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Finalità e metodi della filologia (modulo 276) Luca Carlo Rossi Università di Venezia Ultima revisione 10 Marzo 2003

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Finalità e metodi della filologia (modulo 276)

Luca Carlo Rossi

Università di Venezia

Ultima revisione 10 Marzo 2003

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Presentazione del modulo

Questo modulo intende presentare che cosa sia la filologia, quali sono i suoi scopi generali e gli obiettivi particolari. Con una serie di brevi quadri storici e l'esposizione di alcuni risultati acquisiti, il modulo mostra attraverso quali metodi la filologia cerca di dare risposte fondate ai problemi relativi alla ricostruzione dei testi e alla conoscenza documentata e precisa della civiltà letteraria e artistica, antica e moderna. In particolare viene mostrato che cos'è un'edizione critica, attraverso quali metodi viene allestita e in quale modo la si legge.

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Guida al modulo

Scopo del modulo

Questo modulo si propone di illustrare che cosa si intende per "filologia" attraverso alcune definizioni e soprattutto attraverso le applicazioni dirette della disciplina. Lo scopo è quello di indicare quali sono le finalità complessive della mentalità filologica da applicare allo studio dei testi, soprattutto quelli letterari, e attraverso quali metodi sia possibile tentare una conoscenza filologicamente fondata di un testo, di un ambiente culturale, di codici intellettuali e così via. In particolare si intende mostrare come la filologia arrivi a definire l'edizione critica di un testo nell'ambito della letteratura italiana e quanto sia importante tale operazione; infine si offrono alcune istruzioni per la consultazione di edizioni critiche.

Lista degli obiettivi

UD 1 - Che cos’è la filologia

Obiettivo di questa unità didattica è illustrare il significato del termine "filologia" attraverso una breve storia della parola e del concetto che essa rappresenta nelle varie epoche fino alla nostra.

Sottoobiettivo: conoscere la storia della parola "filologia" dall'antichità a oggi.

Sottoobiettivo: conoscere l'atteggiamento filologico nella sua applicazione a problemi specifici.

Sottoobiettivo: conoscere l'ininterrotto sforzo della filologia nel servirsi di strumenti sempre più avanzati.

UD 2 - A cosa serve la filologia

Obiettivo di questa unità didattica è far conoscere l'utilità dell'approccio filologico ai problemi di ricostruzione del passato e alla conoscenza fondata del presente.

Sottoobiettivo: conoscere alcuni casi specifici nei quali la filologia ha permesso di capire meglio alcuni ambienti culturali, dinamiche intellettuali e codici intellettuali.

Sottoobiettivo: verificare come la filologia serva a non accogliere passivamente notizie, interpretazioni acquisite e a porsi sempre nuovi problemi fondati.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

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UD 3 - Competenze del filologo

Obiettivo di questa unità didattica è indicare quali sono le principali conoscenze che il filologo deve avere per affrontare lo studio dei testi, per realizzare uno studio filologicamente fondato di ambienti e situazioni, e infine per produrre edizioni critiche.

Sottoobiettivo: conoscere discipline e relativi contenuti.

Sottoobiettivo: verificare la natura interdisciplinare della filologia.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

UD 4 - Che cos'è un'edizione critica

Obiettivo di questa unità didattica è definire l'edizione critica, mostrare le due principali fasi nelle quali si realizza, sintetizzare i due principali metodi ricostruttivi correntemente adottati.

Sottoobiettivo: conoscere il significato dell'operazione critica di ricostruzione del testo.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

Sottoobiettivo: conoscere le linee metodologiche per la ricostruzione del testo critico.

UD 5 - Come si legge un'edizione critica

Obiettivo di questa unità didattica è illustrare come si usa un'edizione critica attraverso la descrizione delle parti principali nelle quali si articola.

Sottoobiettivo: conoscere come si presenta il resoconto di un'edizione critica.

Sottoobiettivo: conoscere i principali simboli usati nei testi critici.

Sottoobiettivo: conoscere i principali problemi affrontati dall'editore critico e i modi per risolverli.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

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UD 6 - Altre questioni filologiche

Obiettivo di questa unità didattica è indicare una serie di problemi specifici legati a determinate tipologie di testi e mostrare altri problemi connessi alla valutazione critica dell'autenticità o della falsità di un testo.

Sottoobiettivo: conoscere situazioni particolari legate a forme specifiche della produzione letteraria.

Sottoobiettivo: conoscere i principali modi per risolvere alcune precise situazioni testuali legate a forme peculiari di testi.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

UD 7 - Immagini di edizioni critiche

Obiettivo di questa unità didattica è mostrare con esempi tratti da edizioni critiche alcune fasi illustrate nelle precedenti unità didattiche.

Sottoobiettivo: conoscere la tipologia generale delle edizioni critiche.

Sottoobiettivo: verificare l'identificazione delle principali fasi del lavoro critico.

Sottoobiettivo: apprendere alcuni termini specifici della ricerca filologica.

Contenuti del modulo

Il modulo è costituito dal testo delle lezioni.

Attività richieste

Lettura e studio dei materiali che compongono il modulo. Svolgimento degli esercizi di autovalutazione.

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Indice delle unità didattiche

UD 1 - Che cos’è la filologia

Un rapido viaggio attraverso l'etimologia della parola e la storia della filologia mostra il significato e il dinamismo della disciplina.

1.1 - Storia di una parola

1.2 - Storia della disciplina I

1.3 - Storia della disciplina II

1.4 - Una filologia, tante filologie

1.5 - La filologia al tempo dei computer

UD 2 - A cosa serve la filologia

L'illustrazione di alcuni casi specifici mette in luce l'utilità della filologia nei processi di ricostruzione e di comprensione esatta di opere, ambienti culturali e modi di pensiero.

2.1 - Ricostruzione di un testo

2.2 - Ricostruzione di un ambiente culturale

2.3 - Ricostruzione di dinamiche intellettuali

2.4 - Ricostruzione di codici intellettuali

2.5 - Conclusioni

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UD 3 - Competenze del filologo

Si presentano le principali conoscenze indispensabili per praticare in modo attivo la filologia.

3.1 - Competenze necessarie al filologo

3.2 - Paleografia, codicologia, bibliografia testuale

3.3 - Storia della lingua

3.4 - Tecniche ecdotiche

3.5 - L'uso dell'informatica nella filologia

UD 4 - Che cos’è un’edizione critica

Viene spiegato che cosa s'intende per edizione critica di un testo e si illustrano le relative modalità di realizzazione.

4.1 - Definizione

4.2 - Trasmissione e tradizione del testo

4.3 - Fase documentativa

4.4 - Fase interpretativa secondo il metodo lachmanniano

4.5 - Fase interpretativa secondo il metodo neolachmanniano

UD 5 - Come si legge un’edizione critica

Si offrono alcune istruzioni per la lettura e la consultazione delle edizioni critiche.

5.1 - I destinatari

5.2 - La Nota al testo

5.3 - Gli apparati

5.4 - La grafia e la punteggiatura

5.5 - Simboli e soluzioni grafiche

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UD 6 - Altre questioni filologiche

Sono trattati altri problemi di vario genere che si presentano al filologo durante le sue indagini.

6.1 - Edizioni critiche di raccolte di rime

6.2 - Edizioni critiche di lettere, epistolari e carteggi

6.3 - Edizioni critiche di testi riconducibili alla tradizione orale

6.4 - Uso delle fonti

6.5 - Questioni di attribuzione e di autenticità

6.6 - Un piccolo lessico per precisare

UD 7 - Immagini di edizioni critiche

Gli esempi tratti da edizioni critiche permettono di verificare l'aspetto e le varie fasi di un testo critico.

7.1 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Elenco dei manoscritti

7.2 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Descrizione di un manoscritto

7.3 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Discussione delle varianti

7.4 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Lo stemma

7.5 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Testo critico e apparati

7.6 - Testo e apparato delle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

7.7 - Discussione critica relativa alle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

7.8 - Nota al testo della Nuova cronica di Giovanni Villani

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UD 1 - Che cos’è la filologia

Un rapido viaggio attraverso l'etimologia della parola e la storia della filologia mostra il significato e il dinamismo della disciplina.

1.1 - Storia di una parola

1.2 - Storia della disciplina I

1.3 - Storia della disciplina II

1.4 - Una filologia, tante filologie

1.5 - La filologia al tempo dei computer

1.1 - Storia di una parola

Il termine "filologia" deriva da una parola greca che in origine significava "amore per la parola, per il discorso" e anche "attenzione scrupolosa alla dottrina".

Col tempo il valore di "filologia" è cambiato, e la parola è passata a indicare l'erudizione, lo studio delle discipline necessarie a comprendere il testo di un autore e a restaurarlo quando presentava evidenti guasti (per il concetto di testo vedi 2.1).

Oggi il significato della parola si è ampliato, e con filologia si intende l'insieme dei procedimenti che, a partire dallo studio dei testi (i testi letterari, i documenti linguistici, e anche i testi figurativi, musicali, e così via), ne propone la ricostruzione e il restauro nella loro forma originale e, attraverso attività di raggio sempre più ampio, mira alla conoscenza integrale di un ambito culturale, di un periodo storico, studiandone la lingua, la letteratura e le varie espressioni culturali. Si tratta di una scienza di carattere pluridisciplinare, fondamentalmente storica, nella quale si combinano precisione, concretezza, attenzione ai dati di fatto.

Tale disciplina nasce dal bisogno di conoscere il testo oggetto di studio nella forma e nella struttura che gli sono state date dall'autore, e che possono aver subìto danni e modifiche durante il processo di trasmissione del testo (vale a dire la sua riproduzione fisica nel corso del tempo, in copie manoscritte o a stampa).

Dopo aver ricostruito il testo secondo la volontà d'autore, la filologia si propone di comprenderlo e interpretarlo nei suoi singoli elementi (le parole, le strutture sintattiche) e nel suo insieme. A tale scopo occorre una conoscenza il più possibile ampia dell'ambiente culturale e dell'epoca in cui il testo fu composto, così da chiarire il significato di parole scomparse o che hanno mutato significato, i richiami e le allusioni a persone, oggetti e istituzioni che non esistono più. Quanto più precisa e ampia è la conoscenza e la ricostruzione del contesto nel quale è stato composto il testo in esame, tanto più sicuro sarà il restauro del testo.

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1.2 - Storia della disciplina I

La filologia viene praticata inizialmente nel mondo ellenistico (III-II secolo a.C.), presso la biblioteca del Museo di Alessandria d'Egitto e poi anche a Pergamo, con l'intento di raccogliere, trascrivere e ordinare la produzione letteraria della Grecia antica, con particolare attenzione ai testi di Omero.

A Roma si registra una fervida attività filologica attorno alle opere di Plauto da parte di Varrone Reatino (II-I secolo a.C.), mentre Aulo Gellio (II secolo) presta grande attenzione all'antiquaria, e si arriva poi alla fioritura di commenti ai classici insegnati a scuola (Virgilio, Terenzio) ad opera dei due grammatici del IV secolo Donato e Servio.

Nel Medioevo l'interesse filologico viene applicato soprattutto al restauro dei testi sacri, promosso da Alcuino nell'ambito della riforma voluta da Carlomagno (VIII-IX secolo), ma ha effetto anche sullo studio e sul restauro di alcuni autori classici, grazie in particolare a Lupo di Ferrières (IX secolo). Una grande ripresa degli studi storico-filologici avviene nel XII secolo per impulso delle scuole capitolari nelle città francesi di Orléans e Chartres e delle prime università europee, da Parigi a Bologna, e si estende anche ad altre discipline (filosofia, diritto).

Con intento polemico verso il passato, Francesco Petrarca (1304-1374) rilancia gli studi filologici, restaurando testi classici (Livio), scoprendo opere di classici finora ignorate e promuovendo una ricostruzione il più possibile ampia di Roma antica. Col suo esempio avvierà il movimento dell'Umanesimo, che allarga la sua competenza anche alla Grecia antica e approfondisce lo studio degli autori e delle istituzioni romane, con la produzione di commenti e di repertori ancor oggi fondamentali (basta ricordare i nomi di Lorenzo Valla, 1404-1457, e di Angelo Poliziano, 1454-1494). Si tratta di un fenomeno che attraversa il Rinascimento e che dall'Italia dilaga in tutta Europa, come mostrano personaggi come Erasmo da Rotterdam (1466-1536).

Diventa sempre più consapevole il bisogno di una tecnica precisa e obiettiva per restaurare i testi antichi: non basta mettere a confronto manoscritti di varie epoche o intervenire sul testo attraverso la congettura individuale del filologo; occorre trovare un sistema scientifico capace di rendere meno estemporanei e provvisori i ritocchi proposti.

1.3 - Storia della disciplina II

Nel corso dell'Ottocento vengono elaborati alcuni principi basilari di "critica testuale" (attività filologica di ricostruzione di un testo): la ricerca di tutti i testimoni (manoscritti, stampe) conservati del testo in esame; l'analisi delle varie testimonianze per classificarle e sistemarle e tracciare uno stemma o albero genealogico di dipendenza, proprio come per le famiglie nobiliari; la ricostruzione e la correzione del testo sulla base dello stemma. Il desiderio era quello di arrivare a offrire un testo critico (ossia frutto dell’attività filologica) attraverso un procedimento oggettivo: tale metodo venne messo a punto e applicato dal filologo tedesco Karl Lachmann (1793-1851).

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Le critiche mosse a questo sistema, troppo meccanico e rigido, portarono a successivi ritocchi e a proposte alternative. In particolare, il filologo francese Joseph Bédier (1864-1938) propose di basare l'edizione di un testo su un solo testimone, scelto per la qualità della lezione presente (per "lezione" si intende la forma del testo come compare in un testimone), rifiutando il sistema combinatorio di Lachmann.

Durante il Novecento si sono poi rivelate le diverse esigenze di filologie settoriali, dal momento che i processi e i modi della trasmissione dei testi variano nel tempo: una cosa è la copiatura dei manoscritti, un'altra cosa è il procedimento delle copie a stampa. Altra differenziazione è quella dei tipi di testi: alcune opere molto popolari sono state molto ritoccate e costantemente adattate al gusto del pubblico, e il filologo non le potrà trattare come i testi per i quali ci sono stati maggior cautela e scrupolo.

La tendenza attualmente accettata è quella che accoglie le linee fondamentali del metodo lachmanniano (raccolta dei testimoni; esame dei loro rapporti; correzione del testo; vedi la trattazione in 3.4) ma ne respinge l'applicazione meccanica, sottolineando il ruolo fondamentale delle scelte operative del filologo e del suo personale giudizio. Il filologo dovrà conoscere la storia della trasmissione del testo e la storia dei singoli testimoni, dietro i quali sta la storia di uomini e dei loro scambi, e dovrà essere consapevole dei limiti della propria ricostruzione, cercando però di ridurre al minimo i margini di incertezza. L'ideale è una combinazione equilibrata di storicismo, empiria e relativismo, definita come metodo neolachmanniano (vedi 4.5): il filologo dovrà trovare il sistema operativo più adeguato al suo oggetto di studio, dimostrando flessibilità, intelligenza e abilità nel risolvere problemi concreti.

1.4 - Una filologia, tante filologie

L'atteggiamento filologico è uno in riferimento alla precisione operativa, al senso storico dell'oggetto di studio, ma poi l'applicazione concreta obbliga a tener conto delle diversità specifiche dei vari settori d'intervento.

Una distinzione fondamentale riguarda le epoche oggetto di studio: la filologia classica e la filologia moderna presentano problemi diversi in rapporto alla critica del testo. Dell'antichità classica infatti non possediamo nessun autografo e nessuna copia antica, pertanto i testi relativi sono testimoniati da copie molto più tarde; mentre per l'età moderna (che in questo caso va dal Medioevo a oggi) possediamo molti autografi o copie autorizzate dall'autore. Di conseguenza, e in via di massima, il filologo classico tende a correggere il testo più di quanto faccia il filologo moderno, anche contro le attestazioni dei testimoni, per il fatto che comunque le fasi più antiche della tradizione non sono testimoniate. Inoltre la filologia classica non prevede la ricostruzione complessiva della tradizione manoscritta di un testo, ma si limita alle copie ritenute più autorevoli.

Il filologo moderno, a sua volta, avrà da risolvere problemi specifici, come quello della forma linguistica del testo criticamente ricostruito: una lezione sicura nella sostanza può essere inattendibile sotto il profilo fonetico. Nella filologia moderna poi gli interventi attivi dei trascrittori (o copisti) sono numerosi, proprio per una certa familiarità che essi sentono con il testo, scritto in una lingua viva, e che li porta a ritoccarne la lingua o anche il contenuto. Tipico della filologia

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moderna è infine il caso di una medesima opera che presenta più redazioni da parte dell'autore: ne è un esempio l'Orlando furioso di Ludovico Ariosto (1474-1533), che esiste in tre diverse stesure sicuramente eseguite da lui (1516, 1521, 1532). Se lo stesso fenomeno avviene in opere delle quali non si conosce la storia, il filologo cercherà di chiarire, fin dove gli è possibile, se si tratta di modifiche dell'autore, e dovrà quindi rispettarle, o se sono interventi estranei da respingere.

Le filologie si differenziano poi per la lingua cui si riferiscono e, all'interno di una medesima lingua, per i suoi vari stadi storici: la filologia classica riguarda il latino e il greco antichi, la filologia romanza studia i testi neolatini nella loro fase nascente, la filologia medievale e umanistica esamina i testi nel latino in uso fra XI e XV secolo, e così via. In molti casi la filologia applicata allo studio di una lingua prevede soprattutto uno studio linguistico dei testi, e non necessariamente i problemi ricostruttivi del testo o di un ambiente culturale.

Infine ci sono filologie legate allo studio di un singolo autore, soprattutto quello costitutivo di una identità nazionale: è il caso della filologia dantesca per l’Italia e di quelle shakespeariana e cervantina rispettivamente per Gran Bretagna e Spagna.

Con l'espressione "filologia della letteratura italiana" si cercano di superare le divisioni linguistiche (latino, volgari delle regioni italiane) e le divisioni cronologiche: essa considera tutti i prodotti letterari di autori italiani dalle prime attestazioni fino ai giorni nostri.

1.5 - La filologia al tempo dei computer

Una disciplina fondamentalmente storica come la filologia ha la necessità di stare nel flusso della storia per trarre nuovi stimoli per le proprie inchieste e per porre nuove questioni e avviare nuove ricerche. Fin dal primo apparire degli strumenti informatici i filologi hanno affidato ai calcolatori alcune fasi del lavoro dell'edizione critica (vedi 3.5), in particolare quelle dove c'è bisogno della massima oggettività possibile.

Sono seguiti numerosi dibattiti e diversi tentativi di inventare metodi capaci di sfruttare le risorse dell'intelligenza artificiale, soprattutto la precisione, la velocità, la capacità di memoria sempre più vasta. Non sempre i risultati sono stati soddisfacenti: infatti si è verificato che lo scrutinio dei dati risulta troppo meccanico, e che alcune situazioni non possono essere ricondotte dentro modelli prestabiliti e fissi. Anche il ricorso a metodi statistici di calcolo, per quanto validi come teorie, non ha dato effetti concreti tali da sostituire i risultati ottenuti coi sistemi tradizionali.

Invece l'informatica è di grande utilità filologica per eseguire altre operazioni: la preparazione di "concordanze" (repertorio alfabetico di tutte le parole presenti in un testo o in una serie di testi), l'allestimento di "banche dati", ossia di sconfinate quantità di testi e di informazioni, il cui controllo sarebbe impossibile alla capacità umana del singolo ricercatore, e infine l'interrogazione dei testi secondo molteplici chiavi di accesso ottenute da motori di ricerca sempre più flessibili e complessi. Anche la riproduzione digitale di manoscritti permette letture più accurate, soprattutto quando è possibile elaborare l'immagine.

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La smaterializzazione del testo (e dei testi) su supporto magnetico lo rende paradossalmente più maneggevole, dal momento che diventa un "ipertesto" navigabile in tutte le direzioni. La gestione dei dati diventa più semplice soprattutto nel caso di edizioni critiche particolarmente complesse, come quelle che presentano stesure plurime di un medesimo testo. Grazie al cd-rom è possibile presentare contemporaneamente le immagini dei testimoni usati nell'allestimento dell'edizione e il risultato finale del lavoro filologico, o anche complessi apparati di varianti assai scomodi da consultare nei libri a stampa.

Anche Internet potenzia le risorse della filologia, in quanto rende possibile sia la ricerca sia l'offerta di dati e informazioni in tempo reale e secondo modalità diverse rispetto ai tradizionali canali di informazione, non altrettanto facilmente accessibili (è alla portata di tutti pubblicare un testo in rete, mentre è molto complesso farlo stampare).

Le immense potenzialità dell'informatica non fanno tuttavia che ribadire la centralità dell'ingegno umano: il computer è solo uno strumento che senza l'uso intelligente dello studioso resta desolatamente muto.

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UD 2 - A cosa serve la filologia

L'illustrazione di alcuni casi specifici mette in luce l'utilità della filologia nei processi di ricostruzione e di comprensione esatta di opere, ambienti culturali e modi di pensiero.

2.1 - Ricostruzione di un testo

2.2 - Ricostruzione di un ambiente culturale

2.3 - Ricostruzione di dinamiche intellettuali

2.4 - Ricostruzione di codici intellettuali

2.5 - Conclusioni

2.1 - Ricostruzione di un testo

La filologia si propone in primo luogo di ricostruire un testo o di verificare la sua qualità. Il termine "testo" deriva dal mondo tessile e indica il tessuto del discorso, ossia la tessitura di parole (e, per estensione, di suoni, segni, ecc.) che costituiscono un enunciato di estensione varia, dalla forma più semplice (una frase, un documento) alla più complessa (un'opera letteraria, musicale, figurativa, ecc.).

Il concetto di testo è un concetto dinamico, dal momento che esso subisce variazioni e modifiche sia da parte dell’autore - che prima di arrivare a una stesura definitiva lo corregge, lo modifica, e anche dopo la pubblicazione può continuare a rivederlo (perché insoddisfatto, perché intende pubblicarlo nuovamente, ecc.) - sia da parte di coloro che lo riproducono, come i copisti, che nell'antichità trascrivevano manualmente le copie di un esemplare, o come i tipografi e i compositori odierni.

Durante la trasmissione del testo, ossia il viaggio che il testo compie fisicamente nel tempo e nello spazio, da un esemplare all'altro, da un'epoca a un'altra, da una nazione all'altra, è facile che avvengano dei problemi, in seguito ai quali il testo subisce alterazioni di varia natura e di varia entità. I fraintendimenti del testo possono essere di natura materiale (per esempio perdita o danneggiamenti di fascicoli contenenti parti di testo) o di natura linguistica e culturale (alcuni termini, che hanno cambiato radicalmente significato o dei quali si è perduto il valore, sono stati alterati o sostituiti), e avvengono tanto per le opere del passato quanto per quelle contemporanee, soprattutto quando sono molto complesse.

Il filologo mette in atto diverse strategie per riportare il testo alla sua forma primaria e per favorire la sua esatta comprensione, nel rispetto della lettera e del significato dato dall'autore.

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2.2 - Ricostruzione di un ambiente culturale

Edizione e comprensione di un testo sono due elementi connessi, dal momento che senza una corretta interpretazione dei termini è impossibile verificare la loro esattezza e quindi proporre una ricostruzione critica del testo. La filologia deve così allargare il suo raggio d'azione e tendere alla conoscenza il più possibile esatta e ampia dell'ambiente culturale all'interno del quale è stato prodotto un testo: in tal modo potrà meglio controllare i significati e le allusioni lì presenti, scoprire eventuali alterazioni e proporre un restauro.

Il filologo procede a ricostruire la rete dei rapporti che il testo e il suo autore (se è noto) hanno costituito con i testi precedenti (le opere appartenenti allo stesso genere letterario e che l'autore effettivamente conosceva) e con i loro contemporanei: la conoscenza della biblioteca posseduta da un autore, il recupero dei singoli libri a lui appartenuti, le notizie e le nozioni che erano a sua disposizione attraverso contatti e amicizie offrono informazioni preziose per la datazione e per la comprensione esatta di un testo, e, via via, per la conoscenza di più testi e degli uomini che li hanno prodotti. In tal modo si compone il quadro di un'epoca e di una stagione culturale sulla base di dati precisi e concreti.

Un esempio della ricostruzione filologica di ambienti culturali è quello effettuato da Giuseppe Billanovich (1913-2000) in relazione a Francesco Petrarca: il recupero della biblioteca di Petrarca è passato attraverso la storia dei singoli volumi, le vicende umane e gli scambi di amicizia e di idee che stanno dietro ogni libro, e ha messo in luce imprese letterarie, filologiche, culturali compiute da Petrarca o da lui favorite, che non si sarebbero potute conoscere per altre vie. Ha consentito poi di comprendere meglio alcuni testi di Petrarca, di restaurarli nelle parti danneggiate proprio per l'ignoranza di specifici episodi, di conoscere e, talvolta, di scoprire nuovi testi petrarcheschi fino ad allora ignorati. Lo studio della "fortuna" delle opere petrarchesche, ossia della loro circolazione e del loro effetto su lettori e scrittori, hanno permesso di conoscere episodi ignoti di storia della cultura e di comprendere meglio vicende già note ma non indagate con gli strumenti della filologia. Il risultato complessivo di tale impresa è stato quello di mostrare con dati precisi, con attenzione ai documenti, con analisi dettagliata, la portata europea del ruolo intellettuale svolto da Petrarca nella sua età, il Trecento, e nelle epoche successive.

2.3 - Ricostruzione di dinamiche intellettuali

Nella sua applicazione sempre più ampia, la filologia permette, a partire dai testi e dall'ambiente culturale, di conoscere modi di comunicazione e codici intellettuali attivi in determinati momenti storici e in determinati luoghi, con lo scopo di comprendere nel modo più esatto possibile la storia della cultura e la storia delle idee, che si sono depositate nella concretezza dei testi, siano essi letterari, documentari, artistici, musicali.

Per esempio, attraverso lo studio dei commenti e delle note scritte ai margini dei manoscritti o delle stampe è possibile capire dove, come e per quale ragione si è sviluppata un'idea e in quale direzione ha circolato, dove è stata accolta o rifiutata. Lo studio della fortuna di un autore nel corso del tempo mostra come le reazioni dei lettori siano collegate al clima culturale in cui essi vivono e come il messaggio dell'autore venga adattato ai diversi momenti storici. Tale studio si realizza attraverso un censimento di tutti gli esemplari della sua opera, la valutazione delle aree di provenienza e della

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consistenza numerica divisa cronologicamente; occorre poi radunare le opinioni espresse su di lui nel più ampio numero di documenti. L'osservazione attenta dei dati raccolti e il controllo parallelo con altre discipline storiche permettono al filologo di spiegare le ragioni delle alterne vicende di un autore o di un'opera o di un genere letterario, il suo successo e il suo oblio.

Lo studio dei meccanismi e del linguaggio di comunicazione permette anche di capire affermazioni e richiami che, allo stadio delle conoscenze attuali, risultano sbagliati. Per esempio, Dante Alighieri (1265-1321) in Inferno 1, 70 afferma che Virgilio nacque "sub Iulio", ossia sotto Giulio Cesare: si tratta di un'informazione errata, in quanto anche le fonti antiche dichiaravano che la nascita di Virgilio avvenne sotto il consolato di Pompeo e Crasso, nel 70 a. C. Tuttavia la notizia usata da Dante si poteva ricavare dalla lettura dei commenti medievali alle opere virgiliane, secondo i quali il poeta scrisse le Bucoliche a 28 anni in seguito alla confisca dei propri poderi, avvenuta dopo la battaglia di Azio del 31 a. C. La somma di 28 più 31 (stiamo parlando dell'era avanti Cristo) dà 59, anno nel quale Cesare ebbe il primo consolato nella Gallia Cisalpina, dove si trovava Mantova, la patria di Virgilio. In tal caso lo studio filologico della tradizione dei commenti virgiliani, presentato da Violetta de Angelis e Gian Carlo Alessio (de Angelis e Alessio 2000), ha giustificato un'affermazione dantesca, mostrando come Dante ricorresse ai normali strumenti di studio del suo tempo, e ha reso comprensibile anche il seguito del testo dantesco. Infatti Virgilio dice "Nacqui sub Iulio, ancor che fosse tardi", ossia "benché fosse tardi": sulla base dei conteggi esposti, Virgilio aveva appena 15 anni quando Cesare venne ucciso nel 44 a. C., e per questo il poeta si rammarica dell'impossibilità di essere apprezzato da Cesare.

La combinazione di varie competenze filologiche ha così individuato le ragioni della formazione di un dato, i modi e le vie della sua circolazione, e ha permesso di capire il senso del testo dantesco.

2.4 - Ricostruzione di codici intellettuali

Attraverso la ricostruzione dei testi, del loro contesto culturale di provenienza e della loro circolazione la filologia arriva a comprendere anche i codici intellettuali collegati ai testi, ossia il linguaggio specifico secondo il quale è costruito un testo e che spesso consiste nell'interazione fra diverse discipline.

Sandro Botticelli, La Primavera, Firenze, Galleria degli Uffizi, 1478 ca.

Un esempio di questa applicazione della filologia è la nuova interpretazione della Primavera di Sandro Botticelli (1445-1510) [Fig.1], il celebre quadro eseguito nella Firenze di Lorenzo il Magnifico (1449-1492) e popolato di divinità [fig. 1]. Per alcuni è un'allegoria della stagione suggerita dalla poesia di Angelo Poliziano e collegata con la filosofia neoplatonica di Marsilio

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Ficino (1433-1499), due intellettuali in diretto rapporto con Botticelli; per altri è un'allegoria civile nella quale il personaggio di Flora, dea della primavera, raffigura Firenze con valore politico. Nessuna spiegazione però è riuscita a giustificare in modo coerente e semplice l'insieme delle figure e dei loro gesti.

Attraverso l'analisi filologica condotta da Claudia Villa (Villa 1998), è stato possibile identificare Flora, la figura in primo piano, come una nuova versione della Retorica, tradizionalmente rappresentata come una donna le cui vesti contengono i flores retorici, ossia le figure retoriche che abbelliscono il discorso, e rintracciare la fonte che contiene tutti i personaggi del dipinto, ossia il libro De nuptiis Mercurii et Philologiae di Marziano Capella (V secolo), nel quale si narra del matrimonio del dio Mercurio con Filologia, rispettivamente il giovane a sinistra e la figura centrale nel quadro. Botticelli riprende le personificazioni delle varie discipline presenti in un libro allora circolante negli ambienti laurenziani e le adegua a raffigurare l'idea di nuova poesia elaborata nella cultura fiorentina del tardo Quattrocento, che si fonda sulla filologia intesa come amore per l'esercizio della ragione e su un nuovo rapporto con la classicità antica.

Questo caso illustra come il filologo debba sapersi muovere tra varie discipline e tenere conto di tutti gli elementi storico-culturali che possono spiegare con prove precise e nel miglior modo possibile il problema oggetto di indagine.

2.5 - Conclusioni

Dal breve panorama tracciato si vede come la filologia sia insieme una tecnica di ricostruzione e restauro dei testi e un modo di approccio alla realtà concreta e storicamente giustificata delle arti, con lo scopo di una loro comprensione sempre più precisa e coerente con le intenzioni e col mondo culturale degli autori.

Nell'ambito della letteratura, il filologo ha dunque un compito delicato in quanto lavora sulla materia fondamentale, il testo, senza il quale non esiste una letteratura, e dal suo lavoro dipende la qualità di ogni atto relativo allo studio letterario, dalla semplice lettura, anche quella più ingenua, alle operazioni più ricercate.

Benché la filologia resti materia confinata fra gli addetti ai lavori e il suo nome sia spesso intimidatorio, è necessario che anche il lettore comune conosca i procedimenti e le finalità ultime di questa disciplina, che ricorre a procedimenti multiformi e tende alla pluridisciplinarietà. La filologia intende offrire al lettore e allo studioso la consapevolezza della complessa e affascinante realtà che sta dietro ogni testo, e aspira a spiegarlo in modo esauriente, preciso, con l'uso contemporaneo di esattezza documentaria e visione storica. La filologia tende alla compiutezza e alla perfezione, nella ricostruzione di un testo e del tessuto culturale, ma senza illudersi di poter comprendere e spiegare tutto, in quanto nelle opere d’arte e nelle opere dell’ingegno esistono elementi che, col passare del tempo, diventano incomprensibili, allusioni, connotati che sono morti per sempre, ma che potrebbero anche tornare a illuminarsi.

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UD 3 - Competenze del filologo

Si presentano le principali conoscenze indispensabili per praticare in modo attivo la filologia.

3.1 - Competenze necessarie al filologo

3.2 - Paleografia, codicologia, bibliografia testuale

3.3 - Storia della lingua

3.4 - Tecniche ecdotiche

3.5 - L'uso dell'informatica nella filologia

3.1 - Competenze necessarie al filologo

La filologia tende a essere una scienza totale, di natura interdisciplinare, trasversale, pertanto il filologo deve possedere una serie di conoscenze, di competenze e di abilità legate a materie diverse, utili a risolvere il caso specifico in esame. Tuttavia, dal momento che il filologo non può sapere tutto, dovrà comunque sapere dove e come procurarsi informazioni e strumenti di base necessari alla sua ricerca. In questa unità faremo riferimento solo alla filologia della letteratura, ma va precisato che alcuni procedimenti sono comuni al lavoro filologico applicato ad altre discipline.

È ovvio che il filologo deve avere una conoscenza della storia letteraria di prima mano, soprattutto in rapporto all'autore o al testo del quale si occupa: ossia deve ricorrere alla lettura diretta dei testi letterari, conoscere i modi della loro composizione e della loro trasmissione, e immergersi nel concreto clima culturale dell'epoca. Anche la biografia degli autori è un elemento indispensabile per conoscere le condizioni materiali nelle quali essi lavoravano e che possono aver condizionato la realizzazione del testo o le sue diverse fasi redazionali. Accanto a questi prerequisiti, il filologo deve avere soprattutto una grande curiosità intellettuale, nel senso che deve sapersi porre domande e trovare il modo di dare risposte: il suo lavoro infatti consiste nell'aprire nuove finestre e nel seguire nuovi link per conoscere i percorsi del testo e arrivare a fissarlo nella forma il più possibile vicina a quella voluta dall'autore. Fondamentale è infine, non solo per l'applicazione filologica, la conoscenza delle principali lingue straniere, tanto per comunicare quanto per leggere testi relativi a un preciso argomento.

3.2 - Paleografia, codicologia, bibliografia testuale

I testi di una letteratura sono tramandati per lo più sotto forma di libro, e attualmente anche sotto forma digitale; talvolta i testi compaiono sotto forma di fogli sciolti (nelle rilegature) o all'interno di documenti di altra natura (per esempio molte rime antiche sono conservate nei Memoriali bolognesi, i registri di tutti i contratti privati stipulati a Bologna nella seconda metà del Duecento). Il libro ha subìto diverse trasformazioni nel corso dei secoli sulla base dei materiali di supporto

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(papiro, carta, pergamena), dei materiali scrittori (stilo, penna) e della tecnica di riproduzione (manoscritta, a stampa). Nell'Antichità e nel Medioevo i libri erano trascritti per opera di copisti professionali e di lettori, una pratica che durò anche dopo l'introduzione della stampa, il cui primo esemplare è una Bibbia del 1456. Nel lessico filologico i manoscritti sono anche chiamati "codici", mentre con "stampe", "libri a stampa" si intende il libro riprodotto con strumenti meccanici.

Per il filologo è fondamentale conoscere i vari tipi di scrittura che si sono sviluppati nel corso dei secoli, le loro diverse tipologie (per esempio scrittura "libraria", per la confezione di volumi accurati, o scrittura "cancelleresca", quella usata per i documenti ufficiali delle amministrazioni, o "corsiva", poco elaborata) e le abbreviazioni correnti: egli farà dunque ricorso alla paleografia, una disciplina che studia la scrittura antica e le sue evoluzioni. Le nozioni paleografiche servono a leggere i testi, a datarli, a riconoscere la loro provenienza geografica, la loro destinazione d'uso, la loro autenticità. Inoltre il filologo deve avere competenze di codicologia, una materia che studia le tecniche di confezione, di legatura dei manoscritti, e tutti gli aspetti fisici del libro; e ricorre talvolta allo studio delle miniature e delle illustrazioni. L'uso combinato di paleografia e codicologia è indispensabile per lo studio filologico dei testi antichi (vedi 7.1 e 7.2).

Per lo studio dei testi tramandati a stampa si è sviluppata una disciplina denominata "bibliografia testuale", che esamina tutte le caratteristiche materiali dei libri stampati e le tecniche tipografiche adottate, alla ricerca soprattutto di modifiche testuali introdotte nel corso di ristampe e nelle edizioni successive di un testo (vedi 6.6). Le innovazioni tecnologiche introdotte nella stampa possono avere riflessi nella riproduzione dei testi e per questo interessano al filologo.

Se, come capita, un testo viene tramandato nella doppia veste manoscritta e a stampa, il filologo dovrà ricorrere alle diverse discipline specialistiche sopra descritte.

3.3 - Storia della lingua

Poiché la lingua si evolve nel corso del tempo, il filologo deve conoscere le forme e le vicende della lingua nella quale è stato scritto il testo in esame. Nel caso della letteratura italiana occorre tener presente che, fra il Duecento e il Seicento, le lingue della scrittura letteraria (ossia quella dotata di caratteri formalizzati di cultura) sono in generale il latino e il volgare della zona d'origine dell'autore, ma privato degli elementi marcatamente locali (ci sono poi casi di autori che scrivono nella lingua straniera della cultura dominante in un certo periodo, per esempio in francese antico fra Due e Trecento). A partire dal Cinquecento l'ideale "repubblica delle lettere" ha scritto in una lingua letteraria che possiamo definire italiana, in quanto adottata da tutti coloro che in Italia intendevano scrivere opere letterarie, dai caratteri sostanzialmente fiorentini e toscani: una lingua principalmente libresca, estranea alla lingua d'uso quotidiano e insensibile ai cambiamenti della lingua viva. Con il Romanticismo e, più tardi, con l'Unità d'Italia (1861), e per effetto dei movimenti culturali del Realismo e del Naturalismo, la lingua letteraria si apre cautamente anche alle forme linguistiche regionali del tempo, e, pur mantenendo sempre un aspetto convenzionale e omogeneo, assume una forma più varia e complessa che dura anche oggi.

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Tale sommario panorama indica che non sempre esiste una lingua stabile di riferimento nella ricostruzione critica di un testo. Infatti le abitudini linguistiche dell'autore risentono tanto della realtà linguistica sottostante quanto della forma linguistica letteraria assegnata alle opere a seconda della loro destinazione. Inoltre, soprattutto per i testi antichi, le abitudini linguistiche di copisti di regioni diverse possono essersi sovrapposte alla lingua originaria dell'autore fino ad alterarla o a cancellarla: il caso più clamoroso è quello dei versi dei funzionari poeti della corte di Federico II (1230-1250 circa), scritti in un siciliano illustre (ossia ripulito dei caratteri eccessivamente dialettali) ma sopravvissuti nella quasi totalità in una forma toscaneggiante per intervento di trascrittori toscani sul finire del Duecento.

Il filologo dovrà cercare di restituire al testo la forma linguistica il più possibile vicina a quella voluta dall'autore, ma, per una serie di interferenze, di vicende di trasmissione del testo, di connotazione geografica dei testimoni, non sempre è possibile arrivare a determinarla con sicurezza e a ricostruirla fedelmente.

3.4 - Tecniche ecdotiche

A seconda dell'epoca di composizione, della destinazione e delle modalità di trasmissione di un'opera, il filologo dovrà scegliere il metodo più opportuno per arrivare a fissare l'edizione critica del testo. Gli è dunque necessario conoscere le diverse tecniche elaborate per ricostruire il testo critico, indicate nel loro insieme coi termini "critica del testo" o "ecdotica".

Tali metodi hanno diversa validità in base al tipo di trasmissione del testo in esame: per esempio il metodo di Lachmann (vedi 1.3) presuppone che tutte le copie di un'opera discendano in modo verticale e meccanico da un unico capostipite, proprio come nelle vicende dinastiche di famiglie nobili, e che la loro parentela si possa riconoscere attraverso la presenza o l'assenza in esse di errori dotati di particolare rilievo. Tuttavia nella realtà esistono numerosi casi in cui il copista trascrive non da un solo esemplare ma da più copie appartenenti a diverse famiglie di manoscritti: la "contaminazione" così effettuata mette in crisi il modello di trasmissione supposto da Lachmann e rende difficile, incerta o anche impossibile la ricostruzione dei rapporti genetici fra i codici. Negli stemmi la discendenza diretta è indicata con una linea continua, la contaminazione è segnalata con una linea tratteggiata (vedi l’esempio di 7.4).

Davanti a simili situazioni di trasmissione orizzontale o trasversale, soprattutto attiva in opere di grande diffusione e successo e in testi di scarso valore stilistico (manuali, commenti), Bédier (vedi 1.3) ha proposto di non ricostruire alberi genealogici poco probabili e, sulla loro base, un testo arbitrario, ma di ricorrere invece alla testimonianza storicamente certa di un solo manoscritto scelto per la sua alta qualità e per la sua storia. Questo metodo rischia però di accreditare come autentico un testo che può essere stato rielaborato dal copista del codice; inoltre l'assenza di un confronto fra diversi testimoni della medesima opera impedisce di capire se e come si siano verificati cambiamenti durante la trasmissione del testo.

Le tecniche ecdotiche elaborate successivamente tengono conto delle diverse obiezioni a questi due fondamentali sistemi e tendono a un cauto eclettismo operativo per adottare i vantaggi di ciascuno ed evitarne i difetti. In ogni caso il filologo deve essere consapevole che la sua edizione critica ha

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carattere non dogmatico di verità assoluta: è il risultato di un calcolo di probabilità, la più alta possibile sulla base dei dati disponibili, e di un continuo esercizio mentale.

3.5 - L'uso dell'informatica nella filologia

Dal momento che per un proficuo esercizio della filologia occorre una vasta apertura mentale, il filologo deve saper disporre di tutti gli strumenti utili al suo scopo disponibili nella propria epoca. L'informatica e le sue sempre più precise applicazioni offrono un formidabile aiuto in tutte le fasi del lavoro, dalla più semplice alla più complessa. Si comincia con la raccolta dei dati, la loro archiviazione, la possibilità di controllarli e di correggerli con estrema velocità e precisione. Anche il lavoro di "collazione" (vedi 4.4) e di confronto di dati risulta facilitato grazie alla disponibilità di appositi software capaci di gestire più fasce di apparati (vedi 5.3).

In base a precise necessità filologiche sono stati elaborati programmi capaci di interrogare banche dati testuali (per esempio l'opera omnia di uno scrittore, una raccolta di testi monotematici, l'insieme di opere raggruppate per ordine cronologico) attraverso diverse chiavi di ricerca, come l'individuazione di una precisa parola o di più parole, di una sequenza di parole o di caratteri, secondo una forma precisa o simile (assai utile quando il termine presenta più grafie, per esempio uomo, omo, homo, huomo), e con l'indicazione dei luoghi che le presentano (di solito capitolo e paragrafo per la prosa; canto o libro o numero di componimento e verso per la poesia). È possibile anche ottenere vari tipi di indici e di statistiche, come l'indice dei termini all'interno di un testo o di un corpus di testi, la loro frequenza relativa e assoluta; si può ottenere anche una "concordanza", ossia la raccolta in ordine alfabetico di tutte le forme presenti. Per l'estrema duttilità, precisione e maneggevolezza, le collezioni di testi, dotate di motori di ricerca, e le concordanze in cd-rom stanno sostituendo nell'uso dei ricercatori gli equivalenti cartacei.

Anche nella lettura dei testi manoscritti l'informatica dà un prezioso aiuto: esistono programmi in grado di elaborare le immagini di manoscritti per rendere leggibili le parti sbiadite o le scritture che si sono sovrapposte nei "palinsesti" (manoscritti sui quali, dopo la raschiatura del testo presente, è stato scritto un secondo testo).

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UD 4 - Che cos’è un’edizione critica

Viene spiegato che cosa s'intende per edizione critica di un testo e si illustrano le relative modalità di realizzazione.

4.1 - Definizione

4.2 - Trasmissione e tradizione del testo

4.3 - Fase documentativa

4.4 - Fase interpretativa secondo il metodo lachmanniano

4.5 - Fase interpretativa secondo il metodo neolachmanniano

4.1 - Definizione

L’edizione critica di un testo letterario è il risultato di una serie di operazioni condotte con metodo scientifico, ossia verificabile e dimostrato, che mirano a stabilire, secondo l’ipotesi più economica, la forma del testo in oggetto più vicina possibile alla volontà dell’autore. Il concetto di testo è un concetto dinamico, dal momento che esso subisce variazioni e modifiche, sia da parte dell’autore sia da parte dei copisti durante la trasmissione nel corso del tempo. Le procedure di ricostruzione critica avvengono in due momenti: il primo documentativo, con la raccolta di tutte le testimonianze esistenti del testo stesso, dirette (manoscritti, stampe) e indirette (citazioni presenti in altre opere); il secondo interpretativo, nel quale, attraverso procedimenti differenziati a seconda se si tratta di testi antichi o di testi moderni e contemporanei, si fissa il testo e si procede, ove necessario, al restauro testuale.

Come si può comprendere da tale sommaria esposizione, l’edizione critica, quando è buona, costituisce una garanzia ma non raggiunge la verità assoluta, perché risulta da un calcolo esatto di possibilità e di probabilità che resta aperto a ogni ulteriore verifica o rettifica: è, come ogni atto scientifico, una mera ipotesi di lavoro capace di collegare in un sistema razionale i dati della tradizione superstite. La sua validità può variare nel tempo sia per la scoperta di testimoni precedentemente ignoti e forniti di autorevolezza (per antichità o per provenienza), la cui lezione (cioè la forma del testo da essi presentata) dovrà essere valutata e integrata ai risultati acquisiti, sia per il mutare delle procedure ricostruttive e delle prospettive filologiche. La "critica testuale", ha scritto Cesare Segre, non è chirurgia plastica, ma apertura a un inesauribile esercizio mentale.

Quando esiste l'autografo di un'opera, l'edizione critica non avrà più la necessità di ricostruire il testo a partire dalle sue copie, ma dovrà comunque verificare la tenuta del testo, in quanto anche l'autore può trattare la propria opera come fa un copista davanti a un testo, ossia commettendo inesattezze, ritocchi incompleti, a volte veri e propri errori. Inoltre l'edizione critica darà conto degli eventuali abbozzi dell'opera (appunti, prime stesure, materiali di lavoro), delle rielaborazioni e delle stesure successive, documentando le varie fasi di scrittura.

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4.2 - Trasmissione e tradizione del testo

Con l'espressione "trasmissione del testo" si indica il trasferimento di un testo da un esemplare alla sua copia, un procedimento che avviene in modi diversi: la trasmissione può essere infatti manoscritta (l'unica fino all'introduzione della stampa), a stampa o nei due canali contemporaneamente (a queste modalità tradizionali si affianca ora quella elettronica). Essa si origina a partire dall'originale, ossia dal testo che è stato scritto materialmente dalla mano dell'autore (autografo) o che è stato da lui controllato e approvato (una stampa, un dattiloscritto: e in tal caso si parla di testi idiografi); dall'originale derivano le copie che a loro volta generano altre copie.

La trasmissione manoscritta non garantisce una riproduzione meccanica del testo, come quella a stampa, dove, all'interno di una stessa "tiratura" di copie (ossia l’insieme degli esemplari ricavati da una sola matrice), ogni copia è identica alle altre (esistono tuttavia eccezioni). Per questo i metodi per realizzare un'edizione critica sono differenziati sulla base della trasmissione specifica del testo in esame. In ogni caso, indipendentemente dai modi di trasmissione, il testo originale può subire modifiche o alterazioni che sta all'editore critico individuare e, se possibile, correggere.

Il complesso delle testimonianze che hanno tramandato un testo nel corso del tempo e dello spazio costituisce la "tradizione del testo": quella "diretta" comprende le copie che contengono esplicitamente l'opera, quella "indiretta" è costituita dalle citazioni del testo entro altre opere o anche dalle traduzioni (che possono essere state basate su testimoni perduti). Lo studio della tradizione permette di comprendere le vicende del testo nel suo viaggio dentro la storia e la geografia, e di conoscere le interpretazioni che ne sono state fatte e che si sono depositate sui margini degli esemplari in forma di notazioni.

L'edizione critica illustra i problemi di trasmissione, legati alla natura del testo e alla qualità dei copisti e dei tipografi, e traccia una storia della trasmissione del testo per dare un fondamento il più possibile saldo alla ricostruzione che essa propone.

4.3 - Fase documentativa

L'editore critico deve radunare tutte le testimonianze del testo, dirette e indirette. Utilizzando le notizie raccolte dai filologi e dagli editori critici precedenti, risalirà a tutte le copie esistenti del testo e ne preparerà un "censimento", ossia un elenco con tutti gli estremi identificativi (indicazione di città, biblioteca o istituzione o proprietario privato, segnatura, datazione; vedi gli esempi in 7.1). Per allargare il più possibile la ricerca, soprattutto nel caso dei manoscritti, il filologo deve consultare i cataloghi delle biblioteche e gli speciali repertori per trovare nuovi testimoni dell'opera: talvolta però la scoperta di una copia sconosciuta di un testo avviene in circostanze casuali ed estranee al lavoro per l'edizione critica.

Da un'osservazione attenta dell'elenco dei testimoni si ricavano informazioni e dati utili anche alla storia della trasmissione e della fortuna del testo: si può conoscere e misurare la diffusione e l'influsso del testo in generale e in rapporto a luoghi e tempi determinati, a gruppi sociali e professionali ben precisi. Tali fattori possono aver condizionato il testo stesso: per esempio il Decameron di Giovanni Boccaccio (1313-1375) si è diffuso ampiamente presso il ceto mercantile

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che si vedeva ritratto nel libro, e spesso è stato adattato e riscritto in vari passaggi con la sostituzione di nomi, luoghi e situazioni più familiari ai possessori di alcune copie.

Lo studio diretto dei testimoni porta a verificare notizie già note e ad eventuali nuove scoperte sui possessori del codice, sulla provenienza del testo contenuto, sulle fasi di trascrizione del testo (un aspetto che difficilmente si coglie attraverso le riproduzioni del manoscritto in microfilm o in riproduzioni fotografiche), ecc.

4.4 - Fase interpretativa secondo il metodo lachmanniano

Una volta completata la fase documentativa, l'editore critico procede a "collazionare" il testo di tutti gli esemplari raccolti, ossia confronta il testo parola per parola secondo la forma presentata da ciascun testimone, al quale assegnerà una sigla, di solito una lettera alfabetica maiuscola, in ordine di semplice successione - A, B, C, ecc. - oppure con funzione di richiamo alla città, alla biblioteca, al fondo di appartenenza del codice - A per codice della Biblioteca Ambrosiana di Milano, L per codice del fondo Laurenziano della Biblioteca Laurenziana di Firenze, e simili -. Se fra i testimoni non esiste l'autografo, occorre ricostruire il testo originale a partire dalle copie superstiti secondo un metodo che è stato utilizzato per la prima volta da Lachmann (vedi 1.3 e 3.4) e poi reso più sistematico dai successori.

Per effettuare la collazione, il filologo sceglierà un "testo base", ossia il testo di un manoscritto determinato, che si presenta con garanzie di qualità, che diventa il testo di riferimento in rapporto al quale si segnalano le forme presentate dagli altri codici: le forme che si presentano diverse rispetto al testo base si chiamano "varianti". L'esame comparativo consente di verificare lo stato del testo presente nella tradizione, se esso è stabile o se presenta vistose modifiche, e di capire la natura di tali scarti: bisogna valutare se il testo originale compare integro o se è stato frainteso e contiene errori. Nel caso che contenga errori (ed è il caso più frequente), questi diventeranno l'elemento che permette di ricostruire il rapporto genealogico tra i testimoni esistenti e gli eventuali codici perduti ma necessariamente esistiti, in quanto hanno reso possibile alcuni snodi della trasmissione testimoniata.

Se il numero di copie da esaminare è eccessivo, quindi incontrollabile, l’editore critico sceglie alcuni passi dell’opera, detti "loci critici", che presentano forti differenze fra i testimoni. Una volta ricostruiti i rapporti di dipendenza esistenti fra i testimoni, viene elaborato il relativo stemma (un autentico albero genealogico), che permette di avere un modello dei rapporti esistenti fra i codici; in base a questa classificazione l'editore elimina i codici copia di altra copia superstite (definiti codici "descripti"), poi identifica a) le lezioni che, in base al consenso dei rami dello stemma, possono ritenersi originali, b) le lezioni dell'intera tradizione che invece sono decisamente errate, e che richiedono una correzione, c) le lezioni che, pur essendo diverse fra loro, sono "equivalenti" (o "adiafore").

Per scegliere tra le lezioni equivalenti l'editore usa un criterio di maggioranza (l'accordo del maggior numero di famiglie, valido quando lo stemma sia almeno a tre rami, proprio per rendere possibile una maggioranza) oppure, quando non vale la legge della maggioranza, i criteri della lectio difficilior ("la lezione più difficile", la meno ovvia, quindi facilmente esposta a semplificazione) e dell'usus scribendi ("conformità con le abitudini stilistiche dell'autore").

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Gli errori (o l'errore) presenti nell'intera tradizione, e che si presuppongono assenti nell'originale, appartengono all'"archetipo", ossia alla prima copia ricavata dall'originale (di solito segnalato con O) e dalla quale discendono tutte le altre copie, vengono corretti non più col ricorso allo stemma o coi criteri interni alla tradizione stessa sopra ricordati, ma con un intervento congetturale dell'editore critico.

Fra l'archetipo (solitamente indicato con x o con �) e le copie superstiti si possono collocare dei subarchetipi, ossia i capostipiti di alcune famiglie (indicati con lettere alfabetiche, talvolta greche). Archetipo e subarchetipo sono copie che possono anche non essere esistite fisicamente ma costituiscono uno snodo necessario per valutare i rapporti stemmatici. Va tuttavia ricordato, come scrive Stussi, che "Lo stemma non è la rappresentazione dettagliata di come in concreto è avvenuta la trasmissione di un testo, ma è soltanto lo schema dei rapporti genealogici decisivi per valutare le diverse testimonianze" (Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana: 130).

4.5 - Fase interpretativa secondo il metodo neolachmanniano

L'applicazione rigida del metodo di Lachmann è impossibile nel caso, assai frequente nelle letterature romanze, che la tradizione non avvenga in modo verticale e meccanico, ma si diffonda anche in modo orizzontale, cioè che il copista trascriva da due o più codici appartenenti a famiglie diverse; oppure quando i rimaneggiamenti del testo sono profondi, o quando la tradizione risale a un autografo e presenta varianti d'autore, o risale a un archetipo ritoccato nel corso del tempo e dal quale sono state ricavate copie riproducenti i diversi stadi del testo. Il modello di Lachmann entra in crisi quando viene applicato a una tradizione attiva, ossia quando i copisti non trascrivono passivamente dal loro esemplare ma intervengono correggendo e congetturando. Inoltre la frequente presenza di alberi genealogici a due rami impedisce l'applicazione della legge della maggioranza (che sceglie le varianti equivalenti secondo un criterio probabilistico; vedi 4.4).

Numerosi filologi hanno allora corretto il metodo di Lachmann, mantenendo inalterato il processo di censimento, di collazione e di elaborazione di uno stemma (quando è possibile costituirlo), ma lasciando più spazio all'iniziativa del filologo, al suo giudizio critico nelle varie fasi della costituzione del testo. L'editore critico neolachmanniano dispone così di una maggior flessibilità e adatta il metodo alla specifica realtà del testo; o addirittura escogita un sistema specifico, caso per caso, capace di razionalizzare, fin dove si può, i dati offerti dalla tradizione, così da ridurre entro limiti accettabili gli interventi soggettivi del filologo. Sarà sempre cura dell'editore critico dichiarare con onestà tutti i passaggi del suo lavoro, nella consapevolezza che "un'edizione critica è, come ogni atto scientifico, una mera ipotesi di lavoro, la più soddisfacente (ossia economica) che colleghi in sistema i dati" (Contini, Esercizî di lettura: 369). La duttilità non è rinuncia al metodo scientifico, arbitrio sfrenato, ma sano empirismo, consapevolezza dei rischi di inserire a ogni costo la realtà dei dati storici in un rigido modello preconfezionato. Come ha scritto Cesare Segre (1928), "la ricostruzione di un testo ha limiti e gradi che di volta in volta si devono identificare, non essendo scopo dell'editore fornire un testo che plachi ogni preoccupazione di regolarità, di chiarezza, di leggibilità, ma un testo che, risultando da un calcolo esatto di possibilità e probabilità, espliciti questo calcolo per ogni ulteriore verifica o rettifica" (Segre, La tradizione della "Chanson de Roland": 195).

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UD 5 - Come si legge un’edizione critica

Si offrono alcune istruzioni per la lettura e la consultazione delle edizioni critiche.

5.1 - I destinatari

5.2 - La Nota al testo

5.3 - Gli apparati

5.4 - La grafia e la punteggiatura

5.5 - Simboli e soluzioni grafiche

5.1 - I destinatari

L'edizione critica si rivolge a tutti i lettori, tanto agli specialisti della disciplina cui appartiene il testo in oggetto quanto al lettore comune. Le aspettative di questi due gruppi sono diverse. Gli specialisti desiderano ricevere dall'editore critico tutti gli elementi testuali e la giustificazione del lavoro compiuto, così da valutare la qualità della proposta: a loro in particolare si rivolge la Nota al testo, quella sezione nella quale il filologo presenta tutte le fasi operative, i problemi che ha affrontato, i modi con i quali li ha risolti o anche la dichiarazione che non è possibile risolverli, tutte le informazioni e i dati attraverso i quali egli è giunto a proporre il proprio testo critico.

Il lettore comune probabilmente non sa che cosa sia un'edizione critica e anzi è facilmente dissuaso a leggere la Nota al testo dall'aspetto intimidatorio delle pagine fitte di sigle, stemmi, elenchi di parole. Tuttavia il risultato del lavoro filologico lo riguarda direttamente, perché da quello dipende la qualità del testo che egli legge e che a volte risulta profondamente diverso da altre edizioni, soprattutto da quella corrente di un testo, la cosiddetta "vulgata", cioè quella forma del testo che viene di solito ristampata senza che se ne indaghi la provenienza e la qualità. È facile capire le responsabilità che un'edizione critica affronta, visto che il suo risultato condiziona ogni operazione che il lettore compie, dalla lettura puramente informativa alla riflessione che da essa scaturisce. Sta all'editore critico saper condensare in una parte introduttiva le ragioni del suo operato, spiegandole in modo piano e semplificato, e ripercorrere le vicende, spesso appassionanti, che stanno dietro la "caccia" filologica, che molto spesso somiglia a una vera e propria indagine da detective.

Negli ultimi decenni molti editori critici hanno completato il loro lavoro con un commento puntuale che spiega le difficoltà del testo, giustifica alcune lezioni scelte, dichiara i punti oscuri e i problemi interpretativi incontrati, "traduce" in italiano corrente le parti del testo più lontane dall'attuale assetto della lingua, indica le fonti (vedi 6.4) che hanno permesso di restaurare il testo.

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5.2 - La Nota al testo

La qualità di un'edizione critica si decide in base alle dichiarazioni contenute nella Nota al testo, dove il filologo dichiara le fasi del lavoro compiuto, mette a disposizione la documentazione sulla quale ha costruito la sua ipotesi di lavoro, argomenta le conclusioni e giustifica ogni scelta relativa al testo critico.

Di solito la Nota al testo si apre con l'elenco dei testimoni e delle sigle loro assegnate; quando è necessario, viene tracciata la storia dei singoli testimoni, importante anche per stabilire la provenienza del testo contenuto. Segue la classificazione dei testimoni effettuata sulla base del metodo ecdotico prescelto (lachmanniano, neolachmanniano o di altra natura combinatoria): il filologo deve rendere espliciti e chiari i passaggi concettuali (relativi ai rapporti di dipendenza diretta fra i testimoni e relativi ai rapporti di collateralità, ossia quelli derivanti dalla comune dipendenza di testimoni da un capostipite), dai progressivi raggruppamenti fino alla costruzione di uno stemma, se è possibile, o alla conclusione che non si può razionalizzare la tradizione secondo un albero genealogico (esempi in 7.3, 7.4, 7.7). Il lettore deve poter verificare passo dopo passo la tenuta della costruzione critica del testo: se l'editore critico tace o sorvola o presenta apparati insoddisfacenti (vedi 5.3), si può ragionevolmente dubitare della serietà del suo lavoro.

La Nota al testo giustifica anche le scelte di resa grafica (vedi 5.4), spiega i simboli usati nel testo e negli apparati; talvolta presenta anche osservazioni filologiche sulla lingua e sullo stile del testo, utili anche a motivare alcune delle proposte critiche testuali.

5.3 - Gli apparati

L'editore critico offre tutta la documentazione e le argomentazioni della propria condotta nella Nota al testo. In particolare hanno rilievo gli apparati, ossia quegli elenchi dove compaiono le lezioni dei singoli manoscritti sottoposti a valutazione. In alcuni casi l'apparato filologico viene collocato nella stessa pagina del testo critico, come una fascia di note al piede: in tal modo il lettore può controllare in quale forma il testo si presenta nei vari testimoni, nell'archetipo, nei subarchetipi o negli interposti (copie intermedie "virtuali", poste tra la linea che congiunge nello stemma due elementi). L'apparato di solito riporta una porzione di testo critico (una parola, un intero verso) seguita da parentesi quadra chiusa, cioè il segno ], dopo il quale compaiono le relative lezioni dei testimoni, indicati mediante la loro sigla indicativa (vedi gli esempi in 7.5, 7.6, 7.7, 7.8).

Per esempio, "acque] acqua A B, aqua C, aigua D" significa che l'editore critico, in seguito alle conclusioni dichiarate nella Nota al testo, pubblica come testo critico la lezione acque, e segnala le varianti a tale forma presenti negli altri testimoni utilizzati. In questo caso l'apparato si definisce "negativo" (o "implicito") perché non indica quale o quali testimoni presentano la lezione acque accolta nel testo critico. Quando invece l'editore critico dà anche tale indicazione, l'apparato è detto "positivo" (o "esplicito"): "acque] acque E F, acqua A B, aqua C, aigua D". Alle volte l'editore aggiunge prima della sigla qualche minima indicazione specifica, per esempio "aqua in interlinea C": ossia segnala che nel testimone C la lezione aqua è stata aggiunta sopra la linea del testo; "Acque om. G": significa che il testimone G omette la lezione acque; in altri casi l'editore aggiunge un'altra fascia d'apparato nella quale commenta e discute la sua scelta.

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L'apparato che registra le lezioni della tradizione in assenza di autografo o di varianti d'autore accertate si definisce "sincronico", perché pone sullo stesso piano le lezioni di trascrittori di varie epoche; se invece presenta le varianti d'autore, viene chiamato "diacronico", in quanto mostra il dinamismo del testo da una redazione all'altra (nell'esempio fittizio "acque] le acque P, l'acque Q, acque R"). In quest'ultimo caso si distingue anche tra apparato "genetico", che segnala le fasi anteriori al testo critico accolto, quelle della sua formazione, e apparato "evolutivo", che registra le fasi successive di elaborazione. La rappresentazione grafica di tali apparati è estremamente variabile, come si vede dagli esempi dell’UD 7.

5.4 - La grafia e la punteggiatura

Il lettore di un'edizione critica può facilmente trovarsi davanti a grafie che non coincidono con quelle dell'uso corrente, ma che riprendono fedelmente quelle dell'autore, se testimoniate, o rispecchiano la grafia di un determinato testimone, di solito il più vicino all'area geografica dell'autore e il più antico, o riprendono la grafia desunta da documenti coevi all'epoca di composizione del testo. Il filologo giustificherà la propria scelta di resa del testo: prevale di solito una scelta conservativa, che mantiene l'aspetto d'epoca, e solo in certi casi si effettua un ammodernamento delle forme. In ogni caso, il filologo, anche quando intende rispettare il testo originario, introduce delle modifiche, più o meno vistose, rispetto ai sistemi grafici usati dall'autore o dalle copie contemporanee, proprio perché l'assenza di qualsiasi adattamento alle abitudini di scrittura e di lettura in vigore all'epoca dell'edizione critica rischia di rendere muto il testo che si intende restituire.

L'editore critico distingue u da v, resi almeno fino al Settecento coll’unico segno u; separa le parole che nei testi antichi sono spesso unite (el può indicare sia l’articolo determinativo sia la congiunzione seguita dall’articolo e ’l), introduce la punteggiatura che nei testi antichi segue altre modalità o non è sistematica.

L'ammodernamento delle grafie avviene con la sostituzione della forma antica (per esempio, kari, singnore, intellecto, triumphal) con quella attuale (cari, signore, intelletto, trionfal), soprattutto per evitare che alcune soluzioni grafiche, soprattutto quelle che mantengono la grafia del latino, vengano scambiate per sostanza fonetica: sappiamo infatti che la loro pronuncia corrisponde a quella attuale (intellecto si leggeva intelletto; et si leggeva e davanti a consonante, ed davanti a vocale; sexto si leggeva sesto). Esistono però casi nei quali non si conosce la corrispondenza fonetica tra grafia e pronuncia; e anche nel caso in cui l'editore critico deve correggere o integrare il testo in assenza di autografo, o di precise forme grafiche nell'autografo, resta il dubbio circa la grafia da usare. In ogni caso il filologo deve informare delle grafie dei testimoni utilizzati e giustificare la sua scelta operativa.

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5.5 - Simboli e soluzioni grafiche

L'uso di simboli e di soluzioni grafiche nell'edizione critica serve sostanzialmente a due scopi: rappresentare la situazione o l'elaborazione del testo nei singoli testimoni e indicare gli interventi del filologo nel testo critico. Non esiste ancora un sistema unificato di simboli, anche se alcuni sono molto diffusi, pertanto è opportuno che ogni edizione critica presenti una tavola con tutti i simboli adottati e le relative spiegazioni. Nella seguente tabella sono riportati i simboli e le soluzioni grafiche più frequenti in filologia italiana.

Simbolo e soluzioni grafiche

Spiegazione Esempio

[ ] oppure < > integrazione "vi[l]tà" (l’editore ha ritenuto di integrare la lezione vita)

"Dunque quello sermone è più bello, nello quale più debitamente si rispondono [li vocabuli, e più debitamente li vocabuli si rispondono] in latino che in volgare"

Questa frase del Convivio di Dante (1, 5,14) compare nella tradizione con una lacuna che l’editore critico integra con parole, poste tra parentesi quadre, che hanno un valore solo contenutistico: infatti esse rispecchiano il pensiero dantesco come lo si desume da altri passi della sua opera e dalle fonti a lui note (vedi 6.4), ma non è detto che coincidano esattamente con le parole scritte da Dante in quel passo.

[…] oppure <…>

lacuna non colmabile

"[…] in altrui fatte" (la tradizione riporta il testo lacunoso e l’editore non ritiene di doverlo o poterlo restaurare)

† † lezione errata non ricostruibile

"E s’alcun n’è, sì n’è †fatto† ingannato" (secondo l’editore la lezione fatto è un errore che non si riesce a correggere e che va comunque segnalato)

· nesso fonosintattico

"a·ssé", "i·llui" (equivale a in lui) (intende rappresentare l’effettiva pronuncia secondo la grafia dei testimoni, ma con segnalazione visiva per il lettore moderno)

punto sottoscritto

eliminazione (o espunzione) della lettera soprastante

"mon�go", " " (l’editore critico vuole mostrare lo stato esatto del manoscritto e ne riproduce esattamente la grafia, ma indica quali lettere vanno eliminate perché sia esatto il valore metrico dei versi o la grafia corretta; in tal caso si leggerà mongo, ai)

corsivo lezione congetturale

"cugina" (l’editore critico interviene sulla lezione vicina presente nella tradizione)

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In molti casi i simboli e le soluzioni grafiche presenti nelle edizioni critiche vengono eliminati quando il testo critico viene riprodotto in edizioni destinate al largo pubblico; si tratta di un'omissione grave, perché il lettore non è più in grado di vedere quali sono gli interventi critici, soprattutto le inserzioni su lacuna, e quindi può ritenere che alcuni passi, integrati dall'editore critico per carenze della tradizione, siano stati scritti dall'autore.

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UD 6 - Altre questioni filologiche

Sono trattati altri problemi di vario genere che si presentano al filologo durante le sue indagini.

6.1 - Edizioni critiche di raccolte di rime

6.2 - Edizioni critiche di lettere, epistolari e carteggi

6.3 - Edizioni critiche di testi riconducibili alla tradizione orale

6.4 - Uso delle fonti

6.5 - Questioni di attribuzione e di autenticità

6.6 - Un piccolo lessico per precisare

6.1 - Edizioni critiche di raccolte di rime

I problemi dell'edizione critica di raccolte di rime di un unico autore o di più autori radunati sono di varia natura e pongono spesso difficoltà ardue. Al filologo si presentano casi diversi: rime raccolte dall'autore in un'opera organica; rime di un autore che non le ha mai raccolte in un'opera organica; rime di più autori presenti sia in più raccolte sia in testimonianze sparse.

Nel primo caso, in presenza di autografo l'edizione critica è facilitata, ma deve tener conto delle rime "extravaganti" (quelle tramandate al di fuori dell'autografo o dell’originale; il termine vale anche per testi, in versi o in prosa, che circolano al di fuori dell'opera di appartenenza o che non appartengono a nessuna opera organica). L'esame della tradizione successiva può rivelare la presenza di strutture diverse dell'opera e di varianti dei singoli testi: in tal caso l'editore critico dovrà stabilire se si tratta di modifiche volute dall'autore e, in caso positivo, potrà tracciare la storia redazionale della raccolta, anteriore e/o successiva a quella dell'autografo (tale procedura vale anche per opere organiche sprovviste di autografo). Questo è il caso del Canzoniere di Petrarca, del quale esiste sia un abbozzo autografo (ossia la copia di lavoro sulla quale l'autore interviene, corregge, aggiunge, cancella, riscrive, ecc.) sia una bella copia; i filologi hanno verificato inoltre l'esistenza di nove diverse redazioni della raccolta, anteriori a quella autografa, e riconducibili a Petrarca stesso.

Quando l'autore non ha provveduto a raccogliere le proprie rime, esse si presentano in più modi: in gruppi tramandati sotto il nome dell'autore in questione o in ordine sparso all'interno di raccolte miscellanee (ossia con testi di vari autori e di varia natura) o come testimonianze isolate (spesso queste modalità compaiono tutte contemporaneamente). L'editore cerca di orientare i rapporti esistenti fra le raccolte, che talvolta hanno assetto instabile (perché l'ordine interno non è costante: si escludono alcune rime, se ne accolgono altre, si muta l'ordine dei componimenti), e quelli esistenti fra i componimenti extravaganti. Nel caso di tradizioni complesse, l'editore tenta di costruire stemmi per i gruppi di testi che seguono un ordine e prepara anche lo stemma per ogni componimento, in modo da individuare il rapporto d'insieme fra i testimoni che contengono i versi in esame. È difficilissimo in questi casi verificare se eventuali raggruppamenti di rime risalgano

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all'autore, così come è complicato stabilire la cronologia dei versi. In questa condizione si trovano tutte le rime di Dante.

In alcuni casi, quando esistono più redazioni di un medesimo componimento e non è possibile stabilire quale sia l’originale, l’editore critico propone le diverse redazioni e argomenta la sua scelta (vedi in 7.6 il caso di Guido Cavalcanti, 1250 circa-1300, e nel modulo Errori e varianti l'UD 4.3).

L'intreccio di tali problemi obbliga l'editore critico a escogitare un metodo ricostruttivo del testo che risponda alla particolare natura dell'oggetto di studio.

6.2 - Edizioni critiche di lettere, epistolari e carteggi

Nel pubblicare testi epistolari occorre distinguere fra lettere sciolte, ossia le lettere effettivamente spedite (autografe o copie), gli epistolari, ossia le raccolte di lettere scritte da un autore e da lui raccolte con intento artistico, e i carteggi, che presentano le lettere del mittente e del destinatario (spesso però con epistolario si intende l'insieme di lettere di un autore, a prescindere dal suo intento di pubblicarle).

Davanti ad autografi l'editore critico riproduce fedelmente tutte le caratteristiche della lettera, fornendone o un'"edizione diplomatica", cioè una riproduzione fedele a ogni dettaglio di grafia e punteggiatura, senza nessun intervento, neanche davanti a errori evidenti, oppure un'"edizione diplomatico-interpretativa", ossia segnalando con espedienti grafici le proprie minime integrazioni, per esempio la separazione delle parole, lo scioglimento di forme abbreviate. In assenza di autografi, l'edizione usa la tradizione secondo il sistema ecdotico impiegato per tutti gli altri testi.

Nel caso di epistolari licenziati dall'autore, l'editore critico si comporta come davanti a un'opera artistica e li tratta secondo le norme della critica testuale: in particolare eviterà di intervenire su date, nomi che, pur essendo palesemente errati rispetto a riscontri esterni all'epistolario, sono stati consapevolmente modificati dall'autore (vedi anche il modulo Errori e varianti, UD 5.3).

Con i carteggi si applicano gli stessi procedimenti sopra elencati a seconda della natura della corrispondenza: se si tratta di documenti che i corrispondenti non hanno trasformato volontariamente in opera letteraria, l'editore critico adotta il sistema della riproduzione diplomatico-interpretativa; in caso diverso seguirà le fasi di costituzione del testo riservate agli scritti letterari.

6.3 - Edizioni critiche di testi riconducibili alla tradizione orale

Alcuni testi artisticamente strutturati hanno avuto una circolazione in forma orale, come i cantari (testi narrativi in ottave), collegabili alle chanson de geste, i canti popolari, le fiabe, i proverbi, e sono stati poi registrati in forma scritta. Essi sono di solito anonimi ed esprimono una rielaborazione più che una individualità identificabile: sono il risultato di una continua riscrittura a partire da una forma primaria, la cui esistenza è difficile provare.

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Il canterino ricorreva al patrimonio comune dei cantari e recitava il testo adattandolo alle specifiche circostanze della sua esibizione, con l'inserimento di varianti, digressioni, contaminazioni con altri testi, facilitate dalla presenza stabile di personaggi fissi ben noti all'uditorio (di solito paladini come Orlando, Rinaldo, ecc.).

In questi casi l'editore critico lavora su una tradizione testuale che presenta le caratteristiche della recitazione e fissa redazioni estremamente variabili. Davanti all'impossibilità di ricostruire una storia puntuale del testo, di solito si data il cantare all'età della sua più antica redazione documentata; non esistendo poi un originale né un testo definitivo di tali opere, l'editore critico disegna le grandi linee della diffusione, indica i possibili rapporti tra i codici che conservano le varie redazioni, per arrivare a scegliere una precisa redazione del testo da pubblicare, le cui eventuali lacune saranno evidenziate ma non colmate, proprio perché ogni testimonianza del testo ha un valore autonomo, difficilmente rapportabile al concetto di "testo originale" valido per le opere letterarie.

6.4 - Uso delle fonti

In filologia il termine "fonte" ha più significati. In primo luogo indica il testo (o i testi) che risulta essere la sorgente di un altro testo. L'identificazione della fonte di un testo è utile per più scopi: ai fini ricostruttivi del testo che ha usato la fonte, ai fini di accertamento della cultura dell'autore e dei testi circolanti al suo tempo, e per studiare la storia della tradizione (se ne è discusso in 4.2).

Nel primo caso, il recupero di una fonte permette di identificare errori presenti nella tradizione del testo soggetto a ricostruzione critica (a meno che non si tratti di errori dell'autore, quindi da conservare) e soprattutto aiuta nella scelta delle varianti equivalenti da promuovere a testo critico. Quando lo stemma dei codici non aiuta nella scelta delle varianti in base alla legge della maggioranza (vedi 4.4), l'editore critico può ricorrere alla fonte per scegliere la lezione più probabile. Per esempio, nella terzina di Inferno 1, 46-48 il leone che affronta Dante è così descritto: "questi parea che contra me venisse / con la test'alta e con rabbiosa fame / sì che parea che l'aere ne temesse"; alcuni manoscritti però presentano la lezione tremesse. L'edizione critica di Giorgio Petrocchi (1921-1989; Alighieri, La Commedia secondo l'antica vulgata) sceglie la lezione tremesse in base a più criteri: quello della lectio difficilior (vedi 4.4); quello dell'usus scribendi (vedi 4.4) dantesco, che ripropone in altri passi l'immagine dell'aura che trema; e infine il sostegno dato dal recupero della fonte dell'immagine dell'aura che trema nei versi di Guido Cavalcanti, in gioventù amico di Dante, col quale ci fu ampio scambio di rime.

L'uso al plurale di "fonte", ossia le "fonti", indica l'insieme dei documenti originali dai quali si traggono testimonianze, dati relativi a un personaggio, a un'opera, a un periodo storico. Lo studio delle fonti è essenziale per un accertamento filologicamente fondato degli elementi utili a una ricerca.

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6.5 - Questioni di attribuzione e di autenticità

Esistono testi anonimi e testi che circolano sotto il nome di più autori: in questi casi il filologo cerca di identificare l'autore al quale attribuire la paternità del componimento. La dimostrazione, quando è possibile, si fonda su più elementi che si sostengono a vicenda: l'ideale è una combinazione di dati esterni (lo studio e la datazione dei testimoni; l'esame dello stemma; testimonianze storiche fondate; documenti) e di dati interni (riferimenti cronologici; fatti linguistici, stilistici, metrici congrui con quelli di un determinato autore o di un ambito culturale).

Allo stesso modo si indaga sull'autenticità di testi assegnati a un autore ma la cui natura è dubbia, perché contrasta con quanto è noto dell'autore o perché riferita da fonte sospetta. Il problema dei falsi (chiamati anche "testi apocrifi") è assai delicato e richiede, oltre alle verifiche di natura testuale e documentaria sopra ricordate, anche una giustificazione plausibile delle motivazioni del falsario.

In tutti questi casi è raro che si arrivi a una dimostrazione definitiva e inoppugnabile: anche qui la filologia dovrà operare con criteri di sana empiria e valutare il proprio operato in termini di probabilità più o meno alte. Occorre che il filologo, prima di attribuire un'opera a un autore o di dichiarare falso o autentico un testo, distingua esattamente tra indizi, che hanno carattere solo probabilistico, e prove, che conducono a conclusioni univoche e certe.

6.6 - Un piccolo lessico per precisare

Dei vari termini tecnici è stata offerta una definizione quando sono comparsi per la prima volta; tuttavia alcuni di essi hanno più accezioni che possono generare dubbi. A tale scopo si propongono qui i diversi valori che alcuni di questi vocaboli hanno: sarà il contesto della frase a chiarire in quale senso essi vadano intesi.

Redazione: a) atto della scrittura; b) singola stesura di un testo, singola fase di stesura di un testo; c) in editoria, attività di controllo di un testo da pubblicare e, per estensione, il luogo dove si svolge tale attività.

Edizione: a) atto della pubblicazione di un testo; b) riproduzione di un’opera a stampa per renderla pubblica diffondendola in un certo numero di esemplari.

Esemplare: a) modello dal quale si ricava una copia; b) singolo individuo di una serie omogenea.

Antigrafo: esemplare dal quale si ricava direttamente una copia.

Apografo: manoscritto che è copia diretta di un determinato esemplare.

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UD 7 - Immagini di edizioni critiche

Gli esempi tratti da edizioni critiche permettono di verificare l'aspetto e le varie fasi di un testo critico.

7.1 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Elenco dei manoscritti

7.2 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Descrizione di un manoscritto

7.3 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Discussione delle varianti

7.4 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Lo stemma

7.5 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Testo critico e apparati

7.6 - Testo e apparato delle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

7.7 - Discussione critica relativa alle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

7.8 - Nota al testo della Nuova cronica di Giovanni Villani

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7.1 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Elenco dei manoscritti

Le immagini di questa e delle quattro pagine seguenti sono tratte dall’edizione critica della Commedia di Dante curata da Giorgio Petrocchi (Alighieri, La Commedia secondo l'antica vulgata). Il filologo, considerata la sterminata quantità dei manoscritti da esaminare (700 circa) e considerata l’enorme fortuna immediata dell’opera che ha subito provocato un mescolarsi di lezioni varie, ha deciso di proporre la Commedia secondo il testo dell’antica vulgata (vedi 5.1), ossia in quella forma anteriore alle edizioni critiche allestite da Boccaccio: in questo modo il numero dei codici esaminati si è ridotto sensibilmente.

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Trascrizione:

II MANOSCRITTI DELL'ANTICA VULGATA

Dei manoscritti databili all'epoca designata si darà un'essenziale descrizione esterna, con le notizie relative alla loro datazione; e si offrirà qui un primo nucleo di elementi ecdotici e di dati interni, peculiari di ciascun codice, indipendentemente da problemi di trasmissione o di raggruppamento. Le sigle usate sono le seguenti:

Ash Ashburnhamiano 828 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

Bo Frammenti dell'Archivio di Stato di Bologna

Cha 597 del Musée Condé di Chantilly

Co 88 della Biblioteca Comunale e dell'Accademia Etrusca di Cortona

Eg Egerton 943 dcl British Museum di Londra

Fi 420 della Biblioteca Oratoriana dei Girolamini di Napoli (detto cd. Filippino)

Ga Gaddiano 90 sup. 125 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

Gv 46 della Biblioteca dei marchesi VenturiGinoriLisci di Firenze

Ham Hamilton 203 della Deutsche Staatsbibliothek di Berlino

La 190 della Biblioteca Comunale Passerini Landi di Piacenza (detto cd. Landiano)

Lau 40 16 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

Laur 40 22 della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze

Lo 35 della Biblioteca del Seminario di Belluno (detto cd Lolliniano)

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7.2 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Descrizione di un manoscritto

Viene descritto un testimone manoscritto della Commedia di Dante, del quale sono forniti i principali dati paleografici e codicologici, seguiti da un rinvio alla bibliografia relativa e con alcune valutazioni testuali dell'editore critico.

Trascrizione:

Lau Firenze, Biblioteca Medicea Laurenziana, codice 40 16. Membranaceo, mm. 328 x 234, di cc. 89, ben conservavo eccetto poche carte macchiate; le iniziali dei canti e i titoli sotto in inchiostro rosso; ogni antica comincia con una grande iniziale miniata, e con una pittura grande quanto il foglio, di rozza fattura. A piè della prima: «Dane naque afirenze ad Mcclxv. Lanno dinanzi allacreatione di papa climenti quarto. Et vacava lomperio già XXI anno». Sul recto della guardia alcune annotazioni astronomiche; nella parte superiore del verso: «Questa ... E di me domenicho di carlo aldobrandi chy lachatta daluj sia chontento di rimandarla presto ...»

Vedi MONTFAUCON Bibliotheca I 321; BANDINI Catalogus v 26; BATINES Bibliografia 18; MOORE Contributions 665; MARCHESINI Danti del Cento; D'ANCONA Miniatura fiorentina II 148 s. L'indagine esterna del codice, soprattutto per l'inconfondibile grafia, rende indubitabile l'appartenenza di Lau al gruppo del Cento; l'esame interno, come poi si vedrà, conferma senza fallo

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la classifica. Non anticipo conclusioni sul comportamento di questo, come d'altri affiliati al gruppo, ma è opportuno rilevare la peculiare precisione della copia, le cui scarsissime autonomie, anche rispetto ad altre tradizioni, e sovente in uscita erronea, non. indicano che lievi trascorsi dell'amanuense: Inf. III 78 in su la; XIII 70 disdegno; XXIV 110 di censo; XXVIII 15 e l'altro; XXX 24 non pianger; Purg. I 88 dal mal fo dimora; IV 79 Che su nel mezzo; V 113 che mosse; VIII 60 l'altro; XIII 16 O luce dolce; XIV 93 del bel richiesto; XV 71 distende; XXIII 48 e travisai; XXXII 31 Gia passeggiando; Par. III 63 traffigurar ecc. Evidente è, inoltre, la coloritura linguistica fiorentina, peraltro comune a tutto il raggruppamento.

7.3 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Discussione delle varianti

L'editore critico discute alcuni errori comuni probabilmente poligenetici, presenti nei manoscritti esaminati, allo scopo di ricostruire i rapporti fra i testimoni e poi per disegnare lo stemma.

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Trascrizione:

Errori comuni ma probabilmente poligenetici

Le varianti addotte alla fine del precedente paragrafo, benché di probabile formazione autonoma, debbono essere giudicate significative, in quanto, addizionandosi agli elementi predetti, consentono di registrare una prima cernita di lezioni della Commedia di notevole seppur non determinante importanza ai fini della tradizione manoscritta; alcune di esse sono state in precedenza valutate basilari alla comprensione del testo del poema, andando a far parte dei loci critici . Ci proponiamo di abbassarle ad un grado minore, come indicative di una situazione testuale concreta e di un generico comportamento dei singoli manoscritti, sotto l'influsso delle forze devianti suesposte. L'editore non dovrà prescindere dalla disposizione di queste varianti tra i codici portatori, e sovente vi farà richiamo al fine di confermare i dati di fatto fondamentali, ma non sarà autorizzato a ricavarne elementi perentori per il rapporto tra i manoscritti. Il criterio di validità non potrà essere, ovviamente. eguale per tutte le varianti; alcune non fanno che replicare variamente gli errori tipici della trascrizione, o ne presentano curiosi accoppiamenti (e di queste si potrà tenere un conto assai limitato); altre non sono abbastanza peculiari da far ritenere improbabile che si siano formate autonomamente (e dovranno essere emarginate, sebbene con cautela); altre, infine, sembrerebbero impossibili fuori di un diretto rapporto di dipendenza tra i codici, ma sono venute a formarsi primieramente per effetto di uno degli elementi devianti indicati, onde non si può escludere in linea teorica la poligenesi (e queste lezioni saranno valorizzate [1] come meno selettive delle vere e proprie varianti, in sé equivalenti o erronee, sicuramente monogenetiche).

Nota [1]: Cfr. soprattutto Inf. X 110; XVI 34; XVI 69; XVII 95; Purg. 1 108; XIII 20; XX 146; XXI 101; XXII 51; XXVI 126; XXVII 4; XXXII 117 ecc. Ritengo opportuno non distinguere i vari tipi e offrire i casi sotto un unico registro per la diffusa presenza di più fenomeni concomitanti. Saranno naturalmente ripresi i luoghi che offrono un quesito per la costituzione del testo.

Inferno

II 14 ad immortale ed immortale (o et i.) Ash Ham Pr Rb (è il consueto equivoco di e per a, facilitato da fallace richiamo: corruttibile e immortale)

II 17 cortese i fu

cortese fu Co Laur Mart Parm Rb; corteise ei fu Mad; cortese li fu Eg Lau Po Pr (il pronome ora dilegua, ora si normalizza con effetto ipermetrico; il caso è molto diffuso; cfr. Inf. V 78; VI 87; VII 53; XVIII 18 ecc. Altrettanto diffuso li per i avverbiale; cfr. Inf. VIII 4)

II 69 l'aiuta la uita Ash Ham Mad Triv (la scrittura lauita nascerà da errata soprasegnatura di apice obliquo sulla terza anzichè sulla prima asta; cfr. iunto - vinto ecc.)

III 50 li sdegna

li disdegna (o de-) Ash Laur Pa Parm Rb (è un caso d'alternanza tra verbo semplice [apparentemente] e composto, più raro che con composti a prefisso a- o in-; cfr. scendere - discendere a Inf. XXX 65; sciolto - disciolto a Inf. XXX 108; partire - dipartire a Inf. XXX 147; Purg. IV 82 ecc.)

IV 106 Venimmo Giugnemmo Lau Lo Mart Ricc Triv Tz (è preponderante lo scambio col v. III, ove gli stessi manoscritti e Co leggono venimmo; [...]

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7.4 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Lo stemma

Nello stemma si notano in testa l'archetipo O (che però Petrocchi non intende in modo tradizionale, ma solo come un'edizione critica nata in ambito ravennate presso gli ultimi amici di Dante), i subarchetipi �,

� e i relativi rami a, b, ecc., ai quali risalgono i testimoni analizzati. Si notino le

linee continue e tratteggiate a indicare, rispettivamente, discendenza e contaminazione. Al margine sinistro è collocata una scala cronologica.

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7.5 - Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, Testo critico e apparati

La prima pagina del testo critico dell'Inferno mostra al centro il testo dantesco ricostruito, una prima fascia di apparato (in forma negativa) con le varianti dei testimoni, e una seconda fascia di apparato dedicato alla discussione critica delle scelte effettuate.

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Trascrizione:

CANTO I

[Incomincia la Comedia di Dante Alleghieri di Fiorenza, ne la quale tratta de le pene e punimenti de' vizi e de' meriti e premi de le virtù. Comincia il canto primo de la prima parte la quale si chiama Inferno, nel qual l'auttore fa proemio a tutta l'opera.]

Nel mezzo del cammin di nostra vita

mi ritrovai per una selva oscura,

ché la diritta via era smarrita. 3

Ahi quanto a dir qual era è cosa dura

I. meggio Urb; dil Mad; cammin<o> Eg, cammino Tz

2 ritroua Citi La (poi agg. —i) Si Vat; oscura Eg (rev. scura) La (idem), scura Fi Ham Laur Mad Pa Parm Rb

3. dricta La, drita Mad Rb; era Co (precede una lettera abrasa); ismarrita Co, smarita Ham La Mad Pa Rb

4. E quando Ash, E quanto Cha Co Eg Fi Ham La (hay agg. poster. in marg.) Lau Laur Lo Mad Mart Pa Parm Po Pr Rb Ricc Triv Tz Vat (quani); a dire [...]

3. ché: congiunzione causale; non modale che, 'talmente che', 'in modo che', oppure 'nella condizione di chi' (come in PAGLIARO Nuovi saggi 256; più diffusamente in Altri Saggi 197-199; poi nel commento del Chimenz). Si respinge il valore causale ritenendo che soltanto dal v. 10 il poeta spieghi la causa del suo smarrimento: e invece ché consente sùbito, in forma di compendio e di piana presentazione nell'esordio gravido d'allegorismo e di riferimenti morali (tutt'altro che banalmente, come pensa il Pagliaro), di indicare la causa del viaggio, e quindi l'evento motore dell'itinerario dantesco nei regni dell'oltretomba. Altrove peraltro (ad es. Inf. VIII 64; VIII III; XII 7, cfr. anche XXV 16) la soluzione presentata dal Pagliaro mi sembra accettabile. Variante tarda ed erronea avia smarrita: Florio, Cass., Ol. ecc. (Ricc. 1029 in che). 4. Ahi quanto: su questa lezione e la variante in app. disputarono il Del Lungo e il D'Ovidio (vedi DEL LUNGO Inferno I; in Appendice la polemica).

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7.6 - Testo e apparato delle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

In questa e nella seguente pagina sono riprodotti il testo, l'apparato e la discussione filologica relativi alle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti tratte dall’edizione critica delle Rime di Guido Cavalcanti curata da Guido Favati (Cavalcanti, Rime). L'apparato registra le varianti presenti nei manoscritti e nei relativi subarchetipi. Un interessante esercizio può essere quello di creare un apparato che presenta le varianti della seconda redazione in rapporto alla prima redazione (e viceversa).

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Trascrizione:

IV

(I)

Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, che fa tremar di claritate l'âre e mena seco Amor, sì che parlare null'omo pote, ma ciascun sospira?

Chi è questa che vèn, ch'ogn'om la mira, e fa tremar di claritate l'âre e mena seco Amor, sì che parlare om[o] non può, ma ciascun ne sospira?

O deo, che sembra quando li occhi gira dical' Amor, ch' i' nol savria contare: cotanto d'umiltà donna mi pare, ch' ogn' altra ver di lei i' la chiam' ira.

Deh, che rasembla quando li occhi gira dical' Amor, ch'i' nol porìa contare; cotanto d'umiltà donna mi pare, ch'ogn'altra veramente la chiam' ira.

Non si porìa contar la sua piagenza, ch' a le' s'inchin' ogni gentil vertute e la beltate per sua dea la mostra.

Non si porìa contar la sua piagenza, ch'a le' s'inchin' ogni gentii vertute e la beltate per sua dea la mostra.

Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose 'n noi tanta salute, che propriamente n' aviam canoscenza.

Non fu sì alta già la mente nostra e non si pose 'n noi tanta salute, che 'n pria ne poss' aver om canoscenza.

VARIANTI NOTEVOLI. 2 A, E, Va, Uba1: chiaritate. 4 E: om le pode. 6 A: saviria; E: saprei. 7 A, E: che tanto. 8 E: en ver de ley chiamo ira; Uba1: in ver di lei la. 11 A: belta; E: beltate.

VARIANTI NOTEVOLI. 2 Lf: che fa. ibi: Lf, �: di clarità l'aer(e) tremare. 4 Lf: huom nonne puo; �: huom non le puo. 5 �: do (Pa: deh) che. 8 �: altro. 14 Ca: prima; Lf: che pria.

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7.7 - Discussione critica relativa alle due redazioni di un sonetto di Guido Cavalcanti

Nella pagina 139 con Lectiones singulares si indicano le lezioni caratteristiche di un singolo codice, che non hanno rilevanza perché isolate innovazioni di quel testimone.

Trascrizione:

DISCUSSIONE CRITICA. Codici; A, BR, BT, CA, CB, GAP2, E, LA, LR, LC, LF, MA, M'A, M'B, PA, PAR1 UBA1, UBD, VA.- GIUNT.

I codici si distribuiscono in due gruppi violentemente contrapposti: da un lato stanno Ca, �, Lf; dall'altro, A, E, Uba1, Va.

Del testo di Ca, �, Lf è assolutamente necessario emendare 13 vertute, che è erronea ripetizione, in rima, del vertute del v. 10; inoltre, è opportuno emendare 11 suo dio nel più logico sua dea della tradizione opposta.

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In questa, il cui più puro rappresentante appare Va con Uba1, parrebbe poi che si dovesse sostituire alla sua lezione 5 o deo (che può peraltro giudicarsi anche come effetto di un permanente gusto sicilianeggiante del Nostro, in questa ch'è una delle sue prime composizioni; ma in tutti gli altri testi scrive de(h), come qui fanno Ca e affini) che sembra (che pare facilior) con quella di Ca e affini. Non si può peraltro parlare di vero e proprio errore, perché si tratta in sostanza di lezione indifferente; c'è pertanto ragione di perplessità e ambiguità nella scelta; e questa ambiguità si accresce se alle lezioni notate si aggiungono le altre numerose varianti redazionali nelle quali le due tradizioni si contrappongono. Se chiamiamo X la tradizione di Ca e affini e K l'altra, si ricava infatti lo specchio seguente:

X K

2 e fa che fa

4 om (�, Lf: huom) non (�: non le; Lf: non ne) può ma ciascun ne

null'omo pote (E: om le pode) ma ciascun

6 poria savria (A: saviria; E: saprei)

8 veramente la ver (E: en ver; Uba1: in ver) di lei (E: de ley) i la (Uba1: - la; E: manca)

14 che 'n pria (Ca: prima; Lf: che pria) ne poss'auer om

che propriamente n'aviam

Le varianti dei due gruppi sono indifferenti. Siamo in presenza di varianti d'autore? Supponiamo di sì, e che il testo di K rappresenti la prima redazione del sonetto. Su ciò abbiamo di recente espresso il nostro parere recensendo il citato lavoro del De Robertis sul canzoniere escurialense in: «Filologia Romanza», Torino, 1955, anno II, n. 5, pp.100-106. Non è dunque che da pubblicare il testo secondo ambedue le redazioni, accogliendo nella prima anche la variante del v. 5.

Ed ecco ora la illustrazione delle lezioni dei due gruppi. L'antigrafo di X era lacunoso nel v. 4 (Ca: om non puo). Tale lacuna passò anche nell'antigrafo che fu comune a Lf e �, i quali la colmarono però ciascuno a suo modo (Lf: huom nonne pio; �: huom non le puo). Quell'antigrafo leggeva poi:

2 di clarità l'aer (Lf: l'aere) tremare. (Grafiche: 1 vien. 5 rassembra. 6 porria. 9 porria... piacenza. 14 huom [Lf: huon] conoscenza).

Le varianti peculiari di �, di cui pertanto Lf è immune, sono poi le seguenti:

5 do (Pa: deh) che. 8 altro... chiama.

Quanto a Lf, si noti qui che legge 2 che fa contro Ca, �: e fa.Non ha varianti proprie Ar; si uniscono nella grafia 13 puose La e Lb.

Dei codici del gruppo opposto, Uba1 e Va mostrano di avere la grafia 2 chiaritate in comune con A ed E, i quali poi si uniscono nella variante 7 che tanto e nella grafia 8 chiamo. Non va inoltre taciuto che A legge 11 belta come E, se è vero che E reca due puntolini espuntivi sotto le due ultime lettere del suo beltate.

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LECTIONES SINGULARES.

A: 1 costei che vien. 12 vostra. (Grafiche: 2 chiaritade l'aiere. 4 puote ma ziascon. 5 dio... gliochi. 6 saviria. 8 chonaltra.

13 posse in noy. 14 conos�za).

BT: 4 huomo non puo. . . ne sospira. 5 Dhe che rass�bra. 6 por ria. 8 ch'ognaltra veramete la chiama ira. 13 si pose. 14 che pria ne possa haver huom' canoscenza.

CA: 4 om. 14 prima. (Grafica: 3 secho).

E: 6 che nol saprey. 8 che ciaschun altra. 10 sen chiena. 13 no se posta. (Grafiche: 1 chi he. 3 siecho. 5 giogi. 8 chiamo. 9 piax�ca. 11 soa. 12 fo. 14 propia mente naviam chanox�ça).

LB: 14 havere ogni conoscenza. (Grafiche: 6 non lo. 9 contare. 10 gentile).

LC: (Grafiche: 1 ogni huom. 8, 10 che).

LF: 1 ogniun. 6 non porria. 11 suo iddio lo mostra. 14 che pria. (Grafiche: 8 chiamo. 9 contare).

PAR1: (Grafiche: 3 siche parlar. io virtute).

UBA1: (Grafiche: 1 ogni huom. 4 huomo. 7 humiltà. 8 io. 10 lei... virtute. 11 beltade. 14 haviam).

VA: (Grafica: 2 aire).

Non hanno varianti apprezzabili i codici qui non elencati.

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7. 8 - Nota al testo della Nuova cronica di Giovanni Villani

L’ultima immagine presenta una pagina della Nota al testo relativa all’edizione critica della Nuova cronica di Giovanni Villani (1280 circa-1348) preparata da Giuseppe Porta (Villani, Nuova cronica): si vedono le indicazioni dei codici relative alle due redazioni del testo, lo stemma della seconda redazione e un elenco di varianti relative a un singolo codice.

Trascrizione:

[...]

Redazione definitiva (�)

Prima parte (libri I-XI)

R4 = Ricc. 1532 N6 = Bibl. Naz. Centr. di Firenze, II.I.253 N8 = Bibl. Naz. Centr. di Firenze, II.I.260 (I-IX LVIII ) C2 = Cors. 44 G.4

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Seconda parte (libri XII LII-XIII)

N30 = Bibl. Naz. Centr. di Firenze, Pal. 1081 P = Bibl. Apost. Vat. Pal. lat. 939 C2 = Cors. 44 G.4 (XII) L4 = Laur. LXII4 L9 = Laur. Ashb. 511 N5 = Bibl. Naz. Centr. di Firenze, II.I.251

Prima redazione (�)

Prima parte (libri I-XI)

R5 = Ricc. 1533 L5 = Laur. LXII5 V2 = Marc. It. Z.34 (I-VIII XXXI ) Ch5 = Bibl. Apost. Vat., Chig. L.VIII.298 A = Ambr. C.174 inf. L2 = BLaur. LXII2 N26 = Bibl. Naz. Centr. di Firenze, N. A. 286

Seconda parte (libri XII-XIII)

R5 = Ricc. 1533

R6 (Ricc. 1534), descriptus di R4, sostituisce il suo antigrafo per la parte resa mutila dalla caduta di una carta: da XI CCXXV 19 dentro a CCXXVII 36 d'esercizio. A partire da IX XXXVI N8 si mostra scarsamente utilizzabile per un'accentuata predilezione al rimaneggiamento.

Le tavole di varianti che seguono, con i loro raggruppamenti, dimostrano che i rapporti fra i quattro manoscritti fondamentali della redazione definitiva si delineano secondo questo stemma codicum:

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I 118 schifando (schifino) 26 grazia (di grazia) 27 di ritrovare (ritrovare) III 18 e giorgia (Giorgia) v 18 e ravenna (Ravenna) VI 5-6 figliuolo primo (figliuolo dì Gomer che fu figliuolo primo) 22 che (e) VII 17 tanto (tutto) 32 più sani (più sani e purificati) XII 12 lamedon (Laumedon) 27 ten-(ne) (tennela) XIII 31 vocata citerea interpolato forse dalla stessa mano dopo isola XVIII 34 è chiamata (si chiama) XIX 2-3 il chappelluto (il cappelluto suo figliuolo) 10 ren(n)io (Reno) XXI 14 dortigia per riempire la lacuna 21 albola (Alba) XXIII 23 rimasono (rimase) 57 fa menzione (ne fa menzione) XXIV 2 la moglie (moglie) 26 farà (faremo) 47 il tito livio (Tito Livio) XXV 19 an(n)i viiii (VIIII anni) 33 giartham (Gioatham N8, gioathan C2, gioatthan N6) 42 interpolato dopo Marri, [...]

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Bibliografia

Fonti

Franca Brambilla Ageno, L’edizione critica dei testi volgari, Padova, Antenore, 1975.

Dante Alighieri, La Commedia secondo l’antica vulgata, a cura di G. Petrocchi, 4 volumi, Milano, Mondadori, 1966-1967.

d’Arco Silvio Avalle, Principî di critica testuale, Padova, Antenore, 1978.

Guido Cavalcanti, Rime, a cura di G. Favati, Milano-Napoli, Ricciardi, 1957.

Gianfranco Contini, Esercizî di lettura, Torino, Einaudi, 1974.

Giorgio Inglese, Come si legge un’edizione critica. Elementi di filologia italiana, Firenze, Carocci, 1999.

Cesare Segre, La tradizione della "Chanson de Roland", Milano-Napoli, Ricciardi, 1974, p. 195.

Alfredo Stussi, Introduzione agli studi di filologia italiana, Bologna, il Mulino, 1994.

Giovanni Villani, Nuova cronica, a cura di G. Porta, 3 volumi, Parma, Fondazione Pietro Bembo-Guanda, 1990-91.

Bibliografia

Violetta de Angelis e Gian Carlo Alessio (2000), "Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi" (Inf, 1,70), in Studi vari di lingua e letteratura italiana in onore di Giuseppe Velli, Milano, Cisalpino, pp. 127-45.

Claudia Villa (1998), Per una lettura della "Primavera". Mercurio "retrogrado" e la Retorica nella bottega di Botticelli, "Autografo", 13, 1, pp. 1-28.

Letture consigliate

Gianfranco Contini (1990), Filologia, in Gianfranco Contini, Breviario di ecdotica, Torino, Einaudi, pp. 3-66.

Storia della letteratura italiana. 10. La tradizione dei testi (2001), Roma, Salerno editrice.