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ORGANIZZAZIONE AZIENDALE: Capitolo 2: Conoscenze e decisione. In questo capitolo le domande che ci porremo saranno: 1) Perché l’attore (o individuo) agisce? 2) Quali azioni intraprenderà e quali no? 3) Per quali ragioni? Struttura delle conoscenze: Il materiale che è dato come input di un processo decisionale, consiste di informazioni; queste sono alla base di qualunque processo decisionale. Importante è la distinzione tra dato e informazione: i dati vengono percepiti dal soggetto e quindi selezionati, interpretati ed immagazzinati in relazioni ad altri per poi diventare informazioni; le informazioni d’altro canto possiamo dedurle essere in relazione tra loro per permettere all’individuo di confrontarle e di dare ad esse un peso specifico, quindi fanno parte della conoscenza del soggetto. Le informazioni entrano nei processi decisionali dopo essere state organizzate: l’atore seleziona le informazioni in relazione ai suoi problemi, in relazioni alle alternative di soluzione (del problema) e in relazione alle possibili conseguenze che legano azioni e risultati. NB: il tipo di conoscenze da cui scaturisce un processo decisionale è una variabile fondamentale nella predizione del comportamento più efficace da perseguire. Tipi di conoscenze: Le conoscenze e le informazioni all’inizio di un processo decisionale, formano il patrimonio di partenza; tale patrimonio è rappresentabile tramite una struttura stratificata di elementi che differiscono per le modalità di acquisizione: Conoscenze Paradigmatiche (eredità culturale): una conoscenza base degli attori, è costituita da quelle conoscenze di fondo che essi danno per scontate e che consentono di dare senso ai dati osservati. Questa componente delle conoscenze è scarsamente modificabile dall’attore stesso perché per convenzione viene ritenuta “fuori discussione” poiché viene appresa in maniera a-critica ed è ritenuta cosa evidente: per l’attore non sarebbe conveniente ripartire sempre da zero e riverificare le conoscenze e gli assunti di base perché così commetterebbe maggiori errori (perché non ha gli strumenti cognitivi adatti) e minori prestazioni. Conoscenza Critica: Qual è il limite tra le conoscenze di fondo che siamo disposti ad accettare come non soggette a discussioni e quelle che vogliamo sottoporre a critica e all’apprendimento consapevole? Questo limite è un limite che può essere tracciato a seconda del modo d’essere specifico dell’attore, poiché il posizionamento di questo confine governa il loro grado di docilità contrapposto al loro grado di orientamento alla critica e all’innovazione. Conoscenze Esperienziali: sono quelle conoscenze acquisite dall’individuo tramite la diretta esperienza e la sperimentazione delle conseguenze delle proprie azioni. Per Bandura (1986) l’esperienza del singolo si forma anche grazie all’esperienza diretta di altri soggetti. L’apprendimento tramite l’azione costituisce quella parte di conoscenze che prendono il nome di conoscenze tacite, ovvero quelle conoscenze che vengono identificate più come capacità (esse sono caratterizzate dalla difficoltà di individuare gli elementi e le procedure applicate nei casi di maggior successo). Una conseguenza importante delle conoscenze tacite è che esse (soprattutto a livello industriale) sono difficilmente codificabili, e quindi sono trasferibili solo secondo osservazioni reciproche (vedi Taylor). Conoscenze Esplicite e ipotesi controllabili: Sono conoscenze esplicite e controllabili tramite procedure razionali di ricerca e di apprendimento: un manager che deve decidere per l’acquisto di un nuovo impianto, sarà condizionato da una serie di schemi mentali, dalle informazioni che repeturà idonee per essere tenute a mente e da procedure pre-esistenti cui fare riferimento. Le conoscenze esplicite possono essere viste come sistemi di ipotesi formulati in modo comunicabile e controllabile tra i diversi soggetti. Thompson e Tuden (1959) ipotizzano che diverse strategie decisionali sono adottabili in modo contingente allo stato informativo iniziale su due tipi di input: 1) Gli obbiettivi da raggiungere. 2) Le relazioni causa-effetto. Sviluppando tale impostazione si può giungere ad una caratterizzazione delle conoscenze esplicite che possono essere utilizzate nei processi di decisione come un sistema di congetture. Si possono aggiungere ulteriori importanti classi di congetture o di conoscenze ipotetiche: 3) Stime di probabilità sugli elementi 1) e 2). 4) Giudizi osservativi (le stime su quali grandezze e eventi si sono osservati).

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Organizzazione Aziendale Libro

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Page 1: Organizzazione Aziendale Libro

ORGANIZZAZIONE AZIENDALE:

Capitolo 2: Conoscenze e decisione.In questo capitolo le domande che ci porremo saranno:

1) Perché l’attore (o individuo) agisce?2) Quali azioni intraprenderà e quali no?3) Per quali ragioni? Struttura delle conoscenze:

Il materiale che è dato come input di un processo decisionale, consiste di informazioni; queste sono alla base di qualunque processo decisionale.Importante è la distinzione tra dato e informazione: i dati vengono percepiti dal soggetto e quindi selezionati, interpretati ed immagazzinati in relazioni ad altri per poi diventare informazioni; le informazioni d’altro canto possiamo dedurle essere in relazione tra loro per permettere all’individuo di confrontarle e di dare ad esse un peso specifico, quindi fanno parte della conoscenza del soggetto.Le informazioni entrano nei processi decisionali dopo essere state organizzate: l’atore seleziona le informazioni in relazione ai suoi problemi, in relazioni alle alternative di soluzione (del problema) e in relazione alle possibili conseguenze che legano azioni e risultati.NB: il tipo di conoscenze da cui scaturisce un processo decisionale è una variabile fondamentale nella predizione del comportamento più efficace da perseguire.

Tipi di conoscenze:Le conoscenze e le informazioni all’inizio di un processo decisionale, formano il patrimonio di partenza; tale patrimonio è rappresentabile tramite una struttura stratificata di elementi che differiscono per le modalità di acquisizione:

Conoscenze Paradigmatiche (eredità culturale): una conoscenza base degli attori, è costituita da quelle conoscenze di fondo che essi danno per scontate e che consentono di dare senso ai dati osservati. Questa componente delle conoscenze è scarsamente modificabile dall’attore stesso perché per convenzione viene ritenuta “fuori discussione” poiché viene appresa in maniera a-critica ed è ritenuta cosa evidente: per l’attore non sarebbe conveniente ripartire sempre da zero e riverificare le conoscenze e gli assunti di base perché così commetterebbe maggiori errori (perché non ha gli strumenti cognitivi adatti) e minori prestazioni.

Conoscenza Critica: Qual è il limite tra le conoscenze di fondo che siamo disposti ad accettare come non soggette a discussioni e quelle che vogliamo sottoporre a critica e all’apprendimento consapevole?Questo limite è un limite che può essere tracciato a seconda del modo d’essere specifico dell’attore, poiché il posizionamento di questo confine governa il loro grado di docilità contrapposto al loro grado di orientamento alla critica e all’innovazione.

Conoscenze Esperienziali: sono quelle conoscenze acquisite dall’individuo tramite la diretta esperienza e la sperimentazione delle conseguenze delle proprie azioni. Per Bandura (1986) l’esperienza del singolo si forma anche grazie all’esperienza diretta di altri soggetti. L’apprendimento tramite l’azione costituisce quella parte di conoscenze che prendono il nome di conoscenze tacite, ovvero quelle conoscenze che vengono identificate più come capacità (esse sono caratterizzate dalla difficoltà di individuare gli elementi e le procedure applicate nei casi di maggior successo). Una conseguenza importante delle conoscenze tacite è che esse (soprattutto a livello industriale) sono difficilmente codificabili, e quindi sono trasferibili solo secondo osservazioni reciproche (vedi Taylor).

Conoscenze Esplicite e ipotesi controllabili: Sono conoscenze esplicite e controllabili tramite procedure razionali di ricerca e di apprendimento: un manager che deve decidere per l’acquisto di un nuovo impianto, sarà condizionato da una serie di schemi mentali, dalle informazioni che repeturà idonee per essere tenute a mente e da procedure pre-esistenti cui fare riferimento. Le conoscenze esplicite possono essere viste come sistemi di ipotesi formulati in modo comunicabile e controllabile tra i diversi soggetti. Thompson e Tuden (1959) ipotizzano che diverse strategie decisionali sono adottabili in modo contingente allo stato informativo iniziale su due tipi di input:

1) Gli obbiettivi da raggiungere.2) Le relazioni causa-effetto.

Sviluppando tale impostazione si può giungere ad una caratterizzazione delle conoscenze esplicite che possono essere utilizzate nei processi di decisione come un sistema di congetture. Si possono aggiungere ulteriori importanti classi di congetture o di conoscenze ipotetiche:

3) Stime di probabilità sugli elementi 1) e 2).4) Giudizi osservativi (le stime su quali grandezze e eventi si sono osservati).

Giudizio in condizioni di incertezza: I processi di percezione e giudizio in base ai quali sono definiti gli input decisionali sono soggettivi e fallibili: sono soggetti alle debolezze tipiche ricorrenti o sistematiche dei giudizi umani. È possibile definire una sorta di inventario delle principali distorsioni sistematiche indotte dai limiti della razionalità (razionalità limitata): si tratta di effetti distorsivi non desiderati, che qualora fossero visti dai soggetti decisori genererebbero una correzione del processo e delle scelte effettuate. Queste correzioni possono, e devono essere viste, come:

1) Guide ad un uso migliore della razionalità.2) Guide ad una capacità di discernimento tra “eurismi buoni” ed “eurismi cattivi” in funzione delle situazioni decisionali.3) Guide allo sviluppo di capacità di giudizio in condizioni di incertezza.4) Guide al miglioramento della qualità degli input che il decisore elabora.

Il termine eurisma identifica qualunque regola o procedura mentale atta a generare o trovare qualcosa che si sta cercando: per esempio uscire con l’ombrello quando piove. L’uso di eurismi è positivo in problemi in cui sia importante risparmiare risorse di analisi.DETTO A LEZIONE: Gli eurismi si collocano tra la fase divergente e quella convergente: questi, sono meccanismi cognitivi che ci permettono di passare dalla fase divergente a quella convergente. Gli eurismi sono delle regole mentali, quei meccanismi che ci permettono di selezionare rapidamente quelle informazioni importanti per la nostra decisione e quelle alternative da considerare. Permettono di arrivare rapidamente ad una decisione elaborando e selezionando le informazioni necessarie per arrivarci. Permettono di fare valutazioni, stime e previsioni considerando solo una parte di informazioni (quelle necessarie).

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Il significato etimologico si ha sempre dal greco: EURISMA = EUREKA = HO TROVATO = TROVARE RAPIDAMENTE. Gli eurismi spesso possono portarci a degli abbagli (o distorsioni cognitive), quindi il buon decisore deve saperlo comprendere in anticipo.Il cattivo funzionamento degli eurismi, ci fa imboccare delle strade che possono portare ad errori “madornali” di giudizio, e quindi a delle cattive valutazioni. Il buon decisore non è colui che amplia il campo delle informazioni, ma è colui che riduce tale campo in maniera intelligente arrivando così alla soluzione rapida di un determinato problema, è colui che verifica l’esito della propria scelta, è colui che rianalizza le fasi del processo decisionale per poterlo migliorare in futuro.Nell’impresa il tutto è più difficile perché esiste la suddivisione dei compiti, perché, a seconda della sua struttura, possono essere presenti elementi burocratici, perché spesso al momento della ideazione si ha un momento separato da quello dell’esecuzione: spesso scattano dei meccanismi di compensazione psicologica come quelli che ci rendono restii a riconoscere i nostri errori.Queste piccole regole hanno un funzionamento automatico; vengono usate sovente in maniera inconsapevole e quindi rappresentano una scorciatoia importante grazie all’esperienza. L’esperto è colui che applica una serie di regole che in casi passati si rivelarono di successo al conseguimento della risoluzione del problema.Si può pensare che l’impresa è dotata di una sua coscienza collettiva tale che è capace di memorizzare le regole risolventi problemi efficientemente, e di saperle riproporre (routine organizzative Nelson & Winter): questo porta al saper scartare a prescindere tutte le alternative che non portano alla soluzione efficiente.Gli Eurismi sono utili perché la nostra mente risparmia energie cognitive, però bisogna stare attenti alle distorsioni cognitive; queste somigliano molto alle illusioni ottiche: la nostra mente può travisare i dati che abbiamo a disposizione(x es figura gestaltica: è una figura che si presta ad essere interpretata in due modi). Da qui si possono evincere le seguenti due intuizioni:

1) La realtà non è sempre come appare e la pretesa che abbiamo di essere oggettivi e razionali non è sempre vera. 2) La realtà si palesa in modo diverso a persone diverse: quindi il tentativo di imporre l’una o l’altra visione è costruttiva a patto che avvenga in un

confronto aperto al dialogo, da questo si crea una ricchezza perché si allargano i punti di vista delle diverse persone. Nell’impresa quest’effetto è un effetto non raro perché a causa della specializzazione, con il tempo, si creano degli orientamenti diversi ciascuno dei quali emerge tramite la differenziazione interna; tanto più le unità operative si specializzano, tanto più si palesano diversi schemi cognitivi. In ambienti complessi come il mercato (dove le informazioni si sostanziano anche riguardo l’ipotetico gusto dei consumatori) si ritrovano eurismi falsati perché gli schemi cognitivi filtrano, attraverso le percezioni, la realtà, influenzando le interpretazioni della realtà e quindi le nostre decisioni. Proprio per queste ragioni la resistenza al cambiamento dell’individuo e delle organizzazioni, è argomento importante in tema di questa materia.Gli schemi cognitivi si fissano nella nostra mente ed orientano il modo per cui filtriamo la realtà, raccogliamo informazioni, le selezioniamo, le elaboriamo , e il modo per cui tramite il processo decisionale giungiamo ad una soluzione.Le principali distorsioni dovute all’uso di eurismi sono relative ai quattro principali tipi di input di un processo decisionale:

1) La definizione dei problemi (Frame).2) La ricerca di informazioni e di alternative (Eurismi da Disponibilità, Rappresentatività e Ancoraggio).3) I giudizi di probabilità.4) L’inferenza basata sull’esperienza.

Definizione dei problemi e interpretazione delle osservazioni (FRAMES):Molti processi decisionali (come già detto) partono da problemi, tuttavia i problemi non esistono in natura perché è, in verità, una situazione base per la quale si sviluppa una possibilità d’azione.Bisogna tenere a mente che ogni modo di vedere un problema, è anche un modo di non vedere (Morton): non solo la definizione di un problema è soggettiva ma è anche selettiva, cioè implica un considerare alcuni aspetti della realtà e un trascurarne altri. I fenomeni reali hanno infiniti aspetti e nessun decisore (nell’ottica della razionalità limitata) può considerarli tutti: percepire un problema in un modo significa non percepirlo in un altro, utilizzare un FRAME significa non usarne un altro. La formulazione dei problemi può essere migliorata dalla conoscenza di alcune distorsioni fondamentali che possono influire su tale processo:

1) Una volta adottato un frame (o punto di vista) su un problema si perde la capacità di avere altri punti di vista, e questo può generare rigidità e conflitti.

2) Il frame può non dipendere solo dalla soggettiva opinione del decisore sulla natura del problema, ma anche dal linguaggio e dai punti di riferimento casualmente adottati.

La differenza sistematica delle scelte è attribuita quindi ad un effetto di prospettiva.I decisori assumono qualche punto di riferimento in base al quale valutare le conseguenze, come il peggio o il meglio che può accadere. In secondo luogo possono formulare tali conseguenze in termini di guadagni o di perdite rispetto a quel punto di riferimento. L’adozione di un frame positivo (vedere nell’ottica dei guadagni), porta i decisori (a parità di condizioni) ad essere più prudenti e più flessibili ma meno innovativi (avversione al rischio); mentre l’adozione di un frame negativo (vedere nell’ottica di perdite) porta i decisori ad essere più rigidi nel rifiutare soluzioni e più disposti al rischio.Questo problema è noto nella psicologia (applicata al consumo) come INVERSIONE DELLE PREFERENZE:Cambiando l’esposizione di una questione in termini di perdita, spesso si induce la controparte in un atteggiamento di chiusura. L’accettazione della perdita comporta un costo psicologico (accettare una sconfitta); è lo stesso processo che scatta in un giocatore d’azzardo.L’adozione di un certo frame o di un altro è spesso inconsapevole o addirittura casuale; ed allora si può parlare di distorsioni: effetti sulle scelte che il decisore correggerebbe se fosse in grado di vedere altri frames. I diversi frames, implicano una diversa attitudine nei decisori a selezionare informazioni perché ogni frames caratterizza un determinato stile cognitivo dell’individuo che a sua volta è caratterizzato anche dal sistema informativo tipico dell’ambiente in cui il decisore si trova. La distanza cognitiva quindi può essere considerato un fatto fisiologico.Un antidoto a questo tipo di distorsione è sicuramente la comunicazione tra individue o tra gruppi, poiché favorisce l’ampliamento dei punti di vista rendendo minore la distanza cognitiva tra uno e più frame. ESEMPIO: dobbiamo comprare un nuovo telefonino, vicino casa abbiamo il negosio A al prezzo di 250; sappiamo che a 50 m di distanza c’è il negozio B al prezzo di 220. Cosa faremo? La maggior parte va al negozio B.Dobbiamo comprare un automobile (la A6) il concessionario X, vicino casa, la vende a 42400; a 50 m di distanza abbiamo il concessionario Y che propone un prezzo di 42370. Dove la compro? La maggior parte la comprerebbe sotto casa, perché i 30 risparmiati per la macchina incidono molto meno in proporzione al prezzo delle merci. Scattano dei fenomeni di contabilità psicologica (il calcolo non è fatto in maniera assoluta bensì relativa).NB: in questo caso si è vittima di un effetto framing.

Ricerca e valutazione di informazioni alternative (eurismi D, R, A.):

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Abbiamo già detto che la ricerca e la valutazione di svariate informazioni è un processo costoso e difficile, e abbiamo già detto che spesso viene semplificato grazie agli eurismi. Ma per limitare la ricerca spesso capita che un eurisma ci induca in errori di valutazione. I tre principali eurismi che inducono in trappole di “ricerca locale” sono dati dalla formulazione di giudizi in base alla:

a) Disponibilità.b) Rappresentatività.c) Ancoraggio.

a) Disponibilità: il procedimento solitamente usato per generare informazioni è di immaginare esempi del fenomeno in questione. Il risultato è che il giudizio sull’importanza dei vari fattori viene influenzato dalla facilità con cui riescono a generare tali informazione.La certezza del verificarsi di un evento non è stimata in base al suo oggettivo verificarsi, ma siamo influenzati dagli esempi relativi a quel fatto (esempi dati dall’esposizione per esempio ai media). La frequenza del verificarsi di un fenomeno è stimata richiamando alla mente esempi. Tanto più è facile richiamare alla mente esempi simili del fatto in discussione, e tanto più l’evento è giudicato frequente o possibile:1) La stima della frequenza dipende da quanti resoconti sull’evento sono forniti dai media2) Quanto siamo esposti ai media.

Da quanto sono vivide (quanto sono fresche nella nostra mente e quanto ci colpiscono) e concrete le informazioni.Tutto ciò influenza il nostro giudizio e i media così sanno di influenzare le nostre percezioni.Il responsabile del marketing punta proprio su questo tipo di eurisma per influenzare il comportamento dei consumatori tramite la pubblicità informativa.ESEMPIO: La campagna promozionale contro il fumo (sul sociale) era improntata sul viso dell’attore Yul Brinner (fumatore e malato) che preso in primo piano restava in silenzio salvo la frase conclusiva dello spot nella quale supplicava il pubblico di non fumare: questa campagna ha avuto un enorme successo perché:1) Si vedeva la malattia dell’attore (realmente). 2) Quella campagna promozionale è stata mandata dopo la morte dell’attore, e quindi ha avuto un impatto emozionale molto forte. Quindi quando parliamo da eurisma di disponibilità troviamo le cause nella differenza tra informazioni vivide e informazioni opache: ci sono alcuni fatti (informazioni) che noi ricordiamo meglio di altri.ESEMPIO (Di eurisma che induce ad errori): in un processo decisionale cerchiamo di pesare i pro e i contro di 2 o più alternative a disposizione: se una delle due è leggermente preferita rispetto all’altra è chiaro che tendiamo a produrre molte più ragioni a favore dell’alternativa che più preferiamo, e molte più ragioni negative per l’alternativa che meno preferiamo.Questi distorsioni cognitive ci impediscono di percepire e apprendere le cose come andrebbero apprese.ESEMPIO: Se dovessimo scegliere la facoltà cui iscriverci, e dovessimo decidere tra medicina ed economia, inizierei a vantare i pro e i contro delle due alternative per poi confrontarle; i decisori poco attenti non pesano bene tutte le informazioni perché hanno già una preferenza per l’una o per l’altra (magari per un approccio imitativo), e quindi creiamo ragioni favorevoli per l’alternativa che preferiamo e ragioni contrarie per l’alternativa da scartare. Come si può evitare il rischio di cadere vittima di questo eurisma? 1) Farci aiutare da qualcuno che ha un punto di vista diverso dal nostro. 2) Oppure chiedere a qualcuno di produrre una serie di ragioni contro l’alternativa verso la quale propendiamo, e più ragioni per l’alternativa verso la quale non propendiamo.Con questo gioco delle parti possiamo evitare di cadere vittima dell’eurisma da disponibilità.Altra causa di distorsione è rappresentata dalle differenze di capacità di immaginazione: alcune informazioni non le vediamo (o facciamo fatica ad immaginare) perché non appartengono al nostro bagaglio di esperienze. Questo porta a non vedere le varie alternative perché ho più difficoltà ad immaginarle. Proprio in riferimento alla capacità di immaginazione, viene in mente che una delle cose più difficili da immaginare riguarda il futuro: siamo molto abili a spiegare il passato piuttosto che a fare previsioni per il futuro perché è avvolto nell’incertezza, ed è difficile decifrare i segnali deboli che possono darci idea delle tendenze e dei cambiamenti in atto.ESEMPIO: immaginiamo di essere dei manager che fanno parte del marketing di una grande impresa, e dobbiamo decidere se lanciare un nuovo prodotto sul mercato (atlas un nuovo detersivo); un modo per fare l’analisi per considerare le informazioni necessarie all’analisi del prodotto, potrebbe essere di immaginare quelli che potrebbero essere i motivi per cui le cose potrebbero andare male. Ma di fatto facciamo molta fatica ad immaginare che le cose in futuro possano andare male (a noi non può accadere perché abbiamo un elevata autostima !!!); un escamotage per indurre i manager a pensare alla possibilità che le cose possano andare male potrebbe essere quello di cambiare l’orizzonte temporale: il direttore anziché dire di calcolare le ragioni per cui il lancio potrebbe andare male, potrebbe chiedere di immedesimarsi 5 anni dopo il lancio considerandolo andato male. Perché 5 anni fa questo lancio andò male?Le persone difronte a questa domanda, (dove il fallimento è dato per certo) sono molto più capaci ad immaginare le informazioni sul fallimento del suddetto lancio; questa tattica ha successo perché presuppone un cambiamento sistema cognitivo, e quindi le persone riescono a comprendere meglio, tramite la ricostruzione, quali potrebbero essere le cause di un potenziale insuccesso; apprendendole poi riescono magari ad eliminare quelle prese in esame.

b) Rappresentatività: ciò che di solito governa la valutazione di appartenenza ad una categoria è soprattutto un giudizio di similarità fra la descrizione qualitativa (del soggetto/argomento in valutazione) e lo stereotipo della categoria. Il decisore prende poco in considerazione gli effetti del caso e la natura dei fenomeni probabilistici. L’eurisma nell’esempio del bibliotecario ne è un esempio: la probabilità che A appartenga ad una qualche popolazione B, è giudicata sulla somiglianza e sulla rappresentatività di A con la popolazione B. Le informazioni di base sono informazioni importanti sulla formazione di giudizio che dobbiamo dare e, proprio perché sono informazioni lontane e fredde, tendiamo ad ignorarle perché cerchiamo di considerare solo quelle informazioni più vivide del caso specifico in esame. Possiamo evitare di rimanere intrappolati, cercando di tener conto delle informazioni di base facendo attenzione a quelle specifiche (come i dati probabilistici).Effetti distorsivi nell’eurisma della rappresentatività si hanno perché: Chi fornisce le informazioni ha la possibilità di influenzare il giudizio e quindi di influenzare l’interlocutore. Questo sottolinea l’importanza nel

contesto organizzativo, della fiducia. Manca la considerazione dell’effetto probabilistico. La situazione descritta è quella che crediamo la più simile allo stereotipo del bibliotecario.

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c) Ancoraggio: l’unico dato che abbiamo a disposizione esercita notevoli influenze nel nostro giudizio. L’individuo effettua spesso stime a partire da un dato noto, aggiustandolo verso la soluzione che ritiene corretta. La ricerca empirica dimostra che l’aggiustamento è insufficiente tanto da dare stime distorte. Questo errore viene definito eurisma da ancoraggio: quando dobbiamo formulare un giudizio e non abbiamo un idea precisa, la nostra mente tende a selezionare come punto di partenza un dato certo e poi a partire da quel dato certo, la nostra mente, tende a compiere degli aggiustamenti nella direzione che si spera essere quella giusta. Abbiamo parlato finora di come nella realtà, a causa degli eurismi e delle distorsioni cognitive a cui siamo indotti dalla presenza di schemi cognitivi sedimentati nella nostra mente, il giudizio (la scelta) sulle informazioni è elemento che ha un peso sulle nostre decisioni. Spesso il modo di percepire e di elaborare è frutto di una pressione anche sociale. Gli eurismi operano anche indipendentemente dalle nostre capacità e dalle nostre competenze, e ci inducono in errore o a non vedere certi aspetti della realtà. Quali sono gli antidoti contro l’eurisma d’ancoraggio? 1) Non tener conto del dato che abbiamo sarebbe un errore, ma certamente due ancore sono meglio di una e quindi è importante, se non

necessario, almeno disporre di 1 altra ancora. Così saremmo più efficaci nelle nostre scelte perché saremmo più informati.2) L’uso di gruppi di può ridurre, se il gruppo è particolarmente variegato, l’eccesso di sicurezza generando informazioni più ricche e variate.

NB: i tre eurismi finora descritti possono, se combinati tra di loro, dare origine a distorsioni molto vistose soprattutto nelle operazioni di stima delle probabilità.SINTESI: gli eurismi sono delle scorciatoie mentali che la nostra mente usa per prendere più rapidamente delle decisioni; sono meccanismi che si attivano inconsapevolmente, derivano e sono frutto della nopstra esperienza passata; possono avere al 90% degli effetti positivi (ombrello quando piove), ma nel 10% gli eurismi ci portano a commettere sistematicamente degli errori. Noi siamo ormai lontani non solo dal modello stimolo-risposta ma anche dal modello teorico della teoria neoclassica della razionalità assoluta (abbattuto anche grazie alla critica di SIMON): i comportamenti dei decisori sono solo intenzionalmente razionali, ma nella realtà questa razionalità incontra una serie di limiti (razionalità limitata); quindi abbiamo la necessità di studiare i limiti della razionalità e abbiamo visto che siamo vittima di una serie di abbagli cognitivi e di meccanismi che distorcono i nostri giudizi e le nostre valutazioni. Dobbiamo essere attenti perché in un impresa il manager migliore non è sempre quello che decide in maniera accurata, il manager che non cade mai vittima di queste illusioni cognitive perché non ne fa esperienza.Il punto importante degli eurismi è che si combinano tra loro tendendo ad avere un effetto moltiplicativo, quindi possono dare origini a distorsioni ancora più ampie: l’effetto framing ci dice di stare attenti perché il modo con cui si definisce il problema, influenza le informazioni che consideriamo rilevanti e quelle che consideri non rilevanti. Il modo in cui si definisce il problema, influenza le alternative percorribili, il loro confronto e la scelta in definitiva.Il modo in cui ci si sottopone il problema, rischia di bloccarci in uno schema che noi stessi ci siamo costruiti e dal quale sarà difficile uscirne: per trovare la soluzione dobbiamo uscire dallo schema. Dobbiamo fare attenzione perché lo schema che immaginiamo, o che abbiamo in memoria, per risolvere il problema ci può intrappolare e vincola tutti i passaggi successivi. Esempio dei 9 punti!!!!

Nb: le teorie svolgono un ruolo importante perché ci influenzano! Quindi dobbiamo capirle e comprenderle conoscerle, criticarle e quindi farci una nostra teoria, perché hanno su noi influenza.Dobbiamo quindi tenere a mente alcuni punti:1) Ogni modo di vedere la realtà è anche un modo per non vedere: quando uno sche ma si impianta nella nostra struttura copgnitiva è molto difficile vedere quello che sta fuori dallo schema.2) Questo schema ci condiziona pesantemente perché all’interno di questo selezioneremo le informazioni che reputiamo importanti e a partire da questo selezioneremo le nostre soluzioni al problema.Abbiamo visto eurismi da Ancoraggio, Rappresentatività e da Disponibilità, e l’effetto framing; dobbiamo essere consapevoli dell’esistenza dell’agire degli eurismi per due ordini di idee:1) Queste cose ci devono essere utili per migliorare il nostro modo di decidere, e renderci più accurati nel non ripetere gli stessi errori.2) Essere consapevoli del fatto che questi meccanismi vengono spesso utilizzati anche per influenzare i nostri comportamenti. Per indurci in errore in una negoziazione.

Shelley Taylor (psicologa USA): ha scritto un libro nei primi ’90: “Illusioni, quando e perché l’autoinganno è la strategia più giusta”. La taylor fa una ricerca dalla quale risulta che tutti noi siamo vittime di almeno tre tipi di illusioni:

1) Tutti noi crediamo di essere più bravi della media delle persone: le persone che si autovalutano, tendono a valutarsi sopra la media. 2) Quello che ci accade, dipende da noi (locus of control): noi come persone abbiamo la tendenza di ritenerci in grado di controllare l’ambiente che ci

circonda. Questa illusione ci induce a credere che le cose negative a noi non possano accadere. Se invece ci accade qualcosa di positivo è stato perché è dipeso da noi.

3) Quella secondo la quale il domani sarà sicuramente miglio di ieri. La cosa interessante di queste illusioni è che giocano un ruolo positivo perché senza queste illusioni vivremmo molto male: una persona maniacale che non pensa di avere più capacità della media delle persone, che pensa di non possedere una buona capacità di controllo dell’ambiente che lo controlla e che pensa che giammai il domani sarà migliore di ieri, questa persona è l’emblema del DEPRESSO. Il depresso si blocca e si paralizza non trovando più motivi per agire.

Strategie decisionali:

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SIMON HERBERT: Il tema della decisione è famoso grazie a Simon Herbert, colui che ha rivoluzionato la teoria e la prassi dell’organizzazione con il testo: “administrative beaviour”. Tale testo è un testo fondamentale nell’economia, la sua impostazione teorica ha cambiato il corso degli studi amministrativi.

Prima di Simon l’attenzione era concentrata sul comportamento organizzativo e in particolare sul collegamento tra Comportamento→Prestazione→Risultato; per influenzare il risultato bisognava analizzare il comportamento, e proprio qui ha rilievo la teoria di Simon:Il comportamento è preceduto da una decisione, per cui un cattivo risultato ha motivazione, e spiegazione, nell’analisi delle decisioni e grazie a tale analisi si possono trovare i presupposti per migliorare un risultato futuro.Anche la decisione è frutto, a sua volta, di un processo decisionale più amonte che può essere diviso in molteplici fasi, quindi un cattivo risultato dipende da una decisione che dipende da un errore in fasi del processo decisionale antecedente la decisione.

Le fasi del processo decisionale: La parola DECISIONE deriva dal latino DECOEDO (tagliare/recidere) nel senso che il processo decisionale elimina quelle alternative non percorribili e focalizza l’attenzione sul percorso d’azione.

Le fasi nello specifico sono:1) Si da una definizione del problema (riguardo cosa si decide?): non è una fase facile, perché in situazioni dove il problema interessa molti, ci si trova

difronte a molteplici punti di vista.2) Definizione degli obbiettivi: Cosa si vuole ottenere dalla decisione?3) Raccolta delle informazioni (fase importantissima).4) Selezione delle informazioni rilevanti al fine della risoluzione del problema.5) Definizione (identificazione) delle possibili alternative.6) Confronto (valutazione) delle possibili alternative.7) Scelta tra le alternative: qui si fa un’operazione di “cesura”, ovvero eliminiamo le alternative non valide.8) Implementazione (attivazione) della decisione: questa fase viene a coincidere con l’azione.9) Controllo (verifica) dei risultati: questo fase rappresenta il processo di Feedback informativo che ci consente, tramite le informazioni giuste, di

verificare se la decisione ha soddisfatto o no l’obbiettivo, e di ripercorrere le fasi decisionali per individuare la fase generante l’errore. Questo altro non è che un processo di apprendimento, e affinche scatti effettivamente come processo operativo, si necessita di:a) Tempo per effettuare le opportune verifiche.b) La disponibilità del soggetto ad effettuare tali verifiche.

Il Feedback informativo deve arrivare al soggetto decisore in maniera tempestiva (quando c’è ancora la possibilità di cambiare il corso d’azione) e chiara.

Definizione dei problemi: Simon è il primo studioso ad analizzare e istituire i processi decisionali all’interno delle organizzazioni e fa una critica feroce alla teoria neoclassica; ha distinto i problemi in:

a) Problemi strutturati: quei problemi che ammettono una soluzione univoca, che è quella massimizzante del risultato e della funzione d’utilità, etc. Sono quei problemi risolvibili con un algoritmo. Possono essere problemi anche molto complessi, almeno finché non si sviluppano adeguate conoscenze in materia. Simon fa un parallelismo con il gioco degli scacchi: esistono infinite combinazioni di mosse ed è determinante l’abilità e la creatività del giocatore; per Simon questo non è del tutto vero perché prevede la futura esistenza di un calcolatore economico capace di calcolare esattamente tutte le possibili indicazioni riconducendo il problema degli scacchi ad un problema strutturato tale che si possa trovare la soluzione ottima per far vincere la partita.

b) Problemi non strutturati: E’ un problema per il quale contano le preferenze individuali, non c’è un’unica soluzione né la soluzione ottimizzante (o massimizzante); la soluzione dipende dalle preferenze individuali e dagli obbiettivi dei decisori. A differenza dei problemi strutturati, quelli non strutturati sono definiti in termini qualitativi, il che rende difficile una graduatoria tra diverse alternative di azione e quindi conta anche la sensibilità creativa del decisore. In questi casi esiste ed è necessario ricercare un’alternativa soddisfacente rispetto ai parametri del decisore.

Simon ha una concezione dell’impresa come sistema elaborativo, informativo etc; un sistema che acquisisce, elabora e processa dati e informazioni. L’impresa viene concepita come un enorme calcolatore umano ed è, tale concezione, alla base del sistema cognitivo.

Aree decisionali del manager: Le aree decisionali del manager riguardano problemi non strutturati, cioè problemi che necessitano di una raccolta di enorme quantità di informazioni, alle quali sarà attribuito un peso diverso; bisognerà esprimere preferenze che andranno adattate alle preferenze di altri soggetti interni all’impresa. Si necessita, infatti, di accordi con altri soggetti per mettere insieme preferenze diverse.

Nel caso dei problemi non strutturati, esistono preferenze diverse che sono ordinate in modo diverso, quindi ognuno ha un proprio processo decisionale. Variabili decisionali:

a) Ampiezza del processo decisionale: è determinata dalla maggiore o minore ricchezza di elementi che sono stati considerati; il tempo è proporzionale alla ricchezza dell’analisi.

b) Il grado di dettaglio dell’analisi: è altro fattore importante a diversificare i vari processi decisionali su una certa questione. c) Sono rilevanti le modalità e la cura. d) Il tempo: questo fattore è una variabile importante, ma da solo non è determinante (la valutazione fatta in molto tempo non è detto che sia più

accurata e corretta di una fatta in tempi minori). Il tempo è speso, in primis, in ambiti di ricerca e per costruire e determinare le alternative rilevanti, per confrontarle e valutarle. Il tempo inoltre è determinante per mettere sotto pressione, perché il manager deve essere in grado di decidere anche sotto pressione.

e) Soglie di aspirazione (o soglie di accettabilità): queste soglie portano a tagliare (ridurre) tutte quelle alternative che sono sotto tale soglia di aspettativa. Quindi la variabile importante è rappresentata dalle preferenze individuali (o di gruppo).

f) L’ampiezza della ricerca: riguarda la maggiore o minore quantità di dati che vengono considerati.g) La numerosità delle alternative messe a confronto.

NB1: Tra le variabili ampiezza e tempo, esistono delle relazioni molto strette perché tanto più si cerca di essere esaustivi, maggiore è il tempo che si impiega per esserlo.L’abilità che deve essere sviluppata è di adottare uno stile decisionale (strategia decisionale) che sia adeguata alle circostanze. Difronte alla domanda: qual è la strategia decisionale migliore? La risposta sarà: Dipende! Perché esistono vincoli e situazioni particolari, o comunque altri tipi di vincoli che diversificano le situazioni.Nella valutazione bisogna tenere conto delle conseguenze di eventuali errori, sopra tutto se nel risultato atteso si è investito molto; vale la pena di essere accurati e dettagliati perché le decisioni di cui si parla sono di importanza vitale per l’impresa. Purtroppo spesso si usano scorciatoie per abbreviare i tempi, e quindi si

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usano strategie già utilizzate, replicando in maniera a-critica routine decisionali (o organizzative); la decisione di routine non è la migliore per qualunque situazione simile si presenti nel tempo.NB2: Se il problema è strutturato vale le pena di investire tempo e risorse perché la soluzione ottima esiste e c’è; ma se il problema non è strutturato (bisogna saper pesare con attenzione le informazioni incerte) si ha un processo decisionale a razionalità limitata: il decisore ha un comportamento tipico dell’uomo amministrativo (vedi Zanda).NB3: Se il processo decisionale è a razionalità limitata è più importante avere a disposizione delle regole che ci facciano selezionare rapidamente le informazioni alternative, questa capacità è determinata da criteri che sono:a) L’importanza della decisione. b) Le conseguenze di un eventuale errore. c) La natura di un problema: strutturato o non strutturato. d) Quindi ci dobbiamo imporre delle sogli di accettabilità: ovvero dobbiamo saperci fermare una volta trovata l’alternativa che soddisfa quella soglia. NB 4: Una delle modalità per tentare di trasformare il problema non strutturato in uno strutturato, è assegnare dei pesi per rendere le informazioni da qualitative a quantitative, ed effettuare calcoli in base ai pesi assegnati.

Approccio della Razionalità Assoluta: come già detto è un approccio ottimizzante che corrisponde ad un comportamento dell’essere umano definito uomo economico. L’uomo economico è (in questa impostazione) un essere onnisciente; le preferenze dell’uomo onnisciente sono univoche e sono tra loro ordinabili in maniera chiara; di norma queste preferenze sono espresse in modo quantitativo. In questo modello non c’è spazio per i sentimenti, per i desideri, per i valori e per il gusto (anche estetico). Le alternative rilevanti (perseguibili) sono tutte note e sono soprattutto note le conseguenze della scelta di una particolare alternativa (per questo l’essere umano nella teoria neoclassica è definito come onnisciente). Quindi la scelta non può non cadere sull’alternativa ottima. In questo modello le decisioni avvengo in assenza di vincoli (temporali perché tutte le informazioni già si conoscono, o di natura economica); si tratta di un modello puramente teorico perché descrive una realtà stilizzata, ma esistono situazioni per le quali ci avviciniamo a questo tipo di approccio.

ESEMPIO: devo lanciare sul mercato il prodotto A, B o C: dobbiamo capire l’effetto in termini di fatturato delle diverse alternative, quindi supponiamo:

A→ fatturato 100 Ml → p=0,8→ Fatt x p = 80B→ fatturato 80 Ml → p=0,9→ Fatt x p =72C→ fatturato 120 Ml → p=0,6→ Fatt x p = 72Associando ad ognuno di esse delle probabilità la scelta di C non sarà più tanto ovvia: perché combinando i valori con le probabilità avremo una specie di valore atteso che indicherà A come l’alternativa migliore.

Critica di Simon al modello della Razionalità assoluta: Simon porta una critica al modello, questo va bene quando il modello è strutturato e quindi si necessita la chiarezza del decisore e un investimento in termini di analisi; questo va bene per problemi strutturati o comunque importanti, ma per altri problemi questo modello non funziona. Questo vuol dire che gli esseri umani vorrebbero essere razionali, ma la loro razionalità è limitata e Simon ritiene che l’impresa nasca ed esista proprio perché tramite i suoi meccanismi informativi e di conoscenza è in grado di rendere meno limitata la razionalità di persone che debbono necessariamente cooperare per raggiungere un obbiettivo comune (qualcosa che va al di là del singolo individuo).

Abbiamo certamente degli obbiettivi facilitati da risorse ma ostacolati da vincoli.

Non basta definire perfettamente gli obbiettivi da raggiungere ma bisogna avere un’idea precisa delle risorse disponibili e soprattutto bisogna tenere conto dei vincoli ( per esempio il tempo): il collaboratore al quale il manager detta solo l’obbiettivo da raggiungere, dopo un po’ vaga nel buio.Trovare un metodo (o criterio) è una delle attività (capacità) più importanti perché porta le informazioni a livelli più gestibili. Il buon decisore non si perde nel mare di informazioni, ma è quello che riesce a raccogliere le informazioni veramente utili e significative, è colui che riduce il campo di ricerca in maniera intelligente: è l’unico modo che ci permette di arrivare ad una decisione e poi all’azione (nonostante si possano commettere errori).

Modello della Razionalità Limitata (dell’uomo amministrativo): tramite questa critica Simon arriva a definire il suo modello della razionalità limitata nel quale contano il tempo, i soldi, le risorse, le preferenze e gli obbiettivi. Le preferenze sono tante e sono prevalentemente qualitative e non chiaramente ordinabili.

La alternative sono quelle che raggiungono o superano la soglia di accettabilità, e questo sono analizzate in maniera sequenziale. La decisione ricade quindi sull’alternativa soddisfacente.È un approccio che tiene conto del limite del cervello umano che può avere informazioni limitate; la razionalità umana è limitata non solo per la limitatezza delle conoscenze cognitive, ma anche perché nell’ambito del processo decisionale, informazioni, tempo e capacità, possono entrare in conflitto tra loro, e perché questa conflittualità può essere accentuata dagli schemi cognitivi delle persone e dai sentimenti delle persone stesse (per esempio chi si sente in colpa per una promozione per il proprio sentimento di appartenenza); queste difficoltà decisionali possono peggiorare se a dover prendere la decisione non è un singolo individuo, ma un gruppo.In questi casi si può pensare a risolvere questa difficoltà tramite il voto generando, però, quello che va sotto il nome del “Paradosso del Voto”: La maggioranza vince in sede di votazione, ma in certe situazioni la maggioranza non si verifica e si ha una parità. Esempio: una famiglia di tre componenti deve decidere dove andare in vacanza, ed ogniuno ha delle preferenze ordinate: che vince il voto?Mamma: Mare> Montagna>LagoPapà: Montagna>Lago>Mare

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Figlio: Lago> Mare> MontagnaSoluzione: non si realizza una maggioranza, magari si stipula un accordo segreto mettendo in minoranza un agente. Ma questo determina una trasformazione dal problema decisionale al problema politico.

Differenza tra i due modelli: Tornando al modello della razionalità obbiettiva, si dice che gli economisti neoclassici hanno una visito della realtà surreale, quindi dal paradosso del voto, analizzando il pensiero di KENNET ARROW (nobel per l’economia): le alternative considerate sono quelle che superano una certa soglia di aspettativa, quindi è questo elemento che fa la differenza tra i due modelli.

Le alternative nel modello della razionalità limitata sono analizzate in maniera sequenziale:a) Definisco le soglie di aspettativa: elimino quindi tutte quelle alternative che non raggiungono il mio livello di aspirazione.b) Guardo se ci sono alternative che eguagliano o superano il mio livello di aspirazione, e la prima alternativa che trovo rappresenterà la decisione (il

livello di accettazione è mobile).

Cambiamo la soglia di aspirazione in base agli esiti di ricerca. Per Simon il problema non sono le insufficienti informazioni disponibili, semmai ad oggi il problema è opposto: abbiamo una quantità enorme di informazioni. Si ha quindi un effetto SEPOLTURA (paralisis by analisis): Una delle capacità è quella di saper applicare la giusta strategia ai vari contesti decisionali, e quindi consideriamo altri tipi di approcci decisionali.

Altri Approcci Decisionali: Supponiamo di trovarci davanti alla scelta di acquistare un automobile; possiamo usare due tipi di approcci decisionali: a) Approccio decisionale imitativo: la macchina mi piace e per emulazione di altri, che hanno già effettuato le proprie valutazioni (con l’impiego di

energie ed informazioni), la compro anche io. È una strategia che azzera una fase importante del processo decisionale, che è quella della ricerca delle informazioni e delle alternative. Tuttavia ha una sua logica, quindi ha un approccio alle decisioni importante in molti casi: se c’è qualcuno che si è fatto già carico della fatica di valutare varie informazioni e varie alternative, imitandolo riduciamo la complessità decisionale. Molte imprese attuano una strategia di imitazione cercando di acquisire informazioni che rendano possibile la riproduzione di un prodotto già lanciato sul mercato. Questo approccio genera un risparmio cognitivo ed è alla base dell’appartenenza ad una rete di informazioni (network = mi baso sull’esperienza altrui per risparmiare energie cognitive che vanno spere nell’attività di ricerca). Un caso significativo di questo approccio lo troviamo nei distretti industriali (sarebbero una specie di rete organizzativa): l’imprenditore dei distretti comincia a vedere i rendimenti dell’imprenditore vicino (che sono più elevati essendo legati all’esportazione) e quindi con i suoi collaboratori organizza una riunione, per informarsi sulle basi occorrenti per tentare la stessa strada per emularlo. Si conduce un’analisi sull’esemplarità del soggetto vicino. Ma è un approccio che comunque ci aiuta ad intraprendere un’azione.

b) Approccio decisionale ottimizzante: do un peso alle mie informazioni e calcolo la mia convenienza. Determino un prezzo che pago in termini di denaro: il costo delle mie informazione riguardo le autovetture, viene determinato dall’acquisto di riviste specializzate per raccogliere informazioni sulle automobili. Ovviamente si parla anche di costi in termini di tempo speso per attribuire ad ogni informazione un peso. È un procedimento molto analitico al quale bisogna fare attenzione perché sia il tempo che la raccolta delle informazioni hanno un costo. Fare analisi dettagliate, va bene quando le decisioni sono particolarmente importanti (si vedrà nella negoziazione).

c) Approccio diverso (quello delle persone mediamente normali): le persone normali per acquistare un auto prenderanno decisioni anche in base alla definizione dei propri parametri obbiettivo, e quindi non cercheranno l’alternativa oggettivamente ottima, bensì quella ottimizzante il loro caso specifico; ciò ci permette di ridurre le alternative ad un numero più basso e più facilmente gestibile. Quindi risparmi in termini di tempo, risorse e di energie perché cerco l’auto non eccellente ma quella che soddisfi la personale soglia di accettazione. Per esempio avendo una famiglia, il soggetto cercherà una macchina familiare. Le soglie di accettabilità non sono fisse bensì sono mobili: comparare le diverse alternative è complicato perché esistono trade-off tra le varie caratteristiche che cerchiamo (x es in una casa da comprare), quindi stabilire dei pesi aiuta a non farsi prendere da altri fattori (come l’emotività: ci piace la casa per la zona ma poi devo ristrutturarla e quindi resto frustrato perché non ci avevo pensato prima).

d) Approccio decisionale casuale: faccio un random per scegliere in base al caso, ma non è ottimizzante, quindi attribuisco dei pesi per scegliere tra alternative ridotte. Per esempio in un colloquio di lavoro, assumo a seconda del voto di laure (come parametro di giudizio). Altro esempio può essere quello della Jeep nel deserto: la Jeep si blocca nel deserto e non abbiamo cognizioni di meccanica etc, ci possono essere due modi diversi di risolvere il problema: 1) Tocco tutto finchè non riparte la macchina x culo.2) Oppure tocco una variabile per volta per tenere una memoria di quello che è stato fatto.

L’approccio decisionale in questo caso è un approccio che si sviluppa per tentativi ed errori.e) Approccio decisionale basato sulla solidarietà: in un colloquio di lavoro ha rilevanza nella scelta il fattore emotivo di un legame affettivo con una

persona che ha avuto un trascorso con il decisore.f) Approccio incrementale (e/o decrementale): è l’approccio tipico del politico; dobbiamo decidere il budget assegnato alla sanità nella prossima

finanziaria. Questo è un approccio pericoloso perché non rimette in discussione il problema (la qualificazione della spesa), la natura del problema non viene messa in discussione, e quindi la decisione riguarda solo la direzione e l’intensità di “moto”.

Le Macro-fasi che sintetizzano il processo decisionale: Il processo decisionale, può essere sintetizzato oltre che per strategie e modelli anche in due grandi macro-fasi:

1) Macro-fase Divergente: è una macro-fase importante perché la parte divergente di un processo decisionale è dedicata alla ricerca delle informazioni e delle alternative, che verranno poi discusse, valutate e selezionate. Esistono persone, o gruppi di persone (organizzazione), capaci di realizzare in

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maniera adeguata questa fase. Si può assumere che esistono problemi particolari che necessitano di porre particolare cura nella fase divergente; queste sono attività che richiedono una forte capacità per produrre il maggior numero di idee e di eventuali soluzioni (da ponderare) per arrivare ad una soluzione: più idee possibili si riescono a produrre è meglio. Per esempio una macro-fase divergente è quella della più adeguata scelta di strategia pubblicitaria.

NB: La troppa divergenza porta come detto alla “paralisis by analisis”, ovvero ad un sovraffollamento di informazioni che determinano il blocco del sistema decisionale.

2) Macro-fase Convergente: Si ha quando effettuiamo una severa selezione delle idee e delle informazioni per uscire dall’indeterminatezza convergendo verso la soluzione. Passare alla fase convergente significa reprimere la creatività per produrre informazioni, idee, alternative…

Bisogna essere capaci di imporre criteri o meccanismi che ci permettano di uscire dalla fase dell’indeterminatezza. Questi criteri ci permettono poi di convergere verso una decisione. NB: La convergenza per Simon è una capacità che deve essere acquisita ed è fondamentale svilupparla.

Distorsioni delle Macro-fasi: Per Simon esistono 2 grandi effetti distorsivi che possono portare ad un disequilibrio tra le due fasi; ne identifica due tipi:1) Un tipo di distorsione (pericolosa) per la quale abbiamo un lunga fase divergente per la quale non riusciamo a convergere verso la soluzione (paralisis

by analis).2) L’altra distorsione è quella relativa ad una fase convergente in maniera troppo rapida che trascura così informazioni spesso anche importanti.

Capitolo 6: Gruppi. Comunicazione e decisione di gruppo

Definizione e proprietà: La base empirica per comprendere il funzionamento dei gruppi è data da una serie di risoluzione di problemi posti in esperimenti da laboratorio. Le situazioni di decisione di gruppo, consentono di osservare i processi tramite i quali esso è in grado di produrre una scelta su una linea di azione collettiva da seguire.Per analizzare meglio l’efficacia di tali progressi si sono posti problemi di tipo strutturato (con una soluzione derivante dal calcolo matematico) alla base degli esperimenti; quindi la soluzione del gruppo potrà essere paragonata non solo con la corretta soluzione di raffronto, ma anche con la soluzione generata dai singoli.Il meccanismo base delle decisioni di gruppo è quello di accomunare e di confrontare conoscenze ed informazioni parziali tramite la reciproca persuasione: ogniuno esercita influenza in base alle proprie informazioni e competenze.NB: Si evince, dunque, che saranno i problemi complessi, multidisciplinari e nuovi a richiedere l’impegno di decisioni di gruppo e a beneficiarne maggiormente.NB: Sui problemi complessi il gruppo consegue un grande vantaggio di tipo cognitivo poiché il gruppo punta all’ampliamento del sistema informativo e della potenza cognitiva del soggetto decisore.NB: Il gruppo è anche inteso come uno strumento per la riduzione delle distorsioni congnitive tipiche della razionalità individuale (limitata):

1) La capacità di trattare più informazioni evita distorsioni da disponibilità.2) Il confronto di diversi schemi cognitivi evita distorsioni di Framing nella definizione della missione (TASK).3) Il confronto genera, inoltre, evita spesso la sottovalutazione dei rischi.NB: Tra i benefici va anche incluso il fattore di accettazione nel gruppo, che spesso porta a far valere le proprie opinioni in quanto reputate stimabili.

NB: Attributi del gruppo come meccanismo distintivo di coordinamento:a) Rete di comunicazione totale: tutti devono comunicare e farlo effettivamente; un gruppo dove, anche se solo alcuni, non riescono ad esprimersi è un

gruppo che non raggiungerà la soluzione la qualità di una decisione di gruppo.b) Parità di condizione: ogniuno deve poter influire sul processo (a parità di condizioni) in modo equilibrato.c) Il raggiungimento del consenso tramite la persuasione e il confronto è raggiungibile dalle parti solo se non sussistono conflitti di interesse: il gruppo va

inteso come un collettivo con interessi comuni e quindi come una squadra della quale tutti hanno interesse a vincere il gioco che stanno giocando. In questa squadra la leadership vine stabilita in base ai meriti e alle esperienze del vissuto pertinenti.

ESEMPIO DI COOPERAZIONE DI GRUPPO IN UN PROBLEMA STRUTTURATO:“Una signora entra in gioielleria per comprare una collana al prezzo di 78 euro; da al gioielliere un assegno di 100, il gioielliere non ha subito da dare il resto e quindi si reca da un commerciante vicino per girare l’assegno ed ottenere il contante di 100. Il gioielliere torna e consegna resto e collana. Qualche giorno dopo il commerciante vicino si reca e afferma che l’assegno è un assegno scoperto, e chiede al gioielliere indietro i 100 euro contanti; egli li restituisce. Sapendo che il gioielliere aveva pagato 39 la collana, qual è l’esborso totale per il gioiellieere sapendo di non trovare più la signora?” L’esercizio è da svolgeri singolarmente e poi all’interno del gruppo; la soluzione di raffronto è 61!

Si hanno 3 possibili esisti dell’esperimento:a) Individualmente anche qualucuno del gruppo aveva il risultato corretto ma la maggioranza nel gruppo ha generato un risultato sbagliato. Il singolo ha

sbagliato a non far valere la sua voce. b) Se invece tutti hanno partorito il risultato corretto all’interno di un gruppo, si potrebbe comunque avere la situazione pericolosa di groupthink. c) NB: Il gruppo serve a creare una cooperazione tramite la relazione sociale, e ciascuno deve lavorare sulla capacità di entrare in relazione con gli altri.

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NB: Si nota inoltre che, nonostante il problema fosse di tipo strutturato e quindi di rapida soluzione, la dinamica del gruppo ha rallentato il conseguimento della soluzione.Quindi, per individuare se il gruppo è il miglior decisore rispetto all’individuo, bisogna tener conto che il problema strutturato non è un problema che si presta ad essere risolto efficacemente da un gruppo (perché ammette una sola soluzione data dal calcolo matematico), a differenza del problema non strutturato. Quindi la definizione del compito (task) ha un’importanza fondamentale nelle decisioni di gruppo.

ESEMPIO DI COOPERAZIONE DI GRUPPO IN UN PROBLEMA STRUTTURATO:Fate parte di un equipaggio spaziale per la quale, secondo i programmi, era previsto un appuntamento con la navicella madre sulla parte illuminata della superficie lunare. A causa di difficoltà tecniche, siete costretti ad allunare in un luogo distante circa 32 Km da quello dell’appuntamento.Durante l’avvicinamento e l’allunaggio la maggior parte del materiale a bordo è stata danneggiata; poiché la sopravvivenza dipende dal fatto di raggiungere la navicella madre, occorre scegliere gli oggetti di importanza determinante per compiere i 32 Km che vi separano da essa.Di seguito sono riportati i 15 oggetti in ordine casuale; riportare in ordine di priorità dal primo all’ultimo secondo il proprio criterio di valutazione, svolgere il lavoro individualmente e poi in un gruppo:

I 15 oggetti: Classifica individuale Classifica NASA Differenze Classifica gruppoScatola di fiammiferi 13 15 2 ?Cibo concentrato 3 4 1 ?15 metri di corda di nylon 4 6 2 ?Paracadute di seta 6 8 0 ?Apparecchio di riscaldamento portatile 8 13 5 ?Due pistole calibro 45 15 11 4 ?Una cassetta di latte disidratato 7 12 5 ?Due bombole di ossigeno da 50 Kg 1 1 0 ?Una mappa stellare con le costellazioni lunari 9 3 6 ?Un salvagente 10 9 1 ?Una bussola magnetica 11 14 3 ?20 lt d'acqua 2 2 0 ?Razzi luminosi 14 10 4 ?Cassetta di pronto soccorso con aghi per punture 5 7 2 ?Radio FM a batterie solari 12 5 7 ?Totale 42

A 51

B 42

C 44

D 7

E -2

A: Sommatoria dell’errore a livello individuale:sommatoria del la differenza di postazione tra la risposta corretta e quella data dall’individuo (posta tra modulo) per ogni membro costituente il gruppo: 51B: Punteggio di errore del più accurato membro del gruppo: 42C: Punteggio di errore del gruppo confrontando la lista del gruppo con quella fornita dalla NASA: 44D: Punteggio di guadagno o perdita sulla media dei punteggi individuali: A-C = 7E: Punteggio di guadagno o perdita del gruppo rispetto al membro più accurato del gruppo: B-C =-2.NB: Per vincere bisognava avere i punteggi di D ed E entrambi positivi.NB: Questo è un tipo di problema non strutturato e quindi contano molto le competenze tecniche; in questo caso l’aspetto fondamentale è rappresentato dalla discussione, dalla ricerca di un accordo cercando di stabilire una relazione positiva tra il risultato del gruppo e le dinamiche relazionali interne al gruppo. Il gruppo si è dimostrato un miglior decisore sia rispetto alla media dei componenti che rispetto al più accurato membro se in D ed E si hanno valori positivi. Si può dire che il gruppo è il miglior decisore se:

1) La previsione dei punteggi è accettata da ciascuno dei membri. 2) Se si sono evitate prese di posizione sulla propria idea. 3) Non si sono avuti atteggiamenti aggressivi. 4) Il tempo è ben organizzato: il lavoro di gruppo va organizzato realizzando un equilibrio tra fase divergente e fase convergente. 5) Si è evitato di cambiare parere solo per evitare il conflitto.Bisognava sostenere soluzioni condivisibili. 6) Si è evitato il criterio della maggioranza o il mercanteggiare perché va contro quella che è la logica di un gruppo. 7) Si è tenuto conto dell’opinione altrui.

Patologie della decisione di gruppo: Per ogni attività che il gruppo deve realizzare noi possiamo identificare gli elementi di input e di output atteso; in mezzo a questi c’è la fase dinamica del processo. Il risultato che più ci interessa è espresso in termini di risultati effettivi, monetari, di individuazione di un nuovo prodott etc, ma per noi l’efficacia va misurata anche in termini di soddisfazione delle persone, perché se non c’è una determinata soddisfazione gli individui ridurranno gli sforzi e i contributi riducendo l’efficacia del gruppo.

Gli input sono determinati a livello del gruppo, dalla direzione che forma il gruppo: 1) Le capacità (competenze) è importante che siano eterogenee, questo è importante soprattutto quando l’obbiettivo da raggiungere è complesso e

richiede stili cognitivi diversi (nozioni differenti).2) La composizione del gruppo (da parte della direzione) deve tener conto della taglia (dimensione): tanto più il gruppo è numeroso, maggiori sono i

tempi di raggiungimento della soluzione. Inoltre la taglia dipende dal tipo di obbiettivo da realizzare.3) A livello di struttura intendiamo la struttura dei ruoli, cioè il fatto che all'interno del gruppo le persone rivestono determinati ruoli: leader, avvocato

del diavolo, contabile etc.

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4) Altri input forniti dalla direzione, sono l’informazione tecnica, il supporto di consulenza informatica, gli incentivi all’impegno, i riconoscimenti attribuiti al gruppo nel suo complesso etc.

Tra gli input e gli output c’è il processo di gruppo: in questa fase dinamica, sono di importanza essenziale la comunicazione, il supporto di tutti i membri, la capicità di formulare strategie di gruppo, il peso di input che ognuno può apportare e i confini entro cui il gruppo può muoversi. Il processo nella sua dinamica richiede quindi ai membri di essere supportivi e capaci di saper gestire i conflitti inter personali.

La Dinamica è influenzata dalla composizione, dalle strutture, dalle risorse in input e dalla complessità del compito da realizzare (TASK).Il primo elemento che influenza la dinamica del processo decisionale è la pressione sociale all’interno del gruppo: sappiamo che il gruppo può e di fatto influenza l’individuo controllandolo; e questo controllo deriva dal fatto che dal gruppo provengono benefici di tipo informativo e di conoscenza per il singolo; tuttavia dal gruppo derivano anche premi e punizioni. Ciò significa che il gruppo ha carte importanti da giocare nei confronti dell’individuo affinchè si uniformi al pensiero dominante del gruppo stesso. Il gruppo può giocare sul desiderio di stima e di appartenenza del singolo manovrando due meccanismi di contollo significativi:

a) OSTRACISMO: L’esclusione del singolo tramite l’estromissione (per esmpio il mobbing).b) RIDICOLO: il gruppo tende a rendere ridicolo il dissenziente.

Sono cose che preoccupano perché sono elementi che il singolo tende ad evitare facendosi condizionare da questi meccanismi di gruppo; ecco perché si parla di pressione di gruppo: la pressione che il gruppo esercita sull’individuo, lo porta ad uniformarsi a quella che si ritiene essere la volontà del gruppo.

ESPERIMENTO DI ASCH: Asch era uno psicologo sociale il quale ha visto quanto può essere schiacciante la pressione sociale del gruppo nei confronti dell’individuo. Abbiamo a sinistra una linea di prova e a destra altri 3 segmenti A, B e C: una persona doveva individuare quali tra i 3 segmenti aveva la stessa lunghezza della linea di prova: il soggetto cavia, rispose isolato dando la risposta esata nel 99% dei casi (1% era dei casi di errore); l’esperimento poi consisteva nel fare la domanda ad un altro però all’interno di un gruppo:

1) Asch chiedeva ad un complice di dare la risposta sbagliata, chiedendo subito dopo alla cavia di dare la sua risposta; il risultato fu che la cavia dopo la risposta del complice aumenta la sua possibilità di errore fino al 3%.

2) Usando le prime due risposte come date dai complici, il terzo soggetto cavia veniva indotto all’errore nel 13% dei casi. 3) Chiedendo di dare la risposta sbagliata ai primi 3 complici, il quarto (soggetto) cavia rispondeva con un margine di errore del 33%.

Se in più a questa domanda si aggiungeva anche un premio numerario, il soggetto cavia (con 3 o + persone) ha margine di errore fino al 47%. È anche importante sottolineare che l’esperimento, con 6 persone a dare la risposta sbagliata e la 7 a dare la risposta giusta, induce il soggetto cavia (all’ottavo posto) a ridurre l’errore fino al 6% della propria risposta, perché il settimo instilla il dubbio per il quale il soggetto cavia è portato a mettere in discussione gli altri 6. La pressione di gruppo, mostrata così, influenza la nostra percezione della realtà e determina i tipici fenomeni estremi del gruppo come l’essere un entità socialmente pericolosa perché in gruppo si possono avere atteggiamenti che singolarmente non avremmo mai, perché esiste un influenza reciproca.

Nonostante i grandi vantaggi di una decisione di gruppo, va precisato che qualora non si verifichino determinate condizioni, la direzione che il processo di gruppo prende sarà addirittura negativa. Negli esperimenti di Asch, si evidenzia che le persone trovano difficoltà ad esprimere il loro parere, o cambiano opinione, per il solo fatto che la maggioranza degli altri sostiene un’altra opinione: anche in un compito, nel quale la capacità di giudizio è minima, le persone perdono sicurezza nelle proprie valutazioni iniziando a pensare a indizi e a controindicazioni che gli altri vedono a differenza loro. Questo processo che è distruttivo in una situazione di unanimità, genera una patologia cognitiva: Groupthink dove il singolo si omologa pur di non perdere i privilegi dati da un gruppo: L’individuo pur di non assumere una posizione contraria ad altre, anche se ci vede perfettamente, arriva a mettere in discussione le proprie percezioni e quindi riadegua la propia velutazione in base agli altri; oppure capisce qual è il segmento giusto però ma, pur di non contraddire il gruppo, si conforma ad esso dando la risposta appositamente sbagliata. Ma avendo detto che anche una voce minoritaria insinua il dubbio riducendo l’errore al 6% ridimensionando la risposta della maggioranza, Asch ci insegna, nella dimensione impresa, a far parlare per ultimo l’individuo dissenziante in modo da scaricargli contro tutta la pressione sociale e indurlo a non influenzare nessuno.Svantaggi del gruppo:

1) Una delle caratteristiche delle decisioni prodotte in regime di Groupthink e di elevata pressione del gruppo, è la loro rischiosità: in una situazione caratterizzata da entusiasmo collettivo, riguardo una decisione relativa ad un progetto, i segnali di un eventuale “mal-esito” vengono trascurati poiché nessuno si sarebbe preso l’onere di sottoporli accecato dal raggiungimento del traguardo; cioè si ha una mancanza di senso critico e quindi aumenta la rischiosità.

2) Un altro svantaggio delle decisioni di gruppo è quello dato dal “Free riding” a livello di responsabilità: i singoli si deresponsabilizzano perché i contributi e le responsabilità non sono discernibili nella decisione del gruppo, pertanto ogni menbro non sopporterà che in parte le conseguenze delle scelte qualora l’esito fosse negativo.

3) Difficoltà di coordinamento: difficoltà che salgono all’aumentare della taglia del gruppo. Il gruppo quindi deve essere controllato nelle sue dinamiche sociali e razionali.

4) Il tempo e le energie richieste ai partecipanti: il tempo della decisione è maggiore perché deriva dalla necessità di permettere a tutti di esprimersi e di trasferire le loro informazioni.i membri deveno quindi sviluppare la capacità di comunicare.

5) Necessità di raggiungere il consenso che però può tradursi in qualche caso in una tendenza al compromesso. 6) La possibilità dell’emersione delle conflittualità che è dato da una fattore fisiologico, che fa scattare una serie di meccanismi basati su concetti di

simpatia/antipatia, di cforti competizioni… questi elementi minano alla base la corretta dinamica relazionale e distolgono il gruppo dall’attenzione sul risultato che deve essere ottenuto; l’attenzione verrebbe traslata dalla ricerca della soluzione a quella che è la relazione sociale ed emotiva e quindi si determina un conflitto interpersonale negativo perché non si discute più sul merito del problema andando sugli attacchi personali attaccando lo status del singolo: conseguenza sono per esempio i groupthink che porta ad una riduzione degli input e della conseguente possibilità di generare alternative valide.

Vantaggi del gruppo:1) Gli input del gruppo sono superiori rispetto a quelli apportati dall’individuo nel gruppo, in termini di esperienza, conoscenza, di stili cognitivi, in tema di

varietà e di eterogeneità. Questo garantisce come vantaggio le minori possibilità che il gruppo cada vittima degli eurismi. La possibilità che emerge dalla ricchezza di varietà è dovuta alle differenze di genere che se sono correttamente colte possono generare una ricchezza emergente dal fatto che al gruppo partecipano membri che vengano da aree funzionali dell’impresa diverse (specializzazione del lavoro).

2) Il gruppo tende ad eliminare i limiti cognitivi dell’individuo e da una maggior capacità di risolvere il compito; tale capacità diminuisce quando sussistono conflitti tra i partecipanti al gruppo.

3) Altro vantaggio sono le maggiori opzioni strateggiche che il gruppo ha a disposizione quando si affronta un problema complesso, opzioni che il singolo non ha: si può scomporre un problema affidando le varie parti a sottogruppi.

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4) Altro vantaggio è rappresentato dalla possibilità di operare una moderazione dei punti di vista estremi: se il meccanismo fondamentale della decisione è la discussione dei diversi punti di vista, questo significa che ci sranno maggiori probabilità che gli estremi si avvicinino non polarizzandosi su posizioni ostinate.

Come si incoraggia il Groupthink: possiamo dare una risposta più specifica alla domanda se i gruppi sono entità superiori all’individuo: dipende dal saper evitare il fenomeno di Groupthink che può determinare decisioni o soluzione ai problemi di cattiva qualità (pensiero dominante del gruppo). Il Groupthink è incoraggiato da alcuni elementi:

a) Alta coesione tra i membri del gruppo: è un fattore positivo ma può anche essere negativo. b) Isolamento del gruppo: se il gruppo si isola perchè non viene correttamente supportato dall’impresa. c) La carenza o mancanza di una ricerca e di una valutazione sistematica nell’ambito del processo decisionale. d) Una leaderschip direttiva al limite dell’autorità: classico caso è quello di inventare un nemico esterno per favorire la coesione interna. e) Un’elevata componente di stress (quando ci sentiamo minacciati la prima reazione che abbiamo è quella di una maggiore rigidità) o di pressioni

dall’esterno del gruppo.Come evitare la distorsione del Groupthink: Ci possiamo accorgere che dentro il gruppo c’è qualcosa che non va da:

1) Illusione di invulnerabilità: vedi shelly taylor. 2) Altro sintomo è qll della presenza della formazione di stereotipi riguardo ciò che sta fuori dal gruppo: che sta fuori dal gruppo è il nemico e guai a

parlargli (vedi esercizio del prigioniero). Si forma una visione semplificata della realtà tipica dello stereotipo; si ragiona in temini di buoni-cattivi, giusto-sbagliato.

3) Forte pressione sui componenti dissenzienti. 4) Si inizia a dare per scontato che si è sempre e comunque d’accordo: se qualcuno non lo è non solo gli si abbatte contro tutta la pressione sociale, ma il

gruppo tende a sviluppare una forte autocensura.

Supporti alla decisione di gruppo: Il gruppo ha bisogno di tecniche e competenze comportamentaliper funzionare in modo positivo e per non cadere in patologie:

a) Coinvolgimento nella definizione dei problemi e nelle varie attività di gruppo. È importante il coinvolgimento soprattutto per ampliare le percezioni cognitive e la raccolta di informazioni.

b) Generazione di alternativa libera e indipendente: spesso in un gruppo si tendono a sviluppare dei sottogruppi; riducendo la loro interdipendenza questi sottogruppi lavorano alla stessa problematica per generare idee differenziate e più creative per poi confrontarle. I sottogruppi vengono anche usati nella ripartizione di compiti diversi per istituire una ripartizione del lavoro (in base alle competenze del ruolo dei singoli) in modo tale da facilitare lo svolgimento del TASK.

c) Esposizione nel gruppo: nel gruppo è necessario che il confronto si a libero ed effettuato nel pieno rispetto delle concezioni individuali; solo così si avrà una situazione dove il problema viene affrontato nelle piene potenzialità del gruppo.

Costi e limiti applicativi alla comunicazione e decisione di gruppo: a) La dimensione del gruppo (che come detto in precedenza è un fattore di input dato dalla direzione): al crescere dei membri costituenti il gruppo,

crescono i costi (anche in termini di tempo) in ragione del numero di connessioni e confronti da fare nell’ambito decisionale del gruppo stesso.b) Importanza delle decfisioni: l’importanza delle decisioni giustifica i costi in termini di tempo qualora le decisioni siano effettivamente molto

importanti: prese in tempo minore si sarebbero generate scelte inefficienti.c) Conflitti tra interessi: il coordinamento del gruppo, sarà tanto meno efficace quanto più vi siano interessi in conflitto.

RUOLI: Come detto la composizione (strutturata) del gruppo dipende dalla natura del problema (complesso o no), tanto più il problema ha natura complessa e maggiore è la possibilità di dover definire dei sottogruppi per affrontare diverse sottoproblematiche.Sotto il profilo strutturale è importante anche la distinzione dei ruoli (mediatore, moderatore, osservatore, leader spontaneo, l’esperto tecnico, il critico, …).C’è chi appartiene a più gruppi ma esiste anche un gruppo primario di appartenenza; all’interno di ogni gruppo al quale si appartiene, ciascuno di noi finisce per avere un determinato ruolo quindi è importante capire il concetto di ruolo.RUOLO: modello di comportamento che viene a definirsi in base a quelle che sono le aspettative del gruppo nei nostri confronti. Significa capire cosa il gruppo si aspetta dal singolo individuo. Il ruolo è una variabile sociale che non va confusa con il concetto di posizione organizzativa (var organizzativa di tipo strutturale), riguarda le mansioni che un certo individuo deve ricoprire all’interno di 1 organizzazione. Il ruolo rispetto al concetto di posizione è un aspetto più legato alla relazione che si determina tra l’individuo e un determinato gruppo di appartenenza: se un individuo disattende le aspettative del gruppo, questo potrebbe generare turbamento nel gruppo. Il deviare da un comportamento atteso provoca una reazione.Questo è sperimentabile in molte circostanze fra le quali anche i gruppi di amici: Il ruolo dopo un po’ inizia a stare un po’ stretto, (essere sempre quello simpatico), e si avverte il pericolo di un cambio di comportamento che disattenderebbe il gruppo. Essendo il gruppo molto capace di fare operazioni di etichettatura, l’individuo avrebbe su se un’etichetta tale per cui col passere del tempo ci sentiamo intrappolati in un dato ruolo.

Un altro aspetto interessante è che, appartenendo a più gruppi, esiste il rischio che i ruoli che assumiamo in gruppi diversi possano tra loro confliggere, e in questo caso proviamo delle tensioni: per esempio FANTOZZI, la vittima sottomessa sulla quale si esercitano sopprusi all’interno dell’azienda, viene umiliato e scarica su Pina e Mariangela le sue tensioni e svolge quindi un ruolo opporsto al suo nell’azienda.Fantozzi entra in imbarazzo quando questi 2 ruoli diversi si incontrano e non riesce più a capire a quale dei due ruoli deve dare priorità. Ciascuno di noi è esposto ad aspettative diverse che possono generare tensioni ed imbarazzo non facendoci capire a quale ruolo dare priorità in un certo momento.Questo aspetto può anche significare che, all’interno dello stesso gruppo, possiamo percepire da parte dei membri delle aspettative contrastanti e anche in quel caso può essere generato imbarazzo perché non sapremmo a chi dare priorità. NB: Lo stabilire in relazione al gruppo un modello di comportamento, sconta ancora una volta l’influenza che il gruppo può avere sul singolo: può accadere che per appartenenza al gruppo abbiamo paura a dire la nostra. Questo a lungo andare però provoca una rottura perché può farci cadere in un modello comportamentale che non ci appartiene: se cambiamo in maniera rapida rispetto alle aspettative del gruppo, si verifica una rotture.

PROCESSO DI ASSUNZIONE DINAMICA DEL RUOLO DA PARTE DELL’INDIVIDUO: il ruolo non è scritto da nessuna parte (a differenza della posizione), non è codificato. Quando parliamo di formazione di nascita di un ruolo consideriamo 3 fasi:

1) Emissione delle aspettative: avviene in maniera verbale oppure non verbale (vedi comunicazioone), se non c’è in questa fase una particolare attenzione e il gruppo non ci fa capire cosa si aspetta da noi, può nascere una prima fonte di imbarazzo e di tensione nell’individuo (AMBIGUITA’ DI RUOLO).

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Questa ambiguità di ruolo può essere dovuta dal fatto che dal gruppo ci arrivano messaggi poco chiari e contrastanti generando uno stato di tensione continua generante insoddisfazione.

2) Una volta superata la prima fase (il ruolo viene percepito) , succede la fase della percezione delle aspettative che dipende dalla nostra capacità di interpretare quello che ci comunica il gruppo: questo, per esempio, succede quando un individuo entra in un nuovo gruppo: dall’italia alla svezia ci sono differenze culturali che ci inducono a non capire che comportamento ci si aspetta da noi nel nuovo paese. Dobbiamo saper sviluppare quella capacità di comprendere cosa il gruppo si aspetta attraverso i segnali che ci giungono: altrimenti si verificherà una DISTORSIONE DI RUOLO.

3) Supponiamo di aver passato le 2 fasi precedenti brillantemente; la terza fase riguarda l’assunzione del ruolo: se ci sottraiamo al gruppo, il gruppo lo vivrà come un tradimento. Questo comporta una sanzione spesso anche brutale. In casi come qst la tensione dell’indiviuo è definita come tensione da INCONGRUENZA DI RUOLO: il ruolo non è coerente con quelle che sono le risorse di cui dispone l’individuo. Per es: ottengo una promozione a dirigente, il gruppo dell’alta dirigenza si aspetta grandi risultati, però non danno ne il tempo ne le risorse economiche all’individuo. In questo caso sappiamo cosa si aspetta il gruppo, ma l’incongruenza di ruolo nasce dal fatto che, nonostante vorremmo svolgere quel ruolo, non ci mettono in condizione di poterlo fare.

4) Un'altra tensione può essere relativa allo svolgimento di ruoli diversi: TENSIONE DI PERMEABILITA’ DI RUOLI CHE SONO DIVERSI. La domanda che ora ci possiamo porre è: “Esistono all’interno di un’organizzazione dei ruoli che più di altri sono soggetti a tensioni come quelle viste?” “Si”. Di seguito sono riportati alcuni esempi di tali casi:

1) Ruoli legati a posizione di nuova istituzione: in relazione ad una certa legge 626 (in azienda deve esserci un responsabile sulla sicurezza), il soggetto adibito a quella posizione deve svolgere un nuovo ruolo nell’impresa, però può avere difficoltà poiché non esisteva, tale ruolo, fino al momento della sua istituzione: quindi nel nuovo impiego l’individuo non ha alcun termine di riferimento.

2) Ruoli di confine (svolti da persone che operano al confine tra l’organizzazione el’ambiente esterno): riguarda quei soggetti che devono interagire per realizzare una partnership tra 2 imprese di cui una è quella cui appartiene; oppure caso più semplice è quello del venditore a contatto con il cliente. In questi casi colui che opera può subire forti tensioni che possono provenire dall’azienda mandante ma allo stesso tempo è soggetto a pressioni provenienti dall’altra azienda (o dai clienti cui egli si rapporta).

3) Ruoli intermedi (quelli che si trovano a metà strada tra gruppi di materia diversa): un esempio palese è quello dell’operaio che viene promosso a capo reparto; il suo ruolo viene a mutare completamente perché abbandona il ruolo svolto nel gruppo precedente per svolgerne un altro in un nuovo gruppo: quello dal quale prima veniva comandato.

4) Ruolo di colui al quale viene richiesto di essere un agente organizzativo del cambiamento interno: è il caso in cui viene assunto un nuovo manager con esperienza in un settore diverso; viene assunto perché possa riversare nella nostra impresa quel tipo di esperienza per generare un cambiamento significativo nel modo di lavorare. Il gruppo in cui egli si trova a lavorare, pretenderà che si adatti lui alla situazione attuale. Quindi il nuovo manager si trova tra due fuochi: la nuova direzione e il nuovo gruppo di colleghi.

Cosa succede quando due gruppi entrano in competizione ma hanno anche la possibilità di cooperare?ESERCITAZIONE SUL DILEMMA DEL PRIGIONIERO: Parte del comportamento di gruppo può essere interpretato analizzando i fattori di dinamica relazionale. L’esito del dilemma del prigioniero dipende dal comportamento e dalle dinamiche relazionali; ma in realtà sussistono altri elementi:i punteggi negativi non sono frutti di un comportamento irrazionale, perché in casi come questo è proprio la ricerca della razionalità che porta a sbagliare, perché le 2 squadre tendevano a scegliere in molti casi (dopo la scottatura iniziale) la soluzione disutile per entrambi. Perché si tende a rinnovare quella scelta che disagia entrambe le squadre? STORIA DEL PRIGIONIERO: 2 banditi vengono arrestati e accusati di un crimine; vengono messi in 2 celle separate. Ognuno deve decidere se confessare o no.. se confessano entrambi avrenno 3 anni di galera; se uno confessa e l’altro no, chi confessa ha dei vantaggi e l’altro prende l’ergastolo; se entrambi non confessano hanno dei benefici e ne escono bene. Questo significa che non sono sufficienti solo elementi di dinamica relazionale (x spiegare i nostri risultati) perché il comportamento YB (-3;-3) è di fatto la soluzione più ragionevole se consideriamo la decisione del gruppo a se stante dall’altro gruppo. L’elemento che spiega il gioco è dato dalla struttura del gioco: struttura dei pay-off. Questi punteggi (incentivi/benefici) influenzano il comportamento e quindi le decisioni prima ancora. Questo significa che le parti non potendo comunicare tra loro tendono a non rendersi conto di essere attori interdipendenti, non si accorgono cioè che la scelta e il risultato che consegue dipenderà da cosa farà l’altra squadra; però nel fare questo le parti si comportano razionalmente perché i giuochi come questi si affrontano razionalmente applicando la strategia del minimax.Minimax: è del tutto razionale scegliere quell’opzione che massimizza la possibilità di un guadagno e che minimizza la possibilità di conseguire una perdita (come abbiamo fatto noi): c’è un alternativa per i rossi e per i blue che domina l’altra, ed è razionale perseguire la strategia dominante. Qui c’è una specie di distorsione creata dal sistema dei punteggio, perché avremmo potuto sempre scegliere XA. Ma presa la batosta iniziale anche per chi sceglie in buonafede, il gioco è diventato immediatamente competitivo.

Esempio: l’investimento in campanie pubblicitarie non è deducibile se non cerco di prevedere le reazioni dei competitor. Non dobbiamo credere di essere gli unici ad operare in un determinato mercato; dobbiamo tener conto della reazione dei nostri concorrenti. Se il gioco diventa simile a quello del dilemma del prigioniero il risultato è che entrambe le parti adotteranno una strategia che sembra la più razionale.MESSAGGIO:

1) Considerare e fare attenzione alla struttura del gioco,in particolare alla struttura dei pay-off. A2) Analizzare oltre la propria strategia anche la possibile strategia dell’altro gruppo.3) Tenere presente che al gioco partecipano anche altri attori.

Collochiamo il dilemma del prigioniero tra le decisioni del gruppo e la negoziazione: il rusultato finale, qui, dipenderà anche da ciò che farà la controparte. Non siamo ancora in una situazione di tipo negoziale, però abbiamo parecchi elementi di maggior complicazione rispetto alle altre esercitazioni.

4) Dobbiamo riconoscere l’interdipendenza. Se questa interdipendenza non viene riconosciuta e gestita, i risultati ovviamente saranno negativi per entrambi.

Dobbiamo capire se c’è un modo per uscire da questa trappola cognitiva: come si esce dalla trappola del –(3;-3)?a) Mettersi d’accordo: meccanismo con il quale si spezava quella situazione di isolamento; attivare un canale di comunicazione tale da informare l’altra

parte che qst situazione sarebbe stata deleteria per tutti. Per cooperare ci vuole una certa cultura nella cooperazione.b) Con un orizzonte di giocate limitato è difficile rendere il gioco collaborativo piuttosto che competitivo. Si potrebbe quindi allungare illimitatamente i

limiti del gioco. Si evitano così le end game strategies: quando il gioco è costituito da un numero di giocate finito le parti cercano di essere più aggressive e competitive, cercano di portare a casa il risultato e cercano di anticipare la giocata nella quale saranno aggressivi fino al punto in cui tutte le giocate vengono svolte aggressivamente. Allora bisogna cercare dio evitare qst strategie di fine gioco. Per questo si coinvolge il fornitore di un impresa in un rapporto di lunga durata per evitare la strategia di fine gioco: privileggerebbe altri invece che me perché ormai il rapporto è quasi estinto. Quindi la cooperazione così è incentivata (analogo discorso per il dilemma del prigioniero).

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Per essere sicuri che la controparte si sarebbe comportata bene avremmo potuto accordarci almeno dopo la prima mediazione. Una tattica interessante è quella della punizione: attuare la tattica occhioxocchio.

Queste strategie sono nate da uno studioso AXELROD: si è inventato (teoria dei giochi) una specie di torneo; ha mandato un avviso per tutti i colleghi del mondo e li ha sfidati ad elaborare un software che capace di rendere i più ampi possibili i vantaggi per entrambi nel dilemma del prigioniero.L’istruzione data alle due squadre che alla fine garantiva il punteggio + elevato era quella dell’occhio x occhio (tit for tat). Il programma partiva da un’ipotesi di tipo cooperativo, quindi la prima giocata si fa cooperando, poi mi rendo conto di ciò che ha fatto l’altro e il segreto sta nel rispondere sempre a tono alle scelte dell’altro.

Esistono ulteriori modalità per sviluppare accordi di tipo cooperativo e per mantenerli oltre quelli già illustrati nella spiegazione del dillemma del prigioniero:1) Possibilità di istituire dei pegni: si creano dei pegni tali per cui sarebbero stati riscossi dalla parte tradità.2) Possibilità di avere/dare Ostaggi: matrimoni combinati tra monarchie per evitare invasioni degli stati.

Questi sono stati studiati in economia da williamson nella teoria dei costi di transazione: credible commitments.L’autorità gerarchica svolge una funzione tecnica importante nella risoluzione del conflitto tramite la ricerca di un accordo finalizzato al bene comune; chi ha la visione d’insieme (per esempio il direttore generale) è colui che ha la possibilità di vedere il sistema di puntegggi: il riferimento ad una terza parte che ha autorità sulle due e che ha il potere di scegliere per il bene di entrambi. Per il bene di due imprese si può ricorrere ad un arbitrato. Certi acordi possono portare (e al contempo sono generati da) determinati livelli di fiducia.

LA FIDUCIA: è una disposizione, un tratto della personalità; in questo senso è una predisposizione naturale. Trattandola come una disposizione, la fiducia, è ricollegabile anche a delle differenze caratteriali:

1) Forma di stima.2) Credere nella parola altrui.3) Sapere che ad un certo accordo corrisponde un certo atteggiamento, e quindi sper prevedere quello che farà un altro in base alla fiducia.4) Chi nutre fiducia, lo fa esponendosi e quindi sospendendo il giudizio.

L’azienda manda dei segnali al mercato: Le imprese che investono in pubblicità ci mandano segnali per cui ci informano che non hanno interesse a darci fregature per via di quanto hanno investito; hanno investito tanto per stare sul mercato e quindi non blufferebbero mai per mantenere alta la reputazione e quindi restare sul mercato.Le aziende lanciano questi messaggi tramite la pubblicità, tramite l’apparenza che da di se; noi valutiamo l’affidabilità sulla controparte basandoci su questi segnali: è un calcolo razionale o meglio un ragionamento tramite il quale stiamo cercando di dare razionalità al comportamento degli altri. Attraverso gli investimenti le aziende definiscono in maniera unilaterale un pegno: attraverso l’investimento cercano di stabilire delle relazioni di mercato attraverso le quali devono essere in grado di recuperare l’investimento fatto.

La psicologia insegna che il primo atto di fiducia è nei confronti della mamma: la regolarità con cui allatta. Quindi possiamo definire la fiducia come un’aspettativa circa il fatto che un comportamento altrui sia:

1) In primo luogo predicibile (ci si può aspettare da una persona che fa sempre qll che dice di voler fare); ecco allora che data una certa situazione, io so come l’altro si comporterà (posso predirlo).È sufficiente che il comportamento altrui faccia scattare la fiducia se è solo prevedibile? No perché non è l’unico elemento.

2) La prevedibilità deve essere ritenuta anche affidabile alla persona: il soggetto non solo deve essere prevedibile ma anche affidabile, ovvero deve essere competente.

3) L’equità: colui cui viene riposta la fiducia deve agire anche nell’interesse di chi la ripone: rapporto di cooperazione.Quando questi ingredienti operano insieme si può avere fiducia.DA DOVE VIENE LA FIDUCIA? La fiducia è il frutto di una dinamica relazionale che richiede tempo (time consumer).La fiducia ha un elemento paradossale legato al rischio e all’esposizione: “tanto più ci fidiamo, tanto più per la controparte esiste un incentivo a fregarci; ed è proprio qui che serve tutelersi.La fiducia ha una natura dinamica all’interno di un rapporto, però possono esserci situazioni in cui non possiamo andare avanti tramite un processo lento di formazione delle fiducia: se devo prendere l’aereo per lavoro, non posso chiedere del pilota e testare in anticipo la sua bravuta.C’è la necessità (in situazioni simili) di un meccanismo che salvaguardi il rapporto economico e che renda al tempo stesso la conclusione dell’affare più rapida e più snella.La fonte della fiducia quindi è istituzionale, ovvero c’è una forma di di certificazione delle competenze e dell’affidabilità di altri. C’è un sistema di istituzioni che è preposto a fornire tutte le garanzie necesserie sui 3 punti definenti la fiducia. Questo consente di supplire al tempo e ai costi necessari per poter sperimentare personalmente la nostra fiducia.

Ci sono situazioni in cui salta sia la formazione della costituzione della fiducia sia la parte istituzionale: per esempio il tassista che fa il turno di notte in una zona degradata del Bronx; ai due angoli di una strada ci sono 2 uomini:

1) Uno con la faccia losca e brillo.2) L’altro vestito elegantemente e sobrio.

Chi fa salire sul taxi il tassista? Il Secondo.Si ripone fiducia in quelle che sono le caratteristiche esteriori: nella decisione di fidarsi o meno, spesso non si hanno molte risorso, e allora la fiducia viene riposta in base alla valutazione delle caratteristiche esteriori: qui escono fuori gli eurismi.

LA COMUNICAZIONE: Chiuso il capitolo sulla fiducia, la possibilità di realizzare un rapporto di cooperazione con l’altra parte è fortemente legata ed affidata alla presenza di un canale di comunicazione.La comunicazione è una cosa importantissima per supportare il canale di cooperazione. ESEMPIO: in un esercizio di comunicazione, si chiedeva ad un individuo di dare istruzioni solo verbali per indirizzare l’aula a disegnare una composizione di figure geometriche; il risultato è stato che il disegno era errato nel 70% dei casi.Nell’esempio appena visto la comunicazione era “comunicazione ad una via”: non è un buon metodo di comunicazione perché funziona poco; funziona solo in relazione a certe attività piuttosto semplici per le quali le informazioni da trasmettere sono informazioni ben coodificate (quando cioè le persone in comunicazione hanno un sistema di riferimenti linguistici e di codici talmente chiaro che ciò che viene detto ha un senso immediato e chiaro per il soggetto ascoltatore). La

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comunicazione ad una via, nel nostro esempio, non è stata efficace perché non si poteva chiedere spiegazioni e l’interlocutore facendo solo il suo compito (dare istruzioni solo verbali) non poteva informarsi riguardo a che punto era la rappresentazione.Se nel precedente esempio, si fosse messo l’individuo di dettare le istruzioni e anche di dare risposte alle domande dell’aula, si avrebbe avuto una COMUNICAZIONE A DUE VIE che avrebbe abbassato l’errore di rappresentazione della figura fino al 15%.IN PARTICOLARE: La coordinazione tra capo e subordinato in particolare, deve essere partecipativa e caratterizzata dal feedback di controllo. Il feedback di controllo è quindi un aspetto molto importante soprattutto per la risoluzione di problemi non strutturati.La comunicazione ha una natura anch’èssa dinamica e strutturale:

1) Fase di emissione: nella quale l’emittente coodifica il messaggio.2) Fase di veicolazione (trasmissione) che presuppone la scelta dei canali più adeguati per la trasmissione del messaggio.3) Fase di ricezione: il ricevente percepisce il messaggio.4) Fase della decodificazione del messaggio.

Capitolo 7: Negoziazione.Definizione: Nec-otium (non oziare ovvero dedicarsi agli affari) può essere definita come un processo decisionale con il quale 2 o più parti indipendenti e con preferenze diverse (anche parzialmente) su una serie di alternative, interagiscono tra loro cercando di arrivare ad una soluzione comune. Condizioni necessarie al negoziato sono:

a) La comunicazione tra le parti con interessi e preferenze diverse: bisogna saper cogliere i segnali della controparte; bisogna saper ascoltare e avere l’abilità di trasferire alcune informazioni e non altre. In altre parole bisogna saper usare un linguaggio codificato.

b) Il processo deve implicare uno scambio di risorse materiali o immateriali tra le parti.c) Il processo implica una ricerca delle modalità di scambio che rispondano, il più possibile, agli interessi delle parti.d) Il processo viene chiuso – se si chiude – con una decisione congiunta o accordo tra le parti.

Quindi per quanto riguarda il processo decisionale (nella negoziazione) vale quanto detto prima in materia di processo decisionale di gruppo: sono importantissime le informazioni, ed è di fondamentale importanza come ci si prepara ad un negoziato: una negoziazione si vince (si porta a casa un risultato soddisfacente) prima di negoziare; si vince definendo una corretta strategia negoziale che consiste nella comprensione del problema che si affronta. Le parti sono indipendenti tra loro e hanno interessi contrastanti: il fatto stesso però di accedere al negoziato vuol dire che sussiste un interesse comune: l’iteresse comune deriva da l’incrociarsi di esigenze complementari, dal saper incastrare le preferenze di due soggetti (comprevendita per esempio).Le parti, cercano di accordarsi per un risultato reciprocamente accettabile, esiste quindi, dietro ogni negoziato, un processo di ricerca che coinvolge il gruppo di ogni parte in un rapporto multilaterale. Si continua dunque a parlare di problemi non strutturati.Tuttavia la negoziazione non è sempre un processo efficace per tutte le situazioni: essendo un processo lungo e costoso in termini di tempo e di comunicazione, può accadere che il negoziato non si concluda o che comunque non dia buon esito.Negoziare o non negoziare?:

a) Si può iniziare a dire che sicuramente non si negozierà in presenza di interessi completamente opposti (a somma zero), perché non ci sarebbe il margine di negoziazione.

b) Non negoziamo inoltre quando il prezzo è determinato secondo la teoria della domanda e dell’offerta: in questo caso esiste un’elevata sostituibilità data dal mercato della concorrenza perfetta.

c) Si negozia quindi quando fallisce il mercato: in presenza di situazioni di monopolio, dove il prezzo è dettato dal monopolista, il monopolista cercherà di negoziare quel bene scarso (e di scarsa sostituibilità) a proprio vantaggio.

d) Si negoziazia quando va in crisi l’autorità: per intavolare un negoziato occorre che ci sia tra le parti una situazione di equilibrio relativo perché si arriva ad una decisione insieme (congiuntamente). Se consideriamo la Fiat in rapporto ad una piccola ditta che trasporta, si avrà un rapporto di autorità gerarchica: le parti sono indipendenti; la Fiat continua a considerare il picolo trasposrtatore come un elemento della propria struttura (vedi ZANDA). Quindi non c’è spazio per negoziare perché il rapporto è unilateralmente gerarchico, ma si negozierà nel momento in cui crolla l’autorità.

Riguardo al punto d) stiamo parlando di asimmetrie nel controllo di risorse e di informazioni: la negoziazione è un processo basato su promesse o minacce di fare o di dare qualcosa in cambio di qualcos’altro su basi più o meno simmetriche; se una delle parti non può uscire dalla relazione, non ha alternative e dipende completamente dalle risorse fornite dalla controparte; appare, tutto ciò, come una forma totalmente asimetrica di negoziazione. Tuttavia è empiricamente dimostrato che non è impossibile avviare un negoziato in simili condizioni; questo perché per le parti è preferibile una divisione equa delle risorse anche in condizioni di asimmetria, per tutelare l’immagine, la reputazione e per saper stare a regole di buon comportamento.

e) È condizione raccomandabile quella di non entrare in mercati in condizioni di elevata asimmetria informativa: le informazioni devono essere complete quanto più possibile in modo tale da evitare una perdita sull’accordo comprando a maggior valore o vendendo a minor valore.

Zone d’accordo: più in generale, affinchè un negoziato sia conveniente, è necessaria la presenza di una zona d’accordo nella quale le parti abbiano (tutte) vantaggio allo scambio e alla collaborazione.NB: spesso alla negoziazione le regole sono più efficienti: per esempio quando gli automobilisti devono passare in un incrocio, seguono le regole del codice stradale, non si mettono a negoziare.Quando negoziare non ha senso?NB: è conveniente negoziare fino a dieci parti, dopo le quali diventa difficile effettuare il coordinamento della negoziazione.NB: nel dilemma del prigioniero, si è visto come il potenziale opportunistico può spingere a deviare da negoziazioni già accordate; quindi non viene rispettato il negoziato.NB: non ha senzo negoziare quando il costo delle risorse impiegate (nella negoziazione) supera il valore dell’obbiettivo in negoziazione!!!Strutture fondamentali nella negoziazione a due parti (affinchè sia saggio intavolare una negoziazione): Non esiste un modo migliore di negoziare; ogni negoziazione è a se stante e necessita di un riadattamento della strategia in modo tale da adattarla alle caratteristiche della negoziazione in questione. Come si negozia? Quali sono le premesse per improntare una buona negoziazione?

1) Adottando i giusti comportamenti: capire come si sta al tavolo delle trattative in tutti i sensi. Strategie di posizione e strategie estetiche, strategie di sfruttamento delle debolezze altrui senza che gli altri approfittino delle nostre.Bisogna saper le differenze culturali e saperci marciare a nostro vantaggio.

2) Bisogna comprendere la struttura del gioco o della negoziazione: considerare la struttura dei payoff; per sbloccare la situazione di stallo negoziale bisogna essere creativi, bisogna evitare eurismi da ancoraggio e da framing.

3) Non esistono strategie velide in assoluto, ma esistono stretegie valide per quella negoziazione, per il tipo di struttura che ci troviamo ad affrontare. Quindi una capacità è quella di saper adattare il nostro comportamento in base alla negoziazione che lo richiede.

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4) Bisogna tener conto che abbiamo informazioni limitate, non si conoscono per certo i vincoli, le alternative e le preferenze della controparte; infatti una delle patologie più gravi che derivano tale fatto sono le sopravvalutazioni del conflitto: dall’emersione di fattori conflittuali, una parte associa interessi superiori alla controparte etichettandoli come interessi completamente opposti. Le situazioni vengono pensate più conflittuali di quanto in realtà non siano.Spesso si verificano delle conflittualità di posizioni oltre che di interessi.

Ci si può chiedere se la cessione di informazioni e la comunicazione non rappresenti un rischio eccessivo data la potenziale presenza di forte conflitto, e visto che tali informazioni potrebbero essere usate contro di noi in fase di trattativa. Oppure ci si chiedere se, una volta cedute le nostre informazioni la controparte non faccia altrettanto. Il dilemma è: COMUNICARE O NO in un gioco del quale non conosciamo ancora la struttura, la disponibilità a comunicare della controparte?

Il dilemma del prigioniero ci porta a pensare che entrambe le parti avrebbero convenienza a comunicare se la controparte adotta comportamenti reciproci, oppure se c’è una propensione alla cooperatività della controparte basata sull’esperienza passata (è già avvenuta una negoziazione) e sulla reputazione.

5) Un secondo elemento fondamentale da conoscere per comprendere la natura della negoziazione è il MAAN (miglior alternativa ad un accordo negoziato): è utile nell’analisi dei payoff e quindi nell’analisi delle diverse alternative per valutare le conseguenze in termini di costi/benefici e comprendere quale può essere il livello d’accordo sotto o sopra il quale non si è disposti a continuare la trattativa. Il MAAN prende anche il nome di prezzo di rottura o prezzo di riserva. Esso consente di diagnosticare la zona d’accordo di un negoziato e il grado di conflitto di interessi. Nei negoziati sussiste un probabile eurisma da ancoraggio: tendiamo ad assestare la trattativa intorno a quello che è il prezzo di mercato, quindi si genere l’eventualità di concludere un accordo sotto la pari; è quindi necessario definire gli elementi che ci consentono di individuare la zona d’accordo sopra citatata.Il mio prezzo di riserva rappresenta una possibile alternativa per cui io possa spuntare esattamente quella somma. Il MAAN è importante che venga definito prima della trattativa; il problema però è come definirlo: a) Se ho contattato 3 possibili acquirenti, io so già che se non concludessi l’accordo con l’attuale acquirente io potrei concludere con quello dei 3

che mi fa l’offerta + alta. b) Se non ho acquirenti (terzi), devo documentarmi per costruire delle alternative anche se solo ipotetiche. Il rischio, a nn definire il prezzo di riserva, è di essere portato fuori strada. Diventa irrazionale accettare un offerta al di sopra o al disotto (a seconda di chi sono: venditore/compratore) del prezzo di riserva. Le caratteristiche del MANN sono:a) Il prezzo di riserva è rigido; non vuole spostamenti verso il basso (nn accetto 1 offerta inferiore se ho miglio alternative all’accordo negoziale). b) Deve inoltre essere mantenuto segreto, perché se commettessi l’errore di rivelarlo induco la controparte a “fregarmi”. Se questo è vero il reservation price non va comunicato neanche a trattativa conclusa perché c’è l’eventualità che con essa io dovrò rinegoziare (in quel caso saranno più attenti alla negoziazione).Il prezzo di riserva è efficace per portare a casa un buon risultato? Si ma non è l’unico elemento importante: per non cadere vittima dall’eurisma di ancoraggio (rappresentato del proprio prezzo di riserva) è necessario non solo conoscere il proprio MANN, ma è necessario predeterminare un obbiettivo da raggiungere (un livello di aspirazione) che nel nostro caso è determinato dal Prezzo di riserva della contorparte: noi sappiamo il prezzo di riserva della controparte solo se ci viene comunicato altrimenti lo devo ipotizzare tramite analisi oggettive riguardo la controparte. Per gestire il negoziato della natura morta servono entrambe le ancore (pr e livello di spirazione).

Le strutture della negoziazione:Negoziazione distributiva: si ha quando il prezzo è l’unica materia rilevante, quando non si vuole o non si può o non si vuole cercare altre materie di scambio. Questa è caratterizzata da interessi diamatralmente opposti riguardo al punto d’accordo.Struttura integrativa: è possibilte trovare combinazioni di scambio in cui tutti guadagnano rispetto ad altre configurazioni; si allarga la torta prima di ripartirla: si viene a creare una situazione nella quale non c’è nulla da trattare poiché non sussiste il conflitto di interesse.Negoziazione generativa: quando le parti accordandosi (anzicè spartirsi la torta) ottengono di più. L’accordo genera nuove risorse e nuovo valore: per esempio due imprese con competenze commerciali complementari, si accordano per conquistare una quota di mercato superiore alla somma delle quote controlate e contese dalle due imprese separate.

Approcci alla costruzione degli accordi: le azioni negoziate non sono indipendenti dal processo che le genera.a) Approccio item per item: si trattano sequenzialmente le singole materie in sede di negoziato; questo porta allo svantaggio di perdere la visione

d’insieme del negoziato, ed è per questo che è un approccio consigliato solo per negoziati distributivi. Quest’approccio, può essere temperato da forme di alternanza tali per cui chi concede in un punto, pretenderà concessione sul punto seguente. Tale approccio permette una maggior competenza specialistica dei negoziatori riducendo tempi e costi del processo.

b) Approccio a testo unico: i negozxiatori, lavorano sin dall’inizio su un documento, comprensivo di tutte le materie in gioco, che prefigura una o più ipotesi d’accordo, modificandolo e sviluppandolo fino al raggiungimento dell’accordo di comune soddisfazione. Rischiede un’ingente dispendio di risorse in analisi e in studi preliminari. È un tipo di negoziato pertinente soprattutto a a negoziati innovativi e complessi.

c) Approccio per pacchetti: è un approccio intermedio tra il primi due; quando ci si trova in un negoziato per cui si debba negoziare con entrambi gli approcci, l’approccio per pacchetti consente di creare gruppi di materie da trattare congiuntamente.

Strategie negoziali:

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Strategie di negoziazione distributiva: Si hanno interessi contrapposti su un’unica materia: il prezzo. Nell’esempio della natura morta, si ha una situazione dove il mercato offre ragionevoli limiti superiori ed inferiori della zona di trattazione; su altre materie, meno strutturate, le risorse scambiate possono non avere un mercato e quindi, i limiti superiori e inferiori, sono suscettibili a valori soggettivi delle parti. È sempre consigliata in questa situazione, la ricerca di partner alternativi prima di intraprendere una negoziazione: è conveniente non restare intrappolati in una negoziazione con un partner meno attraente rispetto ad altri; in altre parole non conviene lasciare sul tavolo negoziale risorse più allettanti.

Tendenzialmente in un negoziato distributivo il punto d’accordo viene a coincidere con il punto medio fra le prime offerte dichiarate; ne discende che,in questi tipi di negoziazione, il payoff delle prime mosse è direttamente proporzionale all’ambiziosità della prima mossa e che esistono, quindi, vantaggi a farla per primi.Fatte le prime mosse, si susseguono una serie di concessioni reciproche fino ad arrivare al punto d’accordo: irrigidimenti e riduzione nell’ampiezza delle concessioni possono essere adottati sia in risposta a irrigidimenti dell’altro, sia come segnale che ci si sta avvicinando ai prezzi di riserva.NB: Durante il negoziato può verificarsi un’impasses nella distribuzione delle risorse; per risolvere tale problema si fa spesso uso di terze parti che arbitrano il processo: sono soggetti atti a far da tramite oggettivi tra le parti, svolgono quindi una funzione da moderatori.IL RUOLO DELLE PRIME OFFERTE: Le prime offerte rappresentano delle ancore intorno alle quali poi si giunge ad un risultato comune tramite la contrattazione. Aperture estreme portano un depistaggio riguardo la comprensione della zona d’accordo e ci rendono vittime di un eurisma da ancoraggio.Il ruolo delle prime offerte è importantissimo dato che nelle aperture estreme si concentra una specie di uso del bluf che porta a rischi molto elevati::

1) Rischio di perdere il negoziato. 2) Rischio di perdere la faccia: un rischio elevato tanto più sarà elevata la possibilità di rinegoziare con la controparte in questione.

Conoscendo il valore mediano, possiamo tentare di gestire la trattativa, ma con prezzi spropositati si invia un messaggio negativo, legati ad una distorsione: una distorsione riguardo la collocazione della zona d’accordo: l’offerta troppo bassa del compratore invierà al venditore un messaggio di disinteresse alla trattativa. Il primo elemento su cui porre attenzione è nel fare le prime offerte: se fatte bene scatta il meccanismo per cui ci si posiziona sul valore di mezzo.NB: Nel momento in cui si fanno aperture estreme bisogna avere la capacità di argomentare tale offerta (estrema) per tentare di concludere la negoziazione o comunque per non perdere credibilità dinanzi alla controparte. Le negoziazioni più pericolose, quindi, sono quelle che si verificano una volta sola (one shop) perché sapere che non avremmo più una possibilità di rinegoziare con quella controparte, spinge ad assumere atteggiamenti aggressivi; è un incentivo a bluffare in quel negoziato.VALE LA PENA FARE NOI LA PRIMA OPPRETA, O LASCIARLA FARE ALLA CONTROPARTE?: Conviene fare la prima offerta solo se abbiamo un elevato grado di conoscenza del problema, tale da renderci possibile sostenere credibilmente la nostra posizione.Tanto maggiori sono le informazioni in nostro possesso (che rendono credibile la nostra posizione), tanto più importante sarà che siamo noi ad aprire il negoziato per poter ancorare noi la negoziazione.Infatti le negoziazioni si vincono prima di sedersi al tavolo delle trattative se ci si informa tanto bene da conoscere bene l’oggetto del negoziato, e se si elabora una buona strategia: solo così si possono sostenere eventuali bluf e fare contro-offerte credibili. La comunicazione (come sempre) è la chiave per poter essere efficaci.

Strategie di negoziazione integrativa: Le parti in questo tipo di negoziazione, controllano risorse fortemente complementari: si prende l’esempio di due quotidiani dei quali; le alternative non concernono i partner alternativi poiché il 1° è l’unico quotidiano significativo nella sua zona, mentre il 2° (testata nazionale) non ha in realtà una distribuzione su tutta la nazione.1) Il giornale locale nella sua zona vende poco, e per questo vuole intraprendere una nuova iniziativa editoriale per raggiungere una quota di

mercato pari al 25%; di fatto deve essere in grado di garantire pagine economiche e di politica oppure deve potersi rivolgere a quei soggetti che acquisterebbero sia il giornale locale che la testata nazionale. Essendo questo un processo dispendioso da un lato e rischioso dall’altro (non è detto che poi si acquistino i due giornali) Il giornale locale individua un potenziale partner nel giornale nazionale La Gazzetta.

2) Si pensa di proporre la vendita di due giornali al prezzo di uno. Questa testata dispone di una grossa fetta di mercato nella propria regione ma vende poco nelle aree restanti del nord italia (inclusa la zona del quotidiano locale). Il risultato è che le inserzioni pubblicitarie vengono pagate con tasse regionali per evitare una diminuizione degli inserzionisti.

3) Così facendo la Gazzetta può accaparrarsi una nuova fetta di mercato e sperimentare una nuova forma di marketing: in caso di successo potrà poi replicare la stessa strategia anche in altre zone per poter evitare l’inserimento di strutture specifiche (e costose) e risolvere altrimenti l’annoso problema delle tariffe publicitarie.

4) Invece il giornale locale riesce ad uscirne come un prodotto completo riuscendo ad evitare di coprirsi di costi aggiunti pur di accaparrarsi ulteriori fette di mercato.

Si capisce che in questi negoziati le parti debbano farsi la seguente domanda: “qual è l’utilità per se e quale per la controparte in ciascuna materia o risorsa?” rispondendo a questa domanda siamo riusciti ad individuare delle sottomaterie per trasformare il negoziato da distributivo ad integrativo. Entrambe le parti così godranno di un surlplus senza discapito per nessuno!NB: E’ da notare che alternative migliori quindi saranno date da azioni migliori anziché partner migliori.NB: Spesso però si verificano situazioni dove soluzioni integrative possono portare a squilibri sull’equilibrio: Non sempre soluzioni che riflettono tutte le esigenze sono tecnicamente perseguibili per ambo le parti; in questi casi si procede con un indennizzazione monetaria per la parte svanteggiata.NB: Anche il tempo è una variabile importante in questi negoziati, perché è improbabile che entrambe le parti abbiano uguali scadenze e necessità di tempo, quindi molte decisioni vanno scaglionate nel tempo andando incontro alle esigenze altrui affinchè siano perseguibili. Negoziati Misti (vedi esercitazione AMPU vs COMUNE): Capire in quale situazione negoziale ci troviamo, è di fondamentale importanza.Negoziati (più complessi) sono quelli sindacali o qll tra grandi imprese; quelli con molti temi e non uno soltanto, sono negoziati che si svolgono in gruppo: per esempio una partnership strategica tra du e imprese x ed y. Ognuna avrà i propri esperti in vari campi (economico – finanziario…); avrà il proprio team! Vedi rapporti di gruppo:NEGOZIATO MISTO: contiene delle componenti che rimandano al negoziato distributivo, (negoziare il prezzo dello scambio cooperativo) ma comprendono tanti altri elementi che rendono il negoziato integrativo, con la possibilità di far lievitare quella zona d’accordo in maniera tale da poter raggiungere dei punti in cui non si tratta di spartirsi una torta di dimensioni definite, ma attraverso la creatività lo scambio e la comunicazione, si ha la possibilità di poter incrementare la torta in questione in modo tale che le parti possano spartirsela a vantaggio di entrambe.Questo gioco è un gioco più complicato perché ci sono diverse modalità e diverse possibilità di chiudere l’accordo guadagnando entrambe le parti una quantità maggiore rispetto a quella definita. Non solo si tratta di competere duramente con il rischio e la possibilità di non concludere l’accordo, ma accanto a comportamenti adeguati nel caso del negoziato distributivo, qui bisogna avere altre capacità:

1) La capacità di saper alternare l’aperture 2) La capacità di saper leggere il gioco anche ad itinere 3) Bisogna saper influenzare correttamente la controparte

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4) Bisogna aver un buon clima al tavolo negoziale. 5) Bisogna saper leggere il sistema dei payoff in maniera integrativa. 6) E soprattutto bisogna saper coinvolgere la controparte in un gioco coperativo.

NB: questo vale per i negoziati completi (MISTI): perché danno possibilità alle parti di scoprire modi di portare vantaggio ad entrambi. Il negoziato misto è più completo perché permette possibilità di accordo che giovano ad entrambe le parti, e per questo si cerca di giungere alla soluzione migliore.Non si ha più una situazione del tipo a) bensì del tipo b):

In un negoziato misto, non attuando una negoziazione distributiva, la frontiera delle possibilità, non sarà quella di partenza; ci si sposta su una frontiera di maggiore utilità: ci spostiamo ,in altri termini, da A a B. Da B lungo, la nuova frontiera (pareto ottimale), le due parti guadagnano l’una a spese dell’altra. dobbiamo arrivarci e non dobbiamo pensare che A sia il punto massimo della frontiera: la seconda frontiera si chiama frontiera PARETO OTTIMALE e garantisce una maggiore efficieza allocativa, l’errore è quello di pensare di essere già arrivati alla frontiera una volta giunti al punto A. Appena arrivati al punto B il gioco si fa nuovamente distributivo fra le parti (ma comunque su livelli di efficienza che dominano il punto A.

Quali sono i fattori che determinano una maggior utilità per entrambi (da A a B)? il buon negoziatore deve pianificare prima del negoziato la strategia e porre attenzione agli atteggiamenti durante quest’ultima. PRINCIPI:

1) Bisogna saper separare le persone dal problema: il buon negoziatore deve essere deciso e al tempo stesso deve salvaguardare i rapporti interpersonali sia nel gruppo che con la controparte. Non deve farsi prendere dalle emozioni per non perdere di vista i propri obbiettivi.

2) Deve imparare ad usare criteri ed informazioni oggettive: deve comprendere la struttura dei payoff (punteggi) definendo il proprio mann e il livello di aspirazione (che come detto coincide con il mann della controparte); gli obbiettivi del decisore, inoltre, devono essere accettabili o accettati dalla controparte. Deve evitarae che le informazioni si traducano in giudizi di valore facendole restare dati concreti; il giudizio di valore comporterebbe un irrigidimento delle posizioni che potrebbe portare ad un impasse negoziale. È necessario inoltre pianificare non solo una strategia nostra, ma anche ipotizzare quella della controparte prima di sedersi al tavolo negoziale.

3) Deve saper separare il metodo dal merito per avere una procedura equa: l’accettabilità del metodo, deriva dall’interdipendenza e dall’indipendenza del ruolo che abbiamo nella negoziazione.

4) Deve inoltre tenere conto della durata della negoziazione. Categorie di Negoziatori:

a) Negoziatore professionale: sa fare i propri interessi mantenendo alto il rapporto com la controparte e nel team di appartenenza. b) Negoziatore Nevrotico: tende ad attaccare ferocemente la controparte, il che è deleterio soprattutto nel caso in cui dovessimo rinegoziarci. c) Negoziatore arrabbiato: non controlla le emozioni e non sa comunicare, non facendo così i propri interessi e rovinando le relazioni con la controparte

o con il proprio team.d) Negoziatore Paciere: è colui che pur di mantenere buone le relazioni va contro i propri interessi.

NB: Come spiegato anche in precedenza (vedi strategie negoziali), nelle situazioni di stallo, conviene coinvolgere un arbitro nella negoziazione; spesso nelle negoziazioni sindacali interviene il governo a fare da arbitro per pareggiare i conti ed indennizzare una delle due parti. L’arbitro deve essere in posizione neutrale rispetto alle parti, deve avere la funzione di facilitare la scoperta di elementi che possano portare un vantaggio ad entrambe le posizioni (come rimozione del commissario x far sbloccare la situazione), l’istituto del mediatore è un istituto che va affermandosi proprio ai giorni nostri.

IN SINTESI: COME SI ORGANIZZA UN NEGOZIATO MISTO? COSA BISOGNA TENERE PRESENTE?FASE PRELIMINARE:

1) Comprensione del tipo e della struttura del negoziato 2) Cercare di organizzare il team arivando ad una scomposizione in sottogruppi, oppure individuando dei ruoli specifici : mediatore, contabile…. 3) Si analizza e si comprendono le possibilità di collaborare (cooperazione): qst vuol dire investire del tempo per capire qual’era la struttura 4) Elaborare la strategia negoziale che tenga conto del prezzo di riserva e di come gli oggetti sono collegati tra loro; cercando di capire le mosse e le

contromosse della controparte.FASE DINAMICA:

1) Bisogna saper gestire bene le informazioni 2) Saper comprendere come si possano modificare gli interessi.

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3) Gestire bene e onestamente la comunicazione di informazioni: il bluf (proposto come eccessiva richiesta di serganti nell esercizio) o richieste estreme possono servire per far scoprire gli interessi della controparte, ma i bluf di altro genere vanno bene solo nel caso in cui sappiamo di avere davanti un parte arrindevole (negoziatori paceri).

4) Gestire la comunicazione: fare modo che sia a due vie e non ad una via. 5) Essere sicuri di aver compreso i segnali della controparte. 6) Non rivelare in nessun caso i prezzi di riserva o le soglie di inaccettabilità dell’accordo. 7) L’uso delle pause è elemento importante, quindi, in certi casi, fermarsi per razionalizzare il punto e il problema, può essere utile sotto il vincolo del

tempo.8) Cercare di costruire a man mano il portafolio negoziale: dobbiamo identificare un modo per capire i reali interessi, le reali preferenze della

controparte a seconda dell’importanza relativa che viene assegnata di volta in volta da alcuni singoli oggetti. Mano che procede l’interazione con la controparte possiamo rapprentare il portafolio nostro e della controparte. Per esempio nel caso AMPU vs COMUNE, il protafolio era:

FASE DELLA COSTITUZIONE DELL’ACCORDO: Come può essere costituito?1) La possibilità più svantaggiosa è data dal procedere item per item: concludere uno alla volta accordi negoziali. Porta svantaggi in termini di rigidità. 2) Balletto dei pacchetti: si definsce un pacchetto o una serie di pacchetti di oggetti (risorse da contrattare) e li si propongono alla controparte. Se sono

ben costruiti permettono di capire quali sono gli oggetti che più stanno a cuore alla controparte, così possiamo rappresentare meglio il portfolio negoziale. È un metodo più adattivo (elastico) che da modo di scoprire le reali preferenze della controparte e da la possibilità di sfruttare il potenziale integrativo della negoziazione. Svantaggi: i tempi sono troppo lunghi x la costruzione di pacchetti adeguati, richiede una certa apertura da parte della controparte e richiede una capacità di costruire oggetti in maniera adeguata.

3) Testo unico: si elabora una bozza di accordo e la sottopone alla controparte. Questo richiede la presenza di una terza parte. Una volta sottoposta la bozza si può cercare di modificarla fino al raggiungimento di quella definitiva che determina la fine della negoziazione.Vantaggi: si può gestire una notevole compressità di trattati.Svantaggi: è difficile individuare la terza parte poiché deve essere indipendente ma soprattutto altamente qualificata. Deve inoltre tale terza parte saper gestire le votazioni a maggioranza.

4) Nella costruzione del contratto bisogna essere creativi: trovare quelle modalità che rende meno costoso alla controparte di fare concessioni. 5) Importanti sono anche le basi di potere che entrano in gioco dopo che si è raggiunta la frontiera pareto ottimale. La negoziazione implica un certo

equilibrio in termini di potere (esempio fiat e micro imprese). Le basi di potere possono essere:1) Strutturali: sono collegate alla capacità di una delle parti di controllare risorse critiche (chi può controllare queste risorse è più forte dal punto di

vista negoziale): risorse di alternative al negoziato, risorse temporali, risorse economiche etc.2) Risorse Relazionali: Fiducia, reputazione, empatiche, comunicazione; sono tanto importanti per il gruppo che per la negoziazione. 3) Basi di potere cognitivo: sono legate alle distorsioni a livello cognitivo; chi detiene questo potere ha l’abilità di saper sfruttare le capacità

cognitive, non cadendo vittima degli eurismi e induce a cadere in trappola cognitiva la controparte.

Nb: All’ultimo a conclusione del capitolo parlo del paragrafo 5 e del paragrafo 6.

PERTE TERZA: FORME DI ORGANIZZAZIONEINTRODUZIONE:Argomento: Progettazione organizzativa.L’analisi organizzativa avviene su 3 livelli:

a) Micro. b) Macro. c) Meta.

Questa attività o processo di progettazione dell’organizzazione, ha molto a che fare con l’aspetto economico/finanziario perché ci interesserà leggere il progetto in chiave strategica: le scelte strategiche di un impresa riguardano non solo la realizzazione e la vendita del prodotto in genere, ma anche la progettazione dell’organizzazione che può essere definita come la scelta più razionale e strategicamente rilevante. Una cattiva progettazione brucia risorse e quindi non permette (e non permetterà) ad una impresa di realizzare i propri obbiettivi di Breve Periodo e di Medio/Lungo Periodo; una cattiva organizzazione non ci mette in condizione di sfruttare le opportunità sul mercato per quanto possono essere b vuoni i prodotti e le conoscenze di base. Quanto può essere fatto verrebbe vanificato.Quando parliamo di organizzazione dobbiamo fare riferimento al concetto di assetto organizzativo: un impresa, può essere rappresentata attraverso il suo profilo strategico (definito sulla base del modello di business), che deve essere combinato con l’assetto organizzativo che viene ritenuto idoneo per attuare nella pratica quel modello di business.Quando parliamo di assetto organizzativo, dobbiamo sapere che è caratterizzato da:

1) Elemento relativo alla struttura organizzativa rappresentato attraverso l’organigramma, e attraverso l’organigramma possiamo evidenziare come il lavoro è stato suddiviso in termini orizzontali: non solo tra i diversi individui ma anche come è stato distribuito tra le unità organizzative. Ci permette di individuare come è stata ripartita l’autorità (gerarchia di autorità). L’organigramma ci permette di identificare le diverse posizioni e i legami di sovra/subordinazione. Sono unità organizzative le funzioni o le divisioni: organi e posizioni di vari livelli. Le imprese più evolute accompagnano

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l’organigramma con delle schede ciascuna delle quali recita quella che è la missione di ciascuna unità organizzativa (obbiettivi) e quali sono le caratteristiche di responsabilità e di attività che quest’unità deve realizzare. Se vogliamo compiere un analisi organizzativa ci conviene, a livello strutturale, farci dare dalla direzione l’organigramma e queste schede. SINTESI: il primo elemento fondamentale è la struttura e i modi con cui viene rappresentata. La struttura definisce lo scheleto dell’organizzazione ma sappiamo che esso non può muoversi senza i muscoli: quindi….

2) …Ci servono i meccanizmi operativi: l’assetto organizzativo è la somma della struttura e l’insieme dei meccanismi operativi. La comunicazione è un meccanismo operativo, come anche i meccanismi attraverso i queli l’attività viene pianificata e controllata, i meccanismi legati alla gestione e allo sviluppo delle risorse umane (selezione, inserimento, formazione, definizione dei percorsi di carriera, incentivi, valutazione del personale); questi sono tutti elementi che configurano un insieme di leve sulle quali agire, le quai in grandi imprese sono presidiate da un unità organizzativa che è la direzione delle risorse umane. Questo significa che all’interno di una grande impresa questa si occupa di ricondurre a unità sistematiche le poiliche di gestione delle risorse umane, e si propone di suggerire, ai vertici aziendali, modi per progettare o riprogettare l’organizzazione d’impresa.Tra i meccanismi operativi assumono importanza fattori legati alle variabili soft: queste variabili sono rappresentate dalla cultura organizzativa, dallo stile direzionale (metodo dei dirigenti x gestire le persone di cui dispone); sono elementi di base per il vantagggio competitivo.

Progettare l’organizzazione a livello, significa definire un percorso con il quale il lavoro viene ripartito tra individui ed unità organizzative, un percorso per mezzo del quale si costruiscono le unità organizzative e i collegamenti tra queste, un percorso tramite il quele si costruiscono i meccanismi operativi più idonei in riferimento alla struttura identificata. Quando parliamo di progettazione dell’organizzazione parliamo di due sottoprocessi importanti:

1) Microprogettazione: facciamo riferimento all’individuo. 2) Macroprogettazione: in riferimento all’impresa nel suo complesso, ovvero anche alle relazioni tra imprese.

PROGETTARE LA MICRO-STRUTTURA: significa dividere il lavoro tra individui, e normalmente quando si parla di divisione del lavoro, si richiama il concetto di compito: la persona deve realizzare uno o più compiti. Cominciamo a definire un compito: insieme di attività elementari (di tipo fisico o celebrale), che sono tra loro necessariamente collegate da vincoli tecnici, assegnate ad un determinato individuo. Significa che queste attività elementari sono tra loro così collegate che è impensabile di poterle dividere (sia sotto il profilo fisico tecnico sia sotto un profilo economico), quindi il compito è l’unità elementare di ciò che l’individuo deve fare.ESEMPIO:Pensiamo ad un compito banale: il capo chiede al suo segretario di trascrivere su un file una lettera, ovviamente questo significa: acquisire il fogli, accendere il pc, creare il nuovo file, leggere e ricopiare e stampare; il compito si può anche disarticolare ( con più soggeti) ma ciò sarebbe antieconomico: non può esserci una persone che accende il pc, una che da l’avvio di stampa, una etc. L’assegnazione di un compito o di più compiti in carico ad una persona, deve tener conto di una serie di caratteristiche:

1) FISICHE: livello di sopportazione fisica. 2) PSICOLOGICHE DELLA PERSONA: il compito può essere facile per alcuni e difficile per altri (soddisfacente/interessante….)

Queste caratteristiche non sono oggettive ma dipendono dall’individuo, quindi quest’assegnazione dei compiti è un procedimento che richiede uno studio anilitico della fisicità, dell’approccio cognitivo etc.Sulle caratteristiche fisiche si può incidere rendendo il lavoro più comodo, tramite a misure di sicurezza e grazie all’ergonomia (studia come rendere meno dannoso lo svolgimento del lavoro).Sulle caratteristiche psicologiche si può incidere incentivando gli elementi alla base della motivazione (argomento già trattato).

Le principali caratteristiche di un compito sono: La sua standardizzabilità (il compito può essere codificato e reso ripetetibile nel tempo con le medesime caratteristiche) permette non solo alla

direzione di poter verificare come è stato realizzato un certo compito ma anche, a chi lo svolge, di apprendere il modo corretto per poterlo svolgere. La standardizzazione è suscettibile di qualificazione attraverso il manuale delle procedure (altro documento esplicito che è l’espressione di una cultura di quell’organizzazione: codifica il sapere e descrive come si è evoluto all’interno dell’organizzazione).

Tanto più un compito è banale (es. segretario), tanto più il compito si presta ad essere codificato (standardizzato); l’impiegato ha a disposizione per lettura il manuale procedurale. È evidente che se il compito è definito da un elevato grado di novità, per cui chi lo svolge deve affrontare situazioni sempre nuove, è difficilmente standardizzabile e si lascia spazio alla professionalità di un individuo.

Tutto ciò che è standardizzabile è anche formalizzabile. Oltre la stndardizzazione e la formalizzazione si hanno caratteristiche psicologiche.

La Mansione: Diverso dal concetto di compito è il concetto di mansione, perché essa è data da un insieme di compiti: più compiti definiscono una mansione. La mansione del segretario è definita non solo in base al compito di riprodurre le lettere del capo, ma anche dal rispondere al telefono, dal prendere gli appuntamenti, dal consegnare fascicoli etc.

La mansione a differenza del compito, non prevede che questi compiti siano necessariamente collegati tra loro. Una mansione più prevedere un nuomero maggiore o minore di compiti (soot il vincolo della sopportabilità dei carichi di lavoro). Il mansionario è il documento formale che contiene la descrizione di tutti i compiti che l’individuo deve fare.

La determinazione di una mansione deve rispondere a determinati criteri:1) Deve esere disegnata sull’individuo in modo tale che, ciò che la persona fa, risulta vantaggioso per l’impresa; questo vantaggio viene espresso

attraverso degli indicatori che esprimono il grado di produttività. Questa produttività è più facilmente misurata in rapporto alle mansioni cui i risultati sono materiali, mentre è difficilmente misurabile quando la produttività genera qualità non palpabili.

2) Deve produrre soddisfazione per l’individuo: esiste un collegamento tra grado di soddisfazione e livello di produttività. 3) Una mansione è tanto standardizzata quanto più sono standardizzabili i compiti in essa contenuti. Allo stesso modo una mansione è tanto più

formalizzata quanto più sono formalizzati sono i compiti che la definiscono.4) Grado di ripetitività (varietà) della mansione: dipende dalla stabilità dei compiti inclusi nella mansione, e dipende dalla natura dei problemi che questi

compiti permettono di affrontare di volta in volta. Se pensiamo alla mansione e ai compiti svolti da quelle persone che operano al Mc Donald, abbiamo l’idea di una mansione non molto varia ma estremamente ripetitiva.

Tanto più routinali sono i compiti tanto più lo saranno le mansioni (più varietà ha la mansione del chirurgo).

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Tanto maggiore è il contenuto di creatività che si richiede al singolo e tanto meno dovremo definire la mansione ripetitiva; la ripetitività non genera soddisfazione quindi l’impresa cerca di rendere meno routinaria la mansione. Una mansione ripetitiva si presta ad una sostituzione della persona con una macchina (es. casellante delle autostrade).

5) Grado di autonomia (grado di discrezionalità): nell’ambito della mansione e dei compiti, l’individuo ha la possibilità di poter auto-organizzare il proprio lavoro e di poter prendere delle decisioni anche in autonomia seza passare per le prescrizioni del capo.

Questo può avvenire grazie ad una delega del capo. Può avviene qnd la dirigenza ha culturalmente maturato la tendenza di permettere alle persone di fare da se. È un fattore importante ai fini della motivazione e della soddisfazione della persona.

6) Grado di contribuzione (da non confondere con il margine di contribuzione). Riguarda la persona nell’impresa e implica la capacità dell’individuo di poter individuare il contributo che la sua attività fornisce al risultato dell’impresa.

Il grado di contribuzione è massimo per le attività i cui risultati sono osservabili: Il grado di contribuzione dell’operaio sarà 0 perché il merito è ripartito tra tanti.

Il GdC è ciò che permette alla persona di capire come l’individuo incide sui risultati: così la persona ha idea di quanto vale e di come è utile nell’impresa (la mia idea ha dato un importante contributo alla riuscita della MISSION dell’impresa).

7) Grado di interazione sociale: dipende dalla capacità/possibilità x l’individuo di essere insierito in un contesto relazionale/sociale. Più è vario il lavoro, più è autonomo, più caratterizzato da elevati gradi di contribuzione e interazione sociale, meglio è.

Alla base l’interazione sociale rende il lavoro un minimo più piacevole. Fa parte della dimensione sociale dell’impresa. Combinare all’atto della progettazione delle mansioni con queste caratteristiche, porta ad un clima organizzativo positivo, con persone motivate e bassi gradi di assenteismo.Gli elementi sopra citati generano distinzione tra le mansioni POVERE e RICCHE:

a) POVERE: sono caratterizzate da un’elevata ripetitività, da una bassa autonomia, da un basso livello di contribuzione e da un basso grado di interazione sociale.

b) RICCHE: sono tutto l’opposto delle mansioni povere; hanno maggior impatto sulla motivazione e sulla soddisfazione. Riprogettazione delle mansioni: nelle attività o nei processi di riprogettazione organizzativa, qnd emergono delle disfunzioni segnalanti elevato grado di insoddisfazione, uno dei possibili interventi di riprogettazione è quello associato alla riprogettazione delle mansioni. I principali interventi di riprogettazione e di rimodulazione delle mansioni sono:

1) Rotazione delle mansioni (job rotation): la persona viene spostata da una mansione all’altra per un determinato periodo di tempo. Tipico esempio è rappresentato dai neoassunti: il personale neoassunto (anche per acquisire dimestichezza con vari aspetti funzionali) viene tenuto allo sportello, poi passa all’ufficio fidi, poi ancora all’ufficio titolo…. Viene fatto ruotare per mansioni diverse per incentivare la formazione di base.Il problema è che se prendo una persona con una mansione povera e poco motivante e la faccio ruotare attraverso mansioni con le stesse caratteristiche, è evidente che l’intervento non avrà alcun esito. In questi casi si cerca di agire usando un intervento di allargamento della mansione.

2) Allargamento della mansione (job enlargement): inserisco nella mansione qualche compito in più. Avrò risultati negativi se a mansioni povere aggiungo compiti poveri (in qst casi si fa riferimento al punto 3), positivi in caso contrario.

3) Intervento di arricchimento della mansione (job enrichment): immttere nella mansione elementi tipici della mansione ricca. Non si danno solo nuovi compiti, si può aumentare la partecipazione, l’autonomia, la motivazione, stimolare e premiare la creatività etc. (VEDI HERZBERG - TAYLOR).

Attribuendo al movimento taylorista la peculiarità di svuotare di senso il lavoro delle persone spieghiamo come il lavoratore riesce a non vedere la propria attività legata al risultato conseguito nel suo complesso. Esempio: l’impersonificazione di quanto detto si ha nell’operaio di charly chaplin, al quale viene richiesto semplicemente di avvitare dei bulloni (x tutto il giorno, perennemente). Un discorso diverso si fa per l’artigiano che vede il proprio contributo nel risultato. Il Taylorismo determina l’alienazione delle condizioni umane: questo accade nei lavori estremamente parcellizzati dove il lavoro è estremamente settorizzato. Accanto a questo svuotamento legato al grado di contribuzione, molto importante è l’aspetto delle relazioni sociali (elemento determinante nell’attività lavorativa).NB: La mansione è una variante esecutiva.NB: Gli aspetti sociali sono fortemente legati anche alle misure precauzionali e di risanamento adottate di risiede ai vertici dell’impresa:ESEMPIO: Ripartendo dalla crisi del dopoguerra (arabo/israeliana): le risposte a fronte di una conflittualità che aumentava sempre di più, alcune aziende hanno risposto innovando la tecnologia tale che robottizzando gli impianti si è ridotto il personale (scontento): la fiat mise in atto quella che era chiamata una fabbrica a luci spente! Una fabbrica mandata avanti dalle macchine e funzionante anche di notte. Questa scelta non è stata l’unica perché altre imprese più ancorate agli aspetti sociali hanno optato per scelte diverse: la Olivetti risentiva di una politica molto alltenta alle politiche sociali.Si è passati dal modello della catena di motaggio al modello legato all’isola di produzione: si è cercato di agire ricomponendo il lavoro (riprogettando le mansioni) in modo tale per cui gli operai hanno l’obbiettivo di realizzare un prodotto completo; la logica è una logica di gruppo (team); si è lavorato mettendo gli operai in condizione di relazionarsi. È un gruppo semi autonomo perché ha un abbiettivo (prodotto finito) che è comune a tutti e quindi la responsabilità di raggiungerlo è una responsanbilità del team che ha autocontrollo: i singoli membri controllano il lavoro degli altri incentivando reciprocamente la partecipazione (CONTROLLO SOCIALE; rotazione delle mansioni). Il risultato è positivo in termini di motivazione e livello di partecipazione, così l’interazione sociale e la varietà (dei compiti) vengono favorite accrescendo la soddisfazione.

RIPROGETTAZIONE DELLA MACRO-STRUTTURA: Il problema che si ripresenta a livello macro è come arrivare a dividere il lavoro non tra singoli individui ma tra singole unità organizzative (rappresentate nell’organigramma). Se a livello micro l’elemento di base era rappresentato dal compito e dovevamo trovare logiche di aggregazione dei compiti (determinando la mansione) da imputare alle persone, a livello macro l’elemento centrale (e non divisibile) è rappresentato dalle attività di base. Dato un insieme di attività di base si tratta di creare le unità organizzative tramite un criterio logico: come accorpare delle attività più complesse e attribuirle alle unità organizzative?

Zero Review: Si procede elencando le attività di base e continuiamo nella ricerca di una logica di aggregazione che ci permetta di passare dalle unità di base alle unità organizzative: questo avviene attraverso la CLUSTER ANALISIS, motivata dalla nostra necessità è di individuare uno o più criteri logici che ci permettano di individuare questi cluster (unità organizzative). La Cluster Analisis si avvia anche a fronte di segnali di mal funzionamento (captati al vertice dell’impresa) che porta alla necessità di un ceck-up organizzativo:a) L’azienda opera in ritardo rispetto ai tempi pattuiti: ci si perde la faccia. E si determina un’abbassamento del margine di redditività.

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b) Abbassamento della qualità: c) Scaricabarile continuo da un’unità organizzativa all’altra. d) Etc. Si rende necessario così il ceckup organizzativo per definire una diagnosi e si impotizza una prognusi per poi cercare la terapia migliore per far guiarire l’impresa da tali disfunzioni.Il modello di cui usiamo è il ZERO BASE REVIEW: è un modello attraverso il quale effettuiamo una analisi delle disfunzioni dell’impresa sotto il profilo organizzativo:1) Si parte da zero (dalla base) analizzando come ogni singola attività viene svolta; questo per verificare che la causa non sia una mal definizione delle unità

organizzative. 2) Se, però, così fosse si procede con la ristrutturazione:

0) Fase introduttiva ma importante: si effettua un’elencazione completa e dettagliata (il più possibile) delle attività di base (mappatura). 1) Analisi delle interdipendenze: analisi che in chiave organizzativa ci serve per capire che tipo di legami sussistono tra le diverse attività, e soprattutto

per evidenziare in riferimento alla natura di tali richiami, i meccanismi di coordinamento cercando di rendere minimi i relativi costi. Qst va fatta per coppie di attività, ovvero dobbiamo analizzare le interdipendenze tra una certa attività e tutte le altre: ci si agevola con la costruzione di una matrice. Tra AeB l’interdipendenza può essere generica, sequenziale o reciproca: THOMPSON (studioso di organizzazione)a) Generica: non esiste alcun tipo di collegamento o relazione diretta se non quella data dall’unico legame dato dall’appartenenza delle due attività

allo stesso ente. Non c’e scambio di informazioni ne scambio di materiali. A coloro che svolgono attività di base di questo genere, servono standardizzazioni che coordino il comportamento di tali attività: ovvero vanno definite regole e procedure comuni e valide per tutta l’impresa.

b) Sequenziale: l’attività di B non può essere svolta se non esiste prima un imput (informativo o materiale) da parte di chi svolge l’attività di base A. Se abbiamo un’attività di questo tipo servirà la definizione di un piano di lavoro pianificando l’attività a livello di tutta l’azienda. Se il piano è fatto bene (se i tempi e le modalità sono rispettate) il coordinamento sarà rispettato. Il piano di coordinamento è in piccolo ciò che è stato in grande per il continente.

c) Reciproca: è l’interdipendenza più intensa che si svolge tra persone che svolgono coppie di attività di base. È quel tipo di relazione che fa sì che B non può svolgere la sua attività senza imput da A e viceversa. Questo significa che di fatto lo svolgimento delle due attività avviene in concomitanza, e poiché l’una non può essere compiuta senza la interazione con l’altra il meccanismo di coordinamento sarà quello del mutuo aggiustamento: attraverso questo, coloro che per conto delle attività interagiscono contemporaneamente, misurano i loro comportamenti uno in base ai comportamenti dell’altro.

Se le interdipendenze sono significative (reciproche, o S/R) queste attività sono candidate ad essere accorpate nella stessa unità organizzativa perché così manteniamo bassi i costi di coordinamento. Il criterio di valutazione è soggettivista.Dato il punto 1 ricaviamo il primo principio di organizzazione: a parità di altre condizioni le attività di base che risultano essere tra loro collegate da interdipendenze + forti (reciproche), sono candidate ad essere aggregate nella stessa unità organizzativa (stessa casella dell’organigramma) perché questo ci permette di poter economizzare i costi di coordinamento: ovvero le attività che hanno interdipendenze reciproche è bene che stiano assieme. Si deve costruire una matrice delle interdipendenze.

2) Analisi delle affinità tecniche: anche questo tipo di analisi viene fatta per coppie. Tra due attività che affinità tecnica esiste? Può essere molto forte oppure debole.Per affinità tecniche intendiamo quegli aspetti comuni legati allo svolgimento di quelle attività: sulla base di conoscenze ed esperienze, si determina una specializzazione.Se due attività di base si attraggono per affinità tecnica, è chiaro che quelle due attività sono tendenzialmente aggregabili nella stessa unità.Da queste osservazioni ricaviamo il 2° principio di organizzazione: a parità di altre condizioni, se due attività sono tra loro legate dalla presenza di elevate affinità tecniche sono candidate ad essere ricomprese nella stessa unità organizzativa. Da questa oggregazione riusciamo a rendere più elevate le economie di scala che derivano dalla capacità di svolgere quelle attività abbasandone i costi, e possiamo così incrementare anche le economie di specializzazione che comportano un miglioramento nella suddetta attività.Dobbiamo procedere a riempire ulteriormente la nostra matrice:a) Tra il contratto con il cliente e la trattativa, esistono o no affinità tecniche? Si allora inserisco T nell’apposita casella. b) Tra chi fa le trattative e chi fa progettazione preliminare, esistono affinità tecniche? No perché chi progetta deve saper fare il progetto e non

deve necessariamente conoscere le tecniche di negoziazione; quindi non inserisco T nella casella relativa alle due attività.c) Tra progettazione preliminare e progettazione esecutiva esistono affinità tecniche? Si quindi inserisco T nell’apposita casella. d) Tra produzione e montaggio esiste affinità tecnica? Si quindi inserisco T nell’apposita casella. e) Tra produzione e assistenza tecnicaesiste affinità tecnica? Si quindi inserisco T nell’apposita casella. NB: L’affinità deve suscitare da caratteristiche necessarie per lo svolgimento di entrambe le attività.

3) Analisi delle affinità di orientamento: riguardano non tanto le esperienze, conoscenze etc, ma il modo in cui le attività devono essere svolte: ci sono attività che richiedono orientamento a breve periodo piuttosto che orientamento a lungo periodo.

Orientamento al lungo o breve periodo: Chi svolge un’attività di ricerca (nell’ambito di un laboratorio chimico/farmaceutico) ha un orientamento a lungo periodo perché il frutto della ricerca si avrà alla distanza di 10 anni.

Orientamento alle Regole: Un’attività può richiedere invece oltre ad un orientamento al breve, un orientamento basato sulle regole piuttosto che sul risultato, quindi lo svolgimento di un’attività richiede di seguire una certa procedura perché si richiede 1 aderenza alle procedure, e ci sono attività dove è importante nn fossilizzarsi troppo sulle procedure ma è importante il raggiungimento del risultato.

Orienatamento al compito: (ssomiglia all’orientamento alle regole (attività che devono portare all produzione di un certo output come la dichiarazione dei redditi)) e l’orientamento alle persone (PR e rapporto con clienti).

Orientamento alla standardizzazione o all’innovazione: Ci sono attività dove è importante garantire l’efficienza e limitarsi ad ottimizzare l’esistente, e ci sono attività dove si richiede una formamentis innovativa: nel primo caso conta più la standardizzazione dell’attività mentre nell’altro conta il clima che si vive (contano i rapporti, la motivazione , la creatività…).

3° principio di organizzazione: a parità di condizioni, attività legate da forte affinità di orientamento tendono ad essere accorpate nella stessa unità organizzativa: se tra due attività abbiamo avuto forte attività di orientamento, forti attività tecniche e forte interdipendenza Reciproca la loro unione in una unità ci fa massimizzare le economie di specializzazione.

4) Condotta l’analisi, si procede all’accorpamento: nel procedere al clustering (tecnica statisctica che consente di combinare i dati facendo emergere dei gruppi) può succedere che la nostra matrice (soggettivista) ci porti ad individuare quelle attività tra loro legate da forti interdipendenze e da forti

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affinitàovvero i casi indubbi di aggregazione. Così attività caratterizzate da interdipendenze generiche, da affinità tecnica e di orientamento devono essere aggregate.Esistono però attività intermedie che generano incertezza: per esempio non sappiamo se collocare la progettazione preliminare verso un’unità organizzativa commerciale oppure verso un’unità organizzativa dedita alla progettazione.Come prendiamo questa decisione? Intervistiamo l’alta dirigenza per capire quale modello di bisiness ha in mente di sviluppare:

Se per l’impresa è importante il servizio al cliente per accaparrarselo, il concetto fondamentale è quello dell’efficacia, quindi diremo che la progettazione preliminare dovrà essere inquadrata nell’unità organizzativa commerciale.

Se la direzione propende per le affinità tecniche, l’efficienza e l’accuratezza del preventivo preliminare allora inquadrerà la programmazione preliminare nell’unità organizzativa della progettazione.

Prima di associare, devo tenere presente un altro elemento quale la Saturazione delle Risorse: Può succedere che, collocando la programmazione preliminare in un unità organizzativa denominata progettazione, lavorando fianco a

finaco i progettisti preliminari e quelli esecutivi si raggiunge una maggior saturazione delle risorse; se c’è un picco di attività gli uni vanno dove scarseggiano gli altri. Quindi da qui si ricava il 4° principio:

4° Principio di organizzazione: nelle situazioni incerte per le quali è importante l’esperienza dell’analista organizzativo, l’analisi del trade-off deve considerare la necessità e la possibilità di ottenere una migliore saturazione delle risorse (tenere in considerazione il bilanciamento dei carichi di lavoro e tenendo conto dell’orientamento generale dell’impresa).Tenuto conto di qst elementi il modello si ferma, e deduciamo che la scelta finale è una scelta del soggetto osservatore che deve tenere conto anche delle preferenze del vertice direzionale possiamo ora definire le nostre unità organizzative!

5) Il passaggio finale che ci porta al 5° principio di organizzazione: dobbiamo effettuare un ultimo controllo di coerenza generale perché si potrebbe verificare una situazione paradossale: nel nostro modello (matrice) potremmo trovare forti interdipendenze Reciproche, forti affinità Tecniche ed Operative, talmente elevate tra quasi tutte le attività di base per cui l’esito è quello di mettere troppe attività di base in un’unità e creare per le rimanenti unità organizzative specifiche: si ha una situazione situazione squilibrata.Questo significa che si perde in efficienza: abbiamo unità organizzative sovradimensionate e altre sottodimensionate con conseguenti problemi di controllo, di coordinamento e con problemi legati alle economie di scala e di specilizzazioni.5° Principio: è necessario rivedere l’analisi complessiva per verificare o meno la presenza della coerenza complessiva al fine di evitare problemi e costi legati al coordinamento e al controllo, per evitare perdite di efficienza e per evitare incapacità di incrementare o migliorare l’economia fiscale.

Queste logiche sono molto importanti perché rappresentano vincoli concettuali:a) Cercare di rendere minimi i costi di coordinamento e di controllo: siccome il coordinamento e il controllo sono attività costose (per costi di transazione

interni all’impresa), in sede di ristrutturazione dobbiamo minimizzarli.b) Cercare di rendere più ampie possibili le economie di scala: esiste la necessità in progettazione organizzativa di sfruttare al meglio le risorse disponibili. c) Cercare di rendere massime le economie di specializzazione o di esperienza: le economie più legate all’accumulazione dell’esperienza e quindi

dell’apprendimento e della conoscenza da parte di qst attività deve svolgere.

ESEMPIO: Alfa è un azienda che produce macchinari per la lavorazione della carta; imprese come alfa lavorano su commessa (realizzano prodotti che partono da un ordine emesso da un committente che prevede che il prodotto abbia determinate caratteristiche adatte all’impresa) per prodotti configurati in rapporto alle esigenze del cliente.

0) Inziamo con il passaggio 0 a definire tutte le attività di base, tenendo a mente il business model dell’impresa nonché il perché,come e per chi produce: 1) Attività di contattare il cliente: scomponibile ulteriormente…. 2) Attività della trattativa: 3) Progettazione preliminare: 4) Quando ci avviciniamo all’accordo con il cliente avremo un progettazione esecutiva che Culmina con il progetto esecutivo.5) Attività realizzariva: produzione vera e propria. 6) Acquisti delle risorse e dei fattori produttivi. 7) Attività del montaggio 8) Attività del collaudo 9) Attività della spedizione 10) Attività di servizio: ASSISTENZA POST VENDITA.

Costruiamo la matrice delle interdipendenze e delle affintità tecniche ed operative:

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ATTIVITA' DI BASE 1 2 3 4 5 6 7 8 9 101) Contatto Clienti R / T / O S G2) Trattativa3) progettazione preliminare T4) Programmazione esecutiva5) Acquisti6) produzione T T7) Montaggio8) Collaudo9) Spedizione10) Assistenza R

Le forme organizzative: Siamo passati dalla micro alla macro organizzazione usando una logica del lego: usando gli elementi base abbiamo cercato, tramite un processo di aggragazione, di arrivare alla definizione di mansioni (micro) e quindi alla definizione delle unità organizzative (macro).Ora l’elemento centrale sarà l’impresa nel suo complesso, e la sua analisi (riguardo le forme organizzative) deve tener conto del legame inscindibile tra:

1) Elemento legato all’ambiente (sayler – ruggiadini): rapporto tra l’organizzazione e l’ambiente, rapporto definibile a partire dall’ambiente verso l’organizzazione. L’organizzazione deve essere coerente con l’ambiente in cui vive ed opera; la setssa organizzazione può retroagire sull’ambiente quando si ha un’influenza tale per cui il modo di organizzare l’impresa si diffonde tra tutte le altre imprese operanti sullo stesso territorio.

2) Organizzazione (come già definita in precedenza).3) Strategia: la strategia incide sull’organizzazione dell’impresa; l’organo di governo deve pianificare l’attività dell’impresa ovvero deve redigere il

business plan: a) significa definire un piano industriale avendo riguardo per i vincoli ambientali e le forze competitive; b) significa definire gli obbiettivi di breve o di lungo periodo; sono obbiettivi globali che riguardano l’impresa nella sua interezza: ROI e ROE, valore

economico….Sono anche obbiettivi parziali inquanto quello globale viene scomposto per essere assegnato ad ogni attività informativa. Significa anche identificare le vie attraverso le quali gli obbiettivi dovranno essere raggiunti: le vie possono essere molteplici etc.

Definita la strategia dell’impresa bisogna anche organizzarsi (dove? Come? Quali clienti? Perché? Come vogliamo fare quanto stabilito?). Sotto il profilo organizzativo ciò che interessa è cercare di capire come si realzza il complesso delle coerenze che collegano l’organizzazione da un lato alla strategia e dall’altro all’ambiente.

Barns e Stalker: scrivono un testo (1967). Sono partiti dalla necessità di capire la natura dell’ambiente circostante, per verificare che tipo di relazione ci sia tra impresa ed ambiente. I due giungono a dimostrare che certamente l’assetto organizzativo risulta influenzato dal tipo di ambiente che l’impresa si trova ad affrontare e quindi dalle caratteristiche del contesto in cui è inserita. Le teorie che usiamo abbandonano l’impostazione del “One Best Way” e si avviano sul percorso delle contingenze strutturali. Quindi da tale analisi esiste una relazione tra l’organizzazione e l’ambiente che l’impresa fronteggia.L’analisi delle relazioni si svolgono analizzando:

1) La Struttura Organizzativa ed individuando il:a) Grado di Formalizzazione.b) Grado di Standardizzazione.c) Grado di Definizione dei Ruoli.d) Grado di Centralizzazione.

2) Lo Stile Direzionale:a) Stile Autoritario:b) Stile Partecipativo: Le decisioni vengono prese collettivamente.Sempre riguardo lo stile direzionale possiamo parlare di potere, il quale può essere legittimato da:a) Dalla posizione che si ricopre.b) Dalla capacità e dalle competenze possedute.

3) I Meccanismi Operativi che contano di:a) Pianificazione e Controllo di gestione: tali processi possono essere più o meno strutturati, e si attivano a seconda dei comportamenti che si

intendono attuare verso determinati obbiettivi.b) Sistema Informativo: è garante della comunicazione delle persone all’interno di una determinata organizzazione, su questa incide ovviamente la

tecnologia informativa adottata.1) Reti Accentrate di Comunicazione (A Stella): conta di una ragnatela di scambi informativi; tutte le interazioni di carattere informativo

passano per il capo: tutti parlano con il capo e quindi tutte le informazioni vengono gestite in maniera centralizzata. È un tipo di modalità informativa tipica dei modelli gerarchici.

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2) Reti Totali: è la via più costosa, ma si ha un livello di partecipazione maggiore perché tutti parlano con tutti senza dover passare per il capo; tutti comunicano e tutti sono in collegamento tra di loro.

c) Sistema di Gestione & Sviluppo del personale; questi meccanismi si articolano in svariati meccanismi di natura diversa:1) Selezione del Personale: quando il personale viene assunto deve essergli garantita la possibilità di inserimento e la possibilità di carriera.

La scelta dell’organizzazione dell’impresa avviene tra due fondamentali modelli; queste due tipologie in realtà si presentano nella realtà in modo quasi sistematico: sono facilmente riconoscibili le caratteristiche dell'una e le caratteristiche dell'altra (Esiste un legame sostanzialmente tra queste caratteristiche ed il tipo di ambiente che un'impresa deve fronteggiare):

1) Modello della Meccanica: Un'impresa organizzata secondo il modello meccanico è un impresa che ha maggiori probabilità di successo in un contesto, in un ambiente, che sia caratterizzato da una relativa stabilità. Questa stabilità dell'ambiente porta l'impresa ad avere dell'ambiente stesso una buona conoscenza ed una buona capacità di variare le variabili critiche. Si tratta di ambienti poco dinamici, che si modificano lentamente.

2) Modello organico: Un'impresa organizzata secondo un approccio Organico è un impresa che ha maggiori probabilità di successo in un ambiente più complesso, dove le dinamiche producono delle variazione significative nelle variabili fondamentali; sono ambienti vari, che presentano elevata varietà e variabilità: ambienti poco prevedibili, dove le cose si succedono tumultuosamente, sono poco prevedibili e poco governabili. In queste tipologie di ambiente, con maggiore probabilità, l'impresa avrà successo utilizzando l'approccio Organico.

Si passa quindi da una Best Way ad una Best Fit, ovvero un tipo di organizzazione che si adatta meglio all’impresa; infatti se l’impresa deve avere successo in un determinato settore, deve definire una organizzazione in linea con il contesto in cui opera.

TIPI DI ORGANIZZAZIONE: Avendo definito il rapporto tra ambiente ed organizzazione, cerchiamo ora di definire il rapporto tra strategia ed organizzazione, la quale, in questi termini, può essere vista come la leva che permette all’impresa di raggiungere gli obbiettivi strategici.Chandler: dato quanto appena detto ci vengono alla mente le opere di Chandler:

1) La mano visibile.2) Strategia e Struttura.Egli, attraverso un analisi storica, dimostra come in fasi diverse dello sviluppo del capitalismo industriale, sono diversi i modelli organizzativi che sono andati sempre più a raffinarsi nel tempo.

Struttura Elementare: Il rapporto tra strategia e struttura dell’impresa, può essere analizzato raccontando la storia di un piccolo imprenditore che nasce dall’artigianato locale per diventare poi un imprenditore di successo: Questo individuo inizia a produrre un solo tipo di scarpa da uomo, e viene fatto provare alla clientela che va da lui ad aggiustare le scarpe. La clientela fa parte del paesino\quartiere in cui il nostro artigiano lavora, e quindi di essi si conoscono le abitudini e le possibilità di spesa; questo significa che, questa attività, in questa fase iniziale di gemmazione è legata ad un unico modello, che viene prodotto e realizzato con una tecnologia estremamente semplificata e banale.L’impresa è dunque di tipo MONO, ovvero sono mono-prodotto, mono-tecnologiche e mono-mercato. La struttura dell’impresa in questa fase è così rappresentabile:

Possiamo osservare che la struttura organizzativa è elementare, ossia, sotto lImprenditore, esiste un unico strato (livello) organizzativo e presenta uno stile direzionale autoritario; il sistema informativo è molto accentrato; le unità organizzative sono despecializzate e descrivono una bassa definizione dei ruoli. Le imprese Familiari solo le classiche imprese che si avvalgono del modello di Organizzazione Elementare.Le caratteristiche della Struttura Elementare sono:

1) Bassa Formalizzazione.2) Bassa Standardizzazione.3) Bassa Specializzazione.4) Bassa Definizione dei Ruoli: che genera una confusione di ruolo.5) Alto Grado di Accentramento Decisionale.6) Una Struttura Piatta.7) Non si hanno né regole né pianificazione.

I vantaggi della Struttura Elementare sono:1) Forte Condivisione dei risultati.2) Forte senso di appartenenza all’organizzazione.3) Accentuata Flessibilità.4) Il Controllo Sociale è facilitato dal fatto che coloro che lavorano, operano come un gruppo di pari: non sono né capi né subordinati (se non

all’imprenditore).

Gli svantaggi della Struttura Elementare:1) Rischiosità: Queste aziende, essendo monoprodotto, monomercato e monotecnologie, sono più esposte ad una crisi legata al prodotto.

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2) Sovraccarico decisionale: Tutto il carico decisionale è focalizzato sulla figura dell'imprenditore, che è costretto a dedicare sempre maggiore attenzione alla risoluzione di problemi che si manifestano continuamente.

Struttura Funzionale: Proseguendo con l’esempio del nostroimprenditore (produttore di scarpe), ipotizziamo che egli decide di diversificare in parte il suo prodotto; attua quindi innovazioni strutturali e cambia in parte il suo target di riferimento: supponiamo che decide di produrre anche scarpe da ginnastica.L’imprenditore si avvale di qualche collaboratore, e quindi il primo livello si avvale di qualche unità aggiuntiva; Iniziano però a verificarsi i primi problemi evidenziati da una serie di disfunzioni (ci sono sintomi che possono essere colti):

1) Le consegne sono fatte in ritardo e qualche cliente inizia a irritarsi 2) La qualità del prodotto inizia a diminuire, diventa scadente.3) I clienti si lamentano, iniziano a non comprare più.4) Ne deriva un aumento della conflittualità interna e dell’impreva verso i suoi clienti.

Questa situazione inizia a denotare una paralisi decisionale. Ccome potremmo risolvere questa situazione? Posso modificare l’assetto organizzativo, aumentando la dimensione della base organizzativa. A questo punto può essere necessario introdurre componenti di tipo manageriale/professionale ai quali affidare in sostanza la responsabilità di classi, gruppi di operazione, omogenei sotto il profilo tecnico economico: applico una Struttura Funzionale:

Il primo livello della Struttura Funzionale è rappresentato non dalle persone, bensì dalle unità organizzative (o funzioni). In questo primo livello troviamo Manager specializzati in materie economico-tecniche; in altre parole, al primo livello, troviamo organi (definiti funzioni) ossia unità organizzative all’interno delle quali si svolgono attività affini al profilo dell’orientamento per cui esse sussistono. Tra queste attività sono raggruppate per affinità di attività di base, e tra esse sussistono delle interdipendenze.Analizzando ogni singolo reparto, per esempio quello della Produzione, notiamo che essi sono a loro volta suddivisi in un secondo livello; la Produzione conta tre reparti i quali sono sotto la sua giurisdizione. È bene precisare che la suddivisione può avvenire anche con ulteriori sottolivelli.Vediamo che la Struttura Organizzativa Funzionale, rispetto a quella Elementare, è più articolata in una maggiore gerarchizzazione e tende ad un livello più alto di burocrazia, inoltre è fortemente specializzata in ambito economico-tecnico.

A livelli più bassi del primo, si passa dalla decisioni strategiche, a quelle direzionali per poi finire a quelle Operative (ubicate a partire dal secondo livello, più aumenta il livello e più le decisioni sono sempre più operative):

1) Decisioni Strategiche: Sono decisioni dalle quali ne va la sopravvivenza dell’impresa; tali decisioni spettano al vertice.2) Decisioni Direzionali: Ciascuna funzione, coerentemente con l’indirizzo strategico definito dal vertice, prende le decisioni direzionali il più coerente

possibile alle poliriche della gestione.3) Decisioni Operative: Competono i livelli operativi più bassi (dal livello 2 in giù); sono decisioni del tipo Day by Day.

In questo modo viene a ridursi l’accentramento decisionale intorno al manager, che a questo punto è più libero di impiegare le proprie energie per concentrarsi sulle decisioni (strategiche) dalle quali dipende il futuro dell’impresa.Passando dalla struttura Elementare a quella Funzionale, oltre a complicarsi l’Organigramma, si sono modificati anche i Meccanismi Operativi. Un meccanismo operativo importante, è quello che distingue le Unità di Line dalle Unità di Staff:

1) Le Unità di Line: Sono quelle attività che consentono di creare valore aggiunto all’input; sono le unità che insistono sulla linea dell’organigramma, cioè su quella che può essere definita la catena di creazione del valore aggiunto; sono tutte quelle attività intermedia come: la produzione, la logistica, la commercializzazione, le funzione vedite, la progettazione e la funzione di R&S.

2) Le Unità di Staff: sono invecele unità organizzative (le funzioni) che supportano tramite anche dei servizi le unità di line e quindi ne consentono il più razionale svolgimento. (es. funzione amministarzione/contabilità).

Tra unitù di line ed unità di staff, non sussiste una differenza gerarchica; tutte e due queste categorie di unità si collocano al livello 1 dell’organigramma e quindi hanno lo stesso potere decisionale: in altri termini le unità di line e di staff sono di pari grado.Il problema è che, con il passare del tempo, la distinzione tra unità di line e di staff è stata superata; infatti nell’impresa di tipo Manageriale, le unità di staff sono cresciute a dismisura:

Con la cosiddetta rivoluzione manageriale, la scissione tra governo e gestione ha fatto si che, a mano a mano e in relazione alla crescita dell'impresa, al vertice di questa struttura organizzativa, noi sempre più raramente troviamo l'imprenditore perchè in qualche modo si è ritirato lasciando anche la direzione strategica dell'impresa nelle mani di un imprenditore generale che è un manager professionista (un leader). L’idea è che il manager, nella sua funzione di utilità, abbia la ricerca dello status e del prestigio, che devono essere osservabili dall’esterno; il manager raggiunge quest’obbiettivo attraverso staff popolosi.

A questo punto però si rischia un’eccessiva presenza di unità di staff, e per questo si è giunti a questa conclusione: La staff esiste se serve per creare valore. Si è iniziato ad introdurre una serie di metriche ed indicatori che contengono i costi così detti discrezionali e non parametrici.

Altro concetto impostante è quello di SPAN OF CONTROLL: locuzione che indica l’ampiezza del controllo (span); è un concetto antico, i primi cenni di configurazione li ritroviamo in un opera dei primi del 900 elaboprata da Henry Fayol (contemporaneo a Taylor) che è il primo a classificare e a definire l’aspetto funzionale delle imprese con la teoria dell’amministrazione.La locuzione Span of Controll tenta di rispondere alla domanda: di quante persone possono ragionevolmente dipendere da uno stesso capo?

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Cunas con degli studi empirici è arrivato a definire tale numero: un capo riesce a sopportare il carico di dirigere un numero pari a 5! Non è un numero ideale perché dipende anche da altri fattori (competenze, sistema dei valori, mezzi, sistema informativo, modi di comunicare, esigenze di contenimento dei costi (costi di controllo interni)). Il numero può anche aumentare a seconda delle caratteristiche; tanto più riduco lo span of control, tanto più risparmio in costi di controllo.

Se pensiamo alla funzione della produzione e immaginiamo che sotto il direttore ci siano 3 stabilimenti produttivi (Stabilimento 1,2 e 3) e che all’interno di ogniuno ci siano diversi stabilimenti produttivi che hanno a loro volta delle squadre di operai e così via, significa che se noi stiamo pensando ad uno Span Of Control molto alto (aumentiamo i reparti produttivi). Possono però sorgere problemi di natura informativa e quindi di decisione, la lentezza e le distorsioni del viaggiare delle informazioni determina delle cattive decisioni: sarebbero distorte a causa del poco tempo per poterle analizzare.

Possono quindi sorgere anche problemi relativi all’adattamento all’ambiente: prima di adattarsi alle caratteristiche dell’ambiente si deve procedere a eliminare i problemi di ogni subunità dell’organizazione. La capacità di razionalizzazione ha portato all’individuazione di sacche di inefficienza sia nele strutture di line che in quelle di staff, e ha individuato la necessità di eliminare livelli gerarchici e di arrivare ad un’organizzazione più piatta: elimino i livelli gerarchici, ma questo significa che coloro che dipendevano da quell’unità diventano decisori aumentando così lo Span Of Control e tutti i capi reparto saranno referenti del direttore.Una ampliamento dello span of control (ampliamento delle strutture produttive) determina un processo di ristrutturazione.In Sintesi:Caratteristiche Struttura Funzionale:

1) Innesto, rispetto al modeloo organizzativo elementare, e la presenza di una tecno-struttura che conduce alla divisione non solo orizzontale (del lavoro) ma anche verticale (delle responsabilità dell’ambito decisionale): questo rappresenta un fattore utile per ridurre il sovraccarico decisionale che gravava sulle spalle del direttore; il vertice a qst punto può elaborare una visione strategica che riguarda il futuro più lontano dell’impresa (es. analisi delle nuove tecnologie…).

2) L’assetto organizzativo istituzionale sarà adeguato non ad una microimpresa, ma ad un’impresa che vede sviluppare i suoi mercati, i suoi prodotti, le sue tecnologie. La struttura per funzioni si adatta bene ad un’impresa di medie dimensioni.

Vantaggi Struttura Funzionale:1) Decentramento decisonale: si formano delle spaccature decisionali con il vertice che prende decisioni strategiche, i responsabili della struttura

funzionale prendono le decisioni funzionali e più in basso si prendono le decisioni operative (day by day decisioni a singoli problemi bel localizzati che necessitano di tempi rapidi).

2) Ottimizszazione delle conoscenze tecnico/economiche: la struttura funzionale permette di realizzare consistenti economie di specializzazione e di migliorare l’apprendimento. CEO: nucleo di dirigenti di primo livello che formano un comitato esecutivo che poi ha in mano il governo dell’impresa e ha anche la possibilità di elaborare le strategie.

3) Spersonalizzazione delle relazioni: i rapporti interpersonali non sono più fitti, ogniuno viene ad essere assegnato ad una funzione specifica e sa che quella funzione può essere quella assegnatagli per tutta la sua vita lavorativa a meno che non faccia carriera. L’attività lavorativa è legata alla specifica posizione occupata nell’organigramma.

Svantaggi Struttura Funzionale:1) Con il passare del tempo, le persone che operano in ogni funzione diventano soggette ad essa. Li dentro esse restano intrappolate. Questo significa

che ogni funzione, anche per il fatto che le persone apprendono continuamente tramite la specializzazione, sviluppano una propria visione del mondo tipica della loro funzione di appartenenza; sviluppano dei linguaggi specifici; c’è attenzione per le problematiche tipiche di quell’aria, e questo forma la loro conoscenza su problemi appartenenti a qll’area specifica. Questo determina la formazione di una sub-cultura a seconda del settore e quindi una sorta di rigidità per cui [se nessuno le accorpa (tali sub-culture) per farne derivare qualcosa di maggior valore (cultura generale)] è chiaro che la tendenza sarà quella di arrivare alla logica di funzionamento somigliante a quella di Sylos: ogni unità è un compartimento stagno a se stante; tale logica dipende dal rapporto che persone appartenenti alla funzione (specifica) hanno con gli interlocutori esterni.

NB: DISFUNZIONI RELATIVE ALLA LOGICA DEI SYLOS:La logica del Sylos è stata alle volte estremizzata: Jack Welch (CEO della general elettric) e la generale elettric, erano soliti accompagnare la pubblicazione del bilancio annuale delle società con una lettera indirizzata agli azionisti; in una di queste egli scrisse che concedere una delega ad un dirigente (assegnargli un ambito di discrezionalità decisionale) era un’attività pericolosa perché era come concedere un’abilitazione a costruire delle barriere; prendiamo ad esempio la funzione del marketing:

Se do responsabilità ad un dirigente di reparto, questo con il passare del tempo edificherà: Barriere orizzontali per isolare la sua funzione dalle altre funzioni poichè sono percepite come una minaccia interna. Il responsabile del MKT sarà orientato a creare delle barriere anche a chi sta sotto di lui perché non vuole farsi fare le scarpe da chi, sotto di lui

potrebbe fare una carriera fulminea. Costruisce barriere verso i vertici aziendali, qst perché avendo informazioni critiche (riguardo il mercato, la domanda e la concorrenza) vuole

tenerle a suo favore, e quindi ne manda al vertice solo una certa misura; questo anche perché si sente sempre sotto giudizio da parte del vertice.

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Tutto ciò è un aspetto pericoloso per l’intera impresa, perché quando queste barriere sono consistenti, isolano le funzioni rendendole dei blocchi non coordinati che perdono le interdipendenze tra le unità.ALTRO ESEMPIO: La Fiat decide di produrre una nuova macchina che verrà poi chiamata la “Duna”; ipotizziamo che l’impresa in questione conti tre blocchi di funzioni: quella del marketing, quella R&S e la funzione di produzione.

Gli esperti di marketing organizzano dei Focus Group ipotizzando un probabile prodotto in base ai risultati di un’indagine campionaria tramite la quale capiscono cosa vorrebbero i clienti in quanto ad estetica e a prestazioni. Viene quindi redatto un documento con le caratteristiche del prodotto da immettere nel mercato.

Tale documento viene mandato alla R&S; i ricercatori lo analizzano e giudicano le proposte. Nella maggior parte dei casi tali proposte vengono modificate, a causa della divorsa ottica del reparto Marketing che propone una categoria di prodotto troppo costosa da realizzare. Quindi i ricercatori di R&S apportano modifiche al documento rimandandolo ai responsabili del Marketing in attesa di una loro approvazione.

L’approvazione o la contestazione del Marketing porta il documento nuovamente ai responsabili della R&S, finchè non si trova una soluzione comune che porta la formulazione finale del prodotto nella mani della funzione Produzione.

Alla fine del processo venne a dimostrarsi che la Fiat impiegò 7 anni per immettere nel mercato la Duna.Come si supera la logica di Sylos? Abbattendo le barriere interfunzionali, favorendo la comunicazione tra i direttori delle funzioni. Devo creare un team interfunzionale trasversale: un team di persone che tagli trasversalmente le diverse funzioni, estendenzo la comunicazione anche ai fornitori, estendendo così il team. [Per esempio la Toyota lo applicava tale modalità già allora ma, non essendo il funzionamento interno copiabile, la fiat avrebbe sempre rincorso in imitazioni la Toyota ottenendo comunque risultati inferiori].Questo tipo di effetto determina ritardi nello sviluppo di nuovi prodotti e nell’attuazione di prassi innovative, determinando una logica di tipo negoziale estremizzata all’interno dell’impresa. La logica per Sylos ha come conseguenza il si detto effetto parrocchialismo: ovvero lo spirito della parrocchia sotto casa che è chiusa e non accessibile nella microsocietà che crea; si ha così una sub-ottimizzazione delle risorse. Quando la complessità tecnico/produttiva e meccanistica è più articolata, la struttura funzionale non è in grado di reggere a questa modificazione del modello di business e a qst punto sarà necessario riassettare l’organizzazione.

Struttura (modello) della Differenziazione – Integrazione: L’artigiano (calzolaio) sotto casa avendo raggiunto il mercato nazionale e avendo aggiunto qualchge modello aggiuntivo del prodotto, adottando l’assetto organizzativo funzionale noterà che le cose migliorano. In questa fase del ciclo di vita dell’impresa, abbiamo un marchio affermato per un prodotto che gode del favore del mercato e il nostro imprenditore a capo di questo assetto organizzativo, assume le mansioni del direttore generale. Attraverso il supporto della funzione di marketing e della funzione produzione decide di introdurre una nuova linea di prodotti dedicati ad un altro target. L’impresa attua una diversificazione della produzione con prodotti differenti. Questo lo fa definendo un nuovo piano di business che analizzi i risultati attesi; alla base di tutto ciò ci sono le analisi condotte dal reparto Marketing.Se i risultati attesi non arrivano si deduce che l’idea dell’imprenditore non si è evoluta positivamente.Emergono quindi una serie di disfunzioni date da:

Conflittualità tra il responsabile della produzione e il responsabile commerciale:Calano le vendite, diminuiscono gli intoriti e avviene un consistente deterioramento del clima organizzativo interno: il nostro imprenditore richiama quindi i responsabili e ammonisce simili atteggiamenti.

Proprio per questa situazione potremmo applicare il modello della DIFFERENZIAZIONE-INTEGRAZIONE (Laurance & Lorsch ’67 organizzazione e ambiente): si riprende il rapporto tra l’ambiente e l’organizzazione.L&L osservano un certo numero di imprese (le migliori nel proprio settore) e si chiedono: se sono le imprese eccellenti, cosa hanno esse in comune per essere tali da un punto di vista organizzativo? L’elemento centrale è rappresentato dal concetto di COERENZA; la coerenza è da loro intesa come la capacità dell’organizzazione di saper gestire una serie di diversi FF:

L’ambiente in cui l’impresa opera, non è un blocco unitario bensì è suddiviso in tanti diversi sotto ambienti.

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Ciascuno di essi è interfacciato da una specifica e diversa funzione, per esempio: il sottoambiente finanziario è interfacciato dalla funzione Finanza. Allo stesso modo il mercato di sbocco dei prodotti è interfacciato dalla funzione di Marketing la quale ha a che fare con i clienti, con i consumatori etc. Altro esempio è dato dal sottoambiente della produzione che è interfacciato dalla funzione di Produzione; il sottoambiente della ricerca è interfacciato dalla funzione della Ricerca&Sviluppo (R&S). Tali sottoambienti entrano in contatto con l’impresa sviluppando aspettative da soddisfare, nasce quindi l’importanza di dividere i confini tra l’impresa e l’ambiente che la costituisce; tali confini sono presidiati da ciascuna funzione. Ciascuna funzione è caratterizzata da un compito(task environment: obbiettivo vincolato dall’ambiente), che deve realizzare in base alle esigenze degli interlocutori che popolano il sotto ambiente fronteggiato. È un concetto che mette in relazione il modo di lavorare e gli obbiettivi di una funzione, con i fattori ambientali (del sottoambiente) che condizionano il comportamento dell’unità stessa.Se questo è vero, ogni funzione, in relazione al sottoambiente da fronteggiare, subisce delle pressioni (dei condizionamenti) dagli interlocutori che popolano il sottoambiente; definiscono cioè gli elementi che attirano l’attenzione delle persone che lavorano in quella data funzione: il direttore della funzione dovrà definire i comportamenti e le variabili a cui prestare particolare attenzione, modellando il comportamento della funzione stessa e differenziandola dalle altre funzioni. Tanto più è scomponibile l’ambiente esterno in sottoambienti, tanto sarà maggiore la risposta in termini di differenziazione da parte

dell’impresa. Tanto maggiore è la differenziazione (dei sottoambienti) che nasce da un FF di dare edeguate riasposte ai sottoambienti, tanto maggiore è il FF

di differenziare all’interno le unità organizzative, e quindi tanto maggiore sarà il FF di INTEGRAZIONE: ovvero la necessità di tenerle unite). La differenziazione interna delle unità organizzative, implica che nel suo interno l’impresa non può essere organizzata allo stesso modo.

Il modello di L&L procede per tappe successive:1) Identificazione del grado di differenziazione del Task environment: Viene effettuata un’analisi, sulla base di alcuni parametri di riferimento, di

ogni funzione:a) Il tipo di attività necessaria per realizzare gli obbiettivi della funzione.b) Obbiettivi.c) Caratteristica del Net-work di relazioni che la funzione deve gestire con gli interlocutori chiave collocati nel sub ambiente.

Un Task Environment si differenzia per i parametri sopra citati e in relazione a questi si valutano i seguenti elementi e in base a questo possiamo assegnando ad essi dei punteggi.

a) Complessità: livello di difficoltà.b) Chiarezza: quanto è chiara l’attività da svolgere.c) Incertezzad) Tempo di feedback.e) Criticità degli obbiettivi.

Per Esempio: In una scala da 1 a 4 indichiamo dei punteggi, dal più basso al più alto, per le funzioni di Marketing, di R&S e di Produzione.

Dal risultato complessivo emerge che:1) Tra MKT e Produzione sussiste uno scarto molto alto pari ad 8.2) Tra Produzione e R&S sussiste uno scarto molto basso pari ad 1.3) Tra MKT e R&S sussiste uno scarto molto alto pari a 7 (comunque inferiore rispetto allo scarto tra Produzione e MKT).

Deduciamo che il modo con il quale la funzione di Marketing deve essere organizzata al suo interno, è un modo assai diverso da quello della produzione: vi sarà quindi un alto tasso di differenziazione del Task Enviroment.La produzione e la ricerca possono essere invece organizzate in maniera abbastanza similare.Il conflitto tra il responsabile della Produzione e il responsabile del Marketing appare come un conflitto fisiologico; la presenza di tale conlitto appare, tuttavia, giustificata vista la differenziazione del Task Enviroment. Se la Produzione e il Marketing fossero organizzati allo stesso modo si avrebbe una conlittualità nulla, ma si annullerebbe la coerenza che è vista elemento fondametale per il raggiungimento degli obbiettivi delle singole funzioni.

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Meccanismi di integrazione: Differenziare le risposte organizzative garantisce la coerenza: maggiore è la differenziazione tra unità organizzative e maggiore sarà l’individuazione di tecniche che le tengano unite. Se non mettiamo in campo delle tecniche per compensare uesto FF di integrazione, si realizzeranno delle spinte organizzative. Per garantire un maggiore livello di integrazione, si necessita dell’individuazione di tecniche.L&L definiscono una serie di meccanismi di integrazione che variano tra loro a seconda del grado di potenza del meccanismo (più potente è il meccanismo più esso sarà costoso):

1) Regole comuni: regole e procedure valide per tutte le unità organizzative. Tendono a definire un minimo livello di standardizzazione. I lavoratori riescono a capire meglio il dafarsi. Hanno un basso costo. Le regole comuni non sono sufficienti quando la differenziazione delle mansioni è grande e quindi si potenzia il sistema di comunicazione.

2) Sistema di comunicazione: si crea un linguagguio comune fatto di codici linguistici atti a migliorare la comunicazione. Ha una maggior potenza ed efficacia ma un costo maggiore.

3) Gerarchia (istituzione): definizione di responsabili che hanno la responsabilità e l’autorità per poter garantire la risoluzione di conflitti.4) Contatti laterali diretti: possono avvenire tra persone responsabili di una certa unità organizzativa; posono verificarsi tramite l’articolazione dei team

interfunzionali (esempio fiat/toyota).

5) Riunioni: Sono effettuate tra i vari responsabili delle unità organizzative. È un modo che porta via tempo a chi vi partecipa. Riunioni mal organizzate determinano spreco di energie e di tempo e quindi il tempo deve essere ben gestito/organizzato.

6) Linking Pin: Ufficiale di collegamento. Tra due funzioni esistono due persone che oltre a svolgere la loro attività normale, dedicano parte del loro tempo a mantenere contatti con l’ufficiale di collegamento dell’altra funzione. Significa creare un responsabile di contatto che faciliti la comunicazione tra due o più unità organizzative.

7) Comitati: è un organo collegiale (permanente) che prevede la partecipazione di persone scelte che di solito sono quelle con un alto grado di responsabilità all’interno delle funzioni. Essi vengono scelti dalla direzione.

8) Task force: sono organi collegiali temporanei ai quali partecipa chi è dotato di una certa competenza; vengono costituiti per affrontare problemi contingenti e di particolare importanza per la vita dell’impresa. Per esempio l’analisi di un settore per sanare un crisi etc.

9) Organi di integrazione: è il più costoso tra i metodi di integrazione; possono essere semplici o complessi, un esempio ne è il product menagement.IN SINTESI:1° PRINCIPIO: Una qualità importante di chi si occupa di organizzazione è la capacità di differenziare le risposte organizzative dell’impresa in relazione al proprio ambiente: le imprese più efficienti e più efficaci, sono quelle che riescono a garantire la coerenza e a bilanciare meglio di altre il livello di differenziazione organizzativa e il livello del task environment. Bisogna creare il giusto livello di differenziazione che deve essere proporzionale al FF.2° PRINCIPIO: Maggiore è il livello di differenziazione organizzativa tra le unità, maggiore deve essere il livello di integrazione: qst significa che i meccanismi da mettere in campo per integrare le funzioni devono essere meccanismi più potenti al crescere della differenziazione stessa. Di qui la necessità di individuare meccanismi specifici che devono essere coerenti con il FF di integrazione emerso (attenzione a non usare meccanismi troppo forti qnd la differenziazione e bessa e viceversa (ulteriore livello di coerenza)).3° PRINCIPIO: Si utilizza per poter decidere quale è il più adatto tra i meccanismi tipici di integrazione; esso afferma che si deve fare attenzione al meccanismo prescelto:

1) Non deve essere un meccanismo troppo potente e costoso quando il FF di integrazione è a livelli bassi.2) Non deve essere un meccanismo troppo debole e poco costoso quando il FF di integrazione è a livelli alti.

La scelta si basa non solo tra il tredeoff tra costo e potenza del meccanismo, ma anche fra i reali FF di integrazione. In particolare dobbiamo evitare di cadere vittima del seguente errore:

Errore secondo il quale il livello di differenziazione delle unità informative non è coerente con il livello di differenziazione dei task environment: abbiamo Task environment omogenei ma ho differenziato troppo le unità organizzative; opure i task environment sono disomogenei e ci ritroviamo con delle unità organizzative poco differenziate.

La coerenza tra differenziazione e integrazione si basa su delle logiche di fondo:1) Dice che gli organi che devono essere integrati (unità organizzative) devono avere un potere all’incirca equivalente; questo perché può accadere che

due unità organizzative siano squilibrate in termini di peso. (es una delle Sorelle Fendi governava una funzione di un’unità organizzativa che aveva un potere squilibrato rispetto alle altre unità). Prima di scegliere il meccanismo è opportuno rioperare un equilibrio del peso delle unità organizzative.

2) Gli organi di integrazione dovrebbero avere un orientamento intermedio rispetto alle unità organizzative che devono essere integrate.

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3) Il conflitto tra responsabili di funzioni è un fatto fisiololgico che se non gestito bene rischia di sfociare nella patologia e deve essere gestito attraverso il continuo confronto delle reciproche posizioni, evitando l’imposizione, evitando i compromessi dannosi (volemmose bbbene, quieto vivere) ovvero ricercare la risoluzione attraverso il confronto.

Struttura Funzionale Modificata: Quando introduciamo all’interno di una struttura Funzionale gli organi di governo, parliamo di una struttura funzionale modificata. La Struttura Funzionale Modificata per product manager, favorisce la coerenza tra differenziazione e integrazione. L’impresa allo stesso tempo deve mantenere un orientamento all’efficienza tecnica e deve puntare sull’efficienza e la competenza del personale.Come si risolve la conflittualità tra la Produzione e il Marketing? La possibilità di gestire più opzioni di prodotto, ha spinto i consulenti del direttore generale, ad optare, tra i vari strumenti di integrazione, per l’organo di integrazione. L’ORGANO DI INTEGRAZIONE è l’ideale per focalizzare l’attenzione sulle linee di prodotto e ci consente di optare per la soluzione del product Manager.

Il Product Manager: Product Manager di tipo A: permette alla nostra impresa di focalizzare l’attenzione non solo sulla specializzazione economico tecnica (che era presidiata dalla divisione del lavoro per funzioni), ma anche sulla linea di prodotto nella sua interezza. Saper rappresentare un struttura funzionale modificata del product manager significa considerare il product manager in una posizione che si colloca in basso lateralmente alle altre funzioni e che ha la qualità di tagliare le funzioni in maniera trasversale.

Collocato in questa posizione il product manager risponde direttamenti alla direzione generale, quindi è collocato al primo livello organizzativo e quindi ha la stessa posizione di potere che hanno le unità di Produzione, di Marketing etc. Il suo ruolo è un ruolo completamente diverso dal loro perché il product manager ha il compito fondamentale di assicuare, per quella linea di prodotto, l’integrazione di tutte quelle attività che riguardano la su detta linea di prodotto.Una simile configurazione comporta l’assegnazione teorica al Product Manager di tipo A; perché in qst caso il Product Manager è quasi un direttore generale per quanto riguarda la sua linea di prodotto:

1) Egli possie le competenze generali sulla linea di prodotto che deve presidiare. 2) È il responsabile di tutte le politiche di un intera linea di prodotto. 3) È responsabilizzato e valutato attraverso degli indicatori che esprimono il risultato raggiunto dalla linea di prodotto (fatturato, quota di mercato,

margine di contribuzione realizzato dalla linea di prodotto che viene presidiato).4) Il Product Manager di tipo A, dispone di leve e di risorse piuttosto elevate. 5) È il responsabile che gestisce il budget della linea di prodotto: gestisce costi e ricavi, manovra la leva della distribuzione, ha influenza diretta sulla forza

vendita. 6) Il Product Manager di tipo A non può garantire l’ntegrazione attraveso l’imposizione, anzi dovrebbe avere capacità di dialogo e di coinvolgimento:

sentendosi gli altri si defraudati dal potere delle proprie funzioni, egli deve avere la capacità di coinvolgerli partecipativamente.Product Manager di tipo B: Il Product Manager di tipo B: si differenzia per la sua collocazione rispetto al tipo A e detiene un diverso livello di potere. Il Product Manager di tipo B è collocato all’interno della funzione del Marketing; il suo livello gerarchico è il secondo e quindi deve rendere conto di tutto al responsabile del Marketing.

Ha il compito di integrare e di coordinare tutte le attività relative ad una certa linea di prodotto nell’ambito del marketing. Si parla, ovviamente, di imprese per le quali l’attività di marketing è l’attività principale. Nuove figure sono quelle del Mrand Manager, all’interno delle quali ci saranno altri Product Manager. Il product Manager di tipo B ha un potere che dipende dalle competenze tecniche di cui dispone, quindi il tipo B ha il compito di integrare e di coordinare tutte le attività che fanno di riferimento al Marketing e che fanno riferimento alla linea di prodotto che presidia. La differenza tra Product Manager di tipo A e di tipo B è data da due aspetti:

1) Dimensione dell’impresa: in un impresa di tipo internazionale/globale il tipo A non potrebbe esistere. Sarebbe impossibilie gestire tutto ed integrare tutto. Il Product Manager di tipo A regge in imprese di piccole dimensioni dove c’è la possibilià di integrare diverse attività funzionali.

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2) La maturità del Marketing: si parla di imprese dove la funzione del Marketing è storicamente sviluppata ed è di vitale importanza importanza per l’impresa.

Caratteristiche del buon Product Manager di tipo A:1) Deve avere ottime capacità relazionali.2) Deve saper esercitare influenza sugli altri capi reparto tramite una buona capacità di comunicazione e motivazione.3) Deve saper negoziare.4) Deve saper generare entusiasmo.

Caratteristiche del buon Product Manager di tipo B: deve avere buone competenze tecniche nel campo Marketing: Deve avere una notevole esperienza che, unita alle elvate competenze e capacità, è necessaria per acquisire leggittimizzazione agli occhi di chi svolge determinate dattività.Vantaggi dell apresenza di un Organo come il Product Manager: La presenza di un organo di questo genere spinge la focalizzazione dell’organizzazione sulla linea di prodotto e garantisce un miglior coordinamento e un miglioramento sull’efficienza della linea di prodotto, della gamma e su tutto ciò che concerne il Marketing. Inoltre il Product Manager, nell’organizzazione, è portatore di informazioni critiche relative al prodotto e relative alla concorrenza.Svantaggi della presenza di un Organo come il Product Manager: Uno svantaggio potrebbe essere l’eventuale cattiva scelta del Product Manager; se scelto male può generare nuovi conflitti tra le linee anziché diminuirli. Si sviluppano tensioni di ruolo a causa dello stress che può anche portare ad un turnover.

Il Project Manager: L’introduzione del progect manager, introduce ad una struttura funzionale modificata per progect manager.

È tipico per quelle imprese che operano per progetti, dove il progetto è sinonimo di commessa (ovvero assegnato per incarico e quindi di durata limitata nel tempo). Operiamo in modo simile a quanto detto per il Product Manager.Il Project Manager è alle dipendenze della direzione generale e taglia trasversalmente le funzioni. Per un’impresa che opera su commessa noi avremo più Project Manager a seconda di quanti progetti ci sono in cantiere. Il progect management include un insieme di attività che possono essere anche complesse (per esempio l’incarico di costruire una nave da crociera), è quindi un organo complesso dove il Project Manager viene equiparato ad un direttore generale del progetto; egli risponde dei risultati del progetto che elabora a seconda delle richieste del cliente. La sua figura è assistita da assistenti che terminato il progetto tornano alla loro postazione di partenza per poi essere affidati al prossimo progetto.Il Project Manager è un organo temporaneo differentemente rispetto al Product Manager che è potenzialmente eterno.In questo contesto, troviamo la figura del:

1) Bid manager: E’ una figura che sta a supporto del Project Manager ed è colui che prepara le offere relative ad un incarico.2) Risk manager: Si occupa della scansione del progetto e, tale scansione, è tale per cui se non si tiene conto dei rischi, può verificarsi che il progetto sfori

nei tempi, il che comporta il pagamento di una serie di penali che possono svalutare anche sotto lo zero la redditività del progetto.3) Cost accaunt manager: È necessario il rispetto dei costi pattuiti, perché se così non fosse rischieremmo una redditività insoddisfacente. È necessario

rispettare le caratteristiche qualitative richieste dal committente: Tempo, Costi, Qualità e Modalità di sviluppo del progettoLa scelta di una Struttura Funzionale Pianificata per Project Manager ha una complessità interna ed è quindi uno strumento di integrazione.Il Project Management sta diventando un’area di competenze tecniche, e anche a livello disciplinare sta diventando una significativa area di studio che assorbe rami di varie discipline (organizzazione, innovazione, gestione, analisi delle performance…). Il progetto viene scomposto in pezzi elementari: Work Break Down Structure (WBS); a ciascun pezo di attività viene fatta corrispondere una particolare squadra di tecnici.Quali sono le disfunzioni che si possono verificare in questa struttura? Possono verificarsi conflitti tra Project Manager e responsabili della funzione di prodotto. L’introduzione di questa figura può essere vista come una perdita di potere sull’attività della Funzione di Progettazione. Quindi la sua introduzione va fatta con attenzione:

1) Si sceglie come capo progetto qualcuno che sia già affermato (in quanto ad autorità e competenze) all’interno dell’impresa, questo per garantirne l’accettazione del suo ruolo .

2) Al capo progetto deve essere assegnata una qualifica formale di grande importanza tale che le altre funzioni non ignorino questo organo di integrazione.

3) Al Project Manager devono essere assegnate delle leve, delle responsabilità, e la possibilità di attuare (in caso) processi correttivi sul progetto.4) Il Project Manager deve saper gestire il rapporto con il committente.

Vantaggi: Se tutto funziona come detto dovremmo raggiungere minori tempi per lo sviluppo del progetto, maggior orientamento degli obbiettivi, ed un ottenimento di economie di scala migliorando anche la produzione. Si avrà anche un maggior controllo del progetto nella sua interezza e si verranno ad integrare le capacità di comunicazione con il committente. Svantaggi: Si avrà una maggiore complessità interna organizzativa, una scarsa trasferibilità delle conoscenze che maturate in un progetto si travasano a beneficio degli altri progetti e un’inefficenza data dall’eccessiva frammentazione del lavoro.

Struttura Divisionale (o Struttura per Divisioni):

Al primo livello organizzativo troviamo unità organizzative che vengono denominate Divisioni, e quindi non sono presenti le Funzioni. Per Divisione si intendono i raggruppamenti di attività omogenee del binomio Prodotto-Mercato. Questa divisione contiene al suo interno prodotti destinati ad uno specifico mercato. Siamo in presenza di imprese con una diversificazione produttiva in termini di tecnologie, oppure, in termini di mercato.

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Possono anche essere identificate in Divisioni per aree geografiche.Gli elementi chiave di questa tipologia di struttura sono:

1) La configurazione degli Organi:

L’Alta Direzione ha il compito di gestire e governare le Divisioni subordinate ad essa, considerando ogni divisione alla stregua di un ASA. L’Alta Direzione gestisce quest’ASA con portafogli fungendo da banca d’investimento, allocando nelle varie aree in cui si ritiene che il rendimento del capitale investito possa essere più elevato.Le Divisioni possono essere intese come delle “quasi imprese”. [NB: vedere funzionamento del ROI riguardo l’ASA (Management)].

2) Noi possiamo parlare di un assetto organizzativo divisionale puro che è distinto da quello accentrato. In genere l’assetto organizzativo divisionale è puro quando alle Divisioni viene data la più elevata autonomia (cioè all’interno della Divisione c’è la divisione funzionale).

Svantaggi di tale struttura: 1) Se tra le Divisione c’è elevata interdipendenza si generano delle diseconomie.2) Spesso la struttura Multidivisionale è una struttura che prelude a quelle tipiche d’impresa.3) Le nostre Divisioni che dipendono dall’Alta Diresione, in caso di assetti Holding diventano unità operative le quali hanno una propria personalità

giuridica.

Struttura a Matrice: Va distinta dalle strutture dimensionali modificate. La matrice si applica alle imprese con una particolare ed esasperata

complessità interna.

NB: 1) LA STRUTTURA DIVISIONALE E’ DA FARE MEGLIO SUL LIBRO. 2) LA STRUTTURA A MATRICE VA, IN TEORIA, SOLO LETTA MA SAREBBE MEGLIO (SECONDO ME) FARLA PER BENE SEMPRE DAL LIBRO.3) RIGUARDO LA NEGOZIAZIONE, BISOGNA COMPLETARLA AGGIUNGENDO QUALCHE COSETTA SUGLI EURISMI DA NEGOZIAZIONE.