l'ora di giurisprudenza - dicembre 2012
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Periodico di facoltà del sindacato universitario Ricomincio dagli Studenti.TRANSCRIPT
L’Ora di Giurisprudenza’’ ’’’ ’ ’’
’Roma TreNumero 3 Anno III
Dicembre 2012
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www.facebook.com/ora.giurisprudenza
Trafficking in Persons:un fenomeno in aumento
pag. 3
M.P.E.La vita della matricolepaure ed ansie ad un
mese dagli esamipag. 5
Beni confiscati alle mafie:
L’antimafia passa anche da quipag. 8
yieldroma3.blogspot.com
Blitz notturnoin Facoltà
2EDITORIALE
Topi di BibliotecaRisparmiare oggi significa impoverire domani. Uno sguardo agli scaffali d’Europa e una proposta concreta: apriamo quelle porte dopocena.
DI VALERIO NATALE
Fondare biblioteche è un po’ come costruire granai
pubblici: ammassare riserve contro l’inverno
dello spirito. Lo scriveva Marguerite Yourcenar e
lo sanno bene in gran parte d’Europa, ma forse vale la
pena snocciolare qualche dato. La biblioteca giuridica
dell’Università di Hannover (Germania) chiude alle 22 dal
lunedì al sabato, anticipando alle 20 di domenica. A Siena
porte aperte dalle 8 alle 23. Bruxelles punta invece alla
razionalizzazione: in periodo esami chiusura posticipata
alle 22. Stessa logica all’Università di Malta che a giugno
scorso in via sperimentale allungava – con successo - fino
a mezzanotte. Infine, nella Spagna della disoccupazione
al 25% (novembre) la temeraria Università Autonoma di
Madrid conserva gelosa una sala ventiquattrore per 365
giorni l’anno da 290 posti (la nostra ospita in media 216
persone al giorno). Stando alle statistiche 2011 la nostra
biblioteca di giorni di apertura ne conta 216 (la coincidenza
col numero di persone è un caso). Una differenza di 149
giorni, che fanno cinque mesi. Eppure la domanda non
sembra scarseggiare, nello stesso 2011 abbiamo contato
oltre quarantaseimila presenze.
L’attività meno richiesta è la consultazione periodici (meno
di un terzo delle richieste), a dimostrazione del fatto che
è amata per lo più per studiare. Che «c’è interesse ad una
apertura oltre le 19.30, come del resto avviene altrove in
Europa, è evidente dai solleciti che ci fanno gli studenti»
conferma Alberto Belloni di Ricomincio Dagli Studenti.
Non solo, aggiungeremmo noi che forse sarebbe il caso
di inserire una apertura di fine settimana («Ma a Roma
nel weekend non si studia?» scherza Donato B.) e di
cominciare in via sperimentale con aperture serali a inizio
o metà settimana. Ci sarebbe poi da migliorare il sistema
di consultazione delle banche dati giuridiche. Forse la
migliore, il De Jure, è consultabile solo dal laboratorio
informatico, che chiude alle 16.
Sappiamo che allungare l’apertura comporta dei costi,
ma anche che spesso si crea un inutile ‘affollamento’ di
borsisti al desk, magari ricollocabili su una fascia più ampia.
Sappiamo anche che la questione economica è solo una
questione di gestione. Nell’ultimo bilancio di previsione
2012 il sistema bibliotecario di ateneo ha subito una
variazione in diminuzione di 268mila euro. Con lo stesso
documento si indicava invece un aumento di 188mila euro
per tasse di iscrizione ai corsi di laurea. Non è demagogia, è
matematica.
Per una volta, vorremmo diventare topi di biblioteca. Aprite
quella porta. Le biblioteche non si fanno , crescono.
Direttore responsabile:
Giuseppe Roberto Falla
Contatti
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L’Ora di Giurisprudenza’’ ’
’’ ’ ’’
’Roma Tre
3Trafficking in persons: un fenomeno in aumentoDI MARTA GRAZIOSI
Il 3 dicembre 2012, presso la nostra Facoltà, si è
tenuto un convegno su un argomento “sgradevole”
già nel suono della sua sintetica definizione :
human trafficking. La tematica è stata esaminata sotto
vari aspetti: la violenza sulle donne e la mobilitazione
con Laura Renzi, di Amnesty International, la rilevanza
sulle società, con Francesco Carchedi, docente di
Sociologia alla Sapienza, ed alcuni profili tecnico-
giuridici, con Silvia Scarpa, docente dell’Università
John Cabot. Il traffico di essere umani è un’attività
criminale, che comprende la cattura, il sequestro o il
reclutamento, il trasporto, il trasferimento, la custodia
di persone, con uso della forza o di altre forme di
coercizione. Queste possono a loro volta variare o
combinarsi tra sottrazione, frode, inganno, abuso di
potere o di una posizione di vulnerabilità, oppure atti
di dare o ricevere qualche forma di pagamento o di
altro introito per acquistare o cedere il consenso o il
controllo di una persona su un’altra. Lo scopo è sempre
di sfruttamento, nelle sue varie articolazioni : di lavoro,
sessuali, di schiavitù, fino al commercio di organi.
Questa forma di schiavismo colpisce principalmente
donne e bambini, persone che lasciano il proprio
paese ( Asia, Africa, America Latina, Est Europa
principalmente Romania) alla ricerca di una speranza
di vita diversa. Gente che fugge da realtà e contesti
difficili (povertà, guerre, persecuzioni, regimi non
democratici) portando con sé la speranza e cadendo
spesso nell’illusione di aver trovato un lavoro. Sono
vittime di inganno da parte di criminali che forniscono
loro informazioni sbagliate, facendo loro credere
di poterli accompagnare verso una vita migliore,
certamente non verso un’esistenza basata sullo
sfruttamento. Per una efficace gestione del fenomeno
è opportuno, come ha sottolineato la dottoressa
Silvia Scarpa, distinguere tra tratta di essere umani
( trafficking) e favoreggiamento dell’immigrazione
clandestina ( smuggling), distinzione che risulta
più netta nella lingua inglese, con i suoi due diversi
termini, piuttosto che nella lingua italiana, dove i
due fenomeni sono spesso rappresentati dallo stesso
termine. Nel primo caso, le vittime vengono reclutate
e gestite da trafficanti con utilizzo dell’inganno,
della violenza o di minacce, nel secondo, invece, i
migranti si rivolgono spesso autonomamente alle
organizzazioni criminali, investendo addirittura
propri capitali ( prestiti, risparmi) per pagare i servizi
di trasporto ed i documenti.
Continua a pag. 4
4Continua da pag. 3
Anche lo sfruttamento va analizzato nelle sue diverse
tipologie, conseguenze e modalità di contrasto: usura,
lavori forzati, tratta a sfondo sessuale. Di queste
ultime due fattispecie abbiamo avuto due video-
testimonianze, particolarmente impressionanti..
Un genere particolare di sfruttamento riguarda poi i
minori, inducendo o forzando povera gente a vendere
o privarsi dei propri figli, cui spesso non sono in grado
di provvedere, per destinarli ad esempio al lavoro
minorile o ad adozioni internazionali, e trarne un
vantaggio economico.
Per tutta la durata del convegno mi sono portata
dentro l’interrogativo sul perché di tali argomenti se
ne parli cosi poco nella nostra società.
Non basta ad esempio che Amnesty International,
organizzazione non governativa impegnata nella
difesa dei diritti dell’uomo, abbia lanciato già dal
2004 la campagna “ Mai più violenza sulle donne”
che affronta le diverse violazioni : violenza domestica
,tratta, stupri, mutilazioni genitali.
In un mondo sempre più globalizzato e, comunque,
percorso da flussi migratori “epocali”, come possono
problemi di tale rilevanza non trovar maggior posto
nelle agende dei governi ?
A volta sembra quasi che atti legislativi o
comportamenti di alcuni di essi o di parti politiche o di
opinione vogliano provocare le società, rafforzandone
le componenti più cieche e retrive, legittimare le
discriminazioni, promuovere il rifiuto di capire e
di accogliere il diverso, lasciar così prosperare la
criminalità ed i suoi nefasti e diffusivi effetti.
Non portano lontano obiettivi di mera difesa dello
status quo, o , peggio, di propri, a volte neanche
legittimi, privilegi
E , se c’è un “cattivo” da perseguire, chi è : lo sfruttato,
l’immigrato che lavora in nero, il minore che
noiosamente chiede l’elemosina (nel giro del racket)
o chi invece, straniero o connazionale, li sfruta?
5UNIVERSITÀ
Mese prima degli esami DI LIVIA SICLARI
Pensavamo fosse finita. Mentre tra
compagne di classe piangevamo su
pile di tomi ancora da ripassare, ci
facevamo coraggio pensando che gli esami
universitari non sarebbero stati nulla a che
vedere. Perché se è vero che all’esame di
stato portavamo undici materie in un giorno
e non tre in due mesi, i livelli di ansia sono
visibilmente lievitati con l’arrivo di dicem-
bre. L’ultimo mese dell’anno, che fino alla
fine del liceo aveva significato riposo, Nata-
le e regali, si è tragicamente trasformato ne
il “Mese Prima degli Esami”. Il MPE significa
continuo e sconsolato conteggio delle pagi-
ne prima della fine, freddo in aula studio e
auto-clausure degne di un frate trappista al
grido di “Devo finire il capitolo di Pubblico!”.
Ognuno affronta la situazione come meglio
crede. C’è chi chiede a tutti i colleghi che
conosce (ma anche a quelli che non ha mai
visto prima) a che
punto sono arriva-
ti con i testi, chi ad
ogni pausa prende
il libro ed inizia a
sottolineare come
un invasato e chi
decide di smettere
di bere alcolici per
salvaguardare i propri neuroni in vista degli
esami. Si riducono i cappuccini a Le Storie,
spazzati via da “Abbiamo 15 minuti, ti ripe-
to Le Fonti”, proprio quando iniziavi a pen-
sare che la vita da matricola fosse una pac-
chia. Incredibilmente domande come “Tu a
che punto sei?” o “Hai già programmato gli
appelli?” acquisiscono il potere di formule
magiche, riuscendo a ghiacciarti sul posto e
farti rabbrividire. Ma nel MPE così come in
Notte prima degli Esami, non ci sono solo
studio ed ansia. Ci pensano gli amici a tirarti
su! Se riesci a chiuderti in casa produttiva-
mente per due giorni temono per la tua inco-
lumità. E pur di stanarti scovano una nuova
trovata geniale (leggasi: davvero idiota. nda)
o effettuano telefonate degne di un terrori-
sta: “Sto passando a prenderti, preparati e
vedi di essere presentabile”. Cosicché non
ti è neanche concesso di abbrutirti in tuta,
mentre cerchi di limitare la carriera universi-
taria a cinque anni della tua vita. D’altronde
siamo a Roma Trendy, mascara e correttore
vanno sempre nell’astuccio insieme a penna
ed evidenziatore. Soprattutto nel MPE.
6RUBRICA
“Cose dell’altro mondo”Fatti realmente accaduti in facoltà
1Il primo posto questa settimana va senza dubbio ad un nostro collega misterioso che, una
volta essere entrato in biblioteca e aver preso posto, ha tirato fuori un enorme coltello e tra il
terrore dei presenti lo ha poggiato sul libro servendosene per sottolinearlo a mo’ di righello.
2 Secondo posto meritato per una coppietta focosa della nostra facoltà, che ha deciso di amo-
reggiare nell’ascensore della facoltà, ma calcolando male i tempi è dovuta correre fuori dal
nido d’amore con ancora i pantaloni di lui sbottonati e i capelli di lei male acconciati.
3 Terzo posto al Don Chisciotte dei nostri
tempi. Sembrerebbe aver intrapreso una
crociata contro le inservienti che puliscono
la facoltà, sentenziando che la colpa dell’insoppor-
tabile sporcizia dei nostri bagni sia imputabile alla
loro scarsa competenza e non, a quanto pare, alle
inadeguate risorse finanziarie o all’inciviltà di cer-
tuni che ne usufruiscono.
Il primo giornoDI RICCARDO PETRICCA
“Se qualcuno dovesse chiedersi quando arriva il
momento di confrontarsi con le vere emozioni
della vita, la risposta dovrebbe per forza essere
individuata in una prima volta. E se così è stata
la prima volta che il vostro palato ha assaporato
quell’infinita dolcezza dell’uovo che, cremoso, si
accinge ad ammorbidire le pennette rigate alla
carbonara, o quell’irresistibile scioglievolezza
della prima forchettata delle mezze maniche alla
boscaiola, che come angeli si lasciano scivolare
nell’eterno bianco della panna dietro la sinuosa
lingua, l’università è tutt’altro. E’ come una fetta
di prosciutto tagliato male, si aggroviglia dentro
la gola nella vana speranza di vincere noi povere
matricole. Maledetto il giorno in cui ho creduto
che fosse meglio tagliato a mano! Si perché, già
che ci siamo, se l’università è un’indistruttibile
fettona tagliata male, tutto ciò che avete letto
prima era l’inutile cotto scaldato dall’impeccabile
affettatrice.
La reazione che si prova è semplicemente quella
di soffocare, senza avere alcun appiglio, ti guardi
Vignetta di Domiano Zotaj
7intorno alla ricerca di tua madre, di tuo fratello
o di tuo padre, ma nessuno può comprendere
quell’istante, nessuno mai. L’invincibile affettato
continua imperterrito a combattere contro la
trachea, e tutti si chiedono che hai, ed ecco che
lo sguardo si fa sempre più stretto e l’aria comin-
cia a mancare. Dimenticatevi le banali scene di
entrate pompose, non siete né Carlo Magno, né
tantomeno Russel Crowe, poi non so se men-
tre mangiate il prosciutto tagliato dall’incapace
addetto al banco affettati siete soliti mettervi
in cuffia Enya, io no. E poi arriva quel momento,
l’estasi, quando capisci che il fettone è andato
giù. Aria! Come al solito sarò costretto a spiegare
e motivare i miei paragoni, anche se, lettori miei,
certe cose vanno prese al volo. I passi riecheggia-
rono sulla scalinata, qualche giorno prima avevo
letto che i professori sarebbero entrati in aula
armati, e devo dire che tra riportini e reggicravatte
non vi fu alcun essere in grado di smentire tale
affermazione. Ma rimaniamo alle scale, insormon-
tabili sovrastrutture ideologiche intervallate da
imperterriti marxisti, che un po’ come gli ombrel-
lai alla prima goccia di pioggia, si fecero avanti
senza alcuna pietà. Superata la valle dei rossi ecco
che ognuno era in attesa dello stesso momento,
tra chi si mangiava le mani, chi fingeva di avere
lo sguardo di un colonnello, e chi sorseggiava
un caffè: probabilmente identificabile come il
quinto della mattinata. Ognuno immerso nei pro-
pri ricordi, ognuno nella sua grande città, nel suo
quartiere, nella sua piccola casa. Poi scoprì che
tutte le matricole abitavano in enormi ville, ettari
di terre sconfinate, ma necessito della piccola casa
per fare la giusta metafora, quindi, proseguiamo.
Tutti in fila, e mentre gli estroversi chiedevano
di orari e lezioni per scaldare l’acqua, i timidi
restavano appoggiati alle mura delle moderne
strutture e, astuti come le tribù apache, capta-
vano ogni vibrazione. L’unica differenza è che un
treno fa un po’ più bordello di un paio di voci, ma
è altrettanto ovvio che in un paio di secoli l’uomo
si sia evoluto anche in questo. Infine c’erano gli
indecisi, quelli che alzano gl’occhi ma che hanno il
timore di incrociarne altri, gli stessi che non si pre-
sentano mai: iniziano a parlare e tutti si chiedono
chi diavolo sia quell’ignota figura, poi quando
finalmente si presentano o ti cingono la mano
come un porcino soffritto, o neanche la allungano.
Ma allora, davvero, cos’è il primo giorno d’univer-
sità? Amore, odio, nostalgia e... Prosciutto.”
“La Bussola: 3 cose su Roma3”
Continuaiamo anche per questo mese con qualche consiglio per orientarsi nella giungla universita-ria prima delle vacanze e dei tanto agognati esami!!!
Piazza TelematicaSi trova in via Ostiense 133/b (sede DAMS) e mette a disposizione degli studenti computers, rilascio delle credenziali del Portale, assistenza presentazione ISEEU per ulteriri informazioni consultare il sito http://host.uniroma3.it/laboratori/piazzatelematica/index.php
a cura di Marta Cerrito
8ATTUALITA’
Ricordiamoci dei beni confiscati alle mafieDI PIERDANILO MELANDRO
Il riutilizzo delle ricchezze confiscate alle mafie
a fini sociali è un risultato reso col tempo
possibile grazie all’impegno di molti, frutto di
un percorso che arriva da lontano. Dietro c’è
l’intuizione di un deputato siciliano, Pio La Torre,
che capì l’importanza di colpire le ricchezze
mafiose sotto il profilo patrimoniale e insieme
all’allora Ministro dell’Interno Virginio Rognoni
ispirò la prima legge sulla confisca dei beni. Il
passo successivo fu nel 1996 l’approvazione
della legge n. 109 sul riutilizzo sociale di quei
beni per cui Libera, l’associazione di Don Luigi
Ciotti e di migliaia di volontari sparsi per tutta
Italia, si impegnò con la raccolta di oltre un
milione di firme. Questo, in estrema sintesi, è
il percorso compiuto dall’antimafia sociale
anni fa e che rappresenta un risultato che non
bisogna disperdere, ma conoscere. Come ama
ripetere Don Ciotti “le cooperative nate sui beni
confiscati ai boss sono la risposta sostenibile
all’insostenibilità delle mafie”, se ho pensato
di scrivere questo articolo è per ricordare che
confiscare un bene alle famiglie di mafia non
basta. Purtroppo, il percorso della confisca dei
beni è indebolito da numerose insidie lungo
tutto l’iter, dal momento del sequestro fino
alla confisca definitiva trascorrono molti anni,
perché la durata “irragionevole” dei processi
colpisce anche le procedure che riguardano i
beni; anzi, in questi casi, vi è anche l’aggravante
di una più vigorosa difesa messa in campo dalle
organizzazioni mafiose a causa dell’alto valore
economico e simbolico delle loro proprietà.
Nella fase che vede protagonisti gli enti locali e
le associazioni si naviga ancora a vista in alcuni
passaggi burocratici, con un bene che spesso, a
causa dei molti anni di inutilizzazione, ha perso
buona parte del valore iniziale. Proprio per tutti
questi fattori, occorre continuare a tenere alta
l’attenzione pubblica su questo argomento,
perché ancora tanti sono i passi da compiere
per rendere l’intero processo solido e veloce,
sia dal punto di vista burocratico che dal punto
di vista sociale. Fornire strumenti formativi
ad ogni componente che fa parte di questo
delicato processo, vuol dire creare nuove
competenze in grado di produrre soluzioni
efficaci. L’urgenza, in questo settore, è quella di
dare vita ad un percorso di responsabilizzazione
della pubblica amministrazione e del mondo
dell’associazionismo.
Per rendere concreto il problema è bene
sapere che nel solo comune di Roma i beni
confiscati sono oltre 200, solo una cinquantina
sono utilizzati, gli altri 150 possono essere
considerati un patrimonio disperso e sempre
più lontano da quella accezione sperata di bene
comune a disposizione del cittadino.
9POLITICA
Italia bene ComuneDI LUDOVICO TUONI
Citando un professore della nostra fa-
coltà: spesso i mezzi di comunicazio-
ne, tanto quanto i politici, tendono a
citare solo una parte dell’articolo 1, comma 2,
della nostra Costituzione: “La sovranità appar-
tiene al popolo”, scordando sempre che “ la
esercita nelle forme e nei limiti della Costitu-
zione”.
Queste elezioni mi hanno fatto pensare molto
a questo articolo, alla Sovranità che realmente
è chiamato a esercitare il popolo rispetto alla
Cosa Pubblica, soprattutto in un periodo stori-
co in cui l’interesse dei cittadini verso la poli-
tica è estremamente basso, se non inesistente
come hanno testimoniato le elezioni Siciliane.
Ho pensato al perché si possa arrivare addi-
rittura ad abortire uno dei pochi veri poteri di
cui siamo destinatari nella nostra Repubblica.
Certo la corruzione dilagante, gli scandali, le
accuse politiche continue e insensate alla Ma-
gistratura, la poca professionalità e competen-
za di alcuni Parlamentari, non aiutano a crede-
re nell’organo dirigente. Perché però questo ci
provoca un impulso di diffuso astensionismo
piuttosto che di interventismo e partecipazio-
ne?
Perché non mandiamo un messaggio chiaro
e forte che una Italia che vuole scegliere c’è?
Che il 55% Siciliano era solo l’ultimo momen-
to di una lunga pausa riflessiva?
Le Primarie del Centrosinistra, con uno slo-
gan che trovo particolarmente significativo
,”Italia bene comune”, hanno rappresentato
un piccolo attimo in cui 3 miliardi di cittadini
hanno espresso un giudizio. Hanno cercato di
comunicare un’ esigenza di aver modo di esse-
re ascoltati.
Contemporaneamente l’altra parte della “bar-
ricata” discute animatamente fra quella fran-
gia Berlusconiana che rimane stretta attorno al
suo leader come un naufrago all’albero mae-
stro della nave, nonostante questa oscilli nel
giro di pochi giorni in affermazioni e cambia-
menti di idee estremamente confuse, e quelli
che invece vogliono a loro modo un cambia-
mento, una spinta democratica.
E” in un ambiente europeista quale quello in
cui viviamo che affermare l’importanza del
Pause bibliotecarie argomento molto caro a chi frequenta con una certa assiduità la biblio-teca...esiste una regola per gestire il fenomeno della scarsità di posti: è possibile assentarsi per non più di 20 minuti lasciando l’indicazione dell’orario di inizio pausa. Stesso discorso vale per la pausa pranzo, per la quale è però concessa una pausa di 40 minuti. Allo scadere del tempo...si perde il diritto al posto e si deve iniziare una nuova caccia!a cura di Marta Cerrito
10
IL LIBRO
La doppia vita dei numeri di Erri De Luca
DI MARTA CERRITO
“...La tombola napoletana estrae insieme ai
numeri anche una storia. È il viaggio contrario
a quello dei sogni, che da una storia venuta in
sogno suggerisce i numeri da giocare al lotto...”
Osservata dall’angolo di una finestra, Napoli
è in fermento nella preparazione della notte
Continua da pag. 9
voto dei cittadini è oggi più che mai vitale
e per questo degno di tutela tanto dalle
Istituzioni quanto dal popolo stesso.
Se un commento alle primarie del Centrode-
stra non si può dare, su quelle del Centrosini-
stra c’è molto da dire.
Bersani contro Renzi. Da un lato non si esclu-
de l’alleanza con l’UDC mentre dall’altro vie-
ne negata duramente, rifiutando di parlare di
alleanze con partiti i cui programmi risultano
praticamente assenti, o ignoti visto che “agen-
da Monti” non credo sia reputabile davvero
come “programma politico”. Bersani ha di-
chiarato di essere a favore, almeno in parte, al
finanziamento ai partiti, che lasciando a casa
la facile demagogia è una posizione verosi-
milmente rispettabile per la garanzia dell’e-
quità nella possibilità di fare politica, Renzi
invece diceva di voler ad ogni costo rispettare
quanto con Referendum aveva scelto il popo-
lo con l’abolizione del finanziamento ai partiti
nel 1993, poi nel’94 “saggiamente” ripropo-
sto col nome di “Rimborsi elettorali”.
Un confronto che però, diciamolo, ha avuto
anche molti punti di contatto comuni.
Parlo quindi di “civil partnership”, la decisio-
ne nell’affrontare senza timore temi delicati
quali la revisione del macchinoso sistema di
adozioni, magari discutere anche di quelle
omosessuali. Il trattamento di fine vita, attual-
mente ancora vagheggiante come progetto di
legge alla Camera, una vera legge sulla corru-
zione, una politica economica che non sia tan-
to falsa da promettere di levare l’IMU ma sia
però capace di essere sufficientemente equa
verso la società.
Insomma, una politica che possa avvicinare
la nostra legislazione a quella Europea e che
dimostri come non sia necessario essere un
“tecnico” per essere credibili, basta avere buo-
ne idee.
11più lunga e rumorosa dell’anno, frenetica ed
appassionata dai suoi traffici pirotecnici sem-
bra trasformarsi e diventare altre città, posti del
passato.
Immersi ma lontani da questo incendio rituale
un fratello ed una sorella da soli aspettano la
mezzanotte. Giocano a tombola in due, ma
apparecchiano per quattro. Attendono qual-
cuno o qualcosa non sapendo neppure se mai
arriverà.
Ne “La doppia vita dei numeri”, ultimo lavoro
di Erri De Luca, il vero protagonista è il tempo,
quello che passa e che avremmo voluto non
fosse mai passato ma soprattutto quello della
memoria che rispolverato e raccontato torna
nuovamente a vivere. Attraverso la partita a
tombola che scandisce il ritmo serrato del dia-
logo e della storia i due fratelli tornano indietro
nel tempo, si riconciliano con il loro passato e
con i loro fantasmi. Per ogni numero una storia,
per ogni storia un ricordo che apre il sipario del
grande teatro che è la vita.
De Luca racconta di aver scelto ancora una volta
la forma del testo teatrale perché solamente
in questo modo la parola passa in esclusiva a
chi la pronuncia. Forte è la presenza di Napoli,
attraverso i suoni, i rumori ed i colori, la sua
vivacità traspare dalle pagine del romanzo ed
anzi acquista vita propria, perchè Napoli, ci
dice De Luca nella prefazione, è ammuìna, è
una città che suona ad orecchio, è un grande
teatro in continuo fermento dove lo spettatore
paga sempre un prezzo. Se si parla di Napoli e
di teatro non si può prescindere da Eduardo De
Filippo del quale De Luca si definisce un incan-
tato spettatore, ed i fantasmi che compaiono in
questo romanzo dialogato non sono una copia
di quelli ben più famosi di Eduardo ma sono
liberi da ogni forma di superstizione, essi sono
numeri estratti ogni volta che uno si ricorda di
loro pronti a sedersi a tavola con i vivi per il
tempo di una partita.
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12
IL FILM
Moonrise Kingdom
(Wes Anderson)
DI LORENZO TARDELLA
Sam: un ragazzino di dodici anni, pic-
colo, con il viso tondo e dei grandi
occhiali da vista, una divisa da scout
e un cappello di pelliccia perennemente in
testa.
Susie: una ragazzina già cresciuta, quasi una
donna, con i capelli rossi, vestita di colori
accessi e con un inseparabile binocolo al
collo.
Si incontrano, si conoscono, si innamorano. E,
come in tutti i grandi romanzi d’amore, fug-
gono. Dalle famiglie, dai servizi sociali, dai
capi scout, da quel mondo di grandi che tanto
gli sembra distante. Ma che, ovviamente, non
si fara’ attendere.
Wes Anderson torna al cinema a cinque anni
da “il treno per il Darjeeling”. Lo fa con una
storia tenera, dolce, malinconica eppure
piena di tutta l’ironia e la poetica che e’
ormai riconoscibile in
ogni sua opera. Quella di Anderson e’ una
penna brillante, forse la più brillante che
abbiamo oggi. Sentire i suoi dialoghi, in
bilico tra il tragicomico e il non-senso, e’ un
piacere a cui difficilmente si può fare a meno.
Quando l’ho conosciuto per la prima volta,
con “i Tenenbaum”, e’ stato amore a prima
vista. E da allora in poi, ogni appuntamento
non ha mai tradito le aspettative.
Questa volta, complice la sceneggiatura,
complice la fotografia così perfettamente
surreale, colorata, visionaria, complice anche
un cast come non se ne vedevano dai tempi
dell’esordio, questa volta, dicevo, mi ha
strappato l’applauso.
Il mondo dei bambini contro quello dei
grandi, e ancora una volta e’ facile schierersi
dalla parte della ragione. E il motivo per
13cui Anderson riesce a trasmetterci questo
mondo nella sua purezza, e’ perché forse
anche lui non e’ mai cresciuto del tutto.
Come Burton, come Fellini, il suo cinema e’
lo specchio di un mondo a meta’, una terra
di mezzo.
I bambini, in questo mondo, ci sono tutti. E
gli artisti, qualche volta, riescono anche loro
ad entrare.
Quando accade, come in questo caso, non
possiamo che alzarci di fronte allo schermo,
per gridare “bravo” a chi ha sconfitto le bar-
riere del tempo e ci ha fatto tornare, tutti, per
novanta minuti, dalla parte giusta. Quella dei
bambini.
IL FILM
Argo(Ben Affleck)
DI LORENZO TARDELLA
Prima c’è stato l’esordio:
Gone Baby Gone. L’ho guardato con aria scet-
tica, pensando che mai un attore di medio
livello potesse scoprirsi improvvisamente
regista.
E sono rimasto sorpreso.
Poi e’ venuto The Town. Non all’altezza del
primo film, ma comunque una storia ben
scritta, e una regia di grande effetto.
Infine, Argo. Che e’ tutta un’altra cosa. E’ il
film della consacrazione. E’ quello che rende
Ben Affleck a tutti gli effetti un regista, uno
di quelli bravi.
Ambientato durante il periodo della rivo-
luzione islamica di Teheran, il film si apre
con l’irruzione dei militanti nell’ambasciata
americana. Solo sei persone riusciranno a
fuggire, e a trovare rifugio presso la resi-
denza dell’ambasciatore canadese. Ma come
fare per farli tornare in patria? Fingersi una
14Continua da pag. 13
finta troupe cinematografica, e organizzare
una finta produzione di un film.
Affleck ha occhio. La sua e’ una fotografia
perfetta, raffinata, eppure mai alla ricerca del
manierismo. La sceneggiatura scorre veloce
e ritmata, complice anche un montaggio di
grande livello.
Che dire degli attori? Sembra che, inspie-
gabilmente, con la nuova veste di regista,
Affleck abbia anche imparato a recitare. E’
composto, sicuro, mai sopra le righe.
Alan Arkin, John Goodman e Philip Baker Hall
si confermano perfetti caratteristi.
Tutto questo mi fa pensare, magari non
in maniera così certa, ma certamente con
qualche convinzione, che Affleck possa
essere il nuovo Clint Eastwood, l’unico vero
erede di quel cinema americano.
Ha dimostrato, con questi tre film, di avere
talento visivo, sensibilità e una buona cul-
tura cinematografica alle spalle.
Se riuscirà a proseguire su questa strada, non
mi e’ dato saperlo.
I presupposti, per ora, ci sono tutti.
C.L.Aper avere informazioni circa esami di lingua, certi-ficazioni e corsi rivolgersi a via Ostiense 131/L e sul sito http://www.uniroma3.it/page.php?page=cla
a cura di Marta Cerrito
DAL MONDO
La mano di Israele resta tesa verso la pace ?DI Giulia Romano
“La Palestina viene all’Assemblea Generale oggi
perché crede nella pace e la sua gente ne ha un
disperato bisogno. Dateci il certificato di nascita.
E’ arrivato il momento di dire basta all’occupa-
zione e ai coloni, perché a Gerusalemme Est
l’occupazione ricorda il sistema dell’apartheid
ed è contro la legge internazionale. I palestinesi
non accetteranno niente di meno dell’indi-
pendenza sui territori occupati nel 1967 con
Gerusalemme Est” . “Non cambierà alcunché
sul terreno, non avvicinerà la costituzione di
uno Stato palestinese, ma anzi la allontanerà. La
mano di Israele resta tesa verso la pace”. Questo
botta e risposta fra il presidente dell’Autorità
Nazionale Palestinese Abū Māzen e il primo
ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha
dato il via alla riunione dell’Assemblea Generale
dell’ONU, tenutasi il 29 Novembre di quest’anno,
che ha segnato, con 138 sì, 9 no e 41 astenuti, il
passaggio della Palestina da “Non-stato mem-
bro” a “stato-osservatore non membro” . Uno
Stato Osservatore può assistere ai lavori dell’As-
semblea Generale, come già faceva la Palestina
in qualità di ente osservatore, ma non può par-
tecipare alle votazioni. Il cambiamento davvero
15importante è
che la Palestina
p o t r e b b e
accedere alla
Corte Penale
Internazionale
e avere la pos-
sibilità di far
i n c r i m i n a r e
gli israeliani
accusati ma a
questi ultimi
b a s t e r e b b e
restare in territori israeliani per sfuggire al
giudizio della Corte. E’ ancora incerto quanto,
in concreto, questo nuovo titolo incida sulla
situazione palestinese ma già vedere il termine
“stato” accostato a quello di “Palestina” può
ritenersi, almeno simbolicamente, una vittoria.
La dura realtà dei fatti purtroppo ci invita a non
poter essere troppo ottimisti; l’eventuale rico-
noscimento della Palestina come 194° stato
membro dell’Onu potrebbe avvenire solo con
l’approvazione della maggioranza del Consiglio
di Sicurezza e non è da trascurare il veto scon-
tato degli Stati Uniti. Un motivo di speranza può
sicuramente nascere dalla constatazione che la
maggior parte dei paesi abbia votato a favore
del riconoscimento della Palestina come stato-
osservatore e non si sottovaluti l’astensione
della Germania la quale, storica alleata di Israele,
ha deciso di astenersi, sottolineando che Berlino
sarebbe favorevole alla formazione di uno stato
palestinese. Anche il nostro paese si è espresso
a favore, sostenendo che questa decisione fosse
“ parte integrante dell’impegno del governo ita-
liano volto a rilanciare il processo di pace con
l’obiettivo di due Stati, quello israeliano e quello
palestinese, che possano vivere fianco a fianco,
in pace, sicurezza e mutuo riconoscimento”. Il
leader palestinese ha ringraziato Mario Monti
e Giorgio Napolitano sostenendo che questo
fosse un voto nella direzione giusta e naturale
per un grande Paese come l’Italia e al contrario
il leader israeliano ha dichiarato di essere stato
deluso da Roma. In tutta risposta Mario Monti
è entrato in contatto con Mazen e Netanyahu
incitandoli a raggiungere un accordo pacifico
nel più breve tempo possibile. Nel complesso
dopo il 29 Novembre regna una situazione di
allarme generale soprattutto dopo la reazione
di Israele: Netanyahu ha deciso di costruire altre
case nelle colonie circostanti Gerusalemme-est.
È legittimo tutto questo? Non era la mano di
Israele tesa verso la pace?
in collaborazione con:
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