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s p a g i n e Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri Spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

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Ecco le Spagine della domenica, penultimo numero prima delle vacanze di agosto. La copertina è dedicata al Festival SudEst Indipendente di CoolClub che omaggia l'artista Cat Power ospite della kermesse con un'opera di Cekos'art... Buona lettua e buon bagno per chi andrà al mare...

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spa gin e

Periodico culturale dell’Associazione Fondo Verri

Un omaggio alla scrittura infinita di F.S. Dòdaro e A. L. Verri

Spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

spagine

I giudici della Corte d’Appello di Milanohanno assolto Silvio Berlusconi dalleaccuse di concussione e di prostitu-zione minorile, nel cosiddetto pro-cesso Ruby, per le quali era statocondannato in primo grado a sette

anni. Il fatto non sussiste per la concus-sione, il fatto non costituisce reato per laprostituzione minorile, peraltro non provata.Questo il succo della questione.Mo’ – dico io – si può vivere in un paesedove la giustizia si propone con simili aber-ranti sentenze? Qui non siamo in presenzadi un processo che nel secondo grado digiudizio ha avuto a disposizione elementi digiudizio che non aveva avuto nel primogrado; qui siamo con gli stessi elementi, nédi più né di meno. Ne sapremo di piùquando sarà pubblicato il dispositivo dellasentenza. Allora, che cosa è cambiato? Nel merito,niente. Lo stesso bicchiere, una volta èstato visto mezzo pieno; un’altra volta,mezzo vuoto, anzi vuoto del tutto. Sono cambiate, però le circostanze, al-meno tre: la situazione politica generaleormai avviata a destinazioni diverse daquella di due anni fa; l’accusato ormai poli-ticamente fottuto; la corte composta nonpiù da donne ma mista a prevalenza ma-schile. Se a tutto questo aggiungiamo chela Procura di Milano è in preda ad unaguerra di tutti contro tutti, con accuse reci-proche incredibili e inconcepibili in unpaese civile, il quadro è completo. Dice: e questo, che c’entra? C’entra. Nellospirito di Papa Francesco, anche i giudicidevono osservare il Vangelo: non vedereperciò la pagliuzza nell’occhio dell’altro,quando nel proprio si ha una trave.Chi ancora non aveva capito – la mammadei ritardati mentali ormai è l’unica in Italiaad essere sempre incinta – beh, ormai hacapito che la giustizia nel nostro paese èun’arma politica, come neppure negli stati

totalitari accade.Ma una simile giustizia è veramenteun’arma politica? Se lo è, qualcuno la deveimpugnare. Oppure è semplicemente ma-lata? Probabile che siano vere tutte le ipo-tesi, perché è difficile che un’ipotesi possaessere così prevalente sulle altre, c’è sem-pre in casi simili un concorso di cause. Non è difficile, oggi come oggi, giungere aidentificare chi brandisce la giustizia comeun’arma. Ne sono pieni i giornali, special-mente i non allineati, come “Il fatto quoti-diano”, “Libero” e “il Giornale”. E’ pure vero,però, che questa giustizia è affetta da tuttele manie tipiche di cui soffrono i soggettimegalomani, con sindromi di onnipotenza,compiacenti e compiaciuti di fare tutto e ilsuo contrario pur di dimostrare che al disopra di sé non c’è nessuno. Si pensi aiTar, che annullano interi esami di stato,mettendo in discussione il lavoro di profes-sionisti, qualche volta anche seri e certa-mente non inferiori professionalmente aimagistrati, solo perché in un verbale mancauna parola o una virgola. E’ appena il casodi ricordare che ormai in Italia i concorsi inmagistratura spesso vengono annullati peruna serie di vergognose irregolarità, fra cuila conoscenza delle tracce prima dellastessa prova e l’evidente reato di plagio deicandidati “futuri padreterni” in quanto giu-dici. Ora, questa giustizia non ha accertato, aproposito del processo Ruby, l’inesistenzadei fatti in rubrica, anzi li ha ribaditi; hadetto però che le sporcaccionate di Berlu-sconi non hanno avuto niente a che fare coireati di concussione e di prostituzione. Va da sé che i cittadini italiani sono scon-certati sia per la prima sentenza, sia per laseconda. Se valesse anche oggi la ragionpolitica – quella seria e coerente – Berlu-sconi dovrebbe essere sacrificato sull’al-tare della credibilità di uno Stato, che forse,a questo punto, ha più bisogno di credibilità

che di Pil.Cosa potrebbe accadere dopo questa sen-tenza après-saison? Berlusconi esce raffor-zato. Potrebbe essere tentato di rialzare latesta, di ribadire la sua insostituibilità al ver-tice di uno schieramento politico che ormaisi avviava ed è avviato al raggiungimentodi una nuova dimensione politica, di recu-perare addirittura sogni quirinalizi. La primacosa che è stata sparsa ai quattro venti èche si va avanti con le riforme nello spiritodel Nazareno, inteso come patto tra Renzie Berlusconi. Appare allora chiaro che la prima sentenza,di condanna, serviva a rottamare un politicoancora forte, mentre la seconda, di assolu-zione, serve a restituire al rottame effi-cienza e forza, per continuare a sostenerelo stesso processo politico. Tutto questo va a scapito di chi oggi, dentroe fuori la maggioranza di governo, tenta dipercorrere una strada diversa. Soprattuttoè penalizzato il centrodestra, ridotto al ruolodi valvassino nel neofeudalesimo politicoitaliano.Bisogna avere una bella faccia tosta o vi-vere fuori dal mondo per dire, come ha fattoPierluigi Battista sul “Corriere della Sera” disabato, 19 luglio, che tutti dovrebbero es-sere contenti, perché la seconda sentenza,di assoluzione, ribadisce il principio-cardinedello Stato di diritto secondo cui si è inno-centi fino a sentenza definitiva. E non do-vrebbero «essere scontenti – secondol’ineffabile uomo del “Corriere” – tutti quelliche hanno virtuosamente negato di avervoluto mischiare vicende giudiziarie e vi-cende politiche». Per Battista questa sen-tenza celebra, insomma, ancora una volta,i fasti della nostra giustizia. Incredibile! Giuro che alla lettura di simili untuose pa-role, mi son tenuto con due mani afferratoalla sedia per non ritrovarmi col culo perterra, scivolato per tanto profluvio di mate-riale oleoso.

Solo un po’sporcaccione

di Gigi Montonato

“Silvio Berlusconi assolto dalle accuse di concussionee di prostituzione minorile, nel cosiddetto processo Ruby...Lo stesso bicchiere, una volta è stato visto mezzo pieno;un’altra volta, mezzo vuoto, anzi vuoto del tutto”

della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

Si saranno accorti tutti i milioni e milioni di spettatori del campionatomondiale di calcio, conclusosi domenica 13 luglio in Brasile, che icalciatori tedeschi, campioni del mondo, avevano indosso due di-vise, una banale: maglietta, pantaloncini e calzettoni coi colori e ifregi della Germania; l’altra più importante: capelli e barbe rasati,nessun tatuaggio sul corpo, nessuna cresta in testa o altre strava-

ganze cromatiche e folkloriche; nessuna lacrima o conato di vomito; nessuna sce-neggiata per falli veri o presunti subiti; nessuna protesta per decisioni arbitralidiscutibili. Questa seconda divisa, che in realtà è la prima, i tedeschi la fanno in-dossare perfino a quegli stranieri che finiscono per essere naturalizzati tedeschi econseguentemente utilizzati nella nazionale di calcio. Se non fosse perché i trattidel viso e il colore della pelle erano diversi i Khedira, gli Ozil, i Boateng, nonostantequalche piccolo irrinunciabile vezzo etnico, sembravano autentici tedeschi. Tuttidecisivi nel costruire il successo: tutti protagonisti, nessun personaggio.Nulla di strano. Anche noi italiani facciamo indossare agli stranieri che giocano nellanostra nazionale la divisa comportamentale italiana; così abbiamo fatto di Balotelliun italiano doc. Chi saprebbe distinguerlo da un Cassano, colore della pelle aparte? Lungi dall’ancorare la vittoria del mondiale alla sola divisa comportamentale, nonsi può tuttavia non fare qualche considerazione. Né si può scemare il valore criticodi quanto sopra con le solite obiezioni che furoreggiano nel calcio: se quel tiro in-vece di andare di poco fuori fosse andato dentro, non staremmo qui a celebrare leteutoniche divise. Da che mondo è mondo si valutano i fatti, quelli che sono acca-duti e non quelli che sarebbero potuti accadere. Dunque tedeschi campioni delmondo in duplice divisa.Il mio professore di lingua e letteratura tedesca e germanistica all’Università, Fran-cesco Politi, che i tedeschi li conosceva bene essendo stato per anni in Austria ein Germania come direttore di istituti italiani di cultura prima dell’insegnamento uni-versitario, diceva che i tedeschi fanno le cose di pace con la stessa serietà e conlo stesso impegno con cui fanno le cose di guerra. “In pace decus, in bello praesi-dium” diceva di loro Tacito circa duemila anni fa nella sua “Germania” (in pacesplendore, in guerra difesa).Aveva perfettamente ragione. Nell’immediato dopoguerra lo scrittore Carlo Levi,ben noto per il suo libro “Cristo si è fermato a Eboli”, si fece un giro in Germania etrasse un reportage che pubblicò col titolo “La notte dei tigli”. Pensava Levi di trovareuna Germania devastata dalla guerra, un fumar di rovine e i tedeschi avviliti, pentiti,imploranti perdono mondiale e aiuti stranieri per riprendersi dall’immane catastrofe.Pensava, lui ebreo, di godersi la rivincita per quanto la sua gente aveva patito per

colpa del nazismo. Invece lo scrittore rimase stupefatto: tutto ricostruito, tutto in or-dine, le vie e le piazze ben pulite, non si vedeva un muro sbrecciato, i servizi fun-zionanti, la gente come se non ci fossero mai stati in Germania né nazismo néguerra. Una cosa che non sembrava neppure vera al reduce di Eboli. Sorpreso espiazzato, scambiò il ben di Dio trovato con l’indifferenza di un popolo che avevarimosso completamente con le rovine anche le colpe. Ecco, i tedeschi giocano al calcio, che è cosa di pace, come sterminavano interiquartieri nelle città occupate in tempo di guerra, con la stessa divisa comportamen-tale. Nel distruggere le cose degli altri in guerra e ricostruire le proprie cose a guerrafinita esprimono la stessa serietà, ligi ad uno stesso dovere, obbediscono a degliordini. Li abbiamo sentiti dire più volte i criminali di guerra nazisti, a partire dal processodi Norimberga ai nostri giorni, di non negare nulla di ciò di cui venivano accusatima di non sentirsi responsabili di nulla; ognuno ha ripetuto: ho solo obbedito a degliordini. Chi li ha condannati a morte probabilmente non ha creduto al mantra “hoobbedito a degli ordini” o forse sì, ha creduto, ma doveva pur dare al mondo unmessaggio che scongiurasse il ripetersi di simili tragedie. Oggi la Germania è la potenza politica ed economica più importante dell’Europa.Se a tanto è giunta, dopo l’annientamento subito con la seconda guerra mondiale,significa che il suo popolo ha delle doti eccezionali, tra queste il senso della disci-plina, del decoro, della serietà, dell’impegno, dell’obbedienza. “Obbedire agli ordini” non è un fatto in sé negativo; anzi, in tempo di pace significaprogresso, efficienza, successo in tutti i campi. I successi, infatti, giungono graziea queste doti; non sono regali piovuti dall’alto di un Signore universalmente mise-ricordioso, che distribuisce beni a pioggia; ma da un Signore selettivo, che premiachi merita. Dobbiamo convincerci che la mamma non ce la scegliamo, ma Dio sì:a ciascuno il suo.Ma il vero ordine a cui i tedeschi obbediscono non è affatto esterno, come soste-neva Curzio Malaparte, che pure tedesco era per parte di padre, narrando un epi-sodio sicuramente inventato in una delle sue più celebri opere, “Kaputt”, in cui isoldati tedeschi non obbedivano all’ordine del comandante solo perché non era indivisa; il vero ordine sentito dai tedeschi – dicevo – è tutto interiore, è un obbedirea se stessi, a quel loro essere insieme individui e popolo, singoli e insieme. E’ quel-l’imperativo categorico, teorizzato da Kant, uno dei più rappresentativi filosofi te-deschi, a cui il tedesco tipo non sa sottrarsi. Dei calciatori della Mannschaft campioni del mondo, ci sarebbe solo da sorpren-dersi che alla fine hanno perfino gioito!

Gigi Montonato

Ordineeseguito!

Diario

Il Commissario Tecnico Joachim Löw della nazionale tedesca e alcuni suoi ragazzi. Cli abiti sono di Hugo Boss

La Germania Campione del Mondo

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

Quante volte ci siamo sentiti cit-tadini estranei e incompresi diquesto mondo ipertecnologiz-zato, di questo villaggio globaleimprontato alla massimizza-zione del profitto, al culto

estremo dell’economia? Quante volte le leggiinappellabili e “auree” del mercato si sono disve-late ai nostri occhi come esangui teoremi, prividi sostanza? Quante volte ci siamo sentiti espulsio, comunque, messi ai margini al cospetto di ab-normi meccanismi iperefficientistici? Dovremmo,forse, uscire all’aperto e respirare aria pura. Dovremmo oltrepassare i domini limitati del pic-colo cabotaggio, del povero tornaconto perso-nale, dell’insignificante ripiegamento su se stessi,guardando con fiducia oltre gli angusti e strettigiardini. Mirando al di là della siepe, l’orizzonteche roseo e, comunque, meno angoscioso puòschiudersi. Anche se tanti mezzi di informazionesono molto parsimoniosi e stitici nel divulgarecerte notizie, negli ultimi anni, è cresciuto nel no-stro Paese un movimento plurale di donne e diuomini con l’intento primario di valorizzare l’ine-stimabile ed inalienabile patrimonio dei beni co-muni. L’acqua, la cultura, la casa, l’accessogratuito e libero ad Internet, le ricchezze energe-tiche edecologiche, il gusto insopprimibile dellalibertà, dovrebbero essere risorse ad appannag-gio di tutta la comunità. Il bene comune è “carne”viva, da mangiaretutti assieme, da dividere espezzare devotamente con mani compagne, inuna mensa imbandita di comprensione.Il bene comune non è davvero quello che ci am-mannisce subdolamente una deteriore vulgata.Insomma, non è quell’esercizio retorico osten-tato come belletto da alcuni politici, che sannoannaspare fragorosamente nei dibattiti televisivie nelle quotidiane interviste sulla carta stampata.Il bene comune è un antidoto potente contro l’in-dividualismo sfrenato, oltre l’inconsistente e fer-reo giogo della convenienza.Fa bene la Chiesa cattolica a tuonare vigorosa-mente contro il virus pernicioso dell’ individuali-smo spinto allo stremo: “Se le grandimanifestazioni dell’umano sono pensate inchiave autoreferenziale è l’uomo a perdersi”.È vero, se trattiamo la realtà effettuale con at-tenzione, possiamo notare che s’apre intorno ununiverso più fascinoso: la solidarietà, la gratuità,il dono, l’amicizia, la compartecipazione. Indubi-tabilmente, viviamo un cambiamento d’epoca:patiamo una crisi lavorativa senza precedenti; lesacche di povertà diventano sempre più ampie.Siamo immersi in un’era lacerata, sconfitta, do-lente: siamo in tanti, confusi, alla deriva a soffrirelo stigma dell’esclusione sociale; la pervicaceeconomia capitalistica mostra ogni giorno il suovolto sfatto e terribile; l’ambiente fisico, naturale,viene devastato dalla scriteriata mano antropicadell’uomo occidentale, che non sa ancora coniu-gare compiutamente disposizione e diffusionepartecipata dei beni comuni con una saggia eco-nomia delle risorse.La Chiesa cattolica segue i suoi dettami e fabene quando denuncia “l’impoverimento dellerelazioni, dei legami fra gli individui”, quando in-veisce contro la sacralizzazione e l’idolatria del“dio-denaro”, in nome del quale vengono perpe-trare colossali ingiustizie e inverecondi misfatti.Nei periodi di invalidante depressione, è neces-sario più che mai incrementare la cultura del-

l’amore, dell’accoglienza, del rispetto reciproco.E siamo in tanti, sia cattolici che laici ( credenti,non credenti, diversamente credenti), ad esseresmarriti, feriti, ai margini di questa filosofia do-minante, che esalta la produttività ad ogni costoe innalza sperticati inni di lode ai cosiddetti strativincenti. Siamo cattolici e laici, ben disposti adapprezzare il silenzioso ed alacre Paese delleanime pure. La Caritas e la comunità di San-t’Egidio, da anni, offrono conforto ai poveri, agliultimi, ai diseredati che fanno fatica a tirareavanti.Nell’odierna società multietnica e multiculturale,che velocemente cerca di edificare nuove ragionidi vita, la Caritas e la comunità di Sant’Egidio vi-vono anche con il cuore dei volontari, che aiu-tano i migranti. Anche il presidente Napolitano hasempre usato nei confronti del popolo “straniero”parole calde: “Integratevi, rimanendo quel che

siete e allo stesso tempo diventando italiani edeuropei”. È giusto che i migranti onorino le no-stre leggi, la nostra Carta costituzionale, ma èimpensabile che rinuncino alle loro vivide culture.Qualche differenzialista, razzista politico delNord, irrispettoso della ricchezza multipolare deicittadini del mondo venuti da terre lontane, vor-rebbe uniformare in un unico calderone nazio-nalistico gli usi, i costumi, le religioni varie. Comese svilire la fecondità dell’altro da sé, servisse astabilire una supposta superiorità di noi abitantiautoctoni. Nella bellezza smisurata della diversitàtraluce la pacifica convivenza dei popoli. L’alteritàè una gemma luminosa. Accostarsi con delica-tezza e con dolcezza all’altro da sé, vuol diredare sostanza e significato al proprio sé, allapropria interiorità. Il francese Pierre- André Ta-guieff, filosofo e storico delle idee, scrive che “innome della fraternità universale, l’Umanità deverealizzare la propria unità, deve divenire, in-somma, quella che è, ossia una grande famiglia”. La fraternità e la civile accoglienza sono, sen-z’altro, beni comuni da coltivare. Vorremmo in-tensamente che l’Europa delle banche sifornisse, finalmente, d’una sensata e praticabilepolitica immigratoria. Inoltre, sarebbe auspicabileche le istituzioni italiane e il governo del ram-pante Renzi imparino a leggere la questione an-tropologica con occhi chiari: con la tenacia, adesempio, di Papa Francesco. Con la dolcezzae l’intraprendenza d’un uomo carismatico e au-torevole, che pone alla base del suo agire la mi-sericordia. In Italia, purtroppo, in questi anni,certa politica demagogica di centrodestra hasfruttato le emergenze dei disparati in fuga pervellicare la pancia d’un elettorato timoroso e in-fluenzabile. Per confezionare leggi e pacchettisicurezza, che, invece di risolvere i problemi,hanno avuto più che altro, con la loro malcelatavocazione strumentale, il risultato d’incancrenireuna tematica già incandescente. Solitamente, lesinistre sono storicamente attente alla questioneimmigrazione. Ci chiediamo: nel settembre del2013, dove erano i dirigenti, i militanti e i simpa-tizzanti del Pd, quando ai banchetti dei Radicalisi raccoglievano le firme per il fallito referendumabrogativo della infausta legge Bossi- Fini? Ve-rosimilmente, erano impegnati altrove, per ilsemplice fatto che il Pd non è propriamente unpartito di sinistra.

Contemporanea

la siepeOltre

di Marcello Buttazzo

La fraternità e la civile accoglienzasono beni comuni da coltivare

La victorie - Renè Magritte

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

La vita ai tempi di twitter... C’era una volta la politica, poi èarrivato twitter.C’erano una volta discorsi e analisi e com-menti, c’erano comunicazioni agli elettori. Poi è arrivato twit-ter. Il ministro Padoan (in sintonia con il suo premierragazzino) in piena riunione Eurogruppo twitta: finalmentesi parla di crescita. (Dei capelli? Ricrescita?)

Renzi, dopo l’affaire Errani che vede un presidente di regione accusatodi reati inquietanti, invia perle di saggezza: Finché non c’è sentenza pas-sata in giudicato un cittadino è innocente.Bella botta veramente, verrebbe da ritwittare: però quando uno è con-dannato per reati contro lo Stato non può essere interlocutore per le ri-forme istituzionali in nome del popolo italiano. Meglio Dudù. Ormai twittano tutti, anche il buon Papa Francesco ci fa sapere cinguet-tando: Con Dios nada se pierde, pero sin Él todo está perdido.Insomma, tutto è tweet.Anche Civati, le riscossa della sinistra, ci casca come una pera, arrivaun tweet che annuncia la morte di Ciampi (solamente ricoverato), l’as-semblea a Livorno si interrompe e si sperticano in un commosso ricordodel Presidente Ciampi, applauso dolente compreso. Era solo unoscherzo. E si che ci sono computer accesi ovunque, a nessuno viene inmente di digitare www.ansa.it ? Macchè.Una notizia simile andrebbequanto meno verificata.In fondo quella di Papa Francesco è fede, in Dio si crede e basta, non sidiscute, neppure si riforma. E la fede, sappiamo, è fatta di dogmi e prin-cipi insindacabili, a costo di portare avanti, in nome e per conto di Dio, lascomunica di Galileo per qualche secolo. Ma questo è altro discorso.Il problema è quando i tweet riguardano l’economia, la politica, la giusti-

zia, la vita pubblica. Che me ne faccio di un tweet di Padoan se non midice qual è il parametro per la crescita?Ormai con twitter si annunciano anche divorzi o fine di rapporti: “staseranon torno per cena, neppure i prossimi anni tornerò”Oppure la tolleranza zero: “Nessuna tolleranza per le moschee abusive”(Letizia Moratti già sindaca di Milano). Scritto così, come fosse la listadella spesa, abusivismo religioso trattato alla stregua di una qualunqueriforma costituzionale. Me la vedo la Moratti scrivere sull'agenda: Com-prare Pane, caffè, latte, pasta integrale, abbattere una moschea. E c’è Gasparri che con i tweet riesce pure a litigare con Paolo Virzì reodi aver detto una banale verità: “Incredibile avere avuto personaggi me-diocri come Gasparri al governo…” per tutta risposta riceve un “si curine ha bisogno, avvertirò i suoi parenti”.Se non è dibattito alto questo…Poi ci sono quelli divertenti: “Silvio infuriato per l’ora legale, la definisce:un complotto contro di noi”Oppure uno che tenta di salvare twitter: “Uno dei vantaggi è che i cafonirestano cafoni, però almeno sono sintetici”E non è poi così male.Ci sono i tweet meteorologici: “a 40° il condizionatore non serve, meglioil rosmarino”.E per tornare alla politica, Renzi è “al lavoro su terzo settore, ILVA, sem-plificazione” intanto voi state al mare e soprattutto state sereni! (Questanon la scrive però. Letta si tocca le palle ogni volta che la sente).Leggevo da qualche parte che prima c’erano gli sms, poi facebook, poitwitter. E pensare che quando l’umanità era retrograda, addirittura le per-sone si parlavano guardandosi in faccia, giurassici!

Il tempo di un tweetCorsivo

di Gianni Ferraris

spagine

- Sono stata a Roma e sono ritornata ap-pena ieri. Prendiamo un caffè insieme? - Sì, volentieri. - Mio marito e i ragazzi non mi lascianoun attimo di respiro. Tutto il tempo chenon dedico agli impegni universitari è in-teramente monopolizzato da loro, quindinon riesco a fare niente di quello che mipiacerebbe. Pensa, ho anche dovuto la-sciare la palestra. - Uhh.. c’è da diventar matti, guarda, fra icompiti a casa, la palestra dell’uno, ladanza dell’altra, il corso di computer.. epoi cucinare, lavare, stirare, e con i tempiche corrono non posso nemmeno piùpermettermi una donna di servizio...- Immagino. Io vivo sola, ma, nonostantenon abbia i tuoi problemi, mi rendo contocome sia faticoso stare dietro ad una fa-miglia come la tua.

Nella penombra della piccola casa loscrosciare mattutino del rubinetto apertoandava a mescolarsi con il rumore dellospazzolino che energicamente sfregavasui denti, poi gargarismi e sputi secchi in-dirizzati allo scolo del lavandino. Pulì conun dito la parte superiore del tubetto,prese il tappo e lo chiuse.Era sempre attenta a non sprecare il den-tifricio, da qualche parte aveva letto chemolti anni prima una nota marca, ormaisull’orlo del fallimento, aveva escogitato i'idea di ingrandire il buco del tubetto: lagente abituata ad esercitare un certo tipodi pressione per far fuoriuscire il prodotto,con il buco allargato, si sarebbe trovataa gestire sulle spatole del proprio spazzo-lino una quantità tanto maggiore che una

parte di essa sarebbe inesorabilmentecaduta nel lavandino. Più dentifricio nellavandino, più vendite per l’azienda pro-duttrice. Chiuse il rubinetto e si asciugò ilviso. Spalancò la finestra, l’atmosfera ir-rorata dagli ancora flebili raggi solari davaal cielo una tonalità di turchese chiaro,striato da riflessi giallognoli.La città stava lentamente iniziando con ilsuo rantolo fatto di grida di bambini, delrombo di motociclette e auto, e qualchevolta dall'abbaiare di cani. Molto più in altoil nero dello spazio siderale. Anny, ta-gliandole furtivamente la strada, con unbalzo andò ad appollaiarsi sul cornicione.- Maledetta Anny! Prima o poi mi farai ca-dere!

Anny amava passare le sue giornate sulcornicione del terzo piano di quella casacostruita nei primi anni cinquanta grazieal piano Ina case. Politiche di edilizia po-polare e urbanizzazione delle periferieche suo padre, operaio del Comune, gra-zie all’interessamento di un compare, as-sessore militante DC, era riuscito a fareproprie, ottenendo un appartamento dicirca 60 mq in muratura, in sostituzionedella vecchia baracca in cui, nel primo do-poguerra, aveva trovato dimora e avevamesso su famiglia. Ricordava ancora lasorpresa e la gioia quando da bambinaero entrata per la prima volta in quellanuova casa. Profumo di pulito e di ver-nice ancora fresca; quattro stanze ampiee vuote, che sarebbero state riempite, neigiorni successivi, con la mobilia di se-conda mano proveniente dalla vecchiabaracca, trasportata a bordo di un arrug-

ginito apecar. Era ancora vivo il ricordo della prima voltache spalancò quella finestra , così comeera ancora vivo nei suoi ricordi il profumoinebriante di salsedine che attraversol'abbaino il vento portava da quel mare di-stante solo pochi chilometri. In basso, sisnodava intorno all'edificio l’asfalto neroe gommoso, perdendosi più in lonta-nanza in mille sterrati che finivano in pro-fonde voragini, in cui uomini e macchinegettavano le fondamenta della futuraespansione della città. I giochi con i nuovi amichetti lungo queisentieri, il rincorrersi a perdifiato nei po-meriggi di fine giungo, quando la scuolaera ormai finita, tra le campanule selvati-che e il lentisco, sguazzando nelle poz-zanghere, e il sali e scendi da quellecollinette con le scarpette che si riempi-vano di terra rossa. Ricordava con nostalgia le avventuroseesplorazioni nelle nuove costruzioni, ladomenica, quando gli operai non lavora-vano al cantiere; li conoscevo tutti nei lorointimi dettagli quegli appartamenti, checon il passare degli anni erano stati com-pletati, tinteggiati di rosso, giallo e rosa,chiusi con enormi porte e poi assegnati afamiglie nuove di zecca. Ora, erano an-cora lì davanti a lei, sbilenchi, con le lorolenzuola come vele spiegate al vento.Erano passati molti anni da allora, e iltempo come carta vetro aveva raschiatoe consumato, fino a volte a cancellarli,molti dei volti felici che ancora popola-vano i sui ricordi.Anny c’era sempre stata in quella casa,dal primo giorno, quando salendo le scale

della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0Scritture

di Alessandro Vincenti

Annydell’immobile appena costruito, in unantro del muro, suo padre notò la nidatadi piccoli micini affamati e miagolanti.Erano in tre, un quarto non ce l’avevafatta ed era lì, steso e morto. Mammagatta, dal grado di lamentele dei cuccioli,erano giorni che non si faceva vedere.Era probabilmente anch'essa morta. De-cisero, la sua famiglia insieme agli altrineo inquilini, di farsi carico dei micini. A loro toccò Anny. Da allora, Anny aveva seminato figli, eraandata a finire sotto un gran numero diauto, volata dal terzo piano, cambiato di-mensioni, sesso, carattere, colore delmanto e degli occhi, ma per lei era sem-pre rimasta la sua Anny.Come quel giorno nella cucina dellanuova casa, quando la prese per la primavolta tra le sue piccole manine. Tremantee con quel materiale rattrappito e di coloregiallognolo che le serrava gli occhi, ridu-cendoli a due piccole fessure che leiamorevolmente aveva ripulito con del-l’ovatta imbevuta nel caldo infuso di ca-momilla; e poi la piccola bocca cheritmicamente si apriva e si chiudeva perchiedere cibo, o chissà che cosa, e an-cora lei, bambina, che la nutriva attra-verso una siringa piena di latte. Erainverno inoltrato, e le finestre erano tuttebagnate dalla condensa. Da lassù, osser-vava le persone passare lungo la stradaassolata che costeggiava il fabbricato,ascoltava il clangore dei bambini nellastrada chiusa, poco più in là; le mille fine-stre del palazzo di fronte che si aprivanoe si chiudevano, quasi sospinte da quellacalda brezza che le accarezzava il pelo.

- Sono all’Università. - Che cosa vuoi ? Perché hai fatto questapazzia di venire fin qui?- Ma come fai a dire che non può finirequando sai bene che è finita ed è finitagià da tanto? - No, io non ho nessuna intenzione distare lontano da te. Dammi un’altrachance ...

Sul fermo immagine dei due volti degli at-tori partì la sigla di chiusura della puntatan.1046 della fiction “Manca la madre”,tratta dal best sellers di P.J. Viquente, sulcanale 433 della tv via cavo. Era anchel'ultima puntata di quella stagione televi-siva e i titoli di coda iniziarono a scorrereveloci, sfumati nel loro andare dall'altoverso il basso dalle proprietà organoletti-che, dissetanti e rinfrescanti del té estivodella pubblicità, da sorseggiare sotto ilsolleone di spiagge esotiche. Le dieci diun mattino di inizio estate, con il caldo cheiniziava ad entrare turbinoso dalla fine-stra. I rumori della città si fecero più as-sordanti: voci maschili gonfie di rabbia eviolenza iniziarono a mischiarsi all’ozonodel cielo, rendendo l’atmosfera lattigi-nosa, opaca e poi sporca. Ricordò le urla lontane del suo defuntopadre, e in preda ad un impeto si lanciòverso la finestra e afferrando le ante, lechiuse con violenza. Anny volò ancoraun'altra volta dal terzo piano. Mentre congli artigli cercava ancora di afferrarsi aldrappo dello spazio vuoto, arrivò il ru-more sordo dello schianto. Alcuni giornidopo, come d'abitudine, uscì di casa per

comprare il necessario, al ritorno, in unantro del parco, sotto la siepe incolta,sentì dei miagolii, vide Anny lamentarsi in-sieme ai suoi 2 fratellini sopravvissuti, ilquarto non ce l’aveva fatta; dall’intensitàdei miagolii capì che mamma gatta nonsi faceva vedere da molti giorni. Forse eramorta. Prese con sé Anny e la portò acasa, dove con della ovatta imbevuta nelcaldo infuso di camomilla iniziò a pulirlegli occhi da quel materiale rattrappito e dicolore giallognolo che le chiudeva gli oc-chietti, trasformandoli in piccole fessure;e per i primi giorni la nutrì tramite una si-ringa piena di latte. Con il passare delle settimane, Annyprese l’abitudine di trascorrere le giornatesul cornicione della finestra spalancata.

Le strade erano ancora bagnate dallapioggia della sera prima. Dalle aiuole lelumache, lasciando i loro nascondigli trala fitta e bassa vegetazione, si avventu-ravano lentamente lungo il viale in ce-mento.Nella piccola casa il profumo di caffè e ilsolito brusio della televisione accesa simescolavano al rumore dello spazzolinoche energicamente sfregava sui denti, poigargarismi e sputi secchi e precisi indiriz-zati allo scolo del lavandino. Si asciugò il viso. Spalancò la finestra, lacittà iniziava il suo rantolo, Anny, taglian-dole furtivamente la strada, con un lungobalzo andò ad appollaiarsi sul cornicione.- Maledetta Anny! Prima o poi mi farai ca-dere!

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0Workshop

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

Nella chiesa dedicata alla Madonna di Lo-reto a Surbo (prov. di Lecce) è collocato(navata destra) un interessante altareche, dedicato oggi al “Cuore di Gesù, èuna felice espressione di quel periodo

artistico noto più comunemente come Barocco lec-cese. Ad una analisi più ravvicinata si scopre che leforme di tale altare fanno riaffiorare nella memoria inmodo chiaro quelle di uno dei maggiori scultori e ar-chitetti della storia dell'Arte e dell'Architettura locali,il leccese Giuseppe Cino (1635 - 1722).L'altare di fatto ha una struttura compositiva moltosemplice: due colonne tortili (con relativa trabea-zione) avanzate rispetto al piano di fondo; al centrodi quest'ultimo, e compresa fra le due dette colonne,è una nicchia che, inquadrata da una cornice dal pro-filo spezzato e decorata con motivi vegetali, ospitauna statua di fattura moderna (così come il taberna-colo). Alle spalle di ogni colonna si intravede una pa-rasta (il capitello corinzio di quest'ultima è simile aquello delle colonne tortili) il cui andamento verticalenei suoi margini laterali è “spezzato” dal succedersidi volute ad “S” e angeli a mezza figura con ali chiusecui si agganciano, come nelle citate volute, grappolidi frutta. Entrambe le colonne poggiano ognuna suun basso piedistallo sulla cui faccia frontale è scolpitoun cherubino alle cui ali spiegate sono appesi altrigrappoli di frutta. Al di sotto di ogni colonna e piedi-stallo (all'altezza cioè del primo ripiano posto imme-diatamente sopra la mensa attuale) ancora unsecondo piedistallo (più alto del precedente) che,oggi parzialmente modificato, arriva fino al pavi-mento. La storiografia locale ritiene che questo altareprovenga dalla chiesa matrice di Surbo e sia quelloun tempo dedicato al Rosario. La mensa, estraneaai modi esecutivi di Cino, è caratterizzata da uno stileriscontrabile in altri casi simili scolpiti in tempi nonmolto distanti da quelli di realizzazione dell'altare.Tornando a quest'ultimo ciò che colpisce è la ric-chezza del suo apparato scultoreo costituito da mo-tivi vegetali e animali (come quelli che si inerpicanosulle le colonne tortili oppure quelli presenti nelle su-perfici piane) nonché da putti scolpiti anche a tuttotondo (a figura intera o meno).Da questa solo succintamente descritta articola-zione, quasi un incessante inseguirsi si potrebbedire, di forme ne scaturisce un sistema figurativo cheappare caratterizzato da un singolare quanto equili-brato gioco di ombre e luci. Sopra la trabeazione èuna epigrafe in posizione centrale dove però la tin-teggiatura superficiale non consente di leggervi al-cunché ammesso che qualcosa di scritto vi sia. Unoscudo partito con gli stemmi delle famiglie Pepe-Se-verino, infine, nel sormontare l'epigrafe non solochiude la struttura triangolare sommitale (compostada più elementi singolari: due angeli laterali, epigrafecon angeli, stemma appunto) ma in più suggella esigla sia la proprietà dell'altare stesso che la devo-zione di cui l'opera scultorea si fa portavoce. Andrebbe ricordato infine che nella chiesa madre diSurbo (da cui proverrebbe l'altare come detto) è inol-tre una statua raffigurante la Madonna con in braccioil Bambino (foto 2). Tale opera, oggi collocata in unanicchia posta in alto al centro della parete di fondodel coro, è pure attribuibile allo stesso Cino. Questi,ricordiamolo, è l'autore di molte opere fra cui l'auto-grafato e datato altare (1705) del Rosario nellachiesa madre di Martignano (prov. di Lecce) oppureil progetto per la costruzione di quello che oggi è de-finito l'antico Seminario in piazza Duomo a Lecce. Sequesta attribuzione fosse avvalorata da un ulterioreriscontro (documentario e non solo) tali due opere (el'altare in particolare) a Surbo potrebbero una voltadi più e con maggiore certezza confermare il valorestorico-critico della figura di G. Cino, artista che, par-ticolarmente prolifico, fu in più capace di una sostan-ziale “costanza esecutiva” che è quella cioè diriuscire, nel corso di tutta la sua lunga carriera, a ri-produrre sempre le stesse forme, gli stessi trattiumani per esempio, tanto da generare una cifra stili-stica davvero inconfondibile.

Nel segnodi Cino

di Fabio A. Grasso

L’ate di costruire la cittàA Surbo un altare

dello scultore leccese

Sopra, nella foto piccola, l’altare dedicato al Cuore del Gesù. In grande Madonna con in braccio il Bambino (foto 2)

spagine

Protagonista di queste righe è una com-paesana, signora pressappoco a metàtra gli ottanta e i novanta, precisamentedella classe 1930, tuttavia dal porta-mento ancora solido e ben eretto, incerto qual modo figura tipica della co-

mune piccola località natia.L’ho presente da quando era ragazza e non avevaancora un “vero” fidanzato, che, poi, alla fine, trovò inun bravo giovane di un paese dei paraggi, al qualeandò in sposa - dopo una non proprio insolita, almenoper quei tempi, fuitina - dando alla luce tre figli.E però, si può dire che A. abbia una storia, piccolaquanto si vuole ma pur sempre storia, nel senso che,a modo suo, è conosciuta e fa notizia a partire dallatenera età, periodo in cui iniziò a distinguersi e ademergere, nell’ambito della sua leva e anche fra le ra-gazzine più grandi, per via del carattere esuberante,sempre pronta e incline agli scherzi e alle birichinate,allegra, immancabilmente in primo piano, battutalesta, peraltro anche disponibile a rendersi utile in ognioccasione.Genitori contadini, la madre originaria della confinantelocalità di Andrano, un fratello più grande e uno piùpiccolo.Iscritta alle elementari, voglia di studiare zero, uno piùdue, lo ammette candidamente la diretta interessata,erano, nella sua testolina, un’incognita, degli stessilibri, quaderni, penna e calamaio le importava poco eniente.In classe, il suo posto era, naturalmente, in un bancodell’ultima fila, giacché cresceva alta, in ciò distin-guendosi, di gran lunga, dal resto della scolaresca.A quanto da lei stessa raccontato, la mattina, entratanell’aula, si preoccupava di adempiere a un precisocompito, auto attribuitosi in esclusiva, cioè a dire dipulire e mettere in ordine la cattedra degli insegnanti:gliene toccarono due, nel corso degli anni, donn’Elvirae don Pippinu.In aggiunta a tale incombenza, grazie a un rudimen-tale armamentario ben celato in tasca, fatto di un ago,un batuffolo di bambagia imbevuto d’alcool e piccolifili di cotone, approfittando di momentanee assenzeo distrazioni del maestro, si occupava, si pensi un po’,così come una persona adulta aveva fatto nei suoiconfronti, di forare i lobi delle orecchie delle compa-gne, per quella che sarebbe stata l’eventuale succes-siva applicazione degli orecchini, così, a crudo, asangue freddo, suggellando il suo “intervento” con ilpassaggio, attraverso i buchetti, degli anzi indicati pic-coli fili di cotone.Talora, ovviamente, l’insegnante arrivava ad accor-gersi delle sue strane, temerarie e pericolose “distra-zioni”, al che, è ovvio, scattava un castigo.Tiene ancora a memoria, l’amica, in particolare, chein una circostanza, don Pippinu, avendola sorpresain flagrante, la chiamò intimandole di avvicinarsi allacattedra e di “stendere la mano” per ricevere la clas-sica, allora purtroppo in uso, bacchettata, medianteuna riga di legno che l'insegnante aveva in dotazione,anche se, in occasione delle visite della Direttrice di-dattica, la faceva sparire.

Correvano altri tempi, in questo caso meno male cheson passati e lontani, purtroppo i genitori, benché fos-sero a conoscenza del “sistema”, occupati come sitrovavano in altre faccende, forse più vitali, e nel con-vincimento, in fondo, che gli scolari dovessero essereeducati, pensavano che non fosse il caso di andaretanto per il sottile in merito alle modalità correttive, unasorta di passiva accettazione del fine che giustifica imezzi.

Ma, anche all’atto dell’anzidetta marachella, eccoscattare l’intraprendenza e prontezza di A.: un istanteprima che le arrivasse addosso la riga, fu lesta a tirareindietro braccio e mano, col risultato che il colpo, tut-t’altro che carezzevole, finì col riversarsi sulla cosciadello stesso maestro, il quale dolorante, sbottò in unafragorosa imprecazione all’indirizzo dell’alunna: “Nufurmine cu te bruscia!”(che un fulmine ti incenerisca).

In quel mentre, la ragazzina, da parte sua, pensavabene di schizzare via dalla scuola, con la velocità giu-stappunto di un lampo, incurante di abbandonare librie quaderni sul suo banco dell’ultima fila.Anita, insomma, non scolara modello, da bambina,ragazza, piccola donna e adulta, parimenti, caricad’energia, intraprendente, ardimentosa, semprepronta a dire la sua, una figura, secondo la felice de-finizione di un coetaneo, che “voleva paglia per centocavalli”, a significare che “faceva fuoco e fiamma”.A tredici anni, Anita è fisicamente sviluppata, alta, for-mosa, capelli neri e lunghi, un viso simpatico inclineal sorriso e, soprattutto, un seno fiorente, anzi strari-pante già allora.E’ l’età in cui la ragazza viene a trovarsi accanto (eu-femismo) il primo fidanzatino, a sua volta appenaquindicenne, un ragazzo del paese che, in linea conle usanze di allora, tutte le sere, dopo il lavoro e lacena, si reca a casa di Anita, bravo figlio di tempera-mento completamente opposto, molto calmo, tran-quillo, dotato di scarso spirito d’iniziativa, lo accomunaad Anita solamente la bella voce intonata.Ricorda, l’Anita d’oggi, non senza un pizzico di nostal-gia ed emozione, che durante la quotidiana visita, pre-senti i genitori, il fidanzatino se ne stava sedutoimmobile vicino al tavolo, le gambe accavallate, nonproferiva parola, una scena totalmente muta. La ra-gazza non gradiva siffatto comportamento dell'aspi-rante compagno di vita e anche suo padre, a un certopunto, si rese conto che la situazione era proprio daragazzini, strana e insostenibile, per cui, con garbo,pensò bene di far osservare al giovane che, forse, itempi non erano maturi e, quindi, a suo parere, si ren-deva opportuno rimandare la frequentazione: se sitrattava di destino, le cose si sarebbero riprese inmano regolarmente.

Si concluse così, per Anita, la prima esperienza da fi-danzata, negli anni successivi non maturarono ritornidi fiamma formali con quel primo fidanzatino.

Tuttavia, grazie alla sua avvenenza ed esuberanza,le si presentarono una dietro l’altra numerosissimeprofferte amorose, proposte di fidanzamento, mittentisia giovani del paese, sia residenti nei centri vicini.La ragazza, però, preferiva svolazzare leggera e li-bera da un soggetto all’altro, a guisa di farfalla, po-sandosi appena su foglie e petali: nel momento in cuidava ai pretendenti l'impressione che stavano perconquistarla e acchiapparla, riprendeva il volteggio,allontanandosi e scansando ogni insistenza.Le piaceva la frequentazione viva e attiva con coeta-nei e adulti, uomini e donne, durante i lavori in cam-pagna, quali la coltivazione del tabacco, la raccoltadei frutti estivi, la vendemmia, la raccolta delle olive,facendo scorpacciate di tiri maldestri e/o scherzosi,specie all'indirizzo di determinate figure bonaccione oche erano solite reagire maggiormente alle burle.In occasione di fortuiti contatti con giovanotti, potevaeccezionalmente succedere che qualcuno, particolar-mente intraprendente e brillante, riuscisse a cavarfuori qualcosa di concreto, al di là di uno sguardo edelle parole pronte che, ad A., di certo non manca-vano.

Ad esempio, un bel ragazzo dei dintorni, una volta sipose a seguire Anita intanto che lei, verso l’imbrunire,si stava recando, insieme con un'amica, a un piccolovicino cantiere edile con l’intento di raccogliervi unsecchio di tufo bianco, derivato dalla segatura deiconci utilizzati per una costruzione abitativa. Il tufo,sarebbe stato sparso sul pavimento lastricato di casache, soprattutto quando non c'era il sole, trasudava

Anita

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

di Rocco Boccadamoumidità e si scuriva, e, quindi, la spruzzata del biancomateriale faceva in qualche modo migliorare la situa-zione di agibilità e di aspetto fra le mura domestiche.

Ora, avvenne che, proprio quando Anita era intenta,piegata, a riempire di tufo il suo secchio, nel levarsi egirarsi per rialzarsi, improvvisamente le si accostò lafigura del giovanotto in questione, che fu abilissimo arubarle un bacio intenso sulla bocca, il primo per ladiciassettenne, un autentico trauma anziché un pia-cere o una scarica adrenalinica.

Bisogna, onestamente, tener conto anche della men-talità e dell'educazione sessuale (?) che vigevano inquell'epoca, fondamentali purtroppo rimasti ancoratialle calende greche, addirittura c'era la credenza,maldestra e malsana e coniugata con l’ignoranza,che, attraverso un bacio sulla bocca, una ragazza po-tesse restare incinta e fare un figlio.Sia come sia, il “predatore” scappò via in un baleno,e però l’eccezionale scena fu goduta interamentedall’accompagnatrice di Anita, con l’inevitabile effettoche, a volo, si cominciarono a diffondere in giro vocisull'accaduto. Non n’ebbe notizia unicamente lamadre di Anita con cui la “vittima”, rientrata di corsa eagitata in casa col tufo, si confidò immediatamente; ilmattino seguente, nel magazzino e/o manifattura deltabacco, dove la giovanissima aveva da poco iniziatoa lavorare, le colleghe più adulte presero subito a de-riderla e sfotterla, tanto che la vittima del bacio rubatoproruppe in un pianto a dirotto.Intanto, con l’avanzare dell’età, per Anita crescevaprogressivamente anche l'impegno lavorativo.Non solo durante la stagionale adibizione al magaz-zino del tabacco, in cui la nostra protagonista, ancorainesperta, era addetta alla prima fase operativa, cioèa spianare e a rendere lisce le singole foglie che, poi,passava a una collega più anziana e pratica la qualele riuniva in piccole balle.I genitori di Anita, difatti, conducevano in regime dimezzadria alcuni terreni, in particolare uno denomi-nato “Pastorizza”, che rappresentava una sorta dibase d'appoggio per tutte le attività agricole della fa-miglia, anche perché a breve distanza dal centro abi-tato.Lì insisteva una piccola casetta rurale in cui si dor-miva molto alla spartana, fra mosche, zanzare e lu-certole, tuttavia, fiaccati dalla stanchezza, non sifaceva fatica a prendere sonno, gli occhi si serravanoquasi automaticamente.Dalla “Pastorizza”, all'alba, con genitori e fratelli, Anitapartiva per una “scarpinata” di quattro/cinque chilo-metri, in genere a piedi scalzi, sino a un altro terreno,in zona “Mito” di Andrano, in cui crescevano, in parti-colare, numerosi alberi di fico che davano frutti in ab-bondanza. Si riempivano panare, panari epanareddri, del prodotto raccolto; quindi, nuovamenteper quattro/cinque chilometri, con contenitore rappor-tato all'età di ciascuno caricato sulle spalle, si facevaritorno alla “Pastorizza”, dove, sullo spiazzo antistanteal precario bracchio/ dormitorio, si passava a spac-care i fichi e a spanderli, per l’essiccazione, su stuoiedi canne intrecciate: tanta fatica, anche per un’adole-scente, del resto, allora, in ogni età arrivavano le fati-che.Poi, c'erano anche temporanee trasferte di tutto il nu-cleo, per il tabacco e/o la mietitura e trebbiatura dei

Racconti salentini

cereali, verso le fertili pianure della Lucania, a NovaSiri, ricorda ad esempio Anita.

Intanto, il primo fidanzatino, ormai divenuto giova-notto, si era impegnato con un’altra ragazza delpaese, con quest’ultima le cose avevano preso uncorso serio, tanto che si approssimavano le nozze ela promessa sposa era finanche arrivata a esporre ilcorredo che avrebbe portato in dote (in dialetto dota)nella dimora matrimoniale. Ma, evidentemente, nellatesta del giovane era rimasto un ricordo forte, qualchesuggestione incancellabile avente per protagonista lasua prima fidanzatina; sta di fatto che, quest'ultima,mentre i suoi genitori erano in Lucania e lei soggior-nava nell’abitazione di una cugina, scorse, appog-giata sull’uscio di casa, una busta contenente unbiglietto vergato dal ragazzo che, più o meno, reci-tava apertamente: “Senti Anita, anche se son passatimolti anni, anche se io dovrò prossimamente spo-sarmi con un’altra, se sei d'accordo, io ti voglio sem-pre, possiamo andarcene via insieme”.Evidentemente, l’ex giovanissimo fidanzatino quindi-cenne doveva essere ancora innamorato della ra-gazza e sperava, o s’illudeva, di poter ricominciare lastoria. Così, tuttavia, non fu.Per la precisione, per opera del medesimo “primo fi-danzatino”, c’era stato un episodio precedente, unsussulto sotto forma di serenata.Una sera, Anita se ne stava, in compagnia di alcuneamiche, sul terrazzino attiguo al vicoletto della casadei suoi genitori; ai piedi di una fioca lampadina d’illu-minazione pubblica posta in prossimità, s’era contem-poraneamente riunito un gruppo di ragazzi egiovanotti paesani e, allora il giovanotto, con la suabella voce, volle dedicare alla morosa d’un tempo al-cune brevi strofe speciali in dialetto, tanto sempliciquanto indicative:

“La zita vecchia mia/ la tegnu pe riserva/ per quannu

spunta l’erva/ la vado a pascolar. // La vado a pasco-lare/ insieme alle mie caprette/ e l’amore con le ci-vette/ non lo farò mai più”.Già si diceva, prima, che ormai Anita era divenuta unadonna in pieno fulgore, capelli crespi e neri, il seno vi-stosamente oltre misura.Successe che, durante i lavori in campagna a NuovaSiri, un giorno ella si vide seguire da un giovanotto delposto, poliziotto in licenza, il quale, evidentementecolpito e ammirato per le fattezze e il portamento dellagiovane, le rivolse questa “sicuramente” ardita do-manda: “Permettimi signorina, ma tu lo porti il reggi-seno?” (allora, non era costume, per una giovanecontadina, indossare alcunché del genere). Immedia-tamente, la nostra amica, al solito pronta a rispon-dere, replicò al giovane: “Ma perché, caro, tua madrelo porta?”

Numerosi continuarono a susseguirsi gli inviti a “fidan-zarsi”, con Anita nel consueto atteggiamento di farseliscivolare appena addosso, con leggerezza, senzaprenderli sul serio per oltre una/due settimane.Fino a quando non le si presentò quello giusto, peropera di un giovane di Vignacastrisi, il quale, guardacaso, come nome di battesimo faceva proprio Giusto,più giovane di tre anni rispetto ad Anita.Dal matrimonio nacquero tre figli, accolti e allevati conamore, cura e sacrifici; purtroppo, il bravo marito dellacompaesana su cui scrivo non ebbe, personalmente,granché fortuna, andandosene ancora giovane.Anita, che ancor prima della scomparsa del suo Giu-sto, aveva dovuto subire la dolorosissima perdita delterzogenito Sergio, vittima a soli sette anni di un’acci-dentale caduta da un casa in costruzione (strana coin-cidenza, a distanza di decenni: un cantiere in corsocome ultimo scenario per un tenero bambino, il tufobianco di un altro cantiere edile come scenario delprimo vero e traumatico bacio per Anita), è quindi ri-masta con gli altri figlioli, man mano pure essi cresciutie sposatisi, rendendo, la genitrice, nonna di nipoti giàgrandicelli.Si, Anita è nonna, ma, sinceramente, il tempo, per lei,sembra essere trascorso sono sui fogli del calendario;invece, dentro, si è mantenuta una “ragazza” tra gliottanta e i novanta, vivace, estroversa, che seguita,tuttora, a “volere paglia per cento cavalli”.Un'esistenza, in fondo, non facile né in discesa, lasua, eppure con accoglimento e accettazione deglieventi secondo la semplicità e il rigore dell'educazionericevuta da piccola e l’innata rettitudine civile.Vita intessuta di buoni rapporti con gli altri, Anita è co-nosciuta e si fa ben volere da tutti, nel borgo natio rap-presenta un piccolo, umile ma autentico personaggio,con la sua cassaforte di saggezza e l’immancabile pa-rola pronta, accompagnata da un sorriso accattivante,oggi, com’è noto, merce assai rara.

Per terminare, amava tanti decenni addietro, Anita, ele sono cari anche adesso, i seguenti versi dialettalidi un canto contadino della terra prediletta:

"Quannu lu ceddru pizzica la puma,/ la ucca se lasente zzuccarata"

(in italiano, quando l'uccello imprime col becco un pic-colo morso alla mela, avverte in bocca un sapore dizucchero).

La Nnita La Biennale del Salento 2014. L’installazione di Enza Mastria a Palazzo Vernazza

Anita, in una foto giovanile

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

di Antonio Zoretti

La Biennale del Salento 2014. L’installazione di Enza Mastria a Palazzo Vernazza

Un Mondo di carta

A ndate a visitarela Biennale delSalento nellesale di PalazzoVernazza aLecce. Una ras-

segna d’arte pubblica intrisa diGraffiti, Fotografia, Grafica, Pit-tura, Scultura, Performance arte Installazioni. Come quella diEnza Mastria, la quale ci avvi-cina nel suo percorso artisticoinvitandoci a partecipare conalcuni pensieri o riflessioni in-cisi su un foglio di carta, atto aprendere la forma di una bar-chetta, unendosi alle altre, adesse accanto sul pavimento.Come se vicino alla sua prov-vedesse anche la nostra vita,tout court.

Le vele di Enza sembrano so-spinte da un esile vento, lentoe lontano, in mare aperto, gi-rando intorno alla terra peravere conoscenza; alimentateda un alito lieve di speranzaauspicano presto un approdo,in un ignoto cielo notturno, ra-pite da una melodia di ricordi.In un viaggio solenne tutte lebarchette son tornate a rumo-reggiare, di mare, di vento, perrestare così in vena per l’albasonante quando la dolce rivatoccheranno. Dentro i vicoli marini chiari-scono gli orizzonti, svanisconole ombre illanguidite; salgono,salgono e mai s’arrestano…per ritrovare, col pretesto delviaggio, il nostro perduto Io.

E poi, pazienza poi… se del do-mani non c’è certezza. Il temposi sa… corre e s’affanna, e anoi perituri e veritieri ci in-ganna, ma vogliamo comunqueesser lieti e mai sfuggenti. Ilmondo figurato di Enza, inpezzi di carta, man mano siscopre e solo il nulla s’accre-sce. Ma proprio nel nulla si puòcogliere il tutto. L’essere è lacontingenza, il non essere èl’essenza. «I fanciulli trovanotutto nel nulla, gli uomini tro-vano il nulla nel tutto». (Gia-como Leopardi).E noi del gioco facciamo te-soro, che di altro non si con-tenta, giova aver dolcezza chiha ardore tuttavia… Una per-sona può conoscere l’universo

e trascurare se stesso. E le no-stre aspettative trovano soste-gno in un avvenire migliore. Noinon sappiamo quale fineavranno le cose, ma cono-sciamo come sono iniziate. Ilmondo, il creato, è cosa buonae giusta. Questo segno di be-nevolenza rimane a dispetto ditutte le malvagità dell’uomo,passate, presenti e future. Questa è l’attesa d’un bene chesi desidera nel mondo; il benenon arriverà domani, ci guidasin dalla prima alba.E allora tanto vale star lì, atten-dere, e guardare l’opera diEnza Mastria: l’armonia cele-ste. E’ così bella.

Arte

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

Mercoledì 30 lu-glio, alle 21.30,ingresso gra-tuito la Masse-ria Ospitale

sulla Lecce - Torre Chiancaospita la presentazione di Ura,progetto discografico d'esordiodel duo che vede la voce dellasalentina Maria Mazzotta, soli-sta tra l’altro dell’ensembleCanzoniere Grecanico Salen-tino, intrecciarsi abilmente conle corde del violoncello alba-nese di Redi Hasa, solista del-l’ensemble di Ludovico Einaudi.Prodotto da Finisterre e pro-mosso con il sostegno di PugliaSounds, da ottobre Ura sarà di-stribuito da Felmay anche al-l'estero.

***Il progetto, dal significativo titolo

di “Ura” (ponte in albanese,adesso in salentino) porta allaluce i legami possibili tra ireper-tori che navigano attraversol’Adriatico unendo i Balcani e iCarpazi con le regioni del Suddell’Italia. La voce di MariaMazzotta si muove leggera ericca di mille sfumature tra le lin-gue musicali delle due spondementre le note di Redi Hasapropongono, ogni volta, una emille soluzioni possibili alle me-lodie tradizionali. "Grazie ai duemusicisti, ci si trova subito cata-pultati nei densi e vivaci aromidei Balcani", sottolinea nell'in-troduzione al disco Ludovico Ei-naudi. "Della maestria vocale estrumentale si resta sbalorditi,c'è unione perfetta e grande na-turalezza nell'esecuzione dibrani melodicamente e ritmica-

mente molto impegnativi. Pre-ziose sfumature armoniche in-sieme a un piglio improvvisativoche trasmette un senso di fre-schezza che si rinnova ad ogniistante". “Abbiamo sfidato lefreddi notti d’inverno con tempidispari, strofe in rima, il vibratodel canto", sottolineano Maria eRedi. "Così, nota dopo nota,l’anima si è liberata giocandosvelata tra le corde della voce edel violoncello. Abbiamo poicercato e mescolato la musicae le lingue. Dalle pianure delSud Italia ai Balcani, fino ai Car-pazi. Sembrava una sfida soli-taria, un gioco di virtuosismo einvece con quelle melodie equei ritmi abbiamo costruito unponte - ura in albanese - e vo-gliamo attraversarlo insieme avoi, adesso - ura in salentino”.

in Agenda

Hasa&Mazzotta alla MasseriaOspitale

Il Razionalismo a Lecce

Progetti, bozzetti,schizzi, fotod'epoca e plasticiprovenienti daarchivi pubblici eda collezioni pri-

vate; a legare insieme i mate-riali originali, lungo un percorsoespositivo del tutto nuovo untema inedito per il Capoluogosalentino: "Razionalismo aLecce: stile arte e progetto1930 - 1955", è il titolo dellamostra che sarà ospitata nellesale dell'ex Chiesa di SanFrancesco della Scarpa dal21 luglio al 30 settembre.L'esposizione a cura dell’archi-tetto Andrea Mantovanovuole fornire in modo organicoed interdisciplinare un primo

contributo ad un tema inedito:la produzione dell'architetturae delle arti decorative nel Sa-lento fra il 1930 ed il 1955 unperiodo denso di interessantiesperimenti sul tema dell'abi-tazione privata e dell'edificiopubblico, fatti oggetto di unavera e propria rivoluzione nelleforme e nelle idee artistiche. Lo slancio innovatore deri-vante dai fermenti delle avan-guardie europee e dalmovimento razionalista vennerecepito nel Capoluogo salen-tino grazie ad una nuova ge-nerazione di tecnici e di artisti -decoratori che, formatisi nellefacoltà o negli ambienti artisticidi Roma e Milano, rientranonel Salento proponendosi

come alfieri e diffusori dellanuova architettura e della de-corazione di interni. Tutto ciò sitradusse in una decisa fratturarispetto alla produzione del pa-norama dell'architettura localedei primi due decenni del No-vecento, standardizzata in unastanca ripetizione di stilemi del-l'architettura tardoumbertina,dell'eclettismo e del liberty.Lecce si configurò come uncentro partecipe in prima lineaal dibattito sul volto della nuovaarchitettura nazionale. I tecnicilocali reinterpretarono il lin-guaggio razionalista con l'usodi materiali tradizionali come lapietra leccese ed il càrparo.Inoltre, sul territorio salentinooperano alcuni tra i maggiori

architetti e ingegneri del Nove-cento italiano come Pier LuigiNervi, Luigi Piccinato, MarcelloPiacentini, lo studio romanoPaniconi e Pediconi, ConcezioPetrucci, Gaetano Minnucci ealtri.Il discorso architettonico fu poistrettamente connesso all'ap-porto proveniente dalle arti de-corative, appannaggio di unanutrita schiera di artisti - deco-ratori locali, che con le proprieopere connotarono in modoinedito e contemporaneo lefacciate e la spazialità interna:si pensi a personaggi comeAntonio D'Andrea, Nino DellaNotte e Michele Massari, la cuiproduzione in questi ambitiviene per la prima volta esplo-

rata.L'intento quindi del progettoespositivo è di colmare unvuoto su tale ricca e interes-sante produzione artistica edarchitettonica, estendendo ildiscorso anche a centri dellaprovincia come Maglie e Galli-poli.L'allestimento della mostra ècurato dalla ditta "MQ Allesti-menti". Il progetto grafico e lacomunicazione sono curatedalla visual designer BeatriceBambi.

La mostra sarà aperta al pubblicofino al 30 settembre, dal lunedì alla

domenica, dalle ore 10 alle ore 13 edalle ore 18 alle ore 21. Il costo del

biglietto è 5 euro, ridotto 3 euro.

Dopo il successo ottenuto a Romapresso la Sala del Refettorio di Pa-lazzo Venezia (17 dicembre 2013 -12 gennaio 2014), arriva a Bari inmostra una significativa selezione diimmagini del fotografo zagrebese,

realizzate tra il 1932 e il 1935: una gamma vasta disoggetti, motivi, inquadrature, approfondimenti cheJaneković coglie con il suo obiettivo. Il visitatore puòguardare, attraverso le fotografie, verso l’altrasponda dell’Adriatico e ancor più lontano, alla Zaga-bria degli anni Trenta. Questa presentazione in Italiadi un segmento dell’eredità fotografica croata rappre-senta un’ulteriore conferma dei legami fra i tanti, in-tercorsi tra l’Italia e la Croazia, anche tramite lafotografia. Il lavoro di Đuro Janeković (1912-1989) èrimasto fino ad alcuni anni fa completamente scono-sciuto al mondo fotografico croato ed europeo, econtribuisce a completare con suoi lavori il raccontodell’atmosfera tipica degli anni Trenta. ĐuroJaneković è stato, a cavallo fra gli anni Venti eTrenta, un personaggio speciale della scena di Za-gabria, testimoniando la nascita di una città mo-derna, con una vita urbana dinamica che recepiscea pieno respiro l'ondata del modernismo europeo. At-traverso le sue fotografie Janeković diviene cronistadella sua città, della vita cittadina, dalle signore agliaccattoni, dalle ballerine agli emarginati che vivonoin periferia. Gli anni Venti e Trenta rappresentano peril fotogiornalismo, grazie all’urbanizzazione, all’av-vento della società dei consumi ed alla diffusionedello sport e degli svaghi di massa, anni di grandecreatività. Seguendo l’esempio della Berliner Illu-strirte Zeitung di fama mondiale, anche a Zagabriasi inizia la pubblicazione di riviste illustrate e dal ta-glio piuttosto moderno, come la Svijet (Il Mondo) eKulisa (La Scena), che offrono alla fotografia unospazio importante. Nel 1933 Janeković diviene unodei primi fotocronisti professionali della Croazia, e lesue numerose fotocronache sono pubblicate proprionella rivista Kulisa: le sue foto notturne di Zagabriasono uniche, scattate con una esposizione lunga odoppia; le prospettive e i punti di vista fotografici diJaneković sono particolarmente intriganti se si colle-gano a quelli di Aleksander Rodčenko del qualesono, anche per tempo di nascita, paralleli. Le ve-dute dall’alto e dal basso e le composizioni diagonalidimostrano nei due autori un’eccezionale affinità euna sensibilità comuni. In uno stile che ricorda la mi-glior fotografia tedesca di quel tempo, le sue fotogra-fie sportive annotano in prevalenza il movimento el’uso di prospettive trasversali e di angoli di ripresainusuali. Janeković mostra uno speciale talento perl’azione ed il movimento: cogliendo la palla appenalanciata, il corridore al momento dell’arrivo al tra-guardo, il saltatore nello stacco. Egli stesso, sportivoappassionato, correva accanto o innanzi al concor-rente, ritrovandosi così protagonista e fotografo, conrisultati sorprendenti per le possibilità tecniche deltempo. Janeković non è solo un documentarista fo-tografico. Bisogna capire cosa c'e dietro i fatti, perpoterli rappresentare, come dice Tiziano Terzani.

Đuro Janeković, fotografo croato, artista europeo

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

in AgendaA Bari, nella Sala Bona Sforza del Castello Svevo in Piazza Federico II di Svevia, fino a lunedì 15 settembre

La mostra (accolta tra gli eventi dellaPresidenza Italiana del Consigliodell’Unione Europea) è organizzatada Direzione Regionale per i BeniCulturali e Paesaggistici della PugliaSoprintendenza per i Beni Architetto-

nici e Paesaggistici per le province di Bari, Barletta– Andria – Trani e Foggia, Ministero della Culturadella Repubblica di Croazia, Ambasciata di Croaziain Italia MUO Museo dell’Arte e dell’Artigianato diZagabria. L’organizzazione della mostra è stata cu-rata da: Marisa Milella (Direzione Regionale per iBeni Culturali e Paesaggistici della Puglia) Anna-maria Lorusso (Soprintendenza per i Beni Architet-tonici e Paesaggistici per le province di Bari, Barletta– Andria – Trani e Foggia) Elena Federica Marini(Present SpA).Orario: ogni giorno dalle 8.30 alle 19.30. L’accessoalla sala chiude alle 19.00La visita alla mostra non ha costi aggiuntivi al prezzodel biglietto d’ingresso al Castello Svevo di Bari

Alcune delle fotografie in mostra

La pagina è a cura di Marisa Milella* e Fabio A. Grasso.*Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici della Puglia

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

spagine della domenica n°38 - 20 luglio 2014 - anno 2 n.0

Domenica 20 lu-glio, alle 21.00 alCaffè Letterariodi Lecce si terràun aperitivo dip resen taz ione

dell'ottava edizione del Sud EstIndipendente, festival firmatoCoolclub, che si muoverà dal 24luglio al 13 agosto nelle provincedi Brindisi e Lecce tra rock, folk emusica d'autore con grandi nomidella musica italiana e internazio-nale affiancati sul palco da alcunedelle migliori esperienze dellascena pugliese.Tra gli ospiti Avion Travel, Manna-rino, Afterhours, Bud SpencerBlues Explosion, Brunori Sas eCat Power. Proprio alla cantau-trice statunitense, icona dellascena alternative rock mondiale,è dedicato il manifesto celebra-tivo di questa edizione.Dopo "Storia di ecologia, co-scienza e surreltà" di MassimoPasca, con un John Lennon inversione "santo" che ha caratte-rizzato l'edizione 2013, la Coope-rativa Coolclub ha affidato l'operaa Chekos'art, artista di origini sa-lentine che si muove nel campodel graffitismo e del freestyling,che ha voluto omaggiare l'artistastatunitense per la prima volta nelSalento il 24 luglio a Torre Re-gina Giovanna di Apani (Br).

Chekos'art, nasce a Lecce nel1977. Spirito combattivo e ribelle,da giovanissimo si trasferisce aMilano dove intraprende il suopercorso artistico cominciandocome writer, tra centri sociali,case occupate, quartieri popolari,lavori precari vivendo ed assor-bendo tutto ciò che la strada con-tiene. Il suo spirito artistico e lasua voglia di scoprire ed intera-gire con le diversità e le novità, lospingono ad abbandonare l'Italiaper intraprendere diversi progettiartistici attraversando i paesi del-l'Est Europa, fino ad arrivare inCina, in India, a New York, per poiritornare definitivamente in Pu-glia, a Lecce, la base in cui operatutt'ora. Artista autodidatta che simuove nel campo del graffitismoe del freestyling, riscopre sestesso rivoluzionando giorno pergiorno il suo carattere artistico,sperimenta e fonde diversi stili ediverse tecniche. Intorno la finedegli anni 90 diviene uno dei pio-nieri della Street Art in Italia, rige-

nerandosi in forme procreative,porta avanti nella vita come nel-l'arte i valori dell'antirazzismo,ama ricercare e ricercarsi condi-videndo la sua arte e i suoi valoricon altre diversità artistiche. Fon-datore del movimento “South ItalyStreet Art”, il cui obiettivo è quellodi creare una piattaforma dina-mica tra vari artisti nazionali edinternazionali, chi vi partecipa hal'obiettivo di uscire dai tradizionalicanoni dell'arte, arricchendo cosìil progetto e contemporanea-mente se stesso. Una "piatta-forma contaminata" in continuaevoluzione, completata da artistiche fanno della propria arte unaperiodica ricerca e amor di vita.

Giovedì 24 luglio a Torre ReginaGiovanna di Apani (Br) (ore 21.30- biglietti 20 euro + d.p. nei circuitiBookingshow e Ticketone), CatPower arriva nel Sud Italia peruna delle due tappe italiane deltour mondiale "Sun"; una giovi-nezza vissuta da Bohémien giro-vagando per gli States, l'approdonella New York underground el'inizio di una carriera che l'haportata in poco tempo nell'olimpodell'Indie-Rock con venti anni dicarriera e nove album alle spalle.Prodotto da Chan Marshall, mi-xato da Philippe Zdar "Sun" è l'ul-timo album in studio di Cat;scritto, suonato, registrato e inte-ramente autoprodotto è una di-chiarazione di completo controlloche si ritrova anche nei temi dellecanzoni. Coloro che conosconola discografia di Cat Power ritro-veranno elementi della pietra mi-liare del 2003 "You Are Free", chesperimentava forme vocali e basiprese in prestito dalla urbanmusic. La serata, tutta al femmi-nile, sarà aperta da tre cantautricipugliesi: Una, Mery Fiore e SofiaBrunetta. In chiusura spazio alleselezioni di Panic Indie Rock.

Il Festival proseguirà con After-hours (1 agosto al Parco Gondardi Gallipoli), Avion Travel (8 ago-sto all'Anfiteatro Romano diLecce), Brunori Sas e BudSpencer Blues Explosion (9 e10 agosto al Parco di Belloluogoa Lecce nell'ambito del GreenSound Festival), Mannarino (13agosto in Piazza Libertini aLecce).

Dal 24 luglio al 13 agosto

l’ottava edizione delFestivalSud EstIndipendenteil manifesto

affidatoda Coolcluba Cekos’art

copertinaMusica

Cat Power, in apertura il manifesto a lei dedicato di Cekos’Art