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we can be heroes s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

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“Noi possiamo essere eroi!” ottima apertura per questo numero di Spagine che in copertina annuncia un laboratorio di fotografia rivolto agli adolescenti a cura di Alessia Rollo per il Laboratorio Fragile del Progetto GAP. Poi, un “ritratto” del toscano che governa e dei mal di pancia tutt’intorno… Un post tratto da Fb di Alessandro De Matteis ben racconta cosa accade nel Consiglio della Regione Puglia. Marcello Buttazzo affronta il tema della donna al cospetto della scelta dolorosa dell’aborto e Antonietta Lerario presenta il libro di Irene Strazzeri sull’agonia dell’ordine simbolico del patriarcato. Gianni Ferraris con una moka racconta i “Pensieri di prima mattina”. La radio per l’Abecedario di Costantini e Marzioni. La lettera di Massimo Grecuccio è per il poeta Elio Coriano. Paolo Vincenti tratta il tema “fisco e divi” e del “chi predica bene e razzola male”. Per le letture Alessandro Vincenti e Sebastiano Leotta ci aiutano a leggere la nostra contemporaneità con due proposte per c

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we can be heroes

spa gin e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un om

aggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

della domenica n°66 - 1 m

arzo 2015 - anno 3 n.0

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spagine

di Gigi Montonato

M atteo Renzi è un to-scano. Bella scoperta,può dire qualcuno.D’accordo, non è unascoperta, ma con-sente di precisare al-

cuni suoi tratti. Chi conosce le vicendefiorentine, dai tempi di Dante a quelli diPapini, trova che in fondo Renzi non èun irriverente, un arrogante, un presun-tuoso, un attaccabrighe, qualche voltaperfino a vuoto, ma semplicemente untoscano. Recentemente ha rovesciatosu Gasparri una tanto pesante quantogratuita e stupida offesa dicendo “si puòavere una riforma Rai che ha il nome diGasparri?”. Giusta la replica del Sena-tore di Forza Italia: “Renzi è un imbe-cille!”. Gliene ha dette altre, malasciamo stare. Nel Pd non è sopportato, a parte i suoivalvassori e valvassini e tutte quellebelle oche che gli starnazzano intorno,che fanno fremere perfino il cavallo diMarc’Aurelio. I veri politici – non è soloquestione di sesso e di età! – gli vo-gliono rompere il lato B. E fanno bene.Si sbrighino, prima che il moccioso cre-sca. Non è vero che il successo delpaese coincide col successo di Renzi,come si vuol far credere, e che lui ne ègaranzia. Per un Renzi che cade, c’èsempre qualcun altro che si alza o sirialza. L’insostituibilità del capo è abba-glio populista, molto ben sfruttato da chine ha interesse.Quello di considerarsi insostituibile,come pensa Renzi, è vizio antico. Il suoconcittadino Dante, ai tempi del suopriorato, si trovò a gestire la crisi dellaminaccia di Bonifacio VIII di far interve-nire a Firenze Carlo di Valois per met-tere fine agli scannamenti tra Bianchi eNeri. Occorreva andare a Roma a dis-suadere il papa dal chiamare il fran-cese. Chi meglio di me può andare aconvincerlo? – diceva Dante – ma se iovado a Roma chi meglio di me può re-stare a Firenze a garantire l’ordine? In-somma, se Renzi giocasse nellaFiorentina vorrebbe fare almeno il cen-

trattacco e il portiere, scontato che nonci sarebbe bisogno di Montella! Nel Pd c’è un bel gruppo di persone,che hanno una compostezza di pen-siero e di modi che sono davvero garan-zia per il futuro più prossimo, aprescindere se si sia politicamente eideologicamente della loro parte. Renziha posto un problema antropologicoprima ancora che politico. Di recente l’area del dissenso a Renzi siè ampliata. Laura Boldrini, Presidentedella Camera, non è del Pd, viene daSel; ma insomma se non è zuppa è panbagnato. Un paio di sue sortite ha fattogridare Renzi & compagni all’indebita in-terferenza in questioni che non la riguar-dano sotto il profilo istituzionale. LaBoldrini prima ha detto che in una de-mocrazia i corpi intermedi vanno rispet-tati, vincolanti o meno, ma proprioperché non vincolanti, a proposito delJobs Act. Poi, a proposito di un venti-lato/minacciato ricorso al decreto leggeper la riforma Rai, ha detto che non cisono i motivi d’urgenza per ricorrere aquesto abusato istituto legislativo. Apriticielo, lo strepito che hanno fatto le ochedi Renzi ha superato quello fatto per mi-glior causa dalle ben più note oche delCampidoglio.E quando anche il capogruppo Pd allaCamera Roberto Speranza si è dettod’accordo con le osservazioni della Bol-drini, Renzi gli ha ricordato che il ruolodel capogruppo è di rappresentare tuttie non una parte; altrimenti via. Non hadetto via, ma quello era il significato.Ovviamente, finché Speranza difende laposizione di Renzi difende tutti, quandopoco poco difende una posizione di-versa, non rappresenta più tutti. La so-lita idea del tutto e delle parti che hannoRenzi e i renziani. Venerdì, 27 febbraio,gran parte della minoranza Pd, da Ber-sani a Civati, ha disertato l’assembleadei parlamentari Pd per discutere sullariforma costituzionale. Sono segnali, questi, di non poco signi-ficato se si considera il mortorio politicodel paese. Lui continua a dire imperter-

rito che andrà avanti, che non si lasceràfermare dai gufi e da quelli che non vo-gliono le riforme. Anche qui le uniche ri-forme concepite da Renzi sono le sue;quelle degli altri non sono riforme, sonoresistenze reazionarie.

Quel che non ha capito Renzi – errorefatale di tutti i tipi come lui – è che avoler dar credito ad un altro suo concit-tadino, Machiavelli, il suo attuale suc-cesso è frutto fifty-fifty di virtù e fortuna.La fortuna di Renzi è il combinato dellacrisi politica ed economica nazionale edella crisi economica internazionale,che ha creato un vuoto politico in Italiae favorito la sua ascesa. Probabilmentenon durerà un minuto di più quando lecondizioni di crisi, cui si è fatto cenno,lasceranno il posto al formarsi di una ri-presa politica seria e al crearsi di nuoveleadership. Allora le sue faccette e lesue smargiassate, che tanto marionetti-smo fanno, non gli basteranno neppurea ispirare il buon Crozza.Lui pensa di essere un uomo eccezio-nale, che tutto quello che ha conseguitoè frutto del suo talento, della sua intelli-genza, della sua chiaroveggenza e lun-gimiranza; della sua predestinazione. Intanto è marcato stretto. Sul lanciodell’opa da parte di Mediaset per com-prare i ripetitori della Rai, si sono levatele proteste di chi ormai non perde divista né Berlusconi né Renzi e sa chedove si vede l’uno nei paraggi, magarinascosto, c’è pure l’altro. Hanno pen-sato: vuoi vedere che quei due hanno ilsottofondo al “Patto del Nazareno” pernascondere altre cose? Vero o nonvero, ha poca importanza. In politica lapsicosi è un fatto.Renzi va esaurendo la credibilità dell’-homo novus, del rottamatore; e vieneormai guardato con diffidenza. Per oranon conviene a nessuno forzare i tempi.I suoi avversari si accontentano di pren-dergli le misure; per le scarpe c’ètempo.

Semplicemente toscano

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della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

Nel Pd vogliono fare le scarpe a Renzi

diario politico

R icapitoliamo. I consiglieri regio-nali, con in testa quelli del miopartito (ultime propaggini dei mi-tici funzionari di partito) conpoche eccezioni, hanno nell'or-

dine fatto finta di eliminare i vitalizi salvo poifarseli versare nel contributivo, affossato con

il voto segreto la parità di genere nella leggeelettorale e impedito ai sindaci, potenzialiconcorrenti, di candidarsi a consiglieri regio-nali salvo dimettersi prima. Caro Renzi altroche rottamazione serve il napalm.

Alessandro De Matteisda facebook

accade in puglia

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L’aborto è sempre undramma, una lacerazioneche la donna vive sulla suapelle. A partire dagli anni Set-tanta, il dibattito su una fon-damentale tematica

eticamente sensibile continua senza sosta.Anche laicamente, è molto difficile classifi-care l’aborto. Molti ritengono che essodebba essere definito come un diritto delladonna.La filosofa Claudia Mancina scrive: “Anchese l’aborto è vecchio come la societàumana, come regolarlo è una questionenuova, e come tale va trattata.È diventata una questione di cittadinanza”.Noi cittadini ci poniamo interrogativi deltipo: può avere valore “un diritto a non esi-stere”?; la vita umana può divenire dispo-nibile?; oppure essa è sempre sacra einviolabile e non può in alcun modo essereviolata? Molti cattolici, ad esempio, noncondividono “l’aborto terapeutico”, perché“in queste pratiche abortive di terapia nonsi vede l’ombra; uccidere una vita, ancor-ché malata, non è certo un modo per gua-rirla, ma semplicemente persbarazzarsene”.Da un punto di vista più utilitaristico, però,potremmo dire che embrioni, zigoti, fetigravemente o irreversibilmente malati, seavessero la possibilità di decidere, forsetalvolta preferirebbero non nascere. Comenon tenere conto delle possibili controver-sie, delle dispute giuridiche: secondo al-cuni, addirittura, i genitori, che fannonascere un figlio irreversibilmente malato,potrebbero essere sanzionati penalmente.È senz’altro scorretto, ingiusto asserire tut-tavia che la “vita imperfetta” non debba es-sere degna di attenzione, di calore, diamorevoli cure.La questione aborto è travagliosa: solo ladonna può essere risolutiva, può superarel’impasse con il suo buon cuore. Apparedecisamente intransigente la posizione dialcuni bioeticisti cattolici (come FrancescoD’Agostino), che s’appellano alla respon-sabilità e alla forza morale femminile al finedi “non offrire false giustificazioni al cosid-detto aborto terapeutico e di accettare lanascita (tragica, ma giusta) di soggetti por-tatori di handicap”.La vita è un evento dolcissimo e tremendo:essa non può essere mai misurata se-condo un preciso e stereotipato metro mo-rale. La donna dà la vita, la presceglie:forse noi tutti dovremmo accettare la sualibera volontà, mettendo da parte certe no-stre concezioni rigide e apodittiche, chesanno solo rinchiudere il vivente in una ste-rile campana di vetro. Certo, l’aborto èsempre un dramma. Sono auspicabilicampagne culturali e politiche per tentare

di combatterlo o quantomeno di conte-nerlo? Sono benaccette le battaglie di sen-sibilizzazione, di aiuto concreto, acondizione però che esse non abbiano ilvolto aspro e tagliente dell’ideologia. Do-vremmo, forse, incamminarci su un terrenodi saldi principi, uscire fuori dalle nette con-trapposizioni, da quella improduttiva dialet-tica bipolare che ci porta a ragionare percategorie.La donna, al cospetto d’una scelta doloro-sissima, non è né cattolica, né laica: è unacittadina, che esige rispetto per la sua au-tonomia morale. Da un punto di vista laico,difficilmente condivisibile è certa culturacattolica, che intravede il diavolo perfinonella contraccezione e nelle pillole abor-tive.C’è chi, fra i bioeticisti cattolici, sostiene checon il possibile uso della Ru 486 si bana-lizzi un dramma, perché l’aborto viene difatto “ridotto a un atto medico”; inoltre c’èchi dice troppo severamente che “la Ru486 serve a mascherare culturalmentel’aborto, nascondendolo dentro una sca-tola di pillole”. Però avvilire il senso di re-sponsabilità femminile, non vuol direfavorire una piena crescita civile e sociale.La donna, che affronta un day hospital oun ricovero ordinario, agisce sempre co-scientemente. Le condizioni per “arginare”le interruzioni di gravidanza devono esserelaicamente create dalla politica con labuona amministrazione: incrementando lepossibilità di sviluppo, le effettive pari op-portunità, facendo costruire nuove scuolee asili.L’approccio culturale comporta sempreun’apertura alla diversità, un adattamentoalle libertà. Dopo qualche anno dalla liberacircolazione della Ru 486 e dell’aborto chi-

Contemporanea

di Marcello Buttazzo

mico, anche in Italia, l’inossidabile e tra-sversale “partito della vita” continua ancoraoggi ad osteggiare anacronisticamente lasomministrazione d’una pillola. Che viene commercializzata, nel mondo,da più di venticinque anni, introdotta dal-l’Organizzazione Mondiale della Sanitànella lista dei farmaci essenziali.Eppure anche nell’ibrido governo Renzi,c’è chi (ricordiamo soprattutto Giovanardi,Roccella, Sacconi) è paladino integerrimodella conservazione, opponendosi strenua-mente anche all’aborto farmacologico. Macon la chiusura non si edificano ponti di dia-logo e di conoscenza. In Italia, abbiamoun’ottima legge sull’interruzione volontariadi gravidanza, modello di efficienza in tuttaEuropa. Anche i detrattori della legge 194,dovrebbero poter leggere con occhi chiarii dati che puntualmente il ministero di Giu-stizia ha fornito negli ultimi anni. Dalle rela-zioni emerge che gli aborti, soprattutto frale minorenni, sono in diminuzione. Purtut-tavia, la clandestinità in parte esiste ancorafra la popolazione migrante. Le interruzionidi gravidanza fra le straniere si potrebberoridurre ulteriormente cominciando a prati-care una corretta informazione. In gene-rale, invogliare tutta la gioventù a ricorrerea una disciplinata contraccezione non do-vrebbe essere neppure un “problema”etico, ma semplicemente l’affermazioned’un metodo pratico. Pare che motivazionipsicologiche e socio-economiche spinganole minorenni ad abortire. Le varie agenziee istituzioni su questi fattori possono inqualche modo intervenire. Ma ci chie-diamo: in un evento tragico e dirimente, lalibertà di scelta d’una adolescente può tal-volta avere il suo peso sostanziale, deter-minante?

La sceltadi scegliere

Robert Mapplethorpe-Orchids

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spagine della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0in agenda

Sono passati molti anni da quando uno dei fogli piùimportanti per il femminismo italiano, il Sottosoprarosso, scrisse con il titolo “È accaduto non per caso”che il patriarcato era morto perché non aveva piùcredito, né funzione ordinatrice. Da allora quasi tuttigli uomini hanno continuato come se nessuno

avesse parlato e noi donne ci siamo divise fra quelle che sostene-vano che il patriarcato era ancora vivo e quelle che ne ribadivanola morte, facendo vedere quanto di nuovo c’era sotto il cielo. È forsenecessario riconsiderare che “nulla finisce d’un colpo”, come faquesto libro e come sintetizza Elettra Deiana nell’introduzione.Irene Strazzeri giustamente parla di un’intera fase, il post-patriar-cato, in cui ci sono contemporaneamente sintomi dell’agonia pa-triarcale, passaggi ad altro, discontinuità e sfide da vincere.Tanto più importante è scrivere un libro del genere per l’Università.Nelle università, nella scuola, con gli e le studenti ancora c’è timi-dezza nell’usare la categoria del patriarcato con grave danno perla loro formazione. E come potrebbe essere altrimenti visto cheanche nel dibattito politico è un discorso a rischio, per non dire, poi,nell’informazione?A maggior ragione è apprezzabile introdurre nei saperi specialisticila categoria del patriarcato, perché proprio in quei saperi c’è uncontinuo esercizio di potere che tenta di asservirli e di conformarlinel linguaggio, separandoli dalle domande che invece sono vivenella realtà.Osare di pensare e nominare le cose con voce femminile nei saperispecialistici, assumendosene la responsabilità, senza la tranquillitàche dà il muoversi sui binari riconosciuti dall’accademia richiedegià fiducia nella propria autorità: è già aprire un conflitto fra poteree autorità. E chi dà questa autorità? tutti sanno che non è possibilescrivere senza aver in mente un interlocutore o interlocutrice a cuici si rivolge, delle figure da cui ci si sente autorizzati. Se si guardaalle donne, se si scrive per loro, si restituisce loro autorità e se nericeve in cambio. Questa é la più evidente dimostrazione di comel’autorità di cui parlano le donne, l’autorità femminile, sia un pro-cesso circolare e sia una pratica prima ancora che un paradigma.Ma attenzione l’autorità femminile non è una questione di sguardirassicuranti fra donne. Irene Strazzeri sa bene che l’autorizzazioneche cerchiamo si gioca sul piano simbolico: sulla capacità di darediverso senso e diverso peso ai vari aspetti della realtà, di trovarecollegamenti inediti, di lasciar cadere lacci che ci vincolano alla ri-petizione dell’esistente.E il libro si cimenta in questa lettura del presente modificata dallosguardo femminile. Così facendo si colloca nella grande sfida cheil femminismo ha aperto fin dagli anni ’70 del 900 per far vivere al-l’interno dei saperi altri punti di vista, rispetto a quello neutro domi-nante, e un’altra lingua che, per dirla con Simone Weil, “accolga il

grido della realtà per essere letta diversamente”. Penso a tutto illavoro fatto, in questi anni, sul corpus letterario e artistico, sullascienza, sulla teologia, sulla storia, sulla politica, sull’economia. Osulla sociologia, come fa questo libro. Con questo lavoro di ricercaa tutto tondo le donne si sono tolte dal posto in cui il patriarcato vo-leva relegarle, l’ambito della sessualità e della maternità, mostrandoche potevano ripensare tutto a partire dal proprio sesso. Un altrogrande atto di libertà e autorità insieme: intreccio fecondo e ine-dito!Fa bene quindi Irene Strazzeri a concludere il libro indicando l’au-torità femminile come una strada maestra per “rimettere al mondoil mondo”.Alcuni passaggi tuttavia del libro mi hanno suscitato perplessità eio voglio nominarne due. Lei trova parole molto attente ed efficaciper indicare il cambiamento avvenuto ormai nella società “dal rico-noscimento al solo lavoro produttivo alla visibilità della cura”. E perquesto dobbiamo dire grazie anche al lavoro politico fatto dalgruppo di femministe del mercoledì di Roma. Ma Strazzeri sotto-valuta la proposta del Sottosopra “Immagina che il lavoro” che tentadi raccogliere questa nuova sensibilità indirizzandola verso la ne-cessità di modificare l’intera organizzazione sociale e sessuale dellavoro che io, anche come madre, trovo urgente ed essenziale. Im-magino infatti quanto deve patire mio figlio, padre di un bimbo diquasi tre anni e di due gemelli di otto mesi ogni volta che è costrettoa chiedere permessi familiari. Il lavoro deve ormai essere pensato,mettendo in conto la cura della vita per uomini e donne.È chiaro che se si perdono questi passaggi aperti nella contratta-zione sociale, ci si trova a dar credito a chi afferma che posizionarsisolo in quanto donne non sia sufficiente per avere una visione an-ticapitalista. Chi sostiene questo ha ancora l’idea delle donne noncome umanità femminile, ma come parzialità rispetto al tutto cherimarrebbe l’uomo.A me sembra, infine, che nel trattare la questione dell’identità l’au-trice sottovaluti l’esperienza della lingua materna riferendosi allalingua solo a partire dall’affermazione di Derrida: “Ho solo una lin-gua e non è la mia”, che lei fa diventare: “Ho solo un’identità e nonè la mia”. Eppure in un’altra parte del libro ha scritto che le donnecambiano le parole perché vogliono cambiare le cose, quindi sabene l’importanza della lingua. La lingua materna nel dare contodell’esperienza femminile avvicina ciò che la cultura patriarcaletende a separare e fa vedere un altro modo di sentire, pensare,amare, conoscere, più vicino alla vita. È ciò che abbiamo per de-viare rispetto alla lingua del potere.

di Antonietta Lelario (Circolo La merlettaia)da http://www.libreriadelledonne.it

Giovedì 5 marzo dalle 19.00, al Fondo Verri, la presentazione di

Post-patriarcato. L'agonia di un ordine simbolico. Sintomi, passaggi, discontinuità, sfideAracne (collana Donne nel Novecento) di Irene Strazzeri. Con l’autrice intervengono Elettra Deiana, Anna Caputo, Patrizia Colellae Mauro Marino. Modera l’incontro Diego Dantes.

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spagine della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0corsivo

Ci si sveglia sempre (quasisempre) positivi, poi siguarda il primo TG e tuttopassa. Renzi dice di volerfare un DL per impedirel'ostruzionismo. Il pros-

simo passaggio potrebbe essere l'aboli-zione delle opposizioni. Tsipras chiude icampionati di calcio per troppa violenza,noi ci occupiamo di import/export di crimi-nali del calcio. Vennero a spaccarci unafontana, domani gli ultras romani an-dranno e minacciano ferro e fuoco. E poidici parlare di filosofia, democrazia, intel-ligenza... Cose così insomma. E mentre a Lecce fioriscono gli stop pros-

simamente anche davanti alla porta dicasa del vicesindaco, mentre quandopiove ci vuole la patente nautica per na-vigare in via Cesare Battisti completa-mente allagata, proseguiamo al giornataguardandoci attorno, ascoltando la piog-gia cadere e i muratori lavorare sull'impal-catura davanti alla finestra. Intanto siamoprotetti, a San Cataldo c'è il camion radarmilitare a vigilare sulla costa. Però sbarcano, arrivano."Quando ho aperto erano una trentina adaspettare. Sono entrati nel bar, uomini edonne siriani, hanno chiesto il bagno, unoalla volta sono entrati per ripulirsi, si sonocambiati, le donne si sono anche truc-

cate. Hanno fatto colazione, parlavano in-glese, alcuni anche un buon italiano. Poiabbiamo chiamato i carabinieri, li hannocaricati su un pullman". Così mi dice il ba-rista a Castro marina. Arrivano da unaguerra criminale, (quale guerra non loè?), conoscono regole e lingua, sono gio-vani, belli, illusi di trovare l'america. Il ca-mion radar non ha visto quel segnale lanotte in cui sbarcarono a Castro, forsetroppo lontano, forse distratto. Chissà. Profumo di biscotti appena sfornati, diprima mattina, notizie già vecchie e l'im-marcescibile oroscopo che non c'entranulla con la vita e la civiltà, ma così è, diprima mattina.

di Gianni Ferraris

Pensieri di prima mattina

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della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

L’abecedariodi Gianluca Costantini e Maira Marzioni

Rappacifica le mie orerende le rughe ritornelli

mi racconta di rabbie e di rese.

Rido randagio dei miei ricordi

senza paese. Allora ogni cosa risuonanon riescono a resistere

la rondine, la ringhiera, il ragno, la rosa.

Suonano con me anche se stoniamo...

Sultani del sogno saltimbanchi e sciarade.

Suoniamo la stellare sinfonia delle storie storte

delle sorde strade.

spagine

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spagine

E lio, ho letto A nuda voce.Canto per le tabacchine(Musicaos:ed), con duesalti. Col primo ho sal-tato l’introduzione e colsecondo, i due interventi

critici. Ti prego, non pensare che sonoun grillo (forse sono un grullo). Con idue salti non ho voluto fare una cro-ciata né contro le introduzioni (chespianano la strada verso il testo), nécontro gli interventi critici (che lo scor-tano). E spero non me ne vorranno gliottimi, Ada Donno, Francesco Aprile,Luciano Pagano (che è pure l‘editore)se procrastino la lettura dei loro testi.Ho voluto verificare se nel tuo poema,e in esso a solo, ci fosse tutto quantooccorre per leggerlo al meglio. Capiredi cosa parla (il tema), cosa ha messoin moto l’immaginazione poetica et ce-tera. Credo, orecchio una punta di teo-ria critica letteraria (così, con leminuscole, perché tali sono le mie co-noscenze e non me ne vanto), che sipossa dire che ho cercato l’autonomiadell’arte. Spesso, nelle introduzioni ci sonoanche delle incursioni critiche sul testoa venire. E a me questo non garbapunto. Le puntate critiche dopo, se nepuò parlare. Mi piace praticare, miesprimo con una metafora, il free clim-bing (l’autonomia del lettore?). Il testoè la parete da scalare a nude mani (intasca, però, ho un coltellino svizzero).Poi, può darsi che non arrivi neanchea un paio di metri e sono già caduto.Se non mi sono fatto male, ricomincio.Prima di leggerlo un libro, mi piace toc-

carlo, sfogliarlo, sbirciarlo. Tutto que-sto, l’ho fatto anche col tuo libro. Ecosì i primi righi della quarta di coper-tina, li ho letti d’emblèe (sono appena6). E ho scoperto il fatto di cronaca (ri-sale al 1960), che ha originato i tuoiversi. I testi che scelgo di leggere, oltre chefonte di godimento estetico, per mesono un campo in cui passeggio perraccogliere, invece di fiori, domande.Spero non ti dispiaccia. Tra l’altro, ledomande che strappo lasciano intattitutti i fiori. Le domande le strappo, dicocosì, all’aria in cui traspirano i fiori(sono fatte di aria e all’aria torne-ranno).Riprendo, con variazione, la prima do-manda. Nel tuo testo, c’è tutto quantooccorre per definire, ora e sempre, iltema? Ti propongo un esperimento mentale.Immaginiamo, tra un po’ di anni, un ra-gazzo, o una ragazza, che prende inmano il tuo poema per tuffarcisi dentro.Che succede? L’esperimento lo rifor-mulo così. Un puer, o una puella, aspasso in A nuda voce, senza alcunabussola e con uno zaino leggero, checustodisce poche ma essenziali cian-frusaglie giovanili. Il puer riuscirebbe aorientarsi? E dove approderebbe? (Lo so, sto mescolando due metaforeper la lettura del testo: quella del nuotoe quella del cammino. Arriccia pure ilnaso, se credi.)Dunque, all’origine del tuo poema c’èun fatto vero, un fatto tragico. Tu haiscritto cinquant’anni dopo. Il dolorecrudo si è attenuato, ma ne è rimasta

l’eco. Tu l’hai raccolta, creando peressa una cassa di risonanza. A nudavoce. Canto per le tabacchine è unacassa di risonanza.L’avrai saputo. Ogni tanto un demones’impossessa di me. Questo demone,tra altre, ha la fissa classificatoria. Misuggerisce che il tuo poema rientre-rebbe nel genere didascalico. Che haavuto i suoi fasti nell’antichità (ricordole Bucoliche di Virgilio) e ora è un ge-nere negletto. Col tuo poema chiedi dipiù della semplice lettura e del purosquario. Chiedi una condivisione, unacomunione tra te e il lettore. E chiedil’attivazione, nel lettore, della funzionememento. Leggetene e ricordatenetutti, questo sembra che tu abbia avutol’intenzione di dire. Ecco, la tua poesianon è pura, ha un’intenzione. Un’inten-zione morale. Che si può esprimerecosì: Per non dimenticare. In opposi-zione a chi sostiene che la letteraruranon debba proporre né messaggi névalori.C’è una punta di epico in quello chehai scritto. Per questo le voci principalisono io collettivi. L’epopea che quinarri è la lotta padrone-servo nell’am-bito, così importante per il Salento finoa qualche decennio fa, della lavora-zione del tabacco. Gli eroi sono i vinti(ma è una consolazione magra).Poesia didascalica o epica, il tuo dise-gno poetico ha una linea nitida. La ni-tidezza è nemica dell’arte poetica? Ilpoetico è meglio tale, se un po’ di neb-bia avvolge le parole che dicono iltema? L’intelletto non è nemico delcuore. Questo è quello che non pen-

Nudo e crudodi Massimo Grecuccio

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Lettera aperta, e ingenua, a Elio Coriano, su “A nuda voce”della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

sano gli epigoni romantici. Loro ancoracredono l’intelletto e il cuore separatiin casa.Il proposito è buono. A trovare il pelonell’uovo, posso solo dire che da unbuon proposito non discende in modonaturale buona poesia. Che significa, poi, buona poesia? Conun tema così tragico. Versi ben torniti?Versi ben levigati? E la levigatezza,quante ferite nasconderebbe? Le fa-rebbe intravedere? Il terreno diventamolto scivoloso. E tu hai avuto un belcoraggio, ad avventurartici. Se la ma-teria è così scopertamente prelevatadalla cronaca (che nel tuo caso è giàstoria), cosa sarebbe più opportunofare? I fatti sono così evidenti. Lamorte è la morte. Anche se non la no-mino direttamente. I rapporti di forzasono rapporti di forza. Anche se la cru-deltà del padrone verso lo schiavo puòvariare su una scala di toni.

Un saggio di storia potrebbe esserepiù efficace? A questa, rispondo. Sonodue cose diverse, anche se la matriceè la stessa. Elio, sono in difficoltà. Non riesco adire neanche una parvenza di giudiziomotivato. Posso almeno affermare chequesta girandola di domande, ozioseoppure pertinenti, intensifica in me lapercezione del soggetto del tuopoema.E posso aggiungere quest’altro. Perme, l’eccesso di poetico è più stucche-vole dell’eccesso di zucchero. Non sol’efficacia dell’omeopatia. Sono piùpronto a giurare sulla bontà della poe-sia in dosi omeopatiche. Pochi. Po-chissimi virus, lenti ma forti. (Quimescolo organico e inorganico, sep-pure a piccolissime dosi. Sic.) Ché, sepure vengono visti subito dal sistemaimmunitario, continuino ad agire perinoculare, a dosi omeopatiche, le tos-

sine poetiche. Qual è la funzione diqueste tossine? Una funzione credoche possa essere - Non dimenticare -.E chi se ne frega della bella poesia.Che si mescoli, talvolta, con la storia.Che si imbastardisca, talvolta, con lacronaca. Impurezze, imperfezioni. Lašcoma dei giorni.

...ma era tanto il fuocoerano troppe le mani di fumoche ci stringevano la gola.

Elio, spero a presto.

Massimo Grecuccio

P.S. Solo in quarta di copertina, al-l’esterno del poema, è menzionato iltragico incendio della cronaca del 1960da cui prende spunto il tuo poema.L’autonomia del testo non è completa?

Elio Coriano e la copertina del libro edito da Musicaos Ed

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Vecchia storia, quella dellacoerenza fra il dire e ilfare, vecchia come ilcucco e molto di più di unvecchio bacucco. Ci pen-savo ascoltando in televi-

sione Mario Capanna, che del vecchiobacucco ha anche la barba bianca. Loascoltavo difendere a spada tratta lo sta-tus quo, pateticamente definito “diritti ac-quisiti”, nell’insulsa trasmissionetelevisiva “L’Arena”, annebbiato nei fumidella letargia pomeridiana dopo il con-sueto e forzoso pranzo domenicale acasa dei genitori (ultimo luogo di soprav-vivenza dell’ esecrabile mito della fami-glia tradizionale patriarcale ). Quello dell’Arena (sebbene di fronte aCapanna anche Giletti sembrasse intel-ligente) è stato uno scontro, vero o co-struito che fosse, fra due campionidell’incoerenza. “Pancho” Capanna, chepassa dalle barricate sessantottine alladifesa del vitalizio, dalla cesta (della co-lazione proletaria) alla casta; Giletti-Gil-lette (“il meglio di un uomo”) che fa delbecero populismo, guadagnando sommespropositate. Vecchia storia, quella dellacoerenza, che si può definire come laconnessione logica ed etica fra un com-portamento e quello precedente, oppurefra quello che si dice e quello che si fa.Ne sapeva qualcosa Seneca (I sec.d.C.), accusato di avere una doppia mo-rale, e lo sapeva bene il libertino ingleseBernard de Mandeville, autore nel Sette-cento del poemetto satirico “La favoladelle api, ovvero Vizi privati e pubblichevirtù”.Ma la storia è piena di esempi eclatanti,di personaggi famosi, papi, politici, attori,regnanti, musicisti, con una doppia mo-

rale, pubblica e privata.Ora, fatturare in nero, esportare i capitaliall’estero per metterli al riparo dalla scurefiscale, sembrerebbero legittima difesa inuno Stato che fa pagare più del 60% ditasse ai propri cittadini. Invece, questisono reati e chi li commette è persegui-bile per legge. E li commettono in tanti,se è vero che il nostro è il paese con ilpiù alto tasso di evasione fiscale in Eu-ropa.Una cifra stratosferica, si parla di 180 mi-liardi di euro all’anno, sarebbe davveropazzesco. Gli è che non tutti i cittadini ita-liani sono preparati a far proprio l’esem-pio di Socrate, disposto a morire, comeriferisce Platone nel “Critone”, pur sa-pendo di affrontare una condanna ingiu-sta, solo per rispettare le leggi della suacittà. Pochissimi, coloro che, pur sa-pendo che è pieno di evasori fiscali e chelo Stato richiede una tassazione ingiusta,sono disposti a pagare il dovuto. Cosìapprendiamo dalle cronache che noti ar-tisti e sportivi del panorama nazionaleevadono le tasse e devono restituiremolti soldi all’erario.Da Luciano Pavarotti a Valentino Rossi,da Lele Mora a Fabrizio Corona e per ve-nire ai casi più recenti, e ai nomi della co-siddetta “lista Falciani”, StefaniaSandrelli, Tiziano Ferro, Gianna Nannini,lo stilista Valentino, Renato Zero , Dolcee Gabbana, Elisabetta Gregoracci, e cosìvia.

Uno degli ultimi ad essere stanato dallaGuardia di Finanza è stato Gino Paoli.Confesso che il fatto mi ha turbato nonpoco.Amo il cantautore genovese, sono cre-sciuto con le sue canzoni. Paoli ha sem-

pre rappresentato per me, oltre ad uninimitabile artista, un poeta della musica,un uomo di specchiata moralità, uno conla schiena dritta, come si suol dire, unoche negli anni Ottanta ebbe anche unabreve parentesi politica, e infatti si can-didò nelle liste del Pci in Parlamento, madopo pochi anni uscì, disgustato dagli in-trallazzi e soprattutto, a suo dire, dall’im-mobilismo, dall’impossibilità di cambiarealcunché , dalla palude della politica ro-mana.Da anarchico quale si è sempre profes-sato, non poteva essere diversamente,pensavo, basta ascoltare canzoni come“Gorilla al sole” oppure “Bastiano”. Sti-cazzi! Davvero mai niente è come sem-bra. Saperlo grande evasore fiscale èstata come una pugnalata al cuore.Un brutto colpo, me lo aveva assestatoun paio di anni fa quando divenne presi-dente della Siae.Ma come, mi chiedevo, il bastian contra-rio che entra nel sistema? Uno che siprofessa “matto come un gatto”, checanta “io no, col branco non ci sto”, cheprende una poltrona come quella? Sapere che percepisce anche il vitaliziodalla breve esperienza parlamentare deilontani anni Ottanta è stato l’affondo fi-nale. Ancora una volta il problema del-l’incongruenza fra i comportamenti privatie l’immagine pubblica mi si è presentatocon drammatica evidenza. Per inciso,pare che fra i cantanti ad aver orche-strato qualche furbo giochino per aggi-rare il fisco vi sia anche Vasco Rossi, unaltro che io amo da sempre. Ma per tornare all’ipocrisia, il fatto è cheprendermela con uno come Capanna miviene facile. Sono sempre stato su posi-zioni politiche diverse dalle sue. Da gio-

“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che rassomigliate a sepolcri imbiancati:

essi all'esterno son belli a vedersi, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni putridume”

Vangelo Matteo, 23

Di chi predica benee razzola male di Paolo Vincenti

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vane ero vecchio e mi riconoscevo nellaDc, oltre che nell’allora PLI per le politi-che economiche e un poco anche nelPRI perché avevo un’adorazione intellet-tuale per Giovanni Spadolini. DunqueCapanna e quelli di Democrazia Proleta-ria erano come il fumo negli occhi perme. E poi, diciamolo, sapere di apocalit-tici integrati, di ex pauperisti, cenciosi,pacifisti, anarchici, comunisti, scesi apatti col sistema capitalistico mediaticoglobal merdoso occidentale, procurasempre un certo perverso piacere. Ap-prendere che un ex sessantottino oggi èparte integrante dell’apparato mi da unsenso di rivalsa che farà schifo ma è piùche comprensibile. Per Gino Paoli invece è diverso. Il turba-mento mi ha ghermito, come un leoneche acciuffa la gazzella, come un falcoche azzanna il coniglio e ne fa strame.Ma poi, passata la sbornia emotiva, ilcoccolone della prima ora, messa a ta-cere la pancia (quella del paese, a cui

parlano tutti i finti indignados della poli-tica), c’è da utilizzare la ragione, far fun-zionare il cervello, esercizio difficile manecessario.Che significa tutto ciò? Che se uno evade il fisco, o commettereati di qualsiasi tipo, non possa essereun bravo, un ottimo, un eccelso artista?Niente affatto. Anzi, dovremmo dire, secondo il noto cli-ché, dovuto a Dumas e alla sua opera“Kean, ou Désorde et Génie”, che ilgenio si accompagna sempre alla srego-latezza. E allora? Perché sono rimastoturbato dal comportamento di Paoli?Non era forse Marlowe, l’autore del “Doc-tor Faustus”, una spia dei servizi segreti,che morì accoltellato in una rissa da ta-verna? E non aveva il grande Caravag-gio, un temperamento violento, tanto cheuccise un uomo? È chiaro che quanto più un artista sieleva, raggiungendo impossibili vette,con il suo genio, tanto più pleonastica ci

pare la sua vita ordinaria, da uomo qua-lunque. Tanto più è grande il genio, tantopiù difficile ci riesce di accettare che, aldi fuori di quei momenti di illuminazione,egli sia un uomo come tutti, pieno di limitie difetti. L’evasione fiscale fa parte della vita pro-sastica, ordinaria, del transeunte.Un’opera d’arte ha a che fare con la bel-lezza, l’eccezionalità, l’immortalità. Dunque, ristabilito un minimo di presup-posti, mi sento più sollevato e posso tor-nare a cantare:“quando sei qui con me,questa stanza non ha più pareti…”, op-pure “sapore di sale, sapore di mare, chehai sulla pelle, che hai sulle labbra…”“Guai a voi, scribi e farisei ipocriti…”:questa, con cui ho principiato, è certa-mente suggestiva. Ma quest’altra èmolto, molto più bella: “Chi di voi è senzapeccato, scagli per primo la pietra” (Van-gelo Giovanni, 8).

della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0l’osceno del villaggio

Gino Paoli in una foto giovanile

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La copertina del libro edito da Feltrinellie ad illustrare un’opera di Josep Tapiró, El santón darkaguy de Marrakech, 1895. Acquerello su cartaMuseo Nacional de Arte de Cataluña, Barcellona

OrientalismoL’immagine europea dell’Oriente

Saggi Universale Economica Feltrinelli

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È singolare come in que-sti ultime settimane sumolti media italiani il di-battito sull’islam e sulmondo arabo abbiaraggiunto il suo paros-

sismo guerrafondaio, con schiere ditemerari “intellettuali” - un esempiosu tutti il giornalista Magdi Allam -pronti a imbracciare lance, spade escudi crociati per difendere l’Occi-dente dalla minaccia dell’islam. Ed èaltrettanto singolare notare come icontemporanei Goffredo di Buglioneutilizzino per preparare la loro “cro-ciata” tutto l’armamentario culturaleche nel corso dei secoli ha fattodell’Oriente e dell’islam due entitàestranee e contrapposte all’Occi-dente e ai suoi benedetti valori.E’ stato Edward W. Said, critico lette-rario di origini palestinesi, con la pub-blicazione nel 1978 di “Orientalismo”,che per primo ha chiarito quei pro-cessi di colonizzazione culturale at-traverso i quali l’Occidente ha primadefinito per poi appropriarsi di unacerta idea di Oriente, tuttora lontanadall’essere confutata, visto principal-mente come luogo d’elezione in cuifar risiedere l’Altro da sé. Tracce diquesta rappresentazione occidentaledell’Oriente si trovano, fa notare Said,già nell’Iliade, nei Persiani di Eschiloe nelle Baccanti di Euripide.Eschilo dipinge il senso di disfattache si impadronisce dei persiani allor-ché apprendono che la grande ar-mata, guidata dal Re in persona, èstata sconfitta dai greci. Per la primavolta nella cultura occidentale l’Asiaparla per bocca dell’immaginazioneeuropea, e l’Europa è raffiguratacome vincitrice dell’Asia, mondoostile e “altro” al di là del mare.

All’Asia sono attribuiti sentimenti didesolazione, lutto e sconfitta, visti daallora in poi come l’inevitabile conse-

guenza di ogni sfida lanciata all’Occi-dente.Nelle Baccanti, forse il più asiatico ditutti i drammi attici, Dioniso è esplici-tamente legato all’Asia vuoi per lesue origini, vuoi per gli strani eccessidei misteri orientali. Penteo, re diTebe è rovinato dalla madre Agave edalle baccanti sue alleate. Avendo sfi-dato Dioniso, non volendogli ricono-scere né la divinità né il potere,Penteo viene orribilmente punito (ilsuo corpo viene straziato e la testaesibita come un trofeo!), e la tragediatermina nel generale riconoscimentodella tremenda potenza del Dio di ori-gine asiatica. I due aspetti del-l’Oriente, che nei due drammi citati lodifferenziano dall’Occidente, rimar-ranno centrali nella geografia imma-ginaria in Europa. L’Europa è forte eben strutturata; l’Asia è lontana,oscura e sconfitta.L’Oriente, il Vicino Oriente in modoparticolare, fu da allora consideratodall’Occidente il proprio grande oppo-sto complementare. E la stessa sortetoccò all’islam, giudicata una ver-sione modificata, in modo fraudo-lento, di qualcosa di già esistente,cioè del cristianesimo.

È Dante Alighieri ad inserire “Mao-metto” Mohammed nel canto XXVIIIdell’Inferno. Lo troviamo nell’ottavodei nove cerchi maledetti, nella nonadelle dieci bolge di Malebolge, anellodi tetre fosse che circonda la sedestessa di Satana. Maometto è collo-cato nella categoria dei “seminatori discandalo e di scisma”.La punizione che gli tocca, eternacome ogni altra dell’Inferno, è quelladi essere lacerato in due metà dalmento all’ano, come – spiega il poeta– una botte le cui doghe vengano di-sgiunte.I versi di Dante non trascuraronoalcun dettaglio escatologicamente im-

portante della percezione di un cosìesemplare supplizio: i visceri di Mao-metto e i suoi escrementi sono de-scritti con vivida precisione. Losventurato spiega a Dante la propriapunizione indicando anche Alì, che loprecede nella fila dei peccatori che undiavolo divide metodicamente in due.

Il Poema del Cid, la Chanson de Ro-land e lo “Otello” di Shakespearesono ulteriori opere dove Oriente eislam vengono rappresentati comeforze esterne, estranee, seppure conun ruolo speciale nelle vicende in-terne dell’Europa.

Ma persino Karl Marx, fa notare Said,attinge nella tradizione romantico-orientalista, quando sostiene in “Sur-vey from the Exile” che: “In India,L’Inghilterra ha da compiere una du-plice missione, distruttiva da un lato,rigeneratrice dall’altro, dissolvere l’or-ganizzazione sociale asiatica e in-sieme gettare le fondamenta di unasocietà di tipo occidentale”.Per il filosofo di Treviri, il supera-mento del sistema economico asia-tico non poteva non passaredall’interferenza colonialista dellaGran Bretagna, male necessario perraggiungere un successivo riscatto. Alla luce di tutto ciò, com’è facile im-maginare, la retorica anti-orientale eanti-islamica, che oggi pervade ampistrati dell’opinione pubblica e lapenna di molti intellettuali occidentali,sarà difficile da scalfire visto che isuoi fondamenti si perdono agli alboridella cultura occidentale. Prima dichiudere c’è da sottolineare il fattoche Gesù Cristo viene, invece, rico-nosciuto dal Corano come uno dei piùgrandi messaggeri di Dio al genereumano; e a Lui e a sua Madre (Ma-ryam) sono dedicati diversi versetti.

letturedella domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

Edward W. Said, "Orientalismo. L’immagine europea dell’oriente”, Feltrinelli

Una certa ideadi Alessandro Vincenti

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Daniele Menozzi, "Giudaica perfidia. Uno stereotipo antisemita fra liturgia e storia”, il Mulino

L’antisemitismo, come lo Spi-rito nel vangelo di Giovanni,soffia in tutte le direzioni. Etra le pieghe della liturgiacattolica c’è un luogo –luogo retorico, famigerato

sintagma – che per secoli ha alimentatogli stereotipi antiebraici. Ne indaga il si-gnificato e i risvolti un recente studio diDaniele Menozzi, "Giudaica perfidia. Unostereotipo antisemita fra liturgia e storia”.Tra le preghiere che formavano la liturgiadel venerdì santo, preghiere, per esem-pio, per il Papa, per il clero, per i vescovi,c’era infatti anche quella rivolta agli ebrei.L’incipit dell’orazione era Oremus et properfidis Judaeis, preghiamo anche per iperfidi giudei e, poco più avanti, si potevaleggere ancora della judaicam perfidiam.Fatto salvo lo storico e teologico pregiu-dizio della Chiesa di Roma verso gliebrei, lo studio di Menozzi ne indaga lapresenza nella liturgia, e cioè in uno deimomenti più intensi e sacrali della realtàcattolica, che troverà definizione e disci-plinamento nel Messale romano del1570, redatto secondo le norme del con-cilio di Trento.L’oremus, che risale a una tradizionemolto antica, viene cristallizzato precisa-mente in quel momento nella liturgia uffi-ciale latina e avrà una notevole diffusionetra i fedeli, che la leggevano o l’ascolta-vano nelle versioni in volgare dei tantimessalini. Perfidus si tradurrebbe sempli-cemente con "incredulo", cioè "senza lavera fede", ma in realtà nei volgari euro-pei veniva tradotto con l’eticamente e so-cialmente negativo "perfido": malvagio.Per dimostrarlo, nel 1937 il filologo cat-

tolico Erik Peterson in un saggio notevolericostruirà la storia del termine e dellevarie sue traduzioni: "perfido" in italiano,"perfide" in francese, "perfidious" in in-glese. Peterson sottolinea che il perfiduslatino originario, quasi un tecnicismo reli-gioso che indicava il non credente o l’in-fedele (e infatti perfidis erano ancheeretici, pagani o musulmani), nelle tradu-zione volgari diventava perfido nel sensomoderno, cioè cattivo e sleale. Nessunacoincidenza, quindi, tra il significato dellaparola latina e la corrispettiva traduzionenelle lingue nazionali. "Perfido" si aggiungeva così ad altre pre-sunte caratteristiche dell’ebreo: usuraio,empio, dedito alla pratica dell’omicidio ri-tuale, capitalista, cospiratore, e così via;si andava così a sostenere il secolare an-tisemitismo europeo e lo si puntellavacon un fondamento religioso. L’antigiudai-smo teologico si poteva saldare, in con-testi ben precisi come quello delle leggifasciste del 1938, all’antisemitismo poli-tico e razziale: l’aggettivo "perfido" e la lo-cuzione "giudaica perfidia" tralignavanocosì dal circoscritto ambito teologico aquello politico e della propaganda.Menozzi non tratta l’antisemitismo comecategoria dello spirito, bensì lo analizzanell'ambito specifico delle pratiche discor-sive della Chiesa cattolica e all’interno diuna retorica religiosa che tendeva a dif-fondere e stabilizzare il pregiudizio (pos-siamo ricordare, in tutt’altro versante, ilmagnifico studio di Victor Klemperer Lin-gua tertii imperii, ovvero la lingua delterzo Reich). Scrive Menozzi, ricordandoil linguistic turn della storiografia contem-poranea, che "l’analisi storica delle prati-

che retoriche, e in particolare delleespressioni linguistiche, lungi dal ridursia una mera storia di parole, rappresentauno dei più efficaci strumenti ermeneuticia disposizione dello studioso per disve-lare i meccanismi di funzione dell’aggre-gato sociale che le utilizza".Lo studio si sofferma, dunque, sulle con-seguenze nefaste di un sintagma dalgrande potenziale evocativo, come è ap-punto "giudaica perfidia", diventato velo-cemente cliché senza tempo, scritto eripetuto infinite volte.Del resto la formularità non è altro chel’essenza di ogni discorso antisemita e diogni stigmatizzazione: "la perfidia diventail canale linguistico con cui si proietta sututti gli ebrei, in ogni tempo e in ogniluogo, un’immagine negativa, in cui l’ac-cusa di slealtà, doppiezza, tradimento,cattiveria si salda con la denuncia a in-gannare, rubare e sfruttare. Si tratta diun’operazione retorica che risulta funzio-nale a quella demonizzazione dell’alteritàche sfocia spesso nella propensione acancellare il diverso".Lo storico della Normale di Pisa ricostrui-sce nel suo lavoro la storia e le discus-sioni del coté antigiudaico del rito romanofino alle più recenti riforme liturgiche,adottate dal Vaticano II, intese ad elimi-nare, non senza resistenze, gli accusatoriperfido/perfidia, segni di un superato an-tisemitismo della Chiesa.

La mia impressione è che Menozzi abbiavoluto mettere in evidenza come le rica-dute sociali della cosiddetta "perfidia giu-daica" della liturgia potessero essere diportata vastissima: la liturgia, che risuo-

Le paroledi Sebastiano Leotta*

del pregiudizioPerfidus si tradurrebbe semplicemente con "incredulo",

cioè "senza la vera fede", ma in realtà nei volgari europei veniva tradotto con l’eticamente e socialmente negativo “perfido": malvagio

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nava fin nella chiesetta più sperduti nonpoteva, infatti, non influenzare tra i fedelicomportamenti, valori, orientamenti.E possiamo ricordare anche, in un sensoanalogo, come nel grande e insuperatosaggio di Carlo Cattaneo del 1837, Inter-dizioni israelitiche, si indaghino gli effettipratici, nella vita economica e civile, del-l’antisemitismo discriminatorio che esi-steva sul piano giuridico e formale.Inevitabile, dopo la Shoah, un ripensa-mento dell’antisemitismo cattolico e unariforma di quella liturgia che era stata unodei veicoli del pregiudizio contro gli ebrei.Con il Vaticano II dalla nuova edizione delMessale del 1970 spariscono le paroleperfidis e perfidiam. Ma alcune resistenzepermangono. Da ultimo Menozzi si con-centra sui pontificati di Giovanni Paolo IIe Benedetto XVI, ravvisandone alcuneambiguità nel tentativo di entrambi di re-cuperare gli scismatici lefebvriani, dasempre avversi alle aperture del Vaticano

II. Permettendo ai tradizionalisti francesi,anche se con qualche restrizione, l’usodella versione tridentina della liturgia sisono infatti reintrodotte posizioni teologi-che che quel concilio aveva voluto supe-rare.A partire da un dettaglio linguistico (maspesso è proprio nei particolari che si na-scondono gli indizi più significativi), il sag-gio ci consente di illuminare in profonditàquestioni di carattere molto più generale:"Il dibattito sulla ‘giudaica perfidia’ diventalo scorcio attraverso il quale si colgonoaspetti fondamentali della presenza dellachiesa nella società contemporanea",scrive Menozzi. Facciamo qualche esem-pio. Di fronte ad eventi della modernitàcome l’Illuminismo e la Rivoluzione fran-cese e, per quanto ci riguarda, il Risorgi-mento italiano, la Chiesa si è oppostarisolutamente. Per la minoranza ebraicaitaliana, il processo di unificazione nazio-nale significò fine delle discriminazioni,

emancipazione e diritti politici; baste-rebbe leggere i numeri della "Civiltà cat-tolica" dopo il 1870 per accorgersi comele opinioni antiunitarie non fossero di-sgiunte da quelle antisemite.La persistenza dell’antisemitismo, perconcludere, è stato uno dei molti aspettiattraverso cui il Cattolicesimo haespresso il suo rifiuto della modernità.Qualcosa di simile a quanto si può verifi-care nelle discussioni attorno ai Quadernineri, appena pubblicati in Germania, delfilonazista Heidegger. Il filosofo tedescovi definisce infatti gli ebrei come gli"agenti della modernità" che hanno di-storto e occultato le radici dell’occidentecon il loro cosmopolitismo e con il lorosradicamento. Nulla di nuovo. In fondoogni antisemitismo finisce pateticamenteper assomigliarsi.

*http://www.unipd.it

A “contrappunto” l’illustra-zione scelta è La crocifis-sione in bianco dipinto(155x140 cm) realizzato nel1938 da Marc Chagall (Vi-tebsk, 7 luglio 1887 – Saint-Paul-de-Vence, 28 marzo1985), conservato nel TheArt Institute di Chicago. Papa Francesco ha dichia-rato che questo è il suoquadro preferito.Opera ambiziosa dell'arti-sta, ispirata alla persecu-zione degli ebreinell'Europa centrale e orien-tale. Non viene raffiguratauna scena reale, bensì vi èun'evocazione della soffe-renza atteraverso l'uso disimboli ed immagini. Affascinante è la rappresen-tazione in alto di personaggiveterotestamentari che, ve-dendo cosa sta succe-dendo, piangono.

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Oggi ho preso in mano la matita, quella consigliatada Mari della libreriaMondadori, ma certo, la ma-tita con l’angelo che dondola mentre tu scrivi.Già, perché “gli angeli sanno. Oltre le confes-sioni, sanno. Oltre le parole. Saranno le confi-denze, i segreti dei comignoli, le formule magiche

che danzano dai fumi dei camini all’Idume sotterraneo. Le assal-tano gli angeli e ballano. Sanno gli angeli. I mesi i boschi gli olivila pietra la libertà le nenie anarchiche gli esili. Sanno”.“Nel persempre” sa che dietro un alberello rosso di una bambina,Claudia il suo nome, c’è tutta la fantasia di Claudia ma ci sono tuttii desideri di tutti i bambini e gli adolescenti del mondo, qualunquenome abbiano, a qualunque parte dell’Universo appartengano.Per loro, per esaudire i loro desideri, si ha ancora una volta la forzadi raccogliere sogni e speranze per un mondo a loro misura, diloro che hanno capito tutto; per loro si ha la forza di rimettersi inviaggio e di credere che davvero su in alto in alto si abbraccianoa formare un cuore nascosto nella chioma dell’alberello rosso deirami che si sono arrampicati fin lassù; si ha la forza di illudersi chegoccioline-foglie di color rosso anche loro danno vita a fiori nuovidi primavera.Allora, allora, si mitiga l’angoscia che ti porti dentro per tutto questosangue che continua oggi a cospargere la terra, che non fa sboc-ciare nessuna primavera, che invade la tua anima mentre senti lapioggia che cade incessante, continua a cadere per tutta la notte,lacrime del cielo, tu pensi e hai paura per i ciclamini, le primule ele viole e le piante e gli uccelli e le cose e gli uomini; chiedi ancorauna volta aiuto alla tua matita, all’altra, alla matita-pianta che haitrovato a Città del Sole, così per caso e che in punta, non ha unagomma ma semini così che, quando matita finisce, tu la pianti egermogliano i semi e natura e anima si mettono in pace. Idea ge-niale degli studenti dell’Università di Cambridge, negli Stati Uniti;dà nuova vita alle matite di legno di cedro. Sono i giovani e la cul-

tura a dare nuova vita alle idee ed è lei la matita che nascondesemi di timo a ricordarti i versi di Foglie d’erba ( Walt Whitman,appunto) quelli che t’eri proprio dimenticati e oggi li ripeti come li-tanie “Come giunse il poeta adulto,/ Lieta così la Natura parlò (iltondo globo impassibile con tutti i suoi spettacoli diurni e notturni)dicendo – Egli è mio -;/ Ma, ecco, interloquì l’Anima dell’uomo, al-tera, gelosa, irriducibile, - No, è tutto mio -;/ E allora il poeta adultosi fermò fra le due, e ciascuna prese per mano;/ E oggi e per sem-pre resta così, per fondere, unire, fermo stringendo le mani,/ Chenon lascerà andare finché non abbia riconciliato le due, / Lieta-mente fondendole fra loro.”Lietamente fondendole tra loro e la vai a raccontare in giro questastoria e piove ma hai il tuo ombrello azzurro sulla testa, nel cuorel’alberello rosso, nell’anima i versi – foglie d’erba – e ti gusti il caffèsempre lì in via Matteotti e poi, poi riscopri che proprio di fronte ate li ritrovi tutti lescompagnons de voyages,ogni giorno un amicoe una penna e non c’è due senza tre, tu pensi, e ti riconquistiquell’attimo di incredibile felicità, quella che ti tieni nascosta, comeun cane nasconde il suo osso (te lo ha ricordato Roberto Benigni)e invece oggi la regali a tutti i tuoi amici di tutti i tuoi giorni e m’ac-compagnano touslesjoursmesstylos, compagnons pour travailler.Oggi, primo marzo ed è domenica, riprendo il mio viaggio così,ché poi l’otto marzo s’avvicina; ho una settimana di tempo davantia me e allora, da donna, me lo regalo questo programma “Lundì,voir un film, mardìécouter un disque, mercredì lire un roman, jeu-dìécrire un poéme, vendredìacheter un billet, samedì ed diman-che, faire un petit voyage”.Me lo consiglia la mia penna il programma, cercare la penna invia Matteotti per credere; il mio uomo me l’ha regalata in anticipo,un briciolo di felicità in anteprima per scrivere di angeli, alberellirossi e ancora di poesia che sconfigge lacrime di cielo e male delmondo; si tengono strette strette natura e anima così, per farsicoraggio e compagnia.

spaginedella domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

pensamenti

Con gli occhi di Claudia

Il disegno di Claudia

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cronache culturali - cinemaspagine

La sensibilità intellettuale, ambientale, diaffetto e di rispetto per una città ferita,come Taranto, l’appartenenza e la co-scienza di essere meridionale sono ilsignificato del titolo del film: Buon-giorno Taranto, di Paolo Pisanelli pro-

iettato a Lecce nella sala del DB d’Essai, martedì 24febbraio.Buongiorno ad una città vuol dire: dichiarare la pro-pria disponibilità all’ascolto della vita e a non avereresistenza ai modi di vivere il tempo e abitare lo spa-zio dei cittadini in una città impegnata a non moriredi inquinamento. Per Paolo Pisanelli questo non è un approccio diffi-cile, anzi, innovativo, interessante ed equilibrato.Paolo Pisanelli si muove in un terreno semanticodove la lingua italiana e quella dialettale sono unitenel racconto della storia personale legata alla città etutte le parole non sono bianche, vuote, ma tuttepiene e misurate nell’esperienza di una terra vissutae sentita nell’appartenenza. Il risultato migliore e sor-prendente è il rapporto radio film e colonna sonora.La musica è il vocabolario più profondo e piùricco diemozioni perché la musica trasforma e fa vedere leferite contro il paesaggio di una città di mare recatedal grande stabilimento dell’acciaio.Taranto ha perso la luce bianca ed il passaggio delgiorno alla notte con l’avvento della luna rossa haperso il fascino colpito e cancellato dalle lingue di

fuoco dei camini dei forni della grande fabbrica di ac-ciaio. La luce e l’aria non hanno più quel sapore ero-tico di piacere e di salsedine perché nella bocca orasi sente il sapore amaro e secco delle polveri neredelle ciminiere. Nel racconto delle donne, che negliocchi hanno il mare proibito perché inquinato, la cittàdi Taranto è l’esempio della dittatura dell’inquina-mento di quel modello di sviluppo che ha fallito per-ché non ha saputo promuovere il futuro e hamancato il rispetto della terra. Lo dicono i bambiniinterrogati sul destino dello stabilimento Ilva se devecontinuare a produrre oppure chiudere. I bambininon hanno dubbi: deve chiudere perché da grandipreferiscono essere pescatori e non malati di tu-more. L’Ilva ha avvelenato l’aria, inquinato la luce con lepolveri, offeso la luna, tradito e rapinato i bambini deldiritto di avere una città dove vivere e giocare. ConBuongiorno Taranto rimane ancora viva la forza dellalotta l’impegno di non cedere alla rassegnazione macontinuare ancora a fare la partita. Il film di Paolo Pisanelli vuole essere anche questo:Buongiorno Taranto è la sveglia per il meridione, èl’invito ad aprire gli occhi per guardare la luna rossae avere le orecchie attente per sentire il mare.La luna e il mare parlano ancora bene di noi e dellanostra terra allora buongiorno Taranto.

*Responsabile Biblioteca braille A. Antonacci di Lecce

di Luigi Mangia*

La svegliaper il meridione

Il film-documentario di Paolo Pisanelli, proiettato a Lecce, martedì 24 febbraio

della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

L’immagine-logo del film documentarioe il regista Paolo Pisanelli

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spagine

“Ascolta, non vorrei davverocadere sul filosofico, ma vorreidirti che se sei vivo, devi agi-tare le tue braccia e le tuegambe, e devi saltare parec-chio attorno, devi fare un

sacco di rumore, perché la vita è l’esattoopposto della morte. E quindi, come lavedo io, se sei tranquillo, non stai vi-vendo. Devi essere rumoroso, o almenoi tuoi pensieri devono essere rumorosi,vivaci, brillanti.” (Mel Brooks)Movimento di idee, vivacità espressiva,tanto rumore per altrettanta fame e vogliadi realizzare. E’ ComeTiVeste.it, il futuroche aiuta il passato, la tutela dello slow-shopping attraverso dinamiche fast.Dei giovani brillanti e preparati che mi-scelano sapientemente gli ingredienti ne-cessari per un portale moda all’avanguardia, risposta alternativa all’ e-commerce, che mira a ricreare l’ atmo-sfera dell’ esperienza d’ acquisto ormaidispersa in una mera scelta digitale, asmuovere ogni senso, a toccare conmano, a vedere con occhio, a sentire iprofumi che ogni capo emana, senza fil-tri, senza schermi. Un’ esperienza diretta e emozionante,appannaggio del passato, ma con Come

Ti Veste speranza e storia del futuro.“Vite frenetiche e tempi sempre più ri-stretti, fanno sì che sia impossibile per-mettersi giornate di lunghe passeggiateper negozi alla ricerca di ciò che serve.La crisi economica, d’altro lato, ha fattoin modo che si innescasse il timore di en-trare all’interno di una boutique a causadell’incognita del prezzo“.Coniugare tempo e spazio, risparmiaretempo e ritagliarsi uno spazio… come? Ilsito è vetrina digitale per i negozi di ognicittà, si possono consultare i capi e iprezzi, il cliente sceglie, poi compra, fisi-camente, in negozio, salvaguardando lashopping experience e rispettando ilsacro tempo.I ragazzi di CTV sono sinceramente efortemente convinti che la crisi si com-batta, non si subisca. Che la moda e lericerche di stile, non passino attraversomagazzini seriali dalla funzione di ufficismistamento postali. Che il piccolo com-merciante debba essere salvaguardatoattraverso l’ inserimento in database di ri-cerca i prodotti scattati dalle District Ma-nager con semplicità, professionalità edefficienza. In alternativa il negoziante puòrichiedere un vero e proprio shooting fo-tografico da rivista di moda con attrezza-

tura fotografica completa e in locationadeguatamente selezionate, per manodel fotografo ufficiale del sito.Professionalità, atteggiamento corretto etanta creatività e positività. Articoli modadegni delle maggiori riviste glamour conprotagonisti i capi presenti in negozio,sostegno marketing, consulenza azien-dale e consigli freschi e giovani.Come giovani sono gli stilisti che ComeTiVeste accompagna nel loro percorsoin un settore che ha sempre barrieremolto alte.Attenzione all’ originalità creativa, allospirito e al talento.Le creazioni verranno valorizzate, cosìcome la storia di ognuno, e personalità eunicità la faranno da padrone.C’è voglia di impegnarsi, di darsi unamano, di creare sinergie e magie unichein percorsi dal sapore del dolce successocondiviso, dando uno schiaffo all’ oppor-tunismo e a chi vede, e forse vuole, i gio-vani piangere di una realizzazione nonavvenuta senza muovere un dito. Non è così! Qui i giovani si danno da fare, e non siarrendono, non partono questa volta,non abbandonano, ma creano e si ri-creano.

creativitàdella domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

La moda della città in una sola vetrina

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di Silvia Dongiovanni

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“ Ho registrato, storie, pensieri, amori, emozioni,illusioni, inganni, fantasie erotiche, dolori, pen-timenti, parole. Incontrato, a volte non cono-sciuto. Registrato, ma non intervistato. Di tuttoquesto vi rendo partecipi” così Rubidori Man-shaft dell’Officina Orsi presenta 12parole _

7pentimenti allestimento sonoro e visivo sul concettodi “parola liquida” che sarà presentato a Lecce, fuoriabonamento per la Stagione Teatrale del Teatro Pai-siello dal 14 al 18 marzo, l’atto accoglierà sedici spet-tatori ogni settanta minuti.

Alla base di 12parole7pentimenti - leggere nella notache accompagna lo spettacolo - c’è un lavoro di ricercache ha portato l’artista a raccogliere, dialoghi carpiti inmolteplici situazioni pubbliche e private. Ore e ore diregistrazioni. Un’enciclopedia di stralci di dialoghi lecui estrapolazioni andranno a raccontare delle storie.“La scelta dei temi (amore/ morte/ sesso/ denaro) égiunta solo a posteriori. Dalla costatazione che nellemigliaia di ore di registrazioni raccolte, i tempi portantidel vissuto, si riassumevano prepotentemente su que-ste scelte”Dal montaggio di tanti piccoli stralci nasce latraccia/tema. La drammaturgia, il racconto tematicoUn ascolto singolo in cuffia, comodo e raccolto. Unascolto privato, l’ascolto di noi stessi.Un “the end” per ogni traccia, scritto dall’autrice Ro-berta Dori Puddu e letti, solo questa volta, da attori.

Il titolo è un gioco che ci siamo permessi. Tra numero-logia e Tradizione, intesa quest’ultima come trasmis-sione di memorie, notizie, testimonianze.

12 dodici_Viene considerato il più sacro tra i numeri,insieme al tre e al sette. Il dodici è in stretta relazionecon il tre, poiché la sua riduzioneequivale a questo numero (12 = 1+2 = 3).7 sette Il numero sette esprime la globalità, l’universa-lità. Considerato fin dall’antichità un simbolo magico ereligioso della perfezione, perché eralegato al compiersi del ciclo lunare. E' il numero che fada tramite fra il noto e l'ignoto, ed è il numero delle in-tuizioni magicheParole_Sono quelle che compongono le tracce. Riem-piono o svuotano di significati. Uniche o universali.Sono le storie, i pensieri, le emozioni.Pentimenti_Il pentimento è un ripensamento in corsod’opera che l’artista mette in atto.Solo l’originale presenta il pentimento.Il processo creativo che passa attraverso il pentimentoè uno strumento fondamentale in fase di attribuzionedell’opera. Nessuna copia, nessun falso presenta rifa-cimenti o pentimenti.Il pentimento è la prova dell’autenticità di un gesto ar-tistico e del gesto di vivere.

Il lavoro di raccolta continua. E chiede a tutti coloro cheincontreranno, partecipandovi, oppure a quelli che neavranno sentito parlare, di lasciare una traccia. Delleloro vite delle loro visioni. Testi, storie, audio mp3,video.

su FACEBOOK: DODICIPAROLE SETTEPENTIMENTIoppure inviando via mail a

[email protected] YOUTUBE: 12parole7pentimenti

della domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0in agenda

A Lecce dal 14 al 18 marzo, un'istallazione teatrale della compagnia svizzera Officina Orsi(fuori abbonamento) per la stagione del teatro Paisiello

12 parole 7 pentimenti

spagine

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we can be heroes

copertina spaginedella domenica n°66 - 1 marzo 2015 - anno 3 n.0

creatività

We can be heroes è un laboratorio rivolto agli ado-lescenti tra i 15 e i 19 anni. Un invito a indagaresulla propria identità per provare a raccontarsi at-traverso la fotografia fuori dagli stereotipi, utiliz-zando i propri codici visivi e culturali.

Gli incontri si svolgeranno nel mese di marzo in orario pomeridiano ingiorni da concordare con i partecipanti. Il laboratorio è sia teorico chepratico e si concluderà con una mostra e una pubblicazione delle im-magini prodotte.We can be heroes è condotto dalla fotografa Alessia Rollo nell'ambitodel Progetto GAP - il territorio come galleria d'arte partecipata. La par-tecipazione è gratuita e aperta a tutti gli adolescenti anche senza unaparticolare esperienza nel campo fotografico.Alcuni incontri si terranno alle Manifatture Knos ma il laboratorio si svol-gerà in vari luoghi della città.Alessia Rollo, fotografa concettuale, nel 2009 ha ottenuto un Masterin "Fotografia creativa" presso la scuola EFTI a Madrid. Ha partecipatoa mostre personali e collettive in Italia, Spagna e in Brasile e ha colla-borato con "Media Lab Prado" nella realizzazione di Fluxstudio Per-formance Project, un progetto performativo in streaming che hacollegato artisti impegnati a Madrid e Salvador de Bahia. Insegnacome docente nel corso avanzato su I nuovi linguaggi fotografici, chesi tiene da tre anni a Lecce e ha partecipato alla residenza artistica in-ternazionale Default. Masterclass in residence (Lecce). Recentementeè stata selezionata da "Cimetta Found" per una residenza presso ilMO.ta (Museo di arte transitoria) a Lubiana. Vive e lavora tra Lecce eMadrid.

www.alessiarollo.com

G.A.P. il territorio come galleria d'arte partecipataIl progetto GAP è un esteso laboratorio territoriale di sperimentazionee contaminazione dei linguaggi contemporanei dell' arte nel dialogocon il tessuto sociale e geografico di confine. Da Lecce a Santa Mariadi Leuca quattro associazioni interagiscono, attraverso pratiche arti-stiche, con luoghi estremi, territori residuali per restituirli attivamenteallo spazio pubblico e accrescere il senso di appartenenza e comu-nità.“Vogliamo dare all'arte il ruolo sensibile e politico di svelare e re-im-maginare altre prospettive e nuove forme di relazione con il territoriodi cui facciamo parte” - scrivono i curatori presentado G.A.P. E an-cora:”Questo è il paesaggio che concepiamo, un paesaggio simbolicoche cerca collegamenti tra uomo e mondo, nel quale arte e socialitàdiventano occasioni di riflessione ed interpretazione della contempo-raneità, dell' umano e del collettivo, della scoperta di nuove prospettive,spazi agibili destinati ad essere vissuti in modo nuovo”.

http://gapgapgap.tumblr.com/projects

Ideazione e cura / Francesca MarcoCoordinamento / Gaetano FornarelliComunicazione istituzionale / Alessandra LupoComunicazione artistica / Luca CoclitePhotos / Yacine Benseddik

Partecipano: Laboratorio Urbano Aperto, Ramdom, Pepe Nero, SudEst / Manifatture Knoscon la collaborazione di Big Sur, DamageGood, Fondo Verri, Cinemadel reale, Officina Visioni

Fragile - Progetto GAP

WE CAN BE HEROESlaboratorio di fotografia con Alessia Rollo