voltana on line n.19-2011
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Voltana On Line 19
2011
permanentemente in apprensione.
Attraverso il monopolio sui mass-
media la “massa” o la “gente” può
facilmente essere orientata, condi-
zionata e controllata. Ad es. può es-
sere terrorizzata sia dalle azione di
nemici tanto misteriosi quanto inde-
terminati sia per le conseguenze
derivanti da modifiche nella società,
ecc. L’uso strumentale dei mass-
media consente di far ascoltare sem-
pre una sola voce, di imporre un
solo pensiero: quello del leader, del
duce. Ben presto tutto ciò che non è
conforme non è ammesso. Il dissen-
so è segno di sedizione, di asociali-
tà. Tutte le manifestazioni di popolo
non omologate sono assembramenti
improduttivi, bivacchi di parassiti
oziosi. Gli uomini liberi vanno ag-
grediti, sopraffatti, demonizzati, an-
nientati. Quello che è dato oggi os-
servare, soprattutto in Italia, deve
far riflettere e può preoccupare.
sarie per produrre la - da tutti di-
sprezzata - “massa” o “gente”. Così
i molti vengono ridotti allo stato di
singoli. Il gruppo è frantumato in
tanti individui. Manipolando la co-
municazione, l’informazione, l’ edu-
cazione e l’istruzione si riesce ad
andare, talvolta, perfino contro la
natura o la Storia. Dall’attualità due
esempi: “l’unione fa la forza!” e “la
divisione è opera diabolica”. Inve-
ce, oggi, abbiamo che: “la forza è
nella specializzazione e nelle indivi-
dualità” e “l’unione, i diritti, la giu-
stizia sono un retaggio di malvagie
ideologie”. In questo modo gli slo-
gan, ripetuti in modo ossessivo, fini-
scono con l’essere creduti (da parte
di molti) veri, certi o la realtà. Ma la
realtà vera finisce sempre con il ma-
nifestarsi. Chi domina e governa lo
sa bene e, pertanto, deve trovare il
modo di tenere la “massa” o la
“gente” mentalmente impegnata,
La realtà esiste; esiste veramente!
Ma se c’è chi afferma, con coerenza
e costanza, che la realtà esiste ed è
oggettiva, è possibile trovare an-
che chi è predisposto a credere
vera e reale qualsiasi cosa, prescin-
dendo da qualsiasi fatto o esperien-
za tattile, razionale, cognitiva. Se io
inciampo e cado, posso fare tutti i
… viaggi mentali che voglio, ma le
escoriazioni ci sono! Eppure, da
sempre, qualcuno conosce molto
bene i propri interessi e privilegi,
sa lottare per essi e, spesso, si im-
pegna ad accrescerne in varietà e
in quantità. Invece, da sempre,
qualcun altro non riesce a capire e
difendere ciò che ha e, anzi, perde
del suo senza reagire. Come è pos-
sibile tutto ciò ? Dividere, confonde-
re e dominare sono le azioni neces-
REAGIRE E VIGILARE
ELEZIONI PROVINCIALI DEL 15 E 16 MAGGIO: ECCO LA SCHEDA ELETTORALE
di Mario Paganini
COMMENTO di Mario Paganini
Una volta esistevano i sindacati di como-
do, interni a ciascuna azienda e obbe-
dienti al datore di lavoro o padrone.
Etichettati come “gialli” erano gestiti da
persone spesso tenute sotto ricatto dal
datore di lavoro oppure semplicemente
vendute al padrone.
«Lo sciopero è un’arma di fondamenta-
le importanza e non deve mai essere
utilizzato per dividere i lavoratori per
mere finalità politiche o peggio di par-
te. Come, invece, accade con quello
generale del 6 maggio. Da alcuni anni,
la Cgil ne ha proclamati tanti. Anzi trop-
pi: molti slogan e una ridda di richie-
ste in cui si mixa tutto e il contrario di
tutto. Unico chiaro obiettivo: essere i
supplenti di un’ala politica ora assente
dal Parlamento e di un’opposizione un
po’ inadeguata. Ma risultati sindacali
portati a casa sono a pari a zero. Come
attesta, ultimo in ordine di tempo, il
caso dell’ex Bertone: pur essendo a
maggioranza Fiom, i lavoratori hanno
scelto di difendere il loro impiego.
Come UIL esprimiamo profondo rispet-
to nei confronti di quei lavoratori e di
quei pensionati che – anche se in nume-
ro sempre minore – continuano a segui-
re queste indicazioni estremamente
sbagliate e dannose in un contesto di
crisi come quello attuale. È mistificante
continuare ad illudere lavoratori e gio-
vani che la crisi, tra l’altro ben lontana
dell’essere risolta, lasci tutto inalterato
e che si possa continuare a riproporre
schemi ideologici superati. È auspica-
bile che la Cgil, dopo questo sciopero
rituale, smetta di abbaiare alla luna e
ritorni alle cose realizzabili. La vera
priorità è reperire risorse per finanzia-
re ripresa economica e sviluppo. Su
questo, si possono individuare soluzioni
fattibili: dalla riforma del fisco alla lotta
all’evasione contributiva fino ai costi
del cosiddetto potere politico che go-
verna le istituzioni».
Così Gianfranco Martelli, segretario
generale U.R. UIL dell’Emilia Romagna
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COMMENTO di Guido Viale
In nessun paese la piaga del servili-
smo è prospera come da noi. Grazie
anche ai comportamenti di questo
Governo e alla cultura che passa at-
traverso dei media sempre più asser-
viti.
La piaga che affligge il paese è il
servilismo. Non è una piaga esclusi-
vamente nostrana; è diffusa in tutto
il mondo, e per ragioni strutturali
che poco hanno a che fare con i
"valori" propugnati da chi lo prati-
ca. Ma in nessun Paese è così per-
vasiva, consolidata e ostentata come da noi. Non è un fenomeno esclusi-
vo del nostro tempo; è vecchio co-
me il mondo. Gli antichi Greci di-
sprezzavano gli schiavi - prigionieri
catturati in guerra o comprati e ven-
duti - perché avevano preferito ser-
vire invece di morire. Il feudalesi-
mo - un regime da non rimpiange-
re, per molti versi riproposto da
alcuni tratti della nostra epoca - era fondato su un patto personale che
implicava l'asservimento a tutti i
livelli gerarchici. Ma quella fedeltà
era regolata da un codice che impe-
gnava tanto il signore che il vassal-
lo. Oggi invece il servilismo è
"nomade": si offre di volta in volta a
seconda delle convenienze: la com-
pravendita di Deputati con cui l'Ita-
lia si governa e fa mostra di sé al resto del mondo ne è una delle ma-
nifestazioni più esplicite.
Ciò che caratterizza il servilismo
del nostro tempo e del nostro Paese
è l'essere il meccanismo operativo
della competitività: cioè di quella
guerra di tutti contro tutti, per affer-marsi a spese degli altri, che è la
riproposizione - nei rapporti inter-
personali, nei meccanismi di pro-
mozione sociale, negli avanzamenti
in carriera, nella selezione delle
classi dirigenti - della concorrenza
tra imprese. Un meccanismo che costituisce il fondamento
(indiscusso quanto sistematicamen-
te disatteso) di quel "pensiero uni-
co" che ha improntato di sé la nostra
epoca fin nei più reconditi e ine-
splorati recessi del nostro pensiero;
anche quando siamo convinti di es-
serne immuni.
Il servilismo è la ricerca di un'af-
fermazione personale - anche mini-
ma, anche irrisoria; solo a volte ben
remunerata - a spese della propria
autonomia. Cioè, non in base a
quello che siamo, o ci sforziamo di
essere, o abbiamo acquisito col
tempo e a fatica; bensì rinunciando
a tutte queste cose; mettendoci "a
disposizione" del padrone di turno.
Pronti non a sviluppare un nuovo
modo di pensare - benvenga!- ma
solo a passare a un diverso padro-
ne, che ci dirà lui che cosa possia-
mo e dobbiamo "pensare". Il servili-
smo è la rinuncia sistematica e vo-
lontaria alla propria dignità.
Al servilismo è strettamente legato
il razzismo, anch'esso dispiegato,
feroce e ostentato in tutte le sue
sfaccettature oggi più mai. Il razzi-
smo è la rivendicazione di un rango,
anche infimo, legato alla nascita, al
proprio territorio, alla propria lin-
gua, alle proprie abitudini, alla pro-
pria appartenenza a un "corpo so-ciale": un simulacro di una "dignità"
affidata a una dimensione fantastica
proprio da chi si sente schiacciato e
perdente in un contesto dominato
Il desiderio italiano di essere
E' SFRAT (la mórt)
L’è dj èn ormai
ch’a so prount pr e’ sfrat.
Al valis agli è fati
e i count j è péra.
E pu se quicadoun u n’i créd,
e u n’à paura d’perdas,
quand ch’l’arivarà l’óra
u m’pö truvér in cl’étra ca.
LO SFRATTO (la morte)
Sono anni ormai
che sono pronto per lo sfratto.
Le valigie sono pronte
e i debiti sono saldati.
Se poi qualcuno non ci crede,
e non ha paura di perdersi,
quando arriverà l’ora
mi può trovare nell’altra casa. di Paolo Gagliardi
GIALLO CHE PIÙ GIALLO NON SI PUÒ
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nostrani come le rivolte di altri po-
poli - si tratta di un fenomeno che
va salutato con rispetto e accolto
con gioia.
Si discute molto in questi mesi,
soprattutto a proposito delle nuove
generazioni, di una "scomparsa del
desiderio" legata alla dissoluzione
della figura del padre e del senso
del limite che essa impone. Chi ha
avuto occasione per motivi profes-
sionali di osservare da vicino que-
sto fenomeno è certo attrezzato a
parlarne con cognizione di causa.
Ma visto dall'esterno, e con diversi-
tà lessicali in cui si rispecchiano
approcci tra loro distanti, l'impres-
sione che si ricava da questo dibat-
tito è quella di una distorsione otti-
ca. Più che prodotto dalla ricerca di
un godimento illimitato indotta dal
consumismo, la "scomparsa del
desiderio" sembra manifestarsi, per lo più, come uno stato di de-
pressione provocato da un mondo
senza sbocchi diversi dal servili-
smo. È difficile, infatti, desidera-
re di farsi servi; anche se molti lo
fanno: soprattutto per mettersi in
grado di poter a loro volta asser-
vire altri. Ma nella rivendicazione della dignità che torna a fare capo-
lino come evento dirompente nei movimenti di questo periodo c'è la
potenzialità di una reazione e di
una "cura" della depressione, pro-
pria di un mondo senza sbocchi.
e nel sito www.ilmanifesto.it
di una propria autonomia personale
all'interno di un processo condiviso,
azzerando le disparità e le gerar-
chie che ne ostacolano la realizza-
zione, è il grande contenuto che a-
veva accomunato le rivolte studen-tesche del '68 contro l'autoritarismo
nelle scuole, nell'università, nelle
Istituzioni e nella società, con l'insu-
bordinazione e la presa di parola
degli operai nelle fabbriche, contro
le discriminazioni, le gerarchie e i
meccanismi di imposizione del ser-
vilismo propri dell'organizzazione -
allora "fordista" - del lavoro. Un con-
tenuto che si era andato via via dif-fondendo in tutti i gangli della so-
cietà: carceri, Magistratura, eserci-
to, polizia, quartieri, redazioni; per
spianare poi la strada al femmini-
smo degli anni '70, che in qualche
modo aveva coronato, e anche con-
cluso, quel processo.
Ed à proprio quel contenuto di
fondo - premessa di ogni altra riven-
dicazione sostanziale, o di ogni pro-
getto condiviso di trasformazione
dei rapporti personali e sociali -
quello che, a quarant'anni di distan-
za, i vari detrattori del "sessantotto"
(ultimo in ordine di tempo, dopo
Tremonti, Brunetta, Gelmini, Giova-
nardi & Co, si è ora aggiunto il mini-stro Sacconi) non riescono ancora e
non riusciranno mai a capire; per-
ché è del tutto estraneo al loro mo-
do di vivere e pensare; e, per dirla
tutta, al modo in cui hanno fatto car-
riera. Ma è anche un contenuto che
molti di noi, se sufficientemente an-
ziani, hanno dimenticato, o fatto o
lasciato dimenticare; e, se più gio-
vani, non hanno mai o quasi mai a-vuto l'occasione di sperimentare
all'interno di un processo condiviso.
Oggi la voglia di affermare la
propria dignità, la legittimità dei
propri desideri, delle proprie a-
spirazioni, dei propri sforzi, ritor-
na con forza a farsi strada all'in-
terno di molti dei processi di lotta
o di resistenza che animano la
scena sociale: e non solo da noi, ma anche, e molto di più, in Paesi
vicini da cui da troppo tempo ave-
vamo colpevolmente distolto lo
sguardo. In tutti i casi - i movimenti
dalla competizione; costretto a "farsi
servo" per cercare di conservare il
proprio status. Il razzismo alligna
sempre, in qualche forma sopita,
dentro ciascuno di noi, ma si svilup-
pa - ce lo ha mostrato Zigmund Bau-man fin dai tempi di Modernità e
Olocausto - solo quando è fomentato
e coltivato dall'alto, come compen-
sazione delle frustrazioni di un'esi-
stenza precaria.
Ma che cosa ha reso il servilismo
così prospero e diffuso nel nostro
Paese? Che cosa ci ha portato a ca-
dere così in basso? Certamente, qui
più che altrove, c'è stata una caren-
za di difese immunitarie; un deficit
di presidi culturali (in senso antro-
pologico e non elitario) che ha tra-
volto tutta la società come una va-
langa che si ingrossa rotolando. Si
tratta di un processo sicuramente
promosso dall'alto: dai comporta-menti di questo Governo, dalla cul-
tura che esprime attraverso mass
media sempre più asserviti; da mec-
canismi di selezione di Ministri, De-
putati, Governatori, consiglieri, diri-
genti politici, manager, banchieri,
giornalisti e direttori di media e Isti-
tuzioni, ai quali non sono stati e non
sono certo estranei partiti, forze e
culture della vera o presunta oppo-sizione.
Ma quei presidi sono affondati, o -
auspicabilmente - hanno imboccato
un percorso carsico, anche per un
processo che nasce "dal basso"; per
responsabilità di molti di noi. Per-
ché la rivendicazione della propria dignità, che quarant'anni fa aveva
caratterizzato un intero decennio di
lotte, di maturazione, di orgoglio di
sentirsi protagonisti, di "presa di
parola" da parte di persone che non
l'avevano mai avuta, è stata per anni
associata agli esiti fallimentari di
quella stagione di cui molti di noi
portano la responsabilità: un fardel-
lo che nessuno, o quasi, dei prota-gonisti di allora si è sentito di cari-
care sulle proprie spalle; o lo ha
fatto in sordina, lasciando a pochi, e
non certo ai più attrezzati, l'onere di
rivendicare il carattere
"formidabile" di quegli anni.
La dignità, la ricerca e la conquista
servi pubblicato nel quotidiano IL MANIFESTO del 29/04/2011
“Un Governo di incapaci che blaterano
... che non hanno fatto nulla per la sicu-
rezza … che ci hanno resi più insicuri
e che, nello stesso tempo, proteggono
chi commette reati veri. Tant’è che la
pena da 1 a 4 anni prevista per
l’immigrato che sbarca e che non ha
commesso alcun reato è la stessa pena
prevista per la gran parte dei falsi in
bilancio (quelli che sono rimasti anco-
ra reato). Rendiamoci conto del danno
provocato da chi falsifica un bilancio al
danno prodotto da chi mette piede sul
suolo italiano.”
Marco Travaglio
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Ringrazio vivamente anch'io il Presi-
dente Giuliano Amato per la sua
disponibilità e per il contributo che
ci ha offerto ripercorrendo da par
suo il lungo tracciato dell'evoluzione
sociale che da un primo maggio
all'altro l'Italia ha conosciuto. In sin-
tesi, egli ci ha detto - avete ascoltato
le sue parole - che cosa sia, "nel passato che la precede, nella sua
stessa storia e nel suo presente, la
Repubblica fondata sul lavoro", e ha
concluso : "Il suo problema di oggi
non è esserlo di meno, è, caso mai,
esserlo di più". E' così, lo sentiamo
tutti : lo sviluppo economico e la sua
qualità sociale, la stessa tenuta civi-
le e democratica del nostro paese,
passano attraverso un deciso eleva-mento dei tassi di attività e di occu-
pazione, un accresciuto impegno
per la formazione e la salvaguardia
del capitale umano, un'ulteriore va-
lorizzazione del lavoro, in tutti i sen-
si. Questo discorso riguarda in
special modo i giovani, fa tutt'uno
con le risposte da noi tutti dovute
alle aspettative per il futuro delle
giovani generazioni.
Il quadro generale dell'andamento della disoccupazione in Italia nel
biennio della crisi economica, an-
che per effetto delle politiche di
sostegno condotte attraverso la leva
degli ammortizzatori sociali, merita
valutazioni obbiettive e attente e
non si presta, anche in un'ottica di
comparazioni europee, a facili giu-
dizi stroncatori. Ma indubbiamente
allarmano i dati relativi ai giovani tra i 15 e i 29 anni. E se spesso l'ac-
cento è stato posto sulla precarietà
dell'occupazione dei giovani - cal-
colati in 800 mila - con contratti di
lavoro a tempo determinato, quel
che deve allarmare e richiede il
massimo sforzo di riflessione, è il
dato dei quasi 2 milioni di giovani
fuori di ogni tipo di occupazione,
ormai fuori dal ciclo educativo e non coinvolti nemmeno in attività di for-
mazione o addestramento. Quest'a-
rea, definita con l'acronimo NEET,
Not in Employment Education or
Training, è composta di circa 700
mila disoccupati e in misura quasi
doppia di inattivi. In questa condi-
zione di forte disagio e incertezza
per larghi strati di giovani si riflet-
tono evidentemente debolezze non
recenti del nostro complessivo pro-
cesso di crescita : se è vero che
prima dell'insorgere della recente
crisi globale, il PIL è aumentato in Italia, tra il 2000 e il 2007, di circa il
7 per cento, meno della metà del
decennio precedente. Nello stesso
periodo nell'area dell'euro il PIL è
cresciuto circa del doppio Per po-
ter aprire nuove prospettive di oc-
cupazione in tutto il paese, è dun-
que imperativo riuscire a interveni-
re su cause strutturali di ritardo
della nostra economia. Ed è impe-rativo farlo in uno col persegui-
mento di obbiettivi tanto obbligati
quanto ardui - concordati in sede
europea - di rientro dell'Italia dalla
situazione di disavanzo eccessivo e
di riduzione del peso del debito
pubblico. Se si assume il traguardo
di un sostanziale pareggio del bi-
lancio nel 2014, che comporterà
un'ulteriore manovra, per il 2013-14, di riduzione della spesa pubbli-
ca di oltre quattro punti di PIL, è
facile intuire come sarà essenziale
la caratterizzazione secondo ben
ponderate priorità di tale manovra,
e quindi la combinazione tra questa
e le azioni volte a rafforzare il po-
tenziale di crescita dell'economia e
dell'occupazione. E' di ciò che si è
discusso e ancora si discuterà in Parlamento sulla base del Docu-
mento di Economia e Finanza 2011
presentato dal governo e compren-
dente sia il Programma di stabilità
sia il Programma Nazionale di Ri-
forma nel quadro della procedura
del semestre europeo definita dal
Consiglio Europeo dello scorso 24-
25 marzo. Le audizioni svoltesi
presso le Commissioni Bilancio riu-
nite di Senato e Camera nelle ulti-me settimane hanno fornito al Par-
lamento apporti esterni di grande
ricchezza e serietà, mettendo co-
munque in evidenza l'estrema ten-
sione dello sforzo che si richiede al
paese. E io mi chiedo se l'insieme
delle parti sociali e delle forze poli-
tiche ne abbia piena consapevolez-
za e concentri come dovrebbe la
propria attenzione sulle più ambi-ziose proposte di riforma - come
Intervento del Presidente Napolitano in occasione quella fiscale - delineate dal gover-
no e sulle indicazioni da esso pro-
spettate con impegno per quel che
riguarda le politiche e azioni più
rilevanti ai fini dell'occupazione,
della formazione del capitale uma-no, dell'evoluzione dei rapporti tra
mondo dell'impresa e mondo del
lavoro. E' davvero aperto e da e-
splorare con spirito propositivo il
campo delle reali possibilità o con-
dizioni di successo tanto degli ob-
biettivi ineludibili di consolidamen-
to dei conti pubblici quanto degli
obbiettivi di crescita più sostenuta,
guardando alle situazioni più preoc-cupanti - soprattutto, si deve riba-
dirlo, il Mezzogiorno dove è stata
drammatica la perdita di posti di
lavoro - e alle esigenze e domande
delle giovani generazioni. Tra le
condizioni di successo di un pro-
gramma necessariamente ambizio-
so e innovativo, c'è certamente
quella dell'avvio di un nuovo clima
di coesione sia politica sia sociale. E a quest'ultimo proposito, mi riferi-
sco sia alle relazioni tra le diverse
parti sociali sia alle relazioni tra i
sindacati dei lavoratori. Sarebbe,
sia chiaro, fuorviante e irrealistico
immaginare il superamento di natu-
rali contrasti tra mondo delle impre-
se e mondo del lavoro, o di motivi di
attrito e competizione tra le diverse
organizzazioni dei lavoratori. Ma mi domando - ed è una domanda che
può riferirsi anche alle relazioni tra
le forze politiche : è inevitabile l'at-
tuale grado di conflittualità, è im-
possibile l'individuazione di interes-
si e di impegni comuni? Si teme
davvero che possa prodursi un ec-
cesso di consensualità, o un rischio
di cancellazione dei rispettivi tratti
identitari e ruoli essenziali? E' suffi-
cientemente chiaro il bisogno che io avverto già da tempo di un richiamo
alla durezza delle sfide che ci atten-
dono e già ci incalzano, mettendo
alla prova, ed esponendo a incogni-
te gravi, tutti gli attori sociali e poli-
tici e in definitiva il profilo storico, il
peso, il futuro della nazione. Sembra
quasi, talvolta, che l'accogliere op-
pure no, il far propri sinceramente
oppure no quei miei richiami, o co-munque si vogliano definirli, sia una
SELEZIONE AFORISMI DI
della celebrazione della Festa del Lavoro
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Il lavoro allontana da noi tre grandi
mali: la noia, il vizio e il bisogno.
(Voltaire, Candido o l'ottimismo, 1759)
Ci sono due categorie di persone
fortunate:
quelle che hanno trovato il proprio
lavoro
e quelle che non hanno bisogno di
trovarne uno.
(Giovanni Soriano, Finché c'è vita non c'è
speranza, 2010)
Una società fondata sul lavoro non
sogna che il riposo.
(Leo Longanesi, La sua signora, 1957)
Uno dei sintomi dell'arrivo di un
esaurimento nervoso è la convin-
zione che il proprio lavoro sia tre-
mendamente importante. Se fossi
un medico, prescriverei una vacan-
za a tutti i pazienti che considerano
importante il loro lavoro.
(Bertrand Russell, La conquista della
felicità, 1930)
Se si escludono istanti prodigiosi e
singoli che il destino ci può donare,
l'amare il proprio lavoro (che pur-
troppo è privilegio di pochi) costi-
tuisce la migliore approssimazione
concreta della felicità sulla terra.
(Primo Levi, La chiave a stella, 1978)
Il lavoro è un'ottima cosa per l'uo-
mo: lo distrae dalla sua vita, gli im-
pedisce di vedere quell'altro essere
che è sé stesso e che gli rende spa-
ventosa la solitudine.
(Anatole France, L’Anneau d'améthyste,
1899)
Non c'è lavoro tanto semplice che
non possa essere fatto male.
(Arthur Bloch, Legge di Perrussel in Il
terzo libro di Murphy, 1982)
Quando qualcuno mette troppo en-
tusiasmo nel suo lavoro, ho sempre
l'impressione che sprechi più tem-
po ad entusiasmarsi che a lavorare.
(Antonio Amurri, Qui lo dico e qui lo ne-
go, 1990)
È impossibile godere a fondo l'ozio
se non si ha una quantità di lavoro
da fare.
(Jerome Klapka Jerome, Pensieri oziosi di
un ozioso, 1886)
Un uomo non è un pigro, se è assor-
to nei propri pensieri; esistono un
lavoro visibile ed uno invisibile.
(Victor Hugo, I miserabili, 1862)
Paolo Gagliardi
Si disprezzi la gente che non ha
tempo.
Si compiangano le persone che non
hanno lavoro.
Ma gli uomini che non hanno tempo
per lavorare, quelli sono da invidia-
re. (Karl Kraus, Detti e contraddetti, 1909)
L'italiano non lavora, fatica.
(Leo Longanesi, La sua signora, 1957)
questione di galateo istituzionale o
un esercizio di ipocrisia istituziona-
le. Ma è ai fatti, e alle conseguenti
responsabilità, che sempre meno si
potrà sfuggire senza mettere a re-
pentaglio quel qualcosa di più gran-de che ci unisce, quel comune inte-
resse nazionale che non è un ingan-
nevole simulacro, e senza finire per
pagare prezzi pesanti in termini di
consenso. E allora permettetemi,
amici delle organizzazioni sindacali,
di esprimere preoccupazione cre-
scente dinanzi al tradursi di contra-
sti che tra voi possono sempre sor-
gere e di motivi di competizione che non debbono stupire, in con-
trapposizioni di principio, in reci-
proche animosità e diffidenze, in
irriducibili ostilità. La nostra storia -
a partire dal 1944 e nonostante pe-
riodi di rottura e divisione - ci dice
quel che l'unità sindacale ha dato ai
lavoratori, alla democrazia, al pae-
se. La rinuncia a sforzi pazienti di
ritessitura quando si producano la-cerazioni e diventino indispensabili
dei ripensamenti, può portare solo
al peggio, dal punto di vista del pe-
so e del ruolo del lavoro e delle sue
rappresentanze. E in positivo desi-
dero citare - trattandosi di tema che
mi è stato e mi è particolarmente
caro, nella sua persistente dramma-
ticità - l'influenza che i sindacati
hanno esercitato essendo uniti, per garantire più sicurezza sul lavoro.
Registriamo così anche quest'anno
risultati positivi, per effetto di prov-
vedimenti legislativi e di comporta-
menti più responsabili che i sinda-
cati hanno sollecitato, promuovendo
un clima innovativo anche sul piano
giurisprudenziale. Ma vorrei con-
cludere allargando lo sguardo al di
là degli interlocutori istituzionali e
delle organizzazioni sociali. Nel ce-lebrare il 150° anniversario dell'Uni-
tà d'Italia, ho richiamato le grandi
prove di impegno collettivo che
hanno segnato la nostra storia e che
ci indicano la via di una rinnovata
fiducia in noi stessi. Impegno collet-
tivo significa "mobilitazione e re-
sponsabilità" - come ha detto il Mi-
nistro Sacconi - "dei singoli come
dei corpi sociali". Debbono fare la loro parte - perché il paese possa
fronteggiare con successo le sfide
di oggi e di domani - quanti hanno
ruoli di rappresentanza e di guida
nella politica e nelle istituzioni,
nell'economia e nella società, ma in
pari tempo - come volli sottolineare nel mio messaggio di fine anno -
ogni comunità, ogni cittadino. E
dunque, ogni lavoratore, ogni gio-
vane. E' l'esempio che avete dato
voi, cari Maestri del Lavoro. Alle
riforme tocca - ha chiarito il Ministro
del Lavoro - "offrire a uomini e don-
ne contesti e ambienti idonei a mas-
simizzare il potenziale che è in o-
gnuno di loro". Ma occorre poi il
massimo concorso di volontà ed
apporti individuali fino a comporre,
innanzitutto sul piano morale, quel
nuovo grande impegno collettivo di
cui ha bisogno l'Italia. Rivolgo anco-
ra, in questo spirito, il mio saluto ed augurio ai Rappresentanti dei Lavo-
ratori Anziani di Azienda ed egual-
mente ai Rappresentanti della Fede-
razione Cavalieri del Lavoro,
anch'essi testimoni di una straordi-
naria somma di sforzi e di contributi
personali e sociali nell'interesse
comune. Buon 1° maggio!
dal sito www.quirinale.it/
L’America in festa per il morto
“Di fronte alla morte di un uomo,
un cristiano non si rallegra mai,
ma riflette sulle gravi responsabi-
lità di ognuno davanti a Dio e agli
uomini” Lo ha detto padre Federi-
co Lombardi, direttore della Sala
Stampa Vaticana, a proposito della
morte di Bin Laden. “Un cristiano
si impegna - ha proseguito - per-
ché ogni evento non sia occasione
di una crescita ulteriore dell'odio,
ma della pace. Osama Bin Laden,
come tutti sappiamo, ha avuto la
gravissima responsabilità di dif-
fondere odio fra i popoli”.
Così Padre Federico Lombardi
S.I., Direttore della Sala Stampa
della Santa Sede.
info: [email protected]
Persino i nazisti, prima di essere impiccati, furono processati a No-
rimberga. Bin Laden non è stato as-
sassinato, ucciso, fucilato, ammazza-
to, sparato. No. Bin Laden è stato "terminato", citando le parole di O-
bama. Un'elegante metafora che
riduce un uomo a un insetto. I fami-
liari di Goring non furono condan-
nati a morte, un figlio di Bin Laden è
stato invece "terminato". Era lì, sul
luogo del delitto, la colpa è sua. Bin
Laden, l'ex amico della Cia e degli Stati Uniti, educato nelle migliori
università, è innocente o colpevole
dell' 11 settembre? Avrebbe dovuto
stabilirlo un tribunale in base alle
prove, al dibattimento. Il mondo
avrebbe assistito e, forse, capito.
Gli americani sono intervenuti a ca-
sa degli altri, come di consuetudine,
cow boy della Terra. Il Pakistan è
uno Stato indipendente. Per le leggi
internazionali, gli Stati Uniti avreb-
bero dovuto chiedere al governo
pachistano di catturare Osama. Per-
ché non lo hanno fatto? Il cadavere
di Bin Laden è stato, secondo le fonti
statunitensi gettato in mare dopo un funerale islamico (?) su di una
portaerei. Lo hanno trasportato da
Islamabad, per centinaia di chilo-
metri, per darlo in pasto ai pesci.
Chi potrà dimostrarne il decesso?
Bin Laden serve a Obama per vin-
cere le elezioni. Forse però perde-rà la guerra. Questa morte è, infatti,
una vendetta e sangue chiama sem-
pre sangue. Il fanatismo islamico
può riesplodere e dilagare. Le sce-
ne di giubilo nelle strade delle città
americane ,dopo la notizia della
scomparsa di Osama, hanno ricor-
dato le stesse scene nei Paesi arabi
dopo il crollo delle Torri Gemelle.
C'è qualcosa di malato nel festeg-
giare la morte di una persona, an-che di un criminale, come allora
era rivoltante celebrare un massa-
cro.
Bin Laden viveva in una palazzina
di tre piani a Abbottabad, una loca-lità turistica montana non distante
da Islamabad. Abbottabad è sede
di un'accademia militare e ha nu-
merose caserme. Il governo pachi-
stano non poteva non sapere, così
come a suo tempo il governo italia-
no non poteva non sapere che Totò
Riina viveva, con la sua famiglia, al centro di Palermo. Bin Laden è sta-
to sacrificato, ammesso che non
fosse già morto da tempo.
"Terminato" come si usa dire in A-
merica per coloro che osano sfidar-
la. La disumanità è tra noi.
"Restiamo umani", come voleva Vit-
torio Arrigoni
dal sito www.beppegrillo.it
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ACH VOJA
Ach voja d’ ciapé so
sti quàtar strëz
seinza dì gnit a incioun.
Ach voja d’aviém
da tot ste pur-che-seia
e d’an turnér indrì.
CHE VOGLIA
Che voglia di prender su
questi quattro stracci
senza dire niente a nessuno.
Che voglia di andarmene
da questo purchessia
e non tornare indietro. di Paolo Gagliardi
LA MANIPOLAZIONE L’ “uccisione” di bin Laden mi ha
fatto venire in mente un bell’articolo
di qualche giorno fa di Lucio Carac-
ciolo (“Il collasso dell’ informazio-
ne”) e, in particolare, la citazione da
lui fatta delle tremende parole rivol-
te, all’epoca della guerra contro
l’Iraq del 2003, da un consigliere di
Bush al giornalista Ron Suskind del
New York Times.
“La gente come lei vive in quella
che noi chiamiamo la comunità basa-
ta sulla realtà”. Dove ci si illude “che
le soluzioni emergano dal giudizioso
studio di una realtà comprensibile.
Oggi il mondo non funziona più così.
Noi siamo un impero. E mentre agia-
mo, creiamo la nostra realtà. E men-
tre voi giudiziosamente studiate quel-
la realtà, noi agiamo di nuovo, pro-
ducendo nuove realtà, che voi potre-
te studiare. Noi siamo gli attori della
storia. E a voi, a tutti voi, resta di stu-
diarla”.
di ANDREA CARANCINI
in andreacarancini.blogspot.com
“La coerenza è una virtù anche
per i cattolici in politica. Il loro
compito non è quello di privilegia-
re le caste o gli interessi privati,
ma avere a cuore le sorti delle fa-
miglie, delle nuove generazioni e
delle categorie più emarginate. In
coerenza con i principi evangelici.
Non esiste una politica cristia-
na, ma cristiani che si impegna-
no in politica, testimoniando con
coerenza i valori in cui credono.”
“Qui, non c’è niente e nessu-
no !” Aspetta a dirlo. Prima
accendi una luce !
Fino al settecento si credeva che
il mettere una camicia sporca e
delle sementi in una scatola, calda
e umida, avrebbe generato (dopo
alcune settimane e per germina-
zione spontanea) la comparsa di qualche topolino.
Alla fine del secondo millennio
c’era chi andava raccontando che
la luce della Luna poteva trasfor-
mare un uomo in un licantropo ( o
“uomo-lupo”). Inoltre, sempre in
quegli anni, era raccomandato di prestare attenzione agli uomini
Vampiro. Infatti il morso di un
Vampiro, al collo di un essere u-
mano, avrebbe trasformato la vit-
tima in un … altro Vampiro !
Agli inizi del terzo millennio una
forma, improvvisa e diffusa, di
Il principe si è sposato, il cattivo è morto, ...
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Che cosa possono produrre i Palestinesi ?
Che cosa potresti comperare dai Palestinesi ?
Che cosa valgono le risoluzioni dell’O.N.U. ?
convivere, allora: due popoli in due Stati !
Se gli israeliani e i palestinesi non sanno
Ma quanto è dato osservare è molto diverso...
PARI OPPORTUNITÀ
IO NON COMPRO
LAVAZZA TEVA JAFFA L’OREAL
Negli ultimi tre anni gli interventi
delle CARITAS, in Provincia di
Ravenna, sono cresciuti del
Eppure, fino ad un anno fa, al Go-
verno del Paese c’era chi negava
la crisi. Poi costoro hanno ammes-
so che la crisi esisteva, ma era un
problema mondiale. Ora, in alcu-
ni Paesi, è iniziata la ripresa eco-
nomica mentre in Italia la crisi
perdura. Questa volta, che cosa ci
verranno a raccontare ?
28 %
Sì, riscriviamo la Costituzione !
Ecco il nuovo art. 1° :
“La sovranità appartiene al
Popolo delle Libertà !”
150 Il mondo che abbiamo creato
è il prodotto del nostro pensie-
ro e dunque non può cambiare
se prima non modifichiamo il
nostro modo di pensare. Albert Einstein
Quale politica energetica per il
futuro del Paese ?
Il Governo rompe gli indugi:
stop al nucleare e stop al fotovol-
taico.
Avanti tutta, a lume di candela !
Ma questa è la settimana Walt Disney ?! pazzia colpì numerosi individui, tra-
sformando persone normali e con
famiglia in terroristi sanguinari.
Attorno all’anno duemila, alcuni
cosiddetti leader vennero aiutati,
dai Paesi Occidentali, a conquistare
la guida di intere Nazioni o Stati (del
Nord Africa e della Mezza Luna Ara-
ba). Ma, dopo soli trent’anni, tutti quei leader politici erano diventati
degli “spietati e pericolosi dittato-
ri”. Allora quegli stessi Paesi Occi-
dentali si adoperarono (con le buo-
ne o con le … cattive) per la destitu-
zione di leader ora ex-amici. Pochi
leader sopravvissero agli eventi e,
comunque, nessuno di loro ebbe
l’opportunità di raccontare la sua
versione su quanto fosse accaduto.
dal sito http://zarja01.blogspot.com
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L’ITALIA NON È UN PAESE PER I GIOVANI 2° Governo Berlusconi (dal 11-06-2001 al 23-04-2005) Durata (giorni) 1412
3° Governo Berlusconi (dal 23-04-2005 al 16-05-2006) Durata (giorni) 388
2° Governo Prodi (dal 16-05-2006 al 08-05-2008)) Durata (giorni) 723
4° Governo Berlusconi (dal 08-05-2008 al …-…-… ) Otto anni, degli ultimi dieci...
Sono stati tagliati i fondi per la scuola pubblica. Chi non ha testa, usa i muscoli. Chi ha solamente i muscoli è in … concorrenza con il 3° Mondo.
È stato incentivato il lavoro straordinario. Se otto occupati fanno un’ora di straordinario, quel giorno una persona non ha il lavoro.
È stata alzata l’età per poter andare in pensione. Se i posti non si liberano, gli occupati sono sempre gli stessi.
Vuoi eliminare il
ricorso all'energia
nucleare? Sì.
Vuoi cancellare
la privatizzazione
dell'acqua? Sì.
Vuoi sbarazzarti del
legittimo impedimento?
Sì.
Referendum del
12 e 13 giugno