, consorzi di scopo, unioni amministrative di comuni, aziende municipalizzate comuni). Nel finale è invece esaminato il quadro legislativo sulle forme di cooperazione tra città e periferia (sarebbe peraltro stato utile un raffronto con le funzioni esercitate dai Kreise, enti territoriali di livello sovracomunale), del quale è messa in luce la criticità principale, comune a ciascuno di questi organismi: l’inesistenza di meccanismi di controllo democratico (anche se non sono indicati eventuali antidoti rispetto a tale deficit). Particolarmente interessante – anche rispetto alla nota di

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McGarvey – l’analisi di Woelk sulle conseguenze della legislazione europea: diversamente da quanto sostenuto dall’autore britannico, lo sviluppo recente del diritto UE sembra infatti aver posto le basi affinché gli enti locali possano gestire con più facilità le funzioni amministrative in maniera associata.

5. In Spagna, la resistenza nei confronti dell’accorpamento potrebbe portare al fiorire della cooperazione orizzontale tra municipi, come spiega nel suo articolo Marcos Almeida Cerreda. L’autore si impegna ad indagare tale ambito dato che, rispetto all’eventualità di procedere ad unioni dei municipi di ridotte dimensioni, peraltro osteggiate dagli stessi per ragioni politiche ed etniche, ed una volta accantonata la possibile ridefinizione delle competenze degli enti locali per ragioni di tempo contrarie ad una rapida risoluzione della crisi economica, la cooperazione intermunicipale può rappresentare la soluzione migliore per una gestione efficace ed efficiente dei servizi pubblici locali con una generale riduzione dei costi. Il pregio del contributo è quello di mettere in luce con estrema chiarezza i punti di forza, senza tuttavia nascondere le principali criticità, dei (numerosi) strumenti di cooperazione intermunicipale (convenios, encomienda de gestión intermunicipal, agrupaciones de municipios, comunidades de municipios, redes de cooperación territorial, mancomunidades, consorcios intermunicipales, sociedades intermunicipales, fundaciones intermunicipales), divisi secondo una precisa classificazione. Almedia avanza qualche proposta per migliorare la disciplina fissata sia a livello statale sia a livello di comunità autonome e le condizioni di attuazione della cooperazione (specie in materia di consorzi), così da potenziarne lo sviluppo contro la naturale tendenza all’individualismo dimostrata dagli enti locali spagnoli in questi anni. In particolare, l’Autore punta sulla previsione di incentivi economici per ottenere un maggior utilizzo di questi sistemi di cooperazione (come del resto già sperimentato in alcune Comunità autonome).

6. L’articolo di Pedro Cruz e Silva esamina la recente riforma dell’organizzazione amministrativa territoriale in Portogallo (l. n. 22/2012). In primo luogo, si fornisce un breve, ma compiuto, quadro ricostruttivo del governo locale portoghese, la cui peculiarità è rappresentata dalla presenza di un ente territoriale di base “inferiore” al municipio, storicamente radicato nel tempo, che gode di attribuzioni proprie individuate con legge ordinaria: la freguesia. Dopo aver individuato l’ambito materiale della riforma, ossia le riorganizzazioni amministrative del territorio delle freguesias (obbligatoria ex lege) e dei municipi (facoltativa), l’autore decide di «[concentrare] l’attenzione» solo sul primo profilo, «in quanto la fusione dei municipi è solo e soltanto volontaria»; tuttavia, al lettore potrebbe sorgere spontanea la domanda su quali siano i rapporti tra la fusione di freguesias (obbligatoria) e quella di municipi (facoltativa), dal momento che le prime si collocano all’interno dei confini dei secondi. In seguito, è tracciata con estrema chiarezza la disciplina fissata dal legislatore in ordine ai criteri individuati per l’accorpamento, nonché ai termini ed agli organi coinvolti, mettendo in luce il deficit di coinvolgimento della freguesia nel procedimento che riguarda proprio la sua aggregazione (e conseguente estinzione). In conclusione, oltre a riflettere sulla logicità e sulla tenuta costituzionale del procedimento, l’autore scende alla radice stessa del concetto di freguesia, la cui ragion d’essere risulta oggi in crisi: da un lato, la riforma è considerata priva di «un pensiero strutturato o di risposte sul futuro», dall’altro, sarà destinata ad avere una portata ben superiore alla semplice creazione di una nuova mappa dell’amministrazione locale.

7. La strategia di consolidamento e razionalizzazione amministrativa delle regioni è oggetto del contributo di Laura Berionni che indaga la nascita delle macroregioni in Europa, in particolare nell’Unione Europea. Il fenomeno ha assunto una certa rilevanza attraverso il “Fondo di sviluppo regionale europeo” (EFSR), volto a incentivare politiche di cooperazione fra regioni limitrofe, anche transfrontaliere. Più che da una definizione normativa o da un’elaborazione teorica (anche se in Italia l’eco delle macroregioni è da legare all’opera di Gianfranco Miglio e della Fondazione Agnelli), tale strategia nasce dall’esperienza della “Macroregione Baltica”. Il ruolo di impulso a creare la macroregione è affidato in sussidiarietà ai territori interessati. Se l’UE riconosce il progetto si elaborano, a livello nazionale, “piani d’azione” per la macroregione, contenenti priorità individuate a livello europeo. Secondo la Commissione, il sistema ottimale di governance consiste nell’affidare l’attuazione della strategia macroregionale non già agli Stati membri o ad un organismo intergovernativo, bensì direttamente alla UE (più precisamente al Consiglio Affari Generali per le scelte politiche in senso stretto e alla Commissione per il monitoraggio); ciò in quanto si ritiene che l’UE possegga maggiore capacità istituzionale e dia maggiore visibilità alla macroregione, e che, operando a livello europeo, si possano ridurre al minimo i rischi di frammentazione fra le varie realtà. Nel merito, la strategia elaborata dalla Commissione per il Baltico tende più a chiarire cosa non debba farsi (“dottrina dei tre no”: no a nuovi fondi, a nuove normative e a nuovi organi) che a indirizzare l’opera della macroregione, evidentemente nel

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tentativo di garantire flessibilità. In sostanza, la macroregione così come disegnata in sede UE non è un’istituzione aggiuntiva. La macroregione è un progetto che coinvolge organi territoriali già esistenti, utilizzando i finanziamenti a disposizione, per intraprendere iniziative concrete affrontando singoli temi con un approccio integrato, sotto la supervisione delle istituzioni europee. Ciò induce a ipotizzare, più che un’Europa “delle Regioni”, un’Europa “del partenariato” tra regioni in cui si realizza, in sede sovranazionale, un modello di governance multilivello. Attualmente, le macroregioni UE in fase di definizione sono due: la “Macroregione Adriatico-Ionica” e la c.d. European Danube Strategy. Va infine ricordata l’esperienza del c.d. “Gruppo europeo di collaborazione territoriale” (GECT), che dava alle forme di cooperazione un preciso quadro normativo dotandole di personalità giuridica: esperienza fallita, perché fin dall’origine prevedeva procedure rigide e di difficile attuazione, suscettibili di causare sovrapposizioni con le varie normative nazionali. Sembra così comprensibile la scelta da parte della Commissione di non prevedere una normativa ad hoc per la strategia macroregionale; nondimeno, è opportuno il richiamo del Comitato delle Regioni alla massima “flessibilità e risolutezza”, e dunque alla necessità di una forte governance che consenta di raccordare tutti gli attori del processo, dando loro una precisa direzione e prevenendo ogni tensione che metta a repentaglio il progetto.

8. A chiudere il quadro un contributo sull’Italia di Claudia Tubertini, la quale individua i motivi all’origine del processo di razionalizzazione degli enti locali: la riqualificazione della spesa pubblica dovuta alla crisi economica in atto e la crisi di credibilità della democrazia rappresentativa. Analizzando nel dettaglio le direttrici di razionalizzazione seguite dal legislatore statale, l’autrice distingue tre ambiti. Il primo ambito è la scelta dei modelli organizzativi da adottare per le autonomie locali; in particolare, davanti alle ridotte dimensioni dei Comuni non si è ridisegnato i confini geografici: si sono ridiscussi e ridimensionati le funzioni e i poteri dei Comuni; così, l’ente locale è stato messo in difficoltà, senza incidere in modo strutturale sulla questione. Per l’autrice sarebbe stato più opportuno procedere a interventi differenziati su base regionale, anche ampliando il ruolo della Regione nella determinazione delle funzioni fondamentali dei Comuni e delle Province. Il secondo ambito è la connotazione stessa del sistema delle autonomie locali come tradizionalmente ripartito (in comuni e province); in tema di riordino delle province, si rileva l’assenza di una disciplina degli aspetti organizzativi e finanziari successivi all’accorpamento delle province, ma soprattutto la contraddizione che sorge dalla previsione di un consiglio provinciale formato da consiglieri scelti dai consigli comunali al loro interno: se la Provincia deve “coordinare” i consigli comunali, una simile situazione farebbe coincidere parzialmente il coordinatore e il coordinato. Infine, ci si sofferma sulle forme di rappresentazione democratica e tutela delle minoranze. Si nota che alla diminuzione dei consiglieri comunali e (soprattutto) provinciali non corrisponde affatto un rafforzamento dei poteri esecutivi locali (si pensi all’eliminazione delle Giunte in Province, Città metropolitane e Comuni sotto i 1.000 abitanti). In questo senso, quindi, non solo si è avuta una deminutio degli organi politici deliberativi, ma anche di quelli esecutivi. In conclusione, l’autrice, pur riconoscendo l’esigenza di una razionalizzazione del sistema delle amministrazioni locali, contesta le scelte adottate dal legislatore, che riducono a tal punto il potere decisionale delle autonomie da mettere in dubbio il principio della promozione delle stesse ex art. 5 della Costituzione.

G.B. (1, 2, 4)

D.B. (5, 6)

N.D. (3, 7, 8)

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SEGNALAZIONE DELL’ARTICOLO V. ANTONELLI, LE AUTONOMIE LOCALI:

UNA QUESTIONE EUROPEA, AMMINISTRAZIONE IN CAMMINO, 15.11.2012

di Elena Ponzo

Articolo: V. Antonelli, Le autonomie locali: una questione europea, in Amministrazione in Cammino, 15.11.2012

I temi affrontati riguardano non solo le prerogative e le responsabilità che possono assumere ed esercitare gli enti locali a livello europeo, ma soprattutto come le medesime possono contribuire a consolidare il sistema istituzionale dell’Unione Europea. In particolare, l’ipotesi che l’autore intende verificare riguarda la possibilità di perseguire un rafforzamento dell’unione politica delle istituzioni europee attraverso la valorizzazione delle autonomie locali e lo sviluppo policentrico dell’ordinamento dell’Unione Europea.

Nel corso della riflessione emergono una molteplicità di conferme dell’assunzione da parte degli enti locali di una propria rilevanza sul palcoscenico europeo. Allo stesso tempo emergono però molteplici “ostacoli”. In primo luogo, si pone il problema dell’individuazione di una specifica competenza normativa dell’Unione Europea in materia di autonomie locali (non espressamente prevista dai Trattati). In secondo luogo, si assiste a livello europeo al rafforzamento soprattutto del ruolo delle Regioni, considerate enti titolari di una autonomia più ampia rispetto a quella di cui godono gli enti locali. In terzo luogo, un ulteriore ostacolo è rinvenibile nel mancato riconoscimento di un accesso diretto alla Corte di Giustizia da parte degli enti locali al fine di tutelare le proprie prerogative. Analogo accesso manca anche a livello di Consiglio d’Europa. Tuttavia, esistono e vengono messi in luce gli spazi attraverso i quali l’Unione Europea riconosce, promuove e tutela le autonomie locali quali strutture “fondamentali e costitutive” dell’architettura democratica dei poteri pubblici europei. Un significativo apporto in questa direzione può scaturire dalla lettura della Carta europea dell’autonomia locale (CEAL), che configura l’autonomia come “diritto”. Inoltre, sempre più gli enti locali concorrono all’effettiva concretizzazione dei diritti di cittadinanza dell'Unione. Grazie alla loro vicinanza ai cittadini, le autonomie locali sono nella posizione migliore per promuovere un’adeguata comprensione della cittadinanza europea. In conclusione, viene individuato un «volto più autentico dello Stato democratico» che, in piena armonia con quanto affermato nel preambolo delle Carta europea dell’autonomia locale (CEAL), implica un potere diffuso articolato anche nelle collettività di cui si compone lo Stato.

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SOTTO LA LENTE

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CONVEGNO: CRISI DELLA SOVRANITÀ E FORME DEL POTERE NELLE SOCIETÀ

CONTEMPORANEE - TORINO, 7-8 FEBBRAIO 2013 - FONDAZIONE LUIGI FIRPO

Giovedì 7 febbraio - La politica. La teoria, la pratica, i metodi dello studio -Presiede:

Francesco Tuccari

Tuccari: La parola “Convegno” suonerebbe stonata; infatti l’oggetto di queste giornate di studio non è un oggetto particolare, né un singolo autore. Trattiamo, invece, della politica oggi . Ne trattiamo attraverso le angolazioni visuali di quattro comunità di studiosi che tendono a dialogare poco. Ma tutti i soggetti coinvolti in questo incontro si trovano, ora, a coabitare nella cosiddetta “area 14” e sono le sub-aree politologica o delle scienze politiche (cui si affianca quella sociologica). Questo dato di fatto “ministeriale” ha obbligato a confrontare modelli disciplinari, criteri di valutazione e inciderà sul modo di lavorare dei ricercatori futuri. Proviamo, quindi, ad aprire un canale di comunicazione fra queste diverse comunità di studiosi.

In termini scientifici si constata che la sub-comunità politologica condivide molti più interessi di ricerca di quanto siamo inclini a credere, anche quando si studiano cose diverse. Condividiamo, dunque, molte cose. Lo rivelano anche pubblicazioni recenti e meno recenti: Carlo Galli, Il disagio della democrazia, Alfio Mastropaolo, La democrazia. Una causa persa?, Massimo Salvadori, Democrazie non democratiche.

Certo, gli approcci devono restare differenti: lo specialismo è la strada per raggiungere risultati scientificamente rilevanti. Ma gli specialismi devono dialogare. Altrimenti, l’eccessivo specialismo si rischia di “essiccare” la ricchezza di ciascuna disciplina. Weber, pur parlando del destino specialistico del lavoro intellettuale, studia l’agricoltura romana, il capitalismo, la musica, ecc.

Stiamo vivendo una fase di trasformazione molecolare della politica. Tale crisi è figlia di una crisi strutturale della sovranità (di tipo statuale) che si sta dislocando altrove. Rispondere alla domanda “Che cos’è la politica oggi?” ci porta a scoprire che la definizione weberiana della politica non funziona più. Ce lo mostra la globalizzazione, la forza politica dei mercati, la crisi strutturale delle democrazie contemporanee. La crisi della democrazia è figlia della crisi della sovranità. De-secolarizzazione del mondo (la “rivincita di Dio”) sta producendo fenomeni di ri-politicizzazione delle religioni. La guerra sta cambiando strutturalmente la sua natura. Sta emergendo il rapporto tra bios e politica, il problema del governo delle vite umane.

Posto tutto questo, bisogna mettere insieme biblioteche differenti, metodi differenti per ridefinire l’oggetto dei nostri studi. Come sempre, il presente ci spinge a interrogar con domande rinnovate il passato. Il passato torna a diventare il gigantesco deposito per decifrare il presente.

Tutto questo, in qualche modo, è già accaduto.

Antonetti

C’è una coesistenza semantica di termini come “sovranità” e “potere”, da quando, tra Sette e Novecento, il costituzionalismo liberale e democratico ha ridefinito la statualità; e la realtà della statualità si è raccolta nella categoria della sovranità. Ssa è un originaria concezione del comando. Il potere più che essere riconosciuto in quello che è pubblico, va riconosciuto fuori del recinto istituzionale.

La globalizzazione ha il suo nucleo essenziale nella “tecno-economia” (progetto di dominio sul mondo e di realizzazione del profitto assoluto). Le forme giuridiche sono sempre più artificiali perché vòlte a governare territori molto diversi. La sfera pubblica ne viene sostanzialmente sconvolta. È superato il nòmos della terra descritto da Carl Schmitt.

Il modello fondativo della sovranità è il diritto (si ricordi il celebre brocardo di H. Bracton); per il resto, la sovranità si dissolve in potere territoriale e non. Ed emerge, come novità, il “neocostituzionalismo europeo”.

Il percorsi di democratizzazione hanno talora vanificato i termini stessi della sovranità statale. Ne derivano poteri che si fondano sul condizionamento delle masse.

La convinzione che la sovranità indichi solo la “qualità” dello Stato ha aperto la strada al pluralismo dei poteri. La lotta che le nuove formazioni sociali sostengono per affermarsi nell’ambito politico forzano la

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vecchia nozione della sovranità. Jellinek, Orlando, Santi Romano: difesero lo Stato da ogni allargamento democratico (lo Stato come soggetto autosufficiente). Croce, nel 1923 affermava che il giuristi creano ibridismi impropri al fine di postulare una errata immagine sublime dello Stato. Lo Stato è, invece, una forma elementare e angusta della vita pubblica. Mosca (Teorica dei governi, 1884) affermava che la distribuzione dei poteri avviene fuori delle aule parlamentari. Parlammentarizzazione e democratizzazione stanno spesso in opposizione (Weber; ma vd. anche Kelsen). Schmitt nel 1923 aveva immaginato la democrazia come identità fra Stato e popolo. G. Capograssi (La nuova democrazia diretta) affermava che un fatale trapasso di sovranità dallo Stato al corpo sociale si è ormai compiuto (in uno scritto del 1922). Corporativismi statalistici dei vari fascismi ne furono una attuazione. Si veda Harold Lasky e la teoria del pluralismo normativo. Mortati (1940), al posto del popolo sovrano, pone le “forze stabili della società”.

Negli anni Ottanta la divisione capitalistica del lavoro non è più in grado di incidere sugli indirizzi di governo della società. Quindi il progetto democratico si disgrega. Crouch sostiene che l’ingegneria costituzionale nulla può contro la crisi delle istituzioni democratiche. Occorre, invece, una nuova governance. Poteri politici si stanno, però, organizzando e non sembrano apprezzare le procedure tradizionali della democrazia.

Nell’impossibilità di realizzare finalità democratiche, si stanno affermando nuove e diverse logiche politiche (si veda quello che scrive Beck a proposito dell’Unione Europea) che comportano l’obsolescenza della categoria della sovranità. Occorre abbattere tutte le degenerazioni delle sovranità statali, non già creare un super-Stato europeo. Non a caso Ingolf Pernice con il suo “neocostituzionalismo europeo” teorizza un processo normativo che generi un multilevel constitutionalism. Ma bisogna tenere ben presente quello che scriveva H. Arendt: “Il potere reale inizia dove inizia il segreto.”

Bazzicalupo

Il settore della filosofia politica è costituito da diverse ‘anime’.

1. Il gruppo liberal (hebermasiani, a es.): la crisi della sovranità non è trattata con particolare enfasi, mentre si preferisce occuparsi della legittimazione con prospettive neo-costituzionalistiche.

2. la filosofia politica normativa: il potere non è un suo tema; i diritti sono il centro del suo discorso (etico-moralizzante) e vanno difesi da interferenze. Categorie: dignità della persona, rispetto: contro il realismo, l’economicismo.

3. La teoria critica centrata soprattutto sull’apertura allo straniero.

4. I seguaci di N. Bobbio: non tramonto dello Stato connesso col diritto. Ne deriva un’antropologia basata sulla libertà dei soggetti. La sovranità è la scena primaria della politica moderna. Nelle politiche pubbliche vengono offerti correttivi (da seguaci di Bobbio in accordo, talora, con i normativisti). Il quadro attuale sarebbe un quadro di crisi non già della rappresentanza, ma della rappresentazione.

Studi storici seri forniscono la genealogia delle forme di potere e di sapere; mettono in discussione il discorso che il potere moderno fa su sé stesso; si tratta di studi intrecciati con la Begriffsgeschichte Duso, Chignola hanno accolto gli orizzonti della genealogia foucaultiana studiando la sequenza pratiche umane-istituzioni-concetti-ideologie, anche alla luce delle ricerche sull’invenzione dei concetti avviate da Deleuze.

I Governamental studies rivolgono l’attenzione alle nuove soggettività emergenti nella sfera della governamentalità.

I pensatori della democrazia radicale (allievi di Althusser) si dedicano, invece, allo studio risorga al livello dei soggetti rendendo urgente una critica del soggetto liberale. Ne deriva un’evidenziazione della crisi dell’ontologia del soggetto autocentrato (si veda l’ultimo Foucault). Per funzionare, il potere governamentale deve impiantarsi su soggetti già impegnati nel governo di sé stessi.

La sovranità è un format cognitivo, un paradigma. È opportuno vedere come sono state formalizzati le prerogative di assolutezza e di indelegabilità; come è stata formalizzata la cogenza potestativa del diritto che essa crea (“auctoritas, non veritas, facit legem”).

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 77

La sovranità si presenta come un potentissimo strumento teorico per l’affermazione dello Stato moderno. Ma lo Stato ha operato con altre economie del potere. Lo Stato è una pratica o un dispositivo. La sovranità ha permesso di rendere conto del gioco di specchi tra governanti e governati.

Per la critica della sovranità occorre un angolo visuale antimetafisico e antirappresentativo quale quello del decostruzionismo da Nietzsche a Heidegger, o come L. Labarthe (volontà di potenza come matrice della sovranità). Questo permetterebbe di condurre fino in fondo il discorso sul totalitarismo come esito prometeico della modernità costruttiva. E permetterebbe di delineare la bioeconomia come nuovo ‘spirito del capitalismo’.

Occorre sviluppare una genealogia delle tecnologie governamentali del potere nel quadro di una critica decostruttiva della sovranità.

Per ora è visibile una logica economica antitetica alla logica rappresentativa sovrana; la realtà tecno-economica, ora come ora, realizza l’infinitezza dell’aspirazione al profitto. Di qui deriva un antistatalismo che propugna, come succedaneo della sovranità politica, l’egemonia economica.

Bisogna, quindi, sondare a fondo la struttura governamentale e i suoi strumenti biopolitici (sulla linea di Foucault, Deleuze, e altri).

Pasquino

Nei manuali di scienza politica la sovranità manca del tutto, come tema. La sovranità, per la scienza politica non esiste non esiste più. Ma perché è scomparsa? Potrebbe essere scomparso soltanto il nome, e non la sostanza. Nicola Matteucci sosteneva che l’attore dell’eclissi della sovranità è stato il pluralismo. Le modalità con le quali si formano gli Stati, invece, implica la presenza della sovranità. Tra la fine degli anni Cinquanta e i primi anni Sessanta, infatti, in conseguenza della decolonizzazione, il tema della sovranità era piuttosto presente.

Ci sono Stati’canaglia’ e Stati falliti. Come falliscono gli Stati? La battaglia politica negli U.S.A. si combatte attraverso la legge e il decisore è la Corte Suprema. Si ha, dunque, la sovranità della Costituzione. Qui la sovranità non è, di certo, scomparsa.

Dov’è la sovranità? Nel popolo (We, the people…). Si veda anche la Costituzione repubblicana italiana. Ma in realtà non c’è, in quest’ultimo caso, una democrazia dei cittadini, bensì una democrazia dei partiti. Togliatti diceva che la democrazia consiste nell’organizzazione dei partiti. Ma la sovranità dei partiti non è il party-government nel quale il parlamento è sovrano.

Almeno la metà delle democrazie parlamentari sono monarchie (erroneamente si dice “repubblica parlamentare”). In Italia il parlamento è il luogo ove si esprime la sovranità del popolo. Il parlamento è un luogo di accountability: rappresentanza, sì, ma il rappresentante discute con l’elettore e va a spiegare all’elettore perché ha votato in un certo modo, anziché in un certo altro.

Questo, tutto questo è sovranità. Ci sono forme di sovranità più diffuse, ma non meno efficaci. Anche la sovranità è diventata reticolare, come lo è diventato il potere: reticolarità, elasticità, flessibilità.

Noi abbiamo deciso di dare parti di sovranità nazionale all’Unione Europea con un processo federalistico. Le diverse forme di potere che sono emerse nel frattempo hanno avviato, però, un’erosione della sovranità.

Il potere dovrebbe essere il contenuto della sovranità. La democrazia plebiscitaria, una volta attuata, crea, però, una realtà non-democratica.

Nonostante quanto è stato sostenuto da Matteucci, il pluralismo non scardina la sovranità; il pluralismo politico nasce dal pluralismo religioso (sono i dissenzienti religiosi che popolano il Nord-America). Madison è preoccupato dal rischio di una tirannide della maggioranza (e gli farà eco Tocqueville). C’è una sovranità, ma essa è condivisa. E funziona. Tutto questo evita di fare i conti con il capitalismo.Negli U.S.A. nasce prima la democrazia, poi il capitalismo. D. Eisenhower era preoccupato dal potere militare-industriale (al momento di passare il testimone a John F. Kennedy). Si veda, per vedute analoghe C. Wright Mills (Le élites del potere). Mills aveva studiato il potere dei mass-media – un potere poco democratico.

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 78

Oggi ci sono, certo poteri variegati che si muovono. Ma si sono, forse, sostituiti del tutto al potere politico? NO. Vi si sono sostituiti soltanto in parte? NO. Il potere finanziario sconfigge gli tati già deboli, non gli Stati forti.

Romano

La Storia delle istituzioni politiche è una disciplina didatticamente recente; il primo corso di storia delle dottrine e delle istituzioni politiche è stato professato a Roma da Gaetano Mosca nell’anno accademico 1924-1925. Poi, in seguito alla riforma delll’ordinamento degli studi del 1954, comparve come insegnamento opzionale. Fu Gianfranco Miglio a estendere le ricerche alla storia delle istituzioni amministrative e a rendersi protagonista della fondazione dell’ISAP.

Nel 1968, con la riforma della facoltà di Scienze Politiche, Storia delle Istituzioni Politiche fa la sua ricomparsa in modo relativamente più deciso (per la storia della disciplina cfr. F. Bonini, Per una storia della storia delle istituzioni politiche in Italia in G. Carletti, Storia e critica della politica. Studi in memoria di Luciano Russi, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2012, pp. 539-554).

Una disciplina di confine, nella quale si sono illustrati storici in senso lato come Marino Berengo e Gaetano Cozzi (dell’Università degli Studi di Venezia), nella quale si sono cimentati giuristi come Antonio Marongiu e verso la quale si sono rivolti storici delle istituzioni giuridiche come Guido Melis.

Cristiano Antonelli

Coalizioni, innovazione edisuguaglianze (Teoria economica e concetti politici)

Secondo Walras, il concetto di equilibrio economico generale rende superfluo il concetto di «potere». Così vedono la cosa gli economisti.

L’accezione del termine «potere» nelle teorie di Walras è, inoltre, negativa: dove c’è potere non c’è equilibrio economico generale. Rimuovere il potere da qualsiasi attività economica è il compito di ogni «politica economica» correttamente intesa. Anche la distribuzione del reddito viene a polarizzarsi in conseguenza delle interferenze del potere politico: questo vale anche a proposito del mercato dei fattori (per esempio: il lavoro). Là dove i fattori non sono pagati alle condizioni marginali, ci si allontana dall’equilibrio e si impedisce il formarsi corretto del prezzo del lavoro; ci si viene a trovare, così, molto lontani dall’equilibrio e rischiamo di andare, così, verso la diffusione della disoccupazione.

Sempre con significato negativo, viene usata la nozione di «potere», dagli economisti. Inoltre il mercato è naturalmente aperto, per Walras: i dazi (per esempio) sono interferenze di potere. Ogni economista, Pareto per primo (nel Manuale), che ha dato forma sistematica alle intuizioni di Walras, è convinto di questo. Pareto affronta il problema della distribuzione originaria dei fattori in relazione alla sistemazione finale dell’equilibrio. La ricchezza, come forma di potere, se cambia la distribuzione del capitale, non effettua alcun cambiamento nella realizzazione dell’equilibrio. Certo, ci saranno reazioni emotive! Kenneth Arrow ha affrontato il problema dei prezzi futuri. Con una stringa dei prezzi: io compro grano che verrà consegnato nel 2030 e posso programmare un futuro: domanda e offerta andranno a incontrarsi.

Ma Arrow ha parlato anche di «economia della conoscenza» Non si esaurisce, non si consuma la conoscenza. La conoscenza è input e output. Smith insegnava che la divisione del lavoro stimola la produzione. Ma il mercato della conoscenza è impossibile.

L’altro grande ossessionato da Walras è Schumpeter, forse l’unico autore che usa il concetto di potere non soltanto in senso negativo. Il flusso circolare di Walras non permette di rendere conto delle innovazioni (afferma Schumpeter). Ma oltre il 505 del PIL nord-americano scaturisce dall’innovazione. Schumpeter nel 1947 afferma che quando accadono eventi che le imprese non hanno previsto, esse sono esposte a fenomeni di turbolenza.

Nel 1912, con la Teoria dello sviluppo economico, Schumpeter introduce la figura dell’imprenditore e nelle sue riflessioni sull’economia nord-americana esamina la grande macchina che ha reso grande l’America, cioè la Corporation: un po’ di potere, ma inserito in un meccanismo come quello della Corporation, dà frutto; il potere di oggi dà il beneficio di domani.

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La conoscenza è un bene collettivo (non privato, né pubblico: se non è acquisita, né elaborata, non c’è). Le coalizioni sono organizzazioni di interessi: se trovo unaa collettività che ha determinate caratteristiche, si realizza l’innovazione. La storia economica ci racconta la storia della creatività. Ne deriva una realtà di reti collettive basate sullo scambio che permette la divisione del lavoro. Ma le coalizioni devono essere organizzate- raramente sono spontanee.

Venerdì 8 febbraio

G. Bravo: Nelle nostre società vengono rovesciati i termini che un tempo nobilitavano la società stessa. Un esempio: il concetto di società civile. Un concetto nobile. Ma oggi la società è incivile.

L. Bonanate: La parola «sovranità» non serve a nulla.

Perché ?

Ci sono tre approcci da cui discende un certo numero di proposizioni che caratterizzano il Diritto, la Storia del pensiero politico e la Scienza Politica delle relazioni Internazionali.

Il Diritto: la sovranità è una voce per designare relazioni spaziali. Quando uno Stato «viene accolto nella comunità giuridica internazionale» abbiamo lo spazio come fonte giuridica e, quindi, come sovranità territoriale. La sovranità è il potere di comando in un certo territorio. Si veda anche lo Statuto dell’ONU, art. 2, § 1: «Sovrana uguaglianza di tutti i membri».

Problemi:

1. la volontà del più forte si impone a quella del più debole: gli Stati, per loro natura, non riconoscono alcuna entità a loro superiore;

2. l’uguale sovranità non esiste se non nella sua versione di politica interna degli Stati.

A proposito della sovranità Kelsen diceva che tale concetto andava rimosso; nel momento in cui Kelsen sostiene che il diritto internazionale è monistico, è chiaro che deve esserci una gerarchia, quella del diritto internazionale sui diritti nazionali. Luigi Ferrajoli sostiene che ci sia un’antinomia irriducibile tra sovranità e diritto, non soltanto nel diritto interno, ma soprattutto in quello internazionale. Per il diritto positivo la sovranità esiste e si sa anche dove essa sia.

Lo Stato nel pensiero politico: secondo Insley: dove c’è una società politica, lì c’è sovranità. Condizione necessaria, ma non sufficiente. Lasky (suo maestro) dopo avere disapprovato il concetto di sovranità arriva a dire che fosse «probabile che essa abbia conseguenze morali pericolose.» Benedetto Paradisi afferma che la sovranità non si impone agli Stati come qualche cosa che li sovrasti. Ma questo urta contro l’ordine giuridico internazionale.

Genealogia: risale a Hobbes (ogni Stato possiede una libertà assoluta) e delinea la prima decisa teoria dell’anarchia internazionale. Per cinque secoli la teoria della relazioni internazionali ha fatto proprio il discorso di Hobbes.

Schmitt ha scritto, notoriamente che sovrano è chi decide sullo stato di eccezione. Ma l’ONU, qando dispone un intervento militare d’eccezone diventa un soggetto sovrano. Ma così, secondo D. Zolo, la sovranità degli Stati è erosa.

Scienza Politica: per i politologi internazionalisti la sovranità ha avuto un ruolo molto scarso. Un attributo superfluo nel loro lavoro.

Herz (1957) afferma che gli stati hanno perduto la loro impermeabilità (=sovranità). Rosenau (1969): la teoria dei collegamenti nazionali-internazionali prescinde totalmente dalla sovranità. Hans Morgenthau: il diritto internazionale impone limitazioni agli Stati e gli Stati sono sovrani; ma queste due proposizioni si contraddicono. Aron (1962) abbandonò il concetto di «sovranità» perché fonte di equivoci: e questa è la posizione più corretta in merito. Non esiste alcuna base ‘naturale’ del concetto di sovranità: la sovranità esiste se e quando essa possa essere soffocata dall’esterno (secondo un paradosso weberiano).

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L’analisi delle relazioni internazionali deve basarsi, invece, sulla nozione di «ordine», non di anarchia. Facendo proprio il monismo di Kelsen si afferma che c’è una gerarchia internazionale, c’è un ordine nel quale la sovranità è superflua. Ma come fatto territoriale, la sovranità esiste.

L’UE ha costruito un’entità giuridica che è altro rispetto alla realtà degli Stati-membri, senza che nessuno dei membri abbia dovuto rinunciare del tutto alla propria sovranità.

Ha molte attrattive, a questo punto, il detto paradossale di Georges Bataille sulla sovranità: «È l’oggetto che sfugge sempre anche se siamo obbligati a cercarlo.»

Peraltro, un ambito in cui lo Stato è rimasto sovrano è quello del debito pubblico. E non a caso…

A. E. Galeotti

Il filosofo della politica predilige un approccio normativo alla politica stessa. La giustificazione della sovranità è l’oggetto della filosofia politica. Ritengo proficuo partire dalla «sfida anarchica», da una prospettiva che guarda alle modalità di giustificazione dell’esistenza del potere politico. Occorre guardare alle cose dal punto di vista dei cittadini, cioè di chi subisce il potere.

La sovanità democratica sostiene che governanti e governati dovrebbero coincidere. Un aspetto fondamentale: gli esclusi o i non pienamente inclusi nel club della cittadinanza. La forma della legittimità democratica prevede i cittadini come co-autori della legge. L’elemento coercitivo della legge dovrebbe essere assunto volontariamente in modo rappresentativo. Le democrazie contemporanee devono porsi il problema degli esclusi. Altrimenti dovranno ammettere che ci sono sacche di realtà pre-moderna. Ci sono due modi in cui il potere democratico governa su soggetti non coautori della legge. Il primo modo l’abbiamo quando in uno Stato democratico vivono in maniera non transitoria persone e gruppi che non sono cittadini dello Stato i moderni meteci). L’esclusione dalla pòlis comporta una riflessione: cittadinanza non è soltanto titolarità dei diritti, ma uno status che vi si accompagna (un «avere diritto ai diritti»). A esempio: il gruppo degli afro-americani negli U.S.A. ai quali soltanto negli anni Sessanta del XX secolo fu riconosciuto il diritto ad avere diritti.

Barriere: mancato accesso ai diritti politici e ai diritti sociali. C’è, inoltre, l’esclusione dalla cittadinanza di cittadini-non-cittadini straanieri. Il lavoratore straniero ha, oppure non ha, titolo agli stessi diritti degli altri cittadini? Per un’ottica cosmopolitica i soggetti dei diritti sono gli esseri umani. Ma anche coloro che dicono che l’essere titolare di diritti dipende dall’essere parte attiva di una comunità politica. ma si veda m. Walzer: l’apertura della comunità politica a nuovi membri dipende da come la comunità è concepita, come comunità politica, o all’opposto, nazionalistica. Se si è coautori del diritto sostanzialmente, se si pagano le tasse, perché non si può essere coautori del diritto anche formalmente? Questo è escluso dalla prospettiva nazionalistica della comunità (ve ne sono varie gradazioni, tutte fondate sul principio dell’autodeterminazione dei popoli, principio riconosciuto come fattore di emancipazione dei popoli dal dominio. Ma nella comunità degli individui, qui, non contano). Potremmo anche vedere l’emancipazione come Work In Progress i cui inizi sono inevitabilmente nazionalistici, ma tesi a diventare politici.

G. M. Bravo

In molte società democratiche il suddito prevale ancora sul cittadino. Discorso, questo, validissimo per i paesi avanzati (come, per ora, è l’Italia), ma per altre situazioni, forse, il discorso dovrebbe avere modulazioni diverse.

M. Tarchi

Elogio (condizionato) del populismo

Perché «condizionato»? Non c’è nessun intento normativo nel mio discorso. C’è un richiamo ad alcune considerazioni della letteratura scientifica in materia di populismo che hanno a che fare con il tema della sovranità.

Populismo e democrazia. Un nesso discusso e discutibile: c’è una letteratura sulla crisi della politica che sottolinea il distacco fra cittadini, cosa pubblica e classe politica (filoni di riflessione molto popolari: la post-democrazia, le considerazioni di Bobbio sulle promesse non mantenute dalla democrazia).

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Se esiste questo distacco fra cittadini, cosa pubblica e classe politica, è tutta colpa dei populisti, si dice. Ma le cose non stanno così.

Gli studiosi sostengono che la diffusione del populismo in Europa è un prodotto della disaffezione. Venticinque anni fa si diceva «i populisti formulano delle buone domande, ma danno delle cattive risposte» (a proposito del Front National). Alcune domande che pongono possono non essere considerate negative.

Come viene percepita, oggi, la politica? Sinteticamente: autoreferenzialità, corruzione, inefficienza, insensibilità ai problemi dell’ «uomo comune». Di solito, a questo tipo di percezione si cerca di dare risposte, tutte, declinate sul registro di un ricupero di efficienza dell’azione di governo. Problema tutt’altro che secondario. La qualità della democrazia evocata ne è il nucleo essenziale: Accountability, Responsiveness ecc. sono questioni assai serie per la democrazia.

A. Pizzorno affermava che la dimensione efficiente e la dimensione identificante debbono restare insieme. Questo riguarda movimenti politici, ma anche funzioni di governo. Il legame psicologico-affettivo è condizionante per il problema del rapporto tra governati e governanti. C’è un problema serio di accettazione dei governanti, certamente legato al problema dell’efficienza, ma anche di accettazione del ruolo che i decisori hanno ottenuto e del modo in cui lo esplicano. La formula della legittimazione è basata sulla sovranità popolare. Si tratta di una fictio. Ma le fictiones hanno funzioni decisive nella politica. Di fictiones noi viviamo da tempo immemorabile. Il popolo stesso è una fictio: è un insieme di atomi in seguito alla diffusione dell’individualismo. La democrazia, in Europa, è cconsiderata la formula migliore per far vedere che «il popolo è sovrano». Demos e pòlissi riferiscono, però, a un territorio. Il pensiero cosmopolitico è, comunque, un dato problematico…

Il populismo ha richiamato la politica democratica a questa formula di legittimazione. Esso interpreta la sovranità popolare come necessità di coinvolgimento e di condizionamento diretto della popolazione: l’ideale dei populisti sarebbe l’introduzione del mandato imperativo. La sovranità popolare viene ridotta a una dimensione di controllo. Con una evidente tendenza alla delega personale.

L’alternativa posta da Bobbio «governo degli uomini o governo delle leggi?» pone esplicitamente il populismo come rischio e problema della democrazia.

Ma che cosa rappresenta, di fatto, il populismo? Secondo Canovari è un modo per escludere la massa dalle sedi decisionali e non un modo per favorirne la partecipazione.

Potremmo anche ricordare la distinzione fra politica della razionalità e politica della fede. La parte ‘redentrice’ che è nell’ideale democratico è messa in conto alla componente populista. Il populismo sarebbe l’inevitabile conseguenza del vuoto delle concezioni della democrazia che il populismo produce.

Che cosa ci può dare di positivo il populismo? Nel momento in cui si va verso l’efficientismo, le capacità dei tecnici, ecc., i populisti percepiscono il rischio dell’inglobamento della politica da parte della tecnocrazia. Il populismo vuole stimolare a concentrare l’attenzione su certi sentimenti (come la paura). Esso tende a sfondare le barriere del Politically Correct.

I populisti sono ‘incivili’? Può darsi. Ma se c’è inciviltà, dobbiamo educarli! Così dicendo, però, non si teorizza, forse, il lavaggio del cervello?

Il problema reale è che nei fatti, alla radice della disaffezione alla democrazia c’è un iato fra classe politica e «popolo». Il populismo è, ormai, un dato fisiologico nella dinamica della democrazia. E va incanalato nella democrazia.

G. M. Bravo: Al di là della patologia o della fisiologia: il populismo ha ancora un ccollegamento con la democrazia? Certamente il populismo si copre di democrazia.

V. Ottonelli:

Tipico dell’area normativista è proporre prescrizioni alle istituzioni esistenti. Ma «sovranità» non è una delle parole più frequentate da questo tipo di approccio. Prevale, invece, l’idea di «autonomia pubblica» (Habermas e seguaci): essa coincide quasi del tutto con «diritti politici dei cittadini»; più ampiamente: è la capacità di autodeterminazione di una società politica. Quindi l’alternativa è libertà esterna oppure potere di controllo interno. Essa dovrebbe segnare i processi attraverso i quali la comunità politica prende decisioni.

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L’autonomia pubblica è essenziale perr la sovranità popolaare. Inoltre: essa si esercita attraverso operazioni collettive.

Infine: essa si esercita attraverso i diritti politici dei cittadini.

Com’è stata problematicizzata?

La domanda fondamentale è : è pensabile questo ideale dell’«autonomia pubblica»? La sfida più importante è configurabile attraverso i teoremi della scelta sociale (Arrow e successivi autori), non esiste alcun problema di scelta collettiva che rispetti necessariamente le condizioni di democraticità e che non sia in grado di dare esiti irrazionali e contraddittori.

Ma quanto incide nella pratica questo ideale? Più una società diventa pluralistica, più essa è passibile di generare posizioni incoerenti e contraddittorie. Quindi: l’«autonomia pubblica» è pensabile, oppure no? Se diciamo che, posto il teorema di Arrow, la comunità politica si comporterà in modo incoerente, ci troviamo di fronte a un problema. Come lo si è affrontato?

1) Secondo il proceduralismo minimalista. Al centro della legittimità democratica c’è il pluralismo. Il principio di maggioranza è soltanto un metodo di decisione (ovvio il rinvio a Kelsen). Il problema dell’ «autonomia pubblica» è ‘bypassato’ (vd. Reicker, Liberalismo contro populismo). Questa prospettiva crea problemi perché: 1) funziona bene quando si tratta di legittimazione interna della democrazia, ma ha un problema di accontability (vd. Ph. Petitt). Essa non rende ragione del proprio operato, né all’esterno, né all’interno, né verso le generazioni future. Il senso e il valore dei diritti politici che se ne deriva è piuttosto ‘povero’: si concepisce il cittadino come soggetto che sceglie in un mercato. Cioè come un soggetto che non decide, ma indica delle preferenze sulle quali gli eletti maggioritariamente decidono.

2) Concezione deliberativa della democrazia (Habermas, Joshua Cohen). La legittimazione è data dal fatto che i procedimenti discorsivi sono fondati e tendono a realizzare il consenso dei cittadini. Le ragioni pubbliche e le ragioni in pubblico, dunque. Contro il minimalismo proceduralista si promette di superare gli esiti irrazionali del voto; il teorema di Arrow si muove nell’ambito delle preferenze? Ma se ci si colloca sul piano dello scambio delle ragioni in pubblico le cose vanno altrimenti: vengono selezionate le ragioni disinformate, autoreferenziali, il che uniforma gli input. Di certo si avrà, in questo caso, un resoconto più completo dell’agency politica.

Problemi: questa soluzione uccide il pluralismo. Questo vale per tutte le sue formulazioni (a esempio: i teoremi della scelta sociale di Christian List). Pur avendo visioni diverse, potremmo concettualizzare le nostre opinioni su una stessa scala (a esempio: più religione, meno religione nello spazio pubblico). Posto questo, di nuovo siamo immuni dagli esiti irrazionali delle scelte democratiche. L’unidimensionalità, però, uccide il pluralismo. Questa concezione è più ricca in fatto di agency, ma espunge gli elementi extra-deliberativi (marciare, protestare, organizzarsi hanno uno spazio, però, qui, come vuole Walzer, Deliberative). Inoltre: i paradossi del voto emergono anche dove ci sono giudizi ragionati; talune sentenze della Corte Suprema negli U. S. A. rivelano contraddizioni aperte. Dalle preferenze ai giudizi, il problema degli esiti irrazionali si pone sempre.

Questo non è sorprendente. Perché sembra normale che quando ragioniamo perdiamo la nostra coerenza. Non ci sono ragioni perché la deliberazione pubblica generi coerenza: essa, infatti, moltiplica le questioni in agenda; inoltre, la deliberazione pubblica mette in luce relazioni logiche tra spesa militare e spesa sociale che prima potevano sfuggire; infine, le scelte sono scelte di principio e, quindi, sono inconciliabili.

Che cosa si fa con l’ideale dell’«autonomia pubblica»? Lo si ‘cestina’? No. Occorre fondare la legittimità democratica sull’idea che il governo democratico è giustificato dal punto di vista antigerarchico; va respinto l’ideale della ‘deliberatività’, perché l’incoerenza è naturale e non dovrebbe essere motivo di stupore. Ma che cosa pensare dell’accountability? L’ agency democratica è basata sulla saggezza politica (non sulla ragionevolezza, non sulla razionalità) che è l’attenzione all’opportunità politica (vd. le sentenze già citate della Corte Suprema nord-americana).

G. M. Bravo: Sulla saggezza politica il realismo politico non può non sollevare dubbi.

F. Garelli:

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Sappiamo che in una società vi sono organizzazioni diverse e sovranità diverse. Quale tipo di sovranità esercitano le religioni nella società pluralistica? Perché le religioni sono alla ribalta della scena pubblica? Anche nell’Occidente laicizzato istituzionalmente e secolarizzato nelle coscienze? È venuta meno l’osservanza, meno forte è la pressione delle autorità religiose: allora perché questo ‘ritorno’ delle religioni?

Perché il potere politico non sembra in grado di governare le dinamiche della modernità avanzata producendo un senso di appartenenza diffusa, perché la nostra è l’età dell’incertezza; inoltre, manca l’ethos collettivo, un ‘collante’.

B. Wilson: la razionalità sociale e amministrativa non basta a tenere insieme la società. Occorrono valori positivi, religiosi, quasi per definizione. La neutralità affettiva non basta a far funzionare le società contemporanee. C’è una sovranità culturale delle idee che persiste accanto alla sovranità pubblica. Anche se le chiese non sono in grado di affermarsi direttamente.

Josè Casanoca (libro del 1992): qual è il fenomeno nuovo nelle religioni mondiali? C’è una nuova costannte universale: religioni diverse si rifiutano di restare entro la sfera privata, rivendicano una presenza pubblica. Pongono regole ai mercati e talora agli Stati. Perché? Intendono partecipare al processo di costruzione del mondo moderno: intendono ridefinire le regole della convivenza societaria nel processo della globalizzazione. Mirano a definire il confine tra sfera privata e sfera pubblica in una società di fatto pluralistica. Portano istanze di senso. Moltiplicano dibattiti su religione e identità nazionale, e memoria, e valori civici. Producono un ethos collettivo. A es. negli U.S.A.; forte influenza dei gruppi religiosi nell’elezione dei presidenti.

Quello che accade in Italia rientra in questo quadro: forte presenza delle religioni nell’immigrazione (Islam, soprattutto); ma anche cattolicesimo: di fatto, però, nel cattolicesimo si riconosce la grande maggiornza degli italiani. La chiesa cattolica italiana ha compiuto una svolta: ha accentuato la sua presenza culturale, si è posta come unità di riferimento (dopo la fine della D. C.). Poi: negli ambienti ecclesialiera viva la convinzione che vi fosse molta attività sociale degli ambienti cattolici, ma scarsa fosse la capacità di incidere sulla formazione delle coscienze. Nelle società aperte c’è un tale scontro di valori e di modelli rispetto alla quale la chiesa italiana si pone come elemento unificatore.

Ma quanto più la chiesa è esposta in termini di presenza pubblica, noi cogliamo il minimo storico di presenza del cattolicesimo in Italia. La chiesa cerca di contrastare i processi di secolarizzazione (cosa strana per un attore collettivo, il fatto di non accettare il processo di secolarizzazione); d’altro lato: la chiesa ha la consapevolezza di avere molte risorse di conoscenza e di buone prassi da spendere nella realtà sociale. Riesce a creare comunque una consistente mobilitazione pubblica. Sub-cultura cattolica (il 20% della popolazione italiana). Questa posizione preminente è ostacolata da congrue posizioni del mondo laico (e di altri mondi religiosi). Quello che per la chiesa è promozione del bene comune viene visto come azione di lobbyyng. A fianco delle critiche, vediamo che questa voce è una voce presente: solidarietà, difesa degli immigrati producono consenso.

La chiesa non è più, comunque, in grado di orientare l’elettorato cattolico. La chiesa accetta una serie di sfide e si comporta come un’agenzia di parte nella società pluralistica. Aspetto, questo, (cfr. F. Garelli, La religone degli italiani, Bologna, Il Mulino). Il sentire del popolo su certe questioni non è molto distante dalle posizioni della chiesa. Il rischio è che ci sia una fede ridotta a etica.

G. M. Bravo: I ‘secolarizzati’ intervenuti prima non avevano riflettuto in merito. Le religioni al plurale segnano uno degli elementi centrali delle politiche degli Stati e negli Stati. In particolare il discorso è stato riferito alle religioni monoteistiche.

G. F. Borrelli

Si può avanzare qualche ragionevole dubbio che il termine «sovranità» sia ancora dotato di senso. Noi oggi abbiamo di fronte da un lato la razionalità politica e quella giuridica, dall’altro la prassi amministrativa .

Nella prassi rivoluzionaria del ‘700 non ci sono riferimenti espliciti al problema. Si produce un governo rappresentativo. L’autonomia di quest’ultimo viene sostenuta razionalmente a confronto con la prospettiva di una democrazia pura di tipo ateniese. Convergono storicamente le pratiche rivoluzionarie nei valori della rappresentanza democratica. Negli U.S.A. abbiamo la sovranità della costituzione, in Inghilterra abbiamo la sovranità parlamentare. Il popolo: che cos’è? Illuminanti le definizioni di Kelsen e di Schumpeter.

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 84

Le ideologie della parte liberale e di quella socialista realizzano, col sistema dei partiti, una verae propria disciplina.

A metà degli anni Settanta del XX secolo (Wallerstein ecc.), i nuovi movimenti impongono grosse istanze di singolarizzazione. Rende avvio una ‘disfunzione’ rispetto ai processi della rappresentanza democratica. A metà degli anni Settanta si sviluppa il progetto del neo-liberismo. La democrazia ritarda, blocca la dinamicità dei mercati; di qui i processi di privatizzazione.

Governance: ecco una parola che esprime la razionalità economica governamentale. Essa indica procedure che non richiedono alcuna legittimazione (o, se la richiede, lo fa soltanto sul piano dei risultati). Gli organi della governance sono organi non-rappresentativi, non elettivi. Moltiplicano soggettività non-statali. Pluralismo regolativo che consiste di una rete di autorità non statuali che vengono ad ‘avvolgere il mondo’ (come le ONG) come vere e proprie funzioni reticolari di interdipendenze. Funzioni rese più flessibili e mercato finziario globale sono i protagonisti dell’oggi. Tecnologie di disciplinamento particolari, forme sempre più flessibili di impresa. Il ‘carattere di comportamento efficace’ è proposto dal modello stesso della governance (vd. Bernard Manin). Le organizzazioni partitiche si trasformano; le democrazie rappresentative offrono termini di partecipazione non-istituzionalizzata.

I teorici della post-democrazia (Crouch, Mastropaolo) descrivono le nuove condizioni di sofferenza delle democrazie: primato degli esecutivi, oligarchie economiche, politiche, mediatiche.

John Dunn, contro Dworkin, critica l’identificazione di dispositivi di governo e aspirazioni ideali.

Certo, c’è una fascia di democrazie dove il modello democratico funziona (U.S.A., Germania); altri sistemi, come quello italiano, mostrano distonie dello strumento rappresentativo ed elettivo.

Si può immaginare una global governance basata su flessibilità, inclusività, capacità di autogoverno (Pierre Calan, 2001). Per taluno, essa porterebbe alla tecnocrazia, con conseguente disattivazione dei codici di partecipazione e di intervento pubblico. Al progetto di governance sull’economia è subentrata una logica di governance economica della politica (almeno dal 2008). Una governance commissaria di mercato, come ha scritto Alessandro Arienzo. Essa disarticola la sovranità nazionale. La BCE interviene con forza nei confronti degli Stati.

Crisi della categoria della sovranità statuale di fronte ai commissariamenti per ragioni di emergenza (desovranizzazione degli Stati per realizzare la finanziarizzazione dell’economia e svuotamento della legittimazione democratica). Oltre alle forme weberiane, compare un’altra forma di legittimità, quella che opera per ambiti esterni al pubblico statuale. Forse occorrono forme più articolate di legittimità democratica (Pierre Rosanvallon). I processi di mondializzazione richiedono istanze diffuse per disseminare i poteri, una caratterizzazione più intensa della partecipazione democratica, una politicizzazione del sociale (Teubner), un’espansione dei pubblici democratici per creare decentramento. C’è bisogno di pluralizzazione, di produrre contesti locali e globali e una pluralità di costituzioni civili attraverso ‘accordi di rete’.

G. M. Bravo: La democrazia partecipativa…è impressionante constatare che non si sa quali siano i confini decisionali, per cui si perde la capacità di generalizzazione.

L. Ozzano: I movimenti sociali sono comunque una spia dell’irrazionalità sociale. Forse i populismi sono fenomeni fisiologici paralleli alla democrazia rappresentativa.

Borgognone:

quando la democrazia si è valsa di correttivi tecnocratici essa ha tentato di correggere in modo manipolatorio il rapporto leader/masse. Tecnocrazia e populismo sono per molti aspetti due facce della stessa medaglia.

Tarchi: Il populismo non è necessariamente irrazionalista; inoltre esso è da due secoli componente della politica statunitense, come protesta e come proposta. Tecnocrazia e populismo: c’è un elemento che fa da mediatore: la questione della competenza. Ma la demogogia è ineliminabile dalla competizione democratica stessa.

Malandrino:

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 85

Si è data per non più esistente la sovranità. Com’è possibile, allora, parlare di un paradigma d sovranità – per l’UE ? Se ne può parlare cone di una sovranità plurale. Ma secondo giuseppe duso non esiste che una sovranità unica. Parlare di diverse sovranità sembra cosa strana. Problema, questo, tragicamente aperto.

In realtà la pars destruens ha preso il sopravvento, nella mia relazione. La pars construens si trova nel mio volume sulla democrazia.

Si parla di disgregazione/metamorfosi della sovranità (Kelsen /Ferrajoli), di una sovranità che scompare dai modelli federali (Friedrich). Ma quale sovranità? La sovranità unica.

Quaglioni, nel 1996, in una conversazione tenuta al Suor Orsola Benincasa, ha affermato che la sovranità è «un dogma in crisi». Si impone una distinzione, quella tra tipizzazione della sovranità e categoria storica della sovranità. Riprendendo Mortati (Istituzioni della sovranità) bisogna chiedersi che cosa è realmente in crisi: e bisogna rispondersi che la crisi della sovranità interessa la tipizzazione della sovranità. Il prooblema è: a che serve la sovranità (oggi e domani, oltre che ieri). E di fronte ci si pone il problema di livello globale, nazionale, infranazionale, oltre che europeo. Ma veramente la sovranità è scomparsa? Si veda il discorso pronunciato da David Cameron (pubblicato il 24 gennaio): che cosa fare rispetto alle grosse scadenze? Si veda il Manifesto per l’Europa di Daniel Cohn-Bendit. Il problema europeo va affrontato attraverso una normativa di tipo federale, mettendo in opera un certo numero di poteri sovrani (con un governo monetario, finanziario). Ma questo sviluppo implica l’adozione di norme a partire dall’euro-zona che è un passo nella direzione degli Stati Uniti d’Europa. Cameron ha difeso la sovranità inglese contro il Parlamento europeo. Una difesa della sovranità è stata fatta persino da Gianfranco Miglio, il teorico neo-federalista: per lui l’epoca sua contemporanea era l’epoca del deperimento del centralismo. Miglio era ostile alla degenerazione centralistica (iniziata con Hamilton, proseguita con Lincoln). Ma rilevava che c’era il potere di ultima istanza decisionale dei membri della confederazione (= la sovranità). La concezione della sovranità è sicuramente in crisi e sicuramente una certa sistemazione della sovranità è stata superata; ma bisogna limitarsi a prenderne atto? Bisogna vedere la crisi come trasformazione. I sostenitori della globalizzazione che mina la sovranità sono tre gruppi:

1) Iperglobalisti (K. Ohmae)

2) Scettici (i teorici della Realpolitik)

3) Trasformazionalisti o teorici della democrazia internazionale o cosmopolitica (Anthony Mc Grew).

L’unico modo per tenere a bada i grandi soggetti transnazionali è appunto la democrazia internazionale. Il che implica una riforma profonda delle Nazioni unite. Posizioni simili: Cohn-Bendit, Monti, ecc. ui prende forma il problema di come si possa organizzare un quadro di comando a più livelli che sia efficiente a livello europeo (che oggi non c’è). Il problema di poteri supremi di ultima istanza su certe materie va definito. Il problema della crisi della democrazia dipende dal non essere essa andata avanti nella riforma del paradigma della sovranità.

Assemblea costituente? Si tratta di un’ipotesi ingenua. Giustamente c’è una prospettiva costituente. Certo, non c’è un demos europeo; però c’è il demos che elegge il Parlamento Europeo. Inoltre esiste un dibattito fra le forze politiche europee. Un tempo, Gioberti criticò Mazzini che sosteneva l’esistenza di un popolo italiano, affermando che esistevano i popoli italiani. Ora si potrebbe certo dire che non esiste un popolo europeo, ma esistono i popoli europei e che l’esistenza dell’Unione Europea non necessita di un popolo, ma di una legge nella quale si riconoscano più popoli.

M. Salvadori:

Si parla di crisi della democrazia. I valori democratici alla metà del Xx secolo sembravano aver creato un vero e proprio «conformismo democratico». Ma la democrazia liberale non appariva in buona salute. Le democrazie occidentali oggi sono propriamente democratiche? No, se perdono i fondamenti. I soggetti legittimati a partecipare ai poteri decisionali devono essere in grado di mantenere le condizioni per potere operare. La sostanza della democrazia è il potere iniziale e finale del popolo elettore.

Nelle attuali società democratiche si sono o no costituitebarriere che si oppongono a che restino società aperte?

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 86

Il legame tra regimi liberali e regimi democratici è innegabile: gli uni hanno trasmesso agli altri una serie di elementi e di istituti. Nei sistemi democratici sono intervenuti, tuttavia, cambiamenti significativi. Il sistema liberale classico prevedeva un sistema di selezione dei decisori a suffragio ristretto; il sistema liberal-democratico prevedeva un sistema di selezione basato sul suffragio universale con partiti per lo più di massa; la liberal-democrazia ultima prevede un sistema nel quale i partiti restano soggetti istituzionali, ma è mutata la loro referenza con le basi. La prima e la seconda forma politica operano in ambito di singoli Stati a sovranità piena. La terza forma vede gli Stati perdere in misura via via maggiore gran parte del proprio potere decisionale nei confronti della globalizzazione guidato sovranazionalmente da centri di potere finanziario. La formazione dell’opinione pubblica che era affidata a partiti e a organismi culturali, oggi è controllata da gruppi di plutocrati. Il sistema liberale classico era un prodotto della borghesia; la costituzione con la separazione dei poteri era la garanzia dei limiti dei poteri statali. La piazza della politica dev’essere occupata da quanti posseggono i mezzi culturali ed economici. Alla base della limitazione del suffragio era la volontà di assicurare a chi poteva essere attivo il ruolo direttivo. I soggetti preposti alla funzione di controllo avevano i mezzi per svolgere il loro compito. Era il liberalismo borghese, questo. Era un’oligarchia, ma anche una democrazia operante. La terza forma ha completato e alterato la prima. L’ha alterata: perché ha sostituito la contrapposizione fra proprietari e masse di non-proprietari (poco o non istruiti) all’individualismo forte della prima forma configurando un individualismo debole in coincidenza con l’ascesa dei partiti di massa. La democrazia divenne una democrazia di partiti diretti da élites ristrette da professionisti della politica.

Tra i caratteri più importanti della prima forma: lo Stato deteneva il potere decisionale fondamentale; i principi di questa forma e della seconda vengono completamente erosi nella terza. Domina l’individuo atomizzato in masse anonime; i grandi partiti sono entrati in agonia. La democrazia come democrazia di partiti non esiste più. Venuta meno l’economia nazionale (che Weber riteneva la bsa stessa della sovranità), essa è stata sopppiantata da un sistema di economia globale guidata da un gruppo di finanzieri, banchieri e industriali che si impongono a ogni Stato. Il potere democratico non è in grado di fronteggiare questa realtà. L’opinione pubblica è sempre più un prodotto confezionato con le tecniche della pubblicità commerciale.

Che cos’è, oggi, il citttadino democratico? Un consumatore passivo del processo politico, in sintonia con il consumatore dei beni economici.

Questi regimi non sono autoritari in senso tradizionale. Ma perché definirli propriamente democratici? Nulla danneggia la democrazia quanto l’accetarla come discorso retorico. Governi a legittimazione popolare, non già governi democratici. Se le cose stanno così, non ha senso parlare di sovranità popolare…

F. Bonini:

La storia politica: si tratta di qualche cosa di più di un’etichetta. R. Rèmond aveva posto questo problema e su di esso si è sviluppato un dibattito ancora aperto e che continua attraverso due orientamenti:1) Post-colonialStudies; 2) Cultural History.

Si parla frequentemente, oggi di multilevel Governance. Al di là dell’apparenza della novità, la parola Governance è parola che è attestata dal tempo della guerra dei Cento Anni (per non parlare del dantesco governazione sul quale ha richiamato l’attenzione M. Telò. Ben più recente l’aggettivo multilevel che risale, nel suo uso politologico ai primi anni Cinquanta del XX secolo. Un altro termine ben noto, Consttitutionalism ha, ugualmente, una storia considerevole, risalendo al 1832.

Il concetto di «sovranità» ha ricevuto un notevole chiarimento semantico dalla voce a esso dedicata da M. S. Giannini cui, per un opportuno quadro critico si deve rinviare. Ma andrà anche preso in considerazione il processo decostruzionistico operato sul concetto di Stato.

Il concetto di Stato è composito: si parla di «Stato moderno», «Stato moderno di Antico Regime». Dinamiche territoriali e corporative di molteplice forma (e in Italia è prevalsa una notevole frammentazione). In Italia la razionalizzazione territoriale post-1861 non annulla la frammentazione. Il momento napoleonico va certamente considerato come ingegneria territoriale, legislativa, militare; ma anche il momento metternichiano (Metternich aveva un’idea concorrente, ma parallela a quella napoleonica) va considerato nel medesimo modo.

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 87

Lorenz von Stein ha rappresentato come l’angolo visuale dal quale è stato studiato il germanesimo come forma amministrativa moderna. Lo Stato moderno diventa un tentativo di realizzarsi tra forze agenti che sono forze altamente confliggenti.

La forma in cui si sviluppa lo Stato moderno è evidenziata dalla Grande Guerra attraverso una crisi dello Stato per il persistere delle dimensioni pluralistiche.

La parola «comunità» ha molti significati, certo; ma il significato che essa assume nella vicenda della costruzione europea è già ben presente a Monnet mentre si trova ad Algeri. A Monnet scriveva Paul Reuter in termini di comunità-istituzione. Si vea Feliciano Benvenuti, La CECA ordinamento sovrano. Ma se questo è vero, non siamo di fronte, forse, a una sovranità multilevel

M. Di Giovanni

La dimensione internazionale dei fenomeni è colta da un angolo visuale peculiare dalla storia della guerra, quale integrazione rispetto alla prospettiva della storia delle istituzioni che lavor sugli ‘interni’, sulle ‘specificità’. La storia della guerra è ‘trasversalità’.

Esiste una stretta connessione, com’è noto, tra Stato e funzione militare. Lo Stato nasce come soggetto armato. La Prima Guerra mondiale ha spinto a creare, comunque, la connessione concettuale Stato-Nazione-Guerra, di non poco rilievo per le concezioni della sovranità.

Il bipolarismo ha certamente eroso la sovranità dello Stato-nazione. Il post-bipolarismo ha segnato il declino dei competitori orizzontali, la non-negoziabilità dell’uso della violenza, la privatizzazione di nuovi soggetti militari. Ne è conseguita una frammentazione del potere, una perdita del monopolio dell’uso della forza. La privatizzazione assume connotati meno «aziendali» e più «feudali» e la guerra tende ad assumere caratteri etnici.

Di fronte a questo quadro la novità è nel contesto internazionale che circonda i nuovi conflitti nel contesto post-bipolare. Il fine organizzativo delle strutture militari cambia. La guerra si trasforma per effetto della dinamica tecnologica che influenza anche la legittimazione occidentale delle forme di combattimento. Non a caso, Beck parla di guerre «post-nazionali». Il tema è connesso alla crisi dello Stato. Di fronte alle nuove guerre di cui parla M. Kaldor non si può non parlare del carattere asimmetrico delle guerre.La dinamica delle guerre attuali mette in questione la territorialità. Trasforma la difesa nella sicurezza. I provvedimenti, suscitati da questa trasformazione, sono il segno di una sovranità ferita.

Il filone ‘tecnicista’ degli studi sulla guerra si sofferma su una questione risalente a fine anni ’80 – fine anni ’90 si sofferma su alcune criticità militari dell’Occidente: indisponibilità alla sicurezza per cultura, esasperata attenzione a tutti i livelli all’azzeramento delle vittime.

La gestione tecnologica di questi conflitti individua nuovi modelli e nuovi compiti –privatizzazione delle funzioni, presentazione della guerra in modo che appaia «meno guerra di quello che è» (nel contesto euro-atlantico).

Possiamo parlare di deriva di lungo periodo della sovranità che fissa i rapporti tra Stato e cittadino. Il diritto a muovere guerra, comunque, è segnata dal fenomeno delle innovazioni in materia di leva.

Luttwack non cita mai Mosse e Winther che si sono occupati della elaborazione del lutto in un discorso collettivo. La transizione che fissa un termine a partire dal quale viene meno la legittimazione dello Stato a chiedere ai cittadini di uccidere e di farsi uccidere (in guerra). La fase conclusiva del ciclo bellico (con il secondo conflitto mondiale) comporta anche guerre civili (tipiche guerre per la sovranità). I soggetti, dopo Norimberga, acquisivano una dignità tale da potersi staccare dagli imperativi del potere sovrano. Il processo per crimini di guerra ha scardinato la sovranità. Ha avuto inizio un processo di demilitarizzazione della società. I percorsi delle strutture militari le accomunano alle vicende della società civile (a es. il problema del genere). Inoltre: internazionalizzazione delle esperienze. La delega alle forze armate dei compiti di cui lo Stato fissa soloi criteri generali.

Mastropaolo

«Racket»: la forma più raffinata di crimine organizzato. E a questa forma ci conduce l’indagine sulla sociogenesi dello Stato. Si vedano le ricerche di C. illy, N. Elias, P. Bourdieu.

OPAL – Osservatorio Per le Autonomie Locali ‐ Newsletter n. 1 ‐ marzo 2013 88

Lo Stato non nasce per libera scelta. Lo Stato-racket come soggetto di conflitti, di complicità, soprattutto con la borghesia mercantile affonda le proprie radici in un poco rassicurante passato.

La popolazione non assiste inerte: lo Stato promette protezione, ma non soltanto protezione. Esso soddisfa il fabbisogno alimentare della popolazione. La popolazione, vittima del racket, può organizzarsi e persinno passare all’offensiva.

Lo Stato, tuttavia, non può fondarsi soltanto sulla coercizione, né soltanto sulla corresponsione di vantaggi. Il consenso deve darsi un’immagine. Ecco la simbologia dello Stato, di cui parla Tilly. Bourdieu afferma che «le costrizioni che lo Stato esercita sui nostri pensieri è l’esempio delle coercizioni che si subiscono consenzienti.» Monopolio della violenza simbolica, dunque, con demarcazione dei luoghi, con il rilascio di diplomi, con autorizzazioni ufficiali). Lo Stato resta imprigionato dalle proprie parole: diventa sovrano, liberale, costituzionale. L’idea del racket si dissolve e l’impresa criminale diventa impresa legale. Si configura un ceto il cui interesse è particolare e universale: la burocrazia. Il concetto di «protezione» si diffonde: emerge il ruolo dei partiti e dei sindacati, come nuove forme di racket.

Se c’è lo Stato-racket, la sovranità non precipita da nessuna parte. Essa pare ben salda. Si passa alla condizione post-fordista, alla condizione mulitculturale, alla delegittimazione del conflitto (visto come mera «violenza»), alle forme dello Stato costituzionale che riconosce i diritti esigibili individualmente di fronte a un magistrato, non più i diritti esigibili collettivamente.

La governance e la democrazia deliberativa sono le forme di governo del conflitto individualizzato e potremmo dire, in quest’ottica, che lo Stato è violenza che si ingentilisce progressivamente.

Recent working papers

The complete list of working papers is can be found at http://polis.unipmn.it/index.php?cosa=ricerca,polis

*Economics Series **Political Theory Series ε Al.Ex Series

TTerritories Series Q Quaderni CIVIS

2013 n.201** Joerg Luther (Ed.): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.1/2013

2013 n.200* Giovanna Garrone and Guido Ortona: The determinants of perceived overall security

2012 n.199* Gilles Saint-Paul, Davide Ticchi, Andrea Vindigni: A theory of political entrenchment

2012 n.198* Ugo Panizza and Andrea F. Presbitero: Public debt and economic growth: Is there a causal effect?

2012 n.197ε Matteo Migheli, Guido Ortona and Ferruccio Ponzano: Competition among parties and power: An empirical analysis

2012 n.196* Roberto Bombana and Carla Marchese: Designing Fees for Music Copyright Holders in Radio Services

2012 n.195* Roberto Ippoliti and Greta Falavigna: Pharmaceutical clinical research and regulation: an impact evaluation of public policy

2011 n.194* Elisa Rebessi: Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione delle conflittualità. La moschea di via Urbino a Torino come studio di caso

2011 n.193* Laura Priore: Il consumo di carne halal nei paesi europei: caratteristiche e trasformazioni in atto

2011 n.192** Maurilio Guasco: L'emergere di una coscienza civile e sociale negli anni dell'Unita' d'Italia

2011 n.191* Melania Verde and Magalì Fia: Le risorse finanziarie e cognitive del sistema universitario italiano. Uno sguardo d'insieme

2011 n.190ε Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Is cooperation instinctive? Evidence from the response times in a Public Goods Game

2011 n.189** Joerg Luther: Fundamental rights in Italy: Revised contributions 2009 for “Fundamental rights in Europe and Northern America” (DFG-Research A. Weber, Univers. Osnabrueck)

2011 n.188ε Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: An experimental inquiry into the nature of relational goods

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2013 n.203** Daniel Bosioc et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.2/2013

2013 n.202* Davide Ticchi, Thierry Verdier and Andrea Vindigni: Democracy, Dictatorship and the Cultural Transmission of Political Values

2013 n.201** Giovanni Boggero et. al. (DRASD): OPAL – Osservatorio per le autonomie locali N.1/2013

2013 n.200* Giovanna Garrone and Guido Ortona: The determinants of perceived overall security

2012 n.199* Gilles Saint-Paul, Davide Ticchi, Andrea Vindigni: A theory of political entrenchment

2012 n.198* Ugo Panizza and Andrea F. Presbitero: Public debt and economic growth: Is there a causal effect?

2012 n.197ε Matteo Migheli, Guido Ortona and Ferruccio Ponzano: Competition among parties and power: An empirical analysis

2012 n.196* Roberto Bombana and Carla Marchese: Designing Fees for Music Copyright Holders in Radio Services

2012 n.195* Roberto Ippoliti and Greta Falavigna: Pharmaceutical clinical research and regulation: an impact evaluation of public policy

2011 n.194* Elisa Rebessi: Diffusione dei luoghi di culto islamici e gestione delle conflittualità. La moschea di via Urbino a Torino come studio di caso

2011 n.193* Laura Priore: Il consumo di carne halal nei paesi europei: caratteristiche e trasformazioni in atto

2011 n.192** Maurilio Guasco: L'emergere di una coscienza civile e sociale negli anni dell'Unita' d'Italia

2011 n.191* Melania Verde and Magalì Fia: Le risorse finanziarie e cognitive del sistema universitario italiano. Uno sguardo d'insieme

2011 n.190ε Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: Is cooperation instinctive? Evidence from the response times in a Public Goods Game

2011 n.189** Joerg Luther: Fundamental rights in Italy: Revised contributions 2009 for “Fundamental rights in Europe and Northern America” (DFG-Research A. Weber, Univers. Osnabrueck)

2011 n.188ε Gianna Lotito, Matteo Migheli and Guido Ortona: An experimental inquiry into the nature of relational goods

2011 n.187* Greta Falavigna and Roberto Ippoliti: Data Envelopment Analysis e sistemi sanitari regionali italiani

2011 n.186* Angela Fraschini: Saracco e i problemi finanziari del Regno d'Italia

2011 n.185* Davide La Torre, Simone Marsiglio, Fabio Privileggi: Fractals and self-similarity in economics: the case of a stochastic two-sector growth model

2011 n.184* Kristine Forslund, Lycia Lima and Ugo Panizza: The determinants of the composition of public debt in developing and emerging market countries

2011 n.183* Franco Amisano, Alberto Cassone and Carla Marchese: Trasporto pubblico locale e aree a domanda di mobilità debole in Provincia di Alessandria

2011 n.182* Piergiuseppe Fortunato and Ugo Panizza: Democracy, education and the qualityof government

2011 n.181* Franco Amisano and Alberto Cassone: Economic sustainability of an alternativeform of incentives to pharmaceutical innovation. The proposal of Thomas W. Pogge

2011 n.180* Cristina Elisa Orso: Microcredit and poverty. An overview of the principal statistical methods used to measure the program net impacts

2011 n.179** Noemi Podestà e Alberto Chiari: La qualità dei processi deliberativi

2011 n.178** Stefano Procacci: Dalla Peace Resarch alla Scuola di Copenhagen. Sviluppi e trasformazioni di un programma di ricerca

2010 n.177* Fabio Privileggi: Transition dynamics in endogenous recombinant growth models by means of projection methods

2010 n.176** Fabio Longo and Jőrg Luther: Costituzioni di microstati europei: I casi di Cipro,Liechtenstein e Città del Vaticano

2010 n.175* Mikko Välimäki: Introducing Class Actions in Finland: an Example of Lawmaking without Economic Analysis

2010 n.174* Matteo Migheli: Do the Vietnamese support Doi Moi?

2010 n.173* Guido Ortona: Punishment and cooperation: the “old” theory