ungheria, viaggio tra le contraddizioni

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L’ingresso in Ungheria è sterminata campagna. Campi di girasoli, orzo e avena sono l’unico orizzonte. Pochi villaggi con sorpresi abitanti i cui nessuno parla inglese. L’ungherese non appartiene al gruppo delle lingue slave ma a quelle ugro-finniche, è parente dunque del finlandese e del lettone. In genere l’ingresso in Ungheria avviene tramite autostrada, attraverso l’Austria. Da quella via fuggirono ungheresi, cechi e polacchi quando il 19 agosto 1989, pochi mesi prima della caduta del Muro, gli oppositori del regime organizzarono un “Picnic Paneuropeo“ al confine tra Austria e Ungheria nei pressi di Sopron. In quella giornata circa 1000 cittadini della DDR riuscirono a fuggire verso la libertà. Il picnic creò una falla nella cortina di ferro.

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Page 1: Ungheria, viaggio tra le contraddizioni

L’ingresso in Ungheria è sterminata campagna. Campi di girasoli, orzo e avena sono l’unico orizzonte. Pochi villaggi con sorpresi abitanti i cui nessuno parla inglese. L’ungherese non appartiene al gruppo delle lingue slave ma a quelle ugro-finniche, è parente dunque del finlandese e del lettone. In genere l’ingresso in Ungheria avviene tramite autostrada, attraverso l’Austria. Da quella via fuggirono ungheresi, cechi e polacchi quando il 19 agosto 1989, pochi mesi prima della caduta del Muro, gli oppositori del regime organizzarono un “Picnic Paneuropeo“ al confine tra Austria e Ungheria nei pressi di Sopron. In quella giornata circa 1000 cittadini della DDR riuscirono a fuggire verso la libertà. Il picnic creò una falla nella cortina di ferro.

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Si apriva così la prima breccia nella cortina di ferro. Il Ministro degli esteri viennese e quello ungherese attraversarono insieme confine vicino alla cittadina di Sopron, in Ungheria. Era il 27 giugno 1989. Iniziò immediatamente l'esodo dall'est verso il più ricco occidente. Un esodo irrefrenabile: una fila di Trabant, la mitica vettura made in SSSR, simbolo del socialismo reale, si diresse verso il confine. Si trattava di auto a basso costo, con la carrozzeria interamente realizzata in materiali plastici: veniva infatti utilizzato il Duroplast, un materiale contenente resina che veniva rinforzata con lana o cotone.

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Oggi l’Ungheria resta un Paese prevalentemente agricolo, con un’economia depressa. Le campagne testimoniano bene questa situazione, qui il tempo sembra non essere passato. L’agricoltura non si è meccanizzata a sufficienza, paradosso -questo- della dittatura socialista. L’adesione all’Unione Europea del 2004 ha immesso nel Paese una notevole quantità di fondi per lo sviluppo agricolo. Tuttavia resistono ampie sacche di povertà e arretratezza.

I terreni coltivabili e le colture permanenti coprono il 53,6% del territorio ungherese; una percentuale elevata rispetto ad altri paesi della regione. Nel 2006 l’agricoltura forniva il 4,2% del PIL e occupava il 5% della forza lavoro. Tipica è la coltivazione della paprica e la produzione di vini rinomati a livello internazionale come il tokaj.

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L’Ungheria, come altri Paesi dell’Europa orientale, è attraversato da tensioni etniche. In queste giovani democrazie, per decenni sottomesse all’Unione Sovietica, il nazionalismo vive una seconda giovinezza. Se nella “vecchia” Europa i miti nazionali sono per lo più relitti ideologici, buoni solo per il populismo, nella “nuova” Europa diventano necessario elemento di ricostruzione dell’identità. Effetto collaterale è però la xenofobia. L’Unione Europea ha recentemente denunciato persecuzioni nei confronti delle minoranze presenti sul territorio magiaro.

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Nel 2007 un rapporto dell'Ecri, l'organismo del Consiglio d'Europa incaricato di monitorare come gli Stati membri combattono razzismo e intolleranza segnalata come particolarmente preoccupante la nascita di un gruppo radicale di destra: la Guardia Ungherese. Ad allarmare non è solo la linea apertamente anti Rom e antisemita sostenuta, ma anche il fatto che i membri del gruppo indossano uniformi in stile paramilitare e mostrano insegne che richiamano fortemente quelle usate da un partito di destra che governò l'Ungheria durante la Seconda Guerra Mondiale e che si macchiò dell'uccisione di decine di migliaia di ebrei e Rom.

Particolarmente tesi sono i rapporti con la Slovacchia dove vive mezzo milione di ungheresi (il 10% circa della popolazione totale) che per mille  anni, fino al 1918, ha fatto parte dello Stato ungherese. Accanto al mito della “grande Ungheria” che alimenta sogni di espansione nazionale, c’è la reazione non meno radicale del Partito nazionale slovacco  (Sns), una formazione estremista capeggiata dal leader nazionalista Jan  Slota, che e' entrata a far parte della coalizione governativa del premier  Fico. Slota e' noto per i suoi attacchi agli ungheresi.

In Ungheria il 2,02% In Ungheria il 2,02% della popolazione è Rom. della popolazione è Rom. I tedeschi sono invece I tedeschi sono invece 1,18%. Gli slovacchi 1,18%. Gli slovacchi sono appena lo 0,38%sono appena lo 0,38%

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Alle ultime elezioni europee il partito di estrema destra ungherese Jobbik ha ottenuto ben il 15% dei voti. Nato nel 2004 è attualmente guidato da Gabor Vona e Krisztina Morvai. Il programma prevede nazionalizzazione delle industrie strategiche, salari sociali, aiuti alle famiglie, pena di morte,tasse più eque, più autonomia per le minoranze ungheresi all’estero e ovviamente la risoluzione del problema Rom.

Come si spiega un tale successo? Il 9% della popolazione ungherese è disoccupata, oltre quattrocentomila persone. Mentre più di seicentomila persone non riescono ad pagare il loro mutuo e molte sono le famiglie in difficoltà.

Il Fiorino è estremamente svalutato rispetto all'euro e questo favorisce l'ingresso di capitali stranieri nella nazione magiara, ciò da un lato aiuta le disastrate finanze magiare, ma dall'altro fa dell’Ungheria una colonia delle multinazionali, tedesche soprattutto. Telefonia, energia, industria pesante, sono estere. Ciò rende poco tutelati i lavoratori magiari e alimenta il nazionalismo. Il mito della “grande Ungheria”, ovvero del ritorno ai confini precedenti al 1918, non è solo uno slogan. Nel Paese non mancano le vestigia della dominazione turca, ma è lontano il tempo del multiculturalismo.

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La società ungherese è attraversata da tensioni economiche e sociali, il rimontare del nazionalismo in misura proporzionale al procedere dei processi di integrazione e di adesione a politiche sovranazionali, è senz'altro motivo di riflessione e non coinvolge la sola Ungheria ma sembra diffondersi anche nell'Europa occidentale. Infine, e ne parleremo altrove, in questo quadro va considerata l'adesione dell'Ungheria alla partnership South Stream, gasdotto russo destinato ad arrivare fino in Italia, che farebbe della Slovacchia -esclusa dal progetto-un'area di mercato ideale per lo stato magiaro.

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La Russia ha deciso di creare rotte alternative per quanto riguarda l’approvvigionamento di gas all’Europa, alternative alle attuali che attraversano stati “nemici” come Bielorussia e Ucraina. Per farlo si attiene a due fondamentali principi: anzitutto le rotte devono concludersi nei porti russi oppure, aggirando gli intermediari ritenuti inaffidabili, garantire lo sbocco ai paesi solvibili. Se ciò è impossibile le condotte devono attraversare paesi tradizionalmente amici della Russia, quali ad esempio la Serbia, la Bulgaria, la Grecia evitando gli stati baltici e l’ostile Polonia. In questo senso va intesa la costruzione del South Stream (gasdotto) e dell’oleodotto Burgas-Alexandroupolis dopo un accordo nel 2007 con Grecia e Bulgaria. L’Ungheria si troverebbe quindi in orbita energetica russa e ciò alimenta sentimenti contrastanti. Da un lato c’è chi richiama il vecchio dominio sovietico, dall’altro ci sono gli euro-scettici. In mezzo, l’Ungheria, non sa dove andare.

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Quale futuro per l’Ungheria? Il piccolo stato magiaro è attraversato da grandi problemi. E al momento la classe politica non sembra in grado di affrontarli. Il populismo e il nazionalismo dominano la comunicazione politica, mentre la crisi economica favorisce un processo di involuzione culturale.

L’Ungheria resta però un Paese che per la sua storia, per il suo portato culturale, non può essere relegato a membro di secondo livello all’interno dell’Unione. E deve essere impegno della politica comunitaria indirizzare verso una linea di sviluppo e coesione sociale i suoi membri in difficoltà. Anche se Bruxelles resta immobile e nulla si muove sul fronte occidentale.

Foto e servizio di Matteo Zola